Phoenix Fanzine - Christmas Special

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Phoenix Fanzine Special Data di pubblicazione: 21 Dicembre 2015 ŠPhoenix Fanzine 2013- 2015 www.phoenixfanzine.wix.com Contattateci su phoenix.fanzine@gmail.com Seguiteci anche su facebook: https://www.facebook.com/phoenixlafanzine/timeline


Benvenuti

Fiamma Salve gente! Bentornati o benvenuti a un nuovo ed emozionante numero di Phoenix Fanzine! Sparky Blablablaa... COSĂŒ LI ANNOIII!!! Raga, solo per voi abbiamo preparato questo SPECIAL per augurarvi buone Feste! Fiamma Ci stavo arrivando! Essendo uno speciale ci saranno solo alcune delle tante storie che vedrete nei prossimi numeri, consideratelo solo un piccolo assaggio come regalo di Natale. Ricordiamo che sono autori che hanno ancora molto da imparare... Sparky ...ma sono pronti per questa avvincente sfida! Continuate a sostenerci. BUONA LETTURA!


News -Abbiamo aperto la sezione Junior per i ragazzi dai 15 anni in giù. In che consiste? I giovani che passeranno la selezione, non solo entreranno come membri di Phoenix fanzine come autori, ma avranno anche l’accesso a un gruppo segreto creato apposta per loro dove i Senior li aiuteranno a migliorare e forniranno loro materiale per studiare e crescere come artisti. -Mirko Robbi, che conoscete come Axel, autore di New Light, è entrato a far parte del nostro Staff, quindi ora fa parte dei BIG! Congratulazioni!!! - Mistery J. in questo numero esordirà con una light novel, ma non vi preoccupate perchè porterà avanti anche il suo manga di cui è stato pubblicato il primo capitolo nello scorso numero, quindi ne vedrete delle belle! - NUOVA AUTRICE! Signore e Signori è con grande piacere che in questo numero vi presentiamo Giorgia Remonato e il suo fumetto dal titolo “Cursed”.


Indice

MANGA:

Sangkhum cap2 ..........................pag 6 (Autore: Minaca/ Francesco Nappi)

Cursed cap 1 ...............................pag 29 (Autrice: Giorgia Remonato)

LIGHT NOVEL:

In the Moonlight cap 1..............pag 55 (Autrice: Mistery J./ Jessica T.)




















































Capitolo 1 Servitore Esistono molte storie a questo mondo, più o meno belle, ed esistono altrettanti modi di raccontarle; ma ce n’è una in particolare che non si pone il problema di essere bella, o giusta, di avere un tempo e un ritmo perfetto o, addirittura, di possedere una morale. Eppure c’è chi ancora la racconta, seduto su una sedia a dondolo, posizionata accanto ad una finestra; mentre il mondo tace, ascolta, in attesa di quel racconto. *** Si diceva che, molto molto tempo fa, prima ancora che l’uomo scoprisse il fuoco, esistessero due civiltà che coesistevano sulla luna: i figli della madre Noom, che vivevano sulla parte della luna visibile alla Terra: Dyagos; ed i figli del padre Onom, che occupavano la parte non visibile del satellite: Yatagos. Mentre i primi erano pacifici e con una mente scientifica più sviluppata dei nostri tempi; gli altri erano come dei selvaggi, il cui unico scopo sembrava quello di farsi guerra. Tuttavia per molto molto tempo tra le due civiltà regnò la pace, finché un giorno i figli di Onom non dichiararono guerra ai figli di Noom, asserendo che la luna dovesse appartenere solo a loro. Dyagos era una città bellissima e molto prosperosa; l’argento vivo del castello si rifletteva sulle pareti di cristallo delle dimore dei cittadini, mentre dall’immensa cupola si poteva osservare un cielo notturno stupendo, con meravigliose stelle ad illuminare quel nero che sembrava inghiottire tutto. La vista della Terra toglieva il respiro, un pianeta pieno di opportunità, sfumate in un’istante. Yatagos invece, che non aveva ma goduto di quella vista, era una città immersa nell’oscurità e nell’odio, dove potevano distinguersi solo baracche, e corpi in via di decomposizione gettati come fossero immondizia. In quel luogo tetro, nell’aria si percepiva solo morte, fame, paura e dolore, tutto il contrario della città d’argento, Dyagos. Erano stati secoli di gaudio - per i figli di Noom almeno -, vivevano tutti allegramente, finché non cominciò la guerra. Dyagos, i cui cittadini non avevano mai impugnato un’arma, stava sprofondando lentamente nel buio di quella galassia. Spegnendosi come la fiamma di una candela minacciata da un vento ostile. Ma Dyagos non piangeva, i suoi cittadini non servavano rancore e non uccisero mai. Questo finché i soldati di Yatagos non uccisero la Sacerdotessa, discendente diretta della Madre Noom. *** I rumori della battaglia si facevano più furiosi. Lance, frecce, spade che cozzavano tra loro; il sangue che scorreva a fiotti, mentre da lassù la madre Noom piangeva, più di mille lacrime nel vento che, tuttavia, non riuscivano ad arrivare nel cuore dei suoi figli. Supplicava, implorava che smettessero, ma erano solo grida nel vuoto. Non li riconosceva più. Quelli non erano i suoi figli. Ad ogni sacrificio Noom gridava di dolore, affievolendosi sempre di più, la sua luce si stava spegnendo lasciando i suoi figli al buio, immersi nel loro odio, nell’oscurità dei loro cuori che una volta erano stati puri e saggi.


