E il mensile gennaio 2012

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Fa un poco impressione la stazione senza facce e senza voci. Un filo di nebbia, un cartello che avverte i viaggiatori: “I biglietti si acquistano al minibar o alla tabaccheria Russotto”. Una corsa in centro, con due euro puoi partire da Brescello e arrivare a Suzzara, oppure scendere a Guastalla e ripartire per Novellara. Un viaggio a fianco dell’argine destro del Po, sul treno dei pioppeti, sul treno che ti riporta negli anni Cinquanta e anche molto più indietro. Ma senza che tu te ne accorga, ti manda anche dall’altra parte del mondo. Un occhio di sole e nel silenzio della stazione senza voci e senza facce – nessun ferroviere, nessuna biglietteria, nessun fischietto di capostazione con il berretto rosso – il clang clang del passaggio a livello che si chiude annuncia l’arrivo del convoglio. Il treno però ancora non si vede. Si fa presto a raccontare una stazione vuota. I gabinetti “Uomo” e “Donna” chiusi con i lucchetti, qualche scritta sui muri: “Basta clandestini”, “Più alberi, meno terroni. Così si respira”. Drin drin di un campanello, una luce illumina una scritta: “Arrivi da Parma”. Il treno è verde, con un baffo tricolore. Ti senti già dentro il “Mondo piccolo” di Giovanni Guareschi. Partiva da qui, il treno a vapore che portava don Camillo verso l’esilio della montagna. Aveva rotto una panca in testa ai comunisti, all’osteria, e il vescovo lo aveva punito. Pioppi e campagna, campagna e pioppi. Peppone e don Camillo ci sono ancora, in piazza a Brescello. Il primo davanti al municipio, il prete davanti alla chiesa. Due statue che si guardano da lontano, non più in cagnesco. E in chiesa, nella prima cappella a sinistra, c’è il Cristo parlante che era solo “strumento di scena”, usato nei cinque film della Cineriz. «È stato benedetto, è diventato un Cristo vero», racconta Vittorio Gianelli, il sagrestano che era già qui quando sessant’anni fa si girò il primo film. «Ci sono i preti che arrivano in pullman con i loro fedeli per dire messa nella chiesa di don Camillo, c’è chi domanda dove sia la sua tomba». Pace fatta, fra il sindaco e il prete. Nel santino che si distribuisce in chiesa, sotto il Cristo e accanto a don Camillo, c’è anche Peppone, con il cappello in mano. Due musei con cinquantamila visitatori l’anno, ristoranti, hotel e grandi parcheggi per i pullman dei tedeschi che nei musei guardano i film in italiano, ma ridono lo stesso perché tanto li sanno a memoria. Pioppi nudi e verdissimi campi di grano. Sulla terra che ancora aspetta le semine della primavera, aironi alti come bambini. Il treno parte da don Camillo e compagnia, attraversa le terre di Antonio Ligabue e Cesare Zavattini, svolta a Suzzara e arriva a Novellara alla tomba di Augusto Daolio dei Nomadi, “il John Lennon della Bassa”. Ma basta osservare bene, dai finestrini del treno a diesel, per vedere i primi segni di un mondo lontano. Se nelle case vecchie ci sono le parabole per la tv satellitare, ci sono anche uomini e donne con abiti sgargianti, ci sono bambini che rincorrono anatre e galline e che salutano il treno che passa. Bimbi e genitori di tutti i colori del mondo. Anche nella stazione di Gualtieri c’è solo silenzio. Vecchi vagoni merci, di legno ormai fradicio, su un binario morto. Qualcuno si è fatto l’orto a fianco della sala d’aspetto, ci sono ancora cavoli e rosmarino. C’è un recinto con due cani da caccia. Antonio Ligabue, il


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