PATRIZIO GRAVANO
speech su
Camillo Benso di
CAVOUR “Il buono e generoso Padre della Patria nascente
Monterosi, Sala Consiliare, sabato 21 novembre 2015
Patrizio Gravano
Speech elaborato in occasione della giornata di studio su Camillo Benso, Conte di Cavour, politico e statista, artefice dell’Unità nazionale
Presidenza della Sezione di Monterosi - Tuscia Sud
(Sala Consiliare del Comune di Monterosi, 21 novembre 2015)
Impossibilitato a presenziare a questa stimolante iniziativa per ragioni strettamente personali, ho ritenuto di dover inviare, avendo assunto da tempo l’impegno di riferire circa la vita e l’attività politica e istituzionale di Camillo di Cavour, questo speech che sintetizza la ricerca già inviata alla Presidenza di sezione dell’Unuci e che vi potrà sicuramente essere fatta pervenire.
1. La gioventù e i viaggi Camillo Benso di Cavour, secondogenito di una famiglia nobile piemontese era figlio di Michele Benso, marchese “di antico lignaggio”. Il padre di Camillo di Cavour, che era Vicario di Torino, una carica che sommava poteri amministrativi e di polizia, sposò Adele de Sellon, ginevrina, di origini ugonotte, ma convertita al cattolicesimo, donna fermissima, di solidi principî morali. Camillo nacque da quel matrimonio il 10 agosto 1810. A dieci anni divenne cadetto all’Accademia militare di Torino. Nel 1824, a 14 anni, entra a corte come paggio. Il clima di corte non gli è congeniale e ne viene ben presto allontanato. Diverrà ufficiale del Genio. Sono di quegli anni l’interesse per l’economia politica e in particolare per le teorie di Jeremy Bentham, iniziatore della teoria dell’utilità e sostenitore delle riforme economiche.
Venne inviato in diverse località del Regno con l’ordine di vigilare sulla costruzione delle opere militari. Fu a Ventimiglia, e quindi, passando per i forti di Exilles e Lencillon, a Genova (dal 1830). Questa era sicuramente una città vivace. In quel periodo ebbe molti contatti e relazioni. È di quel periodo la relazione con la Nina, figlia del marchese Schiaffino, divenuta moglie di Stefano Giustiniani. Giravano voci di una sua “iscrizione” alla Carboneria, peraltro smentita dall’interessato. Siamo al 1834, Camillo è Sindaco di Grinzane (dal ‘32 gli era stata dal padre affidata la tenuta), ma è anche “abbattuto e triste”, nonostante alcune
“capatine”
a
Torino,
nell’Ambasciata
di
Francia,
ove
frequentava il conte d’Haussonville, le cui idee coincidevano con le sue, almeno fino a quando non riceve, dopo un periodo di silenzio, alcune missive della Giustiniani. Quella tra i due fu una relazione “avventurosa e romantica”, contrariamente a quella di stampo “quasi coniugale” quale fu quella con la Ronzani. Già dai primi anni Trenta il Conte era noto alla polizia imperiale austriaca che conosceva “i suoi propositi e il legame intimo con altri malpensanti” e lo considerava “provetto nella corruzione de principî politici”. Camillo mise fine alla relazione con Nina.
Giocava a carte. Si dedicava a opere filantropiche. Alla fine degli anni Trenta si fece promotore, con altri, degli Asili d’infanzia. Fu osteggiato dai conservatori. I viaggi all’estero, furono veri e propri momenti di formazione, vere e proprie “esperienze di liberalismo europeo”, ma anche motivo di qualche speculazione finanziaria malamente finita. Il suo interesse era tutto “occidentale”, rivolto verso la Francia, il Regno Unito, perché colà vedeva il progresso opposto alla reazione, tuttora presente in alcuni paesi orientali. Nel ‘35 andando in Francia e quindi nel Regno Unito visitò ospedali, carceri, scuole, monumenti. Seguì anche i dibattiti parlamentari. “Fu per tutta la vita sostenitore del libero scambio”. Rimase affascinato dalle prime ferrovie.
