Romano

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io, paola romano


io, paola romano 9 ottobre - 27 ottobre 2013 roma, Philobiblon Gallery Via antonio bertoloni, 45 Mostra e catalogo a cura di Francesca Biffi Matteo Ghirighini Filippo Rotundo Luciana Maria Scarpa Testi critici Andrea Romoli Barberini Giuseppe Di Giacomo Vittorio Sgarbi Mehran Zelli Progetto grafico Philobiblon Gallery Fotografie Mark Barring Massimo Bottarelli - Philobiblon Gallery Via Antonio Bertoloni, 45 00197 - Roma +39 06 4555 5970 Via Borgonuovo, 12 20121 - Milano +39 02 89076643 PrPh books New York 26 E 64th Street NY 10065 +1 917-488-2874 info@philobiblon.org


Indice Presentazione 5

Filippo Rotundo, Matteo Ghirighini PHILOBIBLON GALLERY

testi critici 7 13 19

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Andrea Romoli Barberini Paola Romano, il principio del “fare” Giuseppe Di Giacomo Dal Cosmo al Caos: la pittura di Paola Romano Vittorio Sgarbi Introduzione alla personale dell’Artista, Roma, Museo degli Strumenti Musicali, 2006. Mehran Zelli Universi plastici di Paola Romano Opere

aPParati 74

Biografia

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Mostre Personali



FiliPPo rotundo, matteo GhiriGhini Philobiblon Gallery, singoli elementi e struttura dell’unità Gli elementi preesistevano in atto o in potenza, ognuno seguendo un suo proprio percorso e destino. Solo un bigbang poteva scomporli e ricomporli in una Monade dando vita all’universo Philobiblon: libreria antiquaria, galleria d’arte, casa d’aste e officina artistica per la stampa e la legatura. Come la Monade è costituita dal Sole, dalla Luna, dalla Croce che simboleggia i quattro elementi e dal Fuoco che li separa, così è Philobiblon, che nell’unione e nella individualità delle sue parti vive, grazie alla persistente linea retta degli intenti, al cerchio che ne racchiude le anime e al punto che ne rappresenta il fine. La Philobiblon House di Via Bertoloni, ultima nata tra le sedi Philobiblon dopo quelle di Milano e New York, ospita nei suoi ampi spazi le collezioni librarie che hanno reso celebre il nostro marchio nel Mondo; le mostre monografiche e tematiche di Arte antica e contemporanea organizzate dalla Gallery; gli uffici e il salone della Casa d’aste nata dalla collaborazione con Bloomsbury; e infine l’Officina specializzata nella stampa a caratteri mobili, nell’incisione d’Arte e nella legatura artistica.

È mediante la linea retta e il cerchio che i primi e più semplici esempi e la rappresentazione di tutte le cose possono essere dimostrati, sia che queste cose possano non essere esistenti o soltanto nascoste sotto il velo della Natura John dee, I Teorema

Non è possibile riprodurre artificialmente nè il circolo senza la linea, nè la linea senza il punto. È pertanto per le virtù del punto e della Monade che tutte le cose cominciano ad emergere in principio. Ciò che è influenzato alla periferia, per quanto grande possa essere, non può in nessun modo fare a meno del supporto del punto centrale. II Teorema

Per questo motivo, il punto centrale che vediamo al centro della Monade geroglifica produce la Terra, attorno alla quale il Sole, la Luna e gli altri pianeti seguono i rispettivi percorsi. Il Sole ha la suprema dignità e lo rappresentiamo con un cerchio che ha un centro visibile III Teorema

vt potvi sic feci

Hai mai danzato col diavolo sotto il pallido plenilunio?, 2011 Installazione in plexiglass, limatura di ferro, cristalli, polveri e smalti, Ø cm 225, base cm 250x250. (LIV Biennale di Venezia)

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Luna grigia, 2013 Tecnica mista e corteccia su tavola, Ă˜ cm 120 (particolare)


