Ripensare l'Oratorio

RIPENSARE L’ORATORIO Workbook per raccogliere e riprogettare Diocesi di Crema | Servizio per la Pastorale Giovanile e degli Oratori

DIOCESI DI CREMA SERVIZIO PER LA PASTORALE GIOVANILE E DEGLI ORATORI

RIPENSARE L’ORATORIO Workbook per raccogliere e riprogettare

31 gennaio 2018 1

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Introduzione Oratorio ieri, oggi e sempre.

Riteniamo opportuno fare una sintesi di ciò che fino ad oggi abbiamo potuto vivere e di tutto ciò che in questi anni ci ha formati sul tema dell’Oratorio. La nostra Diocesi di Crema ha la grazia di poter contare sull’Oratorio, tempo, luogo e infinte possibilità per vivere la fede e le relazioni con uno stile davvero speciale, manifestando la presenza di un Dio visibile nel quotidiano e un quotidiano che non è estraneo a Dio. Bambini, ragazzi, giovani e adulti, cammini, campi scuola, Grest, moltissime attività, preghiere e riflessioni che hanno segnato la storia di molti di noi e continuano ad arricchire la vita dei ragazzi e di tutti coloro che condividono questa avventura.

L’Oratorio, come lo ha pensato don Bosco, è sopravvissuto alla storia proprio perché ha vissuto nella storia, ha cercato di recepire le istanze dei giovani e delle comunità, ha saputo mettersi in ascolto della vita e non si è mai tirato indietro nel vivere gioie e fatiche. Proprio per questo è importante fare tesoro di tutto ciò che per grazia abbiamo potuto compiere fino ad ora e riprendere il cammino mettendo al centro domande, esigenze, doni, sfide e fatiche del nostre tempo, per poter offrire un cammino di fede e la bellezza di relazioni significative anche oggi. L’Oratorio per poter vivere non può stare fermo, deve ridirsi qual è il suo fondamento ma deve continuamente dialogare con coloro che lo vivono e anche con tutto il mondo “esterno”. L’Oratorio ha l’opportunità di cercare vie nuove per ridire una Buona Notizia sempre attuale.

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In questa pubblicazione potete trovare tutti i Convegni degli Oratori e anche ciò che i nostri Vescovi hanno sottolineato nei documenti diocesani, frutto di dialogo e confronto. Ora è necessario, con lo zaino arricchito di tutto ciò che abbiamo vissuto, gettare lo sguardo e il cuore nel nostro tempo. Il Sinodo Mondiale sui Giovani e tutta la riflessione della Chiesa, ci offriranno nel 2019 nuovi orientamenti per pensare e vivere la pastorale giovanile, ma è anche necessario che a livello diocesano possiamo riprendere il cammino vivendo con speranza e fede le opportunità e le sfide che abbiamo davanti. Questo non vuole essere il tempo della rassegnazione o delle attese, ma il tempo propizio delle opportunità. Abbiamo davanti a noi la possibilità di dare un volto nuovo ai nostri Oratori: ripensarli nei contesti delle Unità Pastorali, ricreare alleanze educative vitali e arricchenti, offrire uno spazio e tempo pensato, vivere relazioni significative e soprattutto donare la buona Parola del Signore mostrando loro la bellezza della fede.

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno lavorato con passione e amore in Pastorale Giovanile, nei nostri Oratori e a tutti coloro che continueranno, con gratuità e fede, a dedicare tempo e risorse per i nostri Oratori e per i giovani.

Dio benedica il nostro cammino.

don Stefano Savoia

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Mappa dei documenti • XXII Sinodo della Diocesi di Crema (1994) • Strumento per un progetto di Pastorale Giovanile – Lo guardò con amore (2004) • Lettera pastorale – Trasmettere la fede battesimale (2009) • Orientamenti Pastorali 2010-2020 – Educare alla vita buona del Vangelo (2010) • Assemblea Ecclesiale (2010-2011) • Lettera Pastorale – Seguire Gesù, Maestro di vita (2011) • Convegno diocesano degli Oratori – Mi fido, ci pensiamo, mi (ri)metto in gioco (2013) • Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori – Il laboratorio dei talenti (2013) • Convegno diocesano degli Oratori – Tu sei prezioso ai miei occhi (2014) • Convegno diocesano degli Oratori – Costruire e realizzare il progetto dell’Oratorio (2015) • Linee Guida per la revisione dell’Itinerario di Iniziazione Cristiana (2015) • Restituzione degli Oratori – Le dodici parole (2015) • Convegno diocesano degli Oratori – Pensa, credi, sogna, osa (2016)