Una bambina dai lunghissimi capelli biondi si era rannicchiata vicino il corpo di un soldato morto, il cui cranio era stato aperto in due da uno dei figli di Onom. Mentre tentava disperatamente di non vomitare alla vista del cervello che era stato calpestato, guardò la Terra, bellissima e maestosa come sempre, di quel blu che tanto aveva amato. Quante volte aveva implorato i suoi genitori di portarla lì, rivelandosi a volte una bambina fin troppo capricciosa e viziata. «Quando avrai compiuto tredici lune» le avevano ripetuto più volte, ma con la guerra che stava distruggendo tutto, non avrebbe più avuto l’occasione di conoscere gli umani. Portò le ginocchia al petto e strinse forte, pregando la madre Noom di far smettere quell’assurda guerra. «Madre Noom, vi prego» pregava e piangeva.



Il vestitino candido come l’astro nel cielo ove cui abitava, era diventato di un rosso scuro, e la pelle d’alabastro era sporca di fuliggine, quella del camino dove si era nascosta; tuttavia, i suoi occhioni azzurri di bambina volevano ancora sperare in un miracolo, in un futuro migliore per quella civiltà che stava per estinguersi. «I figli di Noom erano sempre stati un popolo colto, con conoscenze scientifiche avanzate e con un gran cuore, puro e giusto. Non era da loro combattere, perché adesso si erano abbassati al livello dei figli di Onom? La rabbia rende ciechi e sciocchi, ecco perché.» Una bomba scoppiò non molto lontano da lei. Iniziò a gridare e le orecchie a sanguinare; il rumore assordante le aveva appena rotto i timpani. Si appiattì nel terreno premendo le mani alle orecchie, tremando e piangendo, piangendo tutte le lacrime che non aveva ancora versato. Aveva visto i suoi amati genitori morire di fronte ai suoi occhi. Le gole tagliate in pochi secondi, lo sguardo vitreo di sua madre e la voce di suo padre che le diceva di scappare: non l’avrebbe mai dimenticato. Sola. Esmeralda era completamente sola, in balia di una guerra che avrebbe schiacciato il suo popolo, estinguendolo per sempre, seppellendolo nel silenzio nell’oscurità di quell’immenso universo e che lei non avrebbe mai potuto vedere nella sua intera magnificenza. Una mano fredda si posò sulla sua schiena. Trasalì al contatto. Era finita, i figli di Onom l’avrebbero uccisa, forse le avrebbero persino fatto del male intimamente, erano conosciuti per essere dei barbari. Donne o bambini, per loro non faceva differenza. Si voltò con il cuore in gola, credendo di vedere il volto di un soldato di lì a poco, mentre brandiva la sua spada coperta del sangue della sua amata gente. Ma ciò che vide non fu altro che due occhi ambrati e dei lunghi capelli neri raccolti in una treccia. Un ragazzino di circa dodici anni le stava di fronte, parlava, le stava dicendo qualcosa, ma lei non riusciva a capire; non sentiva più nulla. Socchiuse gli occhi concentrandosi sulle labbra, ma non capì ugualmente, forse parlava una lingua diversa dalla sua. Il ragazzino esasperato la prese per un braccio e la trascinò con sé. Con la mano libera notò che stringeva un orologio da tasca d’argento, uno di quelli che il suo amato padre le stava insegnando a costruire, quello in grado di viaggiare nel tempo grazie alle fasi lunari. Esmeralda credeva che tutti i figli di Onom li avessero fatti distruggere per impedire che i figli di Noom scappassero dalla guerra. Eppure quel ragazzino ne possedeva uno. Esmeralda aveva capito che non era come lei, i suoi capelli erano scuri come la notte, e gli occhi, seppur di un bellissimo color caldo, non erano riconducibili a quelli freddi ma dolci dei figli di Noom. Era un abitante di Yatagos, la città oscura, era un figlio di Onom. Poteva davvero fidarsi? Per quanto ne sapeva, poteva persino riportarla al cretaceo e lasciarla lì a morire. Tuttavia, non aveva paura di quel ragazzino e, stringendosi al suo braccio, si fece trasportare attraverso il tempo come una semplice “serva”, come allora i figli di Noom chiamavano gli eletti che portavano con loro nei propri viaggi.


