Appunti Matematici 11

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

John von Neumann Budapest, 28 dicembre 1903 Washington, 8 febbraio 1957

numero 11 – novembre 2015



INDICE

PILLOLE MATEMATICHE 1. Serie reali e complesse

PILLOLE MATEMATICHE 2. Funzionali e tensori

I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO. John von Neumann

L’ANGOLO DEL FISICO 1. Lo spazio-tempo di Minkowski

L’ANGOLO DEL FISICO 2. Note brevi sulla conservazione della quantità di moto

SUL PIANO STATISTICO. Variabili casuali

APPROFONDIMENTI ANALITICI. Sviluppi in serie di Fourier

LE MIE RICERCHE 1. Esercizi sulla stabilità

LE MIE RICERCHE 2. Ancora sui quadrilateri convessi con lati interi

1


IN QUESTO NUMERO

Questo numero di Appunti matematici, il n. 11 del mese di novembre 2015, conclude una serie avviata lo scorso gennaio quando intrapresi l’elaborazione di queste pubblicazioni sotto forma di appunti. Anche in questo caso l’indice del numero è sufficientemente rappresentativo dei contenuti dell’elaborato. Si tratta di argomenti che ho deciso di trattare in modo ampio e generale, senza scendere in troppi dettagli, anche perché non escludo, nel prossimo futuro, di partire da essi per ulteriori approfondimenti, per esempio, tentando (se ne sarò capace…) di scrivere una versione elementare e sintetica della Relatività generale. Ma questo richiederà tempo e riflessioni e non è detto che sia cosa facile! e fattibile. Ho deciso di inserire in questo numero alcune mie recenti osservazioni sulla quantità di moto che integrano quelle contenute nel numero precedente che si riferiva al moto su una retta, e quindi in una sola dimensione. Poiché a latere della mia attività elaborativa mi sto anche interessando dell’automatica e dei sistemi di controllo, ho parimenti deciso di inserire alcuni esercizi sulla stabilità che ho tratto da un testo americano in uso ormai molti anni fa. Gli Appunti matematici a partire dal prossimo numero, il 12 del mese di dicembre 2015, cambieranno veste, risultando monografici. Ho già scelto i primi argomenti. Questa sarà la sequenza delle prossime uscite:    

n. n. n. n.

12, 13, 14, 15,

dicembre 2015 gennaio 2016 febbraio 2016 marzo 2016

Algoritmi; Teoria degli insiemi; Geometria razionale; Microeconomia. Patrizio Gravano

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PILLOLE MATEMATICHE 1

SERIE REALI E COMPLESSE

Vorrei integrare pregresse considerazioni fatte sulle serie con le seguenti.

1. Successioni e serie di funzioni Si considerino n funzioni complesse nell’indeterminata z ∈ C ad un solo valore. Esse sono đ?‘˘đ?‘– (z) con i = 1, 2, ‌ , n. Bisogna dare un senso a lim đ?‘˘đ?‘– (z) = U(z). Essa ha significato se esiste un Îľ > 0 tale đ?‘– →∞

che risulti ⎸đ?‘˘đ?‘– (z) − U(z) ⎸< Îľ per ogni i > n. La successione – costituita in questo caso da funzioni ! – converge. Data una regione R del piano di Gauβ, se la successione di funzioni ammette il limite per ogni z ∈ R allora essa è detta regione di convergenza. Definite successioni di funzioni è possibile definire la serie di funzioni. Assegnata una successione di funzioni đ?‘˘đ?‘– (z) è possibile definire una nuova successione i cui elementi sono somme di successioni secondo lo schema seguente: đ?‘†1(z) = đ?‘˘1 (z) đ?‘†2 (z) = đ?‘˘1 (z) + đ?‘˘2 (z) ‌‌‌‌‌‌‌‌‌‌ đ?‘†đ?‘› (z) = đ?‘˘1 (z) + đ?‘˘2 (z) + ‌.. + đ?‘˘đ?‘› (z) = ∑∞ đ?‘–=1 đ?‘˘đ?‘– (z) Se lim đ?‘†đ?‘– (đ?‘§) = S(z) đ?‘– →∞

La serie è convergente alla quantitĂ S(z) detta “somma della serieâ€?. lim đ?‘˘đ?‘– (z) = 0 è condizione necessaria ma non sufficiente per la convergenza della

đ?‘–→ ∞

serie. Ciò si interpreta nel senso che se lim đ?‘˘đ?‘– (z) ≠0 allora la serie sicuramente non đ?‘–→ ∞

converge. Per contro, se lim đ?‘˘đ?‘– (z) = 0 allora la serie può convergere. đ?‘–→ ∞

Se la serie converge ∀ z : z ∈ R allora R è detta regione di convergenza della serie.

3


Una serie ∑∞ đ?‘–=1 đ?‘˘đ?‘– (z) può essere convergente. Si parta dall’ipotesi che essa sia convergente. Non è detto che ∑∞ đ?‘–=1 ⎸đ?‘˘đ?‘– (z)⎸ Nelle funzioni di variabile complessa viene introdotta – come detto – la seguente scrittura ⎸đ?‘˘đ?‘– (z) − U(z) ⎸< Îľ per un i > n. In generale n dipende sia da Îľ che da z. Può accadere che n dipenda solo da Îľ > 0. In questo caso ∀ z ∈ R (regione di convergenza) đ?‘˘đ?‘– (z) converge uniformemente (senza dipendere dal punto đ?‘§0 ). Stesse considerazioni possono essere fatte per le serie. Assegnata una serie convergente a S(z) la quantitĂ đ?‘†đ?‘› (z) è detta somma dei primi n termini della serie. Viene definito resto della serie, la quantitĂ đ?‘…đ?‘› (z) = S(z) - đ?‘†đ?‘› (z). Criterio di convergenza uniforme di serie convergente: ⎸đ?‘…đ?‘› (z) ⎸= ⎸S(z) - đ?‘†đ?‘› (z) ⎸ per ogni n > đ?‘›0 . Esistono particolari serie dette di potenza. đ?‘› La loro formalizzazione è del tipo ∑∞ đ?‘›=đ?‘œ đ?‘Žđ?‘› (đ?‘§ − đ?‘Ž)

Essa converge in z = a. Si dimostra che esiste un r > 0 tale che essa converge quando ⎸z –a ⎸ < r diverge per ⎸z –a ⎸ > r, mentre per ⎸z –a ⎸= r non si può dire nulla. r è solitamente detto raggio di convergenza esiste una interpretazione geometrica. Si considera un cerchio di raggio r e di centro nel punto a. La serie converge nei punti z interni (ovvero elementi del cerchio ma non della frontiera (circonferenza)). r = 0 conduce alla convergenza per z = a. r = ∞ esprime la convergenza per ogni z del piano complesso. Quanto ai teoremi d’uso operativo essi hanno una formulazione che riconduce sostanzialmente a quelli usati per le serie di costanti. Lo stesso vale per i criteri di convergenza. Rispetto a quanto giĂ scritto ho comunque rinvenuto ulteriori due criteri, detti di Raabe e di Gauβ, utili per la convergenza assoluta.

4


Il primo (detto criterio di Raabe) parte da un calcolo di limite, ovvero da đ?‘˘ lim đ?‘›( 1 − ⎸ đ?‘˘đ?‘›+1 ⎸) = L . đ?‘›â†’ ∞

đ?‘›

Se L > 1 la serie converge assolutamente (convergono sua le serie aventi come elementi đ?‘˘đ?‘› (z) che quella avente come elementi ⎸đ?‘˘đ?‘› (đ?‘§)⎸). Il secondo criterio è dovuto a Gauβ. Per esso la convergenza assoluta è assicurata đ?‘˘ đ??ż đ?‘? quando la relazione ⎸ đ?‘˘đ?‘›+1 ⎸= 1 - đ?‘› + đ?‘›đ?‘›2 dove ⎸đ?‘?đ?‘› ⎸ < M per ogni n > đ?‘›0 , è verificata per đ?‘›

un L ∈ ( 1, + ∞).

2. Teorema detto di Taylor Si consideri il piano complesso e un cerchio â„‘ su di esso. Sia a il centro di esso. Sia data una funzione analitica f(z) per ogni punto interno al cerchio. ∀ z : z ∈ (â„‘ − đ??šâ„‘) ove F designa la frontiera di â„‘ (nel caso si specie si tratta dei punti della circonferenza di raggio dato). I punti di essa sono tutti e solo quelli per i quali ⎸z - a ⎸= r. ∀ đ?‘§ âˆś ⎸z - a ⎸< r si ha f(z) = f(a) + f’(a)(z – a) +

� ′′ (�) 2!

(đ?‘§ − đ?‘Ž)2 +

� ′′′ (�) 3!

(đ?‘§ − đ?‘Ž)3 + ‌‌‌

Esiste un ulteriore sviluppo in serie detto di Laurent. Per ogni utile approfondimento rimando al testo che ho utilizzato come guida per sintetizzare questi appunti, ovvero Spiegel, Variabili complesse, McGraw-Hill, 1994. 3. Qualche semplice esercizio Ho rinvenuto, tra i numerosi proposti, alcuni esercizi non risolti, sempre dalla precitata fonte.

1.

lim

đ?‘›â†’ ∞

3 đ?‘›âˆ’2đ?‘§ đ?‘›+đ?‘§

=3

L’esercizio richiede l’uso della definizione formale. In astratto sarebbe sufficiente 3 đ?‘›âˆ’2đ?‘§ considerare đ?‘›+đ?‘§ dividendo quindi numeratore e denominatore per n si ha che detta quantitĂ vale

� 2� � � � � ( )+( ) � �

(3 )−( )

limite vale 3/1 ovvero 3.

=

2� � � 1 +( ) �

3 −( )

. Per n → + ∞ đ?‘ đ?‘– ricava immediatamente che detto

5


Il testo chiede di usare la definizione pertanto per un dato Îľ > 0 (piccolo a piacere, 3 đ?‘›âˆ’2đ?‘§ al limite un infinitesimo) esiste un N tale che per ogni n > N sia ⎸ đ?‘›+đ?‘§ − 3 ⎸< Îľ ⇒ ⎸ 3đ?‘›âˆ’2đ?‘§âˆ’3đ?‘›âˆ’3đ?‘§ đ?‘›+đ?‘§

⎸ < ξ ⇒ ⎸-

5�

�+�

⎸<ξ⇒

⎸−5⎸ ⎸đ?‘§âŽ¸ ⎸đ?‘›+đ?‘§ ⎸

=5

⎸�⎸

⎸�+� ⎸

< Îľ.

