KILLER CITY
Impedivo ai ricordi di sopravvenire. Stazionavo davanti alla finestra come un sordomuto, tenendo lontano il turbinio dei pensieri. Soltanto con le figure acquisite dalle pupille, mi accorgevo di non essere sepolto. Ero inerte, assente, una specie di vegetale che rilevava solo immagini in sequenza. Tramutavo i passanti in personaggi avventurosi e strani, componendo scenari che occupavano la mia mente tramortita. Una routine che mi perseguitava da mesi, compromettendo i rapporti con la mia famiglia e soprattutto con mia moglie, una mosca senza capo che vagava in casa affannandosi a fare e rifare infinite faccende domestiche. Consumavo il tempo senza più nulla da esplorare né imparare, nemmeno dalla mia nipotina, che tentava invano di scuotermi chiamandomi nonno a cantilena. Vedevo il verde nella terra, il mare in lontananza e le navi che lo puntinavano, il cielo e le stelle che spuntavano dai tramonti.
La tristezza mi avvolgeva, cercando di sedare il dolore.
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Mi domandavo il perchè di tante sofferenze, per quale incomprensibile motivo il destino scelga di spezzare una vita prima di un’altra, come si possa continuare a vivere dopo una tempesta di lacrime, quali siano gli specchi in cui possiamo guardare. Intanto, con la fronte attaccata al vetro, osservavo lui, il vicino di casa, che saltava in groppa alla sua bicicletta per andare in centro, e mi distraevo fantasticando.
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Nel cuore dell’Asia esiste un vasto territorio a forma di gallinella. Il becco pizzica l’Afghanistan, gli occhi guardano il Tagikistan, il petto, gonfio delle catene montuose dell’Himalaya e del Kunlun Shan, lambisce il Nepal e l’India, mentre a nord la groppa si protegge sotto la Grande Muraglia Cinese. Il tetto del mondo. La grande Cina del vecchio Tibet, il posto magico che testimonia i miliardi di anni trascorsi dall’aggregazione delle polveri interstellari, esattamente nel cuore della creatura dal corpo gigante e dalle zampe orientate al Vietnam. La regione dello Yunnan è un immenso altopiano con vette spiccate fino a 2000 metri sul livello del mare. Una terra striata che pare ricavata graffiando il suolo con una ciclopica mano dalle unghie affilate. La dimora di Slurry era poco lontano dalla città di Qujing, incastonata in un anfratto della montagna. Un posto incantato dove il tempo scandisce le sue epoche lasciandone traccia. Dalle valli alberate alle rocce scoscese, dai monti pietrosi ai fiumi delle cascate, dalle case costruite con tavole inchiodate ai tetti coi baffi all’insù, dai pilastri di mattonelle alle
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scritte coi simboli, dai bagliori delle stelle ai fari dei lampioni cittadini, dai grattacieli slanciati agli edifici bassi dipinti artisticamente, dai vialetti di selce alle strade asfaltate lungo i versanti, dai ponticelli di legno a quelli di ghisa con i tiranti d’acciaio, dai terrazzamenti per il riso ai giardini pensili, dai serpenti di vetro degli stadi e delle ferrovie a quelli carnosi e velenosi dei selciati. Ma le facce delle persone si somigliano, stirate dal sole o lisciate dal vento e dalla neve, gente di modesta statura e fisico mingherlino che concede sorrisi stentati e parole soltanto all’occorrenza, che si contenta di un bizzarro vestito bardato di draghi o indossa abiti aderenti e compìti, che raccoglie l’acqua dal fiume coi secchi oppure beve al rubinetto cromato, che naviga su imbarcazioni di tronchi o prende un motoscafo per taxi, che mangia in una ciotola sul tappeto oppure siede al tavolo intarsiato, che fa il bagno in una tinozza o si accomoda nella vasca di ceramica coi pedali dorati. Qujing, la città dove il buio delinea i panorami e il sole li abbaglia sfocandoli. Un tutt’uno tenuto insieme dai suoni
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rilassanti di antichi strumenti o moderni sintetizzatori. Slurry giaceva sepolto da 250 milioni di anni nelle profondità di una montagna impiantata a rovescio nelle viscere della terra, dove luce e buio sono indistinti e la quiete è un silenzio tombale interrotto soltanto dai vermi che bucano il terreno.
Una miniera abusiva, tra le tante in quella zona, non lontana dall’abitato, un posto quasi inaccessibile, raggiungibile soltanto percorrendo una via tortuosa che scalava scuri monti segnaletici.
Si scavava da anni coi permessi scaduti, a ritmo forsennato, senza paura di essere sottoposti a controlli. Non vi era tregua nemmeno in quel periodo di luglio, stagione delle piogge, in cui si rallentava l’estrazione a cielo aperto per favorire e rinforzare il prelievo del minerale dal sottosuolo. Nei pozzi profondi, al riparo dalle intemperie, i minatori scendevano dal tunnel a squadre di sei unità, percorrendo il primo tratto a piedi, attraversando un cunicolo in diagonale con scalini lunghi e vischiosi.
Giungevano a un grande pianerottolo sotterraneo, anticamera dell’ascensore per la discesa lungo
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l’albero in verticale. I primi piani avevano rami orizzontali corti, ma più si andava giù e più la ramificazione si allungava impervia, pericolosa. Quel giorno si andò al settimo livello, quello più rischioso perché aveva i bracci lunghissimi e stretti, a 180 metri di profondità. E fuori pioveva, continuava a piovere. Ma nei labirinti si doveva scavare e scavare dopo le cariche di esplosivo, perché quell’antracite era la più preziosa, ricca di carbonio e con eccezionale potere calorifico. Le sei bestie erano a fine turno, quel maledetto pomeriggio, e avevano appena finito di caricare i carrelli che sarebbero giunti all’esterno tramite montacarichi e nastri trasportatori dedicati. Enormi quantità di roccia grezza stipata in grandi cumuli dilavati dalla pioggia. Perché quel giorno pioveva, pioveva forte, pioveva tanto, pioveva violentemente e l’acqua cominciava a penetrare sgorgando nella galleria, raggiungendo con prepotenza l’ascensore e riempiendolo da dove poteva. Pioveva, pioveva, pioveva e l’acqua scendeva nel fusto dell’albero sotterraneo e mandava in blocco gli impianti elettrici
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e di sollevamento, le luci si spegnevano e sui cavi scariche elettriche e sfiammate improvvise, e i tunnel, lentamente, divenivano acquari per topi che non riuscivano più a respirare. D’improvviso, la frana travolse.
Fuori, dal cielo nero, continuava a scendere pioggia potente, lavando immense quantità di polveri, terra e composti di zolfo o altre indesiderate particelle, diminuendone la forza riscaldante.
Ignaro della tragedia, Slurry, setacciato e frantumato in ciottoli omogenei sparati a pressione nell’acqua sanguinante, il mattino seguente avrebbe iniziato il suo viaggio lungo il fiume, a bordo di un grosso tubo sommerso. L’affluente Xi-Jiang aveva un intorno rigoglioso di foreste, una collezione di rupi frastagliate e lingue di spiagge abitate dai contadini nomadi che avevano impiantato piccoli villaggi di palafitte.
Proprio in quelle acque, da dove si traguardano monti spuntati come tepee di indiani d’America, si narra che un certo Mascimoto, un minuscolo essere con la pelle accartocciata, sfilasse ogni giorno con
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una snella imbarcazione mossa da un solo remo e che, accompagnato da un silenzio avvolgente e da una calma vigorosa, si recasse ogni alba in un’isoletta a valle, all’incrocio col fiume Zhu-Jiang. Un posto sconosciuto alle mappe dove egli coltivava perle favolose in grado di abbagliare. Si pensa trattasse i suoi molluschi tipo animali domestici da 400 grammi, tenuti al guinzaglio delle boe, e che gli desse da masticare una pozione di sabbia miracolosa dispensata con la sua manina scarna. Si dice che ogni cinque anni una strana gente dai vestiti bianchi e i capelli biondi si recasse lì a comprare quei gioielli per smerciarli in Inghilterra. Si dice pure che furono quegli stessi loschi individui, dal soldo facile, a soprannominare lo Zhu-Jiang “il fiume delle perle”, un serpentone verde smeraldo disteso per 800 chilometri, in cui confluiscono migliaia di rivoli per raggiungere il mare meridionale della Cina. Un percorso a ostacoli che varia il suo panorama man mano che le montagne si sgonfiano tramutandosi in colline e poi in umida pianura, e infine in torbido acquitrino, con la flora palustre che
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preserva il riso.
Le risaie sono uno spettacolo della natura, vanno in scena l’estate inverdendo i germogli sulle terrazze e dopo il giallo vivo della piena stagione chiudono il sipario in autunno, con un raccolto che fornisce il vitto per tutto l’anno a intere popolazioni.
Dopo una settimana, Slurry completò la prima tappa del suo viaggio giungendo nel porto commerciale di Shenzhen, a nord dell’Isola di Hong Kong. Scenari moderni, super moderni, grandiose città con sinuose costruzioni di vetro e palazzi lanciati verso le nuvole, scritte luminose in verticale e schermi a led posizionati dappertutto, strade aggrovigliate e parchi sparpagliati qua e là. Formicai contemporanei con formiche a forma di persona e veicoli ovunque, posti futuristici da sfiorare di striscio come a bordo di un tubo giunto a destinazione, la stiva n°4 di un titanico cargo denominato Oriental Sun.
La nave era grassa e interminabile, tetra e angosciante, dai fianchi neri, il fondo rosso e la torre di poppa a quattro piani, con uffici e alloggi, pitturata di un bianco opaco.
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Un colosso di ferro talmente possente che i membri dell’equipaggio sembravano manipoli di pulci disseminate, e il suo stomaco era un vomitevole miscuglio ammassato negli scomparti.
Tra i tanti omini frenetici che si davano da fare, compiendo azioni di ogni tipo, se ne distingueva subito uno, molto singolare e vistoso, chiamato scherzosamente da tutti col nomignolo CiaoLin.
Indossava un jeans scolorito col bottone centrale protagonista sopra la lampo, scarpe da tennis e un giubbotto impermeabile rosso semi imbottito, buono per tutte le stagioni. Aveva occhiali ampi tartarugati, baffo canuto spesso e barba rasata, cappello turchese risvoltato e camminata zoppa. Era molto rispettato, un uomo d’esperienza che sapeva sempre cosa fare, dimenandosi sul ponte e percorrendolo costantemente da prua a poppa.