E nel mentre veniva avvolta dalla luce azzurra dell’orologio, guardò il ragazzino negli occhi che le sussurrò qualcosa sulle labbra. “Ho trovato il mio cuore.” *** 1. Ryan scese gli scalini di fretta, chiudendo alla bell’e meglio il lungo cappotto color melanzana, regalo del Natale precedente di sua zia Brigida, una donna piuttosto strana, eccentrica; raccontava spesso di essere stata rapita dagli alieni quand’era giovane, che le avevano fatto degli esperimenti al cervello ed era per quel motivo che era brava con i numeri. Che sciocchezze, si disse osservando il cielo notturno. Sotto portava ancora la divisa da cameriere, con le converse ai piedi, ma poco gli importava, tutto ciò che desiderava era tornare a casa, farsi una bella doccia e andare a dormire. Aprì in fretta il cancelletto riservato ai dipendenti, e uscì da quello che era il suo lavoro il sabato e la domenica. Lavorava al ristorante “Al chiaro di Luna” da due anni ormai, da quando aveva cominciato l’università. Era un buon modo per passare il tempo e guadagnare qualcosa per realizzare il prima possibile il suo ideale di vita perfetta. Sì, Ryan aveva sempre puntato al meglio, e da quando era bambino pianificava nei minimi dettagli il suo futuro. Convinto che per essere felici bisognava avere un obbiettivo. Primo: dopo la laurea in giurisprudenza, avrebbe lavorato per qualche avvocato, acquisita l’esperienza necessaria avrebbe aperto uno studio tutto suo, diventando il migliore in quel campo. Secondo: avrebbe messo da parte dei soldi per comprare una bellissima e graziosa villetta, ma non al centro della città, la preferiva in periferia, con un giardino dove mettere un cane. Un labrador o un pastore tedesco. Poco male se i cani lo terrorizzavano. Terzo: avrebbe chiesto alla sua fidanzata Elizabeth, amorevolmente chiamata Liz, di sposarlo, con una romantica cena al ristorante Al chiaro di Luna, con tante rose rosse e un bellissimo anello che avrebbe fatto mettere in un bicchiere di champagne. Quarto: avrebbe avuto un buon lavoro, una bellissima casa, una moglie meravigliosa e dei figli che avrebbe amato moltissimo. Sarebbe diventato nonno e avrebbe insegnato a pescare ai suoi nipoti. Quinto: doveva imparare a pescare. «Cazzo, è tardissimo!» esclamò dandosi una mossa ad andare, annotando mentalmente il punto sei: doveva togliersi il vizio di dire parolacce, o non sarebbe mai stato un buon padre né un buon nonno. Ma prima di attuare “il piano” doveva prendere quella maledettissima laurea e avere un lavoro stabile. Quella mattina doveva tornare all’università ed esporre una tesi; sebbene si fosse preparato tutta la settimana era comunque nervoso, parlare di fronte ai professori non era mai stato facile, né alle medie né all’università. Ryan era noto per essere un ragazzo abbastanza timido e con la testa sempre per aria; aveva difficoltà a concentrarsi; era sempre perso nel suo mondo perfetto dove lui era un brillante avvocato e un marito feli-