andrea romoli barberini Paola Romano, il principio del fare “Ciò che importa sempre è la rivelazione contenuta nell’atto” harold rosemberG declinazione di un fare che trova il suo senso nell’esperienza stessa del suo prodursi e, parimenti, nelle tracce residuali del suo manifestarsi (le opere appunto), il percorso della Romano si è arricchito negli ultimi anni di ulteriori, talvolta sorprendenti, sperimentazioni che ne confermano, ad un tempo, intraprendenza, eclettismo, prolificità e, a ben vedere, anche una insospettabile organicità tra i diversi cicli realizzati. Organicità che, in certo qual modo, si alimenta ed esprime, una volta in più, nella e dalla esperienza del fare e da tutto quanto può scaturire, per evocazione o per analogia, in termini di forma e senso, dalle diverse sperimentazioni condotte. Va da sé Premesso ciò, per tornare a scrivere di Paola Romano, che questo sottile filo rosso che si dipana nel lavoro delpotrebbe essere un buon punto di partenza tentare di in- la Romano per toccare elaborazioni all’occorrenza tandividuare, alla luce della molteplicità dei fronti di indagine to distanti da risultare quasi contraddittorie, presuppone che ha aperto negli ultimi anni per effetto della sua incon- la completa rimozione di certi steccati, ormai piuttosto tenibile prolificità creativa, quel presupposto indispensa- logori e ridotti a poco più che obsoleti luoghi comuni, bile, quel “nucleo” di significati, suggestioni, inclinazioni eretti in passato e non senza ragioni, data la particolare e forme intorno al quale si genera il suo discorso visuale, condizione storica che fu, da una critica che esercitava il in una sorta di imprevedibile, interdisciplinare e, pertanto, proprio magistero, definendo ambiti di appartenenza stilistica, e per estensione ideologica, sovente funzionali alla ramificata germinazione. divisione, classificazione e al controllo dell’intero sistema. Sgombrato il campo dall’equivoco di un approccio con l’arte di natura concettuale, come ha puntualmente rile- Sarebbe, infatti, piuttosto azzardato individuare una convato Vittorio Sgarbi nella presentazione in catalogo del- tinuità tra le diverse sperimentazioni in esame alla luce la personale Esperienze estetiche al Museo Nazionale deg- delle passate classificazioni, quali “astratto” e “figuratili Strumenti Musicali di Roma (ottobre 2006, vd. oltre) vo”, che la Romano invece, specie di recente, affronta con ed evidenziata la sua propensione per quella particolare assoluta libertà, quasi a voler dimostrare, che la referenTornare a scrivere di un artista nel pieno divenire della sua vicenda creativa diventa necessario se e quando il suo percorso fa registrare significative variazioni di rotta, o se ci si rende conto, col prezioso senno di poi, che è opportuno rettificare, o più semplicemente, approfondire e aggiungere qualcosa al già detto. Se per certi versi è vero che l’artista dipinge sempre lo stesso quadro, è altrettanto vero che la varietà delle modalità attraverso cui cerca di raggiungere quell’obiettivo di senso e forma finisce inevitabilmente col suscitare e imporre, per se stesso e per gli esegeti della sua opera, riflessioni diverse e successive.

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zialità dell’oggetto artistico, raggiunta o volutamente elusa, è solo un connotato dell’opera che non implica scelte di campo, con relativa, inevitabile contrazione dei propri territori di indagine formale, né tanto meno impone tempi di “decantazione” nel passaggio da un fronte all’altro. A conferma di ciò, chi si fosse addentrato nel suo studio alle porte di Roma, a Monterotondo, avrà avuto modo di osservare contestualmente e in piena fase di lavorazione Lune, Drappi, sculture in bronzo o in plexiglass, gioielli in argento e palladio. E ancora fotografie, disegni, telai con intonaci da affresco e tutto quello sconfinato repertorio di immagini, forme, idee che compone il suo caleidoscopico mondo creativo. Inutile cercare la sua identità in una tecnica particolare, un ciclo, un periodo perché la Romano altro non è che l’esuberanza caotica e globale di tutte queste componenti alle quali, è facile prevedere, se ne aggiungeranno certamente altre in futuro.

si determina, come accennato, da quel fare il cui epilogo è segnato dal raggiunto grado di seduzione della forma. Il senso di questi lavori è, quindi, come accennato, tutto compreso nell’esperienza stessa che li genera e che, proprio nell’opera, trova la propria “oggettualità” tangibile, proiezione, traccia e testimonianza di quel momento, di quel raptus creativo. Ma alla luce di tutto questo, come è possibile rilevare l’accennata organicità di un percorso che partendo dall’Informale ha recentemente recuperato, nel ciclo Zoom, con pittura e fotografia, la piena referenzialità dell’immagine?

Nel percorso della Romano, sin dagli esordi, il punto di partenza è sempre scaturito dal fascino della materia, nelle sue infinite possibilità di manipolazione e forma che possono condurre a soluzioni anche molto diverse tra loro perché guidate da una sorta di ideale effetto domE’ nello studio, in questo luogo fantastico, allegro e vi- ino, basato come detto, sull’evocazione e sull’analogia di tale vissuto come una sorta di proiezione della stanza dei quanto pensato e realizzato, quasi in un personalissimo giochi nell’età adulta, che il suo fare, quasi un istinto sper- cadavre exquis che si sviluppa per temi e cicli. imentale, si libera senza progetto. Ed è proprio questo particolare far di getto, altro e distante da qualsivoglia pre- E dal piacere di dare forma agli impasti materici, che nel cetto e senza vincoli rappresentativi, all’insegna del gesto caso in esame hanno incluso e possono includere i matee della materia, che ha finito col determinare una lettura riali “extrapittorici” più disparati, qualche anno addietro, della critica che, non certo a torto, ne colloca buona par- è nato, tra gli altri, il fortunato ciclo delle Lune in cui le te dell’opera nel nobile alveo delle esperienze neoinfor- premesse informali paiono cercare e trovare il compromali. Ma la declinazione dell’informale che viene presen- messo tutto pittorico con una nuova necessità di rappretata in queste opere, proprio per la prassi che le genera, sentazione che, per quanto ideale e illusoria, rinvia a qualintrisa di una componente piacevolmente ludica, si pone cosa di comune e noto nell’esperienza di tutti. allo sguardo con una levità distante anni luce dalla gravità Nella suggestione di questi tondi in cui, al pari degli accudi registro delle opere scaturite, negli anni eroici di questa muli sempre diversi di sabbie e pigmenti, è la sagomatufondamentale poetica, dalla tragica consapevolezza del ra dei telai a individuare inequivocabilmente il soggetto, è potere autodistruttivo dell’uomo. Quest’ultima caratter- tornata anche ad imporsi la “necessità” del monocromo. istica delle opere materiche della Romano, che talvolta Fatto, quest’ultimo, di estrema rilevanza perché ha finito sconfina in un ammiccante e seducente decorativismo, col suscitare l’apertura del ciclo dei Paesaggi dell’immaginario,