2. Cavour imprenditore Come ricorda Denis Mack Smith, Cavour, che sicuramente fu “innovatore audace e fortunato”, si era prodigato per introdurre “i moderni metodi di contabilità, la rotazione delle culture, nuovi esperimenti di irrigazione e di allevamento del bestiame, macchine per la produzione dello zucchero di barbabietola e la brillatura del riso”.
Già dal 1850, ministro del Re, intendeva far comprendere “che “il Risorgimento (...) era (...) anche una rivoluzione interna mirante ad introdurre la libertà economica, civile e politica”. Fu artefice dell’istituzione della Associazione agraria che doveva “favorire l’incremento dell’agricoltura, risorsa essenziale del Piemonte (...)” Egli
ben
comprese
in
prospettiva
l’importanza
della
futura
industrializzazione.
3. La gioventù politica 1847, il Risorgimento si avvia. “Tutto si andava riscaldando”. Cavour si dichiarava favorevole ad una costituzione. Il 1° dicembre del ‘47 nel primo numero del “Risorgimento” quale Cesare Balbo scolpì il programma politico dei riformatori, orientati alle riforme ma non alla rivoluzione, “ad unione coi principi suoi”, evitando “eccessive pretese popolari”. Cavour nei suoi scritti sul Risorgimento si dichiarerà a favore della elezione diretta dei deputati e del collegio uninominale. Diviene deputato con le elezioni suppletive del 26 giugno 1848. Prese la parola per la prima volta nella tornata del 4 luglio. Ed
eccoci
arrivati
alla
ingloriosa
fine
della
prima
indipendenza, con l’armistizio di Salasco (9 agosto 1848).
guerra
di
Ora Cavour è più cauto: critica Gioberti ancora velleitariamente a favore della guerra all’Austria. Cavour perse il seggio al ballottaggio nelle elezioni del gennaio 1849. Cambiò nuovamente linea propugnando la guerra all’Austria. Anche Egli fu preso dallo sconforto e dalla disperazione dopo la sconfitta di Novara (23 marzo 1849), “la fatal Novara”.
4. Cavour verso la leadership dei moderati Novara porta in “dote” l’abdicazione di Carlo Alberto, cui succede Vittorio Emanuele II. Sciolta la Camera, il nuovo Sovrano comprende la difficoltà del momento e con il Proclama di Moncalieri (20 novembre 1849), chiede al ristrettissimo corpo elettorale di eleggere deputati moderati. Cavour è eletto nel Collegio di Torino I con 307 voti contro 98. A capo della maggioranza moderata, Egli comprese subito l’esigenza di riforme che stacchino il Piemonte dal blocco cattolico-reazionario.
5. I primi incarichi ministeriali nel Regno di Sardegna Eccoci al periodo 1850-1852. Alla morte del Ministro Santa Rosa Cavour diviene Ministro dell’agricoltura e del commercio quindi occupa pure il posto alla Marina, ove “seguì e promosse il passaggio dalla vela al motore sulle unità da guerra”.
Nel 1851 diviene anche Ministro delle finanze, creando le condizioni per avviare il risanamento del bilancio e di riordino della tassazione. Attuò una politica espansiva, volta a favorire gli investimenti, specie ferroviari. A quel periodo vanno ascritti alcuni importanti atti di governo quali il rinnovo del trattato commerciale con la Francia, paese abbastanza protezionista, con finalità di libero scambio, ma anche momento di una visione più globale, che facesse del paese transalpino un amico naturale, “quali che fossero gli ordinamenti interni di esso”. Sempre in quel periodo venne attuata la riforma generale sui dazi (legge del 1851), oltre a ulteriori trattati commerciali, quali quelli con la Grecia, le città anseatiche, oltre che con l’Unione doganale tedesca e i Paesi Bassi. Già dal ‘52 si decise una riforma fiscale che non incidesse sui beni di consumo (sale, etc.) ma che informasse il sistema tributario a criteri più equi previa introduzione di una imposta unica personale e mobiliare, che incidesse sui possessori reali di reddito, “sconcentrandosi” dall’imposta unica sulla rendita di difficile esigibilità. È di quel periodo la costruzione delle prime linee ferroviarie (TorinoSusa e Torino-Novara), finanziate con emissioni obbligazionarie.