Urlava suggerimenti e raccomandazioni ai marinai, consigliando quanto necessario prima di mollare gli ormeggi, operazione che preferiva coordinare personalmente, invitando a sciogliere le cime una
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per una. Dopo, appena la nave sarebbe salpata staccandosi dalla banchina, CiaoLin, quel curioso individuo che di cinese aveva solo la corporatura minuta, avrebbe imprecato violentemente alla vita bestemmiando contro le migliaia di container in attesa sui piazzali di calcestruzzo, contro le ciclopiche gru che avevano caricato le stive, contro quel viavai di tir che facevano capolino nei parcheggi, contro quei viziati turisti che avevano dovuto imbarcare per fare contenta la compagnia di navigazione, contro i fumi delle città, contro le guerre e contro la finta pace, contro quel tifone mai incontrato, contro il cielo che gli aveva strappato sua moglie da trent’anni, contro la ricerca di un’altra lei e di sé stesso, cominciata sin da allora abbandonando la sua identità e i suoi due figli alla provvidenza, imbarcandosi in giro per il mondo su quei fenomenali ricoveri galleggianti. L’uscita dal porto coincise con la stasi della sua collera, col lacrimare dei suoi occhi, con la supplica al mare di rincontrare la meravigliosa donna che lo aveva accudito fino ai quarant’anni, amandolo come
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soltanto il primo amore può fare. Dal ponte di comando alcune frasi recitate dal Comandante sul luogo di partenza e su quello di destinazione, il porto di Singapore, 2500 chilometri da percorrere alla velocità massima di 15 nodi. Tre giorni e mezzo di navigazione previsti. Il Mare Cinese Meridionale, estremo occidentale dell’Oceano Pacifico, è un’apparente distesa di tranquillità, e per toccare il fondo bisognerebbe scendere a 5000 metri, nell’abisso sotto cui si celano giacimenti di gas e petrolio, gli ori tanto contesi dagli Stati intorno e da lontane superpotenze. Passando per l’arcipelago delle Isole Spratly, un centinaio di gemme coralline a fior d’acqua, la Oriental Sun incappò subito in un terribile tifone. Acquazzoni e vento sballottarono il cargo per alcune ore, montando onde lunghe che sbattevano il mare come un immenso lenzuolo. Nessuno ebbe il coraggio o l’incoscienza di stare in coperta, tranne lui, l’uomo temerario che da anni attendeva quella tempesta per insultarla e inveire senza paura contro la violenza devastante, brutale, inspiegabile, la
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stessa che gli aveva sottratto la moglie imponendogli la malattia mortale. In quelle interminabili ore, CiaoLin, come impazzito, corse lungo gli orli della nave, afferrò la balaustra come a volerla strappare, balzò a piè pari sui coperchi delle stive, sbatté i pugni e la testa sul ferro del pavimento, si impadronì della prua sporgendosi d’impulso, urlò ininterrottamente sfiorando il limite della follia umana, liberandosi in quel lasso di tempo dal dolore atroce frullato nella mente. Sino a quando quel qualcosa con cui prendersela si allontanò. La visione di alcuni balenotteri, che nuotavano in superficie sfiatando acqua, palesò il pericolo scampato. Quando la nave raggiunse l’ultimo atollo dell’ arcipelago violentato dalle perforazioni petrolifere, la radio di bordo informò che l’uragano era stato battezzato Nepartak, l’ennesimo killer che aveva ucciso senza pietà osando mettere a repentaglio anche le preziosissime basi militari cinesi, faraoniche opere in costruzione tra gli isolotti incontaminati. Gli ospiti, smorzato il terrore improvviso che li aveva
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scossi, lasciarono timidamente gli alloggi e le loro comodità per godersi il vento caldo e rilassante che sfiniva la tensione. Si schierarono in fila sul ponte salutando in lontananza una confortante portaerei americana in pattugliamento, una grigia e imponente città armata scortata dal fedele cacciatorpediniere. CiaoLin scagliò le residue frasi di rabbia addosso ai malcapitati turisti e contro le piattaforme petrolifere schivate per miracolo, incolpando dissennati governi di manomettere isole naturali riversandoci cemento per farne piste d’atterraggio o impiantare basi missilistiche per sorvegliare il Vietnam, le Filippine, la Malesia e la città-stato di Singapore, uno di quei puntini importanti del globo posizionati sulla fascia equatoriale. Avvicinatosi lentamente al gruppetto spensierato, con voce accennata, quasi intimidatoria, sussurrò: IosocheleisoleAnambassonounsognoappartato che si lascia guardare, ma sul ponte non sono ammessisandalidaspiaggianétantomenotacchi alti, una scivolata vorrebbe dire rischiare di finire irrecuperatiinmare.
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Aipasseggerièrichiestodiprovvederedipersona allapuliziadellapropriacabinaefarsiilbucato. Se qualcuno ha il vizio del fumo, sappia che è sempre vietato, fatta eccezione che nella saletta fumatori. Gli orari dei pasti sono rigidissimi, ospedalieri,tardarevorràdiredigiunare.Ilmenùèa discrezione del cuoco di bordo, cucina semplice e nutriente.Cisisiederàsemprealpostostabilito. Ognunoèresponsabilepersonalmentedelleazioni compiute. Qui non abbiamo medico e nemmeno infermeria. Organizzate pure le vostre attività, ma rispettate le regole del viaggio. E quando sbarchereteperlevisite,inparticolarenelprossimo porto,rientrateabordoentrol’orariofissato,come viindicheràilComandante.
Tenetesempreaportatadimanoilpassaporto,ese qualcunodivoinonèinpossessodelcertificatodi vaccinazione internazionale per la febbre gialla gli consigliodistaremoltoattento,ancheaglialitidichi vivenderàunaporcellanaouncuscinodivelluto. Nonguardatemiconquellefaccediffidenti,volgete lo sguardo all’orizzonte e riuscirete a intravedere l’eccezionalitàdelprossimoporto.
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Giungere a Singapore al tramonto è un’esperienza incantevole. Da una parte l’ultima luce del sole, e dall’altra il concentrato di mille giostre.
Il mare era calmo, calmissimo, e tutti erano in coperta, affacciati verso un cinema all’aperto che proiettava immagini di tecnologia e futuro. Venne mollata l’ancora tra le cento navi alla fonda, tutte in turno, attendendo un posto accanto ai piazzali di calcestruzzo, ricoperti da container stipati a incastro. Il panorama era galattico, avvolto da stringhe chilometriche di luci rosse e blu, capigliature viola sui grattacieli, funghi cementizi con sfinestrature in sequenza intervallate nel gambo. Spiccavano autostrade a strapiombo conficcate negli abitati, fiori disseminati ovunque e piante esotiche di contorno, stadi sportivi realizzati sugli specchi d’acqua e gallerie di plexiglass destinate ai veicoli, dischi volanti d’acciaio per alieni atterrati senza pass. Potevano immaginarsi suoni striati di postmoderno, il vociare pazzesco della gente, odori di zolfo e benzina mescolati a profumi di tinture.
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L’arrivo del buio amplificava a dismisura il tutto, rendendolo ancora più fasullo e giocoso.
Il posticino sulla banchina si sarebbe liberato intorno alle mezzanotte, dopo diverse ore di bivacco, e la ciurma e i turisti al completo sarebbero scesi a terra con una concessione inusuale del Comandante che, date le circostanze, avrebbe autorizzato il rientro alle 4.30. Da buon condottiero sarebbe rimasto a bordo in compagnia dell’immancabile CiaoLin, custode indefesso di Slurry, parlando dei viaggi insieme, delle mete raggiunte, di gente da foresta o di città, di popoli del mare, di amori trovati e perduti, di amori fugaci e travolgenti, di amori stabili e duraturi, di amicizia e di morte, delle onde che cavalcano il tempo, di sorrisi incrociati e di frasi di pietra. Entrambi, sarebbero andati in branda non prima del rientro dell’ultimo passeggero.
Il mattino seguente, la colazione andò quasi deserta, tranne quella in intimità e in silenzio del Comandante e del suo scudiero CiaoLin, in compagnia degli addetti al rifornimento carburante e del solito piatto di fette biscottate con la marmellata di prugne.
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Al pranzo sarebbero stati tutti presenti e ai tavoli si sarebbe parlato di acquisti in abbondanza fatti a buon prezzo, sfoggiando vestiti di seta tagliati su misura, orecchini penzolanti, oggetti tecnologici e piccoli busti di legno rappresentativi. Si sarebbe riso sotto l’effetto prolungato della sbornia o smaltendo i postumi inebrianti del tè verde alla curcuma, la spezia miracolosa che ritarda la vecchiaia e fa riemergere i ricordi modificandoli e adottandoli come fossero veri. Si sarebbe mormorato rievocando la libidine della prostituta di professione risistemandosi nuovamente i pantaloni come dopo una prestazione esaltante. Si sarebbe commentata la diversità degli individui incontrati e la loro scarsa ospitalità, discusso sulla dimensione delle insegne, sul perdersi in un locale con accesso da un portone anonimo, sul cibo disgustoso o stuzzicante, circa le code al semaforo per pedoni o le spallate davanti alle bancarelle, di un drink sorseggiato davanti a una vetrata trasparente con vista sulla polis, dei distributori automatici di cambio moneta e della miriade di zanzare a folate, di
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sguardi fugaci mai predisposti all’incontro e, infine, dell’importanza dei consigli di CiaoLin, che aveva raccomandato di stare uniti e non dare confidenza a nessuno. A fine pranzo il piccolo uomo fece il giro dei tavoli annunciando la partenza per il tardo pomeriggio, aggiungendo la raccomandazione ripetuta più volte. Attentialleprossimeoredinavigazione,potrebbero sottenderebruttesorprese.
Non uscite dai vostri alloggi per nessun motivo e non aprite nemmeno la porta, potremmo ricevere visiteindesiderate.
Nonmostratemaianessunolavostrapaura,néil vostrocoraggio. Quinonsifannoesercitazioni. La nave cargo Oriental Sun salpò dal porto commerciale di Singapore intorno alle 18 e nell’arco di una manciata di minuti lasciò quell’esaltante giostra introducendosi nel famigerato Stretto di Malacca, un imbuto di mare lungo 700 chilometri, tra Malesia e Indonesia, in cui si infilano cinquantamila navi all’anno.
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Dal ponte di comando le frasi del Comandante sul luogo di partenza e su quello di destinazione, il porto di Colombo, 3000 chilometri da percorrere alla velocità massima di 15 nodi. Quattro giorni di navigazione previsti. Il collo dell’imbuto era un luogo angusto, insicuro, un cimitero di navi affondate dalle tempeste o dagli arrembaggi, da battaglie cruente o dalla guida maldestra di un condottiero. Un recipiente d’acqua salata contenente mucchi di piccole terre affioranti e copiose foci fluviali, ripari ideali per nascondersi, mimetizzarsi, sfuggire alla cattura e rientrare alla povertà del proprio villaggio, celato all’oppressore colonialista.
Quella sera tenebrosa e sospetta, una foschia fumante impediva la luce della luna. Lungo la scia della nave si concentrò una famiglia di capodogli, sommergibili in emersione scontornati da infiniti pesciolini rifugiati nelle grinze. Una scena eccezionale, insolita, che confuse i radar innescando allarmi in sequenza, costringendo il Comandante a disattivarne le funzioni.
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Si fece a gara per imbracciare i binocoli puntandoli dritti sugli zampilli delle magnifiche statue, gettanti a quindici metri d’altezza. Dopo un’ora di avvistamenti, quell’esibizione errante divenne una routine a cui preferire il sonno. Questo era il momento. Tra i crinali bruni dei cetacei si infiltrò un gommone mimetico con a bordo una dozzina di uomini grigi. Nella quiete, gli scagnozzi si accostarono alla poppa del gigante per abbordarlo, lanciarono alcune scalette di corda arpionandole alle ringhiere perimetrali di sicurezza e si intromisero clandestinamente nel condominio. Addormentarono la guardia con un bavaglio intriso di sonnifero, raggiunsero le cabine dei turisti forzando gli sportelloni e, puntando i fucili contro gli occupanti, si fecero consegnare soldi e oggetti preziosi riposti in un sacco di juta, poi si dileguarono come fantasmi. I malcapitati corsero scioccati dal sottufficiale di picchetto trovandolo disteso e dormiente, infine raggiunsero la cabina del comandante raccontando gelidamente il fatto. Fu convocata una riunione urgente con l’equipaggio al completo, impartendo
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immediatamente ordini di perquisire la nave e controllare l’integrità del carico e le condizioni di sicurezza necessarie a proseguire il viaggio. Tutto risultò in ordine. Piratidastrapazzochesaccheggiano per campare, commentò CiaoLin rivolgendosi ai turisti. Chenesannoquestibalordidelvaloredellamerce cheportiamo?