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Drappo rosso, 2013 Smalto su tela di iuta, cm 100x120 Pagina precedente: Zoom: Taxi, 2013 Tecnica mista e collage su tela, cm 100x120 (particolare)


quasi una emanazione delle superfici lunari, dipinti questa volta su supporti quadrati e rettangolari con una tecnica molto prossima all’affresco. Prima con il raffinato gioco del bianco su bianco, poi, progressivamente, con l’integrazione misurata di interventi lineari, quasi delle scritture, in ocra, rame e nero, in questi manufatti, per effetto di un segno sempre più strutturato, è riemersa sorprendentemente, e con discontinuità, come un’esigenza di latente verosimiglianza paesaggistica, annunciata dall’occasionale ricomparsa della linea d’orizzonte. In queste opere, che sembrano rincorrere il ricordo di remote civiltà scomparse, come immerse e cristallizzate nelle mille varietà di un bianco che si puntella con la solidità di tratti che alternano civetterie calligrafiche a perentorie ruvidità, si scorgono misteriosi lacerti architettonici, certamente in relazione con i suoi gioielli più recenti (microsculture dalle accattivanti forme irregolari modellate e fuse a cera persa in argento e palladio). Sono, a ben vedere, l’approdo e il punto di partenza della serie Zoom, tra le ultime, in ambito pittorico, elaborate in ordine di tempo.

colori primari, insieme al bianco e al nero, si distendono uniformemente su superfici tormentate da concavità e convessità ottenute dalla stessa tela di supporto, modellata e fissata con particolari appretti, per restituire allo sguardo il sofisticato inganno di un colore uniforme che si manifesta, invece, con le mille sfumature di tono dettate dalle ombre degli aggetti. Qui torna prepotentemente quel senso di assoluto espresso nel fruscio cromatico di una superficie frastagliata, vibrante, di una piacevolezza pura e serena che si fa specchio dell’imprevedibile indole creativa dell’autrice.

Inglobate in un impasto materico ricco, che abbozza sommariamente scenari metropolitani, si fanno largo scatti fotografici che svelano e “qualificano” luoghi ed epoche particolari attraverso un dettaglio ingrandito, di qui il titolo, quasi si trattasse del capriccioso effetto di una particolare lente di ingrandimento capace, sulla superficie dipinta, di rivelare, con l’inequivocabile oggettività della fotografia, l’identità di un luogo e “svelare” il mistero dell’immagine nella sua complessità. E che non si tratti di una definitiva conversione alla figurazione lo dimostra ampiamente il ciclo, ad esso cronologicamente parallelo, dei Drappi, che lei chiama confidenzialmente “le Pezze”, anch’esso di derivazione lunare. Ciclo “aperto” e in piena evoluzione, in cui, nel ribadire l’inclinazione alla trattazione del piano-volume, i

Cratere III, 2011 Fusione in bronzo, Ø cm 30

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GiusePPe di Giacomo Dal Cosmo al Caos: la pittura di Paola Romano “L’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile” Paul klee La prima cosa che colpisce nelle opere di Paola Romano è la commistione di colore e materia; si tratta infatti di una pittura materica che si serve di un’eterogeneità di materiali. In genere l’artista predilige gli smalti mescolati con sabbia e metalli, e i colori bianco, nero, giallo e rosso - ma non l’azzurro e il verde, perché non vuole riprodurre la natura - spaziando dalla policromia più accesa alle modulazioni pittoriche più tenui. Dipingere per lei significa entrare nella materia e nel colore, esplorandone tutte le possibilità e dando vita al suo obiettivo dichiarato: il movimento. Ma proprio perché questo fine non si può mai raggiungere una volta per tutte, la sua pittura è un ricominciare sempre da capo. Colori e materia non sono mezzi per raffigurare qualcosa di esterno, ma sono il soggetto stesso dell’opera. Essi costituiscono, sì, una superficie, ma una superficie che è animata da quella forza interna che genera il movimento e che a ben vedere rimanda all’espressionismo astratto americano. Di qui una processualità che esclude qualsiasi disegno prestabilito e qualsiasi intenzione che preceda l’opera stessa. Quest’ultima infatti si dà come “compiuta” solo quando l’artista sente che l’equilibrio delle parti è stato in qualche modo raggiunto, ma questo equilibrio, appunto, non è pre-definito. Se l’opera dunque non riproduce nulla del mondo esterno, ma produce dal suo stesso interno ovvero, per dirla con Klee, “l’arte non