Vorrei osservare che si ha ⎸đ?‘§ ⎸= √đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = đ?›ź ∈ đ?‘…, ove x e y sono tali che definiscono z, nel senso che z = (a, b) = a + jb. Per ⎸đ?‘› + đ?‘§ ⎸= ⎸n + 0j + x + yj ⎸= ⎸(n + x) + jy ⎸ = √(đ?‘› + đ?‘Ľ)2 + đ?‘Ś 2 = β(n). β è evidentemente un numero reale e β(n) definisce al variare di n – per (x, y) costante (dato) - una successione monotona crescente per la quale lim β(n) = + ∞. đ?‘› → +∞

Si perviene immediatamente a 5Îą < ξβ(n). Al limite, per n → +∞, la quantitĂ 5Îą /β(n) < Îľ tende a zero e quindi si ha Îť(n) < Îľ > 0, ovvero è un infinitesimo. Ăˆ quindi dimostrato che al variare di n verso valori via via piĂš elevati (maggiori) è costantemente verificata la disequazione, comunque si prenda Îľ> 0.

2.

lim

��

đ?‘›â†’ ∞ đ?‘›2 + đ?‘§ 2

=0 ��

��

Usando la definizione occorre dimostrare che ⎸ đ?‘›2 + đ?‘§ 2 − 0 ⎸< Îľ ovvero che ⎸ đ?‘›2 + đ?‘§ 2 ⎸< Îľ. Ăˆ possibile lavorare algebricamente sulla quantitĂ denominatore per n ed avendo quindi

� (�2 /�)+(� 2 /�)

�� �2 + � 2 �

=

�2 �+ �

dividendo numeratore e =

� �2 �

. Questa nuova

đ?‘›( 1+ )

sembianza del denominatore è facilmente gestibile in quanto lim đ?‘›( 1 + (1 + lim

�2

đ?‘›â†’ ∞ đ?‘›

đ?‘›â†’ ∞

�2 �

) = lim (n) đ?‘›â†’ ∞

+

) = +∞ ( 1 + 0 ) = +∞*1= + ∞.

In buona sostanza la previsione è confermata in quanto il reciproco di infinito è un infinitesimo e ⎸z⎸Ν(n) = Îľ(n), pure un infinitesimo.

3�+4� 2

3. Esercizio sulla convergenza uniforme. Dimostrare che �� (z) = � converge uniformemente a 3z per tutti gli z tali che essi sono interni e di frontiera per il circolo ⎸�⎸ ≤ 1. Deve risultare ⎸�� (z) – 3 z ⎸ < ξ per ogni N > n, essendo N il medesimo per ogni z : ⎸�⎸ ≤ 1.

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3�+4� 2

3đ?‘§+4đ?‘§ 2 − 3đ?‘§đ?‘›

1

Si ha ⎸ đ?‘› – 3 z ⎸ < Îľ ⇒ ⎸ ⎸< Îľ ⇒ đ?‘› ⎸3đ?‘§ + 4đ?‘§ 2 − 3đ?‘§đ?‘›âŽ¸< Îľ ⇒ ⎸3đ?‘§ + 4đ?‘§ 2 − 3đ?‘§đ?‘›âŽ¸< đ?‘› Îľn ⇒ ⎸3đ?‘§ ⎸ + ⎸ 4đ?‘§ 2 − 3đ?‘§đ?‘›âŽ¸ < Îľn ⇒ ⎸3đ?‘§ ⎸ < Îľn ⇒3 ⎸đ?‘§ ⎸ < Îľn Metto in evidenza n avendo n>

3 ⎸đ?‘§ ⎸ đ?œ€

���� =

3 đ?œ€

per ⎸z ⎸ = 1. Si ha la sola dipendenza da ξ.

4. Applicazione di criteri particolari di convergenza 4.1

1 ∑∞ đ?‘›=1 2đ?‘› + 1

1

=

Ma osservo che

⎸ đ?‘›+1 ⎸ lim 2 1 + 1 đ?‘› →+∞ ⎸ đ?‘› ⎸ 2 +1

2đ?‘› + 1

âˆż 2đ?‘›+1 + 1

2đ?‘› 2đ?‘›+1

1

= lim ⎸ 2đ?‘›+1 + 1 ∗ đ?‘› →+∞

2đ?‘› + 1 1

2đ?‘› + 1

⎸= lim ⎸ 2đ?‘›+1 + 1⎸ đ?‘› →+∞

=½<1

Pertanto la serie converge.

4.2

∑+∞ đ?‘›=1

(−1)đ?‘› 4đ?‘›+3

. Trattasi di una serie a valori alterni.

La serie può essere riscritta come segue ∑+∞ đ?‘›=1

(−1)đ?‘› 4đ?‘›+3

1

đ?‘› = ∑+∞ đ?‘›=1 4đ?‘›+3 (−1) .

Osservo che

1 4đ?‘›+3

> 0 per ogni n intero.

Ăˆ immediato constatare la decrescenza della successione đ?‘Žđ?‘› = avendosi quindi che đ?‘Žđ?‘›+1 < đ?‘Žđ?‘› . Determino infine il lim đ?‘Žđ?‘› = đ?‘›â†’∞

→0+ per n → ∞. Detta serie converge.

4.3

∑+∞ đ?‘›=1

1 �+⎸�⎸

Per z finito il numero ⎸đ?‘§ ⎸ = Îą è un numero reale positivo. 1

Posso riscrivere la serie data come ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘›+đ?›ź Occorre discutere la convergenza di detta serie.

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1

1 4đ?‘›+3

al crescere di n, 1

1

= 0 essendo 4đ?‘›+3 âˆż4đ?‘› 4đ?‘›+3


1

Ăˆ noto che la serie ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘›2 converge. Ho deciso di applicare sui generis il criterio del confronto per verificare la eventuale convergenza. 1

1

Se la serie in argomento fosse convergente dovrebbe essere đ?‘›+đ?›ź < đ?‘›2 ⇒ đ?‘›2 < đ?‘› + đ?›ź, đ?‘œđ?‘Łđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ đ?‘›2 - n < đ?›ź. Per Îą > 0 assegnato l’ultima diseguaglianza non è in generale vera. Pertanto non resta che concludere circa la divergenza della serie assegnata.

4.4

∑+∞ đ?‘›=1

(−1)đ?‘› đ?‘›+⎸đ?‘§âŽ¸ 1

đ?‘› Per quanto detto al punto 4.3 è possibile scriverla nella forma ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘›+đ?›ź (−1) con Îą ∈ đ?‘…+.

Si rientra nella logica del criterio di Leibnitz. 1

1

Infatti, đ?‘›+đ?›ź > 0 ed inoltre la successione đ?‘›+đ?›ź è strettamente nonotona decrescente la crescere di n in N. Il limite per n → +∞ vale zero. Quindi quella data è una serie convergente.

4.5

∑+∞ đ?‘›=1

1

1

�2 + ⎸�⎸

= ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘›2 + đ?›ź con Îą > 0 per quanto detto in precedenza. Îą = 0 è il 1

caso particolare di serie convergente del tipo ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘›2 1

1

PoichĂŠ đ?‘›2 + đ?›ź < đ?‘›2 per Îą ∈ ( 0 , +∞) detta serie convergente per il criterio del confronto con una serie convergente.

4.6

∑+∞ đ?‘›=1

1 �2 + �

Occorre dare un senso al denominatore e pertanto è possibile dire che deve essere đ?‘›2 ≠đ?‘§. 1

Se la serie ∑+∞ đ?‘›=1 ⎸ đ?‘›2 + đ?‘§ ⎸è convergente allora lo è pure quella data. 1

Si ponga z = x + jy. ⎸ �2 + � ⎸=

1 ⎸(�2 + �)+��⎸

=

1 √((đ?‘Ľ+đ?‘›2 )2 )+(đ?‘Ś 2 )

<

1 đ?‘›2

sicuramente per x ⊞ 0 e

� y .Ma questa è solo una parte della dimostrazione. Per y = 0 si avrebbe

1 √((đ?‘Ľ+đ?‘›2 )2

<

1 đ?‘›2

immediatamente vero per x > 0. Deve essere x â‰

− đ?‘›2 . Fuori da questa restrizione è ammesso anche il caso x < 0.

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PILLOLE MATEMATICHE 2

FUNZIONALI E TENSORI

1. I funzionali lineari Funzionale lineare è sinonimo di forma lineare. Ăˆ una applicazione lineare da uno spazio vettoriale su un campo di scalari, R o C. Ăˆ dato uno spazio vettoriale V. I funzionali lineari costituiscono uno spazio vettoriale ulteriore, detto spazio vettoriale duale. Posto, per esempio V = đ?‘… đ?‘› sia x l’elemento rappresentativo di esso, ovvero sia x =⌋ đ?’™đ?&#x;? ‌ ‌ âŚŒ allora il funzionale lineare f ha la seguente forma f(x) = đ?‘Ž1 đ?‘Ľ1 + đ?‘Ž2 đ?‘Ľ2 + ‌ . . + đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľđ?‘› đ?’™đ?’? . In forma compatta f(x) = Ax, ove A è un vettore riga (di n elementi) e x è un vettore colonna di n elementi. Un esempio tipico è l’integrale di Riemann. Dato uno spazio vettoriale V e K un campo allora f (funzionale lineare) è una funzione lineare da V a K. Se u e v sono due elementi di V un funzionale lineare allora si ha che f(u+v) = f(u) + f(v) f(av) = a f(v) con a elemento di K (R o C). Ad esempio la funzione f : đ?‘… đ?‘› → R definita come (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ) → đ?‘Ľđ?‘– è un funzionale lineare tale che alla n-pla data è associata (viene fatta corrispondere univocamente) la coordinata i-esima di essa. 2. Tensore Ăˆ un concetto generale di cui vettori, matrici e funzionali lineari sono casi particolari. Sono particolarmente utilizzati nella fisica, a partire dalla descrizione del cronotopo (o spazio-tempo di Minkowski).

