Maggio 2013

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Opinioni

Il duro lavoro dei numeri primi DI

@YAHOO.IT

“Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. 'Spacco pietre' rispose il primo. 'Mi guadagno da vivere' rispose il secondo. 'Partecipo alla costruzione di una cattedrale' disse il terzo" (Peter Schultz). Quale, fra le tre, vi sembra la risposta "giusta"? D'accordo, forse giuste lo sono tutte e tre, ma qual è la risposta che dà più informazioni su chi la pronuncia e quindi qual è la più esaustiva? Potrebbe non essere una questione così semplice. Come senz'altro saprete, la celebrazione del primo maggio nasce dall'esigenza urgente e capillarmente diffusa di perorare la causa, insieme sovversiva e necessaria, ideale e concreta, delle "sole" 8 ore lavorative; una causa attuale negli anni novanta dell'800 così come lo è ora. A tale proposito un famoso manifesto inneggia alla divisione della giornata in "8 ore di lavoro", "8 ore di tempo libero" e "8 ore di riposo". Ecco, prendendo ad esempio una simile tripartizione potremmo dire che la frase "Spacco pietre" rappresenti il tempo del lavoro fine a se stesso; "mi guadagno da vivere" lascia invece intravedere il tempo che seguirà dopo quello lavorativo, quello della vita insomma, quello che più ci rappresenta. Infine, l'affermazione "partecipo alla costruzione di una cattedrale" se da una parte potenzialmente racchiude in sé ogni cosa - il tempo del lavoro, quello della vita che il lavoro contribuisce in qualche modo a "produrre", e persino il tempo del sogno, dei progetti, delle ampie vedute in grado d'inglobare in sé anche il tempo che

non ci appartiene più e quello del futuro a cui ognuno di noi, volente o nolente, contribuisce con le proprie basi -, dall'altra rappresenta anche il tempo del "sonno", delle illusioni, dell'annegare dei sensi in una grande e nobile causa tutta da verificare. La morale è che i tempi della vita sopra schematizzati segnano ancora, e in modo drammaticamente poco esaustivo, tutto ciò di cui avremmo bisogno. E' ancora indispensabile spaccare pietre? Bastano otto ore pagate per sopravvivere? Cosa rappresentano oggi 8 ore di lavoro? Nel nostro tempo avanzano ancora delle libertà? E se si, come le distingueremo dalle nostre molteplici schiavitù? Una cosa è certa, se parlassero oggi, nessuno dei personaggi di Schultz sarebbe considerato "giovane": il lavoro distribuisce ruoli e potenzialità, iniziando parallelamente fin da subito a logorare ogni forma d'indistinta, amorfa giovinezza; mentre i giovani ormai - potremmo dire per loro stessa natura o per ruolo sociale - non hanno più nessuna delle 24 ore celebrate su quel manifesto. Hanno macchine che lavorano al posto loro, ma 8 ore di lavoro non bastano più per riempire una giornata lavorativa; se del tempo libero rimane è un brutto segno, e comunque sarebbe riempito dal giovane in questione dando la caccia ai fantasmi di una stanchezza subdola, ma più profonda. I giovani, ve lo assicuro, dormirebbero volentieri 16 ore se solo i pensieri dei pagamenti a cui non possono far fronte, o altre insonnie di simile angoscia, non li tenessero svegli tutta la notte costringendoli a dormire in piedi, in treno, in autobus o in tram. Privi di riposo, privi di un tempo che ne rappresenti la libera coscienza, privi tanto di una qualsiasi motivazione che dia un senso al proprio lavoro quanto del lavoro

stesso, i giovani si aggirano nei discorsi di esperti e politici come fossero dei fantasmi dannati, privi di una soggettività; quello che rimane loro in dote è una misera identità collettiva simile a un amalgama viscido e indistinto. Sono soltanto giovani. Ma cosa vuol dire giovane? Vi assicuro di aver incontrato ottantenni infinitamente più giovani della loro età anagrafica: più audaci, più curiosi, più ricchi di prospettive e di volontà. Viceversa, spesso i cosiddetti giovani possono essere ottusi e freddi, e soprattutto, proprio come qualsiasi adolescente più o meno cresciuto, incapaci di mediare tra i propri interessi e quelli del loro prossimo: a volte persino cinici, pratici, riduttivi, facili a prendere una decisione e altrettanto facili a cambiare idea. E' difficile avere fiducia di chi si fa strada passando sopra non al cadavere dei nemici, ma a quello degli amici, o peggio ancora dei maestri, o comunque dei predecessori. Trovo poco nobile prendersela con qualcuno che sarà già giudicato dalla storia, urlargli contro la propria rabbia sfruttando i tempi supplementari della vecchiaia ideologica, morale o semplicemente cronologica. E' troppo semplice prendersela con l'imperatore soltanto quando è già decaduto, con il capo nel momento in cui viene preso in fallo, con coloro che ci hanno preceduto e grazie ai quali abbiamo imparato, se non cosa fare, almeno cosa non fare. E' grazie tanto al coraggio quanto alla vigliaccheria di chi è venuto prima di noi, di chi si è cimentato già in ciò che facciamo, se noi ora siamo dove siamo, se abbiamo una coscienza oppure un'altra. Un conto è negare ogni giustificazione agli errori, un altro è negargli ogni comprensione; un conto è dire che alcune figure sono negative o dannose, un altro è dire che potremmo anche far finta che non siano mai esistite.


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