PIG MAG 94 SETTEMBRE 2011

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Mensile. Numero 94, Settembre 2011

Italia €5 - U.K. £8,90 - France €8,50 - Austria €10,90 Germany €10,90 - Svizzera Canton Ticino Chf 10,90 Spain €8,50 - Greece €8,50 - Finland €10,90 Malta €5,36 - Japan ¥2.250 - Portugal €8,50

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Agosto 2011. Tanti saluti da Milano. Foto di Kuba Dabrowski

PIG Mag 94, Settembre 2011 Publishers: Daniel & Simon Beckerman

Management

Advertising adv@pigmag.com Human Resources Barbara Simonetti

Editor in Chief, Creative Director: Simon Beckerman Executive Editor: Valentina Barzaghi Assistant Creative Director: Piotr Niepsuj

Editorial Cinema: Valentina Barzaghi Art and New Media: Francesca Mila Nemni Design: Maria Cristina Bastante

Contributors for this issue Marina Pierri, Michela Biasibetti, Luca Massaro, Giulia Maria Tantussi, Emmanuele Delrio, Cristiana Rivellino Santella, Francesca Cisani, Federica Cornelli, Quentin De Briey, Ana Kraš, Buki Ebiesuwa, Lary Arcanjo, Elisabetta Casagrande, Cosebelle Magazine, Michela Picchi, Tea Hacic-Vlahovic, Marcello Bellan, Federica Nuzzo, Paul Herbst, Pascal Grob, Rafa Castells, Alba Yruela, Johnny Kangasniemi, Kuba Dabrowski.

Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Albo/Albo Agency.

Books: Rujana Rebernjak Videogames: Janusz Daga

Contributing Editors

Direzione, Redazione e Amministrazione Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20143 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99

Marco Lombardo: Contributing Music Editor

PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001

Magazine Layout: Stefania Di Bello

Sviluppo foto Speed Photo, via Imbriani 55/A - 20158 Milano

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Distribuzione per l’Italia SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20

Distribuzione per l’estero S.I.E.S. S.r.l. Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it

PIG all’estero Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei seguenti DIESEL Store Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso.

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Sean Michael Beolchini: Contributing Editor Gaetano Scippa: Contributing Music Editor

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PIG Magazine è edita da B-arts editore s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.


Shave your style. “La normalità è per gli altri, il mio stile è abbombazza.” Vittorio Brumotti, 30, campione di Bike Trial

Effettua la scansione per vedere l’esclusivo video di rasatura, stile e rifinitura di Brumotti. www.braun.com/cruZer Quando si scansiona questo codice a barre, si applicano i termini e le condizioni anche in materia di privacy del lettore del codice utilizzato. Controlla i termini e le condizioni del tuo operatore mobile per verificare eventuali costi di connessione.

cruZer

Nuovo


Sommario

Interviste:

74: DJ Harvey

70: Pariah

68: Sergio Caballero

82: Lary Foto di copertina di Quentin De Briey

64: Francesco Ballestrazzi

Street Files:

Report:

78: Sonar 2011

96: Francesca & Federica

54: Zurigo

Foto di Rafa Castells e Alba Yruela

Foto di Luca Massaro, Emmanuele Delrio

Foto di Pascal Grob

Regulars 14: Bands Around 20: Shop 22: Publisher 24: Design 26: PIG Files 28: Moda News 46: Photographer of the Month 110: Musica 114: Cinema 120: Books and So 124: Videogames

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D i e s e l I s l a n d ´ s S t u p i d C o n s t i t u t i o n i s b e i n g w r i t t e n . L e a r n m o re a t d i e s e l . c o m


Photo: Brittain © 2011 Vans, Inc.

Photo: Kosman © 2011 Vans, Inc.

Photo: Spencer Lowell © 2011 Vans, Inc.


Š 2011 Vans, Inc.


Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Onra Red Bull Music Academy Session @ Teatro San Leonardo, Bologna Nome? Onra. Età? 30. Da dove vieni? Parigi. Cos’hai nelle tasche? Passaporto, cellulare, portafoglio, accendino, sigarette. Qual è il tuo vizio segreto? Gin & Tonic. Qual è l’artista / la band più sorprendente oggi? Tame Impala. Di chi sei la reincarnazione? Un contadino brutto e povero che ha avuto una vita di merda. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Un poster di Reggie Miller (giocatore dell’NBA). Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Circus 2000, band prog-psych-voch degli anni ‘70.

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MINI.it

YUPPI

MINI e . Incontro al vertice della tecnologia. Consumi (litri/100 km) ciclo misto: da 4,3 (MINI Cooper SD Coupé con cambio manuale) a 7,1 (MINI John Cooper Works Coupé). Emissioni CO2 (g/km): da 114 (MINI Cooper SD Coupé con cambio manuale) a 165 (MINI John Cooper Works Coupé).

Nuova mini coupé.

due.

NUOVA MINI COUPÉ. ANOTHER DAY. ANOTHER ADVENTURE.

Tra te e lei scatterà subito il go-kart feeling. Due posti secchi, spoiler attivo e grinta da vendere. Salta su e dai gas. Con la nuova MINI Coupé ogni giorno sarà una grande avventura. Sei dei nostri?

VIENI A PROVARLA SABATO 1 E DOMENICA 2 OTTOBRE NELLE CONCESSIONARIE MINI. Manutenzione MINI Service Inclusive L 5 anni/50.000 Km a 250 euro fino al 31/12/2011.


Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Benji B Red Bull Music Academy Session @ Teatro San Leonardo, Bologna Nome? Benji B. Età? 32. Da dove vieni? Londra, Uk. Cos’hai nelle tasche? Al momento: chiavi, carta di credito, blackberry, iPhone, 20 sterline inglesi e una chiavetta USB. Qual è il tuo vizio segreto? Thè. E serie tv HBO e altro thè. Qual è l’artista / la band più sorprendente oggi? Hype Williams. Di chi sei la reincarnazione? Una giraffa. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Michael Jackson. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Marco Passarani, Good Split, I Like It.

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Arte

Intervista di Francesca Mila Nemni. Foto di Federica Nuzzo

Diego Marcon Storie di famiglia e altri racconti. Intimi, quotidiani, che diventano immaginario collettivo. In brianza come in America. Le narrazioni di Diego Marcon riguardano tutti noi. Sei legato alla tua famiglia? Si, inevitabilmente. È un legame forte quanto doloroso. Sono legato a mia nonna e ai suoi lunghissimi racconti di momenti da niente. A mia zia, al suo modo di sedere e di lamentarsi del caldo. Ai miei cugini, all’entusiasmo con cui mi propongono una canzone dei Nirvana o dei Prodigy, appena scoperti, alla mestizia con cui mi chiedono un favore. A mia madre, alla sua bontà e distrazione. E anche a mio padre, alla sua sordità e tagliente presunzione. E la memoria? Spesso parli di esistenze individuali piuttosto che di storie collettive. Quali sono quelle che ti interessano ti più? Quelle d’amore. Com’è la provincia di Varese? È bella. E provincia. Ci sono i laghi e attorno le Prealpi. Sono tutto l’anno di un verde bagnato e spugnoso, i paesini si raccolgono

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accanto alle strade che le venano, facendosi spazio tra capannoni, centri commerciali e rotatorie. La gente si appropria dei parcheggi dei supermercati, dei piccoli giardini recintati, entra dai buchi nelle reti dei campi da golf per andare a prendere il sole. Passano spesso auto con la musica ad alto volume e se ci si sporge dalla finestra si sentono i telegiornali venire dagli appartamenti e risuonare nelle strade vuote. Forse un vicino fuma al balcone. C’è Malpensa. Quando ci si passa accanto dalla superstrada, se si è fortunati, un aereo passa sopra la testa pesante e lento, come una balena. Poi si prende l’uscita di Somma Lombardo, si guida verso la zona del Lidl e dell’Oviesse e si può cenare al MacDrive restando in macchina. Nei tuoi lavori è ricorrente la fascinazione per le piccole cose. In quali luoghi le ritrovi? Sono ovunque, si trovano quando si fa loro

spazio e smette il baccano. La home del tuo sito in questo periodo si apre con uno spezzone piuttosto esplicito tratto da un film di Dario Argento il cui titolo è ancora più esplicito: “La Sindrome di Stendhal”. Mi sento quasi costretta a chiederti una definizione della parola “immagine”. Dentro e fuori dal tuo lavoro. Non avevo mai prestato attenzione al lavoro di Dario Argento, ma in qualche maniera mi è tornato alla mente e poco tempo fa ho iniziato a guardare i suoi film. Trovo alcune sue scelte stilistiche talmente insistite e sottolineate da essere meravigliose tanto sono spudoratamente inquadrature. Ne “La sindrome di Stendhal” ogni inquadratura distrae dalla narrazione costringendoti ad osservarne taglio, movimento e porzione. Incastra lo sguardo, lo piega e lo trascina con sé. Le immagini sono ferite, aperte. www.diegomarcon.net



Shop

Intervista a Francis Englehardt di Valentina Barzaghi. Foto di Sean Michael Beolchini

Dope Jams Sul loro sito recitano “Dope Jams faithfully serves those still in search of the lost dream of universal dance music”. Dire che Dope Jams sia un negozio di dischi di New York – come si può capire - potrebbe rendere l’idea, ma sarebbe riduttivo. I suoi fondatori, Paul Nickerson e Francis Englehardt, lo hanno aperto nel 2006 dopo diverse peripezie – soprattutto economiche – e lo hanno totalmente imbevuto delle loro passioni: Musica e Magia. L’obiettivo non è il profitto, ma la qualità, tanto che in piena “rivoluzione digitale” i due fanno ancora stock di album che magari rimaranno invenduti, ma loro pensano siano chicche o bombe imperdibili! Se passate da quelle parti di Brooklyn, tra i quartieri di Bed-Stuy e Ft. Greene, tenete d’occhio il calendario perché una volta al mese i due trasformano il negozio in dancefloor per un party con la loro accuratissima selezione musicale e d’artisti. Imperdibili, come la loro collezione di materiale sulla Magia – dall’esoterismo alla simbologia – che va dai libri alle bacchette magiche, ad amuleti e dvd. Ciao Francis! Come stai? HOT! New York City durante l'estate è tremenda. C'è così caldo e umido che ne senti completamente la fusione. Introdurresti Dope Jams in poche parole? Penso che dovrei dire che Dope Jams sia un record store, una libreria esoterica e bla bla bla... ma in realtà è come una casa per l'ultimo dei pazzi di Brooklyn. Siamo orgogliosi di noi stessi, di trovare le persone più improbabili per riuscire a fare tutto ciò in questa vita meravigliosa. Di solito finiscono per dormire sul divano e lavorare qui.

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Cosa stavi facendo prima di iniziare quest'intervista? Ero a caccia di piccioni fuori dal negozio e stavo ascoltando qualcuno che mi diceva di avere una copia sigillata di Thriller di Michael Jackson. Credo che volesse un milione di dollari e quindi ho dovuto lasciarlo andare. Com'è nato Dope Jams? Noi (Paul Nickerson e Francis Englehardt) abbiamo aperto perchè era il sogno di una vita avere un negozio di dischi. Abbiamo passato gran parte delle nostre vite a scavare nei negozi altrui. Eravamo stanchi di lavorare per altri e

vedere che facevano cose con cui non eravamo d'accordo, quindi sapevamo che dovevamo creare uno spazio su cui avremmo avuto il completo controllo, in meglio o in peggio. Qualche cosa sulla sua storia? Abbiamo deciso di aprirlo con circa 10 $ in due. Mi ricordo che tentavamo di convincere la signora della gastronomia di lasciarci andare perché non avevamo nemmeno i soldi per pagare i panini che cercavamo di comprare. Una volta raccimolato un po' di denaro abbiamo messo in piedi lo shop. In parte non avevamo i soldi per andare veloci


e in parte ci piace fare le cose giuste e questo richiede tempo. Cosa del vostro background possiamo ritrovare in questo progetto? Paul e io siamo cresciuti insieme. Abbiamo iniziato a collezionare musica quando eravamo adolescenti. Ho iniziato a lavorare in un negozio di dischi a 18 anni (quindi solo un paio di anni fa). Poi facevano Djiing nei dintorni di Boston. Facevamo questa festa settimanale chiamata “Celebrate Life”, che di recente abbiamo cominciato a fare a New York nel nostro store. Entrambi poi ci siamo trasferiti a NYC per essere maggiormenti coinvolti nella scena musicale, anche solo per scoprire cosa era in vita. Paul lavorava con la Spiritual Life Music dopo aver lasciato Boston e io ho gestito la Satellite Records NYC. Cos'hanno in comune la musica e la magia? Pensiamo siano la stessa cosa. Storicamente musica e magia sono legati da tutto un insieme di canzoni e gruppi, come Led Zeppelin ecc... Sono entrambi modi per esprimere noi stessi attraverso rituali viscerali ed esercizi. Nel vostro store avete anche molti libri sulla magia. Il tuo preferito? Dipende assolutamente dal tuo mood. Un minuto possono essere i disegni di Brian Froud, quello successivo un libro sulla Magia Nera. Sei religioso? Siamo atei. Qualcosa che dovremmo sapere su Satana? Che non esiste. Se l'inferno fosse una discoteca, cosa ti farebbero ascoltare in loop? Timmy Regisford, At The Club. La tua Top 5 di film sulla Magia. Ti dirò la Top 5 di quelli che per noi sono davvero magici: Pan's Labyrinth; Dogtown and Z-Boys; Magic & Bird: A Courtship Of Rivals; Exit Through The Gift Shop; Beats, Rhymes & Life: The Travels Of A Tribe Called Quest. Mi descriveresti un cliente tipo del tuo shop? C'è un sacco di gente diversa, da qualcuno dalla vecchia scuola Garage a ventenni fanatici di qualche tipo di dance music. Noi vendiamo classici, hip-hop, soul, jazz, ambient music, rock, house, techno, disco, ecc... in modo che ci sia una gamma di persone abbastanza ampia che passi la porta. Siamo soliti avere anche molta gente pazza, che spesso ci ha reso le cose un inferno un sacco eccitante, ma ha iniziato a cambiare con la nuova ondata di tendenze in corso a Brooklyn. Qui intorno incomincia ad essere noioso! East New York, arriviamo! Come lavorate alla ricerca delle cose da vendere nel negozio? Siamo molto attenti nel controllare tutte le nuove uscite che possiamo trovare, ascoltiamo di tutto e di quello che decidiamo di vendere vogliamo uno stock. Dope Jams potrebbe vendere un sacco di musica che porterebbe più persone in negozio, ma non lo farà perché

non si sposa con quello in cui crediamo e che vogliamo diffondere. E' business, ma allo stesso tempo non lo è - è un po' ridicolo perché è come se costantemente ci tirassimo la zappa sui piedi finanziariamente perché non ci aiutiamo, ma è meglio essere onesti, in buona parte almeno. Se qualcosa va cestinato, lo facciamo sia sul sito sia nel negozio... D'altra parte, se qualcosa è incredibile, ne acquistiamo una tonnellata, anche se non si vende, perché lo mettiamo in stock e diventa parte del negozio. La cosa di cui vai più orgoglioso che vendi nel tuo shop? Vorrei dire le Bacchette Magiche. Penso però che sia giusto dire che abbiamo la migliore selezione di New York. Mi racconti invece qualcosa di più sugli eventi che organizzate nello shop? Da qualche tempo abbiamo iniziato a fare parties mensili. E' l'unico modo che abbiamo

per controllare la scena che ci circonda. Il party si chiama appunto “Celebrate Life”: puliamo il negozio, portiamo tutti i dischi nel retro... Ciò che resta è una stanza con dimensioni adeguate, alcune luci ed un buon impianto audio. I parties sono sempre divertenti, anche un po' fuori controllo, senza freni, hot... ma sempre divertenti. Io e Paul invitiamo ospiti che credono valga la pena ascoltare... Finora ci sono stati DJ Funmi Ononaiye (The Wazobian Traveler), DJ Tek, Thomas Bullock. Il prossimo sarà il 27 agosto, un release party con il mixtape “Congo Bongo”, un tribute all'arte persa della latin house music. Progetti futuri? Bruciare tutto dalle fondamenta e ricominciare da capo! Dope Jams 580 Myrtle Ave. Brooklyn, NY 11205 www. dopejams.pinnaclecart.com

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Publisher

Intervista di Rujana Rebernjak.

Boa Books Che le produzioni di Boa Books scaturiscano dalla stretta collaborazione con gli artisti, dalla continua ricerca della forma del libro e dal particolare interesse per l’anonimato, l’ho scoperto in una conversazione durante la frenetica Book Affair in una ancora più frenetica Venezia. Com'è iniziato il progetto di Boa Books? Ho cominciato a produrre i libri ancora quand'ero molto giovane. Avevo realizzato un paio di libri in una sola copia. Facendo questi libri, ho scoperto che mi piaceva molto il modo di esprimere le proprie idee attraverso di essi. Mi piaceva l'idea dell ‘anonimato del pubblico e dell'autonomia del libro. Come scegli quali libri pubblicare? Non pubblico mai i libri che sono una mera riproduzione del lavoro di un artista. Mi piace

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collaborare strettamente con gli artisti nel tentativo di trovare il modo giusto per realizzare un libro. Una mera riproduzione dei lavori non ha molto senso - penso che in quel caso sia molto meglio vedere le opere dal vivo, essere veramente alla loro presenza. E questo vale anche per i libri - il libro funziona se esprime qualcosa che altrimenti non potrebbe essere espresso; è un oggetto autonomo. Quali sono i tuoi ultimi progetti? L'ultimo libro che ho realizzato è un romanzo

creato da un autore inesistente. Sono stato in contattato con l'autore stesso, ed è stato carino tornare sulle tracce dei miei esordi - quando realizzavo libri per gli eventi inesistenti - un libro anonimo con un autore anonimo. Come vengono stampati i tuoi libri? A volte li stampo da solo, però la maggior parte è stampata in offset. Alcuni dei libri che ho fatto sono libri d'artista, dei pezzi unici realizzati dall'autore stesso. Per me non esiste la differenza tra l'idea della stampa e l'idea del libro stesso – uno funziona in relazione all'altro. Quindi sei molto legato all'idea del libro come oggetto? Non è che sia particolarmente legato a questa idea, il punto è che mettendo solo due pagine assieme, queste formano un libro. Per quanto uno lo vuole accettare o meno, comunque si deve confrontare con questo fatto. Bisogna essere coscienti di quello che si va a produrre. Per esempio, producendo solo una copia di un libro, uno sa già che avrà un acquirente singolo, e di conseguenza non dovrà gestire un pubblico più ampio; è molto diverso che realizzare un libro stampato in 100 copie. Quindi come scegli il tipo di produzione più adatto per un libro? Nella maggior parte dei casi, questo dipende dall'autore, dal tipo di immagine che l'autore vuole dare al libro. A volte per l'autore è importante che il libro non costi più di 10 euro, perché in questo modo sta dando un'immagine molto esplicita del libro, che potrà raggiungere un pubblico molto vasto. Cosa ne pensi dell'editoria indipendente? Penso che oggi sia necessario essere sempre presenti visivamente - in questo modo tutti vedono quello che viene fatto, e osservando il lavoro degli altri in qualche modo sentono l'esigenza di farlo anche loro. Però non penso che questa espansione abbia portato alla realizzazione di libri migliori o peggiori rispetto ad una volta. L'unica cosa che mi sembra diversa è che oggi è molto più semplice produrre i libri, però quello che conta alla fine è la qualità del libro. Se potessi pubblicare il libro dei tuoi sogni, quale sarebbe? Spero di non dover mai stampare il libro dei miei sogni, perché non mi interessa realizzare i libri per me stesso. Mi piace realizzare i libri per un pubblico più vasto, e se realizzo il libro dei miei sogni sarebbe come parlare di me stesso ed è una cosa che non mi entusiasma. www.boabooks.com