6. Scenario politico La debolezza di D’Azeglio nasceva dal fatto che il quadro parlamentare non consentiva una logica bipolare netta. La stessa problematica condiziona il momento dell’incarico a Cavour. I due raggruppamenti contrapposti (Cavour e Rattazzi, ne erano i leader) non potevano contare su una maggioranza solida, e dovevano appellarsi alle estreme per potersi proporre alla guida del Regno. Urbano Rattazzi e Camillo di Cavour decisero di collaborare. Intanto si stavano guastando i rapporti politici con D’Azeglio che non voleva Rattazzi alla Presidenza della Camera. Questa “alleanza (...) “trasformistica” ebbe l’effetto di far “convergere al centro le forze della destra e della sinistra moderate, staccandole dalla destra e dalla sinistra estreme, precludendo così la formazione di alternative di governo”. Esso era necessario, come è stato ricordato, per “isolare da un lato la destra più conservatore favorevole a svuotare le istituzioni liberali nel clima della svolta reazionaria impressa dal colpo di stato effettuato in Francia nel dicembre 1851 da Luigi Napoleone e dall’altro l’estrema sinistra di orientamenti democratici”.
7. I tre Governi Cavour del periodo preunitario. Il I governo Cavour. Siamo all’autunno 1852. Il D’Azeglio, alla guida di un governo debole, si dimette.
Quando Cavour accetto l’incarico era ben consapevole che la questione del matrimonio civile non avrebbe avuto sbocchi. Ora era però chiaro a tutti che il primo ministro era scelto dalla Camera, e dalla sua maggioranza. Eccoci al 6 febbraio 1853: sommossa antiaustriaca a Milano. I repubblicani, e Mazzini in particolare, preoccupano Cavour. Questo stato di cose rafforza l’ostilità della Sinistra nei suoi confronti. La situazione finanziaria intanto stava migliorando, tanto è che si è parlato di “quasi restaurate finanze” (dicembre 1853). Egli, in quel periodo, godeva di un adeguato consenso politico. Siamo giunti alle elezioni del dicembre 1853 con risultati confortanti. Per garantire la stabilità del suo Ministero doveva attrarre a se la Sinistra. È bene fare un salto al 1854 (28 novembre) quando il Governo Cavour presentò la legge sui conventi, che, elaborata da Urbano Rattazzi, prevedeva, tra l’altro, la soppressione degli ordini religiosi non dediti all’insegnamento o all’assistenza dei malati, i cui beni sarebbero stati devoluti ai preti poveri in luogo delle congrue che essi ricevevano dallo Stato. Si ebbe la crisi di governo. Cavour rimase comunque al potere. Non esistevano alternative possibili! Villamarina riferì di un “consiglio” di Napoleone III in tale senso.
Questi eventi portarono al “disfacimento della destra reazionaria e clericale”.
Il secondo Governo Cavour (1855 – 1859). Il Sovrano constata l’impossibilità di formare un nuovo governo. La legge sui conventi fu emendata. I religiosi potevano rimanere nei conventi fino alla estinzione naturale delle loro comunità. La politica espansiva determinò un aumento del carico fiscale che suscitò malcontento. Nelle elezioni del novembre del ‘57 la maggioranza governativa dei cavouriani si ridusse a 90 e i conservatori clericali passarono da 22 a 75 seggi. Rattazzi lasciò il Governo.
Il terzo governo Cavour (1860 – 1861) Del terzo governo non c’è molto da dire, salvo parlare degli eventi legati all’unificazione nazionale, trattati nella sezione relativa alla politica estera.
8. La politica estera. 8.1 Crisi di Crimea e Trattato di Parigi. 1853. Francia e Russia causano una crisi formalmente imputabile ad una disputa religiosa per il controllo dei luoghi santi nel territorio dell’Impero ottomano.