• Ricerca IPSOS sugli Oratori Cremaschi – L’Oratorio oggi (2016) • Convegno diocesano sugli Oratori – Cambiamo insieme! (2017) • XV Sinodo dei Vescovi – Risposta al questionario (2017)

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XXII Sinodo della Diocesi di Crema Il XXII Sinodo diocesano di Crema è stato l’ultimo sinodo celebrato nella nostra diocesi. Sono state trattate diverse e importanti tematiche della vita pastorale tra cui, per quanto riguarda la pastorale giovanile, la questione dell’Oratorio.

Le costituzioni sono stare promulgate nel 1994.

La struttura del documento sinodale presenta un’introduzione sulla situazione rilevata rispetto all’argomento e diverse raccomandazioni come orientamento pastorale.

L’Oratorio L’Oratorio luogo educativo 637. Il luogo in cui i ragazzi e adolescenti vivono normalmente l’esperienza di fede è, nella nostra tradizione, l’Oratorio.

In esso trova unità la missione della Chiesa di offrire ai ragazzi a ai giovani uno spazio in cui sperimentare la vita fraterna e gli atteggiamenti della vita cristiana, educarsi alla fede e partecipare alla vita della comunità.

Pur in presenza di carenze e difficoltà, sono sempre più chiari, in tutte le nostre comunità, l’importanza e il valore dell’Oratorio. È un luogo aperto a tutti, ma non anonimo: ha un’identità ben precisa. È definito dalle proposte educative, non dalle strutture; la sua immagine dipende dal gruppo degli educatori che, con il sacerdote e le suore, sono presenti. È una comunità di persone, animate da un impegno educativo. È quindi luogo di crescita nella fede attraverso la catechesi e la liturgia, di aggregazione, di animazione del tempo libero, di attività caritative, di iniziative spirituali, culturali, ricreativo-sportive.

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Raccomandazioni Un progetto educativo 638. Contro i rischi dell’occasionalità e della ripetitività ogni Oratorio si dia un progetto educativo e un cammino da perseguire, presentandolo al Consiglio Pastorale Parrocchiale. A questo proposito è opportuno che in ogni Oratorio vi sia un Consiglio, presieduto dal parroco, rappresentativo delle realtà che in essa operano, con il compito di coordinare, proporre e sostenere le diverse iniziative; vi sia uno statuto, che chiarisca ruoli ed attività; vi sia l’affiliazione all’ANSPI, che offra garanzie giuridiche.

A livello diocesano si forniscano delle linee comuni, si coordino iniziative, si facciano proposte, si sostengano le realtà in difficoltà. È auspicabile a questo proposito l’organizzazione di una sede, come punto do riferimento per coordinare le diverse iniziative e per l’offerta o lo scambio di materiale e sussidi.

Il gruppo degli educatori 639. L’Oratorio realizza il progetto educativo attraverso la comunità degli educatori: il sacerdote, le religiose (dove è possibile), i catechisti, gli animatori. La scelta educativa è globale (non c’è solo la catechesi o solo l’attività sportiva). È necessario quindi ribadire la scelta metodologica e fondamentale dell’animazione e curare la preparazione e la competenza degli animatori, facendo cogliere come tale servizio può essere vero ambito di crescita personale e vera modalità di servizio.

Gli Oratori maschili e femminili 640. Nella nostra diocesi non esiste quasi più la distinzione tra Oratori maschili e femminili; è buona cosa però che vi siano anche proposte differenziate di catechesi, di carità, per il tempo !7

libero, con educatori attenti. A questo proposito si valorizzi il ruolo delle religiose, già presenti negli Oratori più grandi.