SUNLENS BY


Design

Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

Design as a system Dici design e pensi a sedie, lampade, tavoli. Errore? Non proprio. Più che altro un modo restrittivo di pensare alla cosa. Per Lab[au] – Manuel Abendroth e Jerome Decock – design è uguale a sistema. E c’entrano tecnologia e interattività. Lab[au] progetta “processi”. Un approccio troppo freddo? Neanche. Basta guardare la loro Chrono tower, che a mezzanotte s’illumina completamente. Una riflessione sul tempo e sui colori. Manuel ci ha spiegato come si fa. E perchè è un (meta)designer… Quanti anni hai? 42. Da dove vieni? E adesso dove vivi? Fino a venti anni sono stato in Germania, poi mi sono trasferito in Belgio per studiare architettura. Nel 1997 con Jerome Decock ho fondato Lab[au], laboratorio per l’architettura e l’urbanistica. Puoi descriverci la scena creativa in Belgio? E’ uno scenario grandioso, vivido, vario, costituito da organizzazioni piccole e medie, questo favorisce lo sviluppo di una cultura del design d’avanguardia, sullo stesso livello

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delle arti visive, della musica, della danza. Questo scenario beneficia di una buona politica culturale e di fondi pubblici, che – ad esempio – ci hanno permesso di aprire “Media Ruimte” gallery, il nostro spazio per il design digitale e sperimentale. Pensi che il design debba essere utile? Sì, ma dobbiamo essere d’accordo su che cosa intendiamo con questa parola e allontanarci dal senso più diffuso che è “funzionale”. C’è un confine sottile tra design e arte e c’è una ragione per cui chiamiamo una cosa design e un’altra arte. Ma c’è qualcosa che hanno in comune, il fatto di

operare su un livello semantico ulteriore, che comunica qualcosa in più rispetto alla “funzione” di un oggetto / opera d’arte. Questo significato “nascosto” si posiziona su un metalivello. Così si definiscono i codici culurali, estetici e i giudizi che danno un senso ad ogni artefatto. Quando parli di te, usi spesso il termine “metadesign”. Ci spieghi esattamente che cosa intendi? Quando progettiamo un sistema interattivo, reattivo, generativo, l’opera “sta” nella definizione di una serie di regole. Il prefisso “meta” descrive esattamente que-


sto slittamento dalla progettazione di un oggetto alla progettazione di un processo. Un processo si definisce attraverso un programma, un algoritmo ed è come qualcosa che si basa su un linguaggio commune. Un linguaggio è una serie di regole che opera tanto su un “meta” livello, quanto su un livello di contenuti. Il senso di un oggetto muove dall’oggetto verso un livello più alto. Quali sono le tue fonti d’ispirazione? Il Bauhaus, il design della Scuola di Ulm, l’arte cibernetica degli anni Sessanta, che è la base per la nostra “system” art. Persone come Vera Molnar, Manfred Mohr… e certamente Sol Lewitt, che ha lavorato con gli algoritmi negli anni Sessanta, un punto d’origine per la “generative art” e un’ispirazione per il nostro lavoro. In generale direi l’arte astratta, incluso l’hard edge, l’op art, l’arte minimal e concettuale. E, come lo stesso nome indica, il nostro background sta nell’architettura, nella pianificazione delle città: da qui traiamo molte ispirazioni e metodo. Tra i progetti che hai realizzato a quale ti senti più legato? Per risponderti devo citare almeno due progetti: Chrono.tower e Chrono.prints. Basati sullo stesso processo, che relazione alle untà di tempo (ore, minuti e secondi) I colori primary della luce (rosso, verde e blu),

essi formano un progetto di illuminazione per la Dexia Tower di Bruxelles e una serie di 24 computer generated prints. Sulla torre il processo dei colori che sfumano l’uno nell’altro è assimilato al progredire delle ore: è un ciclo di luce in cui cresce la brillantezza finchè, a mezzanotte, l’intero edificio non diventa completamente bianco. Dopo mezzanotte il processo si svolge lentamente all’inverso, man mano che ritorna la luce naturale del giorno. La stampa di questo processo è suddivisa in ventiquattro quadri, ognuno dei quali visualizza ognuna delle ventiquattro ore, formando una sorta di tessitura cromatica del tempo. Nel 2003 avete aperto una galleria, la MediaRuimte. Perchè? Quando esplori il campo del digital design, la diffusione e la mediazione di opere gioca un ruolo fondamentale per definire le nuove pratiche del design e i suoi nuovi formati. Per questa ragione abbiamo creato questa “piattaforma”, uno spazio di scambio con gli artisti, di condivisione di esperienze, conoscenze, network. E poi era un modo per “esportare”, far conoscere la nostra visione. Trovo molto interessante la vostra visione interdisciplinare, l’approccio e l’uso della tecnologia… Quando concepiamo un progetto, non lo

associamo ad una disciplina, ad un mezzo o a un formato specifico, ma ad un “sistema”. Identifichiamo sistemi connettivi, interattivi, reattivi, performativi, analitici, generativi; in secondo luogo li classifichiamo come sistemi “aperti” o “chiusi”. Così la tecnologia gioca certamente un ruolo importante nel nostro modo di fare design, ma al centro del nostro lavoro c’è la concezione di processi e sistemi indipendenti da specifici ambiti tecnologici o “artistici”. Seguendo questo approccio siamo arrivati a formulare dei concept che erano collegati a dei sistemi di progettazione. Questi due assi: sistemi e sistemi collegati a progetti formano la cornice da cui iniziamo a lavorare ogni volta. Alcuni dei vostri progetti riguardano lo spazio urbano. E’ difficile applicare il design su una scala così grande? In generale la “public art” ha le sue specificità, che diventano ancor più cruciali quando si lavora con la tecnologia. Dopo quindici anni di esperienza siamo in grado di seguire un intero progetto: dall’ideazione alla produzione. Il nostro approccio metodologico, concettuale, teorico ci fa andare oltre l’aspetto puramente tecnico. Così troviamo il format più adeguato, che ci fa superare le difficoltà dovute ai vincoli di uno spazio pubblico e alle dimensioni! www.lab-au.com

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PIG files

Di Rujana Rebernjak

Variations Upon An Electric Kettle Questa serie di bollitori elettrici appartengono a quella rara categoria di oggetti progettati oggi che riescono a stupire. Il designer Jean Baptiste Fastrez, è riuscito a unire in un prodotto due poli di produzione completamente opposti- superando complicatissime costrizioni tecniche, ha realizzato un prodotto industriale che permette all’utente di possedere un oggetto unico grazie alla parte centrale realizzata artigianalmente. www.jeanbaptistefastrez.com

Pomy

Hang Around, Toss Around Hang round, toss round è un semplice mestolo; l'unica cosa che lo differenzia da altri è la fessura sul lato inferiore che permette di compiere efficacemente quel comunissimo gesto che ognuno di noi fa mentre cucina - appoggiare il mestolo sul bordo della pentola anche quando essa è molto grande. Un esempio quasi raro di oggetti 'gestuali' progettati oggi. www.kibisi.com

1.3 Chair Non che questo sia una gara, ma battere la Superleggera di Giò Ponti, progettata nel 1957 è davvero difficile. Non so quanto ci sia riuscito questo prodotto dal punto di vista della qualità del progetto, però considerando solo il peso potrebbe aggiudicarsi una piccola vittoria. Una sedia in balsa, il legno più leggero in assoluto, che unisce la praticità dell’uso quotidiano con il piacere estetico e il metodo di produzione alternativo a quello industriale. www.kihyunkimdesign.com

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Le cose colorate mi piacciono da morire, per cui può darsi che nel considerare la qualità progettuale di questo oggetto sia stata affascinata dai suoi colori. Pomy è uno sgabello, progettato in occasione di una festa, che grazie al manico laterale offre una facile presa nello spostamento; lo stesso funge anche da gancio in modo che possa essere appeso - alla fine potrebbe anche non essere un oggetto così scontato. www.adrienrovero.com


Café Charlottenborg Il maestro del ready made e del riuso, Martino Gamper, realizza questo bellissimo Café Charlottenborg usando quasi tutto ciò che si trova all’interno. Rivisitando i mobili presenti - i tavoli di Arne Jacobsen, le sedie di Hans Wegner e le lampade di Poul Henningsen - e aggiungendo solo i suoi famosissimi sgabelli, Gamper ha dato una vita nuova a Café Charlottenborg rispettando la sua eredità storica. www.cafekunsthal.dk - www.gampermartino.com

Pencil Oggetto 'gestuale' per eccellenza, la matita di Alex Hulme è un oggetto da amare. Una semplice matita con un taglio all'estremità che permette di agganciarla alla tasca della camicia o un quaderno - funzione così scontata dei tappi delle penne che corrisponde perfettamente ad un gesto estremamente comune, che sembra quasi impossibile che nessuno c'avesse pensato prima di Hulme. www.alexhulme.com

Ladder Ladder è un progetto di Itay Designgroup che cerca di ripensare un oggetto comune come una scala. Le solite scale pieghevoli, che anche chiuse occupano molto spazio, in questo caso diventano smontabili. Sfruttando un sistema di tiranti, senza l'uso di viti o colle, la scala si può chiudere facilmente e diventa portatile grazie anche al manico formato dal tirante. www.itay.designgroup.co.il

Tracy Trestles Ammetto che a primo sguardo non è chiaro se questo oggetto sia uno sgabello, un tavolino strano o una sedia, però una volta capita la funzione questo oggetto progettato da Studiomama è quasi geniale. Tracy Trestels sono dei cavalletti progettati per occupare meno spazio possibile quando non sono in uso - facilmente posti uno sopra l'altro grazie alla fessura centrale, formano una pila stabile e poco invasiva. www.studiomama.com

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Feature on Designer: Raffaele Ascione Raffaele Ascione è il prodotto di più culture ed esperienze magistralmente sommate in un’arte unica: il suo estro si esprime senza soffocare una femminilità che trascende dal tempo conservando senza fatica l’aspetto regale delle sue muse, con una costante di teatralità capace di sconvolgere. www.raffaeleascione.com - Intervista di Giulia Maria Tantussi. Foto di Johnny Kangasniemi Ciao Raffaele, hai voglia di presentarti? Mi chiamo Raffaele Ascione sto di base a Londra e sono un fashion designer fresco di Master presso la Central Saint Martins. Raccontaci qualcosa del tuo eclettico background. I miei genitori sono di Napoli, ma io sono cresciuto a Francoforte. Inoltre ho vissuto tre anni in Irlanda dove ho iniziato ad intraprendere gli studi nel campo della moda e ho finito per prendere anche alcuni aspetti della cultura Irlandese, in

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modo particolare l'accento. Puoi immaginare! Qual è stata l'esperienza che più ti ha influenzato? Credo che sia stata l'esperienza con il lavoro all'interno dell'industria della moda: lavorare con Gareth Pugh per tre stagioni è stato incredibile, è un artista più che con uno stilista. Poi è stata l'esperienza a Milano con il gruppo Max Mara che mi ha davvero aperto gli occhi; ma forse il culmine è stato il master alla Saint Martins, Louise Wilson mi ha insegnato

a provare cose nuove e spingermi a creare un'estetica nuova senza averne paura. Come definiresti la tua estetica? Credo che la mia ispirazione siano senza dubbio le donne forti, come mia madre e mia nonna. Tutto ruota intorno alla creazione di nuove silhouette femminili, innovative, che abbiano però sempre i tratti distintivi del mio universo estetico, fatto di pizzi e tessuti preziosi. In un mondo dove la creatività vive di nuove tecnologie, pensi davvero che le capacità sartoriali facciano la differenza? Assolutamente. Credo che avere capacità sartoriali, mi riferisco a quelle vere, di una volta, sarà sempre un vantaggio. La tecnologia è una gran cosa, ma i veri artisti e designer non dovrebbero mai ignorare i modi tradizionali di lavorazione dei materiali, è l'unico modo per creare qualcosa che abbia veramente valore. Che posto hanno le illustrazioni nel tuo processo creativo? Ho sempre disegnato, per me è quasi terapeutico. Disegno in modo da illustrare e dare vita ai miei lavori rendendo più chiaro anche a me il risultato finale. I designer dovrebbero esercitarsi con il disegno perché può essere un dono incredibilmente importante. Dicci qualcosa riguardo ai tuoi prossimi progetti. Dopo il master sono stato parecchio impegnato tra incarichi di abiti per Lady Gaga, riviste e clienti privati. Ora sto lavorando ad un abito da sposa fatto a mano per la mia migliore amica, e sto anche lavorando ad una mini-collezione in esclusiva per un negozio che aprirà questo autunno a Londra. Cos'è che non manca mai tra le tue ispirazioni? Le mie ispirazioni vengono tutte da fuori il mondo della moda. Sono molto influenzato dalla cultura urbana e ho una vera passione per la cultura pope la musica hip-hop. Sono molto affascinato dall'illustrazione e dai lavori di artisti come Egon Schiele e Hans Belmer. Se potessi scegliere una musa o qualcuno con cui collaborare, chi sceglieresti? Potendo sognare vorrei lavorare per Riccardo Tisci, penso che riesca a disegnare una figura femminile forte, decisa senza mai strafare. E vorrei anche tanto lavorare ad un qualsiasi progetto con Britney Spears, magari disegnarle i costumi per il nuovo tour, cercando di spingerla ad uno stile più sobrio e severo. Un motto da suggerire? La vita è breve. La gente passa troppo tempo a lamentarsi, dovrebbero solo smettere e pensare a vivere come si deve. Sta a noi decidere che piega dare alla nostra vita!


Sour

OPEN

THE

POSSIBILITIES

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1 part Disaronno 1 teaspoon of sugar half lemon squeezed and crushed ice


Blog of the Month: Schuhtutehemd schuhtutehemd.tumblr.com - Intervista a Michalina Glura di Piotr Niepsuj

I blog di sole immagini hanno asciugato. Schututehemd non sarebbe diverso, se non ci avesse fatto vedere il mondo della ‘moda’ in modo completamente nuovo. Eravamo troppo curiosi di scoprire chi sta dietro a questa affascinante collezione.

Ciao Michalina, come stai? Bene, grazie. Dove ti trovi? A letto. Abiti a Berlino, vero? E’ un buon posto per vivere? Meraviglioso! Tutti intorno a me ripetono che si sentono persi. E’ buono sapere di non essere sola. Cosa vuol dire Schuhtutehemd? Ho inventato questo nome in mezzo minuto. Ho semplicemente messo insieme le parole: scarpa, borsa, camicia e le ho tradotte in tedesco. Da quando tempo hai questo blog? Da tipo metà del 2010. Da quanto sappia non e l’unico blog che

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hai... Si. C’è anche Friend Fur-Ever (friendsfurever.tumblr.com), dove metto tutte le immagini con i cani. Guardando la quantità di post che fai (200 a settimana!) presumo che il tuo blog sia in qualche maniera collegato al tuo lavoro. Cosa fai nella vita? Non è per niente collegato con quello che faccio. Amo i cani e per questo lo lego al mio lavoro... e certamente anche alla mia vita privata. Com’è una tua giornata tipo? A parte due lunghi giorni in cui lavoro in un mercatino (dove vendo i miei vestiti), dopo i quali mi fanno male le braccia e la schiena, i martedì e mercoledì dopo le 17 vado al mercato a comprare la verdura a poco e varie cose a un euro. Nel fratempo mi rilasso: penso di inaugurare con i miei coinquilini un piccolo giardino in Templehof e dove piantare la lattuga, vado a fare gite in bici dopo cui mi ammallo, guardo filmati su internet, cucino con i miei amici, lavo vestiti, pulisco... UN PARADISO! Visto che il mondo di Schuhtutehemd per me è una scoperta nuova: ci riveleresti le fonti princiapli dove trovi le immagini per

il tuo blog? Ho ovviamente dei blog preferiti tipo: ppeegg.tumblr.com, kwassakwassa.tumblr.com, uuiuu.tumblr.com o barriobajero.tumblr. com, ma le fonti sono varie e diverse. In alcuni posti finisco assolutamente per caso. Compri ancora le riviste o internet le ha portate via dalla tua vita? Per essere sincera, non ho mai comprato riviste, solo ogni tanto qualcosa da leggere durante un viaggio... ovviamente sui cani. Che poster avevi nella tua camera quando eri una teenager? Me ne ricordo solo due: uno vecchio di Alf (la serie televisiva - n.d.r.) e l’altro dei Take That, con i ragazzi con in maglioni super grandi.


BLUEDISTRIBUTION.COM


Levi’s Print Workshop Berlino, Luglio 2011. Nel cuore della città, sede temporanea all’interno della vecchia zecca cittadina l’ “Alte Munze” c’eravamo anche noi di PIG a celebrare il Levi’s Print Workshop, organizzato in occasione del lancio mondiale della campagna “Go Forth”. Il brand ha voluto rinnovare il suo

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impegno nei confronti dell’artigianalità e del progresso sociale e lo ha sugellato con questo evento. Cesti pieni di magliette bianche “Levi’s” di taglie diverse erano pronte per essere personalizzate. Come? Si poteva scegliere un soggetto che poi veniva stampato in serigrafia e/o ci si poteva

abbandonare ad una personale creatività. In quest’ultimo caso, timbri, colori, pennarelli, stencils e molto altro, erano a disposizione su un grosso tavolo da lavoro. Artista per un giorno, o forse no. Strade differenti per uno stesso risultato: una t-shirt, subito pronta da indossare. Per l’occasione Levi’s ha scelto


PIG Mag for Levi’s - eu.levi.com - workshops.levi.com Intervista di Bsb

anche un giovane artista, Alexandre Farto, alias Vhils, per realizzare una serie di murales in giro per la città, con i volti di alcuni dei pionieri moderni di Berlino come Fadi Saad, Various & Gould, Joe Hatchiban e Sven Marquardt. Oltre alle sue opere, anche quelle del regista Ralf Schmerberg e del col-

lettivo artistico Klub7. Ci siamo tutti divertiti molto e forse, qualcuno di noi, potrebbe anche aver scoperto un suo lato artistico mai sperimentato fino ad ora. Abbiamo respirato lo spirito pioneristico che il brand Levi’s ha voluto trasmettere con questo “laboratorio”- il quarto - dedi-

cato all’artigianalità, che ha avuto lo stesso successo dei precedenti dedicati a stampa, fotografia e cinematografia, tenuti tra San Francisco, New York City e Los Angeles. Gli strumenti forniti dal famoso negozio Rainer Schnell hanno contribuito a trasformare l’opera improvvisata in ottima stampa.

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Alexandra Kiesel

Intervista di Elisabetta Casagrande, Cosebelle Magazine.