ce. La realtà però era diversa e lui voleva ad ogni costo rimanerci ancorato, per non perdere di vista i suoi obbiettivi. Era per quel motivo che si era trovato un lavoro come cameriere: trovava che fosse un buon modo per iniziare a relazionarsi con le persone. Se voleva diventare avvocato doveva superare la sua timidezza, poi avrebbe avuto una vita perfetta. Camminava lungo il Viale Roma con passi svelti e decisi, osservava le palme che erano disposte a schiera lungo il grande marciapiede di quella via. La strada era molto grande. A sinistra si poteva ammirare un grazioso parco con alberi e giostre per bambini; mentre a destra delle maestose e bellissime palme illuminate dalla luce aranciata dei lampioni. Si soffermò un attimo a guardarsi attorno, c’era qualcosa di strano nell’aria. Erano le due di notte: la città era tranquilla, una delle pizzerie di fronte al parco era ancora aperta e alcune macchine gli sfrecciavano accanto, ma a parte questo era silenziosa e si preparava a spegnersi del tutto, come ogni notte. Eppure qualcosa sembrava non quadrare: una strana elettricità nell’aria lo rendeva inquieto. “Finirai come zia Brigida se inizi a farti simili pippe mentali” si disse cacciandosi le mani in tasca e rimettendosi a camminare, quando uno strano rumore attirò la sua attenzione. Sembrava come se qualcosa stesse cadendo; si guardò prima attorno ma non vide nulla, così fece l’errore di alzare il capo e guardare il cielo. Strizzò leggermente gli occhi e vide un oggetto che si avvicinava a gran velocità verso di lui: uno strano oggetto bianco era diretto proprio verso la sua direzione, puntava a lui! “Ma che cazz...” *Tonf* Riuscì a scansarsi per un pelo, gettandosi sull’asfalto freddo, umido, pieno di cartacce e mozziconi di sigarette. Osservò il marciapiede a bocca aperta, un enorme buco si era fatto largo su esso e stava uscendo fuori qualcosa di bianco. Arretrò qualche metro terrorizzato, quando un’auto suonò incessantemente il clacson poiché era in mezzo alla strada. «Levati dalla strada coglione!» urlò il conducente, ma lui non riusciva a muoversi era paralizzato da quello che stava vedendo. In quell’istante credette a tutto quello che sua zia gli diceva da piccolo: che in quel mondo gli esseri umani non erano soli e che c’era tanto da vedere oltre le stelle, oltre lo spazio, il cosmo, le galassie. Poi si diede del cretino. “No, no, no!” lui non era certo il tipo che credeva a sciocchezze simili, non lo era e non lo sarebbe mai stato. E allora perché non riusciva a staccargli gli di dosso?


*** 2. La vide posarsi leggiadramente su uno dei pali della luce, rimanendo in perfetto equilibrio. Era magra e vestita in modo strano; la gonna del vestito, stretto da un corsetto, era stappata e sotto vedeva delle calze bianche con dei simboli strani; ai piedi portava un paio di ballerine e quelli che sembravano piccoli orologi da tasca le ricadevano dal corsetto e dalla collana. I capelli erano biondi, raccolti in un chignon alto, con delle treccine ai lati del viso e una frangia morbida. La pelle diafana sembrava essere baciata dalla luna: era la creatura pi첫 bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Sembrava non sentire il freddo pungente di Dicembre, mentre il vento la carezzava come se fosse una dolce brezza estiva.