Poveri disperati che vedono passare sotto i loro occhi ingenui la ricchezza incommensurabile degli europei, viziati che fingono azioni umanitarie, combinatecongliamicid’oltreoceano,eprofessano la tutela dei diritti umani tenendosi stretto il loro benessereeilloropoteredidecidereperglialtri. Ma forse, se la storia si è preoccupata di crearlo, vorràdirecheunpoteresovranoènecessarioper tenerciabada,chilosa.Dicerto,traitantiterroristi sulla faccia della terra, i più cattivi eccoli qua, continuò CiaoLin togliendosi il cappello.
Mispaccaronolatestaconilcalciodiunmitra,altro chequeiquattrowinchestercheavevanotraipolsi questipiratidastrapazzo.
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Quellavoltacisequestraronoconl’interanaveper una settimana, finché non gli venne recapitato a domiciliouncaricodiarmimoderneinriscatto. Sceglieredifarsiunavacanzainunpostodelgenere. Cheincoscienti.Eoravipisciateneipantalonicome bimbi che non sanno ancora camminare e cercano unsensoallapropriaesistenza.
La vostra superficialità e la vostra debolezza mi fannogirareicoglioni.Eanchelavostraignoranzae lavostraricchezza. Duemilaeuroperunavacanzadimerda,quellasu questanavedimerda.
Qui tutto dipende esclusivamente dagli imperativi dellamerce.Gliscali,lalorodurata,glioraridiarrivo eglioraridipartenza.
Anche le restrizioni dipendono dalla sicurezza di Slurry.
Nessunalibertàdipasseggiarefuoriorario,divisitare le zone di lavoro o il ponte di comando. Ma probabilmente è questa l’avventura che andate cercando. Il pranzo successivo fu la consolazione ai turisti da parte del cuoco. Una mangiata raffinata ed una
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liberatoria bevuta per scrollarsi di dosso la terribile esperienza in cui erano incappati. La nave lasciò ferita lo stretto di Malacca svoltando presso l’arcipelago delle Isole Nicobar, orientandosi verso l’Oceano Indiano. Un’altra notte da affrontare con l’angoscia, ma anche con quel coraggio ritrovato che subentra quando si vuole uscire presto da una sofferenza agghiacciante.
Da queste parti gli atolli partecipano a strani scherzi, calamitando le tartarughe distratte dalle sagome navali, familiari distorti e fuorvianti. I gusci erano una moltitudine di mine vaganti senza intenzione di esplodere, chiazze in movimento collegate al mare, con le teste che riaffioravano a singhiozzi come a voler salutare prostrando il cranio alla Oriental Sun, la falsa madre che le stava involontariamente trainando con uno stuolo di ganci immaginari. Si dispersero lentamente emulando le nuvole a frotte che si districavano nell’aria formando profili di continenti e poi spalancavano il sipario mostrando l’immensità.
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Nelle notti terse bisogna guardare la voragine del cielo,osservarelavicinanzadellenuvolesporadiche che si radunano cercandosi, assumendo forme corrette. Lestelleinvecesonolontanissime,distantianniluce, e i bagliori che assumono ai nostri occhi sono scorretti,perchéquiarrivasoltantounaproiezione, unaimmaginealteratadellarealtàchecrediamodi vivere in un tempo differente. La mia vita ha una durataperfettamentestabilita,chemascheraimiei cambiamenti e mi illude di immortalità. Mi fa innamorare di una persona e della sua anima prendendosi gioco di me, mettendomi in contatto conl’universo. CiaoLin restò sul ponte tutta la notte, farneticando sul senso della vita e di un amore interrotto. Mentre la marcia della Oriental Sun proseguì monotona, senza intoppi, con latitudine costante, a nord del parallelo equatoriale. Fino al porto di Colombo, importante e popolosa città dello Sri Lanka, piccolo Stato insulare appendice dell’India, al cospetto del quale il cargo giunse sornione e silente.
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Ecco, disse CiaoLin ai turisti sopraggiunti prima dello sbarco, questoèilgiardinod’Oriente,il“portocon frondosi alberi di mango” da cui parte acciaio e caucciù,nelqualesifaconceriaeoliodicocco,si smerciano bevande afrodisiache e pietre preziose comelozaffiroblu,ilgioiellochetuttibramanoper mostrared’essereReoRegina.
Intornoallabaiatrovereteilquartierecommercialee quelloindigeno,Pettah.Piùasudilrionedilussoea nord,moltoanord,glisterminatiquartieripoveri. Qualsiasi cosa cerchiate, a Pettah c’è sicuramente qualchebazaringradodisoddisfarvi. Ognistradahalasuaspecialità.Unbagnodifollain cuiinserirsiirragionevolmente. ...Estatemoltoattentiallezanzare.
Poteteandare,vimostreròlaprincipessaDianaela suagemmadatrentamilionidisterlinequandosarà il momento delle dive. Dimenticavo, pranzerete a terra,smarrititralebancarelleelevarietàdigenti che questo posto scontra. E mi raccomando, non fatevi ingannare da intrugli misteriosi o pastiglie vivificanti e rimedi medici a buon mercato, qui si spacciadituttoperpochispiccioli.
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IlComandantevifasaperecheilrientroèprevisto perle22.00.Salpiamoall’alba,nhh,nhh,nhh! Salutò il gruppo con un accenno di risata dal suono cupo, tipica di chi conosce bene un posto che spetta ad altri esplorare, e si apprestò a dirigere le solite operazioni di ormeggio alla banchina prenotata. Al rientro tardivo, intorno alla mezzanotte, i turisti fecero passerella davanti a CiaoLin descrivendo un’accozzaglia di stili e banali architetture moderne, una terra dai mille volti e ataviche tradizioni e culture mescolate tra strisce pedonali e gas di scarico, un guazzabuglio di colori e credenze religiose ostentate in cattedrali o moschee, costruzioni a mosaico zeppe di libri moderni e antichi manoscritti. Una matassa di itinerari da cardare a piacimento. Un’aiuola coloniale contemporanea a ridosso della cinta di lungomare in patina glam, design d’alta moda e charme orientale. Avevodimenticatodidirvidellagofrequentatodai pellicani, sbottò CiaoLin sogghignando, e di stare attenti ai leoni e alle tigri imbambolate negli ingressi a vetrina degli alberghi, potrebbero ruggire.
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La partenza da quel porto di mare avvenne in sordina e col personale al minimo per questioni scaramantiche correlate a CiaoLin, vittima qualche anno addietro di un brutto incidente capitatogli proprio durante il medesimo ormeggio.
Pensaidipoterdrizzareunacimainsolitudine, iniziò a raccontare CiaLin all’orecchio di un giovane mozzo inesperto che lo stava aiutando, mamirimaselagambaincastratanell’avvolgimento. Diedi un gemito che credo abbiano percepito dall’aldilà.
Nonerailmiomomento,midisseilmedicomentre cucival’interocollodelpiede. Guarda,c’èunapiastradititaniosaldataeavvitata alleossa. Èunmiracolo,cheioabbiacontinuatoacamminare. Credochequelchirurgoavesseragione,nonerala mia ora, anche se io avrei lasciato questo mondo schifososenzaesitare. Sì, perché quando la vita ti toglie un pezzo essenzialedite,comeunamoglieoaddiritturaun figlio,muoriprimadimorire.
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Dal ponte di comando le solite frasi recitate dal Comandante sul luogo di partenza e su quello di destinazione, il porto di Aden, 4000 chilometri da percorrere alla velocità massima di 15 nodi. Cinque giorni e mezzo di viaggio previsti. Ma stavolta la meta più desiderata erano le Isole Maldive, rinomato elisio atteso a poche ore di navigazione. Durante la mattinata, i turisti, con ancora indosso profumi di India, e interiormente gli sconvolgimenti di un paese magico, fecero uno spuntino sulla terrazza della palazzina, al caldo piacevole gustato tra sdraio e poltroncine. Una scorpacciata di durian, lo strano frutto a forma di grossa pigna con dentro due polmoni gialli al gusto di vaniglia e mandorla imbevuti di puzzolente crema di formaggio e salsa di cipolla, un nutriente bizzoso che più si mangia e meno si è disposti a smettere. E più l’abbuffata si perpetuava e più si scommetteva sulla statura sempreverde e sull’età della pianta di provenienza: 20 metri, cinquant’anni, cento anni e 30 metri, 40 metri e duecento anni sorretti da ferree radici e una
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chioma da albero di Natale contenente, a primavera, grappoli di fiori sfilati color giallo fulgido. Da quell’attico privilegiato, quel novero di ospiti ebbe la fortuna di assistere a un cortometraggio entusiasmante. Trenta minuti di spettacolo proiettato su carta stagnola liquida, un tappeto d’argento spiegato verso le Maldive, l’atteso paradiso terrestre che si materializzava a sprazzi. Quelle sono isole che compaiono e scompaiono giocandoconlemareeeconlelorosagome, disse CiaoLin introducendo il sonoro nel film, equelliche vedete sguazzare a branchi sono tonni che si divertonoassiemeagliavannotti,predeambiteda marmaglie di gabbiani kamikaze, gli uccelli a cui piace schernire gli aerei internazionali in fase di atterraggio. Quiunavoltasivivevagrazieaglialberidelpanee smerciandoconchiglieecocco,mentreoggisifanno accordiconaltriStatiperspremerecolturismo.Ma questononèilperiodomiglioreperfarevacanze, tranne che per voi. Potrebbe sopravvenire il maltempo e trasformare in un batter d’occhio il
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biancoaccecantedellasabbiainombrosomarrone, e tramutare l’azzurro folgorante del mare in blu cobalto, il colore preferito da squali martello e barracuda.Ilventopotrebbesoffiaretalmenteforte da agitare oceani e innescare vulcani sottomarini seppellendo intere lagune e trucidando barriere coralline.Sequestaèlavostraideadiparadiso,beh, siete già accomodati sul luogo ideale per una immersioneindimenticabile.
Perduta l’ultima vista dell’ultima isola, e dileguatosi l’ultimo gabbiano dell’ultimo stormo, il ragazzo dai capelli lisci, sin dall’imbarco conquistato dal fascino seducente di CiaoLin, gli si avvicinò esprimendo il desiderio di visitare le zone precluse. Così andarono per le scale, percorse in una miriade di domande e sguardi affini, fino a raggiungere il tratto di ponte proibito e l’orlo delle stive. Sorvegliando i boccaporti, domandò cosa ci fosse lì dentro di tanto prezioso da muovere un colosso così grande per un tragitto così lungo.
Quidentroc’èSlurry.Tanti,tantissimislurrysucuiè basatal’apparenteevoluzionedelgenereumano.
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Un progresso fatto di riflettori accesi su un luogo chenonneavrebbebisogno,unbenesserefattodi superfluitàedesteriorità,dominatodacorseeazioni frenetiche, imbrigliato da nozioni su nozioni e ragionamentisuragionamenti.
Fermatiaguardaregliesseriumani,ditantointanto, ècomeseportasseroaddossoletraccedelviaggio interstellarecompiutoperarrivarefinqui.
Guarda attentamente i neonati e ti sembreranno cloniextraterrestriprodottiinserie,poi,coltempo,li vedraiacquisireuncomportamentoconformatoalla razza,einfinelirivedraidiventarevecchitornandoa somigliarsi,comedovesseroprepararsiatornarealla galassiadiappartenenza.
Chissàseungiornorammenteraiquestemieparole, questi nostri sguardi penetranti l’orizzonte, questi pensieririvoltiall’immensità.Eseincertimomenti riusciraiaguardartidentro,perlustrando,scavando, ricercandoquellocherealmentesei.
Chissàsedomanisaraiuncostruttorediamiciziee sesaraicapacediamareunadonna,unaesoltanto una, perché l’amore è così. Se mai ti sentirai collegatoaglialtriconunfilosottileeinvisibile,una
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lenzatenacedanonspezzaremaipernonrestare intrappolatonellasolitudine.