Volevo incontrarla di persona questa Alexandra Kiesel, che con la sua faccia pulita e gli occhi curiosi spiccava tra gli altri aspiranti-stilisti-di-fama-mondiale mentre si aggiudicava il premio dalle mani di Marc Jacobs al concorso “Designers for Tomorrow”. Un malanno di stagione ha pregiudicato il nostro incontro fisico, ma grazie alla tecnologia sono riuscita a scoprire di più di lei. E quanto di più! Leggete qui. Ciao Alexandra, come va? Hey, meglio grazie. Dove abiti? A Berlino, Prenzlauerberg. Eri una di quelle bambine che a 3 anni già sfogliavano Vogue? Neanche per sogno, a tutt’oggi me lo compro molto raramente. Perché hai studiato fashion design? Ciò che viene indossato è la prima cosa che si nota di una persona, ho sempre trovato bello poter comunicare il mio stato d’animo o le mie opinioni attraverso la moda. Tre parole per descrivere com’è stato partecipare a “Designer for Tomorrow”. Eccitante, nuovo, assurdo. La tua vittoria al concorso ha cambiato la tua vita? In che modo? Sì, molto. Ero su ogni rivista con la mia faccia e il mio nome, tutto ad un tratto ero conosciuta. Adesso ho la possibilità di trasferirmi in un atelier più spazioso e di presentare una collezione più grande alla prossima Fashion Week. Da dove arriva l’ispirazione per la tua collezione? Da come le silhouette si modificano e alcuni stili riemergono nella moda: ho cercato di impacchettare tutto questo in un sistema. Anche il “do it yourself” ha giocato un ruolo importante: oggi tutti vogliono contribuire alla creazione del prodotto personalmente. Cosa significa il nome della tua collezione “Baukasten Individualisten 12/6/24”? Baukasten Individualisten (letteralmente: “costruzioni individualiste”, ndr) è per me un ossimoro che definisce la moda in generale: ciascuno vuole essere unico, ma allo stesso tempo tutti seguono le tendenze predominanti. Ho creato un “gioco delle costruzioni” per l’abbigliamento nel quale ciascuno può creare i propri moduli, ma sempre entro dei limiti. 12/6/24 sono gli estremi in centimetri in cui la mia griglia di possibilità si articola. Perché utilizzi così tanti colori? Ho utilizzato i colori delle costruzioni per bambini, nonché i colori di base della Bauhaus, in modo che si possa notare meglio dove finisce un modulo e dove inizia quello successivo. Prima d’ora non ho mai lavorato con i colori. Qual è il tuo colore preferito? Dipende dall’umore, non ho un colore preferito. www.finnk.de

WeSC SS2012 Il marchio svedese nato nel 1999 è ormai sempre più famoso, non solo tra gli amanti dello streetwear. Forse perché oltre all'abbigliamento dall'appeal rilassato, WeSC supporta uno stile di vita tutto suo, offre una moda per il classico “fannullone intellettuale”, qualunque cosa ciò significhi. Onestamente non ci trovo nulla di perticolarmente intellettuale nei capi WeSC, ma cose davvero fighe, dagli accessori ai jeans. Veniamo a noi. La nuova collezione da donna, per la prossima SS2012 spacca. Cotone leggero e viscosa, dall'appeal giovane e fresco, perfetta per un ballo in spiaggia, o per girare ubriachi in strada. E il bello è che i capi si abbinano facilmente tra loro. Tessuti stampati, felpe fluo senza maniche, tute e abiti a fantasia, tutto un po' M.I.A. inspired; sarà quindi difficile non conquistare almeno uno skater. www.wesc.com Di Tea Hacic-Vlahovic, Cosebelle Magazine. 34 PIG MAGAZINE


Sonja + Sarah = Blame. Sonja e Sarah si sono conosciute all'università, all'incirca una decina di anni fa. Dopo essersi laureate e dopo aver lavorato per brand come Marc by Marc Jacobs, Preen, Michalsky hanno deciso di fondare Blame. Un brand per sole donne, alla continua ricerca della sobrietà, della raffinatezza, ma che allo stesso tempo riesce a conservare una vestibilità quotidiana e non impegnativa. Le due designer sono riuscite per benino a coniugare le loro esperienze nell'ambito dello streetwear e dell'alta moda e ad ottenere dei capi di alta qualità, dai materiali irresistibili e innovativi e con delle stampe mozzafiato. La prossima SS12 di Blame è una collezione pazzesca, basata sul concetto del “left-inside-right-out”: come loro stesse ci dicono, infatti, si sono divertite a giocare con i tessuti, utilizzandoli dalla parte “sbagliata”, al contrario, si sono sbizzarrite con gli accostamenti colore, li amano combinati in modo inusuale, così come amano i contrasti tra tessuti diversi e stampe. Il pezzo forte? I colletti ricamati... www.blame-fashion.com Di Cristiana Rivellino Santella, Cosebelle Magazine.

Italiano è bello. E Reale. “Questo sì che è bello...” e “Ah beh, questo lo prenderò” e “E questa gonna? Ciao!”. Beh ecco, sono solo alcune delle frasi che vi verranno in mente guardando le collezioni di Reale, brand italiano al 100%, che nel 2007 nasce dalle menti di Camilla e Daniele (designer lei e venditore di tessuti pregiati lui). Cos’ha di diverso dagli altri prodotti Made in Italy? Non solo il concetto di “Slow-Fashion”, di cui avremmo bisogno oggi, ma anche la ricerca sui tessuti, attenzione alla quale non siamo più abituati: jersey organico, fibra di bambù, ortica, alga, insieme ai classici cotone e seta. Ogni capo ci sorprende: trench trapuntati, parka in felpa, il classico chiodo, ma in lana morbidissima... Eh, che dire... Magari ci fossero più brand così! www.reale-slowfashion.com

Di Cristiana Rivellino Santella, Cosebelle Magazine.

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Wildfox? Sì, grazie. A cosa pensi quando senti “American Sleepover”? Belle fanciulle in pigiama rosa impegnate in lotte con i cuscini, che si asciugano i capelli e che mangiano pizza? Beh, se questo concetto è popolare è perché è divertente, giovane e sexy e non dobbiamo sorprenderci se qualcuno è riuscito a costruirci attorno un brand. Nel 2007 Emily Faulstich e Kimberly Gordon, amiche di vecchia data, fondano Wildfox Couture, brand che prende ispirazione da “libri bellissimi, fiabe, sogni” e, soprattutto, “pigiama party”. (Che carine!) Nelle loro collezioni non mancano mai t-shirts morbide, shorts, abitini e biancheria leziosetta, tutto ciò che serve per stare a bivaccare con l'amichetta del cuore davanti al tv. L'ultima collezione “Swim Wildfox” è da star male: stampe di animali e animaletti bellissimi, di quelli che ci ricordano che da bambine volevamo tutte un pony o un gattino morbidoso. www.wildfoxcouture.com Di Tea Hacic-Vlahovic, Cosebelle Magazine.

Made in Berlin: Hien Le Hien Le è un berlinese di Berlino. A differenza di quanti si trasferiscono per sfruttarne il momentaneo splendore, questo designer lavora in sinergia con la città. La sua collezione è interamente prodotta a Berlino da quelle piccole realtà sartoriali che ormai stanno quasi scomparendo. Linee pulite, colori vivaci e niente nero per una collezione che richiama gli abiti tradizionali del Laos, riscoperti tra le vecchie foto di famiglia. Dopo il debutto alla Mercedes Fashion Week di Berlino, in programma la partecipazione alla Vogue Fashion Night di Istanbul e una collaborazione con Zoo Magazine. Stay tuned. www.hien-le. com Di Elisabetta Casagrande, Cosebelle Magazine.

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As short as the name Lido

1 – 3 September 2011 Monastero di San Nicolò Lido di Venezia

www.circuitooff.com

Media Partner: Rolling Stone, The Blog Tv, PIG Magazine

In collaborazione con:

Main Sponsor: Sony Ericsson

12th Circuito Off Venice International Short Film Festival


OHWOW presenta: José Parlá OHWOW presenta José Parlá nella galleria di Los Angeles; per i mesi di Settembre e Ottobre in mostra "Character Gestures" con protagonisti i nuovi dipinti e installazioni dell'artista based in Brooklyn, in grado di evidenziare la tecnica di esecuzione dietro la sua arte. www.joseparla.com - www.oh-wow.com Di Michela Biasibetti

J’ai Mal A La Tete

Le Coq Sportif-Eroica Ogni anno dal 1997 quattro squadre (Italia, Francia, Inghilterra e Spagna) si riuniscono a Gaiole in Chianti in occasione dell’Eroica, corsa dedicata al ciclismo storico. Dal 2010 Le Coq Sportif partecipa all’Eroica creando per l’occasione maglie con i colori delle quattro nazioni partecipanti ispirandosi, nello styling, a lle divise di una volta. Le Coq Sportif sosterrà la manifestazione attraverso l’organizzazione di eventi in linea con lo spirito della corsa che si terrà il 2 Ottobre e dedicherà all’Eroica una mini-collezione lifestyle dal sapore vintage con il logo stesso della gara continuando così a celebrare i gloriosi anni del ciclismo. G.M.T.

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Anja Pawlik ha i piedi ben piantati nella sua città natale, Monaco, ma non si definisce affatto una persona mondana; ne apprezza soprattutto i verdi e assai più rilassanti sobborghi dove ha vissuto sin dall'infanzia sviluppando il suo immaginario creativo. Dopo aver ufficializzato il suo talento con un diploma presso l'AM&D di Monaco ed esser maturata durante i tre anni di lavoro presso il tedesco Marcel Ostertag, si è messa in proprio; ha dato libero sfogo alla sua delicata vena avanguardista fino a creare J'ai Mal à la Tete, con il quale, dopo un periodo di assestamento e tentativi, è riuscita ad uscire dal guscio e palesare il talento nell'evolvere le forme dell'abbigliamento maschile senza mai nascondere il forte spirito di attaccamento alla natura, alle sue meraviglie ed al misticismo dei suoi colori più delicati. www.jaimalalatete.de Di Giulia Maria Tantussi


Tutta la musica di PIG Mag, 24 ore su 24. www.pigradio.com

PIG Radio la trovi anche in iTunes, sezione radio, categoria eclectic.


Vans x Dennis Hopper Il marchio skateboard per eccellenza e l'icona scomparsa del cinema Dennis Hopper si incontrano per una capsule collection. La collaborazione vede una linea di scarpe e abbigliamento, a rappresentare la vita dell'attore e regista, disponibile nei negozi da questo mese. www.vans.it M.B.

Braun cruZer La notizia è sotto gli occhi di tutti - e forse le più felici sono le ladies in cerca di segni maschili dopo anni di forzosa metrosexualità. La barba cresce libera sulle guancie e sul mento di molti e, soprattutto, non è più una scelta per i soli appartenenti alla comunità dei bears con moto e giacca di pelle nera, nemmeno a quella degli eremiti o a quella degli imam. Però non siamo qui per raccontare gli stili più nuovi e nemmeno per elencarvi chi la barba la porta meglio; a mettere in fila le migliori facce barbute si prodiga facial. awareness.tumblr, dove troverete artisti, designers, attori, modelli vari ai quali dovrete associare i nomi visto che su questo almanacco di barbe cool-a-portè troverete solo foto. Siamo qui invece per farvi notare un grosso cambiamento di stile, tra la barba classica e la barba anni 2000. Sia che vi guardiate in giro per le strade della metropoli sia che siate voi portatori di barba, non scappa allo sguardo che di barbe veramente incolte e liberate se ne vedono pochissime! Di tempi e mode ne sono passate parecchie dai Sixties dei bohemienne esistenzialisti e dei rivoluzionari: per loro la barba incolta era simbolo di controcultura e di rifiuto delle convenzioni. Anche oggi alla fine il simbolo rimane identico perché se è incolta continua a comparire soltanto sulle facce di “disattatati sociali” quali i boscaioli, gli intellettuali e, caso strano ma su cui bisognerebbe interrogarsi, di molti geeks delle nuove tecnologie. Ma quindi tutte queste barbe che girano? Sono tutte curate e potate al millimetro, geometricamente scolpite oppure disegnate come fossero tatuaggi, tenute lunghe o corte ma comunque frutto di un lavoro costante. Se allora questo è lo stile, in linea con la tendenza degli uomini a curarsi sempre di più, ci sono anche i suoi artefici e tra i più efficaci e versatili c’è il nuovo Braun cruZer. Un prodotto che fa il suo dovere sia quando si tratta di potare che quando invece bisogna disegnare ed essere precisi. In più, grazie ai suoi diversi accessori trimmer e pettini, il cruZer diventa universale, in piena filosofia “tutto in uno” oltre alla barba il cruZer ti fa anche i capelli e finirà per conquistare anche i residui difensori del pelo incolto. www.braun.com/cruzer Di Marcello Bellan

EOTOTO L'unicità del collettivo giapponese di artisti che opera sotto il nome di Wonder Worker Guerrilla Band (a.k.a. WWGB) era già nota agli appassionati di streetwear che avevano potuto apprezzarne l'originalità con il primo nato in casa WWGB, il marchio SASHQUATCHfabrix. Ma da poco anche il collettivo con sede a Tokyo ha deciso di reinventarsi e dedicarsi ad un ulteriore progetto nell'ambito del design di abbigliamento maschile: EOTOTO. Un salto di qualità che vede l'unione di universi separati ma inaspettatamente complementari come la tradizione nativo-americana, e le atmosfere street della Tokyo anni novanta. G.M.T.

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Built to resist PIG Mag for EASTPAK - www.eastpak.com Interviste e foto di Piotr Niepsuj

Małgorzata Turczyńska Come ti chiami? Gosia. Quanti anni hai? 22. Di dove sei? Varsavia! E cosa ci fai qui? Foto e un paio di altre cose. Qual è lo stereotipo più famoso sulla gente di Varsavia? E’ vero? Non lo so, ma sicuramente non è vero. Cos’è così speciale di questa città? Il disordine che ricordo di tutto quello che è succeso qui, il riflesso degli ultmi centanni. E lo vedi subito. E’ una place to be? Ovvio! Cosa farai domani? Vado al mare.

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Dopo Belgrado, questa volta siamo andati con Eastpak in Polonia e per esser più precisi a Varsavia, che sembra stia diventando la nuova capitale culturale d’Europa. Qui che abbiamo incontrato alcuni nostri amici, che sono allo stesso tempo giovani talentuosi: ci hanno mostrato una città piena di vita e di storia, della quale ora fanno parte loro stessi. E pare che tutti siano molto orgogliosi di viverci.

Aleksandra Niepsuj Come ti chiami? Ola. Quanti anni hai? 24. Di dove sei? Lodz. E cosa ci fai a Varsavia? Lavoro come grafica e illustratrice. Qual è lo stereotipo più famoso sulla gente di Varsavia? E’ vero? Che tutti sono fighi. E lo sono! La città influnza il tuo lavoro? Senza dubbio. E’ una place to be? Forse, ma è ancora Est. Molto lontano da Berlino o Parigi. Cos'è l’ultima cosa che hai comperato? Un texasburger e le patatine fritte. Che piani hai per domani? Conquistare il mondo.

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Tala Mikulska e Grzegorz Czaplicki Come vi chiamate? Tala e Grześ (a volte anche Tony Trash). Di dove siete? T: Di qua, da cinque generazioni; G: Casablanca, via Konstancin, via Puławy, via Londra, via Varsavia, via Buenos Aires (dall’anno prossimo). E cosa ci fate qui? T: Io aspetto il trasloco a Poznań; G: Io mi sono trasferito da Londra a vivere qui e non mi sto pentendo. Qual è lo stereotipo più famoso sulla gente di Varsavia? E’ vero? G: Dicono che le persone di qui siano furbacchione, e ogni tanto è vero. Ma io adoro gli abitanti di questa città, sia quelli che ci sono nati sia quelli che ci sono arrivati, come me. Cos’è così speciale di questa città? G: L’architettura e la topografia. Non c’è altra città dove si possa girare con la bici meglio che qui. E’ una place to be? T: Totale! G: Si! Adesso più che mai! Cos'è l’ultima cosa che hai comperato? T: Ilford Pan 400 e un pacchetto di sigarette. Che piani hai per domani? T: Partire per il mare; G: Svegliarmi e vivere!

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Club Collab Come vi chiamate? Najar, Wojtek e Jan. Di dove siete? N: Io della Repubblica Ceca, gli altri due di Varsavia. E cosa ci fate qui? W: Getting busy, making moves, staying out of trouble. Qual è lo stereotipo più famoso sulla gente di Varsavia? E’ vero? W: Che la maggior parte della gente non è di Varsavia. E si, è vero. Cos’è così speciale di questa città? J: Le ragazze; N: Vistula; W: Che c’è ancora un sacco da fare e il lavoro mio e dei miei amici. La città influnza il vostro lavoro? J: Non lo so, ma spero che il mio lavoro la influisca. E’ una place to be? J: Non lo so; N: Dicono di si; W: Si, se sai cosa evitare e dove cercare. Cos'è l’ultima cosa che hai comperato? J: Sylvi Foster - If Are You Master 12". Che piani hai per domani? W: Vorrei svegliarmi alle 6.30 e fare tutto quello che c'è nella mia to-do-list prima delle 11. Poi fare la colazione con la mia ragazza, anche se lei ha già preso un altro appuntamento con una sua amica. (Special thanks Albo/Albo Agency per la location)

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Photographer of the Month: Adrià Cañameras www.adriacanameras.tumblr.com - A cura di Piotr Niepsuj. Special thanks: Sean Michael Beolchini

Nelle foto di Adrià si respira l’aria di Barcellona. Sono piene di sole, calore e colori. Sembrano un po’ i quadri impressionisti e, come questi, hanno fortissimo impatto visivo. Forse sbaglio, ma ogni volta che li guardo mi immagino un romanticone spensierato dietro la macchina fotografica e sorrido. Sembra sempre che ci abbia appena regalato un pezzo del mondo che lo attrae, un pezzo del mondo che piace anche a noi.

Come ti chiami? Adrià. Di dove sei? Barcellona. Dove vivi? A Barcellona. E’ un buon posto in cui vivere? Si, é un posto meraviglioso, ma sono qui da così tanto tempo, che poche volte vedo la parte bella della città. Ci campi con la fotografia? No. Quindi come ci riesci? Sono un pasticciere. Quanti anni hai? 23. Quanti te ne senti? 23. Quando hai iniziato a fotografare e perché? Quando avevo 15 anni e perché ho iniziato a lavorare con il fotografo polacco Misha Kominek. Cosa rende una fotografia buona? E’ una domanda molto difficile. Si tratta più di estetica o del senso delle cose? Per me è più il senso visivo. Credo che le tue fotografie siano veramente grandiose viste su una parete, le hai mai stampate? Si, ho fatto alcune stampe per amici ; il mio amico Misha Kominek ha una galleria/casa

editrice e ora vuole fare un libro con i miei lavori e faremo anche una mostra in una sua galleria a Berlino - www.kominekgallery.de Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Fondamentalmente, una documentazione della mia vita di tutti i giorni. Quindi hai sempre la tua macchina fotografica con te? Si, ho sempre una camera con me, anche se non sempre faccio foto a tutto ciò che mi piace. Hai mai scattato foto in orizzontale? Ahahah. Si, però non troppe, non potrei darti una spiegazione; ne ho, solo che non le metto nel blog. Qual è la tua big picture? Non capisco la domanda. Cosa altera la tua percezione? Viaggiare e quando vado con la mia famiglia nella nostra casa in Francia ogni Estate. Cosa non ti piace della fotografia oggi? Che ci sono troppi fotografi. Cosa ami della fotografia oggi? Che è abbastanza facile mostrare le mie foto ad un vasto pubblico. Segui qualche regola? Se sì quali? Non ho vere regole o trucchi che io sappia! Chi è il tuo fotografo preferito? Walter Pffeifer. In un’intervista per PIG ha detto (Walter Pffeifer) che segue sempre il suo cuore (piuttosto che il cervello).

E’ lo stesso per te? Credo che si debba seguire quello che piace, quello che attrae, che é qualcosa che non si spiega, ma ti attrae; per esempio, a me attraggono le ombre di una pianta sulla parete. Sei una persona romantica? Mah, non lo so, ma suppongo di sì. Chi ti piacerebbe scattare in topless? Marion Cotillard. Che tipo di macchina fotografica usi? Leica r8 e Leica minilux. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese? Robbie Whitehead o Coke Bartrina. Progetti futuri? Un libro su tutti i diversi tipi di macchine che ci sono a Berlino. Wow! Diversi tipi di macchine? Come mai? Mi sembra che sia la natura che gioca un ruolo importante nella tua fotografia... Si faccio sempre cose sulla natura, ma ad agosto sono stato a Berlino e ci sono così tante auto particolari che ne sono rimasto davvero ossessionato; credo di aver fatto dieci rullini solo con foto di macchine. Sono così differenti da Barcellona. Qual è stata l’ultima foto che non hai scattato e dopo hai detto “Cavolo, avrei dovuto!”? Quest’estate, quando un mio cugino lanciò un gavettone d’acqua ad un altro mio cugino e vidi una luce bellissima, che faceva brillare l’acqua.