«Mi hai sentito coglione?! Levati dalla strada!» il conducente scese dall’auto e gli diede uno strattone, ma Ryan non ci fece molto caso, continuò ad osservare la ragazza mentre si manteneva in perfetto equilibrio sul palo della luce. Sembrava un angelo dai capelli biondi, caduto dal cielo per chissà quale misterioso motivo. «Posso sapere che cazzo stai guardan...» fermandosi a metà, si mise a guardare nella sua stessa direzione, mentre rimaneva a bocca aperta. La ragazza si voltò in loro direzione sorridendogli amabilmente, per poi scendere in un sol balzo, con la stessa grazia e abilità di un gatto. «Moon!? Dove sei? Dobbiamo assolutamente riprogrammare le coordinate del vortice temporale, abbiamo sbagliato a contare le fasi lunari e adesso quella maledetta arpia ci sta alle calcagna!» piagnucolò cercando tra le palme, in mezzo alle auto posteggiate ed ignorando bellamente l’enorme buco come se non lo vedesse. Il ragazzo non aveva la minima idea di quello che avesse appena detto, ma il solo fatto di non essere l’unico che la vedeva lo faceva sentire meno pazzo. «Moon! Ti prego compari, non voglio essere linciata a morte da...» all’improvviso si fermò, si girò nella loro direzione e andò di scatto verso il tizio che aveva accanto e che, nel frattempo, aveva abbandonato l’auto accesa in mezzo alla strada. «Mi scusi, potrebbe per favore dirmi in che anno siamo? E magari che galassia, costellazione o pianeta? Sa, continuo a confondermi, a volte il vortice temporale dà alla testa.» «Temo di aver sniffato un po’ troppo cocaina, ma sei vera?» mormorò l’uomo guardandola stralunato. «Come scusi?» «Duemila e dieci, credo che volesse dire che siamo nel duemila e dieci, sistema solare, pianeta Terra,» Ryan intervenne chiudendo la bocca al tizio. Ci mancava solo un drogato che dava una cattiva impressione della città a... “Ma chi diavolo è? E aspetta, ho appena precisato il pianeta su cui viviamo?” «Fantastico! Adoro la Terra e i suoi abitanti, gli umani sono incredibili» esultò «e poi siamo nell’epoca della globalizzazione, meraviglioso, almeno questa volta non avrò problemi a trovare dei pezzi per i miei attrezzi» fece un gran sorriso. «Che rimanga tra noi, è un po’ difficile costruire una scheda madre nel mille e venti avanti Cristo, soprattutto se tentano di ammazzarti con delle lance, e hai a disposizione solo degli elastici, una forcina e una ciambella» storse la bocca rammaricata, e Ryan finì con il capirci sempre meno. Di che diavolo stava parlando? “Mille e venti avanti Cristo, lance, elastici, ciambelle... Ma è scappata da un manicomio o cosa?” pensò. «Io me ne torno a casa» esordì l’uomo voltandosi verso la sua auto, ma nello stesso istante cadde qualcosa che la colpì in pieno. Il tizio venne scaraventato su una delle palme e Ryan cadde a terra terrorizzato. “Che cazzo sta succedendo?!”


«Oh no. No no no no, devo trovare Moon!» gridò la ragazza. «Quell’uomo è appena stato scaraventato a tre metri di distanza dalla sua auto, colpita da chissà cosa, forse è morto e tu stai cercando la luna?!» le urlò sconcertato. «Se non l’avessi ancora capito si trova lassù, b-brutta... Squilibrata.» Okay forse aveva esagerato un pochino, ma che poteva fare? Gli sembrava tutto un incubo! «Brutta... Squilibrata...?» si soffermò leggermente su quelle parole aggrottando la fronte, quasi come se non ne capisse il significato, poi improvvisamente cambiò espressione. «Ti consiglio di alzarti in fretta se non vuoi fare la stessa fine del tuo amico» lo afferrò per un braccio tentando di alzarlo. L’assecondò senza fare troppe storie. «Non è un mio amico,» bofonchiò il ragazzo alzandosi. «Come vuoi, ma adesso...» lasciò la frase in sospeso e alzò lo sguardo, come se stesse osservando qualcosa di molto grosso «è meglio se inizi a correre» finì sussurrando. «Cosa? Perché dovrei corre...» Quello che vide fu solo un enorme uccello nero, con la parte superiore simile ad una donna, mentre quella inferiore: “Quelli sono zoccoli... Zoccoli di capra?!” «Corri!!» urlò afferrandolo la giacca e strattonandolo verso di lei. *** 3. Correvano come dei forsennati inseguiti da quella strana cosa che, avendo due enormi ali nere, non faceva fatica a stargli dietro anzi tutto il contrario. Le poche persone che c’erano in giro erano appena scappate terrorizzate, l’avrebbe fatto anche Ryan se solo ne avesse avuto l’occasione, ma quella cosa sembrava volere anche lui. “Ma perché?! Oddio, sento il cuore che mi sta scoppiando nel petto. Odio correre!” Probabilmente qualcuno chiamò la polizia mentre erano intenti a scappare, perché nel giro di pochi minuti una pattuglia dei carabinieri si diresse nella loro direzione. “Dio sia lodato, sistemeranno tutti loro, amo le forze dell’ordine!” esclamò nella sua mente allegramente, mentre aumentava il ritmo per corrergli incontro e salvarsi. Sperò più che altro che fosse un incubo e che presto si sarebbe svegliato nel suo letto, ridendo di quello stupido e insensato sogno, e mangiando come ogni mattina i pancake di sua madre. Ma non accadde, la ragazza bionda lo raggiunse e lo prese per un braccio facendogli cenno di no. «Dai vieni, loro ci aiuteranno» le disse prendendole la mano. Era più soffice di quanto avesse mai potuto immaginare, eppure allo stesso tempo era rigida e fredda. Gli dava una strana sensazione, come di nostalgia, come di... Tristezza. «No, non lo faranno, non possono farlo, rischiano solo di farsi ammazzare e tu morirai con loro!» urlò disperata.