Collaborazione tra Oratori 641. Si creino spazi di collaborazione e scambio tra Oratori diversi, non solo in occasione dell’attività estive dei Grest, soprattutto a livello zonale o tra parrocchie vicine con caratteristiche comuni e con sacerdoti disponibili.

Appuntamenti diocesani possono utilmente scandire un cammino comune; anche la forma del convegno su problemi della realtà giovanile può diventare tappa e strumento di partecipazione.

Per un collegamento tra diverse realtà e per un utile diffusione e scambio di informazioni possono essere utilmente usati anche i mezzo di comunicazione sociale diocesani come “Il Nuovo Torrazzo”, “Radio Antenna 5” o un “foglio di collegamento”.

Il Centro Giovanile San Luigi 642. Il Centro Giovanile San Luigi può diventare utile punto di riferimento per le attività delle parrocchie, senza divenire un Oratorio interparrocchiale, per attività formative, culturali, sportive o di animazione, recuperando anche una dimensione propositiva.

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Lo guardò con amore Il testo è lo strumento per un progetto di pastorale giovanile pubblicato nel 2004 e rimane tutt’ora il riferimento per l’azione della pastorale giovanile diocesana.

L’Oratorio è collocato, in questo documento, fra gli strumenti della Pastorale Giovanile.

Estratto 25. Parliamo di "strumenti" nel senso più nobile della parola per indicare un insieme di luoghi e di "realtà educative ecclesiali" strutturate e organizzate con funzione di supporto alla pastorale giovanile. Ci chiediamo: quali strumenti sono offerti oggi al giovane per il suo cammino di fede? Di quali strumenti dispongono le comunità e i vari operatori per una pastorale giovanile adeguata? Quali altri strumenti si possono attivare? Quali i rapporti e le sinergie da attivare, nella convinzione che oggi solo una proposta organica, che lavori in rete, può essere efficace? La pastorale solitaria, soprattutto in questo campo, qualora anche fosse mossa da generosità e buone intenzioni, non può rispondere agli obiettivi di una seria pastorale giovanile.

Gli strumenti di educazione alla fede 27. L'Oratorio. Tra gli strumenti e le modalità dell'accoglienza e della formazione a livello parrocchiale vogliamo sottolineare anche l'importanza dell'Oratorio. Entrato a pieno titolo nella nostra tradizione pastorale, esso è ancora il luogo e la modalità fondamentale nel quale, in forma strutturata, avviene "l'offerta di accoglienza", occasione per incontri variegati tra giovani e comunità in ambienti educativi”. L'esperienza evidenzia la ne!9

cessità che gli oratori si aprano ad una cultura dell'accoglienza, della tolleranza e della condivisione. Ciò deve esprimersi anche in scelte strutturali, organizzative e tramite presenze educative più attente alle nuove esigenze e modalità di vita del ragazzi, accogliendo e orientando in questo senso quelle presenze che già tradizionalmente offrono una proposta aggregativa e formativa umana e cristiana nell’ambito sportivo e animativo (come il CSI). Tali attenzioni si rendono oggi ancor più necessarie, vista la tendenza diffusa ad accettare che l'Oratorio sia più luogo di aggregazione familiare che giovanile auspicabile che ogni Oratorio stenda un suo progetto e un regolamento: da confrontare e verificare a livello diocesano. Là dove ci sono le forze si sollecita l'istituzione di un Consiglio dell'Oratorio che, sotto la direzione del sacerdote, verifichi che i percorsi individuati siano conformi agli obiettivi. Lo stesso Santo Padre ha affermato "Rilanciate gli oratori, adeguandoli alle esigenze dei tempi, come ponti tra la Chiesa e la strada".

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Trasmettere la fede battesimale Nella lettera pastorale dell’anno 2009 il Vescovo invita a fare una sosta di revisione del cammino battesimale compiuto nel triennio precedente.

L’Oratorio, in questo documento, trova spazio come luogo di conversione pastorale con l’invito a riscoprire la parrocchia nella sua primaria funzione, quella di essere soggetto e luogo di un cammino educativo della fede, diventando una Chiesa della speranza e della gioia.

