PIG Mag 89

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Mensile. Numero 89, Febbraio 2011

Italia €5 - U.K. £6,50 - France €8 - Germany €9,30 Spain €8 - Greece €7,70 - Finland €8,50 - Malta €5,36 Japan ¥2.250 - Austria €8,90 - Portugal €6,40

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Tame Impala






Ciao 2011!

PIG Mag 89, Febbraio 2011 Publishers: Daniel & Simon Beckerman

Management Editor in Chief, Creative Director: Simon Beckerman Executive Editor: Valentina Barzaghi Assistant Creative Director: Piotr Niepsuj

Editorial Music: Giacomo De Poli (Depolique) Fashion: Fabiana Fierotti Cinema: Valentina Barzaghi Design, Art and New Media: Giovanni Cervi

Advertising James Robins - adv@pigmag.com Human Resources Barbara Simonetti Victoria Ebner Contributors for this issue Marco Braggion, Michela Biasibetti, Sara Ferron Cima, Quentin De Briey, Maciek Pozoga, Ana Kraš, Giovanni Duca, Ana De Gregorio, Manuela, Nadja, Arturo Gueret, Arthur Nelli, Paul Taine, Ben Millar Cole, Christina Sunbeam, Yara De Nicola, Russ Lee, Federica Baldino, Sidney Gaubelle, Ben Rayner. Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Matteo Convenevole, Sergio Ricciardone (Club to Club), Jean Corliano, Haras De Saint Vivien, Thierry, Alex, Thai.

Design: Maria Cristina Bastante Books: Rujana Rebernjak

Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com

Videogames: Janusz Daga

Direzione, Redazione e Amministrazione Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20143 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99

Contributing Editors Sean Michael Beolchini: Contributing Editor Ilaria Norsa: Contributing Fashion Editor Gaetano Scippa: Contributing Music Editor Marco Lombardo: Contributing Music Editor

Magazine Layout: Stefania Di Bello

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PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001 Sviluppo foto Speed Photo, via Imbriani 55/A - 20158 Milano Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46

Distribuzione per l’Italia SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20 Distribuzione per l’estero S.I.E.S. S.r.l. Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it PIG all’estero Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei seguenti DIESEL Store Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso. PIG Magazine è edita da B-arts editore s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.

Visita il nuovo sito web di PIG! E’ molto bello. www.pigmag.com



Sommario

Interviste:

72: Shackleton

56: Mary Katrantzou

64: Tame Impala Foto di copertina di Sean Michael Beolchini

60: Nikola Lezaic

Moda:

Street Files:

94: Nadja

80: Walden

46: Los Angeles

Foto di Quentin De Briey

Foto di Maciek Pozoga

Foto di Russ Lee

Regulars 12: Bands Around 16: Shop: Shakespeare and Company 18: Publisher: David Schoerner 20: Design: Dalla A alla ZP 22: PIG Files 24: Moda News 34: Moda: Saigon, 1927 38: Photographer of the Month: Marija Strajnic 108: Musica 114: Cinema 118: Books and So 120: Whaleless 122: Videogames

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FLOWER DISTRIBUTION SRL, via Bologna 220 10154 Torino ITALY - www.flowerdistribution.it - Tel / Fax +39 011 5684281


Š 2010 Spookshow Deluxe, Ltd.

P: Joe Hammeke

The sidestripe is a wave Tony skates in his own very special way. Trujillo is Vans Skateboarding.

Hellbilly mayhem is horrific yet perfect for Vans x Rob Zombie, Holiday 2010.

The fabric of cold weather style through five decades of Vans winter seasons for Holiday 2010.

A movement. A way of thinking. A reason for being. Vans, the original since 1966.


Š 2010 Vans, Inc.


Bands Around

Foto di Sidney Gaubelle

Wavves London Loves @ Plastic, Milano Nome? Wavves = Nathan Williams. Età? 2. Da dove vieni? Dallo spazio. Cos'hai nelle tasche? L’erba. Qual è il tuo vizio segreto? Non sarebbe più un segreto. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Mi piace Abe Vigoda e Smith Westerns. Di chi sei la reincarnazione? Satana? Rocky? The Fonz? Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Stevie (Pope, membro della band, ndr) aveva sopra il letto il poster dei Sublime e Dookie dei Green Day. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Giorgio Moroder...

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Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Jimmy Edgar Gheroartè, Corsico Milano Nome? Jimmy Edgar. Età? 27. Da dove vieni? Detroit. Cos'hai nelle tasche? Una collana con un crocifisso rovesciato che si é rotta alla stazione dei treni, un biglietto non usato per il treno, tre carte di credito e un anello di plastica a forma di ragno. Qual è il tuo vizio segreto? Non ho tanti segreti dei quali non parlo apertamente. Mi potresti vedere fumare. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Non mi sorprendono, ma gli Hercules And Love Affair fanno bella musica. Di chi sei la reincarnazione? Ataaliyah, un principe Egiziano che apriva la mente e rivelava la vita dopo la morte. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? David Bowie, Bauhaus e George Michael con gli occhi sbarrati come un demonio. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? AD Bourke - un mio buon amico di Roma. Sono anche un fan di Dario Argento, quindi naturalmente amo la disco.

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Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Nadia Says

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Foto di Christina Sunbeam

Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista Nadia Says, apolide consulente per riviste indipendenti e organizzatrice di feste ed eventi d’arti varie. so tutto quello che succede, a parte la deprimente scena politica internazionale. Mi interessa di più la Storia che i reality e mi sembra che l'informazione sia più propaganda che altro, o almeno che ci sia questa tendenza. Il mio mondo è fatto di bellissimi libri, musica, tecnologia, film indipendenti, marathon parties, mostre, performance e tutti qui bellissimi pensieri e avvenimenti che ravvivano la quotidianità. Non ho nessuna idea di come le persone possano vivere nel mondo "mainstream", sembra così premasticato, povero e noioso. Cosa rispondi a chi ti chiede che lavoro fai? Che faccio molte cose! Se sono in una situazione lavorativa parlo del lavoro di marketing e consulenza che faccio per riviste di arte e moda. In situazioni meno formali parlo degli eventi che organizzo, come Festee che è una piattaforma multimediale di arti varie, o i party autistic/artistic e culturali che porto negli squat o in altri spazi alternativi berlinesi, come St Georg o Stattbad. Qualche artista da suggerire? Oddio, così tanti! Musica: Duologue, Welove, Marc Houle, Sick Girls, Douce Angoisse e poi il grande ritorno della disco music con dj tipo Salto Mortale o Salysol. Per l'arte sto seguendo con attenzione un po' di talentuose ragazze berlinesi: Alice Morey, Victoria S. Macdonnell, Solène Garnier, Mary Ocher, George Ironside, Mymo, Sophie Iremonger e Megg Morales. Adoro che siano così diverse l’una dall’altra (musica, visual art, performance, teatro, scrittura, graffiti, etc) ma accomunate dalla stessa urgenza espressiva cruda e istintiva. Cosa succederà nel tuo mondo? E nei tuoi Com'era la tua vita fino a tre anni fa? E da

la possibilità di sviluppare la mente: la Bay

sogni?

allora?

Area in California, Berlino Est e Hackney Wick

Nei miei sogni vivremo tutti con gli Orsetti del

Tre anni fa lavoravo in una rivista di lifestyle in

a Londra.

Cuore al di là dell'arcobaleno.

Inghilterra, ero molto impegnata e non avevo

La vita si muove tranquillamente in questi tre

In un futuro più realistico continuerò a occu-

tempo per me stessa. Poi mi son trasferita nella

posti, la gente ha tempo di lavorare a progetti

parmi di riviste indipendenti e organizzazione

bellissima Berlino, ho smesso di lavorare full

personali, di conoscersi e di interagire con la

di eventi. Spero di continuare a far crescere le

time e ho ricominciato a organizzare eventi.

scena artistica che li circonda.

piattaforme culturali su cui sto già lavorando e

Hai vissuto in nazioni diverse e viaggi molto,

Musica, video, arte, parties, che sta succe-

di far conoscere sempre più al mondo la quali-

dove ti senti "artisticamente" a casa?

dendo nel mondo? E nel Tuo mondo?

tà dei lifestyle e dell'arte di cui mi prendo cura.

Mi sento casa in posti spaziosi, non necessaria-

Nel mondo? Penso molte cose. Io non impazzi-

www.facebook.com/people/Nadia-

mente dal punto di vista fisico, ma che diano

sco per i social network, la tv etc etc, così non

Says/707577690

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Shop

Intervista a David Delannet di Federica Baldino

Shakespeare and Company Un ex monastero diventato libreria, un vero paradiso per gli amanti della lettura. Siamo a Parigi di fianco a Notre Dame. Tra le ultime uscite, testi impolverati in francese e ottima importazione in lingua inglese, qualcosa da

HORNE at Shake&Co © Lauren Goldenberg

comprare si trova sempre. “Be not inhospitable to strangers lest they be angels in diguise”, questo è il loro motto!

Ciao David come stai? Bene grazie. Tu? Bene.Qual è il tuo ruolo da Shakespeare and Company? Ero uno dei tre co-direttori del festival letterario che si è svolto lo scorso giugno, ma sopratutto aiuto Sylvia, la proprietaria, a gestire il negozio. Sono curiosa di sapere come si svolgono le giornate in questo paradiso pieno di libri e polvere.... Il negozio apre alle 10, i Tumbleweeds (nome dato ai residenti che dormono nel negozio) sono i primi a svegliarsi e ad aprire. Sylvia inizia a correre su e giù per la libreria con clienti, visitatori, amici, artisti. Tutto così fino alle 23. I Tumbleweeds vivono realmente dentro la libreria? Si si. Aiutano, ma soprattutto scrivono, scri-

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vono, scrivono, e in queste pagine raccontano la loro vita all’interno di questa sorta di factory. Abbiamo oltre 20.000 biografie al piano di sopra nell’appartamento di George. Chi è George? Un altro inquilino? George è il fondatore della libreria. L’aprì nel 1951 e da allora è diventato un vero e proprio rifugio per gli scrittori (tanto che, come ho già detto, possono fermarsi anche a dormire); lui la vedeva come una Socialist Utopia masquarading. Sylvia veniva in libreria per vedere Lawrence Durrel. La vostra Clientela? 1/3 studenti,1/3 turisti. Ma soprattutto appassionati. Che musica ascoltate? Krystel Warren, Janelle Monae, Talking Heads, Moriaty e poi tanto jazz e classica.

“Be not inhospitable to strangers lest they be angels in diguise”... La frase è di Yeats ed ha a che fare con i residenti. E’ la filosofia della nostra libreria. Ogni nuova persona nella nostra vita potrebbe essere un angelo. Eventi presenti e futuri? Facciamo eventi ogni lunedì sera alle 19. Lunedì scorso abbiamo avuto Adam Thirwell, un giovane scrittore britannico. David mi lascia perchè è in ritardo, deve andare al compleanno di un suo amico, ma prima di andar via ci ha invitato tutti alla festa letteraria che si terrà il 16 giugno. Shakespeare and Company 37 rue de la Bûcherie, 75005 Paris www.shakespeareandcompany.com



Publisher

Intervista di Rujana Rebernjak. Foto di Giovanni Duca

David Schoerner Nell’epoca della crescita esponenziale di piccole case editrici, Hassla Books è riuscita a lasciare un segno in questa marea di pubblicazioni indipendenti. Come ce l’hanno fatta lo racconta il suo fondatore David Schoerner. Com'è nata Hassla Books? Hassla è nata dal mio amore per i libri e per l'editoria. Stavo lavorando da un po' di tempo al progetto di una rivista, ma avevo capito che preferivo la forma di un libro. Inoltre, era un modo per distribuire il mio lavoro e lavorare con gli artisti che ammiravo. Che tipo di pubblicazioni tratta Hassla?

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Accessibili edizioni limitate dei libri d'artista. Molte delle pubblicazioni di Hassla sono fotografiche, dato che questo è il mio background ed il campo in cui ho più conoscenze. Comunque, non è una photo press. Abbiamo anche pubblicato libri di disegni, pittura e collage. Come scegli i libri da pubblicare?

Non esiste un’ unica strada. Dopo aver visto il lavoro di un artista in una mostra, in una galleria o in un libro e dopo essere diventato più familiare con il suo lavoro, cerco di mettermi in contatto con lui. A volte gli artisti con cui ho lavorato in passato vengono da me con i loro nuovi progetti oppure mi viene consigliato qualcosa. Al momento non accettiamo nuovi progetti data la dimensione di Hassla. Qual è la tua idea di editoria indipendente? Creare i libri che sia io che l'artista vorremmo. Come si distingue Hassla da altre case editrici indipendenti? Tutto dipende dall'artista con il quale stiamo lavorando al momento. Cerchiamo di lavorare soltanto su un libro alla volta in modo che ogni progetto possa ricevere la giusta attenzione. Hassla è un insieme di libri molto curato e siamo molto selettivi con i progetti che pubblichiamo. Tutti i nostri libri sono stampati con cura, ma allo stesso tempo accessibili a molti. Come pensi si possa evolvere l'editoria con l'avvento delle tecnologie digitali? Non penso molto a queste tecnologie. Il libro stampato continuerà a fiorire, soprattutto con i libri d'artista. Un'immagine su uno schermo non è la stessa cosa come la stampa attaccata al muro o un libro stampato. Ogni anno ci sono sempre più editori indipendenti. Forse non sarà così redditizio come in passato, però il libro stampato continuerà ad esistere. Detto questo, sto pensando di pubblicare i libri fuori stampa in un formato elettronico, in modo da permettere ad altre persone di vederli. Quali sono i tuoi futuri progetti? Firework Studies di Pierre Le Hors è in stampa adesso e sarà disponibile all'inizio del prossimo anno. Stiamo lavorando anche sui libri di Lucas Blalock e Torbjorn Rodland. Ti occupi di qualcos'altro oltre a Hassla? Sono un artista anch'io e lavoro in un'agenzia fotografica. C'è un libro che puoi consigliare? Recentemente mi è piaciuto molto il libro Lynn Valley 6 di Roe Etheridge e Cheyney Thompson.


THE MAIKII BOX 8ICONS WORLDA-PORTER

Blog: www.maikiibox.com | Shop: www.maiworld.com


Design

Intervista a ZPstudio di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

Dalla A alla ZP Dalla A di architettura in poi. ZPstudio – le iniziali sono quelle di Matteo Zetti ed Eva Parigi progetta spazi e oggetti, con una concezione totale del design. Autoprodotto o serializzato: la cura è la stessa, in ogni dettaglio perché anche la bellezza è una forma di utilità. Guardano all’arte contemporanea, all’architettura radicale, alla poesia del design giapponese. E reinterpretano in maniera originale, giocando con i materiali: dai tubi alla porcellana.

Easy Cup, copribicchiere in PVC, Easy Tech Collection

Ciao Eva, raccontaci qualcosa di voi. Descrivetevi in tre o quattro parole. Siamo due “absolute beginners” di professione. Dove vivete? A firenze, in una specie di attico con vista sui binari, dopo molti anni vissuti nel centro storico, zona pedonale. Come è lo studio dove lavorate? Affollato, riposante. Che cos’è il design per voi?

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Ironia, leggerezza, funzionalità... anche se la migliore definizione di sempre rimane la 3F di Achille Castiglioni: Form Follows Fun. Credete che il design debba per forza essere utile? Senz’altro, ma a patto che anche la bellezza da sola sia considerata di per sè utilità. Quali sono le vostre fonti d’ispirazione? La vita quotidiana, l’attualità e l’osservazione delle persone. Hanno detto che la nuova generazione

dei designer italiani è quella “figlia degli allievi dei maestri”. Sembra un po’ demoralizzante vista in questi termini. Che cosa ne pensate? Non la condividiamo molto, in realtà la lezione dei grandi maestri del design continua ad essere familiare a molti, anche se per via indiretta e seguendo percorsi meno lineari; e da questo filo continua a nascere la passione che ci muove. Nel nostro caso, se proprio vogliamo individuare una ‘filiazione’


va fatta una virata a 180° sul piano del progetto architettonico: la nostra formazione è avvenuta infatti sulla scia più o meno diretta di quella generazione di architetti visionari chiamata ‘Radicals’, che si affermarono a Firenze nei 70 per poi esportare nel mondo le loro utopistiche e formidabili prefigurazioni, in molti casi più che mai attuali. Tra designer e artisti contemporanei chi sono i “colleghi” che ammirate? Molti, tra tutti Luca Nichetto per la micidiale esattezza delle forme, e i giapponesi (che poesia, si vede che provengono da una società basata sul rispetto!). Siamo attenti osservatori dell’arte contemporanea, tutta, e crediamo che separare arte e design sia ormai una forzatura nata dal bisogno di catalogare azioni ed oggetti, più che una reale differenza creativa/operativa. Mi piace molto lo spirito della vostra easy tech collection. Mi raccontate qualcosa su questa serie di oggetti? Questa collezione nasce inizialmente non con fini commerciali, ma come raccoglitore ‘minimo’ per una serie di idee che non rispondevano alle logiche e ai requisiti della produzione industriale seriale: progetti al di fuori dei principali segmenti di vendita, cui però ci dispiaceva negare uno sbocco nella realtà. Dopo un periodo di gestazione, queste idee si sono materializzate in una serie autoprodotta di oggetti semplici e ironici, ciascuno con una storia da raccontare, complementi d’arredo pensati come azioni che reinterpretano oggetti e materiali (principalmente industriali) direttamente mutuati dal quotidiano. Pensiamo che questa operazione in qualche modo contribuisca alla diffusa riflessione sul sovraffollamento post-consumistico, e intende suggerire l’attenzione verso una manualità che interviene a posteriori su elementi già esistenti. Molti dei vostri progetti sono prodotti a livello industriale. Com’ è il rapporto con le aziende? come funziona in italia? Collaborare con un’ azienda è l’esperienza più formativa in assoluto, da cui possono nascere inesauribili patrimoni, sopratutto quando tra azienda e designer si stringe tacitamente una dichiarazione di fiducia reciproca quasi totale, condizione rara ma nient’affatto impossibile. In questo momento il mondo della produzione in Italia dovrebbe forse credere maggiormente nel design come “investimento sicuro”, come valore aggiunto capace di superare (perfino!) la crisi. La lampada “Visitors” esiste in due versioni: quella “easy tech” realizzata con

Manica a Luce, lampada a sospensione, Easy Tech Collection

Led Carpet, tappeto luminoso, prototipo realizzato da Parentesi Quadra

il tubo e quella in porcellana. Com’ è la cronologia dei progetti? E’ stato difficile cambiare materiale/adattare l’oggetto? Gli oggetti nascono grazie ad un’intuizione improvvisa, ma poi subiscono un grande lavoro di post produzione. Curiamo molto la produzione, che in quanto artigianale deve essere seguita attentamente; progettiamo l’immagine coordinata di ogni oggetto, che sempre deve comunicare i valori e le suggestioni che l’ha ispirato. La lampada ottenuta

dal tubo in pvc è frutto di un ribaltamento funzionale e di significato, lo stampo in delicata porcellana aggiunge un ulteriore grado di astrazione e contrasto al progetto. Immaginate di non essere dei designer che lavoro avreste fatto in alternativa? Io di certo la sociologa, non credo esista scienza più affascinante. Matteo… l’astronauta. www.zpstudio.it

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Monkey business Di Igor Chak avevamo già pubblicato la libreria ispirata al superclassico arcade Space Invaders. La sua ossessione per i vecchi videogames l'ha spinto verso un altro caposaldo degli anni ‘80, Donkey Kong. Ideale per la collezione di Dylan Dog e Spray Liz. Siete pronti a saltare barili? www.igorchak.com

Magic carpet ride

Tempi moderni

Et voilà, l’animazione da salotto è servita. Clarke Hopkins Clarke Architects da Melbourne hanno pensato a un progetto combo: un tappeto con delle carpe, simbolo di coraggio e fortuna, stilizzate sopra e un tavolino in vetro che permette di vederle animarsi. E per una volta se vediamo cose strane non sarà colpa dell’acool... melbournearchitects.blogspot.com

Lo scorrere del tempo scandisce le nostre esistenze. A volte però è meglio non soffermarsi sulle lancette, ci inchiodano ai nostri doveri come se ci mettessero in croce. Ecco una soluzione alternativa dagli israeliani di Studio Ve, un orologio da muro a ventaglio in 3D. Per un futuro più ricco di colore e tempo libero, si spera. www.studiove.com

Abyss Tutto nasce da un Rum aromatizzato al sapore dei mostri abissali. Da lì è nata una linea di accessori dall’estetica settecentesca che rimandano e creature misteriose e sapori scomparsi. Per esploratori moderni e avventurieri postromantici. Nulla sarà come prima dopo aver visto il Kraken, se sopravviverete... krakenrumstore.com 22 PIG MAGAZINE


Io sto con gli ippopotami 15cm di ippopotamo anarchico in porcellana. Dalla mente del master of toys Frank Kozic ecco la nuova frontiera dell'action figure in materiale nobile ed estetica contemporanea. La rivoluzione si fa strada nelle botteghe più esclusive, la perdizione è servita. E dell'ippopotamo, come del Maiale, non si butta via niente, ricordatelo bene. www.artandtoys.com