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Si parte sempre da uno spazio vettoriale V (lo è anche lo spazio-tempo) su un campo K. Quindi si considera lo spazio duale V* i cui elementi sono tutti e soli gli f : V → K. V* ha dimensione n, e i relativi elementi sono detti covettori. Il tensore è una applicazione multilineare del tipo T : ( V X V X V‌. X V)X (V* X V* ‌‌.. V*) → K (ho introdotto le parentesi solo per ragioni grafiche non disponendo del simbolismo necessario) Entro la prima parentesi sono contenuti h V nella seconda k. Pertanto un tensore T associa a h vettori e a k covettori uno scalare. Detto scalare è indicato come T(đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2,‌.., đ?‘Łâ„Ž, đ?‘¤1 đ?‘¤2, đ?‘¤3 , ‌ . . , đ?‘¤đ?‘˜ ) Questa è una mera definizione. In realtĂ , come capita per gli usuali vettori, i tensori sono rappresentati tramite le sue coordinate rispetto ad una base. Negli sviluppi andranno poi introdotte le operazioni tra tensori.

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I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO

JOHN VON NEUMANN

Una analisi articolata dell’opera di Neumann esula dalle mie competenze. Ho comunque deciso di considerare alcuni campi di studio cui contribuì in modo evidente. Per la vastità degli interessi e per la profondità dei contributi non potevo non inserirlo nel novero dei grandi matematici (in altre materie si direbbe “tra i classici”) del passato.

1. Contributi alla teoria degli insiemi Come noto, elaborò una teoria degli insiemi con Godel e Bernays di tipo assiomatico, definita con l’acronimo NBG, estensione di una teoria assiomatica dovuta a Zermelo e a Fraenkel. Queste questioni saranno affrontate nel numero monografico di gennaio 2016, dedicato interamente alla teoria degli insiemi, a partire da quella detta “ingenua” di Cantor, non fondata in modo esplicito su assiomi, peraltro impliciti nel suo ragionamento. Il punto di arrivo sarà la teoria di Morse-Kelley. Nella teoria NBG viene fatta una distinzione fondamentale, quella tra classe propria e insieme. Per comprendersi viene utilizzato il termine “individuo”. Occorre dare un significato al costrutto a ∈ s. Essa ha significato se a è un insieme e se s è una classe. Una classe può essere vista come un insieme avente per elementi un certo numero di insiemi.

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Viene definita la classe “universaleâ€? intesa come la classe che ha come elementi tutti i possibili insiemi. Non esiste per contro l’insieme i cui elementi sono tutti gli insiemi. Ho trovato in Internet questa definizione che riporto: “un insieme è una classe che è anche oggetto, ovvero è uno degli elementi della classe universale V di tutti gli oggetti. (‌.) visto che tutte le classi sono incluse in V, un insieme è una classe che appartiene ad almeno un’altra classeâ€? (Alessandro Berarducci, Elementi di teoria degli insiemi, 2012-2013). Va definito il concetto di oggetto matematico. Riporto ancora (stessa fonte, appena citata) “daremo altri assiomi che stabiliranno sotto quali condizioni una classe X possa essere considerata un oggetto (ovvero per quali X ⊆ V si abbia X ∈ V)â€?con “l’intento (‌ ) di avere un universo di oggetti il piĂš vasto possibile (‌.)â€? che comunque “non potrĂ in ogni caso essere talmente vasto da poter contenere come oggetti anche tutte le classi, pena incorrere in paradossiâ€?. Esiste un particolare formalismo che definisce il concetto di rappresentanza. Un insieme a rappresenta una classe A se ogni elemento di a è un elemento di A e viceversa. Per definire l’appartenenza si scrive Rp(A, a). Viene poi definita una particolare classe, detta classe propria. Una classe è propria quando non ammette rappresentante. L’esempio ben noto è la classe di tutti gli insiemi che non contengono se stessi. Von Neumann negli anni Venti formulò la sua teoria partendo dalle funzioni. Nella assiomatizzazione della teoria gli si deve un assioma, detto limite della dimensione. Ho elaborato questa parte della scheda attingendo alla voce Teoria degli insiemi di von Neumann – Bernays – Godel tratta da Wikipedia. Ho trovato questa formulazione dell’assioma: per ogni classe C, un insieme x tale che x = C esiste se e soltanto se non esiste una biiezione tra C e V. V è la classe di tutti gli insiemi. Svilupperò queste riflessioni nel numero monografico di gennaio. Viene poi definita (vedi la relativa voce di Wikipedia) la gerarchia di von Neumann. Trattasi di una successione parametrizzata con numeri ordinali nel modo seguente đ?‘‰0 = ∅ đ?‘‰đ?›ź+1 = P(đ?‘‰đ?›ź )

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P(đ?‘‰đ?‘Ž ) è l’insieme delle parti, ovvero l’insieme i cui elementi sono tutti i sottoinsiemi, propri e quello improprio, con l’aggiunta dell’insieme vuoto. Per ogni Îą đ?‘‰đ?›ź è un insieme. Assegnato un ordinale k allora si ammette đ?‘‰đ?‘˜ = ⋃đ?œ?∈đ?‘˜ đ?‘‰đ?œ? , ma ⋃đ?‘‰đ?›ź è una classe propria.

Svilupperò la teoria degli insiemi nel numero monografico di gennaio 2016.

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2. Architettura di Von Neumann Il matematico magiaro naturalizzato americano fu poi interessato agli sviluppi dell’informatica. Princeton in competizione con Harvard concepì la architettura dei computer che usualmente viene illustrata. Essa è la seguente.

3. Teoria della utilità attesa L’utilità attesa è sostanzialmente un valore atteso. L’utilità viene calcolata in condizioni di incertezza come una media ponderata delle utilità in ogni stato possibile. Ciò avviene senza che nasca una contraddizione. Il peso è dato dalla probabilità del verificarsi dei singoli stati come stimate dall’attore. È necessario un ordinamento delle preferenze. In condizioni di incertezza ad ogni azione corrispondono più distinte conseguenze, mentre in condizioni di certezza ad azione corrisponde una ed una sola conseguenza. Ogni relazione di preferenza normale quando si ha un numero finito di possibili stati definisce una utilità attesa.

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L’ANGOLO DEL FISICO 1

LO SPAZIO-TEMPO DI MINKOWKY

Spaziotempo e cronotopo sono sinonimi. Esso è il nuovo palcoscenico della teoria della RelativitĂ . Il tempo e il suo scorrere non sono assoluti bensĂŹ si hanno per esso “descrizioniâ€? diverse a seconda delle condizioni di moto relativo. Le coordinate spazio-temporali sono rappresentate da quattro valori, il primo dei quali è riferito al tempo, nel modo seguente (đ?’™đ?&#x;Ž , đ?’™đ?&#x;? , đ?’™ đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;‘ ). Un “eventoâ€? può essere inteso come un punto di un iperspazio a 4 dimensioni. Dati due “eventiâ€? viene definita una “distanzaâ€? tra essi. Se essi sono (đ?’™đ?&#x;Ž , đ?’™đ?&#x;? , đ?’™ đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;‘ ) e (đ?’™â€˛đ?&#x;Ž , đ?’™â€˛đ?&#x;? , đ?’™â€˛ đ?&#x;? , đ?’™â€˛đ?&#x;‘ ) nel modo seguente đ?‘‘ 2 = -đ?‘? 2 (đ?’™â€˛đ?&#x;Ž − đ?’™đ?&#x;Ž ) 2 + (đ?’™â€˛đ?&#x;? − đ?’™đ?&#x;? ) 2 + (đ?’™â€˛đ?&#x;? − đ?’™đ?&#x;? ) 2 + (đ?’™â€˛đ?&#x;‘ − đ?’™đ?&#x;‘ ) 2 . c è la velocitĂ della luce nel vuoto. Essa è eguale per ogni osservatore. La quantitĂ d è detta separazione spazio-temporale, o intervallo relativistico. đ?‘… 4 è un esempio di spazio-tempo di Minkowsky. Per esso vale la seguente convenzione per il prodotto interno (scalare) <(đ?’™đ?&#x;Ž , đ?’™đ?&#x;? , đ?’™ đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;‘ ), (đ?’šđ?&#x;Ž , đ?’šđ?&#x;? , đ?’š đ?&#x;? , đ?’šđ?&#x;‘ ) > - đ?‘Ľ0 đ?‘Ś0 + đ?‘Ľ1 đ?‘Ś1 +đ?‘Ľ2 đ?‘Ś2 + đ?‘Ľ3 đ?‘Ś3 La relativa base ortonormale è tale che <đ?’†đ?? , đ?’†đ??‚ > = đ?œ‚đ?œ‡đ?œˆ Gli indici Îź e ν variano da 0 a 3. La matrice Ρ è tale che đ?œ‚đ?œ‡đ?œˆ = - 1 per Îź = ν = 0 essa ha đ?œ‚đ?œ‡đ?œˆ = 1 per Îź = ν > 0 e risulta đ?œ‚đ?œ‡đ?œˆ = 0 quando Îź ≠ν.

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Ove si consideri il moto in una dimensione – l’asse delle x, per esempio, per velocità v non trascurabili per due osservatori sono date le seguenti forme di trasformazione dette di Lorentz. �

t’ = x’ =

đ?‘Ąâˆ’ 2 đ?‘? √1− đ?›˝2

x β = v/c

đ?‘Ąâˆ’ đ?‘Łđ?‘Ą √1− đ?›˝2

y’ = y z = z’.

Nello spazio-tempo non esiste un sistema di riferimento privilegiato. I vettori nello spazio-tempo sono detti di tipo tempo se đ?‘? 2 đ?‘Ą 2 > (đ?‘Ľ1 )2+ (đ?‘Ľ2 )2 + (đ?‘Ľ3 )2 coerente con il fatto che ogni oggetto viaggia ad una velocitĂ inferiore a quella della luce. Se è dato il tempo che separa i due eventi in quel periodo di tempo la luce compie un percorso maggiore della distanza tra i due eventi. Per il caso di un fotone, e quindi definito il vettore di tipo luce si ha đ?‘? 2 đ?‘Ą 2 = (đ?‘Ľ1 )2+ (đ?‘Ľ2 )2 + (đ?‘Ľ3 )2 Nella figura si poteva anche porre c = 1 avendo che la retta sarebbe la bisettrice del I quadrante.