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Nome? Laura Indorato Erba. Età? 20. Di dove sei? Zurigo. Cosa fai? Studio storia dell’arte. Qual è il tuo programma? Cerco di non avere un programma. Per che cosa è famosa Zurigo? I vecchi coffee shops, il bel lago e la bella gente. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Un buon gin-tonic con il tuo miglior amico e un film di Woody Allen. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Come ti piaccio adesso? Sei felice? Definitivamente sì!

Street Files Zurigo. Foto di Pascal Grob - www.fashionbitsandbobs.com

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Nome? Michael Zimmermann. Età? 27. Di dove sei? SvizzeraGhana. Cosa fai? Studente di design. Qual è il tuo programma? Fare tanti bambini. Per che cosa è famosa Zurigo? I banchieri depressi. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Adesso? Combinazione di cioccolato nero e James Blake. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Swag. Sei felice? Sempre. www."http://considerthis.ch/"

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Nome? Nitya Park. Età? 26. Di dove sei? Svizera / Giappone / Corea. Cosa fai? Designer, booker di modelle e stylist. Qual è il tuo programma? Fare sempre quello che amo, indipendentemente dai soldi! Per che cosa è famosa Zurigo? Salssicia Vorderer Sternen (un ristorante - n.d.r.), (un cliche di) highsnobiety e gli affitti altissimi. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Le amiche e lo shopping: le distrazioni superficiali. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Nonchalance. Sei felice? Oh sì! Cooosì felice! www. "http://un-ju.com/"

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Nome? Kevin Fries. Età? 33. Di dove sei? Zurigo. Cosa fai? Industrial designer. Qual è il tuo programma? Avere un piano B. Per che cosa è famosa Zurigo? L’oro, l’acqua di Limmat e le donne complicate. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Un sacco di tempo e cinema asiatico indipendente. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Cos'è la fronte? Sei felice? Sono felice di natura e naturalmente fatto.www. ”http://frieszumbuehl.ch/"

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Nome? Ken Erhensperger. Età? 23. Di dove sei? Zurigo. Cosa fai? Lavoro in un negozio e studio. Qual è il tuo programma? Finire la scuola. Per che cosa è famosa Zurigo? Le banche. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Una ragazza nuova. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Un cuore. Sei felice? Si.

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Nome? Nadia Prohic. Età? 19. Di dove sei? Baden. Cosa fai? Studentessa e modella. Qual è il tuo programma? Vivere lentamente e morire vecchio. Per che cosa è famosa Zurigo? L’unica città con i mezzi pubblici che viaggiano in orario, anche per uscire la sera... Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? La musica, gli amici e buon whiskey (sapete tutti cos'è vero?). Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Fluer-de-lis (Il giglo). Sei felice? Si, soprattutto l’ultimo anno e mezzo è stato il più felice della mia vita. www. "http://option-model.com/"

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Nome? Susan Zimmermann. Età? 25. Di dove sei? Svizzera - Ghana. Cosa fai? Marketing Intern. Qual è il tuo programma? Non ne ho uno. Per che cosa è famosa Zurigo? Zukunft (discoteca, ndr). Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Gelato. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Looser. Sei felice? Sì. www. "considerthis.ch"

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Nome? Sebastian Kuhn. Età? 24. Di dove sei? Zurigo. Cosa fai? Studente part time a causa del lavoro. Qual è il tuo programma? Di compilare questa scheda e poi continuare a guardare un podcast di macro-economia. Per che cosa è famosa Zurigo? Sfortunatamente, le persone sono solite dire le banche, ma dovrebbe essere famosa per essere l'unica città al mondo dove poter nuotare nel fiume senza morire di intossicazione chimica. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Musica, amici e il tempo. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Tattoo. Sei felice? Sicuro.

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Nome? David Suirez. Età? 28. Di dove sei? Zurigo. Cosa fai? Dogwalker e DJ. Qual è il tuo programma? Cucinare un buon Zürcher Geschnetzeltes (Vitello alla zurighese). Per che cosa è famosa Zurigo? L’aeroporto vicino. Qual è il miglior rimedio per un cuore spezzato? Solo gli idioti non si innamorano. Se avessi un tatuaggio sulla fronte, cosa sarebbe? Ho una domanda stupida sulla fronte? Sei felice? Ovviamente no. www. (facebook) David Suirez

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MIA FIGLIA È LA MIA PRINCIPESSA

Immagini 2D di un gioco Nintendo 3DS

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Francesco Ballestrazzi Franscesco Ballestrazzi non è semplicemente un designer di cappelli. Nel corso della sua giovane vita si è infatti cimentato in vari campi dell’arte, quali la pittura, l’illustrazione e il ballo. Il destino lo ha poi trasportato nel magico e difficile mondo della moda, passione nata grazie ad Alexander McQueen. Attualmente Francesco, con un’estetica sognante e un certo estro, porta avanti la sua linea di cappelli e cura le vetrine di alcune importanti maison, tra cui Moschino, il primo amore. Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj

Ciao Francesco, come stai?

Ho 29 anni, sono originario di Carpi (in

passione, ma essendo un posto davvero

Bene, vorrei riuscire a godermi un po’ di

provincia di Modena), ma vivo a Milano

particolare e le mie aspettative altre, volevo

riposo, ma ho sempre qualcosa da fare.

ormai da dieci anni.

diventare illustratore.

Quali sono i tuoi programmi per la

Che studi hai fatto?

Una delle tue passioni è il ballo. Come

giornata?

Ho studiato pittura all’Accademia di Brera.

l’hai maturata e quali sono state le tue

Dare sfogo alle mie idee... Andrò alla ricerca

Come mai la scelta della pittura?

esperienze nel campo?

di materiali per le mie prossime creazioni.

Perchè ho sempre disegnato fin da quando

Ho studiato danza professionalmente per tre

Parlaci un po’ di te, quanti anni hai? Da

ero piccolo, pensavo che l’Accademia

anni in contemporanea con l’Accademia e

dove vieni?

potesse aiutarmi a sviluppare questa

ho lavorato anche come ballerino; pensavo

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potesse diventare la mia strada, ma poi mi

mie passioni.

con le creazioni di questo genio mi ha fatto

sono rotto entrambe le caviglie e ho dovuto

Come sei entrato a far parte di questo

capire che la moda era anch’essa un mezzo

interrompere la carriera , da lì mi sono

mondo?

espressivo molto potente e me ne sono

dovuto rialzare , nel vero senso della parola

Dopo l’incidente non avevo un vero e

perdutamente innamorato.

e reinventarmi.

proprio lavoro così mi sono proposto

Raccontaci della tua esperienza da

La moda è stato il risultato delle tue

in uno showroom come venditore. Da lì

Moschino.

passioni o più una cosa che è venuta da

sono venuto a contatto con il mondo della

Dopo le varie esperienze negli showroom

sè?

moda che fino ad allora guardavo un po’

e soprattutto nella parte commerciale,

La moda è stata un po’ una strada che mi si

da outsider, guardavo ma non toccavo,

volevo passare a quella creativa. Guardavo

è presentata davanti; direi che si, è venuta

poi sono diventato venditore presso lo

sempre le vetrine di Moschino perchè

un po’ da sè, poi ho scoperto che in realtà è

showroom di Alexander McQueen, e lì la

mi sembravano la messa in scena di un

anche un mondo che mette insieme tutte le

mia passione è esplosa: venire a contatto

vero e proprio sogno, così ho lasciato un

curriculum e mi sono presentato anche con

proprio mestiere, lavorare a stretto contatto

una particolare passione per i cappelli,

i miei disegni.

con persone competenti e geniali è molto

ogni singola cosa che creavamo me la

Ho fatto il colloquio alle 10,30 di mattina

stimolante.

mettevo in testa per vedere come stava, le

e alle 14,30 dello stesso giorno ho iniziato

Nel 2010 hai deciso di lanciare la tua linea

mie colleghe ormai non ne potevano più,

a lavorare con loro per realizzare le vetrine

di cappelli, com’è successo il tutto?

esasperate mi hanno consigliato di farmi dei

che tanto ammiravo. E’ stato folgorante fin

Ecco questo è un po’ strano. Vorrei dire

cappelli a casa e mettermi in testa quelli.

dal primo istante, ho conosciuto un mondo

che stato un percorso che ho intrapreso

Beh, detto fatto. Mai mi sarei aspettato

che ha del meraviglioso. Collaboro alla

dopo lunghe riflessioni psicotiche, in realtà

che ne sarebbe nata una cosa così seria e

realizzazione delle vetrine come freelance

è stato proprio lavorando da Moschino che

soprattutto di esserne capace. Ho iniziato

da due anni ormai, e ho imparato un vero e

ho deciso di buttarmi. Ho sempre avuto

prima con dei cappelli di carta , per poi 65


darmi all’ esagerazione. Qual è la tua principale fonte di ispirazione? Qualsiasi cosa, davvero qualsiasi, ma direi che quella principale è la natura: piante fiori, animali, hanno tutti una loro eleganza ed armonia, anche una semplice foglia può ispirarmi. Parlaci della collezione ss 12. Dopo aver creato piccole collezioni, ho deciso di presentarne una vera e propria. Ho preso ispirazione da un libro che ha segnato la mia infanzia “Il Giardino Segreto”; avrò letto quel libro almeno una decina di volte, entrare in un posto segreto e riportarlo alla vita è stato un po’ il viaggio che ho intrapreso io in questi anni, questa collezione è una celebrazione della natura, della rinascita, se non della vita. Come definiresti la tua estetica? Romantica, Sturm Und Drang. Il tuo periodo storico preferito (relativamente ai cappelli)? Il periodo Liberty e Art Nouveau, ma devo ammettere un mio debole anche per gli elmi dei guerrieri greci. La tua musa ispiratrice? Non ne ho una , direi piuttosto che ho un pittore ispiratore: Alphonse Mucha. Se potessi tornare indietro nel tempo e rivivere un particolare evento storico, quale sarebbe? Perchè? Più che un evento in particolare mi sarebbe piaciuto vivere nella Magna Grecia, perchè è stata la culla della civiltà. Perchè hai scelto Milano come base del tuo lavoro e della tua vita? Hai mai sognato un trasferimento da qualche altra parte? Milano può offrire tanto se si riesce a viverla nel modo giusto, ma non l’ho mai vista come base definitiva, vorrei provare a vivere per un po’ a Parigi, è una città in cui torno sempre volentieri, ha un’atmosfera magica. Il viaggio più bello della tua vita? Il viaggio più bello credo che sia quello che ho appena intrapreso, sono all’inizio di questa avventura e spero di poter andare lontano. Il viaggio da fare. Dall’India al Giappone, passando per la Thailandia. Il sogno da realizzare. Poter creare guardando fuori dalla finestra le colline toscane, il cemento dopo un po’ stanca.

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Sergio Caballero Intervista di Valentina Barzaghi.

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“Finisterrae”, più che un road movie, un trip cerebrale con protagonisti due fantasmi che cercano di diventare mortali intraprendendo il famoso Camino de Santiago, è l’esordio alla regia di Sergio Caballero, già conosciuto come co-director e responsabile d’immagine del Sonar Festival. Vincitore dell’International Film Festival di Rotterdam, lo potrete vedere in concorso dal 9 al 18 Settembre al Milano Film Festival. Qual è la cosa migliore di essere te? Che Sergio Caballero è solo un nome, io sono un altro. E la peggiore? Che se non ti giochi bene le tue carte, la vita è davvero noiosa. Dal Sonar a Finisterrae. Come spiegheresti ad un bambino cosa fai? Dopo molti anni in cui ho lavorato su immagini fisse per il Sonar Festival, internet e le nuove tecnologie hanno aperto una nuova era. Penso che sia davvero stupido pensare ad un'immagine pubblicitaria solo in due dimensioni. La forza dei social networks richiede immagini, video, musica ecc... per comunicare. Da una parte, il passaggio da internet al cinema, e dall'altro la democratizzazione avvenuta grazie al cinema e al montaggio digitali a basso costo, mi stavano facendo morire dalla voglia di fare un film. Cinque cose che bisogna assolutamente sapere su Finisterrae. 1. E' un film che devi ascoltare e guardare; 2. Come in una favola, devi lasciarti andare ed entrare nel suo mondo; 3. Il film non tratta qualcosa e per questo, non bisogna cercare un messaggio; 4. Finisterrae non è un “Hippies ravers”; 5. E' un film con un sacco di sesso. Ti ricordi com'è nata l'idea di Finisterrae? Grazie a Rita, la mia bambina di 7 anni, che mi ha suggerito che se lavoravo con dei fantasmi, mettendo una coperta sugli attori, ero libero di cambiare gli attori ogni volta avessi voluto. Quali sono state le difficoltà più grosse a girare un film come questo? Per questo film le difficoltà sono diventate virtù. Avendo un budget davvero basso, il film è stato realizzato con una piccola troupe (guerrilla) e le settimane hanno coinciso con delle fortissime intemperie. A Leon c'è stata una tempesta di neve che ci ha congelato la camera e a Capo Finisterrae c'era un vento che soffiava a 110 Km/h oltre al fatto che la location che avevamo scelto per la scena del fiume è stata cambiata perché l'acqua era straripata. Questi fenomeni climatici però alla fine hanno arricchito il film. Qual è il tuo ricordo più bello di quando eri piccolo e andavi al cinema? Ce ne sono due. Nel nostro cinema di quartiere erano soliti programmare due film a volta e se i due erano di Bruce Lee, poi iniziavamo a litigare tra gangs di quartiere, tanto che

una volta la polizia è dovuta intervenire. L'altra è legata all'ultima fila del cinema, dove gran parte della mia generazione ha scoperto il sesso. La prima volta che ho toccato la mia fidanzata pre-adolescelte, è stato guardando un film, al cinema Maragall, che ora è diventato una banca con un'insegna orribile... Guardando Finisterrae ho come l'impressione che tu sia un appassionato di favole e mitologia... La verità è che con i greci ho in comune la passione per il soft porno. Ho imparato molto dal soft porno durante la mia vita, soprattutto ad immaginare. Un episodio divertente accaduto sul set? Abbiamo riso molto durante le riprese, l'umorismo è una parte importante del mio lavoro. A livello di risate, diciamo che il clou è stato raggiunto quando uno dei due fantasmi è nel museo di diorama a Leon che dorme e l'altro gli canta i numeri in finlandese... Stavamo morendo dal ridere. Come hai organizzato il lavoro sul set? Alcune scene sono state filmate durante il Sonar da quanto ho capito... Sì, alcune scene sono state girate durante il Sonar 2009, sia nello spazio vuoto da gente sia durante i concerti tra il pubblico. Alla fine però abbiamo usato solo quelle senza pubblico. Non lavoro su uno script, ma a scene, e le immagini che ho usato sono quelle che in qualche modo fanno parte del mio immaginario. E' solo sul set del film che tu puoi organizzare e creare davvero la scena, l'improvvisazione e specialmente l'intuizione è quella che dà forma alle scene. Camino de Santiago. Qual è il rapporto con la tua vita e quale con il film? Era davvero da tanto che volevo fare un film slow-tempo e contemplativo. L'idea della strada o del road movie è stata perfetta come metastoria di Finisterrae e mi ha permesso quella libertà da script con cui mi piace lavorare. Il Camino de Santiago è un viaggio spirituale, prima pagano e poi monopolizzato nei secoli dalla Chiesa Cattolica. I protagonisti fanno questo viaggio spirituale, ma quello che stanno cercando davvero è di abbandonare la loro condizione di spiriti e di diventare mortali, come se da fantasmi fossero costretti a vivere per sempre. Finisterrae dunque è un film su una ricerca. Tu di cosa sei alla ricerca nella tua vita terrestre? Seguo le intuizioni, non cerco nulla.

Qual è il vero significato della parola “perso” oggi? E' una delle definizioni che più si addicono ai nostri politici. Mi daresti una tua definizione di indipendente, nel cinema, nella musica... o nell'arte in generale? Seguo il mio istinto e sono onesto col mio lavoro. Sono molto più interessato al processo che al risultato e mai dal punto di vista accademico. Se davvero si vuole fare una cosa, bisogna concentrare le cose in quello senza abbandonare il proprio punto di vista. Se ti chiedessi di rappresentare la parola “funny” usando solo un frame o un'immagine? “Funny” è una cena con gli amici in cui si beve del buon vino. Progetti futuri? Sto preparando il mio prossimo film, che è la storia di una rapina a San Pietroburgo. Ora sto creando una serie di dialoghi finti (copiati da romanzi pulp) per chiedere finanziamenti al Governo. I regolamenti non prevedono il mio modo di lavorare, quindi appena inizio le riprese poi posso modificare e poi pensare ai dialoghi. Per accedere ad un finanziamento è indispensabile presentare uno script con dialoghi e tutte le cose che di solito quelli che fanno cinema portano. Per il mio lavoro con la musica: ora sto cambiando il mio studio di registrazione e spero che sia pronto in pochi mesi. Chi vorresti intervistare se facessi il mio lavoro per un giorno? Il cacciatore che ha ucciso la mamma di Bambi, al fine di essere obiettivi con la storia che ha condizionato la mia infanzia. Un regista che dovremmo tener d'occhio? Non lo so. Guardo solo film per bambini e le persone che ammiro non hanno nulla a che fare con l'arte. Cosa stai ascoltando ultimamente? Al momento mi piacciono molto i Die Antword. Credo siano davvero spiritosi e intelligenti. Una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui ti piacerebbe rispondere? Vuoi un finanziamento per il tuo film? Risposta: Certo! Sei felice? La felicità è una cosa stupida. Cosa farai dopo questa intervista? Andrò ad annafiare le piante.

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Pariah Arthur Cayzer, in arte Pariah, a soli 23 anni è uno dei talenti più cristallini della nuova scena elettronica inglese. Una cricca di golden boy che partendo dalla rivoluzione dubstep sta gradualmente ridefinendo i canoni dei dancefloor “made in UK” a colpi di ibridazioni techno, ritmiche garage, elucubrazioni ambient, suggestioni hip-hop, digressioni acid e chi più ne ha più ne metta. Il giovane scozzese infatti, come molti altri suoi coetanei d’oltremanica, è alla costante ricerca di contaminazioni innovative e scenari sonori futuribili, con un obiettivo ambizioso: uscire dall’oscurità dei club underground per invadere le case degli ascoltatori più esigenti. Lo abbiamo intervistato in partenza per le vacanze estive a casa dei genitori. Un bravo ragazzo insomma. Tutto casa e club.

