Phoenix extra

Page 1




ti racconto un Film....


Titolo Originale: Ōkami Kodomo no Ame to Yuki Anno: 2012 Genere: animazione Regia: Mamoru Hosoda

Trama:

A parer mio Wolf Children è uno dei film d'animazione più riusciti degli ultimi anni! Rimane impresso per i suoi dialoghi potenti e per l'animazione realistica della crescita dei bambini. Il film verte soprattutto sulla genitorialità. La storia di Hana e dei suoi bambini-lupo, diventa la storia di ogni madre. L'espediente dei lupi viene usato per rendere più evidenti le rappresentazioni degli istinti e dell'impulsività dei piccoli Ame e Yuki, che sono molto differenti l'una dall'altro, ognuno ha il suo modo di reagire davanti a determinate situazioni e di affrontare la vita. Questa pellicola ci porta in un viaggio malinconico e poetico all'interno della natura di ognuno di noi, abbiamo infatti il passaggio dall'infanzia all'adolescenza che porta con se una buona dose di conflittualità interiore, una ricerca della propria identità accompagnata dalla paura di scoprire i lati più selvaggi di noi stessi (l'uomo rappresenta la parte razionale, il lupo quella istintiva)! Come abbiamo detto sono i dialoghi la vera potenza di questo film che gioca molto sull'emotività, colpendo lo spettatore con scene struggenti e musiche perforanti. Difatti si piange molto, ma non di tristezza. Il pianto nasce dalla commozione nel vedere come la natura umana venga esposta in maniera magistrale, tanto da lasciare in noi una pluralità di sentimenti e sensazioni.

Le tematiche espresse vengono narrate da Yuki nel modo più naturale possibile, mostrando scorci di vita quotidiana che valgono molto più di mille parole. Tra le tematiche affrontate emerge soprattutto la devozione verso i figli che vengono messi davanti ad ogni cosa. Hana vive la sua vita proprio per loro, tanto è vero che decide di abbandonare la vita di città, così caotica e piena di discriminazione, per vivere in campagna, luogo più sicuro e tranquillo per dei bambini-lupo, ma dove una donna sola come lei incontrerà mille difficoltà. Ella vivrà ogni istante difendendo a tutti costi i suoi figli, mostrandogli come vivere senza però mai imporgli nulla, tanto è vero che alla fine sarà proprio lei ad invitarli a scegliere la strada che ritengono più opportuna, a seguire la loro natura facendogli vivere la loro vita. Concludo dicendo che questo lungometraggio mi ha davvero colpita, è stato capace di farmi emozionare e pensare. Uno splendido esempio di come ogni genitore dovrebbe essere verso i propri figli. Lo consiglio a tutti, piccini ma soprattutto grandi, che sicuramente sapranno apprezzarlo di più cogliendone ogni deliziosa sfumatura.

La giovane Hana conosce all’università un misterioso ragazzo, solitario e taciturno, del quale ben presto finisce per innamorarsi. Una sera il ragazzo le rivela un’incredibile verità: egli è un lupo mannaro, l’ultimo discendente degli estinti lupi giapponesi. Ma la confessione non incrina i sentimenti di Hana, e la coppia finisce anche per avere due bambini, Ame e Yuki, nati anche loro con la capacità paterna di potersi trasformare in un lupo. ”

Aiko


EPIC FAIL


Spazio TUTORIAL in collaborazione con

https://www.facebook.com/pages/Draw-manga-spokon/1586395364908025?fref=ts


TUTORIAL

METODI PER DISEGNARE IL VOLTO

Disegnare l’ovale e tracciare una linea orizzontale, nella quale andranno situati gli occhi, e una verticale, nella quale andranno a finire il naso e la bocca.

Tracciare un cerchio, definire l’asse verticale e orizzontale, in seguito disegnare una seconda linea orizzontale e per finire tracciare una terza linea orizzontale nella quale verrà situato il naso.


Disegnare un rettangolo con i relativi assi d’orientamento, appena sotto al cerchio disegnare un triangolo la quale estremità simboleggerà il mento.

Dopo aver fatto il classico cerchio (figura base del disegno), prolungare le linee e congiungerle fino al perimetro del volto e per concludere tracciare due linee orizzontali.


