IAT Journal 2/2015

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IAT Journal - I • n. 2 - 2015

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Inizialmente riferisce che il ricordo più doloroso della sua storia è quello di avere condiviso con la madre, all’età di sedici anni, il segreto della sua relazione extraconiugale e da quel momento ha sentito di non potere fare più affidamento su di lei e di sentirsi responsabile per lei. Descrive i suoi genitori in questo modo: “mia madre vive spegnendosi e affidandosi agli altri, e ora che ha avuto una figlia dal suo compagno ‘vive per pretesti’…rubo a Pasolini…si sente viva perché deve rendere conto a qualcuno… mio padre è stato tradito in profondità, nella fiducia”. Durante gi incontri successivi emerge la sua relazione di codipendenza con la sua ragazza che vive anche lei un momento difficile affettivamente: “…lei dice che vuole stare con me e sta male, dopo alcuni giorni dice che sta troppo male e quindi non vuole stare più con me”. Stefano gradualmente riconosce nella relazione con la sua compagna la sua modalità di ‘stare bene se lei sta bene’ e il ‘sentirsi usato’, sensazione a lui familiare nella relazione con la madre. Inoltre riconosce la modalità di allontanamento/rifiuto della madre nei confronti del padre. È evidente la collusione tra Stefano e le figure femminili nell’area del riconoscimento dell’esistenza dei bisogni: la sua ferita consiste nel ‘fare stare bene l’altro per stare bene lui’ (Fornaro & Rossi, 2015; Noriega Gayol, 2015). Esploro cosa sa circa i rapporti tra la madre e le sue figure genitoriali: “la nonna materna mi piace tanto, però penso che non si sia comportata bene con mia madre, perché è stata sbadata come se non fosse connessa alla realtà familiare, la vedo come sfocata, non negativa, ma una cosa che a me non piace… il nonno materno è morto tredici giorni prima che nascessi e non ho mai voluto sapere niente di lui, e non mi fido di ciò che ho saputo del suo alcolismo…era violento e beveva…e penso che c’erano delle cose positive che non mi hanno mai detto… ”. Emerge che il maschile è fallimentare ma c’è una parte di Stefano che sa che non è così. Un giorno in seduta riferisce che i rapporti tra suo padre e le sue figure genitoriali sono pressochè ‘vacui’: “non sa dire”. Stefano sa che il nonno paterno è deceduto molto giovane, quando suo padre era adolescente, e che secondo lui il padre vive rispetto alla nonna paterna “attaccamento e abbandono, forse un vuoto di vissuto”. Penso che Stefano sta descrivendo il suo pattern di attaccamento ansioso-ambivalente, per cui vive la madre imprevedibile e inaffidabile. Lo invito ad esplorare la percezione che ha della madre nel passato: “ Nel passato ero molto attaccato a mia madre; un’immagine di me e lei attaccati… come se fossi fuso o come in un dipinto con lei e i nostri corpi fusi e predomina il rosa come colore…non mi stacco da mia madre, altrimenti mi sento vuoto”. Sento le sue parole spesse di significato al punto da sentirmi appesantita da tanto senso da dovere sbrogliare. Lo invito a mettere in parole le sue sensazioni corporee: “Pesantezza delle braccia e delle gambe; è una pesantezza confusa con tutto il resto della mia vita, con gli amici e le donne…”. Colgo che è un momento prezioso nella relazione terapeutica, facendo una strizzatina d’occhio al mio G in agguato. ‘Ritorno’ sull’immagine e invito Stefano a ‘ritornare’ sull’ immagine che ha appena verbalizzato e lo guido ad entrare con me nel suo ‘dipinto’ come se ‘vivessimo un sogno’ (Bromberg, 2006) e intanto penso al giorno dopo la sua nascita, quando ha avuto una grave complicazione clinica di natura febbrile, per cui è stato allontanato dalla madre per una decina di giorni. Alla fine di questo processo Stefano verbalizza la sua trasformazione dell’immagine nel seguente modo: “C’è un albero in più…le figure sono distinte…il marrone e il verde dell’albero…e


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