Intervista di Marco Lombardo. Foto di Paul Herbst

Dove ti trovi al momento? Sono sul treno. Sto andando in Scozia a trovare in miei genitori. Mi fermerò un paio di settimane. Ho proprio bisogno di un po’ di vacanza. Presentati ai lettori di PIG. Non c’è molto da dire in realtà. Ho 23 anni. Sono nato in un paesino vicino a Dundee, in Scozia, dove ho vissuto sino ai 18. Poi mi sono trasferito a Londra. Vivo lì da cinque anni ormai. Perché hai scelto il nome Pariah per farti riconoscere? E’ il titolo di una canzone dei Cursed, uno dei miei gruppi preferiti. E’ un omaggio. Non ha un significato particolarmente profondo. Tra i nomi che mi sono venuti in mente era l’unico decente. Quando hai iniziato a fare musica? Due anni e mezzo fa circa. Cosa ti ha spinto? Non è un segreto per nessuno. Devo tutto a Burial. E’ lui che mi ha fatto venire voglia di mettermi davanti a un computer e scrivere i miei brani. La sua influenza è stata cruciale. Hai sempre solo ascoltato musica elettronica? Assolutamente no. Da ragazzino ero un patito dell’hip-hop e mi piacevano molte guitar band. Come nasce un brano di Pariah? Non ho ancora sviluppato un vero e proprio metodo. Di solito parto da una melodia o da un sample e cerco di costruirci una struttura intorno. Ogni brano attraversa diverse fasi, durante le quali cambia radicalmente prima di raggiungere la sua dimensione definitiva. E’ un processo molto lungo. Non sono un tipo prolifico. Passo settimane intere senza scrivere nulla. Soffro spesso di bloc-

chi creativi. Poi improvvisamente svaniscono e in una settimana scrivo tre pezzi nuovi. Che tipo di strumentazione usi? Ho un Mac su cui ho installato Logic. Purtroppo non posso ancora permettermi le macchine che vorrei. Da qui a un anno mi piacerebbe abbandonare i software per dedicarmi solo all’hardware. Ho intenzione di imparare a usare quei vecchi tape-loop di una volta. Dei vari remix che ti hanno commissionato di quale sei più soddisfatto? Quelli di Forest Swords e How To Dress Well. Non so spiegarti esattamente perché. Credo di avere reso giustizia agli originali e allo stesso tempo di aver aggiunto un qualcosa di mio. Quali sono le differenze principali tra il tuo primo singolo Detroit Falls e l’Ep successivo Safehouses? C’è uno stacco enorme tra le due release. Detroit Falls e Orpheus sono le prime tracce che ho completato nella mia vita. Volevo che suonassero rispettivamente come un brano hip-hop e come un pezzo garage. Sono estremamente calligrafiche in tal senso. Safehouses invece ha un suono più personale. Ho sperimentato sonorità diverse, ma sono riuscito a ottenere un risultato più omogeno. A distanza di un anno quelle tracce mi sembrano ancora troppo derivative comunque. I brani che sto scrivendo oggi hanno maggiore personalità e un’identità più marcata. E’ un aspetto su cui ho lavorato molto ultimamente e sono molto soddisfatto dei risultati ottenuti. La cosa più importante per me al momento è riuscire a produrre qualcosa di davvero originale. Cosa stai ascoltando in questo periodo? Sono sempre alla ricerca di nuova musica

e non faccio distinzione di generi. Il nuovo Ep di Lukin su Glum è fenomenale, di sicuro il suo lavoro migliore. Credo sia uno degli artisti più sottovalutati dell’intera “scena”. Poi ultimamente ho ascoltato molto il disco di Fennesz e Ryuichi Sakamoto insieme. E’ un album fantastico e molto malinconico in cui l’unicità dello stile di entrambi s’intreccia alla perfezione. Quanto sei cambiato come persona e come artista durante tutti questi mesi? Musicalmente mi sono evoluto molto. All’inizio ero un produttore alle prime armi che sperimentava con idee differenti alla ricerca di un proprio marchio di fabbrica. Oggi le nuove produzioni hanno una maggiore consapevolezza linguistica. Ho imparato a curare i dettagli e ho guadagnato in termini di originalità. Le tracce che sto registrando per il mio album d’esordio sono ancora più scure e strane. Mi sto progressivamente allontanando dal dancefloor per spingermi in territori più introspettivi. Questo distacco è fondamentale perché voglio scrivere un disco che sia adatto a un ascolto casalingo, con una propria coerenza e forza narrativa generale, al di là dei singoli episodi. Qualcosa che funzioni e che abbia un senso anche fuori da un club. Non solo materiale esclusivo per dj insomma. Quali saranno i tuoi prossimi passi quindi? Sto lavorando a un paio di nuovi remix e uscirà presto una nuova traccia, Left Unsaid, su una compilation della R&S. Per il resto mi concentrerò sulla scrittura del disco che dovrei finire entro la prima metà dell’anno prossimo. Ti ricordi ancora la tua prima serata come dj? Come è andata? Certo che la ricordo! E’ stata disastrosa. Ero

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nervosissimo. In più la spia non funzionava e i dischi saltavano in continuazione. Sono andato nel pallone mandando all’aria ogni possibilità di mixare decentemente. Ho imparato da subito a mie spese a non fidarsi dei club quando si parla di puntine dei giradischi. La cosa che preferisci di fare il dj? Suonare la musica che ami per gente che condivide la tua passione. Il tuo dj preferito? Domanda difficile. In giro ce ne sono tanti di molto bravi. Dovendo fare un nome direi Ben Ufo. La sua selezione è impressionante e ha una tecnica impeccabile. Grazie a lui ho scoperto dischi che altrimenti non avrei mai conosciuto. Subito dopo mi viene in mente questo nuovo talento di Glasgow davvero straordinario, si chiama Blake. Ha solo diciannove anni e

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una cultura musicale enciclopedica. Lui e i suoi amici hanno appena fondato un’etichetta, la All Caps, e stanno per pubblicare delle cose davvero interessanti. Sicuramente un tipo da tenere d’occhio nei prossimi mesi. Un brano che non manca mai nei tuoi set? Woman Is The Devil di Levon Vincent. E’ una traccia semplicissima ma davvero molto efficace, perfetta per il dancefloor. Cosa ne pensano i tuoi genitori della musica di Pariah? So per certo che mio padre non è così impressionato da quello che faccio. Non credo abbia mai ascoltato pop nella sua vita. E’ un grande appassionato di musica classica e di opera. Un giorno gli ho inoltrato un link di un mix che avevo fatto per Mary Ann Hobbs su BBC Radio. Mi ha chiamato dopo pochi minuti dicendomi “Beh... Non è esat-

tamente Beethoven!”. Nonostante questo è orgoglioso che io riesca a guadagnarmi da vivere con qualcosa che amo profondamente. Mia madre invece è una persona decisamente più aperta, pur non essendo la mia prima fan. Una band o una canzone che ti hanno cambiato la vita? Chiunque abbia mai letto una mia intervista sa quanto Burial sia stato importante per me. Ha cambiato il mio approccio alla musica. Ma nessun gruppo mi ha mai colpito emotivamente come i Godspeed You! Black Emperor, in particolare il loro primo album e l’Ep Slow Riot For A New Zero Kanada. Li ho visti di recente dal vivo durante il loro ultimo tour in Inghilterra ed è stato senza dubbio il concerto più inteso al quale abbia mai assistito. In alcuni momenti sono stato vicino alle lacrime. Un’esperienza pazzesca. Quali sono i tuoi interessi al di là della musica? Libri e film soprattutto. In questo periodo sto rileggendo The Border Trilogy di Cormac McCarthy, uno dei miei scrittori preferiti. Consiglio a chiunque non abbia mai letto questa trilogia di farlo al più presto! Cosa ti fa ridere? Arrested Development, la serie tv. Ok, visto che siamo in tema. Serie Tv preferita? Se la giocano The Wire e i Sopranos. L’ultimo disco che hai comprato? Un white label di un ragazzo che si fa chiamare Dense & Pika. Appena è uscito l’ho snobbato perché il nome mi dava l’impressione della solita edit disco, in realtà è tutt’altro. Entrambe le tracce sono scure, drogate, molto lente, warehouse techno per intenderci. A quanto pare è qualcuno dell’etichetta Planet E con un nuovo pseudonimo. E’ un 12” pollici straordinario. Esattamente il genere che mi piace suonare nei club. L’ultimo film che hai visto? E’ un film italiano, Le Conseguenze Dell’Amore. Un amico me l’ha portato a casa qualche giorno fa ed è sicuramente una delle pellicole più belle che abbia visto da un bel po’ di tempo a questa parte. Fantastico. Guidi? Che macchina hai? Non possiedo un auto. Sono il peggior guidatore della storia. Vivo a Londra e non ne ho motivo. E’ troppo costosa e il traffico è terribile. Preferisco di gran lunga un buon bus o un viaggio in metropolitana. Un paio di cuffie e la città che ti scorre sotto il naso fuori dal finestrino.


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DJ Harvey Intervista di Michele Cesana. Foto di Ana Kraš.

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Harvey Basset aka DJ Harvey è forse uno degli ultimi DJ a portare avanti ancora adesso lo spirito e la passione dei pionieri della musica disco e poi house degli anni ‘70 e ‘80. Negli anni ‘90 è stato resident della discoteca più importante d’Europa di quell’epoca, il Ministry of Sound di Londra: ha suonato con mostri sacri come Larry Levan e François Kevorkian, DJ allora completamente sconosciuti sulla scena londinese. Non contento dell’Inghilterra, Harvey ha girato tutto il mondo, in Giappone è considerato una vera e propria celebrità e la sua fama arriva fino alle Hawaii e al Sud America. Da dieci anni ha deciso di stabilirsi a Los Angeles dove, tra una data e l’altra in giro per il globo, organizza il suo “Sarcastic Disco Party”, una festa che vede solo lui come protagonista: suonando di tutto, dalla techno di Detroit alla disco di Philadelphia senza dimenticare il caro vecchio rock. Un DJ dallo stile eclettico che si riflette anche sulle sue produzioni musicali, capace di passare dal rock FM dei Map Of Africa per arrivare al suo ultimo progetto, Locussolus, concepito solo per proporre musica da club. Dopo lunghi inseguimenti siamo riusciti a beccarlo per una lunga telefonata a base di amore, surf e, chiaramente, musica.

Ciao Harvey, allora come va? Ehi ciao! Qui tutto bene, sono a casa mia a Venice Beach in California, c'è un tempo fantastico: è la tipica giornata perfetta californiana. Poi oltretutto è Estate e si sta alla grande. Mi sono appena svegliato e sono pronto per le tue domande. Com'è la tua tipica giornata a L.A.? Mi sveglio con una tazza di tè, vado a surfare, poi il lunch mentre ascolto i dischi nuovi che mi arrivano. Più tardi vado in studio fino all'ora di cena quando vado alla ricerca di un buon ristorante, penso al sushi o qualche trattoria italiana. Alla sera mi piace guardare tanti film, ultimamente ho una passione per il cinema italiano horror degli anni ‘70 (Dario Argento) e anche per i film erotici sempre italiani. Ok, iniziamo parlando proprio della California, come mai dieci anni fa hai deciso di spostarti dal grigio londinese al sole californiano? Girando il mondo in lungo e in largo per suonare ho sempre pensato che mi potessi trasferire ovunque. La California mi è sempre piaciuta per il clima, ma soprattutto per tutta la cultura e la musica legate al surf e allo skate, qui sono nati questi sport e, da grande appassionato, ho sempre cercato di approfondirli. Mi sono trasferito qui circa un mese dopo l'11 settembre 2001, mi ricordo che il biglietto aereo l'ho pagato pochissimo. So che all'epoca hai avuto problemi col permesso di soggiorno, adesso sono risolti? Dopo che sono arrivato nel 2001 non mi sono preoccupato di chiedere un'estensione del permesso di soggiorno, mi stavo divertendo così tanto che mi è passato completamente di mente. Figurati che mi ci sono voluti circa dieci anni per mettermi a posto e chiedere un visto permanente. Adesso da quasi due anni sono completamente in regola, ho la mia green card e finalmente posso

andare e venire quando voglio. Mi mancava andare in tour per il mondo per suonare. Sei appena tornato da un giro in Giappone se non sbaglio. Si ho fatto sedici party in ventidue giorni. E' stato abbastanza massacrante: sono stato il primo DJ straniero ad andare in Giappone dopo il disastro del terremoto di qualche mese fa. I promoter nonostante tutto quello che fosse successo hanno insistito tantissimo per farmi andare a suonare. E' stato molto divertente. Leggendo on-line, mi sembra che tu sia considerato una vera star nel Sol Levante. Ho un'ottima reputazione, sono tanti anni che ci vado e anch'io mi trovo benissimo ogni volta che mi capita di visitare quel paese. I Giapponesi hanno una cultura musicale incredibile. Cosa ci dici del tuo ultimo progetto musicale, Locussolus, in che modo è nato? Due anni fa sono stato contattato da Mark, il boss dell'International Feel (etichetta discografica che pubblica l'album, ndr) proponendomi un contratto discografico per tre singoli. La cosa divertente è che con Mark non ci siamo mai conosciuti di persona. Lui è inglese e vive in Uruguay io invece sono qui in California e in due anni ancora non siamo riusciti a vederci, facciamo delle telefonate lunghissime su Skype. Mi sono trovato bene da subito con lui, ha tanta passione e poi mi ha lasciato completamente carta bianca sotto l'aspetto musicale. Io gli ho solo proposto quello che volevo fare: musica per ballare. Sono usciti tre singoli e adesso è uscito l'album, sono sette tracce originali e poi ci sono i remix. Dove e come l'hai registrato? In studio a Los Angeles: insieme al mio tecnico del suono abbiamo usato un mix di sintetizzatori vintage e software di ultima generazione. Personalmente non so usare tutti i nuovi programmi per fare musica, per fortuna avevo con me Josh Marcy "il mio

sound engineer" che è davvero un mago. Io ho scritto le canzoni e poi insieme abbiamo lavorato alla produzione di ogni traccia. Abbiamo usato anche parecchi strumenti: ho suonato il basso e le chitarre su tutto l'album. Oltre a suonare hai pure cantato... Si, è una cosa che mi è venuta naturale col passare degli anni. Tutti mi dicono che la mia voce è molto sexy (risate generali). Parlando dell'album a parte le tracce originali ci sono remixer molto famosi (Andrew Weatherall, Lindstrøm & Prins Thomas, ecc.), è stata una tua decisione da chi farti remixare? Sono tutti amici di lunga data, sono molto contento delle loro interpretazioni delle mie canzoni. Ognuno ha dato il suo tocco. Penso al remix di Lindstrøm & Prins Thomas che è perfetto per un party su una spiaggia, quello di Weatherall è un remix molto dark da suonare alle cinque del mattino nei club più malfamati, il remix di Emperor Machine è molto cosmic: sono uno più bello dell'altro e molto differenti tra di loro. Locussolus non è il tuo primo progetto musicale, sto pensando ai Map Of Africa, il gruppo rock che hai fondato con Thom Bullock dei Rub'n'Tug. Che differenze ci sono? Penso che la differenza principale sia come scriviamo le canzoni. Nei Map Of Africa praticamente non usiamo strumenti elettronici ma solo chitarra, basso, batteria e tastiere. Con Thomas facciamo delle lunghissime session in studio a provare e riprovare le stesse canzoni facendo modifiche continuamente. Se dovessi usare una parola, direi che nei Map Of Africa è tutto più organico, non ci sono sequencer o computer, si tratta solo di musica suonata dal vivo. La musica dei Map Of Africa la puoi ascoltare in spiaggia, in una boutique o in un bar. La musica di Locussolus è pensata esclusivamente per far ballare e per essere ascoltata nei club.

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C'è qualcosa all'orizzonte per i Map Of Africa? Avevo letto tempo fa che un secondo album era pronto per uscire. E' solo questione di tempo. Abbiamo già un certo numero di canzoni e dobbiamo solo fare il mixaggio finale. Il problema di fondo è che Thomas vive a New York mentre io sono sulla costa opposta e ognuno ha i suoi impegni. Non ti so dare una data certa per l'uscita del nuovo album. Uscirà sempre su Whatever We Want? Quest'etichetta discografica è una delle mie preferite, anche se non ti nascondo che i prezzi altissimi e la difficoltà a trovare i dischi ogni tanto mi scoraggiano all'acquisto... Si sicuramente uscirà per la Whatever We Want. Sulla difficoltà a trovare i dischi di quest'etichetta non ho un'idea precisa. Ogni tanto penso che sarebbe meglio poterli trovare con più semplicità, però penso anche che proprio la difficoltà a comprare le nuove release possa dare alla Whatever We Want una sorta di aura "cult". Parlando di te come DJ, posso chiederti qual è per te il setup perfetto? Generalmente uso due o tre giradischi Technics, da qualche anno ho aggiunto anche due CDJ. Come mixer prediligo i mixer valvolari Bozak oppure Urei. Ultimamente ho provato un mixer della Alpha Recording (azienda giapponese) e mi sono trovato benissimo. Poi aggiungo un crossover a tre entrate e se posso un registratore "Reel to Reel" per fare live editing e aggiungere eco ai pezzi che suono. E' un setup molto semplice ma purtroppo non così semplice da trovare. Anche negli anni '90 quando eri resident al Ministry Of Sound di Londra suonavi con tutto questo setup? Si avevano proprio questo equipaggiamento. Addirittura c'erano 4 giradischi. E' da allora che mi porto dietro questo materiale per suonare. Justin Berkmann il fondatore del Ministry quando decise di contruirlo aveva pensato di copiare pari pari il set up del Paradise Garage di New York, creato da Richard Long, il nr. 1 di tutti i sound designer delle discoteche. La cabina DJ del Ministry all'epoca era un'esatta replica di quella del Paradise Garage. Parlando del Paradise Garage so che tu hai portato a Londra Larry Levan, che ricordi hai? Si, Larry era venuto per una mia serata a Covent Garden che si chiamava "Moist". E' stato uno dei migliori DJ con cui abbia avuto il piacere di suonare. Era anche molto gentile. Un bravo ragazzo. Come spesso accade i migliori sono sempre i primi ad andarsene. Da qualche anno organizzi una serata a

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Los Angeles ogni due o tre mesi, i "Sarcastic Disco Party", come funzionano? Sono feste in magazzini molto underground, ogni volta cambiamo location e io suono per tutta la notte, per almeno dodici ore. Per me è la festa più bella del mondo. Chi viene ai “Sarcastic Party” viene per godersi la musica e divertirsi. Un'altra cosa molto particolare è che vengono persone con culture differenti, penso ai latinos, ai tipici hipster di L.A. e Malibu e ai tanti asiatici che ballano per tutta la notte. Ti assicuro che non ho mai visto un melting pot di razze in giro come il mondo come lo vedo alle mie feste. In questi ultimi anni c'è stato un gran revival della musica disco e del genere balearic... Tu, da molti appassionati (anche dal sottoscritto) sei considerato una sorta di "Dio" del genere, cosa ne pensi? A mio parere la musica balearic è solo quella che veniva suonata nei club a fine anni '80 e inizio '90 a Ibiza durante l'estate. Per altri la balearic è tutta quella musica un po' soft sempre anni '80. E' molto difficile definire un genere, per me rimane la musica da club suonata solo a Ibiza. Personalmente per balearic intendo anche un "feeling": quelle sensazioni che puoi provare ad ascoltare una particolare canzone emozionante magari su una spiaggia durante un tramonto. Per quanto riguarda la disco music penso che non se ne sia mai andata veramente. Tra cover e re-edit la disco continua a vivere in tutte le piste da ballo del mondo. Un altro concetto molto vicino allo stile balearic e penso anche al tuo, è suonare diversi generi musicali senza focalizzarsi su uno soltanto. Da questo punto di vista mi calza a pennello. Da sempre sono fan di più generi musicali: dal rock più classico alla techno più pura. Ancora oggi ogni sera che suono propongo musica ogni volta diversa. La musica che scelgo durante i miei set è sempre influenzata dalla situazione in cui mi trovo. Mi è successo di fare set totalmente house o altri addirittura solo disco. Poi certamente ogni tanto mi piace stupire la pista mettendo dischi che pochi si aspetterebbero. Pensi di aver avuto un'evoluzione come DJ in tutti questi anni? Non credo, diciamo che il mio stile si evolve in base alla musica nuova che esce e che mi piace. Cerco sempre di ascoltare il più possibile nuove produzioni e la maggior parte dei promo che ricevo. Come DJ preferisci suonare per lunghi set o ti trovi bene anche a suonare per solo due ore? In questi ultimi anni non mi interessa par-

ticolarmente, l'importante è trovarsi nella situazione giusta. Non devo per forza suonare per tante ore, mi basta divertirmi mentre lo faccio. Certo, se suono per poco tempo, cerco di proporre musica il più possibile impattante sulla pista da ballo per lasciare un bel ricordo di me. Qual è l'ultimo disco di cui ti sei innamorato? Domanda difficile, non mi ricordo mai i nomi dei dischi. Ultimamente mi piace la techno di questi ultimi anni, un artista che mi piace è Andre Lodemann. Un DJ con cui hai suonato e che non ti è piaciuto? Mai dire il nome del tuo nemico. Se te lo dico allora gli faccio pubblicità e qualcuno vorrebbe approfondire andando ad ascoltarlo. Questa può essere una bella lezione per tutti i DJ: mai dire il nome di un DJ o di una persona che non ti piace. Tornando a Los Angeles e alla California, prima mi dicevi di essere un appassionato di surf, hai qualche posto da consigliarci? Qui a L.A. c'è Malibu Surf Rider per andare con il long board. Poi, dove vivo io, a Venice Beach è pieno di posti: io surfo praticamente fuori da casa dove c'è il molo di Venice. Lo consiglio a tutti. Anche in Europa ci sono posti interessanti, sono stato in Portogallo e mi sono trovato benissimo. L'acqua è fredda ma le onde sono molto intense. E dell'Italia cosa ci dici? Ho tanti amici in Italia, molti DJ. Ralf e Coccoluto sono amici, con loro negli anni '90 ho suonato in party bellissimi che ancora adesso mi ricordo. Sono anche un fan di tutta l'italo disco, nella mia borsa porto sempre qualche produzione italo. I classici italo sono sempre con me. Pensi mai a ritirarti? Onestamente no. Se penso a David Mancuso che suona da più di quarant’anni non vedo il motivo di ritirarmi. Finchè la mia reputazione me lo permetterà andrò avanti a suonare. Per il mio futuro mi vedo su un'isola molto tranquilla a gestire un piccolo bar sulla spiaggia che però abbia un super sound system. C'è qualcuno che pensi potrebbe essere il tuo successore? Non so se ci sono miei successori, però mi piacerebbe molto fare da tutor ad un giovane e insegnarli tutti i miei segreti. Se dovessi andare su un'isola deserta cosa ti porteresti? Ovviamente una tavola da surf, una radio e tre giovani ragazze che dovrebbero occuparsi solo della mia felicità (risate generali). Hai qualcosa da dire ai lettori di PIG? Si, solo una cosa: LOVE IS THE MESSAGE.


