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di don Giuseppe Guliti
L’ERUZIONE DEL 1634-38 E LA MEMORIA DI SANT’AGATA di Don Giuseppe Guliti
La mappa risale al 1636 ed è allegata a una lettera che il padre gesuita francese Antoine Leal spedisce da Malta
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Il XVII secolo rappresenta uno dei periodi più vivaci della storia geo-vulcanologica dell’area etnea, caratterizzato da una lunga sequenza di devastanti eruzioni vulcaniche. Il culmine fu raggiunto con il catastrofico terremoto del 1693 che sconvolse la Sicilia orientale, seminando morte e distruzione. Alla fine del 1634, lungo il versante meridionale della Valle del Bove, si attivò una frattura eruttiva che diede vita a un campo lavico, sia verso sud che in direzione sud-est, il quale per due anni tenne in forte ansia le popolazioni dei piccoli casali etnei a ridosso di Catania e in particolare di Pedara, Trecastagni e Viagrande. L’eruzione distrusse boschi, pascoli, vigne e terreni coltivati procurando un forte danno in termini economici agli abitanti di quelle contrade ed in particolar alle casse della mensa vescovile per un totale, si presume, di circa 2000 scudi, pari al 6% delle rendite annuali complessive. Sono toccanti i racconti dei cronisti coevi circa l’aspetto devozionale e la tipologia dei riti religiosi celebrati che vengono messi in stretta correlazione con l’andamento dell’eruzione. Anche stavolta, così come era già avvenuto nel passato, il velo di sant’Agata viene portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell’Etna. Il racconto di questa suggestiva, quanto commovente ed estenuante processione – dal 17 al 20 gennaio 1635 e 36 miglia di cammino – ci viene tramandato dallo storico catanese don Pietro Carrera il quale non tralascia di descrivere i miracoli operati dal passaggio della sacra reliquia. Don Paolo Torrisi, sacerdote di Viagrande e canonico della cattedrale di Catania, possedeva delle vigne nella contrada «dello Freri» importante snodo viario medievale tra Catania, Messina e Randazzo – la quale era stata raggiunta dalla colata nei primi giorni di gennaio del 1635. Il sacerdote dispose a protezione della sua proprietà lungo tutto il confine il cotone benedetto che era stato a contatto con le reliquie della martire catanese, e fece voto di costruirle una cappella se questa fosse stata risparmiata dalla furia distruttrice della lava. La colata lambì le sue vigne senza però invaderle. Torrisi sciolse il suo voto e nel 1642 costruì una chiesetta dedicata ad Agata e alla Madonna della Grazia. Oggi al suo posto sorge una edicola sulla strada provinciale tra Fleri e Pisano. Giovanni e Giovanna Rao possedevano a sud di Monte Ilice, in territorio di Trecastagni, una vigna che costituiva l’unica fonte di sostentamento della loro famiglia. Disperati, ricorsero all’intercessione della santuzza. Quelle suppliche furono esaudite e anche loro in ringraziamento promisero di costruirle una chiesa. Nel 1650, il sacerdote don Agatino Rao, loro figlio, ottenne il permesso di costruire e benedire la chiesa a cui diede il titolo di «Sant’Agata al Monte Ilice». Questa cappellina padronale esiste ancora oggi ed è stata adibita a magazzino. Nascosta tra le case di villeggiatura e le vigne dell’Etna, rimane ancora oggi testimone silenziosa di momenti tragici e di preghiere esaudite.