«Sono dei carabinieri armati, ci aiuteranno!» ribatté convinto. Voltandosi dietro di sé notò che la strana creatura stava rallentando. « Vedi? Ha già paura.» le sorrise. «NO!» gridò fermandosi. «No?» ripeté sgomento. “ ‘ddio, ma che ha questa ragazza? Voglio solo aiutarla.” «Allora fa’ come ti pare!» E dicendo così ritornò in direzione dei carabinieri che si stavano accingendo a fermarsi. Erano due pattuglie, armati e con lo sguardo pieno di terrore. «Fidati di me!» gli disse. Ryan si voltò, fermandosi ad osservarla. Nemmeno la conosceva e gli chiedeva di fidarsi? Non era mica stupido. Si sciolse i capelli. Era splendida. La vide armeggiare con il fermaglio che si era appena tolto, ma non si soffermò troppo su di lei: quella cosa le si era fermata proprio dietro. “La ucciderà!” uno strano scatto improvviso lo fece avanzare verso di loro. «Ehi ragazzo, sta’ lontano è pericoloso!» gridò uno dei carabinieri, ma lui quasi non lo sentì: era come se fosse ipnotizzato. Si fermò a metà strada, non riuscendo ad avanzare oltre. “Quella cosa mi ucciderà, io voglio vivere ancora a lungo, magari altri vent’anni. No, facciamo quaranta. Okay, se vivessi altri settant’anni non sarebbe male. Cazzo, me la sto facendo sotto, spero non si capisca.” D’accordo, Ryan non era mai stato molto coraggioso e allora? Sua madre gli ripeteva spesso che era un bravo ragazzo, responsabile e giudizioso, era quello che contava no? Non c’era gloria a morire in quel modo, a soli vent’anni, con un futuro brillante davanti. Eppure sentiva che non poteva lasciar perdere, non poteva semplicemente voltarsi e andarsene, assicurandosi di mettersi in salvo. No, non ci riusciva. Per la prima volta forse, non sarebbe stato un codardo. «Bene! C’è l’ho fatta, ti consiglio di tapparti le orecchie più che puoi mio caro servitore, questo farà un po’ male» esordì con un gran sorriso. “Che vuole dire con: farà un po’ male?” «Perché? » azzardò a chiedere. «Fallo e basta, un servitore non discute gli ordini della padrona!» Nel frattempo quella sottospecie di mostro con le ali l’aveva già presa con una mano, mentre con l’altra tentava di strangolarla, o di staccarle la testa, non gli sembrò molto chiaro. L’essere sembrava essere un tipo poco intelligente, quella tizia aveva uno strano aggeggio in mano e non si preoccupava nemmeno di levarglielo. «Che? Ma quale servitore, non ti conosco nemmeno!» «Possiamo discutere la cosa dopo? Tappati quelle maledette orecchie!»