Deep water

Millenium

Dagli ultimi Iida awards ecco c-water di Chao Gau. Un semplice ed efficace sistema per purificare l’acqua che funziona a celle solari. Idea doverosa da divilgare, che salverà vite. Perché non si può sempre tirare a campare, ci vuole anche della sana acqua a volte. www.iida.kr

Il design del terzo millennio è dominato dei Led. La nuova tecnologia ha permesso di fare un upgrade a quelli che una volta chiamavamo lampadari. Sparks di Daniel Becker ne è un esempio, punti luce modulabili, che crescono, si aggrovigliano, si direzionano, come fossero luci fatte mangrovia. Queste le foreste del 2050? www.danielbecker.eu

Inprinting Cero9, giovane ma affermato studio spagnolo, si è confrontato col mondo della carta e della stampa. Ha creato una struttura a raggiera, con spazi perfetti, luce diurna e artificiale perfetta, angoli sconclusionati, modernità perfetta. Non dovrebbe sempre essere così? www.cero9.com

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Feature on Designer: Everlasting Sprout www.everlasting-sprout.com - Intervista a Keiichi Muramatsu di Sara Ferron Cima

Giapponese di nome e di fatto, ma anche “un po’ italiana” per scelta, Keiichi ha accurato le sue abilità nel knitwear proprio da noi e come lei stessa ci fa capire non vede l’ora di tornare in Italia per iniziare una collaborazione tutta all’insegna del “Hand-made”. Le sue creazioni sono il risultato di uno studio approfondito sulla maglieria e le sue collezioni ci riportano indietro nel tempo, quasi a ricordare vaghe dimensioni oniriche, lontane dal caos e dai rumori assordanti della metropoli… Ciao Keiichi, piacere di conoscerti! Cominciamo subito parlando un po’ di te, del tuo background culturale e soprattutto della tua passione per la moda. Dunque, mi sono laureata in Knitwear al dipartimento universitario Bunka Fashion College nel 2003, dopodiché ho fatto uno stage in Italia nel gruppo LineaPiù. Dopo essere tornata in Giappone ho creato il mio marchio e l’ho chiamato “Everlasting Sprout”. La mia prima collezione risale al 2005 e nel 2008 sono stata scelta come finalista per il premio “The Woolmark Prize”. Oltre a seguire le collezioni, creo costumi teatrali e dipingo. Adoro l’arte in tutti i suoi aspetti e ritengo che la moda non sia altro che una sua evoluzione, per me è il mezzo che mi permette di esprimere a pieno me stessa. Da dove trai ispirazione? Dalle mie stesse esperienze personali, da immagini della mia vita e soprattutto dai sentimenti. Dove è basata la

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tua produzione? Non mi dire in Cina eh… Produco tutto a Tokyo, la Cina forse è adatta alla produzione di massa, ma per lavorazioni di maglieria non so se ha ancora raggiunto un certo livello adeguato di Know-How. Come definiresti la tua collezione primavera-estate 2011? A chi è indirizzata soprattutto? Il tema della collezione è “Over the blue” e vuole trasmettere la speranza e la voglia di capire cosa c’è al di là del cielo. E’ dedicata alle donne che lavorano duro e che corrono ogni giorno in questa giungla urbana , senza perdere la speranza e la serenità interiore. Possiamo definire il mercato della moda come molto competitivo, soprattutto per brand neo/emergenti. Il tuo marchio risente di questa competizione? Credo che la domanda riguardo la moda in Giappone sia imprevedibile e soprattutto molto diversificata, per questo, nonostante ci siano molti neo-marchi ogni piccolo

settore viene “accontentato”. Pensi di espanderti anche nel “Vecchio continente”? Sicuramente un prodotto come il tuo funzionerebbe da noi. Lo prendo come un suggerimento e una spinta per impegnarmi ad espandermi anche in Italia! In ogni caso il mio obiettivo è proprio questo: vorrei trasmettere in Giappone e perché no, al resto del mondo, la cultura della maglieria tradizionale; in Italia questo è già realtà e infatti il mio sogno è quello di collaborare in un progetto di maglieria italo-giapponese. E noi, quando il tuo sogno si avvererà saremo qui a supportarti! Comunque, per oggi che programmi hai? Cosa farai dopo questa intervista? Per oggi nessun progetto grandioso… Andrò in biblioteca a rilassarmi e a leggere qualche libro… E chissà, magari trovo ispirazione per la nuova collezione! Bene, allora ti auguro in bocca al lupo e grazie mille per la tua disponibilità!



Blog of the Month: Cat Party ilovecatparty.blogspot.com - Intervista di Fabiana Fierotti Chelsea e Megan sono due amiche cresciute in una cittadina della California quasi completamente popolata da hippies. Diventate grandi, sognano la moda e la fanno, con un blog che fa le fusa e una rivista tutta al femminile. Ciao Chelsea, ciao Megan! Come state? Alla grande, grazie! Quanti anni avete e dove siete nate? Chelsea: 26 Megan: 27. Siamo entrambe cresciute ad Arcata, una piccola cittadina nel nord della California. Dove vivete adesso? M: Io vivo a Portland, Chelsea a New York. Quando è iniziata la vostra amicizia? C: Al liceo. Megan era una classe avanti alla mia e pensavo che fosse fighissima! Adesso siamo amiche da più di dieci anni. Perchè avete deciso di avere un blog? C: Volevo un blog perchè ho sempre amato i vestiti, la fotografia di moda, tutto questo mondo! E poi ho delle opinioni molto forti

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che sento il bisogno di condividere con tutti. Ho chiesto a Megan di aiutarmi perchè ha un gusto davvero fantastico. Come mai questa passione per i gatti? M: Il nome del blog in realtà è stato abbastanza arbitrario inizialmente, abbiamo solo pensato che suonasse divertente! Ma entrambe amiamo i gatti così abbiamo iniziato ad integrare contenuti più "felini" e alla gente è piaciuto. Ma per rispondere più accuratamente alla tua domanda, i gatti sono gli animali migliori! C: Come puoi non essere ossessionata da loro? Ho visto che avete anche una rivista, Chelsea, di cosa si tratta?

C: Ho sempre amato le riviste e ho sempre voluto lavorare nell'editoria di moda. Non sapevo esattamente come entrare a far parte di quel mondo così ho semplicemente deciso di farne una mia! Ma la faccio anche perchè mi piace avere un'immensa quantità di potere creativo nelle mie mani, sono una Vergine! E' distribuita in Europa? C: Purtroppo no ma potete comprarla su www.chelseamagazine.us o nello store di Megan, Summerland (www.shop-summerland.com) Volete aggiungere qualcos'altro? M: Leggete il blog! C: E mandateci un sacco di regali gratis! M: Amiamo i diamanti e i formaggi costosi.


energie.it


Samuji Ormai è certo, Svezia e Finlandia sfornano continuamente nuovi talenti. Proprio ad Helsinki nasce Samuji, brand o meglio collettivo creativo, come amano definirsi, che si concetra sull'essenziale e il funzionale. E' per questo che si propone come obiettivo la sostenibilità del design, ovvero abiti che durino nel tempo, da una stagione all'altra, che possano raccontare una storia senza passare mai di moda. Davvero... nordico. www.samuji.com F.F.

To Be Adored TBA nasce nel 2009 da un’idea di Binbin McNiven. Da allora la designer ha lavorato sodo per far si che il brand mantenesse costante il suo stile sofisticato, femminile, chic. Uno stile retro, sulla scia degli anni ‘60, si unisce a un gusto vagamente vittoriano, ricreando atmosfere eleganti e gioiose. La collezione ss11, “To Be Adored” parla da sè, è davvero... adorabile. www. ilovetba.com F.F.

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Play With Lanvin Se vi state facendo cogliere dalla sindrome invernale casacoperta-tè, un passatempo dovrete pure trovarvelo oltre youtube, facebook e le serie tv (tanto lo sappiamo che i libri non li guardate nemmeno su!). Organizzatevi un bel poker firmato Lanvin. Anche l'occhio vuole la sua parte del resto. www.lanvin.com F.F.


Tosca Delfino Sicuramente qualcuno di voi avrà in programma una bella vacanza esotica quest'inverno. E allora ecco un piccolo suggerimento per il costume. Tosca Delfino ha appena debuttato alla Rosemount Australian Fashion Week e ha già conquistato i nostri cuori. Gusto vintage e contemporaneità, gli ingredienti perfetti. www.toscadelfino.com F.F.

Upstate Upstate è il risultato del lavoro di tre ragazzi appartenenti al mondo della moda in campi diversi: Atrid Chastka, designer, Kalen Kaminski, stylist, Nicholas Ozgunay, artista. I tre hanno unito le loro abilità in un brand che focalizza il suo centro nel tie-dye, su tessuti come la seta grezza, il cotone e la viscosa. Le tecniche usate sono l' Arashi shibori e l'Itajime shibori. Visitate il sito www.youreupstate. com F.F.

Only In Dreams Blak Basics è proprio una linea disegnata per le ragazze. E questo era l'intento della designer Teresa Hodges, che ha iniziato fin da piccola a collezionare vestiti e tessuti vintage, sicura del suo futuro e della sua vocazione alla moda. La sua ultima collezione si ispira al sogno, un sogno in cui tutto è possibile. I tessuti sono morbidi, delicati, così come i colori. Un guardaroba perfetto per la primavera. www.blak.co.nz F.F.

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Living / Light Brenda Harvey, designer del brand Benah, ha pensato ad un tema molto interessante per la sua collezione ss11. Basandosi dapprima sul semplice concetto di vita e luce, ne ha esplorato le varie accezioni fino ad arrivare ad un'analisi degli aspetti positivi e negativi della luce stessa, vista come forza vitale. Usando forme lineari, Brenda ha costruito una collezione strutturata semplicemente con dettagli al contrario elaborati. Bellissime le stampe ispirate ai paesaggi di Palm Springs. www.thebenah.com F.F.

David Koma For Topshop Amanti delle code alle 4.00 del mattino, questo è il vostro turno. Preparate sacchi a pelo e litri di caffè caldo perchè il 18 Febbraio, negli store Topshop di Oxford Circus (Londra) e New York, potrete aggiudicarvi un pezzo della collezione realizzata appositamente da David Koma. Il designer, che da sempre si ispira al contrasto tra la durezza del metallo e la femminilità, ripropone i concetti chiave della sua estetica. E poi, sapete? I prezzi saranno bassissimi! Vi diamo anche una dritta: chi non è proprio così coraggioso da affrontare il freddo, potrà comodamente acquistare da casa, ma ci vorrà decisamente più fortuna: www.topshop.com www.davidkoma.com F.F.

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Like A Natural Woman Quando ci si trova davanti a della lingerie così, non si può fare a meno di ringraziare di essere donne. Hopeless, brand creato da Gabrielle e Dominique Adamidis, è un concentrato di seta, chiffon, georgette, cotone impalpabile, raffinata bellezza. Tutti i pezzi sono interamente fatti a mano e potete acquistarli sul sito: hopelesslingerie.bigcartel.com F.F.


Live From Asia

Di Sara Ferron Cima

Ultima puntata con la moda asiatica. La nostra amica Sara é appena tornata da Shanghai; sentirete ancora parlare di lei nei prossimi mesi sulle pagine di PIG.

Exception de Mixmind

Chinese Shoes

Così come ci ricorda il nome, questo brand è il risultato vincente di un

Definite in tanti modi (Chinese Mary Jane, Kung Fu shoes, Thai Chi shoes…) ma con un unico comune denominatore: tradizione e comfort. Oggi vengono prodotte in colori e materiali differenti, ma in qualsiasi modo le troviamo ci ricordano sempre la Cina di un tempo. Attualmente la loro popolarità esula dai cinesi di ultima generazione, forse perché le antiche leggende narrano che i defunti dovevano essere sepolti con un paio di queste scarpe (perché potessero camminare comodi nell’aldilà) ma in ogni caso, noi le abbiamo rivalutate molto... Inoltre sono talmente economiche e carine che “la scarpa vale la candela”.

“mix di menti”. Fondato nel 1996 a Guangzhou con lo scopo di dare emancipazione alla donna contemporanea cinese e soprattutto di diffondere la voglia di libertà intellettuale, oggigiorno conta più di 70 monomarca in tutta la Cina. Per più di un decennio questo marchio si è distinto non solo per lo spirito originale ma anche per l’innovazione adottata nello studio dei tessuti. In virtù del suo pensiero filosofico e della sua ricerca estetica, ci ricorda come in fondo, dietro ad ogni griffe di moda ci sia anche una sana volontà di espressione che esula dai più scontati motivi economici. www.mixmind.com.cn

Shiatzy Chen Moca + Chanel = Culture Chanel Dopo il successo della collezione 2009-2010 Paris-Shanghai, Lagerfeld ha voluto omaggiare nuovamente la città cinese con niente popò di meno che una mostra al Moca, dedicata all’universo Culturale della fondatrice della Maison. Grazie a Jean Louis-Froment, figura di spicco nell’arte contemporanea odierna e al direttore della galleria Samuel Kung, dal 15 Gennaio al 14 Marzo sarà possibile visitare, anche solo per qualche istante il magico mondo di Coco. culture.chanel.cn

Più di 30 anni di storia per il marchio Taiwanese nato nel 1978 a Taipei e cresciuto a vista d’occhio in tutta l’Asia. Il nome significa “the new look of China” e a vedere quello che viene prodotto dalla sua direttrice creativa Wang-Chen Tsai-Hsia, sembrerebbe davvero così. Una maison di tutto rispetto che non si limita alla moda donna ma anzi continua ad espandersi in territori nuovi come quelli del menswear e del house wear. Per questa primavera-estate ci propone organze, sete e chiffon, il tutto in trasparenze sexy, con un tocco di bon-ton. L’ispirazione è data dal gioco delle ombre cinesi, un vedo/non vedo che anche a noi piace sempre molto. www.shiatzychen.com

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I said menswear!

Di Michela Biasibetti

Sacai Sacai è un brand giapponese fondato da Chitose Abe, la cui esperienza professionale viene da otto anni di lavoro per Comme des Garcons. La designer ha deciso di dare il via ad un marchio tutto suo, inizialmente concentrandosi sulla collezione donna, fino ad inaugurare nel 2009 la linea menswear. Capi accuratamente confezionati, costituiti da materiali delicati e pregiati quali tulle, seta e cotone. Ognuno arricchito da dettagli che conferiscono un tocco di eleganza tipico delle creazioni di Abe. Purtroppo non abbiamo trovato un sito internet per il brand, ma potete comunque dare un'occhiata alla collezione su www.colette.fr

Formale Formale nasce dalla volontà di Luca Santilli di fondere la tradizione manifatturiera italiana e l’eleganza tipica della scarpa inglese. La linea, interamente realizzata da aziende artigiane italiane, prevede la realizzazione di ogni modello tramite l’applicazione di singoli pezzi di pelle montati su forma anatomica, essendo così in grado di conferire alla scarpa i tratti desiderati. Si avvale di una delle più antiche lavorazioni, la blake rapid. La modalità prevede l’unione di sottopiede, fodera e tomaia alla prima suola e in un secondo momento la cucitura, realizzata direttamente sulla forma, unisce il tutto alla seconda suola. Da qui la creazione di una linea di scarpe in vitello e camoscio, caratterizzata da tratti essenziali, che si colloca tra formale e casual. www.formale.it

Che pioggia sia! Tenue de Nimes incontra London Undercover. Dalla specializzazione di entrambi i brand nasce un ombrello in denim e manico in faggio. La lavorazione artigianale su legno conduce a un’illustrazione floreale realizzata dall’artista giapponese Hiyoko Imai. Un incontro di culture per la realizzazione di un oggetto che farà venire voglia di danzare. Per la pioggia. www.tenuedenimes.com www.londonundercover.co.uk

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Richard Kern x Ruckercorp Ruckercorp, azienda di arredamento e design con base a Brooklyn, ha commissionato a Richard Kern, fotografo e regista statunitense amante dell'oltraggioso, la realizzazione di un calendario. Gli scatti, di nudo, accompagnano un 2011 in cui è meglio tenere d'occhio tutti i proprio impegni. www.ruckercorp.com www.richardkern.com



Saigon, 1927

Fashion

Di Fabiana Fierotti

Louis Vuitton

Federica Moretti

Marc Jacobs

Auélie Bidermann

Valentino

Chanel

Burak Uyan

Chanel

“L’amant” di Marguerite Duras

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Christopher Kane

Rochas

Federica Moretti

Ca & Lou

Fendi

Erickson Beamon

Rochas

Miu Miu

Louis Vuitton

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Louis Vuitton

Chanel

Phillip Lim

AuĂŠlie Bidermann

Marc Jacobs

Mawi

Givenchy

Nicholas Kirkwood

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Lanvin


Louis Vuitton

Chanel

Calvin Klein

Marc Jacobs

Sonia Rykiel

Marni

Bally

Louis Vuitton

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Photographer of the Month: Marija Strajnic www.marijastrajnic.com - A cura di Sean Michael Beolchini

Marija vive con i genitori e suo fratello in una villa a due piani a Belgrado, appena in fondo alla strada del donut store. La famiglia divide la casa con un clan di gatti, che dormono su qualsiasi superficie disponibile e saltano fuori da tutte le ante socchiuse degli armadi. E’ qui che mi accolse con un bicchiere di Coca-Cola e delle ciambelle, mi mostrò la sua stanza, i suoi disegni e la sua inseparabile Leicaflex. Marija si è appena laureata dopo gli studi di architettura, in un paese dove tutto sembra essere senza speranza, ma dove nonostante tutto un giovane ha un’energia ed un entusiasmo come non ne ho mai visti. Rimasi immobile a guardare i suoi movimenti. I suoi grandi occhi, la meravigliosa goffaggine e la sua timidezza nel parlare, che subito mi hanno ricordato le sue fotografie.

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Come ti chiami? Marija Strajnic. Di dove sei? Belgrado, Serbia. Dove vivi? A Belgrado, Serbia. Ci campi con la fotografia? No. Quindi come ci riesci? Grazie all’architettura. Quanti anni hai? 24. Quanti anni ti senti? Sto bene con quelli che ho. Quando hai iniziato a fotografare e per-

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ché? Qualche anno fa ho trovato le vecchie macchine dei miei genitori, abbandonate nel loro armadio, ho deciso di provarle per vedere se funzionavano ancora... Si tratta più di estetica o del senso delle cose? Per me è raccontare le cose e le persone che ruotano attorno a me e di cui, per qualche motivo, voglio ricordarmi. Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Sono momenti che precedono o seguono una situazione che ha evocato o evocherà una sorta di nostalgia.

Cosa altera le tue percezioni? Penso che sia il comportamento della gente, la loro apparenza messa in contrasto con il luogo dove si trovano e le circostanze che che queste due componenti creano nell’insieme. Hai studiato e ti sei diplomata in architettura in Serbia: in cosa traspare questa influenza nelle tue foto? L’architettura mi ha insegnato che i dettagli sono l’essenza del mio ambiente. Gli aspetti più positivi del vivere e fotografare in Serbia. Qui è tutto talmente un caos. Questo porta la gente a sforzarsi sempre di più per otte-


nere ciò che vuole, in tutti i campi. E gli aspetti più negativi? Direi, la mancanza di opportunità. Ho notato che ti intrigano i dettagli stretti che compongono una certa situazione. Perché? Mi piace banalizzare l’intimità, mostrando come piccola e semplice possa essere. Accompagni spesso le tue fotografie con frasi tratte da canzoni o poesie: qual è il legame secondo te? Da dove prendi più frequentemente queste frasi? Quello che mi tocca per le mie fotografie spesso mi ricorda anche una canzone che ho ascoltato, così non posso evitare di evi-

denziare questa connessione. Mi diverto anche a scattare serie di foto basate su una determinata emozione che ho provato ascoltando una certa canzone. Cosa non ti piace della fotografia oggi? Odio il fatto che chiunque possa essere un fotografo. Cosa ami della fotografia oggi? Amo il fatto che chiunque possa essere un fotografo. Chi è il tuo fotografo preferito? I miei amici Ana Kraš and Fredderick Botham. Che tipo di macchina fotografica usi? Leicaflex, Pentax mx, Olympus mju II.

Che macchina vorresti usare? Non dò troppa importanza al tipo di macchina che uso e devo dire che sono soddisfatta dalle mie. Chi ti piacerebbe scattare in topless? Kria brekkan e Avey Tare, o Sierra e Bianca Casady (le Coco Rosie), anzi, Conor Oberst! Era il mio teenage crush. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese? Bobby Doherty, le sue immagini crude e dirette mi stimolano molto. Quale sarà il tuo prossimo scatto? Sto preparando un workshop in Spagna che come tema avrà ‘le città’ senza limiti.