TUTORIAL

Naso, bocca, occhi e orecchie

MASCHI

FEMMINE


IL BACINO

Si dice che l’uomo abbia le spalle larghe e la donna le abbia strette: ciò non dipende da dimensioni diverse a livello osseo, ma a livello muscolare. Lo sviluppo dei muscoli che vanno dalle spalle agli avambracci fa sì che l’uomo abbia la metà superiore del corpo a forma di triangolo rovesciato. Nella donna invece le spalle sono ampie più o meno come i fianchi: la struttura è quella di una coppia di trapezi isosceli con la base minore in comune. Inoltre, nella donna il punto vita è più in alto, mentre nell’uomo più in basso. Una volta afferrate queste differenze cercate di disegnare le due fisionomie.


TUTORIAL

i gomiti e le mani

Quella del gomito è un’articolazione che permette il movimento in una sola direzione. Piegandolo, l’osso nella parte inferiore sporge e nell’articolazione si crea una cavità. Torcendo il braccio tenendo il gomito disteso, ruota solamente l’osso collegato all’ osso del pollice, l’osso sottostante rimane fermo.

Generalmente la mano femminile ha una forma che converge verso la punta delle dita. Quella maschile invece tende ad aprirsi. Nella mano maschile sono anche evidenti i tendini.


I piedi e le gambe

Le gambe degli uomini sono robuste e presentano la muscolatura che sorregge il peso dell’intero corpo. L’altezza alla quale si trova il ginocchio è la stessa per entrambe le gambe. Le donne hanno le gambe ad x, mentre gli uomini le hanno a forma di o. Generalmente il piede femminile è più rotondo mentre nell’uomo il collo è più alto e si vedono i tendini.


LA VERA BESTIA


iniziative

pronti a scoprire le iniziative più fighe del momento?!

ANNUNCIO: Questa rubrica è aperta a tutti, perciò se avete in mente o in corso iniziative che riguardano il mondo dei fumetti, manga e della scrittura creativa, contattateci sulla pagina facebook o all’indirizzo phoenix.fanzine@gmail.com


L’angolo dell’occulto Organizzato da:

Yukimoe In cosa consiste: “Voglio dar voce a tutti coloro che hanno avuto esperienze particolari ( che siano vere U.U ) tipo: Apparizioni di spiriti, poltergeist, viaggi astrali e altre cose di questo tipo, ci metterò anche informazioni su questi fenomeni. Ovviamente scriverò anche le mie esperienze e credetemi ne ho tantissime O.O Per ogni uscita della rubrica io pubblicherò quattro vostre storie ( se volete potete restare nell’anonimato ) più una, la più strana e particolare la pubblicherò anche sotto forma o di disegno o di tavola stile Manga XD Beh dopo tutto questo delirio di parole XD termino qui. Per partecipare scrivete la vostra esperienza con messaggio privato.”

Allora? Cosa aspettate a madarci le vostre esperienze da brivido?


Donami un disegno, ti regalo una storia

E’ il titolo di un’iniziativa molto carina ideata da Jessica Vicenzutto; consiste nel donarle un disegno sul quale lei baserà un racconto breve. E’ un modo fantastico sia per conoscere nuovi disegnatori, che per farsi conoscere e soprattutto perchè lei possa esercitarsi a scrivere e farci sognare con le sue storie.

Mandatele un disegno alla sua pagina facebook:

Skizzo’s Art

Il racconto che Jessica ha deciso a sua volta di donarci è basato su un disegno di una bravissima disegnatrice di nome Ilaria Chiocca, conosciuta su facebook come:

Plotto Vi lasciamo anche il link del suo canale youtube e di deviantart: https://www.youtube.com/ user/lilith3kaori/videos http://lawnya3.deviantart. com/ BUONA LETTURA!


Disegno: Plotto (Ilaria Chiocca) Storia: Skizzo’s art (Jessica Vincenzutto)