riproduce il visibile, ma rende visibile”, la pittura di Paola Romano, come quella di Klee, fa emergere di volta in volta possibilità sempre nuove e diverse. Nelle sue tele troviamo processi di sedimentazione che hanno luogo a livello formale – stratificazioni di colori e di materiale vario – ma solo e soltanto in quanto sono la manifestazione di possibilità interne. Il quadro è allora memoria di processi che restano ininterrotti, pur interrompendosi di volta in volta nelle opere concrete. In questo modo ciò che si offre ai nostri occhi, il “dato”, si dà come un “dono”: qualcosa di non previsto e che sempre di nuovo ci sorprende. L’introduzione di frammenti di realtà trasforma l’opera radicalmente: nell’opera d’arte che ormai si presenta come non-organica, perché si è perduto ogni rapporto di conciliazione tra l’uomo e il mondo, le parti non rimandano più come segni alla realtà, sono la realtà. I colori e i materiali, nella loro eterogeneità, non rappresentano l’altro da sé, non illudono e non fingono, ma sono soltanto quello che sono: colori e materia. Un “soltanto” però che non indica un impoverimento di significati, nel senso di alchimie coloristiche o giochi puramente ornamentali; al contrario, nell’essere soltanto colori e materia queste opere si fanno testimonianza della perdita di quel rapporto di conciliazione tra l’uomo e il mondo. Nel comporre alcune delle sue opere, usando oggetti

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tratti direttamente dalla realtà, Paola Romano arriva a mettere in questione la nozione stessa di opera strutturata in tutte le sue parti e costituente un’unità grazie alla sua forma e al suo contenuto.

quietante. Così la quiete tanto ricercata non è mai raggiunta, e l’inquietudine si fa appunto testimonianza di un mondo-caos che è l’unico mondo rappresentabile nella sua irrappresentabilità, là dove un mondo-cosmo, nella sua totale rappresentabilità sarebbe oggi una finzione o, Non si tratta però di rifiutare l’istituzione “arte”, ma di peggio, una menzogna. Si tratta di un’arte “informale” negare la possibilità di norme estetiche valide in assolu- che rinuncia alla forma, figurativa o non figurativa, inteto. Non a caso la sua pittura è caratterizzata da un’as- sa come forma che si offre a una visione esclusivamente senza di regole, e dunque da una produzione nella quale ottico-retinica. E l’abbandono della rappresentazione di la varietà è il segno della consapevolezza della fine dei una spazialità che possa accogliere oggetti riconoscibili fa grandi Progetti, ovvero della fine dell’Unità, del Senso, sì che questa pittura si rivolga non soltanto al vedere ma dell’Assoluto. Di qui la fine della rappresentazione come anche e soprattutto al “fare”, escludendo così che si tratti rappresentazione della realtà e insieme la fine di ogni nar- di uno spazio puramente ottico. razione. E tuttavia non è una pittura che si risolve in motivi puramente ornamentali. Klee diceva che la sua pittura La conseguenza è che troviamo non più la staticità della non era vuoto ornamento perché “narrava”, e quello che Gestalt, in quanto forma formata, ma la processualità delnarrava era “la preistoria del visibile”, vale a dire la genesi la Gestaltung, in quanto forma in formazione. Da questo del visibile stesso, il passaggio dal non visibile al visibile, rifiuto della staticità della Gestalt emerge il carattere “indalle possibilità alla realtà. forme” della pittura di Paola Romano. Quello che abbiaSe quello che vediamo è una tra le tante possibilità, la pit- mo è, insomma, una superficie che esclude ogni presentura di Paola Romano mette in scena la ricerca di queste tazione diretta dello spazio reale e che invece è in grado di possibilità, facendole apparire sempre nuove e diverse accogliere qualsiasi contenuto che non evochi un evento proprio un momento prima che vengano risucchiate nel ottico già accaduto. Nell’assenza di ogni rapporto tra figmagma sedimentato della tela. Di qui il costante movi- ura e sfondo quest’arte si dà come informale e per ciò mento interno di questi quadri e il loro essere struttural- stesso non rappresentativa di fatti del mondo né di stati mente “non-finiti”. d’animo, bensì “presentativa” di se stessa, della sua materia e dei suoi colori, vale a dire di possibilità che appunto L’attenzione alla forma, alla composizione, resta co- emergono di volta in volta, dando vita a quel movimento munque centrale nella sua produzione artistica ed è interno che è la vera processualità dell’opera. Come capita questa attenzione a fare dell’opera, appunto, un’opera. spesso nell’arte contemporanea, anche in questo caso la Non perché la forma sia qualcosa di dato, ma perché è pittura si confronta con lo spazio, accostandosi alla sculmovimento: produzione, non prodotto. In queste opere tura. Esplorare infatti tutte le possibilità del colore e della materia e colori sono elementi dinamici, sono forze tel- materia vuol dire portare la pittura ai suoi limiti, là dove luriche che fanno emergere dal proprio interno qualcosa essa si fa anche scultura, offrendosi non solo all’occhio, che, anche se può suggerire una figura, si dà però come ma anche al tatto, sì che l’opera è insieme visiva e aptica. s-figurata, a testimoniare l’impossibilità di una forma ac- In molte opere di Paola Romano è presente l’oro, e ques-