Estratto 40. Un luogo sul quale tradizionalmente – e ancora in tempi recenti – le nostre parrocchie hanno fatto notevoli investimenti è l’Oratorio. Penso che esso abbia bisogno di uno stimolo perché possa ritornare ad essere un luogo significativo di pastorale giovanile, guidato da un preciso progetto educativo.

Infatti, pur riconoscendo la positività della storia dei nostri oratori, essi sono oggetto di alcuni rischi, che hanno portato difformità tra Oratorio e Oratorio: si pensi al peso a volte smodato della personalità del sacerdote che lo conduce; a ricorrenti iniziative dalle prospettive troppo corte sotto il profilo educativo; al venir meno di significative figure di educatori; a un’eccessiva trasformazione in centri di aggregazione familiare più che giovanile; alla non sempre chiara collaborazione educativa con società sportive nate e presenti nell’Oratorio; alle possibilità di collaborazione con l’ente pubblico. Tutto ciò rende necessaria una conversione pastorale che prenda avvio da un preciso progetto educativo, espressione del senso di responsabilità di una parrocchia nei confronti delle fasce giovanili e occasione per concretizzare anche nella vita oratoriana quanto lo Spirito suggerisce di nuovo alla Chiesa. !11

Educare alla vita buona del Vangelo Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 intendono offrire alcune linee di fondo per una crescita concorde delle Chiese in Italia nell’arte delicata e sublime dell’educazione.

Il capitolo dedicato alla “Chiesa, comunità educante”, riporta l’Oratorio come lo strumento che esprime la passione educativa della comunità attraverso esperienze e linguaggi differenti.

La parrocchia, crocevia delle istanze educative 41. Solo una comunità accogliente e dialogante può trovare le vie per instaurare rapporti di amicizia e offrire risposte alla sete di Dio che è presente nel cuore di ogni uomo. Oggi si impone la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali e arricchiti dalle acquisizioni di quanti operano nell’ambito della comunicazione, della cultura e dell’arte. Per questo è necessario educare a una fede più motivata, capace di dialogare anche con chi si avvicina alla Chiesa solo occasionalmente, con i credenti di altre religioni e con i non credenti. In tale prospettiva, il progetto culturale orientato in senso cristiano stimola in ciascun battezzato e in ogni comunità l’approfondimento di una fede consapevole, che abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società.

La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l’uomo.

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Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e servizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica.

Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una “pastorale integrata” secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano.

42. Un ambito in cui tale approccio ha permesso di compiere passi significativi è quello dei giovani e dei ragazzi. La necessità di rispondere alle loro esigenze porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie educative.

Tale dinamica incide anche su quell’espressione, tipica dell’impegno educativo di tante parrocchie, che è l’Oratorio. Esso accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’Oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio.

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Assemblea Ecclesiale 2011 Al termine della Visita Pastorale, il Vescovo Oscar Cantoni indice l’Assemblea Ecclesiale per volgere uno sguardo prospettico sul cammino futuro della Chiesa di Crema.

L’Oratorio diventa più volte oggetto di riflessione: nella fase preparatoria, nello strumento di lavoro e nelle conclusioni.

Fase preparatoria Il cammino formativo del credente 1.4 Giovani e formazione – Si propone L’Oratorio resta un luogo/soggetto di primo piano nella educazione giovanile. Il suo progetto educativo contempli anche una attenzione al cammino dei singoli ragazzi. La prova di fecondità di una impostazione d’Oratorio, sarà la fioritura di vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e alla ministerialità laicale.

Il volto missionario delle nostre parrocchie 2.3 Giovani missionari – Si rileva Accanto a tutte queste note di fatica e difficoltà (abbandono della fede, domande di senso che si pongono i giovani, sofferenze e fatiche dei giovani) non mancano giovani motivati, cardini dei nostri oratori e delle nostre parrocchie, che non hanno paura di essere protagonisti di una autentica esperienza di fede e non negano mai la propria generosa disponibilità.

Il volto missionario delle nostre parrocchie 2.3 Giovani missionari – Si propone L’Oratorio è soggetto di primo piano per un’azione missionaria nel mondo giovanile. Alle occasioni ricreative e di amicizia, si affianchi la preghiera, l’attenzione al singolo, esperienze di !14

servizio, di volontariato, di carità, di associazionismo, presidio di continuità anche dopo cambio di preti. Il volontariato deve essere animato soprattutto dai giovani stessi.