Resurgence Anno 3000. L'umanità? Scomparsa. Esseri umanoidi, occupano la terra, con la certezza che sono rimasti soltanto loro su quel pianeta un tempo verde e rigoglioso ed ora quasi morto. «Attivazione dell'unità R13» «Attivazione in corso» Un laboratorio. Tante capsule arrivate da un viaggio lungo anni luce. «R13 riattivata» Una di quelle capsule, finalmente, si riapre. L'R13 con gli occhi chiusi, la pelle grigio-violacea natia di quella razza evoluta nei millenni. L'unità D02 s'affaccia sulla capsula per osservare quella particolare creatura, le carezza una guancia, le palpebre chiuse, le labbra socchiuse, i capelli... «Questo non è normale delle unità Resurgence» dice girandosi verso l'unità D01 che già scuote la testa, <è un prodotto semi difettoso» dice sfogliando le carte, «Perchè non è stata distrutta?» chiede l'unità D02 guardando la creatura dai capelli viola con disapprovazione ed incanto che si combattono nei suoi occhi, «Perchè non è instabile» risponde l'unità, capo del laboratorio, guardando il subordinato ed avvicinandosi alla capsula. «R13 riesci a sentirmi?» dice D01 carezzando la spalla nuda dell'unità dal corpo femminile, le palpebre, da pesanti quali erano, diventano sempre più leggere e fremono a quel richiamo, fino ad aprirsi. Occhi azzurro cielo cercano la provenienza di quella voce e fanno indietreggiare l'unità D02, «Hanno fatto un enorme errore» dice spostando gli occhi arancioni da un'unità all'altra ed uscendo spazientito, lasciando soli R13 e D01. «Dove siamo? Che anno è?» chiede R13 guardando D01 con quegli occhioni curiosi e con una voce dolce ed assonnata, «Siamo sul pianeta terra ed è il 3000, tesoro» dice D01 con la voce tremolante e rotta dall'e-


mozione, «Ti ho aspettato per cent'anni figlia mia». D01 fa alzare R13 e l'abbraccia mentre qualcosa scende dai suoi occhi. Qualcosa che nessuno della loro razza aveva mai visto. Qualcosa che nessuno della loro razza era mai riuscito a far scendere. Due gocce d'acqua rigano le sue guance. Dopo aver fatto indossare degli abiti all’unità R13, l’unità D01, la porta a fare degli esami per assicurarsi che il viaggio non le abbia fatto male. Finiti gli esami, l’accompagna all’uscita di quel grande laboratorio, nel momento stesso in cui un’unità Transporter arrivava. «L’unità T40 ti porterà al tuo alloggio» dice D01 abbracciando R13 ed infine allontanandola tenendole le mani, «Verrò sta sera da te per… ehm… chiarire alcuni dettagli» continua, lanciando uno sguardo all’unità seduta nel veicolo, che aspettava R13. La giovane unità annuisce senza realmente comprendere ciò che le viene detto poi, entra nel veicolo ed osserva l’unità D01 diventare sempre più piccolo man mano che s’allontana. Nessuna parola fu scambiata dalle due unità mentre viaggiavano. T40 osservava la giovane unità dallo specchietto retrovisore mentre R13 guardava il paesaggio che scorreva. Il pianeta su cui era cresciuta, era nulla in confronto a quello su cui si trovava ora. Sulla terra potevano crescere piante d’ogni genere e d’ogni colore grazie alla sua razza. Unità Resurgence curavano ogni più piccola pianta, unità Instruction attorniate da piccole unità, davano lezione in mezzo ai prati, era tutto allegro rispetto a quel pianeta piatto e d’alabastro che chiamava casa. «Siamo arrivati», l’unità T40 distoglie l’attenzione della giovane unità R13, che lo guarda sconcertata, T40 si gira per osservare meglio R13, «Sei nuova vero?» le labbra dell’unità s’increspano in un sorriso osservando lo sguardo perplesso della giovane, «Se vuoi posso accompagnarti nell’alloggio, il viaggio dal nostro pianeta a qui è stancante» continua T40. R13, non sapendo come rispondere, annuisce solamente, così l’unità dai capelli bianchi esce dal veicolo e le apre lo sportello aiutandola a scendere.