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Drappo bronzo, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 80x100 Illustraziona precedente: Bosoni, 2013 Affresco e smalti su tela, cm 100x100 (particolare)


to fa pensare non soltanto ad alcune opere di Burri - con il quale, e non solo per l’oro, manifesta profonde affinità - ma anche alle icone greco-russe. Solo che, a differenza di queste ultime, nelle opere della Romano l’oro non è il segno dell’Assoluto, non ne è l’epifania, e di conseguenza le sue opere non costituiscono il luogo, l’occasione, del manifestarsi della Bellezza. Qui l’oro è memoria, memoria di una possibilità oggi impossibile: è il segno non di una pienezza bensì di una mancanza. Così la consapevolezza dell’impossibilità oggi della Bellezza è anche consapevolezza dell’impossibilità per l’arte di raggiungere l’Eternità. Si tratta infatti di una pittura che si offre al tempo e, che in quanto tale, si dà come caduca. Nessuna eternità è attesa o annunciata per riscattare la temporalità della vita, con tutto ciò che questa comporta: dolore, sofferenza, morte. Non parlerei comunque, nel caso di queste opere di pittura aniconica, dal momento che esse non si pongono al di là dell’icona ma al di qua: non sono il segno di un rifiuto della bellezza e dell’assoluto, bensì il segno della loro attuale impossibilità. In questa pittura emerge il tentativo di dire qualcosa che non si lascia dire, ed è proprio tale impossibilità di dire a rendere possibile quei tentativi di dire. Tra il dire e l’impossibilità di dire quest’arte si fa testimonianza e proprio questo “tra” è il segno di una lacerazione nella rappresentazione: l’opera di Paola Romano è la testimonianza dell’insuperabilità di tale lacerazione. Così, nel suo “presentare” un mondo-caos, essa manifesta l’impossibilità di un mondo-cosmo. Di qui la lacerazione di una pittura sospesa tra la possibilità e l’impossibilità e quell’inquietudine che è memoria di una ferita non redimibile. Albero Zen, 2013 Fusione in bronzo, cm 45x27x9

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Pagina successiva: East of the Sun, 2013 Tecnica mista e corteccia su tela, cm 100x150 (particolare)



Luna oro e nero, 2011 Tecnica mista su tavola, Ă˜ cm 100


Vittorio sGarbi Introduzione alla personale dell’Artista, Roma, Museo degli Strumenti Musicali, 2006.

di qualunque altro è stato ritenuto “concettuale”. Cosa proponeva Kosuth? Di fare un’ “investigazione”, come la chiamava, che superasse la tradizionale necessità per la quale l’arte doveva darsi come un fatto estetico. L’arte, per Kosuth, è riflessione mentale, un’informazione su cui meditare, da offrire al pubblico senza ricorrere a una forma ricercata. L’arte deve essere un linguaggio puro nel Nel suo celebre Ultime tendenze dell’arte d’oggi, edizione quale contano solo i meccanismi comunicativi che ven1984, Gillo Dorfles dice che per “concettuale” dobbi- gono attivati e la sostanza di ciò che si afferma, non il amo intendere un’arte “basata sopra un ritorno all’ele- modo più o meno bello in cui ci si esprime.Così alcune mento conoscitivo, ideologico, gnoseologico, come base delle opere più note di Kosuth sono costituite da una dell’opera o dell’operazione artistica, e come tale è spesso sedia, una sua fotografia e una sua definizione tratta dal an-oggettuale, ossia rifiuta la riduzione a oggetto mercifi- dizionario, oppure da scritte estratte dai testi di Freud. Niente dipinti, niente oggetti che valgono per sé stessi, cabile”. solo pretesti che rimandano a riflessioni a priori. Già da questa prima definizione, si capisce che essa sarebbe difficilmente applicabile agli ultimi lavori della Roma- Se l’americano Kosuth è considerato il massimo esponenno, che sono fortemente “oggettuali” – sono sintesi di te del Concettualismo puro, il tedesco Joseph Beuys lo è forma, materia, gesto – e implicano per essi una percezi- per un versante più implicato con l’oggettualità dell’arte, one sensoriale e intellettuale strettamente determinata ma sempre in un modo che rifiuta il ricorso al tradiziodalla natura fisica delle opere, autonoma da qualsiasi “ele- nale quadro da cavalletto. Beuys si esprimeva attraverso mento conoscitivo, ideologico, gnoseologico” che a essa oggetti di ready made, poveri, consumati, deteriorabili (il volesse sovrapporsi. Se comunque le parole di Dorfles burro, per esempio), ricavati dalle abitudini materiali di non ci risultassero ancora risolutive, e potrebbe esserlo se tutti i giorni. Beuys si esprimeva anche attraverso perfornon si avesse in mente come gli artisti abbiano messo in mance, happenings, esibizioni del proprio corpo e di quello pratica la nozione generale da lui desunta nella definizione altrui con i quali intendeva comunicare messaggi di valore appena riferita, pensiamo a come agivano alcuni dei più extra-artistico, riguardanti la politica, l’ecologia, il bisogno rappresentativi artisti “concettuali”. Pensiamo, per esem- di contrapporre la componente spirituale dell’uomo alla pio, a Joseph Kosuth, forse l’artista che con più proprietà mercificazione del sistema capitalistico. C’è una matrice prevalente nell’ultima produzione artistica di Paola Romano, una matrice che è stata definita di “arte concettuale”, in termini che possono essere corretti dal punto di vista etimologico, certamente meno se riferiti al lessico della critica d’arte così come storicamente si è codificato fino ai nostri giorni.