Forsetalvoltatisentiraiunalberoounpetalo,una gocciadirugiadaounfilamentodicirro,oppureuna meteorasenzascoponépercorsoassegnato. Adessoèoradirientrare,iniziaafarfresco,maporta con tequestotramontoluminosochesi spegnerà nell’acqua,epoiportatilanotteel’albadidomanie ilsuonuovotramonto,eun’altranottefinoallafine deltempospettanteagliuominiinquestaprigione stupefacente.
Il giovane mosse giocosamente le pupille verso l’alto ed esclamò la curiosità sui piccoli aerei che ininterrottamente perlustravano i cieli. Impaurito, fece domande in sequenza su quanti ne potessero arrivare ancora e se trasportassero bombe, se fossero amici o nemici, se potessero precipitare. CiaoLin sapeva perfettamente di quei modellini e accennò un sorriso seguito da una spiegazione rassicurante. Sta’tranquillo,stavoltanonèlaguerra,sonodroni dipattugliamentoingaggiatidaforzeinternazionali
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per monitorare il mare che bagna le terre del petrolio e dei diamanti. Da queste parti tutte le imbarcazioni, anche le bagnarole, sono sotto la sorveglianza di telecamere che memorizzano financheivoltidellepersoneabordo,noicompresi. Vieni con me nella sala comando, ché se siamo fortunatiascolteremoilresocontodelletrasmittenti.
Appresero che era stato scongiurato un pericoloso attacco pirata partito dalla Somalia, un peschereccio fittizio sventolante una bandiera azzurra con la stella bianca al centro. Come quella portata sul petto dagli sceriffi, disse CiaoLin al ragazzo incuriosito, il quale, mosso da ingenua intraprendenza, avrebbe voluto cliccare pulsanti e roteare manopole imitando un videogame. Si soffermò poi sulle rilevazioni dell’ecoscandaglio accorgendosi che la profondità del mare stava progressivamente riducendosi. Dai 2000 metri ai 1800, ai 1500, 1250 e infine 980, un chilometro di spessore liquido sotto una chiglia di lastre in ghisa. Sarebbero state le ore di navigazione sopra le vette della dorsale oceanica medio-indiana, la sequenza
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di catene montuose sottomarine che avrebbe consegnato la nave al golfo di Aden, il mare d’ingresso traAfrica e Medio Oriente. Rilevata la profondità desiderata, combinata alla latitudine nord di 23° e 26’, CiaoLin sarebbe accorso dal Comandante a farsi accordare il permesso di routine per una escursione molto speciale. Con l’aiuto dell’apprendista, radunò repentinamente i turisti invitandoli a seguirlo nello stomaco della nave, la sala macchine, una galleria di larghi cunicoli ad alta temperatura, l’uno nell’altro, in cui si camminava come all’interno di un sommergibile, seguendo le passerelle metalliche infilate tra le tubazioni di svariato spessore. Condusse i visitatori dove avrebbero guardato la chiglia dal di dentro, un collage di curvi rettangoli ferrosi bullonati e saldati scrupolosamente tra loro. Invitò il macchinista ad abbassare al minimo i motori, riducendo il rumore a un rombo, e recitò a voce fina. Ascoltate…Ascoltate.Èlui.Cistaabbracciando. Lofaognivoltagiuntialpuntopreciso,metàstrada perfettatral’EquatoreeilTropicodelCancro.
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…Ilmomentodelcontatto.
Hagliocchigrandiquantolavostratesta,eisuoi tentacoli sono tronchi animati. La sua corazza è liscia,scivolosa,disegnatacolviola,elasuacodaè piattaelarga.Saràilnostrorimorchiatoredifiducia sino all’arcipelago di Socotra, dove gli alberi sono ciclopiciombrelliconlaresinachiamatasanguedi drago. Avvertite la sua presenza, ascoltatene il battito tambureggiante,irregolare…iolochiamo“l’essere”. Luièquipernoi.Peraccompagnarcidolcemente. Lasciateviabbrancare…Percepite.Chiudetegliocchi e state tranquilli, ci scorterà fino a 300 chilometri dallespiagge.
Furono minuti indimenticabili per tutti, un tempo lento in cui perdersi con la suggestione, lasciare andare i pensieri sublimi rilasciando le conseguenti emozioni. L’incredibile elastico teso da CiaoLin si ritrasse improvvisamente quando il macchinista dovette riattivare i motori d’improvviso alla profondità di 500 metri, momento in cui si descrisse il distacco della misteriosa creatura, che con serici colpi di tentacoli
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sarebbe ridiscesa nel suo abisso. La nave, superata l’isola di Socotra, avrebbe tracciato il golfo di Aden giungendo presso l’omonimo ultimo porto oceanico. Dal ponte di comando le consuete frasi recitate dal Comandante sulla successiva città di destinazione, Porto Said, 2500 chilometri da percorrere a due velocità: 12 nodi nel Mar Rosso e 9 nodi nel Canale di Suez. Sei giorni di navigazione previsti. Il porto di Aden era un rifugio navale ricavato alle pendici del vulcano spento, nella cui bocca dimorava una città commerciale disordinata e trascurata, da visitare svogliati in poche ore della sera. L’equipaggio avrebbe spedito a terra un emissario per comprare sigarette e liquori a buon mercato, mentre gli altri avrebbero assolto ai compiti della sosta tecnica, necessaria a caricare carburante e viveri. CiaoLin e il Comandante avrebbero disquisito sulle differenze tra una montagna e un vulcano, tra l’oceano che avrebbero presto lasciato e il mare che li attendeva, tra un’isola e una penisola, tra il salire del sole e il suo declino, che principiava sopra il
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cratere. Avrebbero anche pianificato l’escursione ai turisti presso “il luogo dell’incanto”, come amavano definirlo ridendoci su. Come previsto, “dal porto d’Aden si parton le navi” alle prime ore del mattino, quando all’ingresso non v’è traffico e le gru sono in disuso, orientate verso le bitte. La Oriental Sun salpò alle ore 5.00, e dopo qualche ora si infilò nello stretto di Bab el Mendeb, “la porta del lamento funebre” che li avrebbe introdotti nel Mar Rosso, spaccatura tra il continente nero e la penisola arabica. Sul ponte gremito, durante il passaggio nell’imbocco, CiaoLin imparò dal suo studioso apprendista, che raccontava delle origini dell’uomo moderno e della prima grande migrazione africana avvenuta da quelle parti un milione di anni prima, quando scimmie evolute cominciarono a popolare altre terre. ll Comandante, invece, si defilò flemmaticamente verso la prua, sciorinando cultura marittima nel preannunciare le Isole Hanish alla viaggiatrice piacente di mezza età, ammaliandola con racconti di
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impavidi cacciatori di orche che si imbellettano con le pinne o le mettono in mostra sulle rocce grigie per scongiurare orde esotiche. Ravvicinatosi alla donna le riferì confidenzialmente dell’escursione a sorpresa prevista all’imbrunire, quando la calura d’agosto avrebbe lasciato spazio alla tenue frescura. Al tramonto, mentre il cargo fendeva il Mar Rosso alla velocità costante di 12 nodi, in groppa al Tropico del Cancro si avvistarono in lontananza le sagome brillanti delle Isole Farasan, il Santuario Marino dimora di squali-balena, mante, tartarughe cerchiate e altre strane creature mitologiche. Tutti gli ospiti imbarcati e l’equipaggio al completo potettero gustare quel paesaggio fiabesco, mentre il sole tendeva celermente a nascondersi spalancando la penombra. Quando la donna chiese al suo Comandante il motivo del nome “luogo dell’incanto”, CiaoLin accorse verso la poppa della nave, si affacciò alla ringhiera in compagnia del codazzo al suo seguito e improvvisò il solito copione.
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Sentite l’odore della nostalgia, del ricordo, quel profumoseccoepolverosodifiorimortisparsidal vento.
Lasciatevitrascinaredall’immaginazione. Oraguardateversosinistra,guardate!
Vedetequelleombreinlontananza? Sonoloro.Sonoloro! Vengonoversodinoi...
Trovate un punto saldo a cui aggrapparvi e non innervositevi,restatecalmiepermettetecheilloro cantopenetrinellavostramenteeaccarezziivostri pensieripiùintimi.
Il finto cinese sembrò amplificare la sua stazza affacciandosi verso il mare aperto, estrasse un’armonica dalla tasca interna del giubbino e volgendosi a una caterva di ombre nuotatrici inventò una musica sconclusionata, innescando un balletto marino inimitabile.
Tra timori e stupore, piacere e tensione, fantasia e realtà, ogni passeggero scorse in ogni creatura una sirena, una diva preferita che gli cantava dei suoi desideri estratti dal proprio passato, così come CiaoLin inneggiò al canto strepitoso di Maria Callas,
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alle bellezze travolgenti di Sofia Loren e Ava Gardner, al fascino coinvolgente di Lady Diana, alla sensualità volteggiante di Marilyn, alla raffinatezza di Greta Garbo e ad altre donne divine che non smetteranno mai di vivere continuando a nuotare nella vastità delle emozioni regalate. Concluse la carrellata rivelando il nome della sirena più autentica, la vera “Signora del mare”, Miriam, una femmina di dugongo, coccolona e infantile, morta cucciola con la plastica appiccicata allo stomaco. Quando la squadra di animali interruppe la sua danza per tornarsene al nascondiglio tra le mangrovie del Sinai, lacrime e sorrisi pervasero le lamiere, innescando una surreale atmosfera mistica, in cui l’anima di ognuno si sentì autorizzata a fare ciò che sentiva.
Durante la cena furono elargite mance generose agli inservienti, si bevve brindando alla salute di qualsiasi cosa e con ogni rima, poi si scattarono foto notturne ai riflessi dell’acqua marina, si inviarono messaggi inconsueti a familiari e amici, si parlò e si scherzò
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spontaneamente fino a notte fonda trasgredendo le regole più intolleranti. La donna si concesse ai piaceri corporei gridati nella cabina del Comandante, mentre CiaoLin, ancora esausto per la performance, si sedette sul ponte ad ascoltare l’interrogatorio del giovane apprendista sull’origine della luna guardata, sulla distanza delle stelle che puntinavano l’oscurità. Nei giorni a seguire, come concordato, i due rispettarono un appuntamento fisso nel dopo cena, disquisendo sugli argomenti del cielo. Soloperraggiungerelalunacivorrebberodueanni dinavigazionecontinua.Leigirainstancabileattorno a noi, mostrando sempre la stessa faccia. Noi possiamovederlaquandocistadifronteeilsolela illumina,facendolaapparirespicchioodisco.Ruota susèstessaognigiorno,eintornoalsuopianetain unmese.Insiemegiriamoattornoalsoleinunanno, viaggiandoallavelocitàdi100milachilometriorari. Tuttociòchepossiamovedereguardandoilcieloè grazieallalucedellestelle,direttaoriflessa,checi arrivainunattimoodopoduemilionidianniluce, quanto dista la galassia di Andromeda, quell’uovo
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frittoaspiralechepotraiscrutareseaguzzilavista. Ognistellaèunapalladifuocochebrucia,mentrei pianetisonolesuescheggesfuggiteall’origine. Guardando verso quel vuoto profondo e infinito, noterai il grande squarcio che è la Via Lattea, la galassia che ci contiene insieme a 200 miliardi di stelle. Potrai così immaginare la grandezza di un universocompostoda300miliardidigalassie. Mac’èunastrospecialenelcosmo,semprevisibile da adesso in poi, la Stella Polare, la bussola dei naviganti, la punta della costellazione dell’Orsa Minore.Masiccomevedochenonmicredi,epensi chequellochedicosiaassurdo,staseraticondurrò dovehoimparatotuttoquestograzieall’uomoche trent’annifasepperaccogliermidaterracomeuno stracciofradiciodisofferenzaemalinconia. A una condizione, però. Non farmi più domande perchénonsapreicosarispondere. CiaoLin condusse il palpitante accompagnatore nella parte più alta della nave, l’osservatorio, un ampio salone trasparente con accesso consentito solo al Comandante e ai sottoposti di sua fiducia.