Il palazzo era come uno di quelli sul loro pianeta, bianco ed asettico sia fuori che dentro. «Salve! Posso aiutarvi?» chiede l’unità Service al bancone della reception. T40 va avanti mentre R13 lo segue osservando ogni piccola pianta colorata immersa nel bianco. «Quest’unità deve alloggiare qui da voi» dice T40 guardando l’unità davanti a sé, «Numero di matricola?» chiede l’unità Service. T40 si gira e guarda R13 che continua ad osservare le piante, «Ehi! Qual è il tuo numero?» quasi urla l’unità Transporter attirando l’attenzione della giovane che lo guarda perplessa per poi avvicinarglisi, «R13» risponde lei guardando l’unità Service. «Questa è la chiave» dice l’unità dando una tessera alla giovane che l’osserva attentamente. T40 vedendo l’immobilità di R13, la prende per un polso e comincia a camminare verso un ascensore facendocela entrare subito dietro di lui, le prende la tessera dalle mani e la fa passare nella fessura per potersi muovere. Le porte dell’ascensore si chiudono e l’unità T40 si poggia alla parete dinnanzi la giovane, «Se continui così capiranno che c’è qualcosa che non va in te e presto non esisterai più, tesoro» dice l’unità dai capelli bianchi attirando l’attenzione di R13. «Qualcosa che non va?» chiede la giovane guardando di sottecchi quell’unità così particolare, «Io e te siamo più simili di quello che credi» dice T40 continuando a guardare R13. «Cosa vuoi dire?» la giovane, sempre più perplessa, ormai guarda l’unità davanti a sé tenere le braccia e le gambe incrociate mentre rimane appoggiato alla parete. «Cosa voglio dire?» ripete ridendo T40, «Voglio dire che siamo entrambi difettosi». L’alloggio era candido come tutto il resto del palazzo, qualche pianta qua e la, i mobili bianchi come tutto il resto. L’unità T40 si siede pesantemente sul divano osservando la stanza «Certo che questi alloggi fanno proprio schifo!» dice guardando la giovane. «Come fai a sapere che sono… difettosa?» chiede R13 cominciando a


passeggiare avanti e indietro davanti al divano, T40 la guarda e comincia a ridere, «Tutto di te lo urla! I capelli, gli occhi, i tuoi movimenti! Le unità Resurgence sono totalmente differenti da te!» dice lui continuando a ridere. R13 si butta sul divano accanto all’unità, sconsolata, lei lo guarda «Come posso fare?» chiede con sguardo pieno di una preghiera silenziosa. T40 si gira verso di lei accavallando le gambe e guardandola negli occhi azzurri, «Prima di tutto comportati normalmente cara» dice lui mentre un trillo li distoglie dalla loro conversazione e riempie R13 di terrore. L’unità T40 si alza e va al monitor di controllo, «È l’unità D01» dice lui facendo calmare la giovane e raggiungendola nuovamente sul divano, «Un paio di lenti a contatto del colore giusto, aiuterebbero maggiormente» dice lui tirando la testa indietro. T40 da quella posizione rilassata, guarda R13 con i suoi occhi gialli, «Io porto le lenti gialle perché quelli della mia unità hanno gli occhi così e nessuno sa la verità» ridacchia osservando la giovane sgranare gli occhi dal color del cielo. «Noi abbiamo un unico difetto rispetto alla nostra gente» dice lui tornando a guardare il soffitto. «Siamo per metà umani» Tre unità, nella stessa stanza con lo stesso segreto. T40 ed R13 seduti sul divano, lui spaparanzato e rilassato, lei attenta alle parole dell’unità D01 che cammina avanti e indietro davanti a loro. «Non sei nata in vitro come tutti noi» dice l’unità ansioso, «Parla per te vecchio!» lo interrompe T40 attirando due occhiatacce, «Sei nata da un’umana» continua D01 ignorando l’unità seduto vicino a R13. La giovane non può credere alle sue parole, così quando D01 le porge la foto di una donna dagli occhi azzurro cielo ed i capelli rossi, non può altro che rimanere a bocca aperta per la somiglianza. «E chi… chi mi ha creata?» chiede lei sbalordita per la notizia guardando D01 abbassare lo sguardo al pavimento. T40 allora, a quella scena, comincia a ridere attirando l’attenzione delle due unità assieme a lui, «Che stupido! Ecco perché non ti hanno eliminata appena nata!» dice T40 continuando a ridere come un forsennato, «Lui è tuo padre!» continua indicando D01 che torna a guardare a terra quasi imbarazzato.