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Cosa ha a che fare l’arte più recente di Paola Romano con il Concettualismo di Kosuth o di Beuys? Niente, direi, e per fortuna. E’ evidente che quando per essa si usa il termine “concettuale” lo si intende alla lettera (“arte che non vuole rappresentare cose già esistenti, ma esprimere concetti”), avvicinandosi a significati che in altro modo potrebbero essere sfiorati da definizioni come “arte anti-mimetica” – dove la mimèsis è ovviamente la classica imitazione della natura – o “arte astratta”.

in oggetti particolari, finalizzati a scopi estetici, segnati come un’impronta dallo spirito di chi li ha creati. Se questo è stato l’esito della battaglia, ha ragione Paola Romano a proporre un “Neo-Concettualismo” che recuperi il piacere di ciò che il Concettualismo storico voleva negare. Ritornando, per prima cosa, all’arte come “oggettivazione” necessaria, espressione individuale che può stabilire una comunicazione di idee e di sentimenti solo se si materializza in qualcosa di facilmente inquadrabile dai nostri sensi, gli occhi in primo luogo, ma anche gli Direi, anzi, che rispetto alla direzione storica del Con- altri che possano concorrere alla determinazione di una cettualismo, segnata da esperienze fondamentali come percezione sinestetica, come il tatto. quelle di Kosuth e di Beuys, quello della Romano sia paradossalmente un “anti-Concettualismo”. Nel senso Molte opere della Romano chiederebbero di essere tocche propone una rinnovata idea del Concettualismo, cate come fossero scritte in codice Braille, perché il pasimpossessandosi perfino della sua terminologia, come saggio dei polpastrelli lungo certe rugosità a intervalli se avesse constatato il sostanziale fallimento di quello variati o regolari, lungo certi improvvisi accumuli o dian-oggettuale, anti-estetico, anti-mercificante dei tempi radamenti di materia, aggiungerebbe sensazioni emotive di Kosuth e Beuys. La teoria di quel Concettualismo è che completerebbero quelle avvertite dagli occhi, arricrimasta bella e suggestiva, per quanto massimalista e ti- chendole notevolmente. Potrebbe perfino permettersi di rannica nel sostenere la morte dell’arte così come è stata capovolgere i tradizionali termini con cui le pitture venintesa da tremila anni a questa parte, ma gli effetti pre- gono percepite dai sensi, Paola Romano, proponendo visti dalle sue operazioni sono stati totalmente vanifica- che certi suoi dipinti venissero prima toccati e poi visti, ti. Kosuth e Beuys sono diventati fenomeni del mercato aumentando progressivamente l’intensità della luce nel artistico, ultrapagati; le loro opere, o anche le semplici luogo dove fossero esposti. Sarebbe interessare verificare documentazioni fotografiche di certe performance, che le reazioni di chi percepisse le opere in questo modo, e dovevano negare l’esteticità dell’arte, sono diventati fe- quanto queste reazioni si differenziassero da quelle deriticci ammiratissimi, guardati nei musei pubblici e nelle vate dalla semplice visione a luce piena. collezioni private come se fossero la Gioconda. Al di là di questo possibile esperimento, è chiaro che Il mercato ha vinto sulla rivoluzione, in fondo con buona l’arte della Romano abbia sorvolato l’abituale divisione soddisfazione anche di Kosuth e Beuys che si sono presto disciplinare fra pittura e scultura, ma non certo seconpiegati alle sue lusinghe. Ha vinto una concezione dell’ar- do l’indirizzo rivoluzionario promosso dal primo Conte, borghese quanto si voglia, per la quale gli uomini cettualismo. Lo ha fatto, semmai, ricorrendo alla lezione attribuiscono al gusto estetico un’importanza notevolis- delle esperienze storiche che dal punto di vista filologico sima nei loro costumi e intendono ancora riconoscerlo sono certamente le più adatte a ricostruire la sua matri-

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ce ispirativa, l’Astrattismo e soprattutto l’Informale. Proprio all’Informale, rivissuto dalla Romano in un modo comunque assai personale, con la forza proveniente da una disposizione intimistica che all’imitazione e al riferimento colto preferisce la freschezza della propria immaginazione, farei risalire la coscienza con cui l’artista trova nella fisicità del gesto pittorico il livello attraverso cui far giungere a sintesi gli elementi fondamentali della sua arte, la materia, il colore e il segno. Tutto si offre come una meditata combinazione alchemica, come flusso variabilissimo nelle sue possibili manifestazioni, ma sempre facendo affidamento a una concezione spirituale, forse spiritualistica dell’espressione artistica. Perché l’arte non è solo il modo con cui l’anima di un’artista cerca di comunicare le proprie sensazioni a altre anime, anche le più sottili e inesprimibili, anche le più sconosciute a sé stessi, ma è anche il modo con cui esse, a loro volta, riconoscono di far parte di una grande anima mundi, contenente tutta l’energia spirituale disponibile nell’universo. Un mare in cui, ricordando Leopardi, è dolce naufragare, quando si ha la possibilità di farlo.