Nell’elaborare questa breve sintesi ho attinto da alcune voci di Wikipedia, facilmente rintracciabili nel Web usando la terminologia utilizzata.

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L’ANGOLO DEL FISICO 2

NOTE BREVI SULLA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITĂ€ DI MOTO

1. Conservazione della quantitĂ di moto in due dimensioni Urti e sistemi particellari, ai fini della conservazione della quantitĂ di moto, hanno sicuramente qualche analogia formale, anche se la sostanza degli eventi è alquanto dissimile. Siano infatti dati due corpuscoli puntiformi di masse đ?‘š1 đ?‘’ đ?‘š2 che in moto sono destinati a non incontrarsi, perchĂŠ su trattorie che non si intersecano. La quantitĂ di moto totale del sistema è p = đ?‘š1 đ?’—1 + đ?‘š2 đ?’—2. In condizioni ideali essa si conserva, quindi, nel dominio del tempo si ha p(t) = đ?‘š1 đ?’—1 (đ?‘Ą)+ đ?‘š2 đ?’—2(t). Queste considerazioni sono estensibili ad un numero intero > 2 di particelle, supposte non urtantisi. Ăˆ ben noto che i vettori đ?‘š1 đ?’—1 đ?‘’ đ?‘š2 đ?’—2 definiscono le direzioni che individuano i lati di misura ⎸đ?‘š1 đ?’—1 ⎸ đ?‘’ ⎸đ?‘š2 đ?’—2 ⎸ del parallelogramma vettoriale. La medesima p(t) = đ?‘š1 đ?’—1 (đ?‘Ą)+ đ?‘š2 đ?’—2(t) definisce il caso che le direzioni di moto dei due corpi quando venga eseguito il trasporto parallelo dei vettori di guisa che i due corpi si urtino in O. Le quantitĂ đ?‘š1 e đ?’—1 (đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘Ž đ?‘?đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘š2 đ?‘’ đ?’—2 (t) devono considerarsi grandezze note. Ho, quindi, abbozzato, con riserva di successive verifiche e/o riflessioni, i seguenti spunti.

Primo caso (irrealistico): conservazione della quantitĂ di moto con “diffusioneâ€? di una particella in un’altra. Le particelle dopo l’urto continuano a muoversi secondo la data direzione e il dato verso, anche dopo avvenuto l’urto. Vettorialmente si ha p(đ?‘Ą0 - dt ) = đ?‘š1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘š2 đ?’—đ?&#x;? = p(đ?‘Ą0 + dt) = p(t). đ?‘Ą0 è l’istante di tempo nel quale avviene l’urto.

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Si osservi che p(đ?‘Ą0 - dt ) è parimenti la quantitĂ di moto anche nel caso di moto di due particelle che si muovono indefinitamente senza subire urti, in condizioni ideali. I vettori p(đ?‘Ą0 - dt ) e p(đ?‘Ą0 + dt) sono eguali in quanto hanno la stessa direzione, lo stesso verso e lo stesso modulo.

Secondo caso (meno irrealistico). Le due particelle si urtano e le direzioni delle due particelle dopo l’urto formano un angolo δ ≠ι, ove Îą è l’angolo (0 < Îą < Ď€) formato tra le direzioni delle rette di moto delle due particelle. Nel caso sub a) sarebbe δ = Îą. Si ammette la conservazione della quantitĂ di moto quindi p(đ?‘Ą0 - dt ) = p(đ?‘Ą0 + dt). Le due particelle si scambiano le velocitĂ , con conservazione delle loro masse, essendo, quindi, đ?‘š1 (t) = cost1 e đ?‘š2 (t) = cost2. Se è assegnato un angolo di incidenza d’urto (sperimentale) non si ha conservazione delle direzioni di moto quando δ ≠ι. Formalmente si ha đ?’—đ?’Š (đ?‘Ą0 – dt) ≠đ?’—đ?’Š (đ?‘Ą0 + dt) con i = 1, 2. Inserendo un indice di tempo in generale si ha đ?’—đ?’Š,đ?&#x;Ž ≠đ?’—đ?’Š,đ??‰ con Ď„ ≼ đ?‘Ą0 + dt đ?‘Ą0 è l’istante d’urto (che si suppone istantaneo). I due vettori definiscono due angoli che in modulo – rispetto alla direzione del vettore đ?’‘đ?’• = cost. - definiti come đ?œ‘đ?‘– . Formalmente sarebbe φ1 +đ?œ‘2 = δ. La costruzione della figura vettoriale (parallelogramma) è immediata. Infatti, per l’ipotesi della conservazione della quantitĂ di moto (e in caso di specie pure dell’energia cinetica) sussistono le seguenti relazioni scalari ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ??‰ ⎸= ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ?&#x;Ž ⎸ e ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ??‰ ⎸= ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ?&#x;Ž ⎸ (questa relazione tra scalari da conto della condizione di conservazione dell’energia, infatti sarebbe ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł1,0 )2 + ½ đ?‘š2 (đ?‘Ł2,0 )2 = ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł2,đ?œ? )2 + ½ đ?‘š2 (đ?‘Ł1,đ?œ? )2 sicuramente

19


vera quando sono verificate le condizioni modulari piĂš sopra indicate, ovvero quando đ?‘Ł1,0 = đ?‘Ł2,đ?œ? e quando đ?‘Ł2,0 = đ?‘Ł1,đ?œ? ). Misurando đ?‘˘đ?‘› đ?œ‘đ?‘– si ottiene comunque e immediatamente il parallelogramma della quantitĂ di moto vettoriale, con costruzione semplice. Di per se la conservazione degli angoli đ?œ‘đ?‘– non è espressione della conservazione della quantitĂ di moto e tanto meno dell’energia. Infatti se esiste uno scalare non nullo β > 1 tale che β ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ??‰ ⎸= ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ?&#x;Ž ⎸ β ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ??‰ ⎸= ⎸đ?’—đ?&#x;?,đ?&#x;Ž ⎸ non si ha conservazione dell’energia e il vettore quantitĂ di moto post-urto sarebbe corretto di un fattore 1/β (omotetia). A contrariis non c’è conservazione della quantitĂ di moto gli angoli misurati si discostano da quelli previsti teoricamente, ovvero quando đ?œ‘đ?‘–,đ?‘šđ?‘–đ?‘ ≠đ?œ‘đ?‘– . La condizione post-urto per la quale đ?‘š1 đ?’—2,đ?œ? + đ?‘š2 đ?’—1,đ?œ? = đ?’‘đ?œ? Ma dovrebbe aversi pure đ?’‘đ?œ? = (đ?‘š1 + đ?‘š2 )đ?’—đ?œ? = đ?‘š1 đ?’—đ?œ? + đ?‘š2 đ?’—đ?œ? Non è evidentemente ammissibile desumere da đ?‘š1 đ?’—2,đ?œ? + đ?‘š2 đ?’—1,đ?œ? = đ?‘š1 đ?’—đ?œ? + đ?‘š2 đ?’—đ?œ? che đ?’—đ?œ? = đ?’—2,đ?œ? = đ?’—1,đ?œ? Anche nel caso di un sistema di particelle che non si urtano è possibile definire una quantitĂ di moto del sistema “banalmenteâ€? definita come p(đ?‘šđ?‘– , đ?‘Łđ?‘– ) = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘šđ?‘– đ?’—đ?‘– , secondo i direzioni e versi, oltre a moduli di velocitĂ , che non definiscono urti. Formalmente esiste un unico vettore v tale che p(đ?‘šđ?‘– , đ?‘Łđ?‘– ) = v∑ni= 1 mi =Mv A livello di sistema fisico (costituito da un certo numero di particelle) è possibile definire un sistema per il quale sia p(đ?‘šđ?‘– , đ?‘Łđ?‘– ) = 0. Ad esempio, ciò è vero quando tutte le particelle hanno la medesima massa e per ognuna di esse di velocitĂ v ne esiste un’altra di velocità –v. Esse sono necessariamente in numero pari.

Ecco un esempio grafico immediato.

20


2. Estensione formale della quantitĂ di moto allo spazio tridimensionale Nello spazio tridimensionale la quantitĂ di moto è descritta da un vettore, detto vettore quantitĂ di moto, p , risultando essere p = mv . Ăˆ ben evidente che detto vettore p nel caso piĂš generale è scomponibile secondo le direzioni della terna ordinaria (i , j, k ). Astrattamente il moto del corpo nelle tre dimensioni è equivalente al moto di tre corpi identici (stessa massa) lungo tre direzioni a due a due ortogonali con velocitĂ đ??Żđ??ą = đ?‘Łđ?‘Ľ i , đ??Żđ??˛ = đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ , đ??Żđ??ł = đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ Se si considerano tre corpi identici in moto secondo le tre direzioni canoniche allora si ha đ?’‘3m = mđ?’—đ?‘Ľ + mđ?’—đ?‘Ś + mđ?’—đ?‘§ = m(đ?’—đ?‘Ľ + đ?’—đ?‘Ś + đ?’—đ?‘§ ) = mv C.v.d. il moto di tre corpi eguali lungo le date direzioni con le condizioni poste è equivalente al moto di un corpo di massa m (eguale alle tre). La conservazione va intesa correttamente come v(t) = cost1 ⇔ đ?’—đ?œ? = cost2, quando Ď„ = x, y, z, essendo sempre m costante.