Il 1° novembre 1853 la Russia dichiarò guerra alla Sublime Porta. Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Russia, temendo, al pari
dell’Austria,
il
futuro
strapotere
russo
conseguente
alla
disgregazione dell’Impero ottomano.
Il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto in Crimea anche se l’Austria avesse dichiarato guerra alla Russia, evitando che il Piemonte fosse oggetto di un intervento austriaco. Cavour rassicurò Vittorio Emanuele II, che, peraltro, già dal mese di gennaio aveva fornito ampie garanzie al plenipotenziario francese, duca di Gramont, che avrebbe portato il Piemonte in guerra anche contro il parere del Gabinetto, nonostante le perplessità del Ministro della Guerra La Marmora e del Ministro degli esteri, Dabormida, che si dimise.
Rebus sic stantibus, “il Piemonte si trovò (...) in una situazione senza sbocco e sotto la pressione delle potenze occidentali le quali chiedevano, anzi imponevano l’invio di un corpo di spedizione in Crimea a garanzia della sicurezza austriaca”. Il contingente piemontese sbarcò in Crimea ai primi di maggio. La definizione delle questioni postbelliche fu rimessa al Congresso di Parigi, cui partecipò pure l’Austria. Il Regno di Sardegna non ottenne benefici territoriali. In una seduta (8 aprile) si parlò della questione italiana.
Cavour fu cauto ma denunziò la permanenza delle truppe austriache nella Romagna. Uno stonato concerto europeo, nonostante la questione dovesse rimanere negletta, si interessava per la prima volta della questione italiana e delle aspirazioni nazionali della popolazione italiana. I suoi servigi gli valsero il Collare dell’Annunziata. Egli ora puntava sul dinamismo della politica francese. Austria e Francia convenivano che gli Stati pontifici potessero essere sgombrati dalle truppe francesi e austriache “appena lo si potesse fare senza inconvenienti per la tranquillità del paese e il consolidamento dell’autorità della Santa Sede”. L’Austria si isolava.
8.2 Gli accordi segreti di Plombièrs. La II guerra di indipendenza A Parigi era stata posta l’attualità della questione italiana. Napoleone III voleva la guerra all’Austria. A Plombières si era previsto che, sconfitta l’Austria, l’Italia sarebbe stata divisa in quattro stati principali confederati, sotto la (più o meno sfumata) Presidenza del Santo Padre: Regno dell’Alta Italia, Regno dell’Italia centrale, lo Stato pontificio (corrispondete al Lazio attuale), Regno delle due Sicilie, affidato a Lucien Murat, parente di Napoleone.
Gli accordi sarebbero stati possibili anche grazie (tesi puerile) allo charme della contessa di Castiglione, amante dell’Imperatore che Cavour avrebbe convinta a ricordare a Napoleone l’attualità della questione italiana in certi momenti. Nel 1859 si pervenne alla Alleanza sardo-francese. In caso di attacco provocato dall’Austria il Regno di Sardegna sarebbe stato difeso dai francesi che avrebbero ceduto il Lombardo-Veneto ai Savoia. Nizza e la Savoia sarebbero state cedute alla Francia. La tensione salì e dopo alcune provocazioni di confine l’Austria chiese ai piemontesi di smobilitare. Cavour rifiutò. L’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna, facendo scattare l’alleanza sardo-francese. Si avviò la II guerra di Indipendenza. Solo l’imperizia del comandante austriaco salvò i piemontesi. Napoleone III firmò l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859), ratificato con il Trattato di pace di Zurigo (11 novembre 1859). Il Regno di Sardegna ottenne la sola Lombardia, per il tramite della Francia. Cavour, traumatizzato dalla piega che avevano preso gli eventi, si dimise dalla guida del governo il 12 luglio 1859 e fece un viaggio in Svizzera, cercando “rifugio tra i fidi parenti”.