Drappo d’oro, 2012 Smalto su iuta applicata, cm 100x120 (particolare)

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Pagina precedente: Babilonia, 2012 Tecnica mista su tela, cm 120x160 (dittico, particolare)



Drappo plastico rame, 2013 Smalto su plastica, cm 100x150


mehran zelli Universi plastici di Paola Romano

La plastica come seconda pelle, una metamorfosi della pittura-scultura di Paola Romano e della sua creatività espressiva che si contamina di una contemporaneità artistica post-moderna. É proprio nella sua ultima produzione che, elaborando nuove armonie e inconsci universi da esplorare sulla tela, che prendono forma le percezioni estetiche plastiche, come trasparenze avvolgenti, misteriose, che grondano colore e impacchettano la materia, riciclando un passato già vissuto. Già maestri come Alberto Burri, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, professano la ricerca sulla plastica attraverso le combustioni fino alle trasparenze della stessa, nel 1960 anche Carla Accardi comincia a lavorare sulla plastica, attraverso le trasparenze con i sicofoil; Paola Romano fa sua la lezione, la sua pittura non toglie ma aggiunge qualcosa di nuovo alla comunicazione artistica, la sua ricerca volge sempre più verso la monocromia, dialogando con una corposità materica della sua pittura, rivelando con le plastiche, versatili e plasmabili, dei ritmi delle forme, una sintesi astratto-naturalistica gestuale, di grande effetto cromatico ed estetico.

suoi lavori, specie nelle plastiche, talvolta enigmatiche, in cui le forme si rivelano e scompaiono, come fantasmi emotivi avvolti nel cellophane, trasparenze plastiche ed elastiche che trattengono i nostri sussurri e le nostre grida, emozioni che vengono convertite poi dall’artista in pura energia dal colore: la plastica trattiene, il colore comunica. La plastica come riproduzione di un mondo artificiale, una pellicola che filtra la luce in superficie e confonde quello che si cela sotto, ma il colore restituisce un habitus di convenienza e di convivenza più verosimile alla nostra quotidianità, la plastica è come una maschera, in superficie comunichiamo e apparteniamo ad una estetica comune, ma è oltre la plastica (dietro la maschera) che scopriamo la nostra unicità. In fondo apparteniamo al nostro tempo... E siamo quello che produciamo.

Questo nuovo ciclo pittorico di Paola Romano sulle plastiche dimostra una maturità artistica che la colloca in una dimensione internazionale, consegnandoci La tela come in un palcoscenico, la sensazione del rac- una interprete molto personale, di talento e di grande conto attraverso una sequenza di immagini, non quello carattere. che si vede ma quello che viene nascosto ci attira nei

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Opere


Lune


1. Luna bianca, 2010 Tecnica mista e porcellana su tavola, Ă˜ cm 100


2. Luna blu, 2010 Tecnica mista su tavola, Ă˜ cm 150


3. Luna rossa, 2010 Tecnica mista su tavola, Ă˜ cm 150


4. Luna d’oro, 2011 Tecnica mista su tavola, Ø cm 100


5. Luna oro e nero, 2011 Tecnica mista su tavola, Ă˜ cm 100


6. Luna oro bruno, 2013 Tecnica mista su tavola, Ø cm 50

7. Luna rossa e nera, 2013 Tecnica mista su tavola, Ø cm 50

8. Luna lattea, 2013 Tecnica mista su tavola, Ø cm 50

9. Luna dorata, 2013 Tecnica mista su tavola, Ø cm 50


10. Luna grigia, 2013 Tecnica mista e corteccia su tavola, Ă˜ cm 120


Paesaggi dell’Immaginario e Orizzonti


11. Paesaggio di latte e miele, 2012 Affresco su tela, cm 80x120


12. Paesaggio di rame, 2012 Affresco su tela, cm 100x100


13. Paesaggio d’oro, 2012 Affresco su tela, cm 100x120


14. East of the Sun, 2013 Tecnica mista e corteccia su tela, cm 100x150


15. North of the Winter, 2013 Tecnica mista e corteccia su tela, cm 80x100


Metropoli


16. Santorini, 2012 Affresco e smalti su tela, cm 100x150


17. Babilonia, 2012 Affresco e smalti su tela, cm 120x160 (dittico)



18. Atlantide, 2013 Affresco e smalti su tela, cm 120x400 (polittico)



Molecole


19. Quark, 2012 Affresco su tela, cm 100x150


20. Tachioni, 2012 Affresco e smalti su tela, cm 100x150


21. Bosoni, 2013 Affresco e smalti su tela, cm 100x100


Zoom


22. Zoom: Snow, 2012 Tecnica mista e collage su tela, cm 100x100


23. Zoom: Crossroads, 2013 Tecnica mista e collage su tela, cm 100x150


24. Zoom: Taxi, 2013 Tecnica mista e collage su tela, cm 100x120


Drappi e Drappi plastici


25. Drappo rosso, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 100x120


26. Drappo verticale blu, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 100x60

27. Drappo verticale giallo, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 100x60


28. Drappo argento, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 100x150


29. Drappo d’oro, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 100x120


30. Drappo di bronzo, 2012 Smalto su tela di iuta, cm 80x100


31. Drappo plastico blu, 2013 Smalto su plastica, cm 100x120


32. Drappo plastico acciaio, 2013 Smalto su plastica, cm 100x150


33. Drappo plastico rame, 2013 Smalto su plastica, cm 100x150


34. Drappo plastico bronzo, 2013 Smalto su plastica, cm 100x150


Sculture: Metalli e plexiglass

35. Cratere I, 2011 Fusione in bronzo, Ø cm 30 36. Cratere II, 2011 Fusione in bronzo, Ø cm 25 37. Cratere III, 2011 Fusione in bronzo, Ø cm 30





38. Albero, 2013 Fusione in bronzo, cm 45x27x9



40. Pensiero illuminato: verso l’alto, 2011 Plexiglass e led multicolori, cm 180x60x30

41. Pensiero illuminato: verso l’alto, 2011 Plexiglass e led multicolori, cm 180x60x30

Pagina precedente: 39. Pensiero illuminato: nodo, 2011 Plexiglass e led multicolori, cm 70x50x50