Strumento di lavoro La formazione dei giovani e degli adolescenti 48. Una attenzione particolare è stata chiesta per quell’espressione tipica dell’impegno educativo di tante parrocchie, che è l’Oratorio. Occorre renderlo luogo adatto ad accompagnare nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni. L’Oratorio, pur adattandosi ai diversi contesti, deve sempre esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio. Tra le attività dell’Oratorio una particolare attenzione meritano i grest estivi, diffusi e perfezionati in questi anni anche con percorsi per animatori: essi hanno tante potenzialità e offrono opportunità educative e di aggregazione delle fasce giovanili che vanno utilizzate al meglio. L’attività dell’Oratorio si esprime anche nei campi-scuola, momenti straordinari di educazione, che vanno incentivati. Si chiede: progettualità, preparazione di animatori, messa in rete degli oratori.

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Conclusioni Alcune scelte operative Da parte mia, quale pastore di questa Chiesa, dopo aver ascoltato tutti, attraverso molti confronti, e dopo aver pregato a lungo, indico alcune scelte pastorali, che ritengo possibili attuare fin da subito e sulle quali invito tutti a convergere (...).

IV. La missionarietà della parrocchia esige che gli spazi della pastorale si aprano a nuove figure ministeriali, riconoscendo compiti di ministerialità a tutte le forme di vita cristiana e a tutti i carismi che lo Spirito suscita. Non si tratta di un compito di supplenza per il venir meno dei ministeri ordinati, ma di promuovere la molteplicità dei doni che il Signore offre e la varietà dei servizi di cui la Chiesa ha bisogno. Per le nostre parrocchie queste “nuove forme di ministerialità”, al di là di quelle già conosciute (catechisti, animatori liturgici, ministri straordinari della Comunione, volontari per l’assistenza ai malati, ecc.) si possono così tradurre: i catechisti battesimali (in vista del nuovo modello di iniziazione cristiana); le coppie di sposi che si dedicano alla formazione dei fidanzati o dei gruppi famiglia; gli educatori stabili per l’animazione e la gestione degli oratori, dei grest, dei campi scuola, ecc.; gli animatori dei centri di ascolto della Parola di Dio nelle case; gli animatori della carità; gli animatori della cultura.

Invito le commissioni diocesane, secondo le rispettive competenze, a promuovere corsi di formazione in vista di un mandato.

VIII. Un’ultima scelta mi sembra quanto mai urgente, anche in ossequio al decennale piano pastorale della Chiesa italiana sull’educare alla vita buona del Vangelo. La diocesi potrà offrire una scuola di formazione per genitori ed educatori insieme !16

(compresi gli insegnanti delle scuole, i genitori della scuola cattolica e gli animatori di Oratorio). “Gli educatori devono essere ricchi di umanità, maestri, testimoni e compagni di strada, disposti ad incontrare (i giovani) là dove sono, ad ascoltarli, a ridestare le domande sul senso della vita e sul loro futuro, a sfidarli nel prendere sul serio la proposta cristiana, facendone esperienza nella comunità”.

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Seguire Gesù, Maestro di vita Nella lettera pastorale dell’anno 2011-2012 il Vescovo invita a passare dalle buone intenzioni emerse dall’Assemblea Ecclesiale alle buone azioni, per dare un volto nuovo alle comunità e per rispondere ai nuovi scenari mediante un’evangelizzazione nuova.

L’Oratorio, in questo documento, trova spazio come luogo di educazione indicando il superamento dell’Oratorio come mero luogo aggregativo.