8.3 Il processo di unificazione dopo la pace di Zurigo A Modena, a Parma, nella Romagna pontificia e in Toscana durante le vicende della II guerra di indipendenza si erano formati governi provvisori filo-sabaudi. Dopo il trattato di Zurigo tali territori avrebbero dovuto essere restaurati ai precedenti regnanti. Vittorio Emanuele II richiamò, dopo la parentesi del titubante La Marmora, il Cavour alla guida del governo sabaudo. I francesi decisero che Parma e Modena (due ducati) sarebbero passate sotto la piena sovranità sabauda, la Romagna pontificia sarebbe stata controllata dai piemontesi, mentre la Toscana sarebbe stata assegnata ad un esponente di Casa Savoia. Nizza e Savoia dovevano divenire francesi. Cavour, assicuratasi la benevolenza inglese, organizzò un plebiscito in Toscana, tra due distinte ipotesi: creazione di un nuovo stato versus annessione al Regno di Sardegna. I francesi si irritarono alquanto ma incassarono il colpo. Chiesero con insistenza, ottenendole, la cessione di Nizza e della Savoia. A questo punto, oltre alla Lombardia, entrarono nella sovranità sabauda anche l’Emilia-Romagna e la Toscana.
9. L’Impresa dei Mille e le ulteriori annessioni Cavour sapeva delle intenzioni di Garibaldi. I piemontesi vigilavano la partenza da Quarto e lasciarono fare i garibaldini. Se Garibaldi fosse sbarcato nello Stato Pontificio sarebbe stato bloccato, in quanto era data per certa la reazione francese. Lo sbarco garibaldino avvenne, come è noto, a Marsala in data 11 maggio 1860, quando l’Austria era alle prese con una grave crisi finanziaria e con nuove tensioni in Ungheria. Napoleone III propose di suggellare il nuovo status quo, non quindi un ritorno allo status quo ante bensì autonomia per la Sicilia ma anche un trattato ingessante che postulasse l’alleanza tra piemontesi e Regno delle due Sicilie. I Borbone si adeguarono subito. Re Vittorio giocava su due piani, uno ufficiale con il quale intimava al Garibaldi di non varcare lo stretto di Messina, ma anche uno riservato e permissivo. Cavour prendeva tempo accreditandosi come garante dello status quo bloccando i mazziniani che dalla Toscana intendevano penetrare nei territori pontifici. Cavour temeva Garibaldi e vi sono tracce del suo tentativo di prevenire l’arrivo dei garibaldini a Napoli innescando una rivolta pro piemontese spiazzante per Garibaldi.
L’invasione di Marche e Umbria venne presentata alle varie cancellerie come una iniziativa preventiva, volta a evitare l’apertura di un circuito rivoluzionario. Implicitamente si garantiva Roma e il Lazio come territori della sovranità pontificia. Azzardò. Parigi reagì solo verbalmente. Garibaldi alzava i toni. Gli eventi militari sono ben noti. Giorgio Pallavicino Trivulzio e Antonio Mordini, a Napoli e a Palermo, proclamarono subito il plebiscito per l’annessione al Piemonte. Nelle Marche e in Umbria si votò ai primi di novembre.
10. La politica ecclesiastica del Cavour Il Cavour non ritenne praticabile l’ipotesi di occupazione del Lazio e di Roma in particolare perché questo avrebbe innescato la reazione francese. Il punto di vista cavouriano era quello della rinuncia del Pontefice al potere in temporalibus. Egli era ben conscio che il Pontefice sarebbe stato irremovibile.
11. La proclamazione del Regno d’Italia Nel periodo 27 gennaio – 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni del primo
Parlamento
unitario
(mancava
peraltro
all’unità
nazionale
completa ancora il Lazio e il Triveneto). Esse furono un successo per Cavour che, come ricorda Denis Mack Smith, poteva contare su una maggioranza “molto rilevante” e con un asse “situato al Centro o al Centro-destra” a fronte di una minoranza “scarsa di numero e piuttosto eterogenea”, costituita anche da una “ventina di reazionari antiliberali”. Lo
storico
inglese
ci
ricorda
che
“L’estrema
sinistra
era
intrinsecamente debole sia per numero che per direzione politica”.