Pagina successiva: 42. Pensiero illuminato: spirale, 2011 Plexiglass e led multicolori, cm 70x60x30





Biografia Paola Romano nasce a Monterotondo il 17 Settembre del 1950. Pittrice e scultrice si forma a Roma, dove vive e lavora. Dopo gli studi al Rufa, Accademia di Belle Arti di Roma, negli anni '90 segue una propria ricerca sulla figurazione gestuale. Conclusa da diversi anni la stagione di ricerca figurativa, l'artista attraversa un periodo strettamente aniconico per approdare, intorno al 2000, ad una pittura di matrice informale dominata dall'utilizzo della materia, che si lascia maneggiare fino a fondersi, offrendo sensazioni tattili quasi tridimensionali. La tela è quindi il campo in cui si consuma l'incontro-scontro tra la materia il bianco e il nero, il rosso e l'oro. è il teatro di un contrasto. Nelle opere della Romano ogni elemento nasce da una sorta di processo di sedimentazione del pigmento e degli altri materiali utilizzati. Paola Romano espone in numerose collettive con un grande consenso. A partire dal 2004, con una serie di mostre personali, si afferma in maniera prorompente nel panorama artistico italiano ed internazionale. Oggi le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private (alcune tra le sue opere sono esposte stabilmente presso la Fondazione Magna Carta e le Sale Urbaniane della Città del Vaticano) e sono sempre più richieste da istituzioni museali europee ed internazionali. Negli ultimi anni Paola Romano ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio internazionale Arcaista (Tarquina, 2007), Approdi

d'autore (Ischia 2007), Premio Roma (2009). L'artista, ha esposto presso il Museo degli Strumenti Musicali di Roma, riscuotendo un grande successo di critica. Ad Hong Kong ha esposto le proprie opere presso il Cultural Center Teatro dell'Opera nell'ambito di una manifestazione organizzata per valorizzare il talento italiano. Nel 2011 ha partecipato alla Biennale di Venezia incantando il padiglione Italia con una luna formato gigante di due metri e mezzo di diametro. Quattro tele sono state usate da Pupi Avati per il film La cena per farli conoscere. La prima cosa che colpisce della tecnica di Paola Romano - sostiene Giuseppe Di Giacomo, docente di Estetica presso la Facoltà di Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma - è la commistione di colore e materia: si tratta infatti di una pittura materica che si serve di un'eterogeneità di materiali. L'artista predilige gli smalti mescolati con sabbia e metalli e i colori bianco, nero, giallo e rosso: insomma per la Romano dipingere significa entrare nella materia e nel colore esplorandone tutte le possibilità e dando vita al suo obiettivo dichiarato, il “movimento". Si tratta di un'arte informale che antepone all'esigenza di estenare un'immagine quella di comunicare la difficoltà del vivere umano, la mancanza di certezze, il desiderio di spiegazioni più profonde. Tutto ciò, unito ad un forte impatto visivo, rende le tele della Romano non solo suggestive ma anche concettuali. Cratere III, 2011 fusione in bronzo, Ø cm 30 (particolare)

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Mostre

personali

Esperienze estetiche, Galleria dei Leoni, Roma 2000 2008 Galleria Lancellotti, Roma Vitarte, Viterbo 2001 Universi plastici, Galleria l’Indicatore, Roma Galleria Lancellotti, Roma Universi plastici, Palazzo comunale, Tarquinia 2002 Quarta fase emozioni plastiche, Museo Nazionale degli Galleria Lancellotti, Roma Strumenti Musicali, Roma 2003 Quarta fase emozioni plastiche, Castel dell’Ovo, Napoli Galleria dei Leoni, Roma 2009 Galleria Lancellotti, Roma Plenilunio fantastico, Palazzo Ziino, Palermo 2004 Plenilunio fantastico, Palazzo Salmatoris, Cherasco Galleria dei Leoni, Roma Plenilunio fantastico, Bloomsbury Auctions, Roma Galleria Lancellotti, Roma 2010 2005 Plenilunio fantastico, Arttime, Brescia Vitarte, Viterbo 2011 Galleria dei Leoni, Roma Biennale, Padiglione Italia, Venezia 2006 Il Mare della... Tranquillità, MuMa, Genova Vitarte, Viterbo Esperienze estetiche, Museo Nazionale degli Strumenti Plenilunio fantastico, Alain Couturier Gallery, Parigi 2012 Musicali, Roma Paola Romano tra sogno e realtà, Palazzo della Provincia, Opere, Palazzo Orsini, Roma Nova Milanese 2007 Equilibri Astrali, Sant’Andrea al Quirinale, Roma Vitarte, Viterbo 2013 Spazio Nessun dorma, Bari io, paola romano, Philobiblon Gallery, Roma Ensemble, Palazzo Donarelli Ricci, Roma Emozioni plastiche, Cultural center, Hong Kong Dal cosmo al caos, Palazzo Taverna, Roma Le Sale Urbaniane dei Musei Vaticani e la Fondazione Magna CarDal cosmo al caos, Pontificia Università Urbaniana, Città del Vaticano ta ospitano in collezione permanente opere di Paola Romano. Luna blu, 2010 Tecnica mista su tavola, Ø cm 150 (particolare)

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