L’Oratorio 55. Sarà importante rendere sempre più i nostri oratori dei veri centri educativi, evitando il rischio che lentamente si riducano a luoghi di aggregazione. Perché l’Oratorio recuperi una centralità educativa è necessario che qualifichi i propri catechisti, gli educatori e gli animatori, servendosi delle proposte che la diocesi mette a disposizione (scuola dei formatori). Suggerisco, anche a fronte delle esigenze delle famiglie, di offrire, ove possibile, progetti complessivi e integrati (non un semplice accostamento di iniziative) che comprendano l’aggregazione, la catechesi, il doposcuola per i ragazzi, i laboratori e la formazione. Dal punto di vista dell’aggregazione e del divertimento, l’Oratorio non può (e non deve) competere con le moltissime proposte laiche; può invece esercitare fascino e destare nuovo interesse se sa rispondere all’emergenza educativa con pro getti formativi seri e ben strutturati. Sarà, di conseguenza, importante dedicare, all’inizio dell’anno pastorale, un congruo lasso di tempo per redigere dei progetti che siano incisivi, magari coinvolgendo specialisti e altri soggetti promotori (scuola, Comune, ASL, associazioni, Ufficio di Pastorale Giovanile, Caritas…). Si propongano, inoltre, incontri di alto profilo a livello !18

interparrocchiale/zonale sulle problematiche educative per sostenere le famiglie nel difficile compito di educare. Riguardo ai Grest si curino, accanto all’aggregazione e alle proposte ludiche, anche tempi di riflessione e di preghiera, esperienze di servizio e confronto con testimoni. In questa prospettiva, anche il Centro Pastorale San Luigi, realizzi un progetto di ampio respiro da offrire a tutta la città , in collaborazione anche con gli altri soggetti educanti e le singole parrocchie cittadine.

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Mi fido, ci pensiamo, mi (ri)metto in gioco Nel 2013 è celebrato il primo convegno diocesano degli Oratori che ha permesso di mettere in discussione, in senso positivo, l’Oratorio nella nostra Diocesi.

Saluto di Mons. Oscar Cantoni Saluto tutti voi: intervenuti con interesse a questa proposta della Pastorale Giovanile dalle varie parrocchie della Diocesi.

Ringrazio quanti hanno organizzato questo convegno e i relatori che ci aiuteranno ad affrontare il tema Oratorio in maniera approfondita e competente. Nella nostra Diocesi l’Oratorio è presente in almeno una cinquantina di parrocchie: una cifra assai significativa, che esprime l’importanza che la Chiesa di Crema attribuisce a questa istituzione, frutto della singolare intuizione di don Bosco. Per una parrocchia l’Oratorio è una grande risorsa a servizio della nuova evangelizzazione, un’opportunità preziosa che permette di dare visibilità alla parrocchia intesa come “famiglia delle famiglie”, una famiglia che si prende cura della crescita integrale della persona (specialmente dei ragazzi e dei giovani). L’Oratorio non è da intendersi solo come un mezzo che preserva i ragazzi dal gioco d’azzardo, dall’alcool o dalla droga (sarebbe ben riduttivo!), ma luogo che favorisce la costruzione di personalità robuste, fondate sulla proposta di Gesù, attraverso molteplici elementi (vita di gruppo, catechesi, gioco, preghiera, con spazi per un approfondimento culturale, per lo sport, per la musica, ecc. mediante tempi di condivisione, attraverso segni di solidarietà e momenti di festa). Credo sia chiaro per tutti che l’Oratorio non è neppure un posteggio a buon mercato per trascorrervi il tempo libero, né un contenitore vuoto o un luogo neutro: pro!20

prio perché è un ambiente educativo (l’educazione non è mai neutra!) è un luogo accogliente, che genera relazioni buone, che suscita la gioia di stare insieme, di vivere amando e servendo, che favorisce l’interesse per gli altri e la partecipazione alla vita della comunità, attraverso un progetto educativo all’altezza dei tempi e della nostra situazione socio-ecclesiale.

Con la sua dimensione ben precisa (è una struttura ecclesiale), l’Oratorio si pone in rapporto dialogico anche con quanti sono lontani dal progetto cristiano, o lo hanno abbandonato. È una grande occasione missionaria perché permette un dialogo sincero con tutti, con grande rispetto, nella consapevolezza che le persone maturano con tempi diversi e hanno bisogno di una elaborazione lenta, anche del progetto cristiano. Ma l’Oratorio prende forma e valore non solo per le sue strutture (per quanto siano necessarie e accoglienti), ma per le persone che lo animano, a partire dallo spirito di accoglienza degli educatori presenti e dalla profondità della testimonianza della loro fede: siano essi laici e laiche, giovani e genitori, sacerdoti e suore.