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Nome? Jennifer Karigan. Età? 22. Hai un lavoro? Marketing & Events Assistant presso All Points Worldwide. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Italia, NYC e L.A... Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? La strada regolare. E la peggiore? Il traffico e il fatto che non ci siano stagioni. Dove preferisci mangiare? Joans sulla Terza. Se fossi un liquido, quale saresti? Green Tea. La parola che senti più spesso a L.A.? I Die. Cosa ti ha ispirato di recente? Da sempre, mio padre. La persona che preferisci seguire su twitter: Non lo uso. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Flight Facilities, Crave you. Cosa ti fa stare bene? Il mio migliore amico gay di New York, ha sempre storie pazze da raccontarmi.

Los Angeles Street Files. Foto di Russ Lee www.russinabox.carbonmade.com - twitter.com/russinabox1

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Nome? Andrew Tonkery. Età? 28. Hai un lavoro? Collaboro con altri per video, fotografia e design. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Lavorare per il weekend. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? La creatività e l’energia dei talenti locali. La generazione più giovane si sta formando in una comunità incentrata sull’arte e con un futuro promettente. E la peggiore? Non avere vera pizza e bagels. Dove preferisci mangiare? Il Mexican tranny bar a Beverly ha le migliori ceviche tostadas. Se fossi un liquido, quale saresti? L’acqua delle montagne. Cosa ti ha ispirato di recente? Il duro lavoro di amici, un flusso continuo di musica, film e la vita intorno a me. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Koudlam, The Great Empire. Cosa ti fa stare bene? Gli amici e la famiglia.

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Nome? Justin Van Hoy. Età? 29. Hai un lavoro? Lavoro per me stesso. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Niente sveglia, gnocchi e TIVO. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? Gli spazi costano poco e tutti sono impegnati. E la peggiore? L’aria è ancora merdosa. Dove preferisci mangiare? Animal or DTF. Se fossi un liquido, quale saresti? Latte di soia. La parola che senti più spesso a L.A.? A parità “sick” e “bro”. Cosa ti ha ispirato di recente? David Chang e Momofuku Ko. La persona che preferisci seguire su twitter: Non uso twitter e non seguo. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? The Ballad of Davey Crockett. Cosa ti fa stare bene? Mia moglie, i miei gatti e la mia routine.

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Nome? Noelle. Età? 24. Hai un lavoro? Sì, ma non te lo dico. Per motivi pratici sono una scrittrice. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Feste per adulti a tarda notte. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? La scena artistica. E la peggiore? Christian Audiger. Dove preferisci mangiare? Ultimamente sono ossessionata con The Grilled Cheese Truck. Se fossi un liquido, quale saresti? Jameson Irish Whiskey. La parola che senti più spesso a L.A.? E’ più una frase, “I know, Right?!”. E’ una frase senza senso. Cosa ti ha ispirato di recente? I miei sogni. Sono così vividi e intensi. Ho finito di disegnare case e di viaggiare in luoghi che non sapevo esistessero. La persona che preferisci seguire su twitter: Me stessa. DoinLifeRight. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Qualsiasi cosa del nuovo album di Salem. Cosa ti fa stare bene? Questa domanda implica che io sia sana di mente per cominciare.

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Nome? Lizette Palacios. Età? 25. Hai un lavoro? Certo. www.hulu.com Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Sole, sbronze... Linee Tan, contusioni e piscine. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? I take away dei ristoranti, belle macchine, i lofts sulla spiaggia. E la peggiore? Il traffico. Ti ruba ore di vita. Dove preferisci mangiare? Mi piace mangiare quello che cucino nella mia cucina, ma se non sono lì, mi affido allo chef Jose Andres del ristorante “The Bazzar”. Al momento sto bene con la cucina spagnola. Se fossi un liquido, quale saresti? Sangue: perché tecnicamente sono già fatta di questo liquido. La parola che senti più spesso a L.A.? “Swag. Swag. Swag”. Cosa ti ha ispirato di recente? I miei amici. Sono tutti ambiziosi, generosi e incredibili. La persona che preferisci seguire su twitter: @classixx . Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Louis Logic, Factotum. Cosa ti fa stare bene? Un massaggio cinese ai piedi di un’ora da 20$.

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Nome? DJ Skeet Skeetl. Età? 24. Hai un lavoro? Music Producer / DJ. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: DJing, Skateboarding e Beats. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? Il miglior scenario musicale al mondo. E la peggiore? La peggiore? Il traffico cazzo. Dove preferisci mangiare? Trocozone. Se fossi un liquido, quale saresti? Thai Ice Tea! La parola che senti più spesso a L.A.? Ticey. Ma non è una cosa negativa. Cosa ti ha ispirato di recente? Rap. Tutti quei dannati pazzi dei rappers. La persona che preferisci seguire su twitter: Slim Thug @slimthugga. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? The Exes, Transition. Cosa ti fa stare bene? Leggere.

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Nome? Tiffany Horn. Età? 24. Hai un lavoro? Modella. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Andare in bici, ubriacarmi, abbronzarmi. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? Poter guidare lungo la costa quando vuoi e vedere un bel tramonto. E la peggiore? Il traffico. Dove preferisci mangiare? Gjelina sullla Abbot Kinney a Venice. Se fossi un liquido, quale saresti? Vino rosso. La parola che senti più spesso a L.A.? “Word”. Cosa ti ha ispirato di recente? Kenneth Anger e Alejandro Jodorowsky. I loro film sono estremamente visivi. La persona che preferisci seguire su twitter: Non faccio uso di Twitter. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? The Tallest Man on Earth, A Lion’s Heart. Cosa ti fa stare bene? Marijuana e style.com

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Nome? Brick Stowell. Età? 24. Hai un lavoro? No. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Fino alla prossima estate. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? Il tempo. E la peggiore? ... parties. Dove preferisci mangiare? Dipende dalla fortuna. Se fossi un liquido, quale saresti? Succo d’anguria. Cosa ti ha ispirato di recente? La fotografia. La persona che preferisci seguire su twitter: non ho twitter. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? 2Pac, Ain’t Hard 2 Find. Cosa ti fa stare bene? Stare appeso da solo.

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Nome? Max Gibson. Età? 23. Hai un lavoro? Fondatore di Wine & Bowties. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: Abbastanza incredibile. Nuove esperienze tutti i giorni. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? La disponibilità di opportunità. E la peggiore? Il traffico. Dove preferisci mangiare? Cha Cha Chicken a Santa Monica. Se fossi un liquido, quale saresti? Champagne. La parola che senti più spesso a L.A.? “Definitely”. Cosa ti ha ispirato di recente? Gli amici, Hiking e George Lois. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Radio Dept, Never Follow Suit. Cosa ti fa stare bene? Ridere.

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Nome? Aurielle Rounsaville. Età? 26. Hai un lavoro? Modella-attrice-sceneggiatrice, attualmente in pre-produzione per il mio primo documentario. Riassumi la tua estate in sei o meno parole: New York City divertimento nuovo inizio. Qual è la cosa migliore di L.A. oggi? Il clima. E la peggiore? Le ragazze della valley e il loro stile. Oops, ora che ci penso ho un sacco di amici della valley e capita che adori la valley. Dove preferisci mangiare? Cactus Mexican sulla Beverly e Normandie. Anche Birds sulla Bronson e Franklin (il miglior Bloody Mary e sottaceti). Se fossi un liquido, quale saresti? Un diet snapple alla pesca o un Iced Coffee alla vaniglia senza zucchero di McDonald’s. Yum. La parola che senti più spesso a L.A.? “Hella haha”. Cosa ti ha ispirato di recente? A L.A. quando cerco ispirazione guardo le persone, mi piacciono molto silverlake e i cafes della zona. La persona che preferisci seguire su twitter: Attualmente Kanye West. E’ abbastanza divertente e realista. Seguitemi: www.twitter.com/myobees. Quale canzone vorresti ascoltare proprio ora? Rihanna e Drake, What’s My Name?. Cosa ti fa stare bene? Leggere, scrivere, giocare con i videogames (Tetris soprattutto) e guardare bei film.

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Mary Katrantzou Intervistare Mary Katrantzou, designer londinese, è stata davvero un’impresa. Quando dopo circa un’ora di attesa, sono riuscita a parlare con lei, mi ha accolta con un fiume di parole. Ecco, questa è la caratteristica principale di Mary, un turbine di passione e vivacità pronto ad esplodere da un momento all’altro. Abbiamo fatto una lunga e piacevole chiacchierata sulle sue origini, il suo passato nell’Architettura e il suo presente, pieno di successi e voglia di fare. Quando incontri una persona così non puoi far altro che essere coinvolta dal suo entusiasmo e devo dire che lei mi ha regalato una piacevole giornata. Arriverà lontano con la sua estetica un po’ matta e assolutamente unica, del resto avete mai visto una lampada con tanto di filo su un vestito? Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Yara De Nicola

Ciao Mary! Finalmente ce l’abbiamo fatta! Si, scusami! Ho avuto un disguido assurdo con i voli, pensavo di partire con Alitalia ad un certo orario e invece era British Airways due ore dopo. Massacrante. Immagino... Comunque veniamo subito al sodo, voglio sapere il più possibile di te. Sei greca giusto? Si, esatto! Dove sei nata? Ad Atene, dove ho vissuto tutta la mia adolescenza. A 19 anni ho deciso di partire per l’America per studiare Architettura, poi da lì mi sono trasferita a Londra, dove ho deciso di rimanere finora. Perchè questo cambiamento dall’Architettura alla moda? Ehm… il mio fidanzato… eheheh… L’ho conosciuto un’estate in America, lui stava studiando Medicina in Grecia e mi ha praticamente detto: “Providence è troppo lontana, devi venire a Londra” e io ho risposto: “Ma sto studiando in America, cosa intendi dire?” e lui: “No, tu devi venire a Londra così anch’io mi trasferirò lì per il mio PHD e staremo insieme” e io: “ No! Perchè non vieni tu in America?” e lui: “No, sono troppo grande per quello. Tu sei giovane, puoi sempre cambiare, sei in tempo...”. Beh mi ha convinta, c’è voluto un po’ di tempo, ma avevo sempre desiderato frequentare la St. Martins, quindi è stata una scusa in più per provare qualcosa di totalmente diverso... Quindi è successo tutto per amore, o quasi... Si, inizialmente si. Ma poi le lezioni mi sono piaciute veramente, mi piaceva Londra, mi piaceva studiare Textile Design, mentre con l’Architettura nonostante sentivo che mi piacesse, a volte non ne ero tanto sicura. Questo non è mai successo alla St. Martins, anzi ho subito pensato che avrei potuto

fare un sacco di cose e che era molto più vicino all’Architettura di quanto avrei mai creduto. Quando sono finita ad interessarmi alla moda, ricordo che rimasi affascinata dal lavoro sulle stampe e le superfici in 3D e sul modo in cui avrei potuto sfruttarlo... Quindi il tuo lavoro rimane sempre influenzato dall’Architettura... Non è sempre un punto di partenza, ma sai, penso che qualsiasi cosa impari, probabilmente bilancerà il tuo modo di pensare alle linee e alla struttura... ma penso sia naturale che ciò accada... Come ti sei inserita nel mondo della moda? Come sei arrivata al tuo primo show? Verso la fine del mio BA ho sentito il bisogno di provare a fare qualcosa nella moda, ma non sapevo granchè se devo essere sincera. Un giorno mi trovavo da Peter Jones, un department store di Londra, iniziai ad osservare le stampe dei vestiti, che non erano esattamente il massimo... Allora ho cominciato a lavorare su un progetto basato appunto sulle stampe che poi avrei dovuto presentare per il mio MA al Royal College of Art o alla St. Martins. Lì avvenne la decisione definitiva: se avessi frequentato il Royal College si sarebbe trattato di Textile Design e basta, con la St. Martins sarei invece entrata nel mondo della moda. In più lo show di fine corso era parte della schedule della fashion week, quindi avrei ottenuto un sacco di visibilità. Quindi ho fatto la mia scelta e devo dire di aver imparato molto sull’industria della moda Britannica grazie ad essa. Così è cominciato tutto! Ho avuto un grande mentore, fortunatamente. Quindi, quando ho deciso di avere un brand tutto mio. L’unica persona che ha iniziato come me è stato Jonathan Saunders. Devi avere davvero uno stile tutto tuo per fare una carriera come la sua...

Beh, quello certo non ti manca! Eh, eh, si ma è molto difficile mantenere il proprio stile quando per ogni stagione devi comunque modificare qualcosa e stare al passo con i tempi e la moda… Ma torniamo ai tuoi primi passi, come sei arrivata alla sezione New Generation? Mi sono iscritta a “New Generation” grazie a un buon consiglio, così ho avuto i primi fondi e il primo stand, ho creato la mia prima “capsule collection” di dieci pezzi; sono arrivata là senza molte aspettative quindi per me è andata piuttosto bene perché grazie a questa opportunità ho cominciato a vendere da Browns, Colette, Corso Como, negozi che per me erano veramente qualcosa di magnifico, non me lo sarei mai immaginata! Dunque è iniziata così… E poi per la mia prima collezione mi hanno commissionato la produzione di duecento pezzi e ho capito che le cose si stavano facendo veramente serie, allora di lì a breve ho cercato qualcuno che mi aiutasse… Il bello di questa esperienza è che ho seguito tutto in prima persona, dal design alla produzione e credo che sia proprio in queste circostanze che si riesce a capire fino a dove si vuole portare il proprio lavoro o come si vogliano gestire le molteplici parti di tutto il processo… In seguito, grazie ancora all’aiuto di New Gen, ho avuto un'altra occasione per uno show e anzi, credo che da allora ho partecipato sempre con New Gen alla fashion week Londinese e credo proprio che questa sia l’ultima volta che mi vedrete con loro! Eheheh! Quindi, ti piace ancora fare tutto da sola o hai un assistente o comunque qualcuno che ti aiuti? Si, ora abbiamo un team vero e proprio, all’inizio ero solo io, con un freelance e una stagista; ora siamo in 5 e per la fine del prossimo anno prevedo di assumere almeno

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“La collezione è basata molto su oggetti per la casa come la lampada, dunque ho pensato di riportare direttamente le sue forme sull’abito, con il filo elettrico e tutto il resto…”.

un’altra persona… Il team è composto da un sales manager, un production manager, studio manager e la mia assistente personale… Parliamo della collezione SS11, da cosa hai tratto ispirazione (anche se è abbastanza evidente...) eheheh... Il tema è stato ispirato dagli Interni (ahaha) ed è partito principalmente dallo studio di foto di moda e dalla scelta di scatti esteticamente molto diversi, come ad esempio scatti di Paolo Roversi, romantici e soft e scatti di Guy Bourdin, più espliciti e sensuali… Insomma, giravo intorno a quest’idea e finalmente, soprattutto grazie all’attenzione che ho prestato agli scatti di Bourdin, ho cominciato a capire quello che cercavo: i soggetti delle sue foto sono per lo più donne seminude o poco vestite ma quello che è più importante è l’arredamento della stanza dentro alla quale si trovano… Dunque ho ritenuto fosse interessante “vestire” le donne con i colori, la trama e le consistenze delle pareti in cui erano calate (invece di porre la donna al centro dello scatto ho pensato di portare

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la stanza “sulla donna”). La collezione è basata molto su oggetti per la casa come la lampada, dunque ho pensato di riportare direttamente le sue forme sull’abito, con il filo elettrico e tutto il resto… Fino all’ultimo ho avuto paura della reazione del pubblico perché sono sicuramente forme molto particolari per quanto riguarda l’indossabilità, ma alla fine il risultato è stato molto apprezzato e sono contenta di aver corso questo rischio perché così inizio a conoscere i miei limiti e soprattutto quello che voglio dalle mie collezioni. Hai già qualche idea per la prossima collezione? E’ molto difficile perché non ho un tema preciso, ma è più un’ idea generale riguardo ad un mix di colori, di texture, di sensazioni e le varie combinazioni che queste varianti possono assumere… Sicuramente la collezione sarà più scura, ma non farei molto affidamento su questa rivelazione perché ad ogni collezione dico così e poi presento abiti sempre più chiari o colorati!

Quello che ti posso dire con certezza è che sicuramente le silhouettes saranno più nette e taglienti. Hai una musa o una donna sulla quale vorresti vedere un tuo capo? Non direi musa, ma mi piace molto Anna Dello Russo , ha già indossato uno dei miei capi durante lo show a Parigi di Miu Miu ed era favolosa, mi piacciono le donne con una presenza forte e lei ce l’ha! Mi piacerebbe vederla indossare anche qualche altra mia creazione perché è fantastica. Ultima domanda: quanti anni hai? 27 anni. Presto 28. Sembri più grande! Cosa? Come? (ride) No, nel senso più positivo che ci possa essere… cioè che sembri molto sicura di quello che dici e per come lo dici dimostri di essere più grande! Allora lo prendo come un complimento (ride). www.marykatrantzou.com


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Nikola Lezaic Nikola Lezaic, classe 1981, è un filmmaker, che è nato e cresciuto a Bor, un piccolo paese della periferia serba, una volta sede della miniera di rame più grande d’Europa, in cui ha anche ambientato il suo primo lungometraggio: “Tilva Roš”. Vincitore del Sarajevo Film Festival e proiettato a Locarno nella sezione Cineasti del Presente, la pellicola è nata in modo fortuito, così come la nostra scoperta del personaggio che si cela dietro a Nikola: dopo aver frequentato la Scuola di Arti Drammatiche di Belgrado, fonda insieme a due amici - Mina Djukic e Uros Tomic- una piccola casa di produzione, la Kiselo Dete. Non solo: Nikola è anche il cofondatore di un gruppo che crea fumetti chiamato SMOG e di uno letterario , il Metasynchrism. Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Ana Kraš

Ciao Nikola! Come stai? Molto bene, grazie. Mi dici cinque cose che dovrei sapere su di te? Mmh, non credo siano importanti... Ho 29 anni, sono alto 1m e 96, peso 85 Kg, sono un regista, mi piace musica strana. Spero questo possa bastare... Qual è il tuo ricordo più bello di quando eri bambino e andavi al cinema? Sono cresciuto a Bor, una piccola città nella parte est della Serbia. E' un posto davvero minuscolo, ma ha il secondo cinema più grande della Serbia ed è qui che mi piace andare sin da quando ero bambino. Presto incominciarono a fare anche proiezioni all'aperto, proprio di fianco al cinema. Quando avevo 6-7 anni, mio cugino mi portò al cinema all'aperto a vedere American Ninja con Michael Dudikoff. La parte fuori era come una sorta di café: ti sedevi su queste sedie arancioni di plastica che tutti in Yugoslavia usano nei bar all'aperto con dei tavolini di metallo bianco, e potevi ordinare una Coca Cola durante la proiezione. Mi sedetti lì, bevendo la mia Coca, guardando il film e quando questo mi annoiava fissavo il cielo e il tutto era così tranquillo e rilassante. Era così meraviglioso. In quel momento credo di essermi innamorato del cinema. In che ambiente sei cresciuto? Come ti dicevo, sono cresciuto a Bor, una piccola città di circa 50000 anime. E' circondata da una miniera a cielo aperto, ma ha un paesaggio naturale splendido, un lago, una Spa, la grotta più lunga in questa parte d'Europa, alcuni terreni di caccia, un centro sciistico. E' davvero piacevole. Il problema è che la miniera di rame che venne usata con vero successo, si è deteriorata negli ultimi vent'anni, così la città - che poggiava molto su di essa- è un po' precipitata con lei. Oggi

