11_2008

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Grecia - Macedonia, risale la tensione

Bolivia verso il referendum

Il numero dei morti dal 18 settembre al 22 ottobre

Lotta per un nome antico

Si torna alla normalità

Un mese di guerre

on quale lingua si esprimeva Alessandro Magno il Macedone, con il greco? Questa che potrebbe sembrare una domanda di storia antica è al centro di dibattiti e rivendicazioni sui blog di giovani greci e macedoni, quelli della Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, che si contendono la figura del grande condottiero. Il celebre oratore greco Demostene non aveva dubbi: la stirpe macedone non apparteneva al mondo greco bensì a quello dei barbari, “impossibili da utilizzare anche come schiavi”. Tra Atene e Skopje è in corso un lungo braccio di ferro, iniziato già l’8 settembre del 1991, quando la Macedonia è uscita dalla Jugoslavia proclamando la propria indipendenza. La “lotta” è tutta intorno al nome: i greci non accettano che la nazione di cui Skopje è la capitale, si chiami Macedonia. Non la accettano per motivi di orgoglio storico e anche politici, temendo che il passo da lì alle pretese territoriali sulla loro regione settentrionale chiamata anch’essa Macedonia, sia molto breve. Dal momento che le Nazioni Unite, nel 1993, decisero di aprire le porte alla nuova repubblica, la Grecia ottenne che venisse riconosciuta con il nome di Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Ciononostante, ben 118 Stati riconoscono la Macedonia con la denominazione costituzionale che Skopje si è data, per l’appunto Macedonia. Nell’aprile scorso, a Bucarest, Atene ha posto il veto sull’invito della Nato alla Macedonia a far parte del Trattato, veto che verrà meno solo dopo che Skopje deciderà una nuova denominazione. L’inviato Onu Matthew Nimetz, incaricato di mediare la questione, ha avanzato diverse proposte: da Repubblica della Macedonia del Nord a Alta Macedonia. La soluzione che si preferirebbe ad Atene è Repubblica di Skopje, ma sembra che le posizioni si stiano ammorbidendo. Intanto qualcuno a Skopje invita ad accelerare per risolvere la questione prima della scadenza del mandato Bush, il maggiore sponsor per l’ingresso nella Nato. Per molti, infatti, vanno sì salvati onore e dignità ma, avvertono, non si può mancare il treno che porta a Bruxelles.

opo settimane di duro lavoro maggioranza e opposizione hanno trovato finalmente l’accordo per l’approvazione di una legge che permetta la convocazione di un referendum popolare per la ratifica della nuova Costituzione. Il nuovo testo era stato approvato nel dicembre 2007 fra mille polemiche e con l’assenza dei gruppi politici d’opposizione. La data prevista per il referendum è il 25 gennaio 2009. Nel mese di dicembre dello stesso anno sono state previste anche le elezioni generali. Dopo mesi di stallo, dunque, la situazione boliviana sembra essere tornata alla normalità. Ma non è stato semplice giungere a questo risultato, lo stesso presidente Evo Morales ha dovuto cedere a qualche richiesta dei movimenti d’opposizione. Su tutte la sua rinuncia a ricandidarsi alle elezioni del 2014. Non solo. Morales ha promesso diversi cambiamenti che vanno dal decentramento del potere amministrativo alla riforma agraria fino a giungere a una revisione della distribuzione dei proventi derivanti dall’industria petrolifera statale. A vigilare sui lavori, in modo che fosse rispettata l’intesa raggiunta con le forze dell’opposizione, c’erano decine di migliaia di campesinos e di operai radunati nella località di El Alto, a pochi chilometri da La Paz, dopo settimane di marce di protesta. Il loro intervento, fortunatamente, non è servito. Dopo aver appreso la notizia alcune migliaia di indios, sostenitori di Morales, che nel frattempo avevano raggiunto la piazza Murillo (dove ci sono i palazzi del potere), hanno festeggiato. Purtroppo per arrivare a questo la Bolivia ha anche dovuto pagare un pesante tributo in termini di vittime. Scontri fra opposte fazioni avevano causato nelle scorse settimane morti e feriti. Alcune sedi istituzionali di diverse città erano state occupate e la forza pubblica a stento era riuscita a mantenere l’ordine. Oggi, nonostante le concessioni che Morales ha dovuto fare per portare a casa un risultato tanto atteso, la situazione è tornata alla normalità. Fino alla prossima volta.

PAESE

Nicola Sessa

Alessandro Grandi

C

D

Sri Lanka Pakistan talebani Iraq Afghanistan Somalia Filippine Abu Sayyaf/Milf India Kashmir Colombia India Nordest Turchia Filippine Npa Nord Caucaso Nigeria Sudan Pakistan Beluchistan Israele-Palestina Uganda Thailandia del sud India Naxaliti Algeria Burundi Bangladesh

TOTALE

MORTI

874 867 562 465 197 106 76 75 66 63 41 41 39 35 32 25 23 17 15 4 4 2

3 629

I dati che qui riportiamo sono dati ufficiali, raccolti da agenzie di stampa internazionali o locali. Per cui sono da intendersi sempre per difetto: in molti paesi del mondo non si contano i vivi, figuriamoci i morti.

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