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Da lì, gli occhi del giovane moltiplicarono la loro visuale, riproponendogli quanto osservato a occhio nudo e tanto dell’immaginato.
Vedi,caroragazzo,ilcosmohacapitotutto. Bisognaruotaresulpropriopernoeintornoaglialtri. E,insieme,girareintornoaunsole.
Credo che il destino degli uomini sia quello di trovarsi una buona stella intorno a cui ruotare, lasciandosiilluminarequantobasta.
Mia moglie emanava una luce straordinaria, abbagliante,eioeroilsuounicopianeta.
Quando si spegne una stella,muore tuttociò che orbitaattornoaessa.Daallorasonodiventatouna cometa impazzita alla ricerca di una gravità, forse della grande forza intorno a cui orbitano tutte le galassie.
Chi può conoscere la grandezza dell’universo e quanticielidistelleesistonoocisonostatiocene saranno?Èsufficienteguardareilcielocheabbiamo davanti ai nostri occhi, per comprendere di non doversiimbrigliareauninizioeaunafine. Probabilmentenoipossiamosoltantocercarequello checièconsentitodisapere,maavvertiamo,nella
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nostra natura, come una possibilità di scoprire il creatore, possediamo l’indole dell’esploratore nomade,continuamenteallaricercadiunqualcosa chenontroverà. Iocredochesecicontentassimosemplicementedi gustarci questo pianeta miracoloso in cui viviamo, salvaguardandolo e difendendolo dai nostri stessi attacchi, saremmo felici come coloro che si soddisfanodelnecessario,escludendoilsuperfluo. Bastapoco,pervivere,bastapocopermorireeforse bastapocoancheperrinascere.
Ma come possiamo fare a non distruggere questo pianeta, fu l’unica domanda che il giovane non seppe trattenere. Perrisolvereunagravequestione,vannoapplicate soluzionidrastiche. Èimpossibile,pernoiumani,accettarediesserenoi stessilacausadelproblema,enonlenostreazioni. Noinonabbiamodasalvarealcunpianeta,alpianeta nonglienefreganientedinoi,noidobbiamosalvare noi stessi, questo bisogna comprendere. Capito questo, e considerato che i nostri comportamenti non cambieranno mai, come la storia dimostra, si
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puòfaresolounacosa,estinguercisenzasofferenza. Programmare una riduzione progressiva della popolazionefinoatornareaessereeco-sostenibili. Ripristinarel’annozero. Aproposito,poniiltuoocchiosuquelcannocchiale puntatoapruaeavvisterailemontagnedelSinai, che lambiremo domani pomeriggio entrando nel GolfodiSuez. L’indomani, percorrendo quel placido tratto di mare, nella consueta adunata sul ponte fu reclamata la presenza del prete di bordo, domandando anche dove fosse la tana dei dugonghi tra le mangrovie. CiaoLin indicò vagamente un fiumiciattolo con la vegetazione sommersa dalla marea e nominò un anziano esemplare vecchio settantacinque anni, a capo di una comunità di sopravvissuti. Il Comandante intervenne in maniera sbrigativa annunciando che faceva lui stesso le funzioni del prete. Poi dovette articolare una spiegazione al turista che chiedeva se proprio quelle furono le acque aperte da Mosè, col bastone di Dio, per salvare il popolo ebreo dalla furia degli egiziani.
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Rispose sostenendo che un Dio, sia esso d’Oriente o sia esso d’Occidente, non potrebbe sterminare un popolo per salvarne un altro, e non dovrebbe avere la necessità di manifestarsi a un solo uomo e di scrivergli leggi, non dovrebbe pretendere l’esclusività a scapito di altre fedi e non dovrebbe, in alcun modo, prevaricare gli altri. Raccontò infine di quando ramazzava la stessa nave passeggeri su cui aveva fatto transito un famoso ometto smagrito con una capretta al guinzaglio che gli faceva latte da bere, e di quando chiese un autografo al musicista italiano che cantò “se ci fosse un uomo”.
Da buon sostituto prete, accennò anche dei pensieri religiosi e filosofici cinesi e indiani, non mancando di elogiare tribù australiane, africane e americane. Pescò poi a pagina 87 del piccolo manuale tenuto in un tascone: “nel mangiare, nel dormire e nel compiere altre funzioni fisiche, l’uomo non è diverso dall’animale; quello che lo distingue è lo sforzo incessante di elevarsi sul piano morale. Mentre professiamo di seguire la via più elevata, di fatto la nostra condotta ci smentisce sovente”.
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Quindi asserì che se proprio un Dio dovesse decidere di fare qualcosa, potrebbe mettere su una bilancia il cuore di ogni defunto durante il passaggio nell’aldilà e, pesando precisamente, giudicare di conseguenza. Concluse sentenziando che “tutte le religioni sono nel vero e che ognuna è imperfetta e insufficiente, in quanto interpretazione particolare di poveri intelletti e miseri cuori umani”. In ultimo, indirizzò un cenno d’approvazione a CiaoLin per la visita notturna al suo osservatorio, invitandolo tacitamente a seguirlo nel suo ufficio per la compilazione delle scartoffie da mostrare al presidio doganale di Suez, il noioso controllo rituale ai documenti di Slurry, adempimento necessario a immettersi nel Canale. Ma la notte prima di quel transito la Oriental Sun dovette riportare i motori al minimo per affrontare l’insidiosa tempesta di sabbia proveniente da oriente, un’intemperia che nei bassi fondali può causare pericolosissimi incagliamenti. Il comandante diffuse l’ordine tassativo di non uscire dalle cabine e di non aprire gli oblò per alcun motivo,
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mise in preallarme il personale della sala comando, obbligato a intervenire soltanto in caso d’emergenza o qualora la nave avesse perso la rotta.
Per fortuna le ore successive trascorsero innocue, senza danni, finché l’alba non smorzò il vento e le preoccupazioni, conciliando una breve dormita. Dalle postazioni si riaprirono i finestrini, si tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e si sdrammatizzò con frasi scherzose sull’ipotesi di avvertire profumi di dromedari e lana di bukhara. Il Comandante aggiunse che avrebbero setacciato frammenti di lapislazzuli spalando la sabbia che soverchiava le stive, e che in cambusa sarebbero apparse scorte di gustosa manna trasportata dal vento. Di primo mattino, il cargo, ancora ricoperto come una duna di riporto, sottopassò El-Qantara, l’alto Ponte di Suez poggiato sull’Africa e sull’Asia, e iniziò la tranquilla sfilata unendosi alla carovana di imbarcazioni marcianti alla velocità fissa di 9 nodi. La Oriental Sun seguì la fila, tra panorami alternati di pianure e falesie, villaggi e città coloniali d’Egitto, traguardando o incrociando natanti d’ogni tipo: dagli
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yacht alle petroliere, dalle barche a vela ai mezzi da guerra. Tutti precisamente annodati, in ogni miglio, a una fune immaginaria tesa tra i due capi. Un muto carillon con allacciati innumerabili cammelli che percorrevano una grondaia di 200 chilometri. Un giochino che avrebbe condotto direttamente nella pancia di Port Said, covo di etnie che i turisti avrebbero visitato in tarda sera. L’ultima città e l’ultimo porto di sosta prima del rush finale. Dal ponte di comando le ultime frasi recitate dal Comandante sul luogo di partenza e su quello di destinazione, il porto di Brindisi, 2000 chilometri da percorrere alla velocità media di 15 nodi. Tre giorni e mezzo di navigazione prima dello scalo finale. Camminate senza sosta e troverete giardini d’ogni forma,oltreaun’accozzagliadiarchitetture,costumi ereligioni.Manoncercatemaistorianeipostinati perconvenienzeeconomiche.
State attenti alla piena del Nilo. Rammentate che siamo nella stagione delle piogge, quindi quel vecchiaccio di fiume potrebbe inondare la città in dieciminuti,nnh,nnh,nnh!
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Ricordatevidistareattentiallezanzare,prosperein ognicittàdiportochesirispetti.
Se al rientro non riuscirete a ritrovare la nave, orientatevicoifumidell’industriaepuntatedrittial faroealsuomolosporgente.
Noiresteremosuquestipennelliinterminabiliperi rifornimentinecessari,anchedisigaridelfaraonea contrabbando.Erientrateprimadellamezzanotte.
Guardando i turisti in lontananza il Comandante maledisse le dighe, sempre utili per chi sta a monte e dannose per chi sta a valle. Poi disse a CiaoLin che i turisti non sarebbero rientrati prima dell’una, aggiungendo che squilibrare il corso della natura porta sempre disastri irreversibili.
La Oriental Sun salpò alle 5.00, l’ora in cui avrebbe evitato il problematico ingorgo di navi in attesa del transito, e dopo una decina di minuti di navigazione nelle acque miti del Mediterraneo, la goduria di un amplesso inatteso.
Setimettiacercarlesaràcome“tentareditrovarele sorgentidelNilo”,masepercasohailafortunadi incontrarle in massa, fermati e ammirale il più
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possibile,perchéanchequestoincontrononavverrà maipiù.
La traiettoria del cargo intercettò un immenso banco di meduse perlate che si aprì all’impatto con la prua, regalando come una visione di cielo visto dall’alto, con migliaia di palloncini bianchi sospesi nell’acqua azzurra.
Lo squilibrato ed emotivo turista, vittima ricorrente delle sue incertezze e della sua sensibilità, l’unico recatosi sul ponte di primo mattino, sommessamente chiese a CiaoLin quanto dolore potesse procurare una ferita urticante.
Tutte le paure sono riconducibili alla medesima paura,ospitetimoroso:quelladimorire.
Da una ferita profonda si può guarire soltanto guardandoildoloreinfaccia. Ognivitanascepersopportareunacertaquantitàdi dolori,oltrelaqualenonsipuòpiùvivere. Perquestomotivo,ogniessereumanopuòaccusare soltantoidoloripiùvicinialui,respingendoquelli altruiasalvaguardiadellapropriasopravvivenza. Tudovresticominciareafarecosì.
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Quel giorno e il seguente furono sereni e rilassanti, dominati dalla stanchezza, accentuata da torride temperature d’agosto. Il sole picchiava forte, e l’aria umida e pesante stringeva il respiro e incollava la pelle. Solo il tardo pomeriggio consentiva l’uscita per respirare usando i polmoni del mare e la fragranza delle praterie di alghe, il segno di vicinanza alla costa, quella nei pressi della più grande e ventosa isola della Grecia. ACretaqualcunohadistesopernoiunacopertadi posidonia, signori, una foresta di alberi del mare dedicataalsuodioperdarglifiori,fruttieossigeno. Un miracolo spontaneo cresciuto per formare e proteggerearenilispumeggiantidairiflessirosa. Vidicochedaquestepartisiètrasferitaunacolonia digranchiblu,sbarcatidallazavorradeimercantili perchéattrattidaicolorideiborghiantichi,nnh,nnh, nnh!…Calmapiatta,Comandante. ComeladefiniscelasuaRosadeiVenti? Il Comandante sorrise strizzando il labbro e con due parole spiegò sommariamente dei venti, di quelli che provengono dai punti cardinali e di quelli che si
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portano il nome della regione d’origine, come la Libia o la Siria. Disse delle incognite sulle ragioni che determinano la provenienza precisa e la forza di un vento, del suo perché, forse legato al dover tenere continuamente tutto in mescolanza.
Poi predisse un potente ostro che avrebbe sospinto la nave verso l’Italia.