Bor è uno dei centri più poveri della Serbia. Ma la gente è grandiosa e ha uno spirito molto libero. Bor da sempre ha una fervida cultura underground. Mi racconti com'è avvenuto il tuo ingresso nel mondo del cinema? Mi sono diplomato alla facoltà di Arti Drammatiche a Belgrado e qui è cominciato tutto. Ho studiato lì per quattro anni e ho girato una serie di cortometraggi che hanno girato i festival europei. Mentre stavo studiando ho anche incominciato a lavorare su diversi commercials, a qualcosa per la tv e ho iniziato a scrivere Tilva Roš per cui ho avuto i finanziamenti due anni fa grazie a dei fondi serbi e che ho girato la scorsa estate. Pensi che qualcuno che non ha mai studiato regia a scuola, possa girare un film? Certo! La scuola di cinema è solo un modo più facile per entrare nell'industria cinematografica, così le persone che girano un film magari hanno la possibilità di essere notate prima e poi avere una distribuzione, ma alla fine poi starà sempre al film che giri - se è buono, se tu sei bravo, se non ti sei fottuto. Mi racconti un po' il progetto Kiselo Dete? Film House Kiselo Dete è una casa di produzione che ho fondato con due miei amici e compagni di scuola: Mina Djukic e Uros Tomic. Siamo tutti registi, ma ci eravamo immaginati che sarebbe stato meglio fondare una casa di produzione che producesse anche film degli altri. Per esempio, ci siamo occupati tutti della produzione e dei finanziamenti per Tilva Roš fino a quando la pre produzione non è iniziata, poi io da solo ho lavorato sulla regia e loro sulla produzione vera e propria. Questo sistema è davvero ottimo perché quando stai lavorando al tuo film sei al centro di un continuo conflitto d'interessi, come regista devi chiedere di

più, mentre come produttore devi occuparti dei soldi, pensare a come spendere meno. Abbiamo capito presto che questo conflitto "più-meno" non è salutare per un film e quindi abbiamo deciso di aprire la nostra casa di produzione. Ora Mina sta lavorando al suo progetto The Disobedients e Uros ai suoi due, Play Me, Kusturica e The Last Stuntman. Oltre alla Kiselo Dete, sei anche tra i fondatori di SMOG e del Metasynchrism. Tutti questi progetti che segui hanno un comune obiettivo? SMOG è un gruppo di comici di Bor che ho messo su con un paio di amici nel 1998. Abbiamo lavorato a qualche fanzines con fumetti underground. E' stato molto divertente. Ci siamo persi di vista per un po' di tempi causa studi, ma ora abbiamo ripreso a dipingere. I fumetti che abbiamo creato sono completamente fuori, ma ti senti bene quando fai qualcosa che hai accantonato per dieci anni. Come direbbe Kurt Cobain "I'm in High School again". Il Metasynchrism invece è un movimento letterario che ho fondato con il mio amico Goya nel 2001. E' stato "the first -ism of XXI century". Avevamo iniziato a scrivere una serie di racconti brevi: lui avrebbe voluto solo un paio di righe, mentre io volevo continuare, e così via. E' stato divertente, ma non abbiamo scritto nulla per anni. Quindi penso che l'obiettivo comune che sta dietro a tutti i miei progetti sia divertirmi. Se non ti diverti mentre fai qualcosa è meglio che smetti e cerchi di trovare qualcosa che ti renda felice. Come ti è venuta l'idea per Tilva Roš ? Cominciamo... nel 2006. Avevo un DVD passatomi da un amico che mi aveva detto che lo avrei dovuto vedere. Era lungo solo un'ora, home made stile jackass, intitolato Crap - Pain in Empty realizzato da due te-

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enagers di Bor. Si erano filmati, montati e distribuiti via dvd e rapidshare. L'energia che quel materiale sprigionava era talmente tanta che ho subito deciso che volevo fare un film con loro. Li ho contattati, siamo usciti e nel frattempo ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, combinando quello che mi dicevano loro con qualche mia esperienza personale della mia crescita a Bor. E' stato divertente scriverlo fondamentalmente perché ho fatto un collage tra eventi reali con cose inventate per l'occasione. Quali sono state le tue maggiori fonti d'ispirazione? Non saprei... Ad eccetto del loro film direi che le maggiori influenze sono state My Own Private Idaho di Gus Van Sant, Thumbsucker, non molto conosciuto, ma un bellissimo film di Mike Mills, Y Tu Mama Tambien di Alfonso Cuaron e Gummo di Harmony Korine. Anche il fotografo americano William Eggleston è stato di grande ispirazione. Con gli anni il mio interesse si è sempre più diretto verso i film US, non so perché. Quanto di te possiamo trovare nel film? In qualche modo c'è qualcosa: il ragazzo che finisce le scuole superiori in una piccola città e si muove verso Belgrado per frequentare l'università, lasciando i suoi vecchi amici-compagni di liceo. Ci sono passato, l'ho messo. Perché tra maschi di qualsiasi età non è comune parlare di problemi sentimentali? Non saprei... Ma è così. I ragazzi non parlano dei loro sentimenti, c'è qualcosa che non può essere detto nel "Bro-code" tra maschi. E' più facile fare a pugni, farsi diventare il viso livido, che parlare seriamente con un altro ragazzo di una ragazza. I ragazzi parlano sempre di ragazze, ma non dei loro sentimenti a riguardo. Come spiegheresti ad un bambino cos'è la gelosia? E' qualcosa di molto stupido, che ti fa sentire che sei a meno di quella persona che tu realmente sei e che qualcuno ha di meglio. 3 cose che dovrei assolutamente sapere su Tilva Roš. Non è un film con attori professionisti. Kolos è davvero un membro dello skate team di Bor, che ne conta dai 20 ai 40. Tutti le scene di stunts sono reali e fatte dagli stessi Toda e Stefan. Quanto ti è costato? 200 000 euro. Direi abbastanza economico. Come dicevi, nel tuo film non hanno lavorato attori professionisti. Avevi un copione o hai improvvisato delle parti? Beh, avevo uno script molto dettagliato, con dialoghi precisi, ma non l'ho mai dato ai ragazzi. Volevo solo iniziare e spiegare ai ragazzi come fossero le scene, come dove-

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vano rapportarcisi... volevo lasciare a loro che la interpretassero come se la sentivano addosso. Se le scene perdevano il loro significato, lo aggiustavamo finché non tornavamo sulla giusta strada. Per me non era importante quello che accadeva nelle scene, quanto che portassimo avanti il senso che volevo perché la storia potesse continuare. Sono divenatato davvero intimo con tutti loro e quindi hanno imparato a fidarsi di me, in modo da essere rilassati nella recitazione. Se dovessi scegliere, mi diresti chi sarebbe il tuo personaggio preferito in Tilva Roš? Direi Mekika. E' davvero divertente. E' ancora molto giovane e per lui la cosa più importante è fare parte di un team e andare sullo skate. E' stupendo essere molto onesti a riguardo. La scena in cui piange tutto quello che ha nei polmoni, è in assoluto la mia preferita. E' estremamente lunga, ma mi piace così, è la parte del mio film in cui è come se fosse concentrato il tutto. Quali sono stati i problemi più grossi a girare un film così? E' complicato mantenere completamente il senso del ritmo perché ogni scena poteva durare dai 30 secondi ai 5 minuti, dipendeva da come i ragazzi ci si rapportavano. Così ho deciso di non farlo diventare un problema e accettare le parti che non avevano ritmo come comunque qualcosa di buono. Mi piacciono gli errori, soprattutto in film come questo, perché danno al tutto una patina di reale. Che camera hai usato? Una RED come base e Sony (consumer camera) di Stefan. Volevamo girarlo in pellicola e con lenti anamorfiche, ma non avevamo abbastanza soldi. Nel tuo film però ci sono anche dei risvolti politici, come le proteste pubbliche per la disoccupazione. Mi racconti qualcosa della situazione politica del tuo paese? Attualmente le proteste e la disoccupazione sono temi che voglio mostrare: quando sei un teenager non te ne frega e non vuoi che ti importino. Diventa difficile quando finisci gli studi e inizi ad avere a che fare con il mondo reale. Non ho un'idea precisa della politica serba, penso solo che si sia accecati da questo obiettivo di entrar a far parte della UE come se nulla fosse cambiato. Di solito odio quando i registi si mettono a dar opinioni politiche. Alla fine è come un giocatore di football che parla di politica. E' ridicolo. Chi se ne frega... Ho sentito dire che uno dei registi a cui ti sei maggiormente ispirato è Larry Clark. Cosa ami di più dei suoi film? Non l'ho mai detto. E' il collegamento che i giornalisti hanno trovato con Tilva Roš e

mi hanno appiccicato. Mi piace Kids, ma nient'altro che Larry Clark ha fatto. Non mi piace che i ragazzi dei suoi film appaiano sempre squilibrati senza un reale motivo. Non simpatizzi per loro, perché sembra che lui stesso li odi. Questa ovviamente è la mia idea. Anche Harmony Korine, che ha lavorato con lui è strano, ma lui invece si vede che ama profondamente ogni singolo personaggio che crea. Un episodio divertente accaduto sul set? Tutti i giorni succedeva qualcosa di divertente. La scena che ti ho detto con Mekika che beve e piange è stata esilarante da girare. E' basata su una clip che loro avevano davvero realizzato. C'era Mekika ubriaco in casa di Stefan: lo hanno molestato per 15


minuti e lui piangeva. Così abbiamo rifatto la scena, avevo spiegato tutto a Mekika, detto cosa doveva fare: lui ha bevuto un litro di raki e via. Non riusciva a salire le scale di casa. Era fradicio. Poi hanno incominciato a parlare con lui, abbiamo acceso sia la camera di Stefan che la nostra. La ragazza del make up gli ha spruzzato un po' di menta negli occhi per farlo piangere facilmente. Gli ultimi minuti, ero dietro alla camera, continuando a fargli segno che doveva finire, ma lui andava avanti a gridare, sembrava completamente pazzo. Dopo che abbiamo finito di girare, ci siamo completamente piegati. E' stato esilarante. Mi racconti qualcosa sul cinema serbo? Da quando i film di Kusturica e Pretty Villa-

ge, Pretty Flame di Srdjan Dragojevic sono usciti, non è successo più nulla di così rilevante. Ma ci sono un sacco di nuovi registi che stanno emergendo. Credo che presto potremmo avere una "new wave". Non vi è uniformità stilistica e narrativa come ad esempio invece c'è stato nel cinema rumeno degli ultimi due anni, ma credo che sia un bene. Non dobbiamo fare film simili. Dimmi un tuo significato del termine indipendente? Non saprei. Credo che negli ultimi anni ci sia stato un abuso del termine, sia nei film che nella musica. E' diventato una sorta di trademark, perdendo il significato di essere libero da schemi, con film e musica divertenti. Ma riemergerà di nuovo in un decen-

nio o due. E' sempre successo. Ho come la sensazione che questo sia il momento successivo a quello del 1967, e quindi di Summer of Love, in cui un hippie diventa un consumatore e non ha più modo di pensare. Penso che la scena lo-fi/indie abbia avuto la sua "summer of love" nel 2009, così non ci resta che aspettare un’altra Woodstock nei prossimi due anni... Spero... Progetti futuri? Sono sulla produzione dei film di Mina e Uros e ho già un'idea per il mio secondo film, ambientato negli anni '50, coinvolgerebbe anche l'Italia a dirtela tutta - una parte dovrebbe essere girata in nord Italia. www.tilvaros.com www.kiselodete.com

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Tame Impala L’idea forse un po’ romantica di una band di giovanissimi e brillanti rockers australiani - artefici tra l’altro di uno dei non molti dischi che ricorderemo dell’anno che si è appena concluso - purtroppo è svanita dopo appena trenta secondi di ricerca sui Tame Impala e su quell’impala che no, non è un’antilope domestica. La verità è che si tratta di un progetto che ruota attorno alla figura di Kevin Parker, e che si completa con l’apporto di amici tutti appartenenti alla scena musicale di Perth. E’ lui il padre di “Innerspeaker”, disco ambiguo, tra ruvido rock psichedelico e sognanti melodie; brani densi, che lievitano ed evaporano come un gas, un gas dai cui in effetti molti si sono risvegliati piacevolmente intossicati. Abbiamo incontrato Kevin e compagni in occasione del loro show al Bowery Ballroom di New York, l’intervista è il risultato di un lungo scambio di mail da una parte all’altra del mondo. Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini 65


Ciao Kevin, comincerei con una domanda abbastanza scontata: puoi raccontarmi il significato di questo nome? Il nome fa riferimento ad un animale simile all’antilope africana, l’impala, però l’intento è quello di descrivere più in generale una situazione, l’incontro con il “selvaggio”, quando per qualche istante si ha come la

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sensazione di avere una qualche familiarità con esso, una specie di legame. L’errore più comune è pensare che voglia dire “impala addomesticato”, questa è un’interpretazione sbagliata. Potrebbe essere qualsiasi animale: un’anatra, un Tyrannosaurus rex o altri… Da dove vengono i Tame Impala e chi

sono? Apparteniamo tutti alla scena musicale di Perth. Siamo un giro piuttosto ampio di amici che vivono e fanno musica insieme da una vita, le band e i progetti musicali a cui abbiamo lavorato negli anni non si contano. Tame Impala rappresenta principalmente un mio progetto da studio; ovviamente alcuni


dei miei amici mi aiutano e contribuiscono in parte al risultato finale. Il resto dei ragazzi che suonano nella band dal vivo hanno a loro volta dei loro progetti. Come e quando è nata la band? Difficile dirlo, forse non è mai nata veramente… Non saprei identificare una data in cui sia realmente iniziato tutto perché faccio

musica da solo da sempre. Nel corso degli anni la band ha conosciuto diversi membri e avuto svariati nomi… Tame Impala, è semplicemente il nome e l’orientamento che ha il gruppo in questo momento. Come siete arrivati alla Modular? Glen della Modular è venuto non so come a conoscenza del progetto, ha sentito le

canzoni ed evidentemente gli siamo piaciuti abbastanza perché ha voluto i Tame Impala nel roster dell’etichetta. Però mi sembra che ad oggi non ci abbiamo ancora guadagnato un dollaro... Quali sono le vostre principali influenze? E’ difficile da dire, perché le influenze che le altre persone sentono nella musica dei Tame Impala di solito sono piuttosto diverse da quelle che io penso ci siano. Le influenze solitamente sono profondamente inconsce. Di solito non mi rendo conto di ciò che mi influenza fino a molto tempo dopo che ciò è avvenuto. Comunque adoro artisti e band come Caribou, Dungen, Flaming Lips, Todd Rundgren e Beatles… Ma non sono sicuro di quali di queste influenze emerga nella musica. Molte band “rock” citano artisti hip hop come influenti per loro, mi sembra voi facciate lo stesso se non sbaglio, in che modo ti influenza un genere così lontano da quello che suoni? Penso che abbia molto a che fare con le decisioni che prendi quando fai un pezzo, e la stratificazione dei suoni. Può essere la cosa più piccola, come un battito di mani al momento giusto o qualcosa di più, come un cambiamento di groove. L’hip hop è conosciuto per i suoi groove pesanti, così se vuoi che la gente muova la testa, puoi imparare molto da lì. Quali sono i tuoi piaceri musicali “proibiti”? Non mi sono mai posto il problema, nessuno dovrebbe sentirsi colpevole di apprezzare uno stile musicale o un certo tipo di suono, anche se estremamente banale. Ogni cosa ha una sua collocazione. Soltanto perché una cosa non è “intelligente”, non significa che non possa avere in sé della saggezza. Mi piace molto il pop dolciastro, come quello davvero melenso che piace alle teenager… Ovviamente ci sono produzioni davvero terribili, ma ci sono anche cose davvero ben scritte. Che poster avevi nella tua cameretta quando eri un ragazzino? Soltanto poster di dinosauri. Davvero grandi. Ne avevo dappertutto. Conosci band o artisti italiani? Un amico una volta mi ha fatto sentire una band italiana di doom rock, ma sinceramente non riesco a ricordarmi il nome. Come definiresti la tua musica? Non mi piace molto usare definizioni, perché nella musica ognuno sente cose diverse, e le parole pongono dei confini là dove non ce n’è bisogno. Comunque se proprio dovessi, direi che è una specie di dream pop con una forte componente ritmica. Vorrebbe essere luccicante… Ma penso che se vuoi che sia toccante e che abbia sentimento debba

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avere un bel ritmo, così provo a combinare entrambi gli aspetti. Qual è l’ultimo album che hai comprato? È un po’ di tempo che non compro un album, di solito aspetto che qualcuno della band mi consigli qualcosa. Qualche tempo fa ho comprato l’album di Neon Indian, mi piacciono davvero molto quei suoni “warbley” e le tessiture musicali. L’ultimo film che hai visto? Hot Shots, quella parodia molto divertente di Top Gun. Prima avevo visto un film muto tedesco degli anni venti che si intitola From Morning To Midnight. Ti piace leggere? Se sì, cosa? Di solito leggo di argomenti scientifici, ad esempio dei trattati di Stephen Hawking (matematico e astrofisica britannico, ndr), ma recentemente mi hanno consigliato di leggere assolutamente L’Amore Ai Tempi Del Colera (di Gabriel Garcia Marquez, ndr). Sono arrivato solamente al secondo capitolo però, perché mi distraggo facilmente e leggo lentamente. Ti interessano lo biografie? Assolutamente no, non potrei mai interessarmi a leggere della vita di qualcun altro. Che noia. La prima volta che ho ascoltato Innerspeaker ho pensato subito a Welcome To Sky Valley dei Kyuss, uno dei miei dischi preferiti di sempre pur non essendo un “cocker”… Che effetto fa un paragone con i Kyuss? Mi suona strano. Mi piacciono i Kyuss, e occasionalmente mi piace tirare fuori quel tipo di suono, quei riff di chitarra, quel groove da droning desert... Ma al di là di questo non direi che si possa parlare di influenze o similitudini. Qual è stato il ruolo di Dave Friedman in Innerspeaker? Come mai hai deciso di collaborare con lui e come è andata? Dave Friedman ha mixato l’album, si può dire che sia stato coinvolto solamente alla fine. Avevamo registrato tutte le parti dell’album e avevamo bisogno di qualcuno che potesse metterle insieme in modo che si combinassero i sound pazzi con le altre sonorità in maniera tale che il risultato non sembrasse melma. Dave è una delle poche persone che conosco che sia in grado di farlo. C’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare in futuro? Non è che muoia dalla voglia di collaborare con qualcuno in particolare, ma domani chissà… Collaboro con molti amici e diverse band; per ora basta e avanza così. Un giorno vorrei diventare un produttore, così forse lavorerò con molte più persone. Innerspeaker è considerato (non solo da

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noi) uno dei dischi più interessanti del 2010; che effetto vi fa? Vi aspettavate questo successo? Ovviamente no. E’ difficile trovare la tua musica o la tua arte interessante, perché la conosci alla perfezione e non c’è mistero, non ha segreti. E non ci si dovrebbe mai aspettare che gli

altri notino gli aspetti intelligenti della tua musica, altrimenti rimarrai sicuramente deluso perché non viene notato l’aspetto più arditamente sperimentale o magari perché non è considerato come dovrebbe l’assolo di tamburello che si sente nell’altoparlante sinistro. Puoi raccontarci com’è nato Innerspeaker


e il perché di questo titolo? Innerspeaker è un’espressione che mi è venuta in mente un giorno: volevo provare a descrivere l’idea di qualcuno, qualcosa che parla all’interno del cervello di una persona; e tutto l’album è come se fosse una registrazione di tutto ciò. Ero affascinato da questa idea, che la musica possa essere puramente

interiore, incontaminata rispetto al mondo esterno. Ovviamente l’album esiste e appartiene al mondo esterno quindi la mia resta soltanto un’idea. Preferisci suonare dal vivo o scrivere e registrare? Registrare. Mille volte. Amo avere a disposizione spazio e tempo per sperimentare e

perfezionare le cose. Amo l’idea di poter lentamente trasformare un’idea iniziale in una grande sinfonia di suoni. Ci puoi dire come nascono le canzoni: c’è un complesso lavoro di scrittura dietro i singoli brani o sono il risultato di una lunga jam session? Beh, Tame Impala è un “recording project”,

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il più delle volte sono da solo in studio, ogni tanto può succedere che ci sia ad un’altra persona. Nessuna delle canzoni dei Tame Impala nasce da una dam session, di solito tutto comincia con una melodia o meglio con un’idea per un passaggio musicale. E’ difficile da spiegare, ma sostanzialmente è una via di mezzo tra l’essere ispirato in modo spontaneo e qualcosa di più calcolato. Perché dal vivo suoni scalzo? L’ho sempre fatto e non so dare particolari motivazioni sul perché ho iniziato. Trovo semplicemente strano indossare scarpe. Sul palco ho alcuni pedaliere per gli effetti della chitarra e altrettanti per la voce che devo cambiare frequentemente durante lo show. Non lo posso fare se indosso le scarpe: sarebbe come cambiare il canale della TV premendo il telecomando con un bastone. Qual è la più incredibile che vi è capitata suonando dal vivo? Non è che ci accada niente di pazzesco quando suoniamo in giro… L’altro giorno però dovevamo suonare a Lawrence, nel Kansas e abbiamo avuto una serie di problemi tecnici che hanno costretto il nostro management ad annullare lo show; così abbiamo deciso di montare lo stesso le nostre cose e suonare oscure cover strumentali. Siamo andati aventi per circa un’ ora… Kliph dei Flaming Lips era lì con noi e si è seduto dietro la batteria per un po’. Abbiamo suonato Hallogallo dei Neu per venti minuti buoni, poi Revolution degli Spacemen 3, The W.A.N.D. dei Flaming Lips … E qualche altro pezzo. Sei religioso? Non direi. Ma penso che ci sia molta più magia e significato nella nostra vita se evitiamo di vedere il mondo come un grande esperimento scientifico. Che opinione ti sei fatto a proposito della crisi del mercato discografico? Crisi? Quale crisi? L’ultima volta che ho controllato nessuno aveva smesso di fare musica... Scarichi musica illegalmente? No, non so nemmeno come si faccia. E comunque c’è sempre Youtube. Ti sei mai fatto leggere la mano? No. Sei una persona superstiziosa? No, oggi no. Ma lo sono stato davvero, davvero molto. E come se per un po’ avesse guidato le mie azioni e per esteso la mia intera vita. Mi costruivo da solo le mie superstizioni… Ad esempio: se appendo il casco alla manopola sinistra della moto avrò una pessima giornata. Credi nell’oroscopo? Un tempo ero molto interessato ai segni zodiacali, avevo un bel libro di Linda Goodman