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Sonar 2011 Testo di Gaetano Scippa. Foto di Rafa Castells e Alba Yruela

Anche quest’anno siamo andati a Barcellona per seguire da vicino il nostro festival di musica elettronica preferito. Il Sonar ha compiuto diciotto anni e non li dimostra, motivo in più per festeggiare l’edizione della maturità insieme alle 80mila persone che sono giunte da ogni parte del globo per ballare giorno e notte, fare nuove scoperte artistiche e condividere emozioni. Impossibile raccontare tutte le 150 esibizioni spalmate su otto palchi, tra glorie del passato che hanno fatto scuola e nuovi talenti. Chi seguiamo oggi? Cosa vediamo stasera? Dilemmi quasi esistenziali, che hanno suscitato dibattiti, mosso la nostra curiosità e aumentato la frenesia del pubblico, impepando di fatto il lungo weekend del Sonar 2011.

Giovedì 16 maggio, non ancora smaltito

Raime. E poi si sa, il Sonar è anche l’insieme

della Brooklyn infestata dalla witch house,

il dispiacere per il forfait dato da Steve

di eventi Off (e Anti), per cui optiamo per

di cui seguiamo i set – per la verità non così

Reich, ci lanciamo al Village dove Toro Y

il “rooftop” party di Hotflush/Aus con gli

magici – di oOoOO, Holy Other e How To

Moi e Little Dragon in versione pomeridiana

ottimi – e per l’occasione più festaioli –

Dress Well, quest’ultimo frenato da evi-

portano a casa i primi applausi del dia. The

Deadbeat, Appleblim, Scuba e Will Saul.

denti problemi di voce e sostanze alteranti.

Brandt Brauer Frick Ensemble al Dome,

Dopo una radiografia al programma, vener-

Dall’altra parte Four Tet sta infiammando la

invece, catturano il nostro interesse per la

dì proprio non c’è spazio per la serata “pe-

piazza: inizia a spingere da subito con Love

presenza scenica. Un po’ ambiziosi e formali,

riferica” di Pampa e Innervisions. Rinunciato

Cry, fin quando si alzano i bassi ed è delirio.

sono penalizzati da uno spazio poco adatto

ad Ame, Dixon e compagnia bella, ci infi-

Facciamo un salto da Ghostpoet per vivere

alla commistione tra techno e musica da

liamo nel capannone Red Bull per Daisuke

uno stato di apnea collettiva prima di tirare

camera. Nel frattempo Nicolas Jaar e la sua

Tanabe, beat maker che smuove a suon di

il fiato. Sta per arrivare il Sonar de Noche.

band ormai rodata hanno imballato la Hall

chirurgici ritmi spezzati e glitch, ma anche

lasciando fuori centinaia di ritardatari. Siamo

wonky, jazz e hip hop, conquistando a pieno

Il capannone della Fira è già semipieno

appena arrivati e il sole di Barcellona prevale

titolo la massa danzante diurna. E’ ora dello

quando entrano in scena i pionieri del synth

sull’istinto di vedere dal vivo i cupissimi

showcase della Tri Angle, etichetta culto

pop britannico, The Human League. Philip

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pezzi in prevalenza strumentali, l’apice arriva

Il sample di Górecki dei Lamb in chiave jun-

con l’impressionante versione live di Evil

gle è una manna dal cielo, davvero sublime.

Dub/Moan. Applausi. La tabella di marcia

Riemersi in superficie, è l’ora del folk-aperi-

scorre puntuale finché tocca a M.I.A. E’ in

tivo. Gli Shangaan Electro dal Soweto sono

ritardo di mezz’ora. Fa la diva? Nel dubbio

coloratissimi, pennuti, cantano e ballano

decidiamo di cambiare aria. No, un momen-

danze street sopra basi a 180 bpm. Il carne-

to. Si apre il sipario, si sente un canto Tamil,

vale sudafricano trasforma il palco in balera

compaiono immagini della dea Sri Krishna.

hardcore-gabber, senza bisogno di additivi.

Percussioni, trombe da stadio ed eccola

I Tiger & Woods intanto stanno scaldando

finalmente, una Maya in caschetto biondo

gli hooligans inglesi – e non solo – ammas-

platino e occhiali scuri che subito si getta tra

sati al Dome al tramonto. E’ qui la vera festa

la folla. Un copione già visto a Milano, per

italo. Il duo amante dell’anonimato esce

cui ci dirigiamo verso Dizzee Rascal per una

allo scoperto: niente maschere di tigre, solo

raffica di Old Skool e Bassline Junkie. Ritmi

T-shirt nere e cappellini da baseball per uno

sincopati, serie di Yo!, uno scratcher da far

dei “maestri” della RBMA, orgoglio nazio-

paura, una voce femminile intona You’ve

nale da esportazione, e il suo fedele compa-

Got the Love, e tutti giù a ballare. Saltiamo

gno di squadra.

volutamente Katy B, sorta di Rihanna bianca più scarsina per tornare al Club, dove Scuba

La notte del Club è inaugurata da Chris

prepara il terreno ad Aphex Twin martellan-

Cunningham, che sta tenendo una lezione

do senza sosta techno in 4/4, mica lo SCB

di videoarte ed effetti speciali da antologia.

a sorpresa del party Hotflush. Nell’unica

Tre schermi interattivi, suoni e rumori sono

intervista da lui rilasciata di recente (al País),

in sync con immagini angoscianti, tra cui un

Richard D. James dice di aver pronte 600

bimbo dalle espressioni deformate con elet-

(?!) tracce che aspettano la risoluzione del

tricità, cortocircuiti, metronomi. Un grande

rapporto con la sua ex moglie per essere

videoclip da lasciare a bocca aperta.

pubblicate. Che il successo abbia dato alla

Se Yelle ammalia il Lab col suo french pop e

testa? Questioni sentimentali, soldi e bloc-

una mise da cat woman in rosso, ci paiono

chi creativi a parte, non vediamo l’ora di

più intriganti i suoi conterranei Arandel al

sentire il nuovo materiale. Intanto il suo dj-

Car-rozzone, una console al luna park. Il duo

set inizia poco dopo le tre con immagini pi-

laptop usa innesti acustici – un sax distorto,

xelate e un flusso di suoni e disturbi digitali.

un flauto traverso, un gong cinese – per

Poi charleston in levare, momenti stranianti,

un suono notturno e lascivo che rallenta e

IDM mutante ed emozionale, immagini di

riparte con cambi percussivi avvincenti. Mi-

donne pettorute e giocatori del Barça con il

nimalismo romantico e trip mentale, combi-

suo sorriso malefico a sostituire i loro volti.

nazione vincente. Cos’altro si può dire degli

Ci congediamo con il campionamento luci-

Underworld, se non il solito ma struggente

ferino del film Magnolia.

tuffo nel dancefloor anni ‘90? Per le migliaia di persone ammassate, anthem storici

Sabato al Village i No Surrender, affiancati

come Rez, Cowgirl e Born Slippy sono una

da Costanza Francavilla e uno dei Cut Copy,

garanzia di svago e sudore. Scegliamo di

sembrano i TVOTR più hip hop. I falsetti di

chiudere la nostra maratona al Car, dove

Oakey è mobilissimo da una parte all’altra

You’re a Star catturano la platea indie striz-

sempre dal roster Infiné c’è il parigino Rone

del palco, Susan Sulley in tubino inguinale

zando l’occhio al mainstream. In chiusura

dai suoni altrettanto ipnotici, ma più espliciti

e tacchi vertiginosi, Joanne Catherall la

Young Love, con tutta la crew a ballare e

e incisivi dei colleghi Arandel. Ci voltiamo

meno in forma del trio. Lo show alterna

lanciare cd al pubblico: non sono neanche

e per un attimo riconosciamo alle nostre

pezzi del nuovo album (Egomaniac, Night

le quattro ed è già festa. Ci spostiamo nella

spalle un volto familiare. Al terzo sguardo di

People) a brani storici (Empire State Human)

Hall per il ritorno dei Global Communica-

soppiatto, ricambiato con un ghigno, ci av-

e hit come Tell Me When e Don’t You Want

tion, un’immersione nello spazio dietro un

viciniamo a Richard D. James, che è in dolce

Me, che il pubblico meno acerbo canta a

pannello in 2D su cui scorrono galassie,

compagnia. Scambiamo qualche parola,

squarciagola. Tra i bis la crepuscolare Being

astronavi e orologi meccanici prodotti da

sospesi nel tempo e nello spazio, circondati

Boiled e Together in Electric Dreams, per

As Described. Una culla astrale, liquida,

da centinaia di persone che non lo ricono-

chiudere col sorriso. Transitiamo al Pub via

sognante, lunga quasi tutto il leggendario

scono. No, non abbiamo uno scoop da rac-

Cut Copy – suonano proprio di fianco ai ma-

album 76:14. Dopo 40 minuti parte Senso-

contare, né materiale per una bio ufficiale di

estri di Sheffield – per sentire i venti minuti

rama, le teste oscillano, spezzano un incan-

Aphex Twin, ma qualche aneddoto privato

finali di Trentemøller con la band. Il sound è

tesimo che ha ipnotizzato fino a quel mo-

e molte suggestioni che conserveremo per

davvero potente, anche qui con punte retro

mento. La seconda metà dello show inizia

sempre nella nostra memoria e in quella di

ma decisamente più chitarroso e rock. Tra i

con beat accelerati ed effetto club: si balla.

un festival unico al mondo come il Sonar. 79


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Lary Photographer: QUENTIN DE BRIEY (www.quentindebriey.com) Styling: BUKI EBIESUWA Make up and hair: BUKI EBIESUWA Model: LARY ARCANJO @ Sight Models

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Top e pantaloncini AMERICAN APPAREL

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Maglia e pantaloncini AMERICAN APPAREL, stivali SENDRA

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Costume e jeans AMERICAN APPAREL, stivali SENDRA

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Maglia e cappello AMERICAN APPAREL

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Camicia e pantaloncini AMERICAN APPAREL

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Camicia COS, intimo LA PERLA

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Francesca & Federica Photographers: LUCA MASSARO, EMMANUELE DELRIO Stylist: CRISTIANA RIVELLINO SANTELLA Assistant Stylist: MARTA ARESI Models: FRANCESCA CISANI e FEDERICA CORNELLI

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Francesca: body in rete REPLAY UNDERWEAR vintage, jeans CHEAP MONDAY, collana vintage. Federica: maxifelpa stylist's own, gonna in denim CHEAP MONDAY, calzettoni stylist's own, spille OBEY, COSTUME NATIONAL, vintage

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Francesca: body in rete REPLAY UNDERWEAR vintage, collana vintage

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Federica: tshirt OBEY, jeans CHEAP MONDAY, collana vintage

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Federica: giacca in denim stampato RVCA, maxi tshirt adidas Originals by Jeremy Scott, bandana e collana stylist's own. Francesca: abito indossato come tshirt RVCA, jeans Cheap Monday, cintura Sess첫n, collana vintage.

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Francesca: felpa OBEY

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Francesca: maglia OBEY PROPAGANDA, bandana e collana vintage. Federica: top RVCA

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Francesca: camicia in felpa e tshirt RVCA, pantaloni in felpa adidas Originals by Jeremy Scott

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Federica: top RVCA

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Francesca: maxi abito in felpa CHEAP MONDAY, costume stylist's own, collane e occhiali vintage

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Francesca: tshirt OBEY. Federica: felpa e tshirt HELLS BELLS, collane stylist's own

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Francesca: camicia in felpa e tshirt RVCA, pantaloni in felpa adidas Originals by Jeremy Scott, occhiali vintage, scaldamuscoli e scarpe stylist’s own. Federica: bomber adidas Originals by Jeremy Scott, body AMERICAN APPAREL, gonna RVCA, boots stylist’s own

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Musica Album del mese

Di Gaetano Scippa

SBTRKT - s/t (Young Turks) Dal “tempo di riarrangiare” al tempo di sottrarre. Ha fatto bene il DJ e produtto-

Blake, il pathos di Jamie Woon e le scintille di Joy Orbison. SBTRKT è infatti un disco

ne la BBC? Chissà, ma certo non è un abbaglio. Se non è questo il nome su cui puntare

re Aaron Jerome, non proprio un novizio dell’ambiente elettronico UK e appassionato di ritmi, a uscire dal ginepraio nu jazz per avventurarsi nei territori più asciutti e spinti della bass music inglese. E così, con il suo nuovo acronimo che si pronuncia “Subtractone” e incollatosi in faccia una maschera afro per far parlare solo la musica, Jerome

completo sia dal punto di vista melodico sia ritmico, da ascoltare ripetutamente dall’inizio alla fine senza skip, che sublima in forma pop la mescolanza tra generi associati al future garage. Gli ottimi arrangiamenti sono accompagnati da altrettanto validi guest vocals: sul fronte maschile è riuscitissimo il combo con Sampha, specie nella struggen-

nei prossimi mesi, poco ci manca.

sforna vari singoli e remix – tra cui M.I.A., Modeselektor e Basement Jaxx – che vengono captati dai radar infallibili della Young Turks. Con il primo album a marchio SBTRKT si compie un vero rito voodoo, rischiando con il tasto play di vedere spazzati via in un solo colpo lo sforzo minimalista di James

te danza elettro-soul di Hold On; su quello femminile, non sono da meno i contributi di Yukimi “Little Dragon” Nagano sui bassi à la Skream (Wildfire), di Roses Gabor sull’onda funky house (Pharaohs) e di Jessie Ware sul tappeto della 808 (Right Thing To Do). Il Timbaland del nuovo decennio come sostie-

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Musica Album del mese

Di Gaetano Scippa

Walls – Coracle (Kompakt) Dopo il boom dell’anno scorso e anticipato dal singolo-manifesto Sunporch, il nuovo lavoro di Alessio Natalizia (Banjo Or Freakout) e Sam Willis (Allez-Allez) non delude. Qui le ambientazioni sognanti del duo non si perdono (Heat Haze, Drunken Galleon), ma alzano il beat in favore del dancefloor dipingendo una piacevolissima combinazione di kraut-house escapista in puro stile Kompakt (Raw Umber) con inaspettate punte di ironia teutonica (Il Tedesco) ed echi post-rock (Ecstatic Truth riprende The Melody Of A Fallen Tree dei Windsor For The Derby). E’ psych-pop della miglior pasta, e noi siamo ben felici di pasteggiare insieme a loro.

Andy Stott – Passed Me By (Modern Love) Stott torna sui passi techno dub con un disco monolitico, uno dei migliori del 2011. Lo fa con una tensione primordiale e un approccio al suono viscerale, quasi doom, offuscando i toni e rallentando il ritmo fin quasi a 80 bpm. L’ipnagogico (New Ground) attraversa l’inferno di Demdike Stare (Signature, Execution) e Shackleton (Dark Details) come il magma retrofuturistico di Actress (North To South). Una sensazione di nichilismo autodistruttivo ci porta al collasso afterparty (Intermittent) finché un riverbero non spegne anche l’ultima candela sulla soglia isolazionista (Passed Me By), là dove Plastikman di Consumed ci aveva lasciato.

Flowers and Sea Creatures – s/t (Buzzin’ Fly) Cosa ci fanno un cantante irlandese e un chitarrista greco in quel di Montreal? Musica atmosferica da pub che però, arricchita dal trio produttivo Ewan Pearson-Fred EverythingThe Revenge, si eleva mettendo d’accordo alt-rock ed elettronica. Un paio di EP, un remix bomba per Birdsong di Abyss e quindi l’album. L’attenzione di Pearson è una garanzia, dal rifacimento chiaroscurale di A.M. all’equilibrio tra melodia e pista da ballo (The Sitting Room, Electronique). L’ugola malinconica di Graham Baxter, vicina alle corde di Thom Yorke (At Night), completa il quadro. Che potrebbe far gola anche al mainstream…

Zomby – Dedication (4AD) La 4AD sposa lo status attuale di Zomby, cavaliere oscuro e solitario in lotta con le proprie ossessioni e sofferenze, in parte dovute alla perdita del padre – a cui è dedicato il disco. Un’aura spettrale e solenne aleggia sui pezzi, distanti dalla giostra ardkore-rave di Where Were U In ’92? (salvo Black Orchid e Digital Rain) ma parimenti brevi e incompiuti. Schegge IDM e hauntology, semplici loop troncati anzitempo per non appesantire il funerale a 8 bit. Tra alti (Natalia’s Song dove campiona Irina Dubcova e il cameo Things Fall Apart con Panda Bear) e bassi (la materia classica di Basquiat), Dedication vince le attese ma, alla fine, non convince.

Tropics – Parodia Flare (Planet Mu) Per non staccare bruscamente dal clima estivo consigliamo un soggiorno – seppur virtuale – nei Tropics, dietro cui si cela il produttore e polistrumentista britannico Chris Ward. Un nome artistico che è tutto un programma, date le atmosfere calde ed esotiche che si respirano soprattutto nella prima metà dell’album: arpeggi gentili di chitarra, percussioni jazz fusion e synth vintage addolciscono la giornata, mentre qua e là un cantato induce ancor di più allo svacco. Da Celebrate in poi sale la brezza del tramonto, l’onda si fa più chilly, parte l’electro funk per l’aperitivo (Telassar) ed è risveglio (Playgrounds).

AraabMUZIK – Electronic Dream (Duke) L’hip hop strumentale sta convincendo pure le persone allergiche alla musica black. Il merito è di produttori underground come Clams Casino e AraabMUZIK, che stanno spiccando il volo con mixtape a base di campionamenti tagliati, frullati e incollati. AraabMUZIK, manico e “testimonial” delle drum machine Akai MPC, a questo giro si tuffa nella tamarreide e trasforma tracce house e trance in dance deviata, valorizzandone gli elementi più accattivanti. Pezzi come 4 AM di Kaskade e Right In The Night di Jam & Spoon improvvisamente acquistano un senso. Il trash spurgato funziona e l’elettronica (da sogno) non è rappabile. Alleluia!