«Okay, okay, sta’ calma» fece per tapparsi le orecchie con le mani, assecondandola, ma lei lo fermò alzando debolmente una mano. «Dillo... anche... tuoi amichetti» faticò a dire, di quel passo sarebbe morta soffocata. Senza pensarci neanche due volte gridò ai carabinieri di tapparsi le orecchie e, dopo qualche battibecco, riuscì a convincerli anche se probabilmente avrebbe trovato qualche denuncia appena tutto sarebbe finito. «Tappatevi quelle fottute orecchie!» non era esattamente il modo migliore per farsi ben volere dalla forze dell’ordine. *** 4. *Iaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!* Un terribile suono si diffuse in tutta la città, era talmente acuto che spaventò tutti gli animali e fece accasciare Ryan a terra dal dolore. Nonostante si fosse tappato le orecchie, riusciva comunque a sentire quell’orribile grido di dolore e per poco non gli sanguinarono i timpani. Durò un interminabile minuto, nel quale non riusciva nemmeno a pensare. La testa gli stava scoppiando, sentiva i battiti del cuore diminuire in modo spaventoso e per un attimo, non sentì nemmeno il suo respiro, ebbe come l’impressione che non respirasse. Quando il grido si placò, al rumore si susseguì un silenzio opprimente. Ryan alzò lo sguardo, il mostro era accasciato a terra e vicino c’era la ragazza che faticava ad alzarsi. Fece per precipitarsi verso di lei, alzandosi in uno scatto, ma le gambe erano molli e lo fecero ricadere immediatamente sulle ginocchia. Si prese la testa tra le mani, sentiva le tempie pulsare. Che cosa era appena successo? «Tutto a posto laggiù?» disse tentando di rimettersi in piedi, ma a quanto pare anche lei era rimasta un po’ scossa. Osservava la creatura con uno strano sguardo indecifrabile. Riprovò ad alzarsi e andò da lei, continuando ancora a sperare che fosse solo un incubo, ma ora come ora non ci avrebbe creduto nemmeno se si fosse svegliato nel suo letto, al caldo e al sicuro, come dovrebbe essere. «Ci senti ancora?» le chiese arrivando finalmente da lei, ma non rispose, rimase immobile al capezzale delle creatura guardandola in modo... Sofferente. «L’udito è solo qualcosa che può essere riparato» osservò «la vita invece no, nemmeno tra milioni di anni, nemmeno dopo tutte le invenzioni straordinarie di questo universo, prima o poi la morte giunge, che tu lo voglia o no, alla fine si muore. Con le nuove tecnologie forse si può rimandare di qualche decennio, con quelle future di qualche secolo, per le altre razze, non necessariamente umane, possono anche essere millenni» accarezzò un’ala della creatura «questa è una razza antica nell’anno da cui provengo, ha più di cinquemila anni ed anche se è stata creata in laboratorio unendo più geni animali, io non avevo comunque il diritto di farle del male» sembrava profondamente dispiaciuta.