Lungo il celere tragitto, percorso alla velocità inconsueta di 18 nodi, la Oriental Sun oltrepassò l’abisso Calypso, il crepaccio più profondo del Mediterraneo, avvicinandosi alle Isole Ionie, punto in cui l’audace Comandante, assumendosene ogni responsabilità, decise di lambire il “Fiore di Levante”, l’isola incantata di Zacinto. Consigliò ai turisti di fotografare la “Spiaggia del Relitto”, ai piedi di rocce scoscese biancastre e fitta vegetazione, un eden accessibile soltanto via mare.
Quella poesia, ammirata durante il pranzo, rievocò la storia già conosciuta delle Sirene e quella epica e misteriosa narrata dal giovane appassionato di storia. Parlò di Itaca e del suo Re Ulisse, dei suoi viaggi di conquista, della sua imbarcazione a vela tra
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gli uragani e del suo fedele e audace equipaggio, delle sue brutalità e soprusi, del povero gigante Polifemo e del suo vivere violentato dai profittatori, di gesta efferate e del Cavallo di Troia ideato per ingannare il nemico ficcandosi nel petto, dei suoi amori effimeri e duraturi, menzogneri ed enigmatici come quello della Maga Circe, che si divertiva a trasformare gli uomini in porci, o del suo sentimento sincero e solido per l’amata Penelope, la principessa che lo attese indomita e fiduciosa tessendo una tela interminabile.
Guardatecomesimuovequelgiganteafiord’acqua! Saràalmeno7metrieilmusopareunaproboscide! NonvisembraforsePolifemotrasformatoinsqualo elefanteperseguirel’ombradegliaerei?
Direichesidirigeversol’attraentecostasalentina. Non preoccupatevi, mangia solo plancton e gioca coififoni,nnh,nnh,nnh!
Più la spedizione si avvicinava a destinazione e più l’umore di CiaoLin andava trasformandosi. Come cominciasse a usare l’ironia per fronteggiare le asperità e il disprezzo per eludere il romanticismo.
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Fuoriusciva il combattimento interiore tra amore, rabbia, solitudine e nostalgia, scontro sfogato con espressioni contrastanti. Credo che adori le cozze a pinna, gli enormi molluschi ancorati al fondale con filamenti d’oro. Proliferanosoltantonelmarecristallinoepuro,che bevonofiltrandolodicontinuo.Ilcentenarioguscio dimadreperlapotrebbecontenereunuomoeuna donnarinchiusiperl’eternità,nnh,nnh,nnh! Maforsevoipreferirestequestimitiliconditiemessi in tavola per colazione, oppure trasformati in nacchereperritmifolcloristiciossessividimoda. Noicivediamodomattina,ragazzo,sulpontealle8. All’ora precisa la luce intermittente del faro di Santa Maria di Leuca si rifrangeva negli occhi marroncini di CiaoLin e del suo giovane apprendista, entrambi incollati alla balaustra a fissare la bianca torre sulla scogliera. Una volta mia moglie mi portò a visitarla, amava questo genere di escursioni. Salimmo una scala a chiocciola per duecentocinquantacinque gradini consecutivi,raggiungendolagrandelanterna.
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Da lì i nostri sguardi non incontrarono più limite, unendosi a una bellezza disarmante che faceva viaggiarelementiall’infinito.
Questo è il sogno, caro ragazzo, incontrare un angelotuttoperteericonoscerlo,fondersiconlui tenendoglilealiinefficienzapervolareassieme.
Ricorda che una rosa è sempre una rosa, anche quandosfiorisce. Adesso ti devo lasciare, oggi c’è luna nuova e la tramontananonsifasentiredaunbelpo’,quindi attraversare il famigerato Canale d’Otranto può nascondere insidie pericolose. Le correnti non rispettanomail’orologioenonsiinteressanodelle dimensioni delle navi, bisogna solo accelerare progressivamentepersentirlemeno,eprenderlenel versogiusto.
Per fortuna la temuta borea non arrivò e la navecargo Oriental Sun, ancora sospinta dal tenue scirocco, finalmente indirizzò la prua verso il traguardo, Brindisi, dove Slurry, completata la seconda tappa del suo viaggio, sarebbe stato accolto con tutte le cure dedicate.
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Aquest’oradifineagostoilsolecuoceleuova. Nonfateviingannaredallalucerossaintermittente messaincima,quelceroda200metrinonèunfaro disegnalazionemaunaciminierabardatadirosso sangue che continua ad avvelenare i polli nel gallinaio,prigionieriinuncampodiconcentramento senza recinzioni o segnalazioni, sacrificati a fuoco lentofacendolisoffriresenzacheseneaccorgano.
Una volta esistevano laghi di sale, e a ridosso si coltivavano carciofeti in cui il contadino, come fu miopadre,siconfondeva.
C’era il mare limpido biancheggiante per le pietre del fondale, prima che divenisse un sepolcro per rifiuti chimici di ogni genere, il risultato di quelle torce in attività impiantate dentro una finta città composta soltanto da tubi e cisterne, e qualche ufficiodipertinenza.
Lecentraliacarbone,cosìcomeipetrolchimici,sono imonumenticheabbiamocostruitodedicandolialla nostra stolidità, rendendogli ossequio con i nostri comportamentiscriteriati,sbeffeggiandoquelloche lanaturaciharegalato.
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Lamiacittàèquesto,lacontraddizionetraindustria pesanteebellezzasmisuratadelterritorio,unluogo nel quale la parola progresso assume significati discordanti.Esattamentecomeguardareadestrae poi a sinistra scrutando panorami differenti, esiti dellamedesimarealtà.
Michiedodicosaabbiamoveramentebisogno,sedi unamodernitàirriverenteodiunastoriariscopertae valorizzata,sediazionivelocieschiveopazientie ragionevoli comportamenti. Mi chiedo se essere abitantidelmondointero,enonpiùdiunsingolo posto,vogliadirediventareabitantidelnulla,senza unlegameesenzaunaradice.Michiedosestiamo vivendo come barbari osiamosoloun’invasione di blatteaffaccendateeappesantitedazainicolmidi egoismoeargento,sesiamoallafinediunaciviltào inattesadiunanuovadaconcepire.
Michiedoilperchétentiamodisalvaguardareuna spiaggiainvececheunacosta,unalberoinveceche un bosco, una foce invece che un fiume, quando tuttoilpianetadovrebbeessereun’areaprotetta.Mi chiedoperchéaunalbergoanonimononpreferiamo unanticocastellopercontemplarlo.Guardateisuoi
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mattonirossidisoleeilsuointornodimare. Piùci avvicineremoepiùquestalungadigaviappariràtale epiùimmagineretemercantiliimbottiticonstatuedi bronzoenavivenezianeeturcheosoldatidiguardia sullemura.
Isaltideidelfinisonosempreugualiinognidove, cosìcomeletraiettorieelerisatedeigabbiani.
Esistono soltanto tre porti sicuri, si va dicendo, giugno,luglioeBrindisi, quindinulladatemere,in questo porto incantevole e paludoso, soltanto le zanzare,quelle maledette zanzare chesucchiano il sangue delle prede inermi e si nutrono avide a sazietà.Bisognerebbeschiacciarleschiaffeggiandosi lemanispietatamente,menefreghistispettatori,una perunafinoasterminarletutte.Poisipotràfareun bel brindisi alla salute come dopo una crociata davantiaunfiascodivino,nnh,nnh,nnh!
Perchilodesidera,dall’Aeroportosi puòrientrare anticipatamentenelpropriopaese.
Masappiatecheilviaggiodiritorno,compiutodalla medesimastrada,contieneinsélabellezzaunicadel poterriviverequantogiàvissuto.Sebramaterestare, trovateiltempoperesplorarelabibliotecadibordo.
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Ogniospitehal’obbligodilasciareunlibropergli altricheverrannodopodilui. E ricordate, “siamo soltanto garzoni di bottega mandatidaldroghiereperriscuotereisospesi”. La Oriental Sun attraccò alla banchina di Costa Morena affiancandosi alle gru Mazinga, che in due giorni avrebbero vuotato le stive. Lui, CiaoLin, dopo gli ultimi fugaci suggerimenti ai turisti sui tanti luoghi da visitare a Brindisi, fu il primo a scendere dalla nave strepitando dalla passerella commenti sugli abitanti del posto, gente tranquilla e placida ma incline all’inerzia. Appena sbarcato, imbracciò con ardore la sua fedele bici arrugginita, legata al paletto, e iniziò la morbida pedalata verso la città. Si sarebbe fermato al cimitero, il posto in cui non aveva mai creduto ma che era l’unico legame materiale con la moglie, poi avrebbe ottemperato al rito del bacio ai piedi alla Madonna del Terremoto nella Chiesa di San Paolo, prima di dirigersi in centro verso il suo monolocale, riagganciando i suoi due figli e le loro vicissitudini.
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Avrebbe fatto la spesa alla salsamenteria di fiducia incontrando conoscenti con i quali si sarebbe intrattenuto piacevolmente parlando dell’estate e infine, dopo una doccia calda e la cena da povero, sarebbe andato a letto presto. La notte avrebbe sognato o immaginato i suoi nipoti e i vecchi colleghi dell’azienda aeronautica che gli tenevano ancora il posto ma soprattutto, immerso nella fragranza delle lenzuola ricamate, avrebbe percepito l’illusione di un calore familiare femminile al suo fianco, che lo avrebbe scaldato fin dentro l’anima.
Le operazioni di svuotamento della Oriental Sun rispettarono i tempi previsti e Slurry, estratto dalla stiva 4 con un mastodontico aspirapolvere che ultimava il lavoro, si ritrovò a bordo di un vagone ricoperto da un telone di plastica, un contenitore apposito che avrebbe viaggiato su un nastro trasportatore lungo dodici chilometri, una ferita a cielo aperto, spessa venti metri, inflitta al terreno agricolo e ai canali, conficcata nel principio della terza tappa del viaggio.
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Slurry fu scaraventato sulla sommità della lugubre montagna, contenuta dentro un falso palazzetto, scivolando dall’alto in basso fino ad incastrarsi al suo posto nel versante.