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che mia madre mi aveva regalato. Descriveva così bene la mia personalità e le persone intorno a me che per qualche anno è stata una specie di bibbia. Lentamente penso di aver perso interesse e quando poi ho iniziato a studiare astronomia le cose sono entrate in conflitto. Ho visto che siete stati remixati dai Canyons e più di recente da Mickey Moonlight e Midnight Juggernauts; come avete scelto questi remixer? Non li abbiamo scelti, è un po’ come se si fossero materializzati davanti a me, a quel punto ho semplicemente deciso se mi piacevano o meno. Direi che fino a questo momento siamo stati abbastanza fortunati. Che tipo di rapporto hai con la musica dance o elettronica? Penso che a molti artisti elettronici piaccia il nostro tipo di musica perché fornisce un sound organico (cioè chitarra, batteria e voce) che loro possono campionare o incorporare nella loro musica. Tra l’altro i Tame Impala sono molto attenti alla tessitura, alla stratificazione del suono, una cosa che risulta particolarmente invitante per loro. Vedo questo fenomeno come parte di un grande ciclo musicale. Hai mai pensato di lasciare l’Australia? Sì, ma unicamente per motivi personali, per provare qualcosa di diverso. Più viaggi per il mondo e più ti rendi conto del perché ami la tua città. Specialmente se si parla di Perth: è così isolata e tutto si muove così lentamente, dolcemente, tanto da farti sentire in paradiso. Cos’è che ti lega maggiormente al vostro paese? Cosa puoi dirci di Perth, la tua città? Il tempo è meraviglioso; per non parlare delle spiagge. Diciamo che questo basta e avanza. A cosa pensate sia dovuta la crescente attenzione, successo della musica proveniente dall’Australia negli ultimi anni? Non ne sono sicuro, se devo essere sincero non me ne sono accorto. Progressi a livello di promozione o comunicazione? Ne so quanto te... Pensi che il mondo finirà nel 2012? Non credo. A meno che non si tratti di una sorta di apocalisse, improvviso esaurimento delle risorse energetiche o qualcosa del genere, non ritengo sia possibile. Non sarebbe male l’idea di ritrovarci in villaggi ad accendere fuochi e suonare chitarre acustiche. Ho letto che avete un secondo album praticamente pronto; potete darci qualche anticipazione a proposito? Non faccio altro che registrare in continuazione, non smetto mai di lavorare a qualcosa finché non è finito. Non direi che abbiamo quasi finito, ma ci stiamo arrivando, qualche

volta lentamente, altre velocemente . Siete stati in tour con gli MGMT, li conoscevate già prima? Più o meno; eravamo già stati in tour con loro in Australia quando erano all’apice della loro popolarità. E’ stato un tour abbastanza folle, ma è stato sorprendente vedere quanto erano sicuri, tranquilli e così poco influenzati dal marasma che avevano attorno. Cosa pensi del loro secondo album? Una scelta coraggiosa e una sorta di atto di libertà tenendo conto del successo che avevano conquistato con il primo no? Amo Congratulations, come tutti noi. Le canzoni sono davvero incredibili. Ovviamente c’è una bella differenza tra quello la gente probabilmente si aspettava e quello che loro hanno scelto di fare, ma su questo argomento è già stato detto tutto quello che c’era da dire. A prescindere da tutto ciò, lo ritengo un album davvero ispirato. L’accuratezza con la quale suonano, anche questo è stupefacente. Penso che nel corso dell’ultimo tour abbiano fatto davvero un grande sforzo a suonare le canzoni di Oracular Spectacular dal vivo, perché aveva poco a che fare come il suono di una band, erano semplicemente due ragazzi che componevano e giocavano con la musica elettronica. Forse è proprio per questo che per il secondo album hanno preso una strada tanto diversa. Quali sono le tue altre passioni, hobbies al di fuori delle musica? A dire il vero, non ne ho alcuna. Progressivamente col passare degli anni la musica ha occupato l’intero spazio della mia mente. Adesso catalizza tutto il mio interesse e le mie attenzioni. C’è uno strumento che non esiste ancora e ti piacerebbe inventare? Sì, ma preferirei non dirtelo, altrimenti qualcuno potrebbe rubarmi l’idea. Tra l’altro ho così tante idee folli che mi ronzano in testa che alcune potrebbero perfino non funzionare. Però non so se troverò mai la motivazione e lo stimolo per dedicarmici veramente. Potendo scegliere, c’è qualche epoca in cui vi piacerebbe provare a vivere che non siano i nostri giorni? Sceglierei di rimanere dove sono, non vorrei vivere in un’altra epoca. Penso che ci siano così tante cose interessanti che stanno accadendo oggi nel mondo: la musica, la gente, l’ambiente.... Che sono sinceramente curioso di vedere come procederà tutto. Che progetti hai per il futuro? Non ne ho idea. In questo momento non ho idea di dove sarò o cosa farò tra un mese. Tutto ciò che so è che tornerò a Perth per l’estate e ci rimarrò fino a quando non sarà finita. Dopo, chissà?


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Shackleton Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Piotr Niepsuj Special thanks: Sergio Ricciardone (Club to Club)

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Con un mix nuovo di zecca, “Fabric 55”, che raccoglie in un unico devastante flusso materiali originali e inediti, e la prima release (“Man On A String, part I and II”) della sua nuova etichetta Woe to the Sceptic Heart, esce finalmente allo scoperto una delle figure più enigmatiche della bass music inglese: Sam Shackleton. Trasferitosi a Berlino dopo il fortunato quadriennio con la Skull Disco, label da lui fondata insieme ad Appleblim in pieno boom dubstep, Shackleton è rimasto un gentiluomo vecchio stile tanto schivo quanto curioso e ironico, un vero punk. Ci ha parlato in esclusiva della sua visione personale della musica, degli aspetti percussivi che la caratterizzano e dell’apocalisse. Ma soprattutto della sua esperienza, che lo ha sempre portato a scegliere in controtendenza per seguire la propria ispirazione, fondata su valori semplici.

Cos’è per te la musica? E’ qualcosa di astratto e molto intimo. E’ difficile spiegare cosa cerco di esprimere attraverso la musica, in quanto questa ha

le conga e quindi ho un suono vicino alle percussioni dell’Africa Occidentale. Una grande influenza su di me è stata la musica gnawa, costruita sulle ripetizioni, sui bassi

ze e quindi per renderlo dinamico. E’ la fase più delicata del mio lavoro e su cui passo la maggior parte del tempo, perché è qui che cerco di trovare un modo per non suonare

già una propria definizione. Quando faccio musica alcune parti di me diventano come un puzzle e solo internamente capisco cosa mi suona bene e cosa no. Qualcuno definisce la tua musica apocalittica. Sono sicuramente affascinato dall’argomento, ma non credo sia una cosa così assurda, dato che a un certo punto tutti dobbiamo morire e affrontare l’apocalisse. Fa parte della vita. Può darsi che ciò si rifletta nella mia musica, ma in modo incondizionato. Quando la sento non la associo all’oscurità, anzi per me è calda e vorrei che abbracciasse anche le altre persone che la ascoltano. Capisco che per qualcuno quel groove può risultare strano o pesante, non certo simile a quello che passa su Mtv o nei club, ma spesso la gente dopo un iniziale straniamento inizia a ballare e si lascia completamente andare. Non ho alcuna intenzione di intimidire o alienare il pubblico, voglio coinvolgerlo. Al tempo stesso non è da me cercare suoni mainstream o in voga nella cultura moderna per attirare più persone, perderei l’essenza, e anche volendo non ci riuscirei perché non sono un producer così bravo. Non avrei neppure la pazienza di realizzare un pezzo su commissione, faccio solo quello che suona bene alle mie orecchie. Bisogna avere un motivo per fare musica. Quale motivo avrei, per esempio, per fare una traccia house? Raggiungere più successo commerciale? Forse, ma ci sono artisti in giro molto migliori di me in tal senso. Che rapporto hai con i ritmi e i rituali africani? Dal punto di vista europeo è facile associarmi alla musica africana, perché uso molto

del guembri e sui battiti sincopati di mani che portano allo stato di trance. La scoprii quando andai molto giovane in Marocco. La ascoltai in un caffé e quando uscii andai a caccia di cassette, in particolare di Mahmoud Guinea nonostante i venditori ambulanti me lo sconsigliassero pensando al classico turista. In realtà adoro trascorrere del tempo in paesi diversi. Ho vissuto anche in Anatolia, Turchia, che potrebbe avermi lasciato qualcosa musicalmente. Dico potrebbe perché per noi occidentali e per i nostri software è seriamente difficile incorporare certi suoni, per i quali è necessario avere una profonda conoscenza e cultura. Se ascolto Ali Akbar Khan insieme a Ravi Shankar o i poliritmi della musica senegalese non riesco proprio a contare i tempi, eppure funzionano benissimo, sento il groove. Se facessi ascoltare la mia musica a quella gente, non la riconoscerebbero. Ognuno ha le proprie tradizioni. Quando creo i beat non cerco di replicare le musiche originali, seguo solo il mio ritmo interiore. Però non si può pretendere di non essere influenzati da nessuno, è impossibile. Basta scendere giù in strada per assorbire cose e persone. Dove trovi le idee per comporre i pezzi? Sperimento e vedo cosa funziona. Quanto agli elementi inseriti in una traccia, per me è davvero un processo lungo e laborioso da fare in studio. Uso molti campionamenti,

come la copia di qualcuno e contemporaneamente non essere statico. E’ la ricerca di un compromesso senza farlo sembrare tale. Ad esempio, ho un set di conga, ma non le suono quando registro perché non ho la sensibilità e la capacità di ottenere certi suoni. Non mi piace mischiare strumenti dal vivo con strumenti da studio e in particolare da club. In passato mi è capitato di usare musicisti dal vivo per alcune tracce, ma ho sempre dovuto filtrare e cavare i loro suoni. Sei un perfezionista? Sono sicuro di un pezzo non quando è perfetto, ma quando mi fa scattare qualcosa dentro. Anzi, mi piacciono le imperfezioni e i suoni sporchi. Sembra una tale contraddizione lavorare in studio con un approccio così meticoloso e costruito su misura per fare qualcosa che alla fine risulta umano e accogliente, ma anche diverso da quello che farebbe un musicista. Non pensi di usare percussionisti dal vivo in futuro? La mia sensazione personale è che potrebbe funzionare in un contesto diverso, non per il clubbing. Dal punto di vista dei suoni, mi può esaltare tanto un gruppo rock dal vivo quanto la musica elettronica registrata in studio, ma in un club non mi piace proprio vedere gente che suona strumenti. Per me sono due tradizioni completamente diverse, sebbene entrambe interessanti dal punto di

presi da un grande data base che ho costruito col tempo. All’inizio facevo tutto con qualche software di base, ora invece parto da un suono che mi colpisce, per esempio una parte percussiva, e lo inserisco in Sound Forge (programma di editing audio, ndr) su cui agisco per ottenere sfumature e sequen-

vista uditivo. Il rock deriva da una tradizione artistica legata alla performance: vedi il cantante sul palco, ascolti i testi, ti domandi quanto lui o lei stia soffrendo, poi guardi cosa fa il chitarrista e così via. Ognuno può soffermarsi su diversi punti di osservazione in un contesto che ha perfettamente senso.

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In un club il focus è diverso, si cerca di lasciarsi andare in una specie di trascendenza. Certi gruppi rendono bene anche in una dimensione da club, mentre viceversa il problema è il miscuglio tra la musica e l’aspetto visivo. Se il pubblico viene distratto dai suoni, perché nel frattempo vede altro, non avrà abbastanza spazio per l’immaginazione e non si lascerà mai andare del tutto. Molti mi dicono che è noioso guardarmi mentre suono col mio laptop, sembra che sto mandando le mail. E’ proprio questo il punto. Non è musica rock, non dovete stare a guardare un noioso 35enne ma abbandonarvi ai suoni. Cos’è per te la ripetizione? E’ una costante nella musica che amo e che cerco di riprodurre. Quando se ne parla in ambito techno o dubstep, però, inizio a sudare, mi dà quasi fastidio. La cosa importante per chi ha sensibilità verso la ripetizione è la costruzione delle frasi che vanno e tornano più tardi, il dialogo costante tra gli elementi a prescindere da quali essi siano e da quali strumenti vengano utilizzati. Il lavoro sui dettagli, che anche quando pensi non succeda nulla ti manda fuori di testa. Per esempio trovo una forte somiglianza tra Steve Reich e Peverelist. Non è una scienza, è il principio della chiamata e risposta che usano grandissimi musicisti come Fela Kuti, Nusrat Fateh Ali Khan, Talib Kweli o la stessa musica gnawa. Certe persone, ascoltando la mia musica, si stufano dopo cinque minuti e se ne vanno via perché vorrebbero che pompasse da subito. Non sanno aspettare. E’ una questione mentale. Non solo. Puoi essere cerebrale quanto vuoi, ma devi essere in grado di sentirla la musica. Ti sei sempre distinto fin dalle prime uscite con la Skull Disco. Come mai si è chiuso quel capitolo, nel 2008? Ci sono diverse ragioni. E’ logico pensare, quando le cose vanno bene per un’etichetta, che questa continui. Inoltre, se riesci a pagarti l’affitto, è da stupidi fermarsi. Ma è proprio quando le aspettative crescono che bisogna darci un taglio. Quante volte diciamo che il nostro gruppo preferito avrebbe dovuto fermarsi dopo i primi due album? Voglio dire, i dischi della Skull sono fantastici, le grafiche con i teschi e gli scheletri pure (opera del mio amico-artista Zeke Clough), ma dopo nove uscite da collezione non aveva senso andare avanti con la stessa chiave di lettura. Sentivo il bisogno di evolvere. Inoltre, c’era ormai troppo hype, che da un lato mi lusinga perché se suono in giro vuol

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dire che la gente mi conosce, ma dall’altro si iniziava a dire che mischiavo dubstep con la techno come se fosse una cosa calcolata, clinica. Non mi ritrovavo in queste definizioni, non riconoscendomi nel dubstep né interessandomi più di tanto alla techno. Ora siamo arrivati al punto che il dubstep, nel bene o nel male, è diventata musica mainstream in UK, musica da classifica. Allora non volevo guidare il treno di qualcun altro, anche se oggi ogni tanto mi dico, diavolo, tutti quanti stanno guidando quel treno! Mi dovrò cercare un lavoro (ride, ndr). L’uscita di Three EPs per la Perlon e la tua collaborazione con Villalobos ti hanno aiutato in questa “nuova” direzione? Sì e no. Mi piace Ricardo e mi piace la sua musica, ma fare un remix non significa propriamente collaborare. Di nuovo, è un altro treno che non vorrei guidare. Se me la sentissi, so che potrei fare qualcosa insieme a Ricardo senza pressioni né aspettative. Con Zip (proprietario della Perlon, ndr) sono sempre stato in buoni rapporti, mi sostiene da tempo. Anche qui, nessuna pressione o indicazione su cosa fare, mi ha dato carta bianca in nome del buon groove. Mi piacciono molti dischi della Perlon, non tutti, ma soprattutto mi fido di Zip. Condivido e rispetto il suo modo di lavorare organico, il suo non fare promozione, non farti fare interviste, non pubblicare su Mp3 (anche se è assurdo di questi tempi) e il fatto che ti faccia trovare i dischi in negozi come Hard Wax e simili. La cosa strana è che quando è uscito quell’album il mio agente non trovava date in giro e mi stavo deprimendo. Forse perché non facevo promozione o anche perché non rientravo nel giro dubstep. Dopo tre mesi, invece, sono arrivate moltissime proposte, tra l’altro più interessanti e sperimentali, meno convenzionali. A proposito di scelte più sperimentali, ho letto della tua collaborazione col pittore e regista tedesco Strawalde. Tempo fa a Berlino ho fatto una performance a un evento organizzato dal figlio, di cui sono amico. Lui era lì e dopo aver suonato è venuto da me gridando, con forte accento tedesco: “Questa musica è magica per me!”. In seguito sono andato varie volte a casa sua, ad ascoltare Duke Ellington e altre cose di avanguardia. Ci siamo trovati, perché per lui ogni cosa è arte. E’ anziano, ma che energia. Il giorno del suo 79mo compleanno è venuto nel mio studio e dopo aver stappato bottiglie di vino e fumato sigari ha tirato fuori un dvd, dicendo che aveva un regalo per me. Aveva realizzato un video di

mezz’ora, chiamato Lightshow, improvvisato con la mia musica che gli aveva passato il figlio. Molto old school, ma educativo. Come sei arrivato all’uscita di Fabric 55? Scelta piuttosto insolita se si considerano gli altri mix del Fabric… Ho suonato al Fabric la scorsa estate e a Judy (Griffith, ndr) è piaciuta molto la mia performance, chiedendomi se poteva pubblicarla online. Non ne ero molto convinto, ma alla fine mi ha chiesto di farne un mix in studio per la serie Fabric. Ho pensato che fosse l’occasione giusta per fare qualcosa che rappresentasse i miei set dal vivo, senza gli errori. Alcuni dei brani sono versioni rimanipolate di vecchi materiali, altri sono nuovi. Alcuni sono solo pezzi che congiungono casualmente le altre tracce, e forse sono i migliori. Com’è nata Woe to the Septic Heart, la tua nuova etichetta? Dall’idea di far uscire soltanto mie produzioni. Riguardo al nome, stavo ascoltando Johnny Cash e leggendo la Bibbia, in particolare gustando la parte del Nuovo Testamento dove prima di molte persone c’era l’espressione “Woe to…”, per esempio “Guai ai farisei”. Mi piaceva l’unione delle parole Sceptic e Heart, ma volevo dare il messaggio opposto per promuovere i puri di cuore e non lasciare una connotazione negativa. Ho sentito che hai anche un nuovo progetto parallelo, Sceptic Heart. Si chiama Refugees Of The Sceptic Heart. Sceptic Heart è il termine omnicomprensivo a cui si può aggiungere di tutto. E’ un progetto di spoken word costituito da me e Vengeance Tenfold, questa volta sì davvero apocalittico, influenzato da un gruppo come i Zoviet France. Abbiamo già sperimentato con successo una performance live con il ballerino Tom Dale, ma fare un tour insieme sarà difficile perché il ballo moderno richiede molte risorse e in questo momento il nostro governo le sta tagliando. Non lo dire a noi Italiani. Il nostro primo ministro brucia tutto in prostitute. (Ride di gusto, ndr) Lo so, mate! Ho letto in treno sul giornale l’incredibile storia che ha raccontato una escort. Pare che Berlusconi fosse nudo nella piscina con davanti una fila di escort, mentre lui diceva: “Avanti la prossima”. E che in casa ci fosse una gran quantità di droga arrivata col suo jet privato. E’ l’Europa moderna e lui è il re del male o qualcosa del genere, tragicomico no? Se anche solo una parte di questa storia fosse vera...