L’Oratorio non può essere lasciato in balìa di qualcuno, o gestito da un gruppo che prescinde da una programmazione parrocchiale unitaria, senza un coinvolgimento dell’intera comunità parrocchiale, ma esige persone responsabili, che concordano un progetto e lo realizzano in piena sintonia con le famiglie, i genitori, che restano i primi e indispensabili testimoni di fede davanti ai loro figli, gli educatori, i dirigenti sportivi, ecc.

Ecco perché auspico che da questo convegno nasca la decisa volontà di costituire un gruppo diocesano che rielabori le linee costitutive dell’Oratorio, prepari un progetto educativo a cui le singole parrocchie possano ispirarsi, adattandolo secondo le esigenze della comunità. Nello scorso anno pastorale, con il piano pastorale: “Gesù maestro di vita”, ho insistito perché come comunità cristiana ci impegnassimo nel “formare i for!21

matori”: se la Pastorale Giovanile diocesana programmasse la formazione di nuovi educatori di Oratorio [mediante dei corsi appositi], potremmo dire di aver fatto un ulteriore servizio a quanti (giovani, educatori, genitori, persone consacrate) potrebbero vivere il loro servizio come un vero e proprio ministero ecclesiale. È sufficiente questo per sottolineare quanto sia importante il convegno che stiamo per incominciare, invocando l’aiuto del Signore, per l’intercessione di S. Giovanni Bosco, patrono di questo Oratorio.

Ripensare l’Oratorio a cura di don Marco Mori Siamo in un Oratorio nuovo e già lo ripensiamo? In realtà il tema del ripensare l’Oratorio è un tema dell’Oratorio. Non è un problema che l’Oratorio continui a ripensarsi; è un problema se non si ripensa. Voi potreste leggere la storia degli oratori come cambiamenti continui anche nel tempo. Ad ogni età, situazione e consapevolezza ecclesiale nuova sia corrisposto fondamentalmente anche un Oratorio di tipo diverso, perché l’Oratorio tradirebbe la propria vocazione se non si cambia.

Perché il modo di educare un po’ cambia, i problemi dei ragazzi un po’ cambiano, la nostra vita ecclesiale cambia rispetto alle consapevolezze che abbiamo. L’Oratorio da questo punto di vista è un’antenna sensibilissima a questi cambiamenti. Se cambiano i bisogni delle famiglie per l’educazione dei ragazzi, anche l’Oratorio cambia e si ripensa. Il problema non è quando ripensiamo l’Oratorio, ma quando non lo ripensiamo. O meglio, quando ci preoccupiamo soltanto dei cambiamenti superficiali, quando non ci diamo da fare perché il cambiamento sia vero e profondo, cioè intercetti l’anima dell’Oratorio e dei ra!22

gazzi. L’Oratorio cambia sull’anima, sui bisogni educativi della comunità e dei ragazzi che abbiamo di fronte.

Ho l’impressione che alcune volte nelle nostre comunità le resistenze ai ripensamenti, ai cambiamenti dell’Oratorio, ci sono perché in alcuni momenti ci soffermiamo sui particolari e non sull’anima; perché viviamo alcune “lotte di potere” all’interno delle nostre comunità rispetto agli oratori e non ci fermiamo a sufficienza a domandarci quali sono le vere sfide su cui l’Oratorio deve cambiare. Più ci facciamo queste domande, più ci diamo tempo per capire qual è l’anima dell’Oratorio, più avremo meno problemi anche dal punto di vista del cambiamento. Per cambiare abbiamo bisogno di vedere sempre meglio e di mettere a fuoco quali sono le vere sfide della comunità e dei ragazzi che abbiamo di fronte.

Quanto diceva il Vescovo sulla progettualità diocesana è fondamentale. È importante che un servizio diocesano dica alla sua Diocesi: le sfide, le attenzioni, le questioni nodali su cui noi dobbiamo concentrarci come Oratorio sono queste. Come pure è importante che la comunità di Oratorio si soffermi a pensare quali sono le vere sfide in quel momento. Dal mio punto di vista (da quello che vedo, dall’esperienza che faccio, da quello che