21


SUL PIANO STATISTICO

VARIABILI CASUALI

Sia dato lo spazio dei campioni. Sia data una f che associa univocamente ad un elemento dello spazio dei campioni un numero reale, sia f : S → R. Detta funzione è chiamata variabile casuale. Esempio del lancio di due monete contemporaneamente oppure due lanci della stessa moneta. Per entrambi gli eventi lo spazio dei campioni e S = {TT, TC, CT, CC}. Se X è la variabile che per ogni evento elementare indica il numero delle volte che esce testa allora per il dato spazio si ha X(TT) = 2, X(TC) = 1, X(CT) = 1 e X(CC) = 0. Queste scritture vanno intese nel senso che X(TT) = 2 si interpreta nel senso che il valore della variabile casuale vale 2 in corrispondenza dell’evento TT. Gli eventi TT, etc, sono anche detti punto campione. Per un dato S esistono evidentemente distinte variabili casuali. Una ulteriore ben potrebbe essere Z definita numero delle volte che esce prima testa, etc. Una variabile casuale è detta discreta quando i valori di essa sono interi al variare del punto campione. Altrimenti una variabile casuale è detta non discreta o continua. Dal concetto di variabile casuale (o stocastica) si perviene a quello di distribuzione di probabilitĂ . X è una v.c.d. i cui valori siano in ordine crescente đ?‘Ľđ?‘– e siano assegnate le probabilitĂ per ognuno di essi. P(X = đ?‘Ľđ?‘˜ ) = f(đ?‘Ľđ?‘˜ ) per k ≤ n ove n è il numero degli elementi dello spazio campione, nella presunzione esso abbia cardinalitĂ finita. Formalmente viene introdotta distribuzione di probabilitĂ ).

la

funzione

di

probabilitĂ

P(X=x) = f(x) Essa è tale che f(x) = f(đ?‘Ľđ?‘˜ ) mentre f(x) = 0 ∀x : x ≠đ?‘Ľđ?‘– . Essa gode di due importanti proprietĂ , ovvero:

22

(detta

anche


f(x) ≼ 0 ∑đ?‘Ľ đ?‘“(đ?‘Ľ) = 1 (questa ultima è la conseguenza di uno dei postulati di Kolmogorov) f(x) ha anche una rappresentazione grafica detta grafico di probabilitĂ . Può poi risultare utile considerare la funzione di distribuzione cumulativa, comunemente nota come funzione di distribuzione. Per x ∈ ( - ∞, +∞) detta funzione di distribuzione è P(X ≤ x) = F(x) = ∑đ?‘˘ ≤ đ?‘Ľ đ?‘“(đ?‘Ľ) ≤ 1 Se x assume un numero finito di valori bisogna tenere conto che gli intervalli che si considerano sono tutti del tipo [‌, ‌..) salvo il primo e l’ultimo, che sono, rispettivamente del tipo - ∞ < x < đ?‘Ľ1 cui corrisponde F(x) = 0, e đ?‘Ľđ?‘› ≤ x < + ∞, in corrispondenza del quale è F(x) = ∑đ?‘Ľđ?‘– đ?‘“(đ?‘Ľđ?‘– ). Nel novero delle distribuzioni di probabilitĂ vi sono anche quelle continue. ∞

Per esse si ha f(x) ≼ 0 ed anche âˆŤâˆ’âˆž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ Per questa via diviene agevole definire la probabilitĂ che X sia compresa tra due valori finiti, risultando đ?‘?

P( a < X < b) = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ f(x) è detta funzione di densitĂ di probabilitĂ . Ăˆ quindi agevole arrivare alla funzione di distribuzione di v.c. continua. đ?‘Ľ

F(x) = P(X ≤ x) = P ( - ∞ < X ≤ x) = âˆŤâˆ’âˆž đ?‘“(đ?‘˘)đ?‘‘đ?‘˘ Ăˆ possibile considerare anche variabili casuali indipendenti, nel senso di considerare due di esse, per esempio X ed Y, per le quali gli eventi đ?‘Ľđ?‘– e đ?‘Śđ?‘— sono indipendenti ∀ (i, j) pertanto si ha P(X = x e Y = y) = P(X = x)* P(Y = y). Modo piĂš sofisticato che ricorda che la probabilitĂ del verificarsi di due o piĂš eventi indipendenti è pari al prodotto delle probabilitĂ del verificarsi di ciascuno di essi. P(X = x e Y = y) = f(x,y) mentre possono essere introdotte altre due funzioni đ?‘“1 đ?‘’ đ?‘“2 per le quali si ha đ?‘“1 (đ?‘Ľ) đ?‘’ đ?‘“2 (y) se f(x,y) = đ?‘“1 (đ?‘Ľ) ∗ đ?‘“2 (y), allora gli eventi sono indipendenti. Vanno considerate, infine, le distribuzioni condizionate. Siano dati eventi definiti mediante v.c.c. nel modo seguente A: X = x e B : Y = y, se P(A) > 0 si definisce la probabilitĂ condizionata come

23


P(B ⎸ đ??´) =

đ?‘ƒ(đ??´âˆŠđ??ľ) đ?‘ƒ(đ??´)

⇒ P(Y = y ⎸X = x) =

đ?‘“(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) đ?‘“1(đ?‘Ľ)

= đ?‘“(đ?‘Ś ⎸đ?‘Ľ) (funzione di probabilitĂ

condizionata di Y data X). đ?‘“1 (x) è detta funzione di densitĂ condizionata. Quanto detto vale per le funzioni di probabilitĂ continue può essere esteso a variabili casuali continue. Per X : x < X < x + dx è possibile trovare la probabilitĂ che Y sia compresa in [c , d]. đ?‘‘ Formalmente si scrive P( c < Y < d ⎸ x < X < x + dx ) = âˆŤđ?‘? đ?‘“(đ?‘Ś ⎸đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ś Esistono molte distribuzioni di probabilitĂ . Ne vorrei in questa sede considerare solo tre. La prima di esse è detta distribuzione binomiale (Bernoulli). Le prove ripetute secondo Bernoulli sono del tipo con reimbussolamento. Gli eventi successivi nel tempo sono indipendenti. Sia dato l’evento “esce la pallina rossaâ€?. Si attribuisce una misura di probabilitĂ agli esiti possibili “uscitaâ€? e “non è uscitaâ€?, cui corrispondono i numeri p e q. Si ha evidentemente che 0 < p < 1 e 0 < q < 1 sotto la condizione p + q = 1. In senso logico questa condizione è vera perchĂŠ se una urna contiene palline rosse l’evento “esce la pallina rossa oppure non esceâ€? è evento certo, cui, assiomi alla nano, corrisponde la probabilitĂ 1 = p + q, ben formata in quanto gli eventi sono anche indipendenti. Per un evento generico ci si chiede: quale è la probabilitĂ che in n successive prove l’evento atteso si verifichi x volte (x ≤ n), ovvero vi siano x successi ed (n-x) insuccessi ? f(x) = P(X = x) =(đ?‘›đ?‘Ľ) đ?‘? đ?‘Ľ đ?‘ž đ?‘›âˆ’đ?‘Ľ In numeri passati giĂ si è parlato della distribuzione normale di Gauđ?œˇ. Vorrei concludere questa introduzione con la distribuzione di Poisson. Data una v.c. che assume valori interi ivi compreso lo zero. Ăˆ definita la seguente funzione di probabilitĂ di X f(x) = P(X = x) =

đ?œ†đ?‘Ľ đ?‘’ −đ?œ† đ?‘Ľ!

x ∈ N e Îť è una costante data positiva. Esiste una tabella che fornisce per diversi valori del parametro Îť i valori di đ?‘’ −đ?œ† .

24


In realtà esiste una varietà di funzioni di distribuzione. Nella redazione di questa breve nota ho sintetizzato, rielaborandoli, i contenuti dei Capp. 2 e 4 di Spiegel, Probabilità e statistica, Etas libri, 1979. Ho trovato tale testo una ottima sintesi e ne consiglierei l’uso.

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APPROFONDIMENTI ANALITICI

SVILUPPO IN SERIE DI FOURIER

(Fu il matematico di Napoleone. Ăˆ considerato l’iniziatore della fisica matematica. Gli si deve anche la đ?‘“(đ?‘Ľ+â„Ž)− đ?‘“(đ?‘Ľ) notazione f’(x) = lim usata per la derivata di â„Ž â„Ž →0

una funzione reale di variabile reale).

1. Funzioni periodiche Ăˆ ben noto il concetto di funzione periodica. Data una f: R → R se f(x) = f( x + kT), k ∈ Z, allora f è detta periodica. Per k = 1 si ha f(x) = f(x + T). Il numero T ∈ R è detto periodo minimo della funzione.

2. Serie di Fourier Sia f(x) una funzione definita nell’intervallo aperto (- L, +L). Si ponga T = 2L. Si consideri – fuori dall’intervallo (- L ; L) – che sia f(x) periodica di periodo 2L, ovvero risulti f(x) = f(x + 2L). Alla funzione f(x) è associato lo sviluppo in serie di Fourier dato da đ?‘Ž0 2

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ

+ ∑∞ đ?‘›=1(đ?‘Žđ?‘› cos

đ??ż

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ

+ đ?‘?đ?‘› sin

đ??ż

).

I coefficienti di Fourier valgono đ?‘Žđ?‘› = đ?‘?đ?‘› =

1 đ??ż

1 đ??ż

đ??ż

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ

âˆŤâˆ’đ??ż đ?‘“(đ?‘Ľ) cos đ??ż

âˆŤâˆ’đ??ż đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘ đ?‘–đ?‘›

đ??ż

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ đ??ż

Data una f(x) di periodo 2L allora si ha đ?‘Žđ?‘› = đ?‘?đ?‘› =

1 đ??ż

1 đ??ż

đ?‘?+2đ??ż

âˆŤđ?‘?

đ?‘?+2đ??ż

âˆŤđ?‘?

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ

đ?‘“(đ?‘Ľ) cos

đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘ đ?‘–đ?‘›

đ??ż

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ đ??ż

ove c ∈ R.

26


per n = 0 si ottiene il coefficiente đ?‘Ž0 .

3. Funzioni pari e dispari Funzione pari

f(x) = f(-x), per ogni x del dominio della funzione

La relativa serie di Fourier contiene solo termini coseno (o una costante)

Funzione dispari

f(-x) = - f(x), per ogni x del dominio della funzione

La relativa serie di Fourier contiene solo termini seno.