12. Cavour e la libertà religiosa Un passo di Cavour al riguardo (il discorso è quello del 21 marzo 1861 alla Camera dei deputati) è importante perché svela il nesso (in senso inverso) tra potere temporale e libertà d’azione della Chiesa, in ragione del quale “... il Papa sarà molto più indipendente, (...), potrà esercitare
la sua azione in modo più efficace, quando, abbandonata la potestà temporale, avrà sancito una pace duratura coll’Italia sul terreno della libertà”. In un discorso al Senato (9 aprile 1861) Egli non può non prendere atto che anche nei paesi della Riforma, la libertà religiosa intesa anche nella dimensione
della
libertà
di
professare
(liberamente
e
senza
condizionamenti) una fede diversa da quella dominante, non sia definito in modo soddisfacente, a suo giudizio anche per la genetica della Protesta mirante a “sostituire ad una dottrina un’altra” ove “nemmen
ora il principio della libertà religiosa trova la piena applicazione”. Cita il caso della Svezia.
13. Giudizio sintetico Il ruolo di Cavour fu davvero di difficile interpretazione. Moderato e costituzionale Egli temeva i risvolti rivoluzionari e potenzialmente antidinastici dei moti garibaldini e dei sommovimenti ispirati dal Mazzini. Si vedeva di fronte due nemici: uno immediato costituito dagli “irredentisti, in particolare dai mazziniani, oltre al nemico consolidato, rappresentato da coloro (gli austriaci) che, per ovvi interessi, non capivano che “l’Italia era molto più che un’espressione geografica”. La sua linea era tutta rivolta a controllare e governare gli eventi, “per spuntare le armi dei mazziniani” ma anche “per arrivare alla mèta prima di loro”. Cavour, al pari di Napoleone III, intendeva, per sgonfiare gli impeti rivoluzionari, “venire incontro ai desideri del popolo”, entro gli schemi della sua “ispirazione liberale”.
Vi era in Cavour sicuramente almeno l’idea di un Regno dell’Italia settentrionale, diplomaticamente compatibile. Poi tenne dietro agli eventi. Fu adeguato nel fare in modo che la sua politica procedesse di pari passo
con
quella
dell’Imperatore,
avendo
esse
un
comune
denominatore: “la mortificazione simultanea dell’Austria e della Russia, che rappresentavano in Europa il principio reazionario”. Il “realismo” cavouriano era al riguardo ben evidente anche quando Egli, nel 1861, intervenne in Parlamento (25 marzo). Egli, ricorda che
“... non vi può essere soluzione della questione di
Roma, se questa verità non è prima proclamata, accettata dall’opinione pubblica d’Italia e d’Europa”. In
effetti
“In
Roma concorrono tutte le circostanze storiche,
intellettuali, morali che devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Roma è la sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali ...”. Egli afferma: “Noi dobbiamo andare a Roma (...) di concerto colla
Francia” evitando però che l’acquisizione di Roma all’Italia quale sua naturale Capitale “possa essere interpretata dalla gran massa dei
cattolici d’Italia e fuori d’Italia come il segnale della servitù della Chiesa” di guisa che “l’unione di Roma all’Italia può farsi senza che la Chiesa cessi d’essere indipendente (...)”. Chi, in sintesi, fosse Cavour ce lo dice il Salvadori.
“... era un riformista monarchico, gradualista, un liberale avverso alla democrazia, seguace della bussola del “giusto mezzo” teorizzata da Guizot, pronto a far leva sulle istituzioni sabaude, sulla diplomazia, sulle alleanze tra stati, sull’esercito regio, incline ad una soluzione confederale dell’unità italiana, piegatosi infine all’idea della formazione di uno Stato unitario di fronte al successo del tutto imprevisto della spericolata impresa di Garibaldi nel Mezzogiorno”. Denis Mack Smith ne considera il modo di operare “idoneo, grazie ad un attento studio degli interessi nazionali delle varie potenze, a inserire la questione italiana nella complessa trama della diplomazia europea”, riuscendo a sfruttare “le rivalità esistenti” e riuscendo “talvolta a dare al suo paese una forza artificiale che qualche volta servì come elemento determinante dell’equilibrio politico europeo”.
pubblicazione a cura di Pascal McLee
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