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Musica Album del mese

Di Marco Lombardo

Active Child - You Are All I See (Vagrant) Ci aspettavamo molto da Pat Grossi, il musicista di Los Angeles che sta dietro al nome Active Child, sin dai tempi del suo primo ep, Curtis Lane. You Are All I See, l’album di debutto, non smentisce le attese. Immaginate una versione più elettronica e per certi versi gotica dell’ultimo Bon Iver. Il fingerpicking delle chitarre qui viene spesso sostituito da cascate di arpe digitali, il falsetto si tramuta in estensione operistica. Sintetizzatori analogici ed effetti di vocoder impreziosiscono gli arrangiamenti. La tensione emotiva è altissima. In Playing House Pat duetta con How To Dress Well e si toccano vette che provocano vertigini.

Balam Acab - Wander/Wonder (Tri Angle) See Birds, il suo ep di debutto, risale al 2010. Da allora Balam Acab, ovvero lo studente di college Alec Koone, originario dello stato di New York ma residente in Pennsylvania, ha i riflettori della critica puntati addosso, grazie a un sound narcolettico fatto di ambient, house pallidissima e scheletriche ritmiche R&B. Wander/Wonder aggiunge nuovi elementi alla palette espressiva: frammenti vocali degni di Burial, dubstep rarefatto, witch house in versione camomilla, rumoristica industrial e digressioni downtempo degne dei Boards Of Canada. Un’opera concepita come una moderna suite di musica classica a cui dedicare del tempo. Verrete ricambiati.

Beirut - The Rip Tide (Pompeii) Torna il ragazzo prodigio di Santa Fè con l’Europa nel cuore. Ormai al suo terzo disco nelle veste di Beirut, Zach Condon non è più il pischello americano infatuato di ritmi zigani, orchestre balcaniche e marcette dal sapore etno-folk, che tanto aveva sorpreso agli esordi. In The Rip Tide incontriamo un giovane uomo, riflessivo e garbato, intento a scontrarsi con i propri fantasmi interiori. Certo le canzoni sono quelle di sempre, è il modo di raccontarle al mondo intero a essere cambiato. Merito di un linguaggio più controllato, di una grammatica più lineare. Spariscono le sbavature di un tempo e l’ardore giovanile si trasforma in fascino adulto.

Blood Orange - Coastal Grooves (Domino Records) Nuovo progetto discografico per Dave Haynes aka Lightspeed Champion. Nei Blood Orange il prolifico musicista inglese, oggi in trasferta negli States, abbandona ogni velleità cantautoriale per calarsi nei panni di catalizzatore di un nostalgico pop anni ottanta, venato di morbido funk radiofonico. Influenzato a suo dire dalla sensibilità orientale della Yellow Magic Orchestra, da Billy Idol e dal cantante francese F.R David, il risultato finale si avvicina alla sensualità languida di Twin Shadow. Aggiungete qualche spruzzata di Prince e un tocco di Duran Duran, ed ecco la ricetta perfetta di un suono citazionista e godibilissimo.

The Rapture - In The Grace Of Your Love (DFA Records) Il terzo disco della band newyorkese segna il rimpatrio in casa DFA, la label di James Murphy che ha lanciato a livello planetario il fenomeno Punk-Funk. Un ritorno all’ovile che coincide con un restyling sonoro vagamente patinato, complice il contributo in fase di produzione del francese Philip Zdar (Cassius, Phoenix, Beastie Boys, Chromeo). Un album ispirato in cui si ritrovano sia il Punk che il Funk degli esordi, accompagnati da una maggiore consapevolezza melodica, alcune interessanti incursioni Disco/ Piano House, acute sperimentazioni ritmico/ strumentali e un vago sentore “lennoniano”. A volte rimangono tra noi.

Washed Out - Within And Without (Sub Pop) Ci sono dischi che descrivono l’estetica di un genere, in questo caso parliamo di chillwave. Whithin And Without si candida a opera di riferimento, con le sue voci telefonate, i synth avvolgenti in primo piano, le ritmiche morbide, dinoccolate e dal sapore anni ottanta, i bassi pulsanti e plasticosi. Un piccolo Bignami per apprendere i canoni di un filone tanto sotterraneo quanto emulato negli ultimi anni. Ernest Greene nel suo primo album ufficiale viene affiancato da Ben Allen, collaboratore degli Animal Collective, e il suono ne guadagna in definizione, sfumature e prospettiva. L’effetto è quello di una vecchia polaroid fotografata in HD.

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Musica Varie

Di Marco Lombardo e Gaetano Scippa

Chad Valley - Equatorial Ultravox (Cascine) EP Arcobaleni synth pop (Now That I’m Real), nebbie di vocoder su ritmiche psych-dance (Reach Lines), venti di sunshine pop lunare (Acker Bilk). Pioggia, sole, foschia. Hugo Manuel, da Oxford, le previsioni del tempo le azzecca sempre. M.L.

Dirty Gold - Roar(Autumn Tone Records) EP Percussioni eccentriche, melodie sognanti, chitarre riverberate e chili di malinconia. Gli ingredienti del sound balearico dal retrogusto afropop di questo trio di San Diego tutto spiagge assolate e cuori infranti. Il disco dell’estate. M.L.

Hackman - Close (Greco Roman) EP E’ la nuova sensation Uk Bass, viene da Leeds e ha appena compiuto ventidue anni. Vicino al Jamie xx solista miscela, con la maestria di un veterano, future garage e funk, dubstep ed electro percussiva. Ma cosa gli danno da mangiare a sti inglesi? M.L.

Joe Goddard - Gabriel (Greco-Roman) EP Joe è uno degli Hot Chip. Quello grassoccio e barbuto. In Gabriel gioca “alla discoteca” e gli scappano tre tracce da urlo. Tra linee vocali memorabili, sensibilità pop, ritmiche house illuminate e arpeggi trance da manuale. M.L.

Laurel Halo - Hour Logic (Hippos In Tanks) EP Secondo mini album per la producer lanciata da Lopatin. I brani strumentali esplorano e attualizzano vari angoli dell’IDM, con paesaggi sonori sfaccettati (Head, Hour Logic) e ancora la sua bellissima voce in Constant Index. G.S.

Vladislav Delay - Latoma (Echocord) EP Produzione stilisticamente impressionante, Latoma è un pezzone dubby glitch cesellato sulla ritmica, ora accelerata – date un occhio anche al video di Jan Svankmajer –, ora rimossa nel remix di Loderbauer e Villalobos. G.S.

Cubenx - Wait & See (InFiné) EP Piccante piatto di nachos messicani in salsa senape, per danzare la tech-house di Wait & See ipnotizzati da loop vocali, o sopravvivere agli sbalzi termici di Lovebirds. Nel formato digitale dieci minuti lussureggianti in più rispetto al 12”. G.S.

Jam City - Waterworx (Night Slugs) EP Il producer di South London molla temporaneamente i panni eski-grime – non certo i bassi – per cavalcare onde house frastornanti (Aqua Box), gioiose pianole (Waterfalls) o divertirsi coi synth (Countess, Barely A Track). G.S.

Martyn - Masks/Viper (Brainfeeder) 12” Anticipo succulento dell’album Ghost People in uscita a Ottobre, il nuovo singolo di Martyn vira su un 4/4 tecnoide tra sci-fi e vecchia scuola Detroit (Masks), oltre a esercitarsi su una drum’n’bass senza percussioni (Viper). G.S.

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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

SUPER 8 Di J.J. Abrams. Quando la fantasia assorbe il

scenti si appresta a trascorrere una lunga esta-

Steven Spielberg con il suo E.T. aveva creato

cinema classico e lo reinventa, arriva a sfiorare

te dopo un inverno travagliato. Appassionati

un modo nuovo di vedere-trattare l’alieno al

il blockbuster, ma fa trasparire un’impronta

di zombie movie, decidono di partecipare ad

cinema: non era più “il diverso”, figura cara e

autorale molto marcata, racconta una storia

un concorso con una loro produzione. Durante

usata dalla cinematografia U.S.A. come veicolo

semplice e nemmeno troppo originale, ma ci

le riprese notturne di una scena nei pressi di

narrativo per raccontare la realtà razziale del

regala lo stupore della prima volta, vuol dire

una ferrovia rimangono vittime, fortunatamente

Paese, ma come “l’amico”, colui da cui si pren-

che dietro c’è la mano esperta di un grande

illese, del deragliamento di un treno. Durante

dono le distanze per ignoranza, ghettizzato e

narratore. In questo caso il nome dunque non

l’incidente, la loro telecamera filma tutto. Qual-

demonizzato per paura e per quella famigerata

tradisce le aspettative. J.J. Abrams, per i pochi

cosa però non quadra: dopo l’incidente inco-

“caccia alle streghe” che viene costruita da un

che non sapessero chi sia, è il creatore delle se-

minciano a verificarsi strani fatti e la cittadina

governo che tenta di arginare qualsiasi perico-

rie tv Lost, Fringe, Alias... il regista dell’ultimo

viene invasa dalle forze militari.

lo e lo usa come capro espiatorio delle proprio

Star Trek e uno degli sceneggiatori più quotati

Steven Spielberg negli anni ‘80 aveva fondato

inadeguatezze e diffidenze (un bellissimo film

di Hollywood. SUPER 8 racconta una storia che

la Amblin, la casa di produzione che aveva

come District 9, qualche anno fa ce ne dava

le nuove generazioni di giovani ameranno e

dato accesso a tutte le fantasie cinemato-

una lucida versione a tal proposito), ma sempli-

con cui quelle anni ‘80-’90, cresciute a Goonies

grafiche, ma soprattutto a tutti quei film che

ce vittima di questo. In tutto ciò J.J. Abrams

ed E.T. , avranno modo di fare un salto indietro

raccontano gruppi di giovanissimi amici e

e Spielberg hanno un’idea comune: guardano

nel tempo. Alcuni già so, storceranno il naso,

delle loro avventure (torniamo ad E.T. che alla

con amore e compassione “lo straniero” venu-

dicendo “sì, ma non è lo stesso”. No, non lo

Amblin dà il logo e ai Goonies, ma anche a

to dallo spazio. Proprio come lo farebbero quei

è, ma la sua bellezza sta nel riuscire a far suoi

Gremlis, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Ritor-

bambini – la rappresentazione per eccellenza

alcuni cult del cinema adattandone atmosfere

no al Futuro... troppi per citarli tutti). Sono quei

della purezza – protagonisti dei loro film, che

ed echi di storia in un nuovo film. J.J. Abrams

film che oggi J.J. Abrams omaggia proprio con

non si fanno nemmeno intimorire dalla concre-

attinge a piene mani nel cinema di genere e

Steven Spielberg come produttore, ma si rifiuta

tizzazione fisica dei mostri che popolano i loro

ne rispetta i canoni classici: sci-fi, action, teen

di “fargli il verso” e allora ci mette il suo, la sua

incubi. SUPER 8 è una storia bella e complessa,

movie, war movie, thriller. SUPER 8 riesce ad

esperienza con gli effetti speciali, il suo esorciz-

un film di quelli che sul finale fanno scattare la

essere tutto questo e molto di più, perché non

zare le paure attraverso l’inserimento di figure

lacrimuccia, sia perché è commovente sia per-

si dimentica di trattare anche argomenti com-

mostruose (l’alieno di Abrams non è tenero

ché ci dispiace sia terminato. Ogni ingrediente

plessi in fatto di adolescenti come il rapporto

come E.T.), i piccoli escamotage narrativi come

viene dosato nella giusta misura e il ritmo non

genitori-figli, così come fenomeni collaterali e

il filmino in super 8 (un appunto a tal proposi-

cade mai. Andateci voi e portate i bambini che

inevitabili per l’età: il primo amore. In una pic-

to: aspettate la fine dei titoli di testa, arriva una

conoscete. Per quanto mi riguarda, entra di

cola cittadina americana, un gruppo di adole-

divertente sorpresa).

dovere nella mia top 10 annuale.

114 PIG MAGAZINE


Cinema

Monsters Di Gareth Edwards. L’uscita di Monsters nelle nostre sale viene annunciata da tempo immemore e grazie al cielo lo vidi al Festival di Locarno l’anno scorso, altrimenti ora ci avrei perso le speranze. Monsters infatti era stato annunciato come un caso cinematografico, non tanto per la giovane età del regista (35 anni), quanto per la sua filosofia cinematografica. Edwards infatti già dal suo primo lavoro, Attila and The Hun, creò personalmente e in totale solitudine i 250 effetti speciali presenti nella pellicola. Monsters è suo figlio e frutto della sua follia solitaria. Il film è un science movie con inserti

di thriller e romantic-drama. Siamo ai confini del Messico: sei anni dopo che la NASA ha confermato la presenza aliena nello Spazio, una navicella di ritorno da una missione di raccolta campioni precipita in America Centrale. Iniziano a comparire sulla Terra forme di vita sconosciute e il territorio contaminato è messo in quarantena. La zona viene occupata dall’esercito che vive in un perenne stato di guerra contro le strane creature. Un giornalista e una ragazza in difficoltà si trovano a dover attraversare il territorio infetto per arrivare al confine U.S.A. Monsters rispetta i canoni di genere, confezionando

un buon film sull’invasione aliena e che ci riporta alla mente film recenti come District 9 e Cloverfield. Unico problema è che a differenza delle pellicole di Blomkamp e Reeves, Monsters ad un certo punto perde un po’ di vista l’obiettivo finale del film, per divagare su una love story tra i due protagonisti piuttosto snervante e inconcludente. Data la potenza delle immagini, forse ci si aspettava qualcosina di più a livello di trama da questo film, che comunque rimane un ottimo prodotto di genere. Edwards, dai, almeno la sceneggiatura delegala... cosa ti costerà mai?

Contagion Di Steven Soderbergh. Questo mese di settembre 2011 (sarà il panico da tracollo economico?) è “catastrofico” per le uscite: non parliamo di film da mettere alla gogna, ma di storie pressoché tutte incentrate su invasioni aliene e catastrofi. Il poliedrico Soderbergh sceglie per il suo ritorno in sala di parlare di epidemia. E' il giorno del Ringraziamento, una delle festività più commerciali al mondo, quando un virus incomincia la sua espansione per tutti e cinque i continenti. La paura presto dilaga e l'effetto domino che Soderbergh mette in scena sia di trama sia di regia ci fa entrare nel vivo della velocità con cui il mondo umano si trova improvvisamente annientato. La prima che incontriamo è Beth (Gwyneth Paltrow), che è di ritorno da un viaggio di affari a Hong Kong accompagnata da un gestore di casinò e da una modella: tutti sono colpiti da una strana malattia. Il marito di Beth (Matt Damon) si prende cura di lei, mentre le condizioni peggiorano. L'epidemia mette le radici e un'equipe di medici (tra cui Lawrence Fishburne e Kate Winslet) cerca una cura, mentre un temerario blogger alla ricerca della verità (Jude Law) vuole capire cosa ci sia sotto. Soderbergh dirige sapientemente l'azione, senza dimenticarsi il lato umano della narrazione: paura dell'ignoto e della morte che creano caos emotivo e sociale. Uno dei registi più eclettici dei nostri tempi, parte da un prodotto mainstream che mette in scena un disastro mondiale, ma finisce a compiere un'indagine introspettiva sull'uomo. Interessante come sempre.

115


Dvd

Di Valentina Barzaghi

Machete Di Robert Rodriguez e Ethan Maniquis. Ci sono film a cui non ci si può approcciare in modo troppo accademico e inamidato, film che bisogna avere il piacere di fruire in tutta la loro follia: Machete è uno di questi. Ne avevamo avuto un assaggio nel finto trailer con cui Rodriguez aveva aperto Grindhouse - Planet Terror, per non parlare del fatto che gli affezionati del regista ricorderanno il parallelo creato con lo zio Machete (fra

l’altro interpretato proprio da Trejo) in Spy Kids. Non ho finito... Machete consolida la tradizione “mex” del regista, recuperando e portando avanti la famigerata trilogia Mariachi. Ma Rodriguez fa un passo avanti... perché se fino ad oggi aveva ambientato i suoi film nella terra di confine, ora racconta i problemi legati al confine, quelli dell’immigrazione e della malavita. Non pensate ora che svisceri l’argomento rendendolo pesan-

te, perché in Machete tutto viene votato alla pura spettacolarizzazione, con tanto di armi armi armi, sparatorie, mutilazioni, fiumi di sangue e cattiveria a profusione. Se il genere già non vi piace-diverte e non siete pronti a vedere violenza estremizzata fine a se stessa, astenetevi. Se invece come me, amate il nonsense e la cattiveria giocata tanto da diventare divertente più che ansiolitica... beh... accomodatevi, è quello che fa per voi!

Fast and Furious 5 Di Justin Lin. Già lo so che starete pensando che il caldo estivo mi ha dato alla testa trovando Fast and Fourious 5 su queste pagine. Ma... ma... Non fate i prevenuti e lasciatemi spiegare. Vi domando: se andate al cinema a vedere Fast and Furious cosa vi aspettate? Macchine, topa, tipi tamarri che parlano come una gang a metà strada 116 PIG MAGAZINE

tra il rap e il delinquentello di quartiere (ma con tanti muscoli e testosterone in più), ferraglia, brum brum e sgommate. Assodato questo procediamo con l'analisi: Fast and Furious 5 ha tutto quello che vi aspettate, ma è anche in grado di tenere sempre alto il ritmo dell'azione e non fa nemmeno pasticci nella trama. La regia a metà strada

tra action e movie e videoclip amalgama bene il tutto senza sbavature. Risultato: lo spettatore si diverte. Al cinema si va anche per quello. E a Fast and Furious 5 non chiedevamo nulla di più. Consiglio: magari guardatevelo con gli amici maschi se siete ragazze. Un esperimento socio-culturale impagabile!


Serial Box

Di Marina Pierri

Once Upon a Time Nel senso stretto del termine. Dopo aver toccato a mani nude il cuore delle grandi saghe (Signore degli Anelli, Harry Potter e gli altri) cinema e tv si preparano a rimestare nel sacco di archetipi più capace di sempre: le favole. Il 2012 sarà l’anno di remake e riletture sul grande schermo, ma come sempre il piccolo si porta avanti e già quest’autunno arrivano “Grimm” e “Once Upon a Time”. La prima, come vuole il nome, prende ispirazione dalle storie dei narratori più gotici dell’infanzia, anche se in chiave più o meno realista: un detective scopre di discendere da un’antica setta preposta a difendere l’umanità da quei mostri delle vecchie fiabe. La schifezza è dietro l’angolo, ma chissà? Più interessante, invece “Once Upon a Time”, progetto dei due scrittori di Lost Kitsis e Horowitz che – pirandellianamente – racconta di personaggi amati come Biancaneve perduti ai giorni nostri, senza cognizione della loro vera identità.

Vola Pan Am, e poi rilassati al Playboy Club Se siete fan di “Mad Men”, vi sarete accorti che lo show dall’atmosfera vintage preferito di tutti si è preso una pausa gigantesca, saltando addirittura un anno di programmazione per problemi legali. Non sia mai, comunque, che gli studios si facciano sfuggire l’occasione: a settembre arrivano “Pan Am” e “The Playboy Club”, entrambi ambientati negli spumeggianti anni sessanta ed entrambi, pare, debitori della creazione di Matthew Weiner. Il primo esplorerà lo stile di vita (assai diverso da quello odierno) delle equipe di volo, il secondo quello delle iconiche conigliette di Hugh Hefner, in un club per soli uomini. Nelle due serie le donne, con le limitazioni e le costrizioni del caso, saranno in primo piano. Sicuramente c’è da aspettarsi un approccio riflessivo e drammatico: à la Mad Men, appunto. E dei costumi da urlo.