«Mio… padre?» «Tua madre, era stata rinchiusa in un nostro laboratorio segreto con altri umani, per essere studiati» spiega l’unità D01 seduto davanti ad R13, «Passavo molto tempo con lei per il mio lavoro ed un giorno, mi accorsi di provare per Ilary qualcosa che la nostra razza non conosce» dice abbassando lo sguardo sulle sue mani e facendo tingere le guance griogioviola di un insolito colore «L’amavo». R13 osserva l’unità davanti a sé, così particolare con quello strano colore sulle guance, «Amore?» ripete la giovane come se non conoscesse quella parola. «La feci scappare assieme agli altri umani e quando trovarono un rifugio, andai a trovarli ogni giorno, non potevo starle lontano» dice D01 guardando la figlia con un sorriso enorme, un sorriso che la giovane unità non aveva mai visto su nessun volto sul loro pianeta, «Poi arrivasti tu» continua l’unità con un’emozione evidente negli occhi. «Eri così bella, non avevo mai visto nulla di più bello e diverso dalla nostra razza» dice D01 carezzando il volto di R13, «Dovetti mandarti sul nostro pianeta per poterti proteggere, qui saresti stata in pericolo» spiega con un’ombra nello sguardo, «Se ti avessero trovata, ti avrebbero eliminata senza pensarci troppo, invece così, potei fare tutti i documenti che certificavano la tua sanità» dice abbassando gli occhi. R13 non poteva far altro che pensare al pericolo che aveva scampato, a quell’unità che l’aveva salvata, all’umana che le aveva dato la vita… «Mia… madre? Dov’è?» chiede la giovane provando una strana gioia pronunciando quella nuova parola, D01 non può fare altro che abbassare lo sguardo al pavimento ed una lacrima cade dai suoi occhi, «Gli umani non hanno la nostra durata di vita purtroppo» dice l’unità asciugandosi gli occhi bianchi con il palmo della mano. «Però ha potuto dare alla luce tuo fratello che è potuto rimanere qui» aggiunge D01 rifacendo nascere un sorriso sulle labbra e facendo sgranare gli occhi alle due unità con lui. «Dove… ?» chiede lei senza riuscire a continuare la frase, «L’unica cosa umana che aveva, erano due occhi verde erba che avrebbero dovuto essere gialli» dice l’unità guardando T40 e lasciando senza parole le due unità.


T40 ed R13 erano rimasti nuovamente soli dopo che l’unità D01 era andato via lasciandogli una storia ed i nomi che la loro madre umana gli aveva donato. «Trevor! Mi piace!» dice T40 guardando la foto della donna dai capelli rossi, «Anche Roberta è bello!» continua guardando l’unità davanti a sé che cammina avanti e indietro incessantemente, «Così consumerai il pavimento. Vuoi fermarti?!» ride prendendo in giro R13 che si ferma e lo guarda sconcertata. «Come fai ad essere così tranquillo?! Sono arrivata qui convinta di essere stata creata come gli altri ed ora scopro di essere nata da un’umana!» dice lei esasperata, con un sentimento che le cresce dentro a cui non può dare un nome. T40 si alza dal divano e le si avvicina prendendole il viso tra le mani e poggiando la fronte contro quella della sorella che rimane immobile ed inebetita per quel gesto, «Sapevo di essere nato da un’umana, ma fino ad oggi non avevo la minima idea di avere una famiglia a cui tenere» le dice sottovoce sorridendole. Trevor abbraccia R13 e lei, in quell’abbraccio, sente un calore mai provato, partirle dal petto. Sa, che in quell’abbraccio può rilassarsi e lasciar scivolare ogni altra brutta sensazione. Roberta, in quell’abbraccio, sente l’amore che non le è mai stato dato dalla sua gente così fredda e razionale. Può rilassarsi fino al punto di piangere tra le piangere tra le braccia del fratello. Passano mesi ormai. Mesi in cui R13 lavora ogni giorno senza pausa, come ogni unità. Mesi in cui lei, T40 e D01 passano molto tempo insieme. Mesi in cui Roberta sente la mancanza di qualcosa. «Non ti annoia fare sempre le stesse cose?» chiede R13 buttandosi sul divano affianco al fratello che la guarda sorridente, «Ma io non faccio sempre le stesse cose» risponde lui ridacchiando e lasciando Roberta incerta, «E cosa faresti scusa?», R13 perplessa e curiosa, guarda l’unità affianco a sé come se non gli credesse. «Vado dalla mia ragazza» dice Trevor con un sorriso malizioso e felice