La sua missione dovette attendere alcuni giorni, prima di compiersi, giornate in cui si udiva il ronzio ridondante degli elicotteri che sorvegliavano la zona e, soprattutto, echeggiavano frasi di sdegno e rabbia pronunciate da un giudizioso custode di Torchiarolo, un paesino distante un tiro di schioppo:
…energia elettrica per tutto il Sud… ...un carbonile coperto realizzato dopo vent’anni... …una nave al giorno per milioni e milioni di tonnellate di carbone... … cinque anni di Orimulsion bruciato per le vene dei cittadini… ..piacevolissime missioni in Indonesia e SudAmerica riservate ai politicanti in mandato... …contadini con le mani annerite e manager strapagati... ...ministri ruffiani, millantatori della cattura di anidride carbonica, disinteressati alle aziende agricole
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fallimentari, cui si propone un obolo di liquidazione... ...frama no’ s’era ma’fumatu ‘na sicaretta… ...danni ambientali quantificati con gli anni di vita persi dalla popolazione… ...rifiuti tossici per riempire cave o spianare aranceti. ...reti elettriche colabrodo… …spiagge invase da anomale sabbie che si solidificano… aironi e falchi sfrattati dalle Saline… ...denunce rabbiose dell’Ordine dei Medici… ...giovani studenti pluripremiati per esilaranti progetti di panchine solari… ...indagini epidemiologiche ignorate o ritardate banchettando dopo tagli di nastri alla presenza di giornalisti consenzienti e leccaculo, “strategicamente sensibilizzati per migliorare i rapporti col territorio interessato”… ...impegni e accordi presi in una baracca e giudici assennati che tentano di sorreggerla… ...ridicoli concerti finanziati e alberi di luce per Natale oingaggi milionari per mercenari del basket, inviati nei reparti d’ospedale ad allietare i bambini... ...misere sovvenzioni all’AIL e all’ANT…
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Un giovedì di settembre arrivò la sua ora. Pioveva, quella notte, pioveva violentemente e le gocce sbattevano sul tetto a dome come biglie di vetro che si frantumavano all’impatto. La benna di estrazione azzeccò la sua pesca e la introdusse nella grande caldaia, un braciere enorme dal fuoco smisurato, un bruciatore che disintegrava il pietrame facendone polvere sottilissima che attraversava i filtri e diventava fumo che ascende il camino e si invola mescolandosi alla pioggia. Perché fuori pioveva, pioveva incessantemente, a dirotto, e le biglie si trasformavano in una cascata fine e fitta, danzante dal cielo alla terra. Una nebbiolina acida e vasta, ricca di carbonio, un insetticida spruzzato di continuo dalla sommità dell’ombrello trasparente dilatato nel buio. Il volo di Slurry avvenne all’alba, quando quella cappa diede posto al primo sole, sfocato e timido. Spirava un leggero vento levantino verso la città, con il soffio puntato a Sant’Elia, esteso e popolato quartiere ai margini. Tante scuole e asili, verde e attrezzature sportive in quantità, strade comode e
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spaziose, ideali percorsi per il rinomato mercato rionale del giovedì, la festa dei commercianti e delle casalinghe con inizio di primo mattino. Nei corridoi di bancarelle variopinte si trovava di tutto, dalle olive alle scarpe, dalla roba usata al capo firmato, dalle piante ai bottoni, dalle trine agli stracci, dall’intimo alla bigiotteria, quella sfavillante tanto amata dalle ragazzine, ancora non impegnate con l’anno scolastico. Sarah frugava tra i banchi, curiosa e attenta, come immersa in un fondale inesplorato. Ogni tanto alzava la testa cercando il viso di sua madre, che con le sopracciglia le faceva un cenno di intesa. Dialogava con i commessi trattando sul prezzo con successo, utilizzando il suo sorriso a denti larghi e perfetti. Fu proprio in uno di quei sorrisi coinvolgenti, che avvenne l’invasione. Slurry approfittò di una folata di vento per introdursi sotto la tenda della bancarella incurvando la traiettoria e penetrò oltre le sue labbra schivandone i diamanti, si appoggiò sulla lingua e poi si intrufolò nella gola insieme a un sorso di saliva deglutita per celia.
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Si mischiò all’ossigeno necessario a un respiro e percorse gli alveoli polmonari convogliando nel sangue e nelle sue arterie principali, prese una deviazione dirigendosi di nuovo verso la testa e fino al cervello, incastonandosi in un microscopico nidus d’ingresso ai capillari, un tortuoso e dilatato gomitolo ad alta pressione.
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Trasalii alla potenza delle ultime scene immaginate, ricomparendo alcuni attimi nello spazio vuoto della mia stanza, specchiato nella consueta veduta traguardata dalla finestra. Respiravo affannosamente, gonfiando e sgonfiando la mappa di vapore formata sul vetro, su cui le lacrime segnavano solchi in verticale.
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Sarah amava leggere le favole. Alla fine della terza elementare, conclusa a voti pieni, scelse il suo primo libricino da leggere per le vacanze. Sì, Sarah, il nome desiderato da mia moglie per la figlia femmina s’addiceva a ogni comportamento. Santa donna, mia moglie, un’eccezionale casalinga con la stessa voglia di vedermi tornare tutti i giorni dopo il lavoro, di mettere il piatto in tavola con la pietanza quotidiana, di farmi trovare il letto in ordine e profumato, con il cuscino ripiegato sullo schienale. Io facevo l’insegnante dopo una laurea in filosofia. Comprammo casa appena sposati, in una piccola palazzina della frazione “La Rosa”, un sobborgo così denominato, forse, perché tutto l’anno vi trovi piante sempreverdi e fiori. La sposai che non aveva nemmeno vent’anni e io ero alla soglia dei trenta. Ma gli amori nascono così, da giovani, quando si ha la possibilità di un percorso comune, amalgamandosi come due ingredienti che sentono di dover stare insieme a tutti i costi. È così che si superano le difficoltà e le crisi, volendo restare uniti, consapevoli e convinti che un periodo negativo
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passerà, accrescendo una luce che può essere solo temporaneamente offuscata, mai smettendo di brillare. Abbiamo avuto una vita modesta e felice, fatta di gesti semplici e piccole cose. Piccole fin quando non arrivarono i figli, che sono grandi cose.
Il primogenito è stato un bambolotto di cinque chili che denominammo da subito “omone” per la sua stazza corpulenta, il suo sguardo da adulto e le dita grandi.
Poi arrivò il secondo, una forza della natura svelatasi non appena fuori dal grembo, ma anche dentro la pancia, a dir la verità. Infine arrivò lei, la tanto sospirata femminuccia, quando oramai avevamo perso le speranze.
In gravidanza avviammo tutti i controlli di rito, considerata l’età di mia moglie, ma decidemmo di non approfondire con esami specifici. Volevamo quella bambina così come Dio avrebbe voluto inviarcela.
Il giorno del parto fu un’emozione indescrivibile. Esitavo a toccare quella bambolina dai capelli neri temendo di farle male.
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Quando la presi in braccio mi tremavano le braccia. Poi la sollevai al cielo per ringraziarlo. Quanto sono forti le donne, capaci di fare ciò che fanno senza lamentarsi mai oltremisura. Mentre noi uomini siamo lì ad aiutare illudendoci di essere i più forti. Sarah, un angelo inviatoci con l’ultima corsa disponibile. Decidemmo casualmente per la “h” nel momento della registrazione all’anagrafe. La sua crescita fu lenta e veloce allo stesso tempo. Sì, perché gustammo tutti i primi mesi e i primi anni senza perderci la magia di ogni giorno, ma furono comunque veloci, perché la felicità non puoi fermarla e nemmeno allungarla. Una donnina che abbiamo accudito come un bocciolo. Lei riempiva la casa con le sue tenerezze, con la sua dolcezza, allietava i momenti difficili con una canzoncina sussurrata, riempiva il cuore guardandoti con i suoi occhi di nocciola e sorridendo con i dentini dritti. All’asilo era stata sempre composta, ci riferivano le insegnanti, e disegnò con passione la sua famiglia, rappresentando attorno casette e sentieri.
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Disegnava spesso del mare e del suo coniglietto avuto in regalo per i sei anni, completando interi album in tempi record. L’estate amava sedersi sul bagnasciuga e costruire statuine e animaletti di sabbia. Si lasciava attraversare le gambe dal finale delle onde, schiuma che tentava di bere domandando sempre il perché col sale non si può. Mosse i primi passi proprio tentando di scalciare il mare per paura dei granchi. Quando iniziò le elementari sapeva quasi scrivere e accennava la lettura di intere frasi. Le righe dei suoi quaderni erano perfettamente riempite, e con uno stile di scrittura tutto suo. Faceva i compiti con precisione e puntualità, e man mano le sue valutazioni divennero sempre più soddisfacenti, fino ad arrivare alla pagella esaltante della quarta elementare. “Desiderosa di sapere, ha continuato a distinguersi per le grandi capacità di memorizzazione e interiorizzazione dei concetti affrontati, chiedendo di poterli ampliare e approfondire.Ha prodotto elaborati corretti, dimostrando valide doti di sintesi, di logica e
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di collegamento fra le varie conoscenze. Si è rivolta alle insegnanti sempre con grande rispetto e fiducia. Ben voluta dai compagni per le attività libere, ha saputo relazionarsi positivamente e coordinare i lavori di gruppo. Ha conseguito ottimi livelli di competenza nelle diverse aree disciplinari”.
Quando lessi il giudizio non riuscivo a tenere fermo il foglio, che si bagnò con le mie lacrime. Aveva una mania per le scarpe, gli orecchini, gli anelli, e passava ore e ore a cercarli nei negozi. Lo zio, fratello di mia moglie, la rimproverava col suo modo di fare un po’ burbero, ma due ore dopo l’avrebbe sommersa di confezioni regalo fattegli consegnare dalla nonna, sempre a disposizione dei nipotini. Mio figlio, il medio, prendeva in braccio sua sorella come un fuscello per dimostrarle il suo senso di protezione, mentre il grande le parlava pacato comprendendola istintivamente.
A Sarah i primi denti durarono fino a dieci anni e, una volta caduti, quelli nuovi furono grossi e bianchi come il latte che beveva insaziabile.
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Aveva un rapporto particolare con mio fratello, lo zio preferito, con cui scherzava in maniera confidenziale e ironica. Con lui faceva interminabili nuotate oppure giri in barca imparando a remare. Mi raccontò di aver visto una grande tartaruga ferita che vagava nel porto e averla soccorsa semplicemente liberandola da un bustone di spazzatura. Un’altra volta mi raccontarono di una nuotata che li aveva condotti a un prato di fiori bianchi spuntati nel fondo marino e un’altra volta ancora di aver portato a spasso, sul bagnasciuga, un grosso tronco tirandolo coi brandelli di una rete da pesca. C’era una cosa di cui non riferivano mai nulla, ma io li vedevo trasportare pietre di varie misure con la forma degli animali o l’aspetto di scenari futuristici. Trovai in garage una collezione tenuta segreta, sistemata meticolosamente sugli scaffali come per farne una mostra.
Quando Sarah accettava l’invito a dormire da mio fratello, sua moglie le preparava da dormire per terra su piumoni e lenzuola aggrovigliate, una ragnatela in cui lei amava sentirsi un ragnetto.
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Con le sorelle di mia moglie, invece, adorava sedersi ai tavolini dei bar, chiacchierando in compagnia di un gelatone variegato. Dava confidenza solo a chi le era simpatico, mentre per gli altri vi erano solo falsi sorrisi a muso strinto e discorsi di circostanza.
Alle scuole medie Sarah ebbe uno sviluppo fisico incontrollato, raggiungendo sua madre in altezza e cominciando a relazionarsi come fosse un’amica. Camminava a piedi larghi e correva farraginosa. Divenne un’adolescente adorabile e si circondò di amichette che le ruotavano attorno come comari. Una di queste la portava spesso con la sua famiglia sul gommone, esperienza che Sarah paragonava al decollo.
All’esame di terza media presentò due tesine, la prima sulla raccolta differenziata all’epoca di Federico II di Svevia e sul Protocollo di Kyoto, la seconda riguardante i canti popolari della Puglia. Stupì i professori intonando una pizzica, variando tra toni acuti e bassi come fosse una cantante di professione. Quel giorno tornò a casa con un forte mal di testa e quando si alzò da tavola dopo il
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pranzo iniziò a sbandare smarrendo l’equilibrio, fino a rovinare sul divano, dove riposò esausta per diverse ore. Non demmo peso a quel malore, considerandolo una conseguenza della stanchezza e dell’emozione. Per le scuole superiori ci impose il Liceo Artistico, volendo coltivare attitudini e doti. Si appassionò ancor di più al pianoforte, con cui sino ad allora aveva giochicchiato, provando a suonare musica classica sperimentandone l’infusione nel rap e altri generi moderni. Il disegno restò una preferenza, specializzandosi nel creare piccoli tatuaggi da proporre alle amiche più grandi. Le piacevano anche le tinte ai capelli, accostando colori smaltati a tonalità metallizzate. Adorava la manualità e trascorreva pomeriggi interi a realizzare anelli e orecchini, intervallando il lavoro con la preparazione di “stacchiodde” e sottaceti. Ispirandosi alla mia passione per la fantascienza, inventò pendenti molto particolari che ricoprivano l’intero orecchio terminando a punta, bellissime creazioni che riscossero incredibile successo tra le
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ragazzine della sua età, divenendo uno stile. Non faceva in tempo a terminare un monile che lo aveva già promesso a qualcuna. Frequentava una palestra di ginnastica artistica, che praticava con diligenza e puntualità, e alla fine di ogni allenamento eseguiva i salti sulle molle. Un pomeriggio, quando aveva circa sedici anni, avvertimmo l’interruzione repentina di una sua improvvisata al pianoforte. Accorremmo e la trovammo priva di sensi, con la fronte sui tasti e i capelli penzolanti. La presi in braccio adagiandola sul lettino e la facemmo rinvenire cospargendole acqua fresca sulle tempie. Il suo colorito, le pupille dilatate e le difficoltà nel labiale, ci segnalarono che non si trattava di un malore trascurabile e che c’era bisogno di un approfondimento. Da lì una serie di controlli a catena e una diagnosi preoccupante di lieve occlusione alle vene del cervello. Ci dissero dell’ipotesi di una delicata operazione, che però ci sconsigliarono perché troppo rischiosa. Doveva iniziare a riguardarsi, evitando sforzi o stanchezze psico-fisiche eccessive.