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Twin Shadow La Florida e il Nord Europa, il denaro e le armi, gli amori infranti e Rihanna. Sono solo alcuni dei temi toccati durante la chiacchierata con George Lewis Jr, in arte Twin Shadow. Languido crooner di origine dominicana, in bilico tra un James Dean post-atomico e un Morrissey caraibico. “Forget”, l’album d’esordio, prodotto da Chris Taylor dei Grizzly Bear, è stato una delle sorprese del 2010, con il suo scorrere sensuale e dinoccolato. Lo abbiamo inseguito per settimane, ostacolati dalle vacanze natalizie, e alla fine lo abbiamo rintracciato la sera di un improbabile venerdì di gennaio. Eccovi il resoconto. Intervista di Marco Lombardo. Foto di Ben Rayner

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Chiamo George sul suo cellulare. Risponde con voce assonnata. E’ in autostrada diretto verso Chicago, dove si terrà il suo prossimo concerto. Sbrigate le presentazioni di rito, iniziamo l’intervista, e con mia sorpresa, data la fama di personaggio allergico ai giornalisti, si rivela subito particolarmente loquace. So che hai avuto un’infanzia e un’adolescenza movimentata, fatta di fughe, traslochi e viaggi oltreoceano. Aiutami a ripercorrerne le tappe. Sono nato a Santo Domingo, la capitale della Repubblica Dominicana. La mia famiglia si è trasferita in Florida quando ero in fasce. Ho vissuto in una piccola cittadina chiamata Venice, una sorta di isola artificiale creata dai militari negli anni cinquanta, sino all’età di sedici anni. Poi sono andato via di casa. Prima a Boston, per un breve periodo, e poi a New York. Dopodiché sei partito per il nord Europa. Cosa ti ha spinto nel vecchio continente? Il caso. Non avevo programmato nulla. All’epoca vivevo a Brooklyn e mi mantenevo scrivendo musica per opere di teatro sperimentale. Suonavo anche in un gruppo punk ma eravamo in una fase di stallo. Quando mi hanno proposto di comporre la colonna sonora di una pièce teatrale d’avanguardia per una compagnia di Copenaghen ho subito accettato. Ero senza soldi e offrivano un bel po’ di denaro. Non avevo nulla da perdere. Sono salito sul primo aereo per la Danimarca e ci sono rimasto tre mesi. Ben presto il lavoro però si è rivelato deludente anche se ben retribuito. Invece di un’opera sperimentale il progetto ha preso i connotati di un musical stile Broadway. Quindi il primo impatto è stato negativo? Al contrario. E’ stato incredibile. Il lavoro faceva schifo ma tutto il resto era entusiasmante. Ho conosciuto tantissima gente. Ero costantemente bombardato da nuovi input. Tutto mi sembrava così diverso e sofisticato. Poi sono andato a Berlino, dove viveva la mia gemella, e lì ho avuto un altro shock. Non credo di essermi mai sentito altrettanto libero e ispirato come in quella città. Così ho iniziato a fare il pendolare tra la Germania e la Danimarca. A Copenaghen ho incontrato una ragazza svedese con la quale ho iniziato una relazione lunga e tormentata. Tornavo negli Stati Uniti ogni tre mesi, per rinnovare il visto, e vivevo come un vagabondo. Qualche settimana in Danimarca, poi in Germania, poi in Svezia, a Stoccolma, poi di

nuovo negli States. Che effetto ti ha fatto Stoccolma? E’ una città splendida ma l’impatto è stato un po’ alienante. Non avrei mai potuto abituarmi a tutto quell’ordine e a quell’efficienza. Ho bisogno di vivere in un luogo più grezzo e incasinato per essere davvero a mio agio. Sei ancora fidanzato con la ragazza svedese? Ehm, no. E’ stata una relazione molto lunga, di almeno tre anni. Una storia fantastica ma troppo complicata. In questo momento ci siamo allontanati, non parliamo. Mi manca. Non so, forse in futuro ci rincontreremo. Non ha funzionato per incompatibilità caratteriali o per la distanza? La distanza non è mai stata un problema. Avrei fatto qualsiasi cosa per vederla. Non saprei. Certo stare con una svedese è molto diverso che frequentare un’americana. La sua presenza mi ha reso felice come non mi era mai capitato prima. Poi sono affiorate le differenze. E’ una ragazza di provincia, semplice, genuina e molto diplomatica. Io invece sono decisamente più istintivo. Spesso ci scontravamo per colpa delle mie ossessioni da yankee. Per un certo periodo sono stato affascinato dalle pistole, dalla loro bellezza estetica. Era una cosa che non riusciva assolutamente a capire e che la infastidiva profondamente. La cultura americana ha degli aspetti molto torbidi e una fascinazione per la violenza decisamente diversa da voi europei. Credi che questa permanenza in Europa ti abbia cambiato in qualche modo? Assolutamente. Quando sono partito ero estremamente timido e insicuro. Mi sentivo così provinciale e limitato. Vivere all’estero mi ha dato una maggiore sicurezza e in un certo senso è come se mi avesse liberato da tutta una serie di infrastrutture negative. Non so se sia una questione dell’Europa in generale o un’evoluzione più individuale, privata, dovuta al vivere in un paese straniero, ma quell’esperienza mi ha insegnato a inseguire in maniera concreta i miei sogni, a mettermi in gioco sul serio invece di limitarmi a parlare delle cose che avrei voluto fare. Non è un caso se una volta tornato negli Stati Uniti mi sono buttato ossessivamente nella scrittura delle canzoni che poi sono finite su Forget. Che ricordi hai della tua infanzia? A lungo sono stato un bambino solitario e anche quando ho iniziato a fare amicizia a scuola ho sempre avuto dei rapporti molto conflittuali, in bilico tra odio e amore. I miei

amici maschi erano sempre più grandi di me. Ero la mascotte del gruppo e questo mi trasformava nell’individuo su cui sfogare tutta una serie di atti di bullismo. All’epoca pensavo fosse normale. Ci soffrivo ma credevo che l’amicizia dovesse per forza essere una commistione di gesti di violenza alternati a momenti di felicità. Una cosa abbastanza distorta se ci pensi. Inoltre sono cresciuto con una sorella gemella al mio fianco. Frequentavamo le stesse classi, gli stessi corsi. Lei ovviamente era sempre più brava di me, era adorata dalle maestre, prendeva i voti migliori. Così negli anni anni ho sviluppato una certa ostilità nei confronti della scuola e dei suoi meccanismi. Ho lasciato le superiori alla fine del primo anno, dopo essere stato espulso più volte e aver combinato un sacco di casini. Non ho avuto una giovinezza particolarmente felice (ride). Quindi non ti sei mai diplomato? Per un teenager la scuola è più che altro un involucro sociale all’interno del quale fare tutta una serie di esperienze comuni. Non ha nulla a che vedere con l’istruzione. Io all’epoca ero già interessato ad altre cose. Tutti i miei amici erano più grandi e avevano vite da adulti. Ho iniziato a frequentare questo club dove si riunivano tutti i musicisti della zona. Mi lasciavano entrare, anche se non ero ancora maggiorenne, solo perché ci sapevo fare sul palco durante le jam session. Così mi sono creato il mio universo parallelo, dove sentirmi a mio agio, e non ho più avuto bisogno della scuola per essere accettato, rimorchiare le ragazze o farmi degli amici. Immagino che tutto questo bagaglio di storie e di ricordi sia confluito nelle canzoni del tuo disco d’esordio, che s’intitola Forget, dimenticare. Come se avessi voluto mettere in musica il tuo passato per riviverlo e poterlo finalmente superare. Mi sbaglio? Di sicuro non è un qualcosa che ho scelto di fare a tavolino, con lucidità. E’ stato un processo inconscio e spontaneo che si è rivelato gradualmente. Non mi sono mai imposto di scrivere un disco legato al passato. Al contrario credo sia un album rivolto al presente. Le canzoni di Forget infatti hanno diverse sfumature e parlano di persone e periodi differenti. Alcune sono nate dalla rottura con la mia ex fidanzata svedese, altre da alcuni ricordi specifici della mia vita in Florida. L’unico vero tema comune a tutti i brani è la sensazione che si prova a perdere qualcuno, non importa se una ragazza o un amico. E’ il desiderio di

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mettere a fuoco quello stato d’animo che mi ha spinto a rileggere alcune situazioni del passato e ad analizzarle nella maniera più onesta possibile per comprendere l’influenza che hanno ancora sulla mia vita attuale. Ci sono molte cose che avevo cancellato della mia infanzia e che sono venute in superficie scrivendo questo disco. Ricordi legati alla mia famiglia e a mia madre. Non è stato facile per lei trasferirsi negli Stati Uniti e iniziare una nuova vita. Ci sono stati periodi in cui siamo stati davvero poveri. Mia sorella mi ha raccontato che da piccoli abbiamo vissuto in una casa senza porte e senza finestre, praticamente all’addiaccio, perché i miei genitori non avevano abbastanza soldi per ultimare i lavori di ristrutturazione. Sono memorie che avevo completamente rimosso. Non voglio però pensare alla musica come un qualcosa di terapeutico, anche se intimamente sono convinto che lo sia. Ti sei posto degli obbiettivi specifici quando hai deciso di focalizzarti su Twin Shadow e sulla realizzazione di questo album? Pensi di averli raggiunti? Sarò molto onesto. Non li ho raggiunti. Vuoi sapere perché? La mia priorità è vendere un sacco di dischi, avere successo. Certo le cose stanno andando bene ma sono ancora lontano dall’ottenere ciò che vorrei. Per questo prima ti dicevo che per me non è importante che la musica abbia un valore terapeutico. Attraverso di essa cerco di prendere le distanze dalla mia vita reale e inseguo la fama e la leggerezza. E’ una valvola di sfogo dalla realtà e l’incarnazione di un sogno. Spostandoci su un versante più tecnico, il disco è stato prodotto da Chris Taylor dei Grizzly Bear. Come vi siete incontrati e che tipo di influenza ha avuto su Forget? Ci siamo conosciuti grazie a sua sorella. Era tra le ballerine di una compagnia teatrale con cui ho collaborato. Le ho fatto ascoltare alcuni brani che avevo scritto e mi ha suggerito di mandarli a suo fratello perché era convinta gli sarebbero piaciuti. Così glieli ho spediti e per un bel po’ non ho avuto notizie. Nel frattempo avevo quasi ultimato la prima stesura del disco ed ero alla ricerca di qualcuno che mi aiutasse a ultimarlo. E’ in quel momento che Chris mi ha finalmente ricontattato. Stava lanciando una nuova etichetta discografica e voleva usare alcune delle mie canzoni per un singolo. Ci siamo incontrati, abbiamo iniziato a lavorare insieme e da un paio di brani si è offerto di produrre l’intero

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disco e di pubblicarlo. All’inizio volevo registrare di nuovo tutti i demo ma lui mi ha convinto a tenerli nella loro veste originale e mi ha aiutato a mixarli ottenendo un suono più omogeneo e compatto. Ha fatto un lavoro di rifinitura essenziale, ripulendo le cose qua e là, sottraendo e aggiungendo dettagli. Non sarei mai stato in grado di occuparmene da solo. E’ ossessionato dal suono, può stare delle ore chinato sul banco del mixer a muovere i fader sino a ottenere l’amalgama giusta. In studio ha una devozione e una pazienza che non mi appartengono. Forget è imbevuto di suoni che rimandano agli anni ottanta. E’ un risultato naturale o il frutto di un preciso lavoro di ricerca estetica? Non ho mai inseguito consapevolmente un’estetica. Quelle atmosfere sono presenti nel disco, non posso negarlo ma credo siano più che altro legate alla strumentazione che ho usato. I chorus per la chitarra, un juno 60 e tutta una serie di emulatori software di moog, drum machine e sintetizzatori del passato. All’inizio addirittura pensavo che le canzoni suonassero troppo disomogenee tra loro, troppo slegate. Sono stati gli altri a farmi notare di come in realtà avessero una loro coesione naturale. Ho letto in una recente intervista della tua passione per artisti come Drake e The Dream, senza citare il successo di critica del nuovo album di Kanye West. Sbaglio o sta succedendo qualcosa a livello d’inconscio collettivo legato a quelle sonorità? Come se improvvisamente l’universo r&b avesse sul pubblico indie un fascino del tutto nuovo e rinfrescante… Sono assolutamente d’accordo. Credo che la questione sia molto semplice. Il mondo è un posto troppo complicato in questo momento, impossibile da decifrare e interpretare. La musica esiste per farci stare meglio e regalarci emozioni. La grande maggioranza della scena underground è cervellotica e autoreferenziale, l’approccio all’ascolto e alla produzione è diventato quasi scientifico. Quegli artisti invece esprimono concetti semplicissimi e basilari in maniera genuina. Cosa spinge onestamente le nostre esistenze? I soldi e il sesso. Il desiderio fondamentalmente. Personaggi come The Dream o Rihanna non fanno altro che veicolare tutto questo, condendolo con talento e ambizione. Perché mai dovremmo disdegnarlo?

Siamo circondati da musicisti senza talento e da dischi che suonano bene ma non trasmettono alcuna emozione. Vendere milioni di copie non vuol dire essere soltanto un prodotto commerciale. A volte forse significa saper individuare istintivamente le esigenze della gente o semplicemente avere un talento o una sensibilità superiore. Un’artista come James Blake ha già assimilato tutto questo e lo ha trasformato in un qualcosa di completamente innovativo. So che avresti voluto Olof Dreijer dei The Knife come produttore di Forget. Come li hai conosciuti? Sono stati la colonna sonora dei miei viaggi in Europa. E’ stata la mia ex fidanzata a farmeli sentire. Paradossalmente rappresentano tutto quello che non ho mai apprezzato del pop europeo. Loro invece sono stati in grado di farmelo amare visceralmente. Mi hanno introdotto al concetto di minimalismo e artificialità spalancandomi le porte di un nuovo modo di concepire la musica che non avevo mai preso in considerazione. A un certo punto ho anche scritto una mail a Olof ma non mi ha mai risposto. Lykke Li è un’altra delle tue passioni scandinave. Sei riuscito ad incontrarla? Non ancora purtroppo ma farò di tutto per averla in una delle canzoni del mio prossimo album. Ho un debole per lei. Il primo disco in assoluto di cui ti sei innamorato? L’esordio dei Boyz II Men. Poi però sono passato ai Fugazi… Sei mai stato in Italia? Non ancora. Anche se in qualche modo sono sempre stato circondato da italiani nella mia vita. Mia zia era fidanzata con un italiano, si chiamava Dario. I migliori amici dei miei genitori erano originari di Positano, la mia tastierista è italiana. A quanto pare ho un legame speciale con il vostro paese. Se potessi rinascere donna chi ti piacerebbe essere? Non so se vorrei vivere da donna in un mondo così maschilista… Opterei per Debbie Harry comunque. Come ti immagini tra cinque anni? Ricco sfondato e completamente solo (ride)… Magari duettando nei dischi di Rihanna e Kanye West. O in compagnia di James Blake. Ci rivediamo tra cinque anni George. twinshadow.net


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Walden Photographer and styling: MACIEK POZOGA Assistant Photographer: ARTURO GUERET Assnt styling: ARTHUR NELLI Models: PAUL TAINE e ARTURO GUERET Special Thanks To: Haras de Saint Vivien, Thierry, Alex and Thai

Muta da surf QUIKSILVER

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Pantaloni DIESEL, scarpe VANS

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Parka NIKE 6.0

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Muta da surf QUIKSILVER, muta da surf con cappuccio BODYGLOVE

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Parka NIKE 6.0

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Orologio SWATCH

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Muta da surf QUIKSILVER

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Golf CARHARTT

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Jacket CARHARTT, shirt CARHARTT, sciarpa model's own

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Cappotto CARHARTT, pantaloni WRANGLER, zaino vintage STUSSY, stivali model's own

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Cardigan COS

Nadja Photographer: QUENTIN DE BRIEY Styling: ANA DE GREGORIO Hair & Make Up: MANUELA Pane@Kastell Agent For Bobbi Brown Model: NADJA Lacka@uno bcn Special Thanks: Jean Corliano

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE

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Top CONVERSE

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T-shirt 55DSL, slip MISS SIXTY

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Bikini SIXPACK

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Golf TOPSHOP, slip AMERICAN VINTAGE, calze CALZEDONIA

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100 PIG MAGAZINE


T-Shirt 55DSL, slip MISS SIXTY

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Shorts LEE, t-shirt vintage LEVI’S

102 PIG MAGAZINE


Kimono L’ARCA DE L’AVIA

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Slip H&M

104 PIG MAGAZINE


T-shirt AMERICAN APPAREL, shorts GAS

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T-shirt AMERICAN VINTAGE, shorts G-STAR

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Felpa vintage, calze AMERICAN APPAREL

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PIG list:

Speciale per il primo numero dell'anno. Titoli e didiscalie a cura di Tim Hoey dei Cut Copy. Trovate la recensione del nuovo lp della band australiana, Zonoscope, nella pagina degli album.

Tim Hoey (Cut Copy) 1. Neil Young - On The Beach “L'ho finalmente recuperato in vinile in uno degli ultimi viaggi a New York. Ho passato il Natale sulla spiaggia quindi mi sembrava appropriata”. 2. The Byrds - What's Happening “Vorrei tanto scoprire questa quinta dimensione di cui parlano i Byrds e passarci un po' di tempo”.

6. Sly and the Family Stone - Just Like A Baby “Le jam lente sono le migliori”. 7. Primal Scream - Slip Inside This House “I Primal Scream stanno per venire in Australia a suonare il loro classico Screamadelica: i Cut Copy saranno in prima fila davanti al palco”.

3. Gonjasufi - Candylane “Il mio disco preferito del 2010. Funziona benissimo anche nel 2011”.

8. Eddie Kendricks - Girl You Need A Change Of Mind “Questa l'avevo messa in un mixtape per una mia ex… Non ha funzionato”.

4. Peter Green - Slabo Day “Amo il groove su cui si avvita questa traccia. Per me potrebbe andare avanti per sempre”.

9. Deerhunter - Basement Scene “L'altro mio disco preferito del 2010. Suonerà alla grande anche tra vent'anni”.

5. Explorer - Enjaw “Una gemma italo del 1981. Questo disco ha influenzato tutto quello che è venuto dopo”.

10. Velvet Underground - Candy Says “In una top ten che si rispetti non può mancare un pezzo dei Velvet Underground”.

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Musica Album del mese

Di Gaetano Scippa

Foto di Ben Millar Cole © www.benmillarcole.com

James Blake - s/t (A&M) Un fulmine a ciel sereno. Un raggio di sole

CMYK e The Bells Sketch – che regala alle

(Like You)), non importa. E’ nata una nuova

nella tempesta. O forse entrambi. La prima

corde emotive quanto toglie al movimento.

stella. E noi siamo qui, immobili, ad ammi-

sorpresa dell’anno arriva dal debutto chia-

Qui tutto si gioca al rallentatore, sensazioni

rarne l’evoluzione.

roscurale di questo ragazzo londinese poco

miste di gioia e angoscia in slowmo vissute

più che ventenne, producer elettronico del

in solitario. La cover di Feist, Limit To Your

momento, già dietro al successo dei Mount

Love, esemplifica la direzione intrapresa

Kimbie. L’enigma pirandelliano su quale

da Blake: piano e tastiere, voce hypersoul

sia il vero volto di James Blake arriva con

vicinissima alle vibrazioni di Antony Hegarty

un disco spiazzante, difficilmente definibile

(apice nel gospel con finale a sorpesa di I

(Soulstep? Future garage?), dotato di una

Never Learnt To Share) e spesso elaborata

grande personalità e destinato, non senza

al vocoder, effetti stranianti e un raffinato

far discutere, al successo. Un lavoro intimo

minimalismo anche negli arrangiamenti

e originale, diverso dai precedenti ascolti

d’atmosfera. Un Jamie Lidell, un Bon Iver o

– Air and Lack Thereof lanciato alla radio

un D’Angelo proiettato nelle sfere celesti di

BBC da Gilles Peterson nel 2009 o i ritmi di

Burial e Fennesz (Wilhelms Scream, To Care

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Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa

Gil Scott-Heron and Jamie xx We’re New Here (XL) Suggestivo e inverosimile immaginarli in studio, nonno e nipotino di un’improbabile famiglia (post)moderna. Il giovane fan che mette mano al materiale risalente alle sessioni dello struggente ritorno del grande “vecchio”. Jamie si diverte, scorrazza in libertà, unisce i puntini e colora gli spazi con le matite preferite. Così I’m New Here splende come sogno trip hop in una notte di luna piena, se Your Soul And Mine è il dubstep che ti aspetti, NY Is Killing Me quello che non, mentre I’ll Take Care Of U diventa un nuovo vecchio classico piano house. Tutto ruota intorno alla voce, unica protagonista di entrambi gli LP, ed è un ottimo modo di farla sentire ancora una volta, anche a chi sicuramente non la conosceva. D.

Nicolas Jaar - Space Is Only Noise (Circus Company) Nel mese in cui celebriamo il ragazzo d’oro del nuovo suono inglese, rischia di passare in secondo piano un altro prodigio. Cileno nato a New York City, avanti e indietro tra Santiago e la Grande Mela, Nicolas Jaar sembra destinato a grandi cose. Ventenne che brucia le tappe e sembra gestire le puls(az)ioni di gioventù, nonostante un anthem, Time For Us, vestito buono per clubbers avanzati, così come i suoi re-edit. Space Is Only Noise è unico, mette insieme jazz e hip hop, suoni minimi e calde strofe, note di piano e chitarre che cigolano. Ma non solo. Da Satie al connazionale Aguayo, in mezzo un mondo.“Rischia” di fare, un giorno, i numeri di Gotan Project e Thievery Corporation; non sappiamo se augurarglielo. D.

Cut Copy - Zonoscope (Modular) Si temeva un deja vu o un passo più corto della gamba, invece no. Abbiamo un gruppo ambizioso che, dopo essersi avvalso dei servigi di Zdar e Goldsworthy, se la cava da solo, mettendosi comodo comodo al lavoro nella sua Melbourne e “autoproducendosi”. Lungo un’ora, contro i 50 min. di In Ghost Colours e i poco più che 40 dell’esordio, Zonoscope segna una lenta e costante evoluzione. Prova di maturità, che allarga gli orizzonti in entrambe le direzioni; ora psichedelici, ipnotici, rumorosi a tratti, con echi di Bowie e degli omnipresenti New Order; ora vicini al dancefloor come mai: italo e space, ma anche acid house e rave. Flashback non ne mancano, la vena pop della band è un trade mark, ma i passi sono in avanti e ci sono brani a cui affezionarsi. D.

James Ferraro - Night Dolls With Hairspray (Olde English Spelling Bee) Il 2010 è stato anche l’anno dello sdoganamento definitivo del pop ipnagogico, grazie al lavoro incessante di gente come Daniel Lopatin, Sam Meringue e James Ferraro. Quest’ultimo fa un passo ulteriore in avanti con NDWH, dove riesce ad accentuare in forma lo-fi pop il confine tra entusiasmo teen e trash anni ’80, costruendo uno zapping tragicomico su radiofrequenze a onde medie di anthem scolastici disturbati, film di serie B, sigle cartonesche, chitarre glam e cori ridicolissimi. Brufoli, lobotomia, onanismo, confusione, gel spray, (leather) high school musical. Tutta un’altra adolescenza. G.S.