lasciando la sorella a bocca aperta, «Per ragazza, intendi… ?» «Un’umana». T40, dopo aver fatto rimanere R13 a bocca aperta per la rivelazione, non può far altro, che farla salire sul suo veicolo e portarla da questa “ragazza”. Il veicolo corre veloce e sempre più lontano dal centro abitato, sempre più in mezzo alla radura ormai deserta. Due unità in quel viaggio. Due fratelli pronti a disubbidire alle regole della propria razza. Anno 3015. L’umanità? In via di ripopolamento. Esseri umanoidi, vivono sulla terra in perfetta armonia con la popolazione originale del pianeta. «Mamma! Mamma!» un bimbo di dieci anni dai capelli neri e qualche ciocca viola corre incontro ad un’unità dagli occhi azzurro cielo. «Tesoro cosa c’è?» chiede l’unità dai capelli viola mentre osserva il bambino dagli occhi bianchi, correrle incontro. «Salvami! Il nonno vuole mangiarmi!» dice il bimbo, saltando in braccio alla madre che scoppia a ridere mentre un’unità con gli stessi occhi del bambino, corre lentamente verso di loro. «Roberta, amore, mi servirebbe la carne, altrimenti tuo fratello mangerà tutte le pannocchie dei bambini» un uomo dai capelli neri ed i lineamenti piuttosto mascolini, entra nella piccola cucina che da nel giardino pieno zeppo di amici e parenti. Umani ed unità. Uniti in un’unica grande festa. FINE


DIFFIDA DAL WEB


preview

L’Extra è giunto alla fine, speriamo vivamente che vi sia piaciuto, ma prima di salutarci,

DIAMO UN ASSAGGIO AD ALCUNE NUOVE STORIE CHE COMPARIRANNO NEL PROSSIMO NUMERO DI PHOENIX FANZINE! Ricordiamo che tutti coloro accesi dalla passione per il disegno o la scrittura possono entrare nel nostro team e mandarci le proprie storie che pubblicheremo con piacere nei prossimi numeri della rivista.

LET’S READ!


I bambini del buio

di Elisa Gaggiolo “Aiko”


Prologo

~Pioggia di Vetro~

Corri..corri...corri... I passi rapidi e decisi incedevano sull'erba bagnata mentre il respiro si faceva affannoso formando inquiete nuvole di fumo nell'aria gelida della notte. Gli alberi alti bucavano il manto celeste lasciando intravedere qualche timida stella mentre i raggi freddi della luna a malapena illuminavano il terreno. Non ci prenderà..non ci prenderà... La sua mano strinse con fare ancora più deciso quella di lei. La triste gonna grigia che ondeggiava nel vento, i boccoli biondi che sobbalzavano ad ogni passo, il liquido caldo che scendeva lento sulle gambe nude. La paura in quei grandi occhi azzurri. Devo salvarla...devo proteggerla... I piedi nudi di lui incespicarono contro una radice scoperta facendolo barcollare ma non cadde. Ritrovò l'equilibrio e trascinò accanto a se lei, asciugandole le guance rigate di lacrime. L'odore del sangue gli fece bruciare le narici. Si guardò in giro preoccupato. Dove erano? Non aveva mai esplorato quella zona del bosco. Merda...merda..merda... Sentiva il suo corpicino tremante avvinghiato a lui nel buio. Intorno a loro il silenzio. Se da una parte ne aveva paura, dall'altra ne era sollevato: significava che lui era lontano. Che non li avrebbe presi. Cercò di scacciare dalla mente tutte le storie dell'orrore che suo cugino Maika gli aveva raccontato, secondo lui c'erano uomini che con la luna piena si trasformavano in lupi giganti! Non poteva essere vero! Cosa faccio?! Cosa faccio?! La sentiva singhiozzare silenziosamente, in modo composto abbracciata a lui, con la testolina bionda affondata nella sua camicia a quadri di flanella. Crick.. Il rumore di un rametto spezzato! Non aveva tempo da perdere. La prese in braccio barcollando un po' e tentò di correre il più che poteva, ma era troppo magro per reggerne il peso senza fermarsi a prendere fiato qualche metro più avanti. Erano spacciati. Lei non poteva più correre, era esausta. Il sangue continuava a scenderle lungo le gambe, e non accennava a fermarsi, non c'era ferita da poter medicare, doveva essere dentro. Siamo salvi! Siamo salvi! Una casupola a pochi passi da loro, con una luce fioca che traspariva dalla finestra. La capanna di qualche cacciatore senza dubbi. Un ultimo sforzo... Raccolse tutte le sue forze e prese sua sorella Ivye in braccio stringendola con forza contro il suo petto gracile. Corse a perdifiato lasciandosi quasi cadere davanti alla porta di legno scuro. Bussò insistentemente ma nessuno rispose. La porta però era aperta. Senza pensarci due volte la aprì e si fiondò dentro, erano al sicuro. Lasciò Ivye a terra. Il buio li circondava. Fatta eccezione per quella fiammella sul davanzale della finestra. Strano. La casa sembra disabitata. Accarezzò la testolina bionda della sorellina e si avvicinò al davanzale, dalla finestra poteva vedere il bosco placido e quieto nel silenzio della notte, forse erano al sicuro? Plin Qualcosa gli bagnò una mano, una macchiolina rossa. Plin Si voltò di scatto dopo che un'altra goccia gli sfiorò la guancia, ma sua sorella non poteva essere, era ancora seduta ad occhi chiusi dove lui l'aveva lasciata.