PIG consiglia:

Person of Interest C’è chi urla già al miracolo per il solo fatto che una delle due nuove serie targate J.J. Abrams (una delle menti principali dietro “Lost” e “Fringe”, che a gennaio uscirà con l’attesissima “Alcatraz”) sia stata creata da Jonathan Nolan. Chi è? No, nessuno, solo lo sceneggiatore di “Memento”, “The Prestige” e “Il cavaliere oscuro”, cioè solo il geniale fratello scrittore del regista Christopher Nolan. La combinazione è estremamente promettente, specie se pensate che la stella dello show sarà Michael Emerson, il perfido Benjamin Linus di “Lost”. L’unico rischio, forse, è la trama: un miliardario misterioso perfeziona un software per predire crimini futuri e si fa aiutare da un agente della CIA creduto morto da tutti. È vero, è uguale a “Minority Report” di Spielberg, o quasi; ma con un team come quello Abrams-Nolan, c’è da aspettarsi niente meno che una serie sublime.

117


Report

Di Valentina Barzaghi

Anche quest’anno PIG è stato a Locarno per uno dei suoi festival di cinema preferiti. La 64^ Edizione si è svolta all’insegna - come al solito d’altronde - di nuovi e interessantissimi titoli all’interno del panorama internazionale, ma non solo, visto che in Piazza Grande sono sfilati anche nomi del calibro di Harrison Ford, Isabelle Huppert, Daniel Craig, Abel Ferrara, Gerard Depardieu e molti altri. Tra anteprime internazionali e film più di nicchia, abbiamo visto davvero tantissimo. In queste pagine ve ne diamo un assaggio.

Drive Di Nicolas Winding Refn. Già presentato a Cannes 2011, in cui si è aggiudicato il Premio per la regia, Drive (Fuori Concorso a Locarno) è un film sublime nella storia e nella sua realizzazione. Ennesima buona prova di Ryan Gosling e Carey Mulligan davanti alla camera, per non parlare di quella di Nicolas Winding Refn - il cui nome a molti non dirà nulla, peccato, ma che ha scritto e diretto la serie Bronson, così come la trilogia Pusher - nella direzione. Di sicuro il miglior film del festival, probabilmente uno dei migliori che vedrete nei prossimi mesi - si spera - nei cinema.

Attack The Block Di Joe Cornish. In un'edizione dedicata all'"extra-terrestre", Attack the Block, opera cinematografica prima dell'autore e regista tv inglese Joe Cornish, è stata di sicuro la più originale. Azione e avventura si intrecciano in un quartiere di Londra invaso da feroci alieni, dove sarà una gang di giovani delinquentelli a dover sventare il pericolo. Marciando su musica hip hop e dovendo dimostrare di essere "veri duri", i cinque amici inizieranno una cruentissima battaglia, dove né risate né sangue vengono risparmiati.

Abrir Puertas y Ventanas Di Milagros Mumenthaler (Pardo d’Oro - Concorso Internazionale). Opera prima della regista argentina Milagros Mumenthaler, il film è la storia di tre sorelle che si trovano a trascorrere la fine di un’Estate da sole, dopo la morte della nonna che le ha cresciute. In una casa che ricorda alle ragazze tutto del loro passato e che non permette loro di andare avanti, le tre trascorrono le loro giornate tra divergenze caratteriali, screzi e piccole meschinità. Ognuna cercando il proprio futuro. Un film intimo e delicato, una storia di vita ordinaria, ma narrata soppesando momenti e dettagli. Un racconto che si fonda sui suoi personaggi, che vengono esplorati a fondo.

Bachir Lazhar Di Philippe Falardeau. Il film più commovente visto durante questa edizione del festival. Bachir Lazhar è un immigrato algerino che si trova a sostituire in una scuola una maestra impiccatasi dopo alcune accuse infondate. Bachir ha una vita parallela: quella da immigrato che chiede asilo politico e quella di “maestro-psicologo” in una classe ancora traumatizzata dagli eventi. Il regista Falardeau, durante la presentazione in Piazza Grande, ha detto che la storia ha come obiettivo quello di trasmettere alcuni concetti legati al tema immigrazione. Bene, se così fosse, il film non raggiunge il suo obiettivo. Bachir Lazhar è un film magnifico, ma che parla dell’elaborazione del lutto da parte di un gruppo di bambini e di come spesso sia difficile definire una veridicità e il limite delle accuse di molestia su minore. L’immigrazione rimane in secondo piano per tutto il film e, obiettivamente, non tocca e sensibilizza proprio nessuno. 118 PIG MAGAZINE


Le Havre Di Aki Kaurismaki. Kaurismaki è uno dei grandi artisti del nostro tempo. Il suo personale tocco nell’immagine è un marchio di fabbrica, così come le sue storie intelligenti, al passo coi tempi, con un messaggio profondo, ricche di quella sensibilità e humor che contraddistinguono anche i suoi personaggi. Marcel Marx è un ex scrittore bohémien che vive a Le Havre. Per tirare a campare fa il lucidascarpe e viene aiutato da tutti gli abitanti del microcosmo in cui vive. La moglie lo ama alla follia, ma si ammala e proprio durante la sua degenza in ospedale, il marito si mette ad aiutare un giovane immigrato africano scappato alle grinfie della polizia portuale. Un film che racconta come sia possibile combattere l’indifferenza con un po’ di umanità, buon senso, sfrontatezza e gioia. Bellissimo.

L’Estate di Giacomo Di Alessandro Comodin (Pardo d’Oro - Cineasti del Presente). Alessandro Comodin ha 28 anni ed è nato in un piccolo paese del Friuli. Il suo esordio alla regia è un’opera in cui molti di noi, cresciuti nelle campagne italiane, tra gite nei boschi e feste estive di paese, si potranno riconoscere. Giacomo ha 19 anni e trascorre la sua estate con l’amica Stefania. La gita di un giorno al fiume, potrebbe essere quella di un’estate intera, tanto il tempo sembra scorrere sereno e tranquillo. Giacomo è sordo. La sua amicizia con Stefania incomincia a prendere una piega sensuale, tanto inaspettata, quanto normale. Ma il tempo (o la vita, o le necessità di ciascuno, o le proprie paure) rimette tutto a posto. L’Estate di Giacomo è un film di una linearità disarmante, che non vive sull’originalità di una storia, ma sulla volontà di raccontare bene un frammento di vita. Non è un film ipocrita e forse per questo alla fine potreste dire “embè?”. Embè, è così che va.

Red State Di Kevin Smith. Non me la sento di registrare il nuovo film di Smith sotto la voce “porcata” perché gli farei un torto. Certo è che ha un inizio vertiginoso, per poi rimanere un po’ ingarbugliato in se stesso. Smith si cimenta in un thriller a sfondo religioso. Tre liceali trovano su internet il messaggio di una donna alla ricerca di avventure. La contattano e vanno all’appuntamento, ignari che l’annuncio sia l’esca di una setta religiosa alla ricerca di vittime sacrificali. La Polizia non tarda a scoprirlo e ne segue una battaglia feroce che ha come teatro la “casa parrocchia”. Smith deve essere stato obbligato ad andare a catechismo da piccolo, perché se in Dogma ironizzava sul tema, in Red State ne mostra la follia estremizzata. Lo fa rispettando i canoni di un genere che non manca di incupire, ma in cui il gioco dei bang bang finisce per sovrastare l’esame della pazzia. Da Smith volevamo qualcosa di più hardcore.

Cowboys and Aliens Di Jon Favreau. Prima di partire per il festival già correvano voci discordanti sul film che ha portato in Piazza Grande il cast e il regista pressoché al completo (Ford, Craig, Wilde e Favreau). Ecco... ora che l’ho visto, posso prendere posizione e stare con quelli che lo boicottano. Cowboys and Aliens è un minestrone fatto per giocare con gli effetti speciali, ma che rimane un blockbuster senza estro né di trama né di regia. Ci mancava solo che lo facessero in 3D per rendercelo del tutto indigesto. Sospeso tra Mission Impossible e La Guerra dei Mondi, mi sto ancora domandando se ne avevamo davvero bisogno di questa commistione di generi ingiustificata (sì, perché gli alieni non si capisce che cavolo ci stiamo a fare e perché). Si non è finita... perché tra tutti i film magnifici visti a Locarno quest’anno, solo uno è certo che arriverà in sala: questo.

119


Books and So

Di Rujana Rebernjak

Bunker Archeology Bunker Archeology ha fin da subito avuto un forte effetto su di me, che inizialmente non capivo. Pensandoci, ho realizzato che il fascino e il lieve timore che sentivo, sia stato dovuto al fatto che i bunker rappresentano sia la brutalità feroce di una guerra sia la brutale bellezza di un’architettura monolitica. Paul Virilio, filosofo e teorico, la cui formazione ha contribuito all’estrema profondità di questo libro, rivolge il suo sguardo

120 PIG MAGAZINE

ai bunker tedeschi lungo la costa francese. L’autore non si ferma soltanto ad esaminare fotograficamente quest’architettura radicale, ma cerca di condurre un’analisi sia in termini filosofici che concreti – partendo dalla geografia militare in generale per arrivare ai testi che esaminano il ruolo di Albert Speer, l’architetto di Hitler, nella sua ascesa al potere. Il risultato è un’enciclopedia di distruzione e bellezza che dimostra tutte

le contraddizioni dell’esistenza umana, nel tentativo di conservare una delle parti più spaventose del nostro passato. Titolo: Bunker Archeology Autore: Paul Virilio Casa editrice: Princeton Architectural Press Anno: 2010 Prezzo: 30 euro www.papress.com


The World of Madelon Vriesendorp L'unico ricordo che ho della Biennale Arte del 2009 è una piccola stanza con degli oggetti, di cui a loro volta ricordo solo un cane e una specie di fagiolo dorato. Essendo completamente ignorante in materia d'arte, quando due anni dopo ho preso in mano il libro di Madelon Vriesendorp non sapevo chi fosse, ma ho ritrovato quel cane assieme

ad altre migliaia di oggetti appartenenti al suo mondo. The World of Madelon Vriesendorp cerca di dare la giusta importanza a Madelon e di mettere a fuoco la sua incredibile produzione di disegni, quadri, giochi e oggetti, assieme ad alcuni testi che fanno emergere la persona che descrive il proprio lavoro come

la serietà del tutto e l'importanza delle cose non-serie. Titolo: The World of Madelon Vriesendorp Autore: Shumon - basara, Stephan Trüby Casa editrice: AA Publishing Anno: 2010 Prezzo: 30 euro www.aaschool.org

Civic City Cahier 1 e 2 Nonostante la collana Civic City, pubblicata da Bedford Press, sia arrivata ormai al terzo numero e stia per uscire pure il quarto, penso che leggendo soltanto i primi due, emerga in modo chiaro l'intento di questa ricerca. Il tentativo è quello di fornire una piattaforma per la discussione critica sul ruolo del design nella costruzione di una

nuova città sociale, attraverso brevi testi monografici ed interventi figurativi. I primi due numeri, rispettivamente Social Movements in the (Post-)Neoliberal City di Margit Mayer e Design and Democracy di Gui Bonsiepe, innalzano il dibattito dichiarato, cercando di mettere a fuoco quanto sia la democrazia attuale, che il sistema

economico influiscano sulla forma della città contemporanea. Titolo: Civic City Cahier 1, 2 Autori: AAVV Casa editrice: Bedford Press Anno: 2010 Prezzo: 10 euro www.bedfordpress.org

121




Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Quando le idee finiscono all’inferno, i remake camminano sulla terra. Xevious 3D Classic _ 3DS Ware Lo sparatutto verticale più amato dai giapponesi torna, dopo quasi 30 anni di assenza sugli schermi a tre dimensioni della nuova console Nintendo. Si potrebbe pensare che dopo tutti questi anni, una semlice trasposizione non sia utile a nessuno, ma il lavoro del 3D è superbo, e l’effetto di profondità è davvero notevole. L’astronave Solvalou sfreccia limpida e precisa nel cielo mentre dovrà fare attenzione sia alle forze d’aria che a quelle appostate sulla superficie del pianeta ostile. In definitiva, Xevious è un gioiello che non dovrebbe mancare nella collezione di nessuno, specialmente nella sua nuova veste dimensionale. Bastion _ Xbox Live Dal piccolo team dei Supergiant Games, un grande titolo tutto da scoprire. E’ un’avventura che mescola in modo sublime parti di RPG a parti tutorial, senza tralasciare nemmeno il più piccolo dettaglio. Anche se a prima vista potrebbe sembrare un semplice gioco in isometrica, non fatevi ingannare dalle apparenze. Bastion va visto in azione, dal vivo. Con il panorama che si compone man mano che si avanza lungo il percorso, con la possibilità di modificare i parametri di difficoltà bilanciando a piacimento il sapore della sfida. La voce narrante che segue paso passo le nostre gesta come fossimo in una fiaba vera e una grafica fumettosa a dir poco curatissima danno a questo gioco indie il massimo dei voti e ci fanno ben sperare per un sequel. Donkey Kong _ DSi Ware Ancora un titolo da scaricare, ancora un titolo che viene dal passato. Se avete già scaricato quella meraviglia che è The Legend of Zelda: Link’s Awakening DX, non potete fare a meno del classico che ha cambiato la storia dei vdeogames. Certo che a prima vista sembra proprio quel vecchio classico che con il suo bianco e nero ricorda tanto le cartucce del Gameboy. E in vece non è così! Donkey Kong si prepara a sorpren-

124 PIG MAGAZINE

derci e lo fa dopo aver superato con destrezza il quarto livello. Il gorilla si riprende la ragazza e via, apre la strada a tutta una serie di nuovi e inebrianti schemi. Da qui in poi è tutta una citazione, dal primo DK da sala giochi al JR dei Game & Watch. Gioco perfetto per trascorrere una manciata di minuti aspettando l’autobus o il metrò, permette anche il salvataggio per non perdere la priorità acquisita. Se pensavate di liquidare Donkey Kong con un’alzata di spalle, preparatevi a volerne uno. Anzi, una copia digitale! Sid Meier’s Pirates _ iPad Sembra proprio che questo gioco si rifiuti di andare in pensione. Fosse per noi lo avremmo già dimenticato anche perchè non è uno dei titoli più belli di Sid, ma è un segno del destino se lui continua a perseguitare il mondo con la sua eco. Colpa o merito dei film con Jack Sparrow si da il caso che Pirates sia comunque uno dei migliori titoli sui pirati in circolazione. La versione per iPad è stata poi rivisitata in modo del tutto organico alle aspettative di un 2011, la navigazione caraibica è piacevole e intuitiva così come i duelli e le prove “piratesche” da affrontare per dominare i sette mari. La parte grafica è curata a dovere mentre ambientazione e sfida fanno da gustoso contorno a questo Highlander digitale. In definitiva è un bel passatempo estivo e poi si sa, a chi non piace l’idea di cannoneggiare Tortuga bevendo un sorso di Grog? Corsari dei Caraibi _ Boardgame Piccola vendetta analogica nell’era digitale. Questa geniale scatola di cartone piena zeppa di navi e dobloni progettata da quelli della Z-Man Games è la giusta risposta a tutte le nostre tavolette elettriche e piccoli gioiellini a schermo piatto. Mettete una sera tra amici, togliete la corrente, accendete un paio di candele e lanciate i dadi. Uno dei più bei giochi da tavolo sui pirati aspetta solo di essere aperto sul tavolo della cucina. Al diavolo tutti i caricatori e le prese elettriche!


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Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

Campanellino è morta e Peter Pan è in vacanza. Limbo non è solo un brutto sogno, è un cocktail perfetto di pixel e arte. Su PS3 e Xbox. Ogni tanto capita. Capita che nel cielo una stella brilli più delle altre e capita che questa stella sia fatta di pixel. Capita che immagini e suoni vadano a comporre una piccola opera d’arte nel circoscritto spazio di un’idea perfetta. Un sogno che si forma come una costellazione di schemi legati l’uno all’altro senza interruzioni, senza pubblicità ne pause, senza caricamenti. Limbo è

126 PIG MAGAZINE

tutto questo ma anche di più. Nessun testo di spiegazione, nessun dialogo, nessuna gloriosa introduzione. Ne spade ne draghi ne punti esperienza. Solo un bimbo sperduto nella foresta. Inizia così uno dei giochi più belli di questo pallido 2011. Oscurità e suoni lontani, nessun colore a dare speranza e niente aiuti dall’esterno. La semplicità è qui così perfetta che basta iniziare a camminare

per capire tutto quello che c’è da capire, sempre con le orecchie tese a cogliere ogni possibilità. L’ambientazione è spaventosa: una natura appiccicosa e ostile ci spinge a fuggire il più lontano e il più in fretta possibile. Petrolio e nebbia, acqua ghiacciata e radici cattive. La cosa è presto chiara: se nessuno viene in nostro aiuto bisogna scappare o morire. Dall’inizio alla fine Limbo


riuscirà a sorprendervi e terrificarvi, non c’è pietà per i deboli e ogni errore costerà la vita del povero bambino sperduto. Campanellino è morta e Peter Pan è in vacanza, voi siete in balia della giungla più nera e ci sono creature che strisciano nell’ombra e tramano per uccidervi. Camminando nell’oscurità vedrete molte cose strane e riconoscerete le sagome di altri bambini, ma loro vi faranno del male, o almeno ci proveranno. Inutile chiamarli. E’ peggio. Non sono perduti come voi, vi assomigliano ma hanno altri piani e vivono nelle tane della palude. Mentre proseguite nella folle corsa verso la salvezza l’ambiente circostante cambierà. Diventerà ancora più duro, più industriale e più cattivo. Le trappole saranno dappertutto, elettriche, meccaniche, diaboliche. E’ un puzzle game che vi lascerà senza fiato, senza voce e senza parole. Anche se all’inizio gli enigmi vi sembreranno semplici ciò non vuol dire che non morirete. Eccome se morirete. Centinaia di volte. E’ previsto,

è necessario e vi insegnerà cosa è cattivo e cosa non lo è. Una specie di rinascita forzata, dove l’esperienza si baserà sulla sofferenza. E’ un attimo. Sarete decapitati, spezzati in due, schiacciati, impalati, spappolati. Ridotti a carne macinata e credetemi, non è così comune assistere alla macinazione di un ragazzino impaurito. I compiti sono elementari: schiacciare un bottone, saltare, spingere una leva, spostare una cassa, cose già fatte e già viste ma mai così, mai così legate all’anima stessa di una via di salvezza. L’emozione di Limbo è nella paura, quel sapore di curiosità e adrenalina che in pochi hanno saputo regalare attraverso un monitor. Andrete avanti attraverso fabbriche abbandonate e strade deserte, sopra vecchi edifici in rovina saltando da un pilone d’acciaio all’altro come se fosse in pericolo la vostra stessa sopravvivenza, con le mani sudate e gli occhi sbarrati. Il sound design farà il resto, lasciandovi a bocca aperta di fronte a mille piccoli suoni, dettagli insignificanti e

terribili che si riverberano sullo sfondo nero di un brutto sogno. Perché più di tutto Limbo assomiglia ad un sogno, non proprio un incubo, più vicino a quel tipo di sogni che non vorresti finissero ma che tutti avrebbero paura di sognare ancora. Limbo è una sfida allo stato dell’arte, pochissimo giochi indie sono riusciti li dove lui primeggia. La sua stella brilla forte di tutte le altre e lasciarselo scappare significa perdere un’occasione. Ogni minuto sarà una nuova scoperta, ogni passo fatto verso la salvezza sarà una gioia e un dolore, avvolti dalle tenebre avrete come unico compagno il vostro ingegno e la voglia di vivere. La speranza di un raggio di sole e di un volto amico, finalmente fuori da tutto questo orrore. Sempre sperando però che il buio non finisca tanto presto, e ne vorrete ancora. Non avrete mai visto nulla di simile ne mai più lo vedrete. Gustatevi ogni istante perché potrebbe essere l’ultimo. Targato Danimarca Playdead, lo trovate disponibile sui Marketplace Microsoft e Sony PS3.

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