«Ma è solo un mostro! E tu ci hai appena salvati, voleva ucciderci!» affermò convinto stringendo i pugni lungo i fianchi. «Mostro... Voi terresti siete davvero stupidi!» si alzò di scatto e si parò davanti a Ryan. «Consideri un mostro questa povera creatura che per giunta è stata creata dalla tua razza?! Consideri un mostro colui che, per tanto tempo, vi ha salvati?» era agitata e sperò vivamente che non gli mettesse le mani addosso. Ryan non era il classico ragazzo coraggioso, tutto il contrario. «Per quanto ne so nel mio tempo nessuno l’ha ancora... Inventato» ribatté tentando di non far vedere quanto poco stesse capendo. «È un Atrem, una creatura che voi, stupidi terresti, creerete nell’anno due, cinque, sette, quattro, sette e che vivrà come fedele guardiano di questo pianeta per ben ottomila anni, permettendovi di riappacificarvi con i coloni di Marte, e io ne ho appena ferito a morte uno!» gridò con tutte le forze che aveva in corpo, le guance le si infiammarono e lui si ammutolì. Non sapeva che dire. «Ma... » provò «ha tentato di ucciderci...» «Cosa faresti tu, se una ragazza, venuta da un’altra epoca rubasse un oggetto prezioso -oddio prezioso, volevo semplicemente riparare il mio orologio- mettendo a rischio la vita dei cittadini della città che proteggi? Che faresti?» inveì contro Ryan con rabbia. «Niente. Scapperei» rispose sincero «e comunque vorrei puntualizzare una cosa: una ragazza è venuta nella mia città, di notte per giunta, a creare scompiglio mettendo a rischio la vita dei cittadini» affermò alzando un sopracciglio mentre l’osservava. «Ah» si guardò attorno «giusto» convenne leggermente imbarazzata. «Non importa, rimetterò tutto a posto... Sempre se trovo Moon» si voltò in varie direzioni osservando il caos che si era creato e tutte le persone che stavano arrivando. Aprì la bocca e poi la richiuse, mentre la ragazza gli faceva cenno con la mano di fermarsi. «Moon è un’amica, non la Madre Luna» affermò scocciata «e non sono un squilibrata» aggiunse quasi offesa. Sentiva che doveva scusarsi, ma non lo fece, perché la vide nuovamente armeggiare con uno strano bracciale a forma di luna. Lo puntò in direzione dell’Atrem e, dopo un fascio di luce, questo scomparve. «Che...» ancora una volta l’aveva lasciato senza parole, anzi, aveva lasciato tutti senza parole, c’erano persino delle persone che facevano foto coi cellulari. Sperò con tutto se stesso di non apparire sui giornali o qualcosa del genere, a sua madre sarebbe venuto un colpo. «L’ho teletrasportato al sicuro in una zona qui vicino non abitata» si affrettò a spiegargli «dovrò tornare al suo tempo e recuperare le attrezzature adatte per ripararlo, gli ultra suoni avranno molto probabilmente rotto il suo cip» sospirò.


«Non l’avrei ferito se non mi avesse seguita fin qui.» «Capisco» disse poco convinto, in verità non aveva capito assolutamente nulla, era stanco e voleva solo tornarsene a casa. Sorrise e lo guardò intensamente: «Credo che tu sia perfetto» proruppe, mentre lui arrossiva come uno scolaretto. «Bene, è deciso» unì le mani e le portò al petto come se avesse una pistola. Chiuse gli occhi; Ryan non capiva quello che stesse facendo, ma improvvisamente sentiva qualcosa che camminava sulla sua spalla. «Da oggi... Sarai il mio servo» lo indicò «bang!» simulò uno sparo, mentre il ragazzo guardava sconcertato uno strano topo bianco che gli agganciava un collare.


«Ma che... Che cazzo significa questo collare?!» cercò di tirare la mezza catena, inserita dentro quello che sembrava essere proprio un collare da cani. Il topo saltò giù e andò verso la ragazza che si accovacciò per prenderlo in mano. «Moon!» esultò felice portandoselo alla faccia e iniziando a coccolare il coso, mentre le persone continuavano a fare foto. «Cosa significa questo collare, rispondi!» inveì contro di lei infischiandosene altamente di tutti. «Te l’ho detto, da oggi sarai il mio fedele servitore» rise allegramente «e mi aiuterai a trovare colui, forse è meglio dire quella cosa, che cerco» aggiunse. «Forza, andiamo!» S’incamminò, lasciandolo sconvolto, immobilizzato. Chi diavolo era quella ragazza? Che voleva da lui? Perché aveva un collare per cani addosso?! Tentò di toglierselo, ma non ci riusciva, nemmeno se mi sforzava con tutto se stesso, eppure doveva esserci qualcosa per aprirlo. “Perché non si apre?! Toglietemi questo collareee!!”


Si ringraziano Persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero: Caricamento sul sito: Calien/Marta Serra

Grafica e impaginazione: Miu/Claudia Santoro Recio

Illustrazioni:

Yukimoe/Claudia Manca: Hydra nelle news e nell’indice Miu/Claudia Santoro Recio: mascotte nella chat Calien/ Marta Serra con la collaborazione di Miu: Copertina Saphir Vi/ Viviana Oliviero: Saphir

Autori manga:

Minaca/ Francesco Nappi Giorgia Remonato

Autori Light novel: Mistery J./ Jessica T.

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Vi augura Buone Feste


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