Plin Questa volta la gocciolina gli cadde proprio sulla testa, Tommy alzò gli occhi. Un uomo era appollaiato su una trave di legno bassa. Occhi neri come la pece. Lunghi capelli bianchi come la luna che risaltavano in quel buio spettrale. Una lunga camicia stracciata. Un grande sorriso bianco sul volto. Un'ascia insanguinata tra le mani. «Vuoi giocare Tommy?» Quelle furono le ultime parole che il piccolo Tommy Bennet, di 13 anni, udì.



Il Mondo di Miu Mi dicono che sono matta… beh, forse un po’. Ma non sanno quello che ho passato! Io non vengo da una famiglia normale. Mia mamma (anche chiamata signora mamma da alcuni) è molto dolce e gentile, ma non capisce mai le battute! Se fosse solo questo!!! Ho preso il tratto peggiore: la memoria. Quando sono entrata nel gruppo di kung fu, il mio perfido istruttore nero mi chiamava Smemora. Ritornando alla mia famiglia, mio padre è un grande professore, paziente e gentile con gli alunni. Lo vorreste avere anche voi…come insegnante. Io ho dovuto fare ventieheh jug (non si dice l’età di una signorina) di caserma militare. Rifacevo letti, lavavo piatti che nemmeno un ristorante cinese nell’ora di cena può sopportare. Il timbro di voce di mio padre arrivava a 330 db.. vedevo muovere le labbra e sentivo sanguinare le orecchie, ma non ho mai capito ciò che mi diceva. Si impossessava dell’unica tv di casa e non potevamo cambiare canale nemmeno quando dormiva!!!! Abbiamo pensato di spodestarlo un paio di volte ma… in casa nessuno sa fare la lavatrice!

Mio fratello: un serial killer nato! Una volta con un gesto, insolitamente dolce, di offrirmi l’acqua, mi stava per far bere il detersivo!! Per non parlare delle volte che mi salta in braccio o sulla schiena senza preavviso, buttando su di me, povera fanciulla indifesa, quasi due metri di persona.


Buon sangue non mente, ed è vero! L’esempio è mia nonna materna: la Yaya, è forse la più matta; anche papà ha paura di lei. Se adoro la Spagna è soprattutto perché ho tanti ricordi con lei… una seconda mamma e una donna da ammirare (ma delle sue fenomenali avventure ve ne racconto dopo!) Ma sto divagando! Cosa stavo dicendo? A si! Io mi chiedo però: perché essere normali? Infondo è così divertente essere matti! E poi è contro la mia genetica essere normale! Da piccola , fino alle medie, ero brava negli sport ed atletica, poi con l’avanzare inesorabile degli anni cominciai ad avere un calo crescente. Ho fatto un liceo scientifico e come ogni brava studentessa media di questo liceo, facevo schifo alle materie in cui si contava. Ho un’ amica che viene chiamata dal T.R. (tremendo nero= il mio istruttore) Psicolabile; il bello di questo nome è che la mia amica Fragola(soprannome ufficiale che vi spiegherò più avanti, tranquilli) non ha capito l’insulto fino a quando qualche anima pia, con 6 ad italiano, le abbia spiegato cosa significasse.

Sono anche impegnata, quindi maschietti non piangete, e felicemente occupata nello studio del disegno e della grafica. Direi che per ora ho raccontato troppo…poco, ma non vorrei dilungarmi e scrivere 20 pagine della nostra rivista! Ciao a tutti! Alla prossima! Baci, Miu

p.s. Fragola mi ha chiesto di disegnarla carina, cioè rispecchiando la realtà.


A presto!


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.