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Decidemmo di dirle tutto e, ovviamente, la prima rinuncia, accettata da lei con estrema maturità, furono le gare sportive. Con una terapia semplice, e controlli semestrali, la sua vita riprese senza ulteriori privazioni. Al suo diciottesimo compleanno, festeggiato in maniera sobria in un locale affittato per l’occasione, decise di presentarci Francesco, un giovane serio e posato che lavorava in una fabbrica di plastiche dell’area industriale. Un grande lavoratore, un uomo dai modi garbati e rispettosi che la assecondava in ogni suo desiderio, permettendole questo e quello nei limiti della ragionevolezza. Addirittura, quando lei decise di frequentare il DAMS, l’università degli artisti, cercò di evitarle il treno accompagnandola sovente in ateneo con l’auto e, compatibilmente con i turni di lavoro, la aspettava per la fine della lezione.
Un ragazzo d’oro, il suo primo e unico, che l’ha amata dal primo giorno della loro vita assieme, godendo della sua giovialità e assistendola nei periodi del terribile mal di testa.
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Il giorno della laurea la nostra immensa felicità fu raddoppiata dalla notizia che Sarah decise di darci dopo la tesi: era incinta e avevano deciso di sposarsi in luglio. Già, il periodo delle piogge, nel quale sarebbero partiti per un lungo viaggio.
Staccai la faccia dalla finestra e cancellai quel triste groviglio di aliti e lacrime. Accorsi da mia moglie col timore di non trovarla e le carezzai le guance. Io e lei, insieme, cercando un senso alle nostre vite, e Francesco, nel ricordo del suo amore, avremmo cresciuto Sara, la splendida bambina dai capelli e gli occhi di castagna come sua madre.
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Postfazione
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Ho letto molti dei libri di Pierpaolo, i suoi racconti, le sue poesie, le ricostruzioni storiche e geografiche, le sue denunce. Killer City sembra contenerli tutti. Racconta di un viaggio, racconta la rotta del carbone dalla Cina all’Italia, un percorso sempre segnato da gravi violazioni dei diritti umani, dagli interessi economici delle multinazionali del settore e dalle misteriose attività di società con sedi nei vari paradisi fiscali. Ma il suo è un “retelling”, cioè un raccontare questa storia in modo diverso, rovesciandone i termini e la prospettiva, modificandone il genere con la sua scrittura. Lo definirei, sicura di non sbagliare, un genere poetico: è poetico il modo di descrivere i luoghi, le diverse tappe del viaggio, è poetica la descrizione dell’anima dei personaggi, dei loro sogni, dei loro amori, persino dei loro dolori, è con poesia che viene raccontato il loro sacrificio. E così, attraverso una lettura magica e interessante, si giunge alla fine di questo viaggio, nella nostra Brindisi, città bellissima e unica, città martoriata, epilogo e conclusione della rotta del carbone, che qui viene a compiere la sua scellerata azione. Nella descrizione che l’autore fa di Brindisi c'è tutto il suo amore per la sua città, intrecciato con la consapevolezza delle sue terribili contraddizioni: una terra, la nostra, portata al sacrificio in nome di interessi di cui nessuno di noi ha beneficiato, ma di cui tutti, in un modo o nell'altro, siamo stati
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vittima.
La crudezza del finale toglie il fiato, soprattutto perchè accompagnata dai mille dubbi che il futuro riserva a questo territorio e a chi lo abita. Ma è proprio quella crudezza a rendere evidente che è ancora e ancora la nostra terra a essere preda selezionata per future tragedie. E per noi non è ancora tempo di goderci unicamente le sue bellezze.
Tarullo
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Ornella
Per anni mi sono nutrito di racconti a sfondo nautico: mitiche navigazioni nei mari del Sud, ancoraggi in rade riparate o in atolli sperduti, dimenticati dal mondo. Quindi è stato un piacevole impatto, quello di un panorama evocativo di orizzonti infiniti a cavallo dell’ equatore, ma anche quello di ricordi affettuosi, di letture coinvolgenti.
Ma dietro si intradeve il killer, nascosto dentro lo stomaco del tetro colosso, nella stiva della nave: Slurry e il suo viaggio. Là, dove nasce, sono miniere abusive, pozzi profondi in cui lavorano intere comunità, gente che consuma la propria vita per sopravvivere sotto la splendida bandiera del progresso, dell’energia. Ed è paradossale pensare che la luce abbagliante di meravigliose città, come quelle incontrate durante il viaggio, nasca proprio nelle oscurità delle miniere. Là dove finisce il viaggio, dall’altro capo del pianeta, in un braciere enorme di fiamme infuriate, sotto forma di polvere sottilissima Slurry esce da una ciminiera e si riversa sul territorio circostante avvelenando aree naturali, coltivazioni, persone.
E anche in questo è paradossale pensare come un processo deleterio e mortale ha il suo risvolto “vivificante”: fabbriche (quindi lavoro), sfavillanti città (alcune con grattacieli rivestiti da stupendi giardini verticali).
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Ma si sa come ogni villa, per quanto bellissima, ha il suo scantinato. Come ogni nave, per quanto maestosa, ha la sua sentina. Così, la nostra società ha i suoi territori di serie A e serie B (a volte anche C). Un modello di sviluppo imperniato su una sorta di “razzismo ambientale”, promosso da multinazionali e avallato dal modello politico attuale. Quindi, comunità costrette ad accettare impianti altamente impattanti, inermi cittadini, che provano a ribellarsi, vittime di un modello di sviluppo cinico, utilitaristico. Una macchina che crea agnelli sacrificali, compromettendo la cultura delle relazioni, le amicizie, l’affratellamento, valori che si perdono in nome di un individualismo del “si salvi chi può”.
L’ultimo paradosso sta nel finale. Il racconto più doloroso, ma in cui emerge forte anche l’amore. Nonostante la parte più corposa e avventurosa della storia sia il viaggio del carbone e le vicende del protagonista, si chiude il libro immaginando Sarah e pensando all’amore attorno alla sua persona da parte di tutti, dei suoi genitori. Con lo stesso amore che si ha verso i figli dovremmo rapportarci a questa nostra terra.
Antonio Caforio
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La storia raccontata mi ha riportato alla mente il famoso “giro del mondo in 80 giorni”, il viaggio che un ricco personaggio londinese si impegnò a fare per una scommessa da 20.000 sterline, nel lontano 1870. All’epoca eravamo in piena “Terza Rivoluzione Industriale”, oggi siamo invece alle prese con la “Quarta”, nella quale il mondo digitale, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica stanno compenetrando la nostra esistenza, sempre più dipendente dalla cosiddetta transizione ecologica, quel periodo temporale necessario all’eliminazione dei maledetti combustibili fossili.
Già, forse Slurry sta compiendo i suoi ultimi viaggi verso Brindisi, attraverso il Canale di Suez e l’Asia meridionale, proprio come nel romanzo di Jules Verne.
Pierpaolo svela lentamente dove si vuole arrivare, e progressivamente spinge l’attenzione del lettore alla comprensione della sostanza trasportata, preziosa e silente, apparentemente innocua, per un fine tragico. Sì, drammatico come la sorte di una bambina innocente, brutalmente descritta con poche frasi nel finale. Parole amare e toccanti che mi rammentano la storia vera raccontataci anni addietro da un signore di mezza età, che sconvolse una riunione NAC in una sera d’estate.
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Il libro tiene attaccati stretti alla lettura, facile e scorrevole, stando a bordo del cargo, l’enorme nave che destina alcune cabine a turisti particolari, tenuti in riga da un casareccio nostromo imbarcatosi alla ricerca di una nuova vita dopo una grave perdita personale. Spero che Brindisi e tutte le altre killer cities trovino ancora gente affezionata al territorio e alle sue bellezze, come è stato ed è il Movimento No al Carbone. Persone capaci, con le loro azioni premeditate, di salvare il mondo.
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Donato Mancino
Caro Pierpaolo, mi hai chiesto una postfazione per questa tua opera ma, tra i miei pensieri, non ho trovato niente di meglio che questa lettera. La stretta di mano della nostra ultradecennale amicizia è simbolicamente avvenuta sotto le Colonne terminali della Via Appia, dando il via ad un incredibile viaggio insieme fatto di battaglie, sfide, (tanta) ironia, sorrisi, lacrime, delusioni, tradimenti, confidenze, famiglia, affetto, vittorie e sconfitte. Un percorso condiviso che oggi mi ha portato qui a scriverti queste quattro righe. “Killer City” è un racconto coerente con la tua ricerca di uomo tra gli uomini. Hai deciso di affrontare una delle più grandi paure (forse la più devastante) che un genitore possa provare nella sua esistenza. Lo hai fatto contestualizzando la storia rispetto alla nostra triste e quotidiana cronaca cittadina ma condendo gli eventi con la tua straordinaria e fervida immaginazione, con la tua sensibilità, con la tua unica poesia. Le peripezie di CiaoLin in giro per il mondo a bordo dell’Oriental Sun sono il giusto contrappasso avventuroso rispetto alla drammaticità del principale tema approfondito. Solchiamo con lui gli immensi mari della terra, scopriamo le gigantesche megalopoli, ci lasciamo accarezzare dalla spettacolare bellezza donataci da Madre Natura con un senso di sfida e di libertà che rendono più soave ogni visione narrata. Questo libro esce in un contesto mondiale raccapricciante per il genere umano. La pandemia da Covid 19 ancora in corso,
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l’insensata guerra per l’energia tra Russia e Ucraina, i dirompenti effetti del riscaldamento climatico sotto i nostri occhi: alluvioni, trombe d’aria improvvise, siccità di fiumi e invasi, la temperatura del Mar Mediterraneo divenuta ormai quasi tropicale. Per restare al nostro amato territorio, siamo la generazione che sta assistendo inerme alla devastazione del simbolo naturale più sacro: l’ulivo secolare. Di contro, la politica e le principali istituzioni nazionali sono impegnate in un tragico balletto retorico che nelle parole esalta termini come “Sostenibilità”, “Verde”, “Ecologia”, “Ambiente” e nei fatti supporta e caldeggia l’utilizzo delle fonti più inquinanti per la produzione di energia: “Carbone”, “Gas”, “Nucleare”. Lo scenario è davvero sconfortante. Però, caro Pierpaolo, voglio lasciarti con un messaggio di speranza. Mi rifiuto di pensare che tutto sia perduto. Guardo negli occhi profondi dei nostri figli e vedo in loro la luce della verità. Il nostro viaggio non è ancora finito e loro sono la speranza di un futuro migliore. Continuiamo a lottare insieme, superando le delusioni. Con tutta la gioia e l’entusiasmo per la Vita che dobbiamo onorare con fermezza e determinazione.
Grazie, amico mio carissimo. Continua a veleggiare!
Simone Salvemini
Brindisi, 22/08/2022
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