4. Serie di Fourier seno e coseno La funzione f(x) viene definita solo in metĂ intervallo (0, L), prolungandola alla parte sinistra. Serie seno. đ?‘Žđ?‘› = 0, đ?‘?đ?‘› =

2 đ??ż

đ??ż

âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘ đ?‘–đ?‘›

Serie coseno. đ?‘?đ?‘› = 0, đ?‘Žđ?‘› =

2 đ??ż

đ??ż

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ đ??ż

âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘?đ?‘œđ?‘

đ?‘›đ?œ‹đ?‘Ľ đ??ż

Per la derivazione e l’integrazione della serie di Fourier valgono i teoremi sulla derivazione e integrazione delle serie.

5. Condizioni di Dirichlet Le ipotesi sono: 1) 2) 3)

f(x) definita e a un solo valore in (- L, L), tranne, al piĂš, in un numero finito di punti; f(x) al di fuori di (- L, L) è periodica 2L; la serie di Fourier converge a f(x) se x è un punto di continuitĂ oppure a đ?‘“(đ?‘Ľ+0)+ đ?‘“(đ?‘Ľâˆ’0) per x punto di discontinuitĂ di f(x). 2

Dette condizioni sono sufficienti ma non necessarie.

27


6. IdentitĂ di Parseval Sia f(x) una funzione che soddisfa le condizioni di Dirichlet. 1 đ??ż

đ??ż

âˆŤâˆ’đ??ż((đ?‘“(đ?‘Ľ))2dx =

(đ?‘Ž0 )2 2

2 2 + ∑∞ đ?‘›=1 ((đ?‘Žđ?‘› ) + (đ?‘?đ?‘› ) )

7. Serie di Fourier in forma complessa Sia data una f(x) che ammette le condizioni di Dirichlet e sia essa continua in x. f(x) = ∑∞ đ?‘›= − ∞ đ?‘?đ?‘› (đ?‘’) ove đ?‘?đ?‘› =

1

đ?‘–đ?‘›đ?‘Ľđ?œ‹ đ??ż

đ??ż

− âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ) (đ?‘’) 2đ??ż −đ??ż

đ?‘–đ?‘›đ?‘Ľđ?œ‹ đ??ż

Se f(x) è discontinua in x allora f(x) va sostituito con

đ?‘“(đ?‘Ľ+0)+ đ?‘“(đ?‘Ľâˆ’0) 2

.

8. Funzioni ortogonali Due funzioni A(x) e B(x) in (a, b) si dicono ortogonali se đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž đ??´(đ?‘Ľ)đ??ľ(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ = 0

9. Funzione normalizzata Data una f(x) essa si dice normale (o normalizzata) se đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž (đ??´(đ?‘Ľ))2 = 1

10. Sistema ortonormale di funzioni Un insieme đ?œ‘đ?‘˜ (x) di funzioni costituisce un sistema ortonormale di funzioni se sono verificate le due seguenti condizioni: đ?‘?

1) âˆŤđ?‘Ž đ?œ‘đ?‘š (đ?‘Ľ) đ?œ‘đ?‘› (đ?‘Ľ) = 0 per m ≠n 2)

đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž (đ?‘“đ?‘› (đ?‘Ľ))2 đ?‘‘đ?‘Ľ = 1

n= 1, 2, 3, ‌‌

In forma compatta si ha

28


đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž đ?œ‘đ?‘š (đ?‘Ľ) đ?œ‘đ?‘› (đ?‘Ľ) = δ Essendo δ il consueto simbolo di Kronecher.

11. Generalizzazione della serie di Fourier A volte è possibile trovare un insieme di funzioni ortonormali per le quali sia, data f(x) che è f(x) = ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘?đ?‘› đ?œ‘đ?‘› (đ?‘Ľ)dx 12. Integrale di Fourier Data una funzione f(x) che soddisfa le condizioni di Dirichlet in ( - L , L ) e per la ∞ quale risulta âˆŤâˆ’âˆž ⎸đ?‘“(đ?‘Ľ)⎸đ?‘‘đ?‘Ľ è convergente, ovvero f(x) è assolutamente integrabile in ( - ∞ , + ∞). Ăˆ dovuta al Fourier la seguente relazione ∞

f(x) = âˆŤ0 {đ??´(đ?›ź) cos đ?›źđ?‘Ľ + đ??ľ(đ?›ź) sin đ?›źđ?‘Ľ} dÎą il punto x deve essere di continuitĂ per f(x). 1

∞

1

∞

Si ha A(Îą) = đ?œ‹ âˆŤâˆ’âˆž đ?‘“(đ?‘Ľ) cos đ?›źđ?‘Ľ e B(Îą) = đ?œ‹ âˆŤâˆ’âˆž đ?‘“(đ?‘Ľ) sin đ?›źđ?‘Ľ ∞

âˆŤ0 {đ??´(đ?›ź) cos đ?›źđ?‘Ľ + đ??ľ(đ?›ź) sin đ?›źđ?‘Ľ} dÎą è detto sviluppo integrale di Fourier della funzione f(x). Ove x sia di discontinuitĂ allora in luogo di f(x) si considera

đ?‘“(đ?‘Ľ+0)+ đ?‘“(đ?‘Ľâˆ’0) 2

.

13. Trasformata di Fourier Partendo dalle formule del paragrafo precedente e passando per alcuni forme intermedie, è possibile giungere alla forma della trasformata di Fourier. F(ι) =

∞

1 √2đ?œ‹

âˆŤâˆ’âˆž đ?‘“(đ?‘˘)đ?‘’ đ?‘–đ?›źđ?‘˘ du

E quindi a quella dell’antitrasformata f(x) =

1 √2đ?œ‹

∞

âˆŤâˆ’âˆž đ??š(đ?›ź)đ?‘’ − đ?‘–đ?›źđ?‘˘ dÎą

Le trasformate ed antitrasformate di Fourier assumono forme particolari quando sia che f(x) è pari, ovvero per il caso sia f(x) dispari.

29


2

∞

đ??šđ?‘? (Îą) = √ âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘˘)đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›źđ?‘˘ đ?‘‘đ?‘˘ đ?œ‹ ∞

2

f(x) = √đ?œ‹ âˆŤ0 đ??šđ?‘? (Îą)đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›źđ?‘˘ đ?‘‘đ?‘˘ (esse sono dette trasformate coseno). Se invece f(x) è una funzione dispari allora le formule, dette trasformate seno, sono le seguenti 2

∞

đ??šđ?‘ (Îą) = √đ?œ‹ âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘˘)đ?‘ đ?‘–đ?‘› đ?›źđ?‘˘ đ?‘‘đ?‘˘ 2

∞

f(x) = √đ?œ‹ âˆŤ0 đ??šđ?‘ (Îą) đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?›źđ?‘˘ đ?‘‘đ?‘˘

Nella elaborazione di questa scheda sintetica ho utilizzato Spiegel, Analisi matematica, MCGraw-Hill, 1994.

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LE MIE RICERCHE 1

ESERCIZI SULLA STABILITĂ€

Ho tratto i seguenti esercizi tra quelli, numerosissimi, presenti nel testo Regolazione automatica, McGraw-Hill di Di Stefano, Strubberud, Williams. L’ho trovato conciso e ne consiglierei la lettura a quanti si avvicinano alla Automatica da non addetti ai lavori.

1. Un sistema è definito dall’equazione y = mx + b (con x ed y, input ed output rispettivamente). Dimostrarne la non linearitĂ . Dato un ingresso đ?‘Ľ1 si ha un corrispondete output del tipo đ?‘Ś1 = đ?‘Žđ?‘Ľ1 + b Per đ?‘Ľ2 ≠đ?‘Ľ1 si ha đ?‘Ś2 = đ?‘Žđ?‘Ľ2+ b Se l’input è đ?‘?1 đ?‘Ľ1 + đ?‘?2 đ?‘Ľ2 il corrispondente output, data la relazione tra input e output, đ?‘Śđ?‘Ą = m(đ?‘?1 đ?‘Ľ1 + đ?‘?2 đ?‘Ľ2) + b Esso non è eguale alla somma dei contributi (sovrapposizione degli effetti). Per esso infatti sarebbe đ?‘Śđ?‘ = đ?‘šđ?‘?1 đ?‘Ľ1 + đ?‘? + đ?‘šđ?‘?2 đ?‘Ľ2 + b = m(đ?‘?1 đ?‘Ľ1 + đ?‘?2 đ?‘Ľ2) + 2b. Se b ≠0 si ha b ≠2b. Da ciò la non linearitĂ , secondo la definizione.

2.

Verificare se le funzioni cos(t) e sin(t) sono linearmente indipendenti

Si utilizza il determinante di Wronsky. cos(đ?‘Ą) ( − sin(đ?‘Ą)

sin(đ?‘Ą) ) = đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (đ?‘Ą) + đ?‘ đ?‘–đ?‘›2 (t) = 1 cos(đ?‘Ą)

poichÊ detto determinante è diverso da 0 le due funzioni sono linearmente indipendenti.

3. Dimostrare che le funzioni đ?’‡đ?&#x;? (t) = sin(nt) e đ?’‡đ?&#x;? (t) = sin(kt) sono linearmente indipendenti quando n ≠k, essendo n e k interi assoluti

31


Ai fini dell’applicazione della matrice di Wronsky occorre determinare le derivate delle funzioni composte date. đ?‘“1′ (đ?‘Ą) = n cos(nt) đ?‘“2′ (đ?‘Ą) = k cos(kt) Il determinante è [

sin(đ?‘›đ?‘Ą) sin(đ?‘˜đ?‘Ą) ] = (sin(nt))k(cos(nt)) – ncos(nt)sin(kt) đ?‘›đ?‘?đ?‘œđ?‘ (đ?‘›đ?‘Ą) đ?‘˜đ?‘?đ?‘œđ?‘ (đ?‘˜đ?‘Ą)

A questo punto ho ammesso per ipotesi che sia n = k pertanto ho (sin(nt))k(cos(nt)) – ncos(nt)sin(kt) = ksinφcosφ – ksinφcosφ = 0 essendo φ = kt = nt quando n = k. n = k ⇒ đ?‘“1 đ?‘’ đ?‘“2 sono linearmente dipendenti. A questo punto ho considerato il caso n ≠đ?‘˜ ≠0. Ammettiamo per ipotesi che il determinante di Wronski sia negativo (che condurrebbe all’ipotesi della dipendenza lineare) avendo posto φ’ = kt e φ’’ = nt si ha ksinφ’cosφ’’ – nsinφ’’cosφ’ = 0 ⇒ ksinφ’cosφ’’ = nsinφ’’cosφ’ Ăˆ possibile dividere ambo i membri per il secondo membro, quando nsinφ’’cosφ’ ≠ksinφ’cosφ’’ đ?‘˜ 0, avendo nsinφ’’cosφ’ = đ?‘› tgφ’ tgφ’’ . PoichĂŠ deve essere nsinφ’’cosφ’ ≠0, essendo n ≠0 deve essere sinφ’’cosφ’ ≠0. Deve essere quindi contemporaneamente sinφ’’ ≠0 , cosφ’ ≠0. Esse sono verificate rispettivamente per φ’’ ≠kĎ€, quando k varia in Z e per φ’ ≠kđ?œ‹.