Banjo Or Freakout-S/t (Memphis Industries) Qualcosa si muove nel panorama indie italiano. Lo dimostrano gli Iori’s Eye in tour con jj e TTA, i Too Young Too Love sulle passerelle d’oltremanica, i Fare Soldi in ascesa nella blogosfera. Esperienze scollegate che fotografano però una vitalità inusuale e una credibilità crescente, insperata solo qualche anno fa. Alessio Natalizia è uno dei precursori di questo fenomeno e il suo esordio britannico segna un punto di svolta. Banjo or Freakout è un disco autenticamente internazionale ed esteticamente perfetto nel suo mischiare shoegaze, kraut-rock, songwriting folk ed elettronica. Sembra l’inizio di una nuova era. M.L.

Millionyoung - Replicants (Old Flame Records) Washed Out, Neon Indian, Toro Y Moi, Memory Tapes, Small Black. E ora anche Mike Diaz, dalla Florida, in arte Millionyoung. I nomi che tracciano le coordinate di un nuovo pop elettronico di scuola yankee, liquido e nostalgico, che partendo dalla provincia americana si è fatto strada un po’ ovunque, mescolando attitudine “dream”, neo psichedelia, bassa fedeltà e ricordi di nastroni anni ottanta. Come una sorta di mutazione aliena sci-fi retrofuturista del college rock di stampo nineties. Un passo avanti e due indietro. Tra odori di pellicole fuori formato e sintetizzatori analogici. Basta non chiamarla chillwave… M.L.

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Hercules & Love Affair - Blue Songs (Moshi Moshi) Nell’apprezzabile tentativo di andare oltre la formula vincente dell’esordio - vista anche la dipartita di Nomi e il venir meno dell’insostituibile Antony - Andrew, Kim Ann e gli ultimi arrivati si lanciano all’esplorazione di nuovi territori tenendo come punti fermi l’universo disco house che fece del progetto uno dei casi dell’anno 2008. Vai a vedere e scopri che Boy Blue è uno space folk nero, Visitor un trenino sospeso tra italo ed electroclash, I Can’t Wait un bagno nell’aceed e It’s Alright l’ultimo ballo alla festa delle medie classe ‘87/’88. Per i nostalgici rispolverano archi e fiati, domando il dancefloor come nel caso

Destroyer - Kaputt (Merge Records) Nono disco sulla lunga distanza per il progetto solista del canadese Dan Bejar, conosciuto anche come chitarrista dei New Pornographers. Kaputt segna la svolta stilistica che potrebbe finalmente consegnargli, dopo anni di carriera sotterranea, la ribalta internazionale. Seguendo per certi versi la scia tracciata dagli Ariel Pink nel 2010, Bejar lavora su un’evocativa idea di soft-rock senza tempo e rispolvera riverberi di chitarra degni di Prefab Sprout e Roxy Music. Ad aumentare il coefficiente vintage gli arrangiamenti jazz di un sassofono notturno. Gil Evans meets Brian Ferry? Indossate il vestito buono. M.L

Space Invadas - Soul:Fi (BBE) “Il nostro modo preferito di viaggiare è ciò che chiamiamo ‘Soul Transportation’”, recita la traccia introduttiva. Si apre così il progetto “spaziale” nato dalle menti avanzate di Katalyst e Steve Spacek. Il secondo, non pago della collaborazione con un altro australiano doc, Mark Pritchard (Africa Hitech), vuole esplorare nuovi mondi. Sempre in chiave funky, soul e hip-hop futurista di straordinaria fattura. Supersweet ci proietta in pista, con Recognise immaginiamo Tunde Adebimpe cantare su una base da videogame C64 col beat, mentre Listen è un impasto etno-jazz stellare e Rise risolleverebbe pure Lazzaro. Fate subito le valigie. G.S.

Demdike Stare - Tryptych (Modern Love) Un ritorno alle suggestioni orrorifiche del cinema, dove tensione e suspance diventano suoni, anche nel simbolismo occulto dei Demdike Stare. La loro musica – sorta di dark-ambient alla 4AD sotto impulsi Basic Channel – nasce dall’immenso archivio analogico di Sean Canty e Miles Whittaker, che rivitalizzano la plunderfonia di elettronica primordiale, jazz e suoni mediorientali con un approccio dub. Tryptych raccoglie tre vinili usciti nel 2010, Forest Of Evil, Liberation Through Hearing e Voices Of Dust, con l’aggiunta di sei brani inediti (tra cui la mantrica Library Of Solomon Book 2) per un totale di 170 minuti d’ascolto. G.S.

Faust - Something Dirty (Bureau B) Quarant’anni e non sentirli. I Faust, dal 2007 con i fondatori Jean-Hervé Peron e Zappi Diermaier, James Johnston (Gallon Drunk, Nick Cave & the Bad Seeds) e l’artista a tutto tondo Geraldine Swayne, sono una leggenda del krautrock. Something Dirty fonde la loro creatività in una simbiosi di rumori e suoni ipnotici, ripetitivi, dadaisti. Molto efficaci la chitarra tagliente di Johnston e le tastiere psichedeliche (oltre alla voce) di Swayne. Cavalcate motorik (Tell The Bitch To Go Home), blues acido (Lost The Signal), avanguardia e una ritrovata ruvidezza nell’esecuzione da far impallidire qualsiasi gruppo emulo uscito in tempi recenti. G.S.

di Step Up o dell’incontenibile My House. Così sono tutti contenti. D.

The Sand Band - All Through The Night (Deltasonic-Coop) Ci stancheremo mai di ascoltare canzoni malinconiche? Non credo. Non se hanno la stoffa di quelle scritte da questo nuovo quartetto di Liverpool, sponsorizzato da The Coral, Noel Gallagher e Richard Ashcroft. E se amassimo qualcuno solo per godere della solitudine del distacco? Nell’attesa che ogni separazione ci avvicini a qualcun altro, in una staffetta di cuori infranti? All Trough The Night potrebbe darvi le risposte che state cercando. O perlomeno suggerirvi l’idea di cosa avrebbero combinato Neil Young ed Ennio Morricone se mai si fossero incontrati in uno studio di registrazione. M.L.

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Musica Varie

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa

Vondelpark - Sauna EP (R&S) Ep Intercettati l’anno scorso nella blogosfera i misteriosi Vondelpark esordiscono per R&S. Songwriting futuristico, tra indie a bassa fedeltà, con ritmiche del’”altro” mondo. D.

jj - Kills (Free Download) Mixtape La musica pop(olare) nell’era della sua riproducibilità tecnica. L’hip-hop e il nuovo r’n’b americano incontrano l’indie svedese. Si riparte da qui. Walter Benjamin lo aveva previsto... M.L.

Beth Ditto - (Deconstruction) Ep Beth e SMD di nuovo insieme dopo Cruel Intentions… Questo è l’ideale proseguimento. Quattro nuove contagiose jam ad andamento lento. D.

M.I.A. - Vicki Leekx (Free Download) Mixtape

Gatekeeper - Giza (Merok Records) Ep Detroit Techno a tinte horror per questo duo con base a Brooklyn. Gli Enigma sfidano i Cybotron e Vangelis per sonorizzare l’Inferno Dantesco. Dirige John Carpenter. M.L.

La Vampires feat. Matrix Metals - So Unreal (Not Not Fun) Lp La cantilena lasciva di Amanda Brown si sposa perfettamente con la visione pop “drogata” di Sam Meringue e i suoi synth. Se gli Chic non devono ballare da soli, noi dobbiamo riavvolgere il nastro a fine corsa. G.S.

Planet Soap - After Silkworm (Car Crash Set) Compilation Dei 18 remix che compongono questa avvincente raccolta di beatmaker da tutto il mondo, spiccano Kay Tee Kustum dal Giappone, DZA dalla Russia e il nostro UXO. Occhio che il futuro dei bassi passa anche da qui. G.S.

Komet - P.S.T (False Industries) Ep Il minimalismo digitale allo stato puro di Frank Bretschneider in tre nuove tracce (ottima P.S.T 09) sotto l’alias Komet e cinque riusciti remix ad opera di Donnacha Costello, Logreybeam, Dieb, Tramway V e Yair Etziony. G.S.

A sei anni dal mitico Piracy Funds Terrorism, mixtape che l’ha lanciata, M.I.A. sceglie l’ultimo e le parole calde dell’anno per tornare in prima linea. Niente confetti, solo proiettili. D.

Zoo Kid - “Out Getting Rib” b/w “Has This Hit” (House Anxiety) 7”

Capelli rossi, sguardo rassegnato e 16 anni sul groppone. Eccolo qui il nuovo enfant prodige made in London. I fan degli xx sono avvisati. M.L. 112 PIG MAGAZINE


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Cinema

Di Valentina Barzaghi

Kick-Ass Di Matthew Vaughn. Probabilmente questo film uscirà in pochissime sale per uno spettacolo pomeridiano, come lo era stato per Scott Pilgrim vs. The World, perché senza che nessuno si prenderà la briga di vederlo, verrà giudicato “film per bambini”. Cosaaaa? A parte la vena polemica, KickAss è una bomba, un film che ho aspettato (era stato presentato al Sundance FF l’anno scorso), visto, amato, consigliato, rivisto. Kick-Ass mi ha scaricato addosso una dose di adrenalina come non ne provavo da un po’. Tratto dall’omonimo fumetto di Mark Millar (quindi se non siete amanti di film tratti da comics già capite che potete evi-

tarvelo) era un prodotto che già sulla carta prometteva di far faville, ma proprio per questo era rischioso da affrontare perché i cultori avrebbero sacrificato il regista su pubblica piazza se il risultato non fosse poi stato all’altezza del fumetto. E invece... Ne è uscito un prodotto che già si aggiudica un posto nella mia top 10 di questo 2011 appena iniziato! Tra un irriconoscibile Nicolas Cage nei panni di Big Daddy, uno spassoso (basta guardarlo in faccia) Christopher Mintz-Plasse e un impeccabile Aaron Johnson nelle vesti di Kick-Ass, però è soprattutto lei ad emergere... Chloe Moretz, che munita di caschetto viola, terrorizza e

massacra decine di criminali attempati con il nome di Hit-Girl! E che violenza ragazzi concentrata nel corpo di una undicenne che adora bere cioccolata e marshmallows lucidando un fucile da cecchino, che non può fare a meno dei suoi codini fanciulleschi, ma che va in brodo di giuggiole per il suo coltello a scatto. E infine, non dimentichiamo la colonna sonora: tra Prodigy e Primal Scream, passando per Morricone e The Dickies, ma non solo, si susseguono alla perfezione pezzi che riescono ad accentuare nello spettatore, senza alterarle, le emozioni che la storia cerca di trasmettere in immagini.

come Miglior Attore protagonista, troviamo un rivalutato Jeff Bridges, mentre Matt Damon è La Boeuf, l'uomo di legge che con l'ubriacone Cogburn e una quattordicenne si mette alla ricerca dell'uomo che ha ucciso il padre della ragazza per un cavallo, pochi dollari e due pezzetti d'oro: Tom Chaney (Josh Brolin). Girata tra New Mexico e Texas, la nuova pellicola dei Coen è un western in piena

regola, che si va a posizionare nella loro filmografia dietro a quel Non é Un Paese per Vecchi in cui si facevano le ossa (per modo di dire, è un mezzo capolavoro) nel genere. Sospeso tra classico intramontabile e ormai celebre "rivisitazione di genere alla Coen", True Grit è un film complesso e divertente al tempo stesso, altra prova che i Coen trasformano in oro quello che toccano...

True Grit Di Joel e Ethan Coen (ITA, Il Grinta). Visto che il titolo non vi sarà di certo nuovo, rispolveriamo un po' le polveri cerebrali: True Grit è stato un film del 1969 diretto da Henry Hathaway, tratto dall'omonimo romanzo di Charles Portis. True Grit è il nuovo film dei Coen e azzarderei, la più fedele e incredibile pellicola costruita attorno al romanzo. Nel ruolo del testardo Cogburn, che valse l'Oscar a John Wayne 114 PIG MAGAZINE


127 Hours Di Danny Boyle. Boyle, come molti altri grandi registi del nostro tempo, ama sperimentare e questa volta si mette alla prova con una sorta di docu-fiction sull’avventura che il giovane alpinista Aaron Ralston visse qualche anno fa. Un’esperienza che lo segnò a vita e di cui ancora porta i segni. Doveva essere un viaggio come gli altri per il ragazzo: recuperare di fretta il necessario per la spedizione (dimenticando cellulare e non rispondendo alla madre a cui avrebbe potuto dire dove stava andando), partenza in macchina la

sera diretto verso il canyon dello Utah, accampamento di fortuna dove riposarsi per poi cominciare l’escursione di mattina di buona lena. Il primo giorno tutto sembra filar liscio, tra l’incontro con due giovani escursioniste e perlustrazioni in bici, ma una caduta improvvisa e il braccio bloccato sotto il peso di un grosso masso, diventano un problema insormontabile anche per la sua esperienza sul campo. Seguono cinque giorni in cui Aaron sarà in balia di intemperie, dolore, mancanza d’acqua e che lo porteranno ad un gesto estremo.

Un film adrenalinico ed effervescente, che nonostante il dramma trattato infonde un senso di gioia profonda. Un’esperienza umana, sportiva e cinematografica, che Boyle racconta magnificamente con tutto il suo potere espressivo d’immagine e il suo stile esplosivo, nonostante la situazione statica in cui il protagonista si trova. Un film che trasmette un senso infinito di libertà (lo stesso che tempo fa cercai in Into The Wild, non trovandolo...) e una grande prova per James Franco, che si assicura così un posto ai prossimi Oscar.

circondano. Bardem veste i panni di Uxbal, un uomo comune: ha due figli e ama incondizionatamente la moglie con cui però ha un rapporto conflittuale che li sta portando alla separazione. Per sopravvivere vive di manodopera clandestina e viene a contatto con stadi di povertà e depressione profondi. Ad accentuare il tutto è il suo stato interiore: quello di un uomo che sta camminando lentamente verso la morte. Una pellicola drammatica del regista che parla ancora una volta di dolore e morte,

una storia difficile e che scava a fondo nell’ego del protagonista, riuscendo di riflesso a far accartocciare lo stomaco e il cuore anche al pubblico. Il titolo forse è fuorviante, perché nella pellicola non troverete nulla che vi illuminerà gli occhi e vi scalderà i sensi di positività, se non forse per la memorabile interpretazione di Bardem, che con il suo sguardo trasuda la disperazione di Uxbal. Un film non facile (sia da realizzare che da vedere), forse quello della maturità del regista messicano.

Biutiful Di Alejandro Gonzalez Inarritu. Questo film è nell’aria già da un po’ e più precisamente dalla scorsa edizione del Festival di Cannes dove Bardem (a pari merito con Germano, per La Nostra Vita di Luchetti) ha vinto la Palma come Miglior Attore Protagonista. Personalmente accolgo sempre con entusiasmo l’uscita di un film di Inarritu, che questa volta abbandona i suoi famosi incastri di montaggio per dedicarsi invece alla storia di un personaggio e degli affetti che lo

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News

Di Valentina Barzaghi

Jerome Sable Jerome Sable è un filmmaker canadese che abbiamo conosciuto a Torino, dove il suo cortometraggio intitolato “The Legend of Beaver Dam”, divertentissimo musical horror, è stato proiettato in apertura dell’anteprima nazionale del nuovo film John Carpenter. Durante la proiezione, Jerome era seduto emozionatissimo di fianco a Dario Argento. “The Legend of Beaver Dam”sarà in concorso alla prossima edizione del Sundance FF ed è stata una buona carta di lancio del giovane regista, che attualmente infatti sta lavorando al suo primo lungometraggio, altro musical horror ambientato in una sorta di college of arts. Nella speranza di vederlo in quell’olimpo di maestri “della paura” a cui per ora si è solo avvicinato con rispetto, lo abbiamo intervistato. Ciao Jerome! Come stai? Bene! Scusa se abbiamo tardato l'intervista, ma sono davvero molto preso. Figurati! Quanti anni hai? 30 In che tipo di ambiente sei cresciuto? Sono cresciuto a Montréal, Québec. Durante il periodo estivo, è un posto davvero ricco di cultura e musica, ci sono molti festival e sensualità nell'aria. D'inverno invece, si congela. Qual è il tuo ricordo più bello di quando eri piccolo e andavi al cinema? Mi ricordo solo di quando avevo 8 anni e ho usato per la prima volta gli occhiali. Mi ricordo in modo davvero preciso la mia prima esperienza di film con gli occhiali. Fu incredibile. Non per il film - era Vice Versa con Judge Reinhold e Fred Savage- ma 116 PIG MAGAZINE

perché potevo finalmente vedere cosa c'era sullo schermo e realizzai quanto mi fosse mancato. Mi dici come ti sei avvicinato al cinema? Hai frequentato qualche scuola? Ho lavorato in teatro per molto tempo, ma con la consapevolezza che un giorno mi sarei orientato verso il cinema. Successivamente, era il 2005, dopo 7 settimane trascorse a correre per uno dei nostri lavori a Los Angeles, ho cominciato il Master Program alla USC Film School. Ti ricordi come ti è venuta l'idea per The Legend of Beaver Dam? Sì! Batalion (il suo fidato socio, ndr) e io eravamo impegnati nella realizzazione di un nuovo progetto. Avevamo già fatto molte commedie insieme. Abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa di horror.

Inoltre, era da tempo che ci dicevamo che avremmo voluto fare un musical rock. Così ci siamo detti: "Che ne dici di una commedia musical horror?". Perché no? Così abbiamo iniziato con la solita serie di "ma se fosse", fino a quando siamo arrivati al "Ma se la storia di fantasmi che il capo scout sta cantando diventasse realtà?". Per poi proseguire col resto, sai come vanno le cose con un musical horror... Eravamo interessati a seguire la pista dell'heavy metal per l'horror e così abbiamo poi sviluppato la figura di un mostro malvagio che terrorizza i piccoli scout con grida da tenore rock. Quali sono state le maggiori difficoltà a realizzare un film come questo? La sfida più grande per questo lavoro è stata la produzione di vocals dal vivo in loco, nel bosco. Volevamo che il suono fosse il


più possibile dal vivo per gli attori e così abbiamo fatto indossare loro degli ear-wings (wireless inner-ear monitors). Hanno fatto davvero tutto quello che potevano. Saluto Kyle Riabko, il prodigioso chitarrista blues degli Saskatoon che ha contribuito come nessun altro alla colonna sonora. Lui ha suonato con icone della chitarra come B.B. King da quando aveva 12 anni ed è stato felice di saltare sul treno di "Beaver" per un pomeriggio e dividere la sua magia con noi. L'assolo malato di chitarra sui titoli di coda? Questo è Riabko. Con che musica sei cresciuto? Direi che la nostra esperienza alle scuole superiori è stata piena di classici del rock: Led Zeppelin, AC/DC, Rush, G’n'R, Queen, Jethro Tull. Invece la colonna sonora del college era più hip hop: The Roots, Jay-Z, Blackalicious, Outkast. Qual è lo stato d'animo che ti rende più creativo? Qualche volta mi vengono le idee quando vado a correre. Altre volte è più un "Oh merda, ho una deadline". Non mi è mai capitato di intervistare qualcuno che avesse fatto un musical. Mi racconti come ci hai lavorato? Per prima cosa abbiamo scritto la storia. Poi i testi delle canzoni e poi la musica (appena dopo i testi). Abbiamo registrato una versione grezza della musica , con "voci finte" (queste voci sono terribili e vanno sostituite, ma servono a far capire dove sulla musica ci va il testo). Poi abbiamo girato una versione

Dvd

migliore della musica. Poi abbiamo insegnato la canzone al cast e registrato le loro voci in studio. Dopo, sul set, abbiamo registrato ancora il cast con gli ear-wings. Infine, in post-produzione, abbiamo mischiato le voci in studio con quelle del set. Come spiegheresti ad un bambino cos'è la paura? Buuu! Mi dici qualcosa sul duo "Sable & Batalion"? Eli Batalion e io lavoriamo insieme dal 1993. Siamo cresciuti insieme a Montréal e abbiamo cominciato a girare video per divertimento e anche progetti per la scuola fin dal Grade 7 (quando avevamo 13 anni). Abbiamo lavorato in coppia da sempre, cominciando dalla scrittura fino alle performances nel 1999. Ad oggi, siamo stati in tour in venti città con i nostri progetti per il teatro, ma anche per musica e commedia. Quali sono i registi che ti hanno influenzato di più? Per l'horror: Dario Argento, Wes Craven, Peter Jackson, Sam Raimi, Brian De Palma, John Carpenter, ovviamente Hitchcock ... Per il musical: Jim Henson. Il miglior horror che hai visto recentemente? Al primo posto ci sono due film coreani che ho appena visto: I Saw the Devil e Possessed. Entrambi grandiosi. Cosa ti piace fare quando non sei sul set? Sciare Sei stato a molti festival con The Legend

of Beaver Dam? Più che posso. Sono stato davvero contento di essere venuto a Torino. Alla proiezione del nostro corto ero seduto di fianco a Dario Argento - è stato un vero onore per me! Sei felice? Penso di sì. Ora sono proprio felice. Forse più tardi sarò triste? Se non fossi diventato un regista, quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto fare? Credo che avrei lavorato in una stazione sciistica, per avere gli sconti sui biglietti e sciare. Sai, lavorare su turni, roba così. Progetti futuri? Batalion e io stiamo lavorando su un musical horror. E' un lungo e si intitola Stage Fright. Immagina un High School Musical in un campo di arti dello spettacolo, con un serial killer a piede libero. Sarà un buon slasher vecchio stile e una satira in chiave musical allo stesso tempo. Tutti, da Zac Efron e Lea Michele verranno infilzati. Letteralmente. La domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui ti piacerebbe rispondere? Hmmm... Quanti nipoti hai? La risposta è cinque. Ho tre nipoti maschi e due femmine - l'ultima delle quali ha 9 giorni e vive ad Oxford, Inghilterra. Cosa farai dopo questa intervista? Vado a comporre una canzone per Stage Fright. Batalion è in città e stiamo lavorando alle musiche nel modo che ti dicevo. www.stumpysam.com www.sableandbatalion.com

Di Valentina Barzaghi

The Town Di Ben Affleck. Tratto dal romanzo Prince of Thieves di Chuck Hogan, uno dei film che più mi ha sorpreso in positivo della stagione passata. Ben Affleck come attore personalmente non mi è mai piaciuto, mentre con questo film, dopo il ben fatto Gone Baby Gone, si conferma un valido regista. Siamo a Charlestown, un piccolo quartiere di Boston. Qui ogni anno avvengono circa 300 rapine. Un gruppo di quattro amici ne ha già messe a segno diverse, ma durante l'ultimo colpo qualcosa è andato storto. Preso in ostaggio il direttore della banca, una giovane donna, che comunque hanno rilasciato illesa, devono capire se ha visto qualcosa. Uno di loro, Doug MacCray (Affleck) decide quindi di avvicinarsi alla ragazza, finendo per innamorarsene. Tra bugie, sparatorie, la classica caccia del gatto al topo (FBI-malviventi) e maschere fantastiche con cui i delinquenti celano le loro identità durante le rapine, il film scorre via liscio, lineare, ma lo spettatore ha di che intesirsi e divertirsi. The Town racconta la piaga di una città, riuscendo a far diventare Boston-Charlestown stessa parte integrante della narrazione; prende una trama tradizionale, ma ci riesce a mettere il pathos necessario; decide di fare un film commerciale, ma lo fa in modo intelligente e che non manca di estri di regia. Chiariamoci: The Town è un blockbusterone, con tutto quello che ci si può aspettare da un film di questo tipo - action, love story, bro-story, le colpe dei padri, gli sbagli ovvi dei figli che dicevano al genitore "io non sarò mai come te" e invece bram, cascati in pieno...- ma sfruttando il genere in maniera saggia e rispettandone quelle che sono le caratteristiche salienti.