đ?œ‹ 2

+

Residuano due casi che, ameno del periodo sono φ’ = 0 rad, al variare di φ’’. Per esso si ha il seguente determinante di Wronsky. đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?œ‘′ | đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ‘′

đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?œ‘′′ | = 0cosφ’’ – 1sinφ’’ = - sinφ’’ ≠0 ∀ φ’’ ≠kĎ€ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ‘′′

Se si pone φ’’ =

đ?œ‹

đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?œ‘′ ottengo | đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ‘′

đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?œ‘′ đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?œ‘′′ | =⎸ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ‘′′ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ‘′

≠0 ∀ φ’ ≠kĎ€.

2 đ?œ‹

đ?‘ đ?‘–đ?‘› 2

đ?œ‹

đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2

⎸ = sinφ’ cos(π/2) – cosφ’ sin(π/2) = 0 – cosφ’

32


4.

Nozione di sistema fondamentale

Un sistema fondamentale di una e.d.o. omogenea è un insieme di soluzioni linearmente indipendenti. Data l’equazione differenziale đ?‘Ą 2 f’’(t) – 2tf’(t) + 2y = 0, con y = f(t). Ci si chiede di dimostrare che t e đ?‘Ą 2 sono un (non l’unico, ovviamente) di essa. I step Le due funzioni sono linearmente indipendenti. Uso il determinante di Wronsky. 2 | đ?‘Ą đ?‘Ą | = 2đ?‘Ą 2 - đ?‘Ą 2 ≠0 ∀ t ∈ (0 , +∞) 1 2đ?‘Ą

Esse sono indipendenti quindi possono essere soluzioni, ovvero costituire un sistema fondamentale.

II step Dall’e.d.o. alla e.d.o. omogenea III step Equazione caratteristica.

In molte occasioni può essere utile procedere alla fattorizzazione dei polinomi, specie quando essi sono di grado superiore al II. In molte occasioni è possibile procedere alla ricerca delle soluzioni intere da ricercare tra i numeri ottenuti come rapporto tra i divisori del termine noto e i divisori del termine di grado massimo. Per esempio, tra gli esercizi si può considerare il seguente polinomio caratteristico P(D) = đ??ˇ3 +6đ??ˇ2 + 11D + 6 = 0. Il termine noto è 6. I suoi divisori interi sono Âą6, Âą3, Âą2. Il coefficiente di grado piĂš elevato è 1. In questo caso le candidate radici coincidono con i numeri Âą6, Âą3, Âą2.

33


Per Cartesio l’equazione di III grado in D non può ammettere soluzioni con parte reale positiva. Verifico D = - 2, avendo P(-2) = (−2)3 +6(−2)2 + 11(-2) + 6 = - 8 + 24 – 22 + 6 = 0. Pertanto detto polinomio di III grado è, per Ruffini, divisibile, con resto nullo, per il binomio D – (-2) = D + 2. Pertanto è P(D) = (D+2)H(D), ove H(D) è un polinomio di II grado in D, risolubile con la nota formula delle equazioni di II grado.

5. Criterio di stabilitĂ di Routh 5.1 StabilitĂ di un sistema data l’equazione caratteristica Ăˆ data una equazione caratteristica nel dominio di s. Per esempio si ha đ?‘ 3 +7đ?‘ 2 + 7s + 46. Si utilizza la tabella di Routh

đ?‘ 3

đ?‘Žđ?‘› = 1

đ?‘ 2

đ?‘Žđ?‘›âˆ’1 = 7

s

đ?‘?1 =

đ?‘ 0

đ?‘?1 =46

3 7

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = 7

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = 0

đ?‘Žđ?‘›âˆ’3 = 46

đ?‘Žđ?‘›âˆ’5 = 0

đ?‘?2 = 0

Vorrei fare alcune osservazioni circa la costruzione dei coefficienti della tabella. Le prime due righe, quelle contenenti gli đ?‘Žđ?‘– , si ricavano direttamente dalla equazione caratteristica nel dominio di s = jω. Quando essa è di grado tre si ha sempre đ?‘?2 = 0. Ciò non è vero in generale, ovviamente, per equazioni di grado maggiore! Il valore đ?‘?1 =

3 7

è stato ottenuto da đ?‘?1 =

đ?‘?1 =46 è stato ottenuto da đ?‘?1 =

đ?‘Žđ?‘›âˆ’1 đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 − đ?‘Žđ?‘› đ?‘Žđ?‘›âˆ’3 đ?‘Žđ?‘›âˆ’1

đ?‘?1 đ?‘Žđ?‘›âˆ’3 − đ?‘Žđ?‘›âˆ’1 đ?‘?2 đ?‘?1

.

Ometto, per comoditĂ , la trascrizione dei calcoli.

34

=

7∗7−1∗46 7

=

49−46 7

=

3 7


Osservo che i coefficienti della prima colonna sono tutti positivi, non vi sono quindi cambiamenti di segno quindi tutte le radici dell’equazione hanno parte reale negativa, pertanto il sistema è stabile. 5.2 StabilitĂ di un sistema data l’equazione caratteristica al variare di un parametro. Per quale valore di k il polinomio đ?‘ 3 +(4 + đ?‘˜)đ?‘ 2+ 6s + 12 definisce un sistema stabile ? Si utilizza la tabella di Routh

đ?‘ 3

đ?‘Žđ?‘› = 1

đ?‘ 2

đ?‘Žđ?‘›âˆ’1 = 4 + k

s

đ?‘?1 = 6 -

đ?‘ 0

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = 6

12 4+đ?‘˜

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = 0

đ?‘Žđ?‘›âˆ’3 = 12

đ?‘Žđ?‘›âˆ’5 = 0

đ?‘?2 = 0

đ?‘?1 = 12

Affinchè il sistema sia stabile, ovvero abbia come zeri valori di parte reale negativa, è necessario e sufficiente che tutti i termini della I colonna siano positivi, essendo đ?‘Žđ?‘› = 1 > 0. Ai fini della stabilitĂ del sistema il parametro k deve essere tale che risultino verificate entrambe le condizioni 4+k>0⇒4>-k⇒-k<4⇒k>-4 6-

12 4+đ?‘˜

>0⇒-

12 4+đ?‘˜

>-6⇒

12 4+đ?‘˜

< 6 ⇒ 12 < 6(4+k) ⇒ 12 – 24 < 6k ⇒ - 2 < k ⇒ k > - 2

PoichÊ k > - 2 verifica entrambe le condizioni allora per k > - 2 il sistema è stabile.

5.3 Numero delle radici con parte reale positiva Quante radici con parte reale positiva si hanno nel polinomio đ?‘ 3 +đ?‘ 2 - s + 1 ? Detto sistema è sicuramente instabile. Costruisco la tabella di Routh. đ?‘ 3

đ?‘Žđ?‘› = 1

đ?‘ 2

đ?‘Žđ?‘›âˆ’1 = 1

s

đ?‘?1 = - 2 đ?‘?2 = 0

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = -1

đ?‘Žđ?‘›âˆ’2 = 0

đ?‘Žđ?‘›âˆ’3 = 1

đ?‘Žđ?‘›âˆ’5 = 0

35


đ?‘ 0

đ?‘?1 = 1

Nella prima colonna si evidenziano due cambiamenti di segno (indicati in rosso), quindi due soluzioni con parte reale positiva. Il sistema è instabile!

5.4 Funzioni di trasferimento che definiscono sistemi stabili o instabili Ai fini della stabilitĂ del sistema quando si considerano funzioni di trasferimento đ??´(đ?‘ ) che sono in forma frazionaria, ovvero del tipo P(s) = đ??ľ(đ?‘ ) si devono considerare le soluzioni del polinomio B(s), ovvero gli đ?‘ 0 , se esistono per i quali è B(đ?‘ 0 ) = 0. Detti valori sono detti poli. Se si hanno soluzioni con parte reale positiva il sistema è instabile.

5.4.1 Da P(s) =

P(s) = đ?‘ −1 (đ?‘ +2)(đ?‘ 2 −4)

đ?’”−đ?&#x;? . (đ?’”+đ?&#x;?)(đ?’”đ?&#x;? −đ?&#x;’)

si evincono bene gli zeri del denominatore, detti poli.

Gli zeri sono immediati. Da s + 2 = 0 si ha s = - 2 (primo polo); da đ?‘ 2 − 4 = 0 si ottiene đ?‘ 2 = 4 ⇒ s = Âąâˆš4 = Âą 2. PoichĂŠ esiste una soluzione con parte reale positiva il sistema è instabile.

5.4.2

P(s) =

đ?’”−đ?&#x;? (đ?’”+đ?&#x;?)(đ?’” +đ?&#x;’)

Gli zeri del denominatore sono immediatamente s = - 2 e s = - 4. Indi il sistema è stabile. PiÚ precisamente si può parlare di stabilità asintotica.

5.4.3

P(s) =

(đ?’”+đ?&#x;?)(đ?’”−đ?&#x;?) (đ?’”+đ?&#x;?)(đ?’” +đ?&#x;’)(đ?’”−đ?&#x;?)

Gli zeri del denominatore, detti poli, sono ricavati immediatamente dalle relazioni seguenti

36


s+1=0 s–1=0 s+4=0 Dalla seconda si ricava s = 1. Il sistema è instabile.

5.4.4

P(s) =

đ?&#x;“(đ?’”+đ?&#x;?đ?&#x;Ž) (đ?’”+đ?&#x;“)(đ?’” +đ?&#x;’)(đ?’”−đ?&#x;?)

Gli zeri del denominatore si ricavano da s+5=0 s+4=0 s–1=0 Pertanto gli zeri sono s = - 5, s = - 4 e s = 1. Il terzo zero è positivo. Pertanto il sistema è instabile.

5.4.5

P(s) =

đ?&#x;“(đ?’”+đ?&#x;?đ?&#x;Ž) (đ?’”+đ?&#x;“)(đ?’”đ?&#x;? −đ?’”+đ?&#x;?đ?&#x;Ž)

Il primo polo si ricava da s + 5 = 0 e si ha s = - 5. Gli altri due zeri si ottengono quali soluzioni dell’equazione đ?‘ 2 − đ?‘ + 10 = 0. Le soluzioni sono s = =½¹

5.4.6

√39 đ?‘— 2 .

− (−1)Âąâˆš(−1)2 −4(1)(10) 2∗1

PoichÊ Re(z) > 0 allora il sistema è instabile.

P(s) =

đ?&#x;” (đ?’”+đ?&#x;?)đ?&#x;? (đ?’”đ?&#x;? +đ?’”+đ?&#x;?)

I primi due poli si ricavano da s +1 = 0 ovvero si ha s = - 1. Gli altri due poli si ottengono fattorizzando il trinomio di secondo grado. Usando la formula risolutiva dell’equazione di II grado si ha s = √3

Âą j2 .

37

− 1Âąâˆš(1)2 −4(1)(1) 2∗1

=-½


Osservo che Re(z) < 0, quindi il sistema è stabile. Esso è asintoticamente stabile.

6. Schema riassuntivo sulla stabilità Con le seguenti considerazioni è possibile definire in generale quando un sistema è stabile, asintoticamente stabile e instabile. Se tutti i poli sono negativi (nel senso che hanno parte reale negativa, potendo in generale la soluzione essere complessa) il sistema è asintoticamente stabile. Se tutti i poli sono negativi nel senso predetto, salvo uno ed uno solo che è nullo il sistema è stabile. Se almeno due poli sono negativi il sistema è instabile. Instabile è pure il sistema nel quale si ha almeno una soluzione con parte reale positiva.

7. Esercizi sulla stabilità – metodo di Bode. 7.1 Diagramma del modulo La funzione di trasferimento deve essere del tipo costanti di tempo. Sull’asse delle ascisse vengono inserite le đ?œ” in scala logaritmica nell’apposito diagramma contenente le decadi. Sull’asse delle ordinate viene collocato il modulo della funzione di trasferimento nella scala dei decibel (dB) ovvero 20 log10 ⎸đ??ş(đ?‘—đ?œ”)⎸ Esempio (1+đ?‘—đ?œ” 0,1)2

G(jω) = 0,1(1+đ?‘—đ?œ”2 )( 1+đ?‘—đ?œ”10) Osservo che k = 0,1 ⇒ 20 log10 (1/10) = 20(-1) = - 20 dB Ăˆ utile ricordare la definizione elementare di logaritmo, per la quale il logaritmo di un numero, nel caso di specie 1/10, è l’esponente al quale elevare la base, nel caso di specie 10, per ottenere il numero dato (1/10). Sia x detto logaritmo. Si ha 10đ?‘Ľ = 1/10 = 10−1 ⇒ x = - 1.

38


Come primo passo nel diagramma si disegna la retta orizzontale corrispondente a – 20 dB. Per i dati del problema si ha T = 0,1, đ?œ?1 = 2 đ?‘’ đ?œ?2 = 10 Ăˆ quindi possibile trovare gli zeri e i poli della f.d.t.. −1

10 1

⎸đ?‘§1 ⎸= ⎸đ?‘§2 ⎸= ⎸ đ?‘‡ ⎸= ⎸ 1 1⎸= 10 rad/sec (con molteplicitĂ 2) −1

−1

⎸đ?‘?1 ⎸= ⎸ đ?œ? ⎸ = ⎸ 2 ⎸= 0,5 rad/sec 1

−1

−1

⎸đ?‘?2 ⎸= ⎸ đ?œ? ⎸ = ⎸ 10 ⎸= 10−1 rad/sec. 2

Ăˆ possibile definire un ordinamento avendo ⎸đ?‘?2 ⎸ < ⎸đ?‘?1 ⎸ < ⎸đ?‘§1 ⎸. Quindi il grafico. 7.2 Diagramma di Bode della fase Il diagramma contiene le solite decadi per ω (in scala logaritmica). Sull’asse delle ordinate viene inserita la fase, quindi i valori angolari. Al solito si considera la funzione di trasferimento nella forma delle costanti di tempo. Se K è reale non si ha alcun contributo alla fase. đ?œ‹

Nel caso jω il contributo è di 2 . Ma occorrerĂ considerare anche il caso di (1 + jω). Esempio G(jω) = 0,1

1 (1+đ?‘—đ?œ”2)(1+đ?‘—đ?œ”10)

đ?œ?1 = 2 đ?‘’ đ?œ? 2 = 10 K = 0,1 non da contributi alla fase pertanto da ( - ∞, đ?‘? = min(đ?œ?1 ) ) la curva coincide con l’asse delle ascisse. Facendo i calcoli si ottiene che i due poli sono rispettivamente 1/10 e ½. Quindi il grafico. Nella costruzione del grafico può risultare utile ricordare che per rette parallele si ha l’eguaglianza dei coefficienti angolari e la distanza tra esse è costante.

39


LE MIE RICERCHE 2

Ancora sui quadrilateri convessi con lati interi

Ho giĂ nel passato avuto modo di riferire della questione dei quadrilateri convessi di un piano aventi i lati interi. Tale problematica mi si era ridestata quando mi interessavo al teorema di Fermat. Avevo dato la costruzione di essi tenendo conto della esistenza di coppie di terne pitagoriche aventi un elemento in comune. Data una terna pitagorica essa si scrive < a, b, c>, ove essa significa che đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 = đ?‘? 2 , ove a b e c sono tre interi positivi. Le terne <a, b, c> e < b, a, c> sono la stessa terna. Esistono terne distinte aventi un elemento in comune; ad esempio < a, b, c> e < r, c, s > = < c, r, s>. La nota costruzione mi aveva fatto sorgere il dubbio che potessero esistere altre tipologie, oltre quelle banali, di quadrilateri convessi i cui lati sono interi. Vi è sicuramente una ulteriore ipotesi, quella per la quale data una terna <a, b, c>. Essa è elementare in quanto per detto triangolo è possibile considerare il simmetrico rispetto alla ipotenusa. Detto quadrilatero di lati a e b esiste ed e immediatamente costruibile. Il problema si complica successivamente quando si evidenzia che non esistono tre terne distinte aventi un elemento in comune. Non esiste quindi un quadrilatero convesso avente lati interi e tutti di misura diversa quando le diagonali del quadrilatero sono intere e ortogonali tra loro. Mi sono deciso a ipotizzare una costruzione. Sia dato un sistema di ascisse. Sia l’origine O cui corrisponde il numero 0. Si voglia costruire un quadrilatero convesso di lati interi a, b, c, e d. Sulla retta di origine O i punti a, b, c, e d, corrispondono rispettivamente a segmenti di corrispondenti lunghezze. Si ammette siano intere. I punti 0, a, b, c, d definiscono anche un ordine di precedenza, nel senso che il punto a precede il punto b che precede il punto c, etc. Con centro in b e apertura (b-a) individuo una circonferenza di raggio (b –a). Analogamente con centro nel punto c e con apertura (d-c) costruisco una semicirconferenza di raggio (d-c).

40


Le due semicirconferenze si intersecano in un punto. Da detto punto si può mandare un segmento di perpendicolare. Si consideri una distinta retta, r , tangente ad esse semicirconferenze in due punti (uno su una e l’altro sulla seconda). Sia HK il segmento che essa definisce coi punti H e K delle due circonferenze. Se il segmento HK ha misura Oa il problema è risolto. Ě…Ě…Ě…Ě… il problema è risolubile con la seguente costruzione. Ě…Ě…Ě…Ě… > đ?‘‚đ?‘Ž Se đ??ťđ??ž Si consideri la retta r’ parallela ad r e passante per il punto comune alle due circonferenze. Tra dette parallele passa un numero infinito di parallele. Tra esse esiste ed è unica Ě…Ě…Ě…Ě… . quella parallela che stacca un segmento di misura pari a đ?‘‚đ?‘Ž La costruzione è immediata. Ě…Ě…Ě…Ě… . Sfugge alla costruzione il caso sia Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ??ž < đ?‘‚đ?‘Ž In questo caso una costruzione è astrattamente realizzabile con un movimento rigido del segmento Oa fino a farlo giacere su una retta parallela alla retta r’ dalla parte opposta rispetto alla regione definita precedentemente tra le rette r ed r’. Questo modo di procedere “baypassaâ€? la laboriositĂ di un altro metodo che potrebbe poter condurre al quadrilatero convesso di lati interi, quando le diagonali di esso non sono ortogonali e non necessariamente le semidiagonali siano intere. Questo modo di procedere mia aveva infatti condotto a chiedermi quando per 0 < đ?œ‹ sin đ?›ź đ?›ź < 2 e 0 < β < Ď€/2 risulta essere đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?›˝ è un numero razionale.

41


Proprietà letteraria e intellettuale Nell’elaborare il presente documento ho inevitabilmente attinto a fonti, indicate nel testo. Per quanto attiene alle “figure” – utilissimo supporto – queste sono state estratte da Internet nella presunzione che quanti le hanno collocate ne avessero titolo. In questo caso non mi è stato possibile citare la fonte. Questo elaborato non ha fini di lucro. Ne è consentita la diffusione, anche totale, purché, senza finalità lucrative e commerciali, venga citata la fonte, con l’indicazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.

42


43


pubblicazione a cura di Pascal McLee

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