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Books and So

Di Rujana Rebernjak

Cash For Gold Dicono che l'epoca delle fiere dei libri sia finita. Se è davvero così The Last Zurich Zine Session è stato proprio un bel funerale, riunendo alcune delle più autorevoli case editrici indipendenti e proponendo una marea di pubblicazioni, che variano dalle fanzine auto-prodotte stampate in risograph ai libri ormai consolidati. Scoperto proprio lì, Cash for Gold è uno di quei libri impossibili da trovare, ma che una volta preso in mano fa per-

dere la testa. Proponendo questo libro, non voglio dire che dobbiate andare a recuperare le collane che vi hanno regalato alla cresima, e penso che nemmeno Melanie Hofmann volesse suggerirlo, perchè Cash for Gold, come dice il titolo, sicuramente vi rivelerà dov'è possibile farlo. Questa piccola pubblicazione auto-prodotta è una raccolta di fotografie, scattate dal 2005 al 2009 in giro per Sudafrica, che riproducono le insegne di migliaia

di negozi che comprano oro. Ogni insegna è diversa: ognuno ha una frase speciale da proporre, un carattere particolare da usare, il colore preferito da esporre, nella speranza che non passino inosservate. Titolo: Cash For Gold Autore: Melanie Hofmann Casa Editrice: Self Published Anno: 2010 www.melaniehofmann.ch

Auto-Progettazione Revisited Che Auto-Progettazione, progetto di Enzo Mari dal 1974, meriti più attenzione di quella che gli è stata concessa finora, in molti se ne sono accorti di recente. Quindi era inevitabile rendergli omaggio invitando alcuni giovani progettisti a disegnare sedie, lampade, librerie partendo da semplici tavole grezze. Questa piccola pubblicazione è il riassunto dell’esperienza Londinese che potrebbe diventare un manuale per chiunque fosse stufo dei soliti mobili IKEA. Titolo: Auto-Progettazione Revisited Autore: Aavv Casa Editrice: Aa Pubblications Anno: 2009 www.aaschool.ac.uk

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Exciting Places For Boring People

Andy De Fiets: Letter To Robin Kinross

Anche se solitamente sono scettica quando si tratta di fanzine illustrate, Andy Rementer rimane un punto fermo. Infatti, i suoi disegni di personaggi ambigui, città improbabili ed altrettante immagini bizzarre, questa volta in bianco e nero per una fanzine pubblicata da Nieves, abbinati alle ironiche frasi come “Shopping for the perfect funeral shoes”, riescono a trovare quel difficile equilibrio tra il tragico ed il comico che mi fa sorridere ogni volta. Titolo: Exciting Places For Boring People Autore: Andy Rementer Casa Editrice: Nievs Anno: 2010 www.nieves.ch

Andy De Fiets è un giovane grafico che aspira a diventare protagonista della Tipografia Moderna. Pieno di dubbi, si rivolge a Robin Kinross, grande autorità nel rigoroso mondo della tipografia. Tranquilli, non è un libro da grafici, perché Andy finisce per parlare degli Smiths, dell’Islam, dei vestiti, dei senzatetto e delle copertine polverose - non raggiungendo nessun punto, se non quello di prendere in giro il fanatismo quasi perverso a cui può tendere il design. Titolo: Andy De Fiets: Letter To Robin Kinross Autore: Sam De Groot, Paul Haworth Casa Editrice: True True True Anno: 2010 www.truetruetrue.org

Exhibition Prosthetics Another Way “Exhibition Prosthetics” è un termine coniato dall’autore Joseph Grigely, nel tentativo di affrontare le convenzioni della rappresentazione nell’arte: come guardiamo le opere d’arte e in che misura l’uso delle immagini e del linguaggio da parte degli artisti costruisce l’arte stessa o sia solo l’estensione di essa. Abbinato alla conversazione tra Hans Ulrich Obrist e Zak Keys, compone una lettura che non è affatto noiosa come potrebbe sembrare. Titolo: Exhibition Prostethics Autore: Joseph Grigely Casa Editrice: Bedford Press E Sternberg Press Anno: 2010 www.bedfordpress.org

Another Way è una raccolta di illustrazioni che, senza pretese di costruire una narrazione, piuttosto propone una serie di spiritosi ossimori visivi, prendendosi gioco della nostra percezione della realtà. Un fenicottero a quattro zampe, il libro-porta, due semafori che amoreggiano, costituiscono una parte di questa fanzine che va rispettata non solo per l’immaginazione dell’autore, ma anche per la minuziosa esecuzione della piccola casa editrice Duke Press. Titolo: Another Way Autore: Ryan Todd Casa Editrice: Duke Press Anno: 2009 www.dukepress.co.uk

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www. whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Digital Acquarium Hai mai visto una balena? Si, durante il mio primo storyboard. Che rapporto hai col mare? Amo l’idea di pensare che là sotto esista un nuovo mondo che magari un giorno sarà rovesciato. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché?

Sicuramente in una medusa perché ne ammiro i movimenti molto eleganti ma allo stesso tempo letali. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? Amo l’aria perché amo volare e quando volo ho la possibilità di vedere tutte le differenti forme della terra. Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che

Opera di SP805U debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? Credo che l’arte debba essere la riflessione di quello che c’è dentro di noi e che non tutti hanno la possibilità e la capacità di guardare dentro al mammifero che siamo. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo? Come una tasca di un jeans dentro la quale ormai c’è così tanta roba che si sta scucendo. E come lo immagini tra 20 anni? Forse non ci sarò più… ma spero per mio figlio che sia migliore di questo, fatto da gente migliore. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? Amo la bidimensionalità e le linee, mentre sono contrario alle sfumature. Cerco di sperimentare quando posso e vorrei che le regole d’impaginazione ogni tanto mi lasciassero libero di respirare. Forse molto spesso mi trasformo in una balena. Come hai realizzato questa balena? L’idea di partenza era quella del movimento. Non sempre è possibile incontrare una balena e quindi la mia idea era quella che si potesse percepire piano piano, magari guardandola da vicino e non da lontano, magari muovendo più volte il foglio. Amo approfondire. A cosa stai lavorando ora? In questo particolare momento alla gestione del mio studio di Approcci Multidiciplinari N21 STUDIO e alla neonata N gallery. Sto avviando anche un progetto di Comunicazione-Design per un neonato Brand di biciclette costumizzate “Fixed” dal nome Anomalacicli, oltre a cambiare i pannolini a mio figlio. Hai un sogno/incubo ricorrente? Si quello di ritrovarmi vecchio sopra una di quelle macchinette telecomandate senza mai aver visto una balena. www.enne21.com

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Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Mix perfetto? L’orrore di Dead Space 2 a bordo di una Zonda Cinque. Dead Space 2_Xbox360 Vincitore di 17 premi internazionali, anticipato da un film d’animazione -Dead Space Aftermath- e da una graphic novel -Dead Space Salvage- diventerà presto un film ed è già un mito per molti appassionati. Più terrificante di Alien e più visionario di 2001, esce finalmente, dopo tre anni di lavorazione, Dead Space 2, considerato da tutti il videogioco di sci-fiction più orrorifico di sempre. Epico e claustrofobico, è un’opera che unisce horror e fantascienza in un perfetto mix di azione, citazioni cinematografiche e una trama quanto mai articolata, con esplicite allusioni alla famosa e controversa setta di Scientology. Se pensate di essere dei duri, dovrete ricredervi. Da urlo. Need For Speed Hot Pursuit _ PS3 Se amate l'adrenalina questo è il solo gioco di automobili che ve ne darà a tonnellate. Meccanica semplicissima: poliziotto o fuorilegge, una tonnellata di auto da sogno -tra le altre Bugatti Veyron, McLaren F1, Lamborghini LP 670-4 SuperVeloce, Mercedes SLS AMG, Nissan GT-R SpecV e Porsche Panamera- e incidenti stradali iperrealistici come non ne avete mai visti. Vincere la corsa o fermare l'avversario a sportellate. Qui lo spettacolare video girato sul Passo di Falzarego: hotpursuit.needforspeed.com EA Sports Active 2 _Xbox360 La vita sedentaria sta lavorando sulle nostre maniglie dell'amore e il

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nuovo titolo targato EA è il trainer giusto al momento giusto. Non un semplice sequel con le solite routine rivisitate e corrette ma un vero e proprio titolo che farà lavorare i muscoli nel modo più giusto possibile. Non siamo dei fan del "fitness casalingo" ma bisogna dire che, anche grazie al nuovo sistema di sensori -su Xbox c'è Kinect che fa già tutto- da applicare a braccia e gambe, il lavoro risulta molto più professionale e preciso che negli altri titoli di questo genere. Se volete allenarvi sul serio, e davvero rassodare i glutei (i programmi sono tantissimi: full body, upper body, lower body, core e cardio), questo è il momento giusto. E uno, due tre e quattro! Rebirth _ iPad Inserito tra le top applicazioni da avere assolutamente se possedete la tavoletta di Steve ci ha lasciati di stucco. Provate a chiedere a quelli che ne masticano: ReBirth è il programma da avere se vi piace mixare musica elettronica. Costa ma ne vale la pena e poi su iPad è uno spettacolo per gli occhi. Infinity Blade _ iPhone- iPad Non sarà perfetto, ma è assolutamente stellare sotto molti punti di vista. Date un'occhiata a cosa ci prospetta il futuro sui portatili Apple, scaricate ìBlade e stupitevi. Il gioco è l'avventura di un guerriero, tanto fantasy, mostri giganteschi e grosse spade di metallo. Pochi tasti ma essenziali. Solo un assaggino, perchè siamo certi che questo sarà solo l'inizio.


livelli

modalitá

Salta in un affascinante mondo 2D tutto da scoprire.

Gioca da solo o assieme a un amico.

acrobazie Usa le caratteristiche Wii per le tue acrobazie scimmiesche.

rispondi al richiamo selvaggio di Wii Donkey Kong e Diddy Kong sono tornati! A Natale bananizza i tuoi amici e vivi mille avventure con i gorilla più scatenati del mondo! Con la funzione Super Guida, potrai giocare più facilmente e la sfida per diventare Re della giungla sarà davvero... a portata di tutti! www.nintendo.it © 2010 NINTENDO ® AND THE Wii LOGO ARE TRADEMARKS OF NINTENDO. © 2010 NINTENDO.


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

Be The Stig Il più atteso e amato simulatore di guida di tutti i tempi è su PS3. PIG incontra Kazunori Yamauchi e gli fa qualche domanda al cambio gomme. PIG: La tua prima macchina? Kaz: Era la vecchia macchina della mia fidanzata con più di 200.000 km! PIG: Ma quando è iniziata questa passione per le auto? Kaz: A 3 anni guardavo mio padre alla guida e cercavo di imitarlo seduto sul sedile del passeggero… cambio, clacson… puntatacco… poi nel ’79 la passione per i motori è diventata una cosa seria. PIG: Sappiamo che vai spesso a correre al Nürburgring. Kaz: Almeno sei volte all’anno sono li! PIG: Miglior tempo? Kaz: 9.48 con una Lexus iSF PIG: e con GT5?

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Kaz: 3.45… ma era un’altra macchina –e forse i miei tecnici mi hanno fatto vincere- ride! PIG: L’auto che vorresti nel tuo garage? Kaz: Ferrari F40 e una bella Lamborghini Countach. Abbiamo aspettato fino all’ultimo temendo un altro “Twitter” dal Giappone ma alla fine è uscito. Buttate via tutto il resto. La macchina parcheggiata in garage o sotto casa non vi serve più, compratevi una Playstation 3 e chiedete le ferie, al diavolo gli esami. Dopo anni di attesa, Kazunori (Kaz) Yamauchi lancia il suo Gran Turismo 5 e non ci sono dubbi: è il miglior simulatore di guida mai progettato sinora. Bellissimo, luccicante, pieno zeppo di cose incredibili, come una

scatola di cioccolatini di Forrest Gump ma molto più grande, come un cofanetto di Top Gear ma con ancora più puntate di quelle andate in onda. Inutile citare tutte le marche e i modelli presenti, ci sono tutti quelli che contano e quelli che non ci sono è perché non esistono o sono troppo stupidi per capire cosa vuol dire entrare in un brand come GT. Ma più di tutto, questo gioco è una dichiarazione d’amore al mondo dell’auto e alle corse in genere. Kazunori ama il rombo dei motori e vuole farci provare l’ebrezza di annusare le carrozzerie di veri e propri miti dell’automobilismo: Pagani Zonda R’09 che ha recentemente battuto tutti i record


al Nürburgring, la misteriosa Ford Mark IV ’67 o ancora la Jaguar XJ13 e persino Lamborgini Miura P400 (prototipo Bertone). Macchine da sogno costruite per pochissimi fortunati e con scopi precisi: vincere tutto quello che c’è da vincere. Bolidi rari e costosi da guidare a tavoletta su piste e tracciati reali come mai prima d’ora –correre con una Ferrari 330 P4 tra le morbide colline toscane è una sensazione impagabile-. La leggendaria cura maniacale di Poliphony Digital raggiunge livelli mai visti sia in pista che fuori,

nella sessione dedicata alla cura delle nostre vetture in garage. Se siete dei guru del 3D, sarete felici di sapere che GT5 si può usare in coppia con un bel paio di occhialetti magici!- Impossibile capire la differenza tra realtà e finzione tanto ci hanno lavorato sopra e Kazunori ammette che riprodurre il suo amato Nurburgring è stato emozionante. Le modalità principali sono sempre due: A e B-Spec. La prima è la classica guida-vincidiventa il campione. Tutte le engine grafiche e fisiche sono al top e se pensavate di aver

già visto il meglio dovrete ricredervi. La seconda modalità invece è stata implementata e sviluppata fino a diventare ancora più interessante della prima. E’ possibile gestire sei campioni con altrettante vetture, una scuderia vera e propria da controllare e mantenere in buono stato –anche fisico-. Si devono controllare i piloti durante la corsa modificando i livelli di aggressività e i differenti approcci alla gara, una tipologia di gara già esistente che qui è stata ampliata, modificata, migliorata e resa più accattivante. Un’al-

tra grande news è il “Course Maker” per creare e personalizzare il proprio circuito. Non è proprio un editor classico, è qualcosa di più semplice e intuitivo basato su di una serie di parametri da impostare per ottenere un risultato che comunque rimane casuale. Provate a inserire "Germany in spring" o “Toscana”, poi mettete la lunghezza del circuito, le condizioni climatiche, la frequenza delle curve e un paio di altri dettagli e avrete un circuito perfetto per provare la nuova Subaru WRX STI. Morbide pieghe nel

verde, alberi che delimitano spazi aperti e un piccolo villaggio di sassi da attraversare nel mezzo della campagna autunnale. Pensato ed ottimizzato per tutti quelli che come noi non vogliono perdere ore dietro complicate interfacce di editing grafico, perfetto. Un’altra novità è l’inclusione delle gare di Kart, piccoli bolidi da 100 cc da lanciare sulle piste cittadine. Potrebbe sembrare un semplice giochino, ma la fisica dietro al movimento di un kart non è così semplice se si pensa che in GT viene cal-

colata persino l’incidenza “fisica” del pilota su curve e sbandate controllate. Una chicca che doveva essere inserita in GT6 ma che a sorpresa è proposta in anteprima, anche per premiare la lunga attesa di tutti gli appassionati del genere. Se avete sempre sognato di essere The Stig, questa è l’occasione giusta. Non esiste nulla di simile in commercio e a parte qualche ricco signore del petrolio, nessuno ha mai avuto l’occasione di guidare così tante automobili tutte insieme. Ancora qui a leggere?!

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Indirizzi 55DSL www.55dsl.com adidas www.adidas.com American Apparel www.americanapparel.net American Vintage www.am-vintage.com Aurélie Bidermann www.aureliebidermann.com Bally www.bally.com Benah www.thebenah.com Blak Basics www.blak.co.nz Ca & Lou www.caandlou.com Calvin Klein www.calvinklein.com Calzedonia www.calzedonia.it Carhartt www.carhartt.com Chanel www.chanel.com Converse www.converse.com David Koma www.davidkoma.com Diesel www.diesel.com EASTPAK www.eastpak.com Ecko www.ecko.com Element www.elementskateboards.com

Energie www.energie.it Erickson Beamon www.ericksonbeamon.com Everlasting Sprout www.everlasting-sprout.com Federica Moretti www.federicamorettihandmade.com Fendi www.fendi.com FILA www.fila.com Formale www.formale.it Franklin & Marshall www.franklinandmarshall.com Fred Perry www.fredperry.com Gas www.gasjeans.com Givenchy www.givenchy.com G-Star www.g-star.com H&M www.hm.com Hopeless hopelesslingerie.bigcartel.com Joe Rivetto www.joerivetto.com L’arca de l’avia www.larcadelavia.com Lacoste www.lacoste.com Lanvin www.lanvin.com Lee www.lee.com

Levi’s www.levi.com Louis Vuitton www.louisvuitton.com Marc Jacobs www.marcjacobs.com Marni www.marni.com Mawi www.mawi.co.uk Miss Sixty www.misssixty.com Miu Miu www.miumiu.com Mixmind www.mixmind.com.cn New Era www.neweracap.com Nicholas Kirkwood www.nicholaskirkwood.com Nike www.nike.com Nixon www.nixonnow.com Paul Frank www.paulfrank.com Phillip Lim www.31philliplim.com PUMA www.puma.com Quiksilver www.quiksilver.com Reef www.reef.com Rochas www.rochas.com Samuji www.samuji.com

Shatzy Chen www.shatzychen.com Sixpack www.sixpack.fr Skechers www.skechers.com Sonia Rykiel www.soniarykiel.fr Stussy www.stussy.com SUPER www.retrosuperfuture.com Swatch www.swatch.com TBA www.ilovetba.com Tenue de Nimes www.tenuedenimes.com Topshop www.topshop.co.uk Tosca Delfino www.toscadelfino.com Undercover www.londonundercover.co.uk Upstate www.youreupstate.com Valentino www.valentino.com Vans www.vans.it Volta www.voltafootwear.it WeSC www.wesc.com Wrangler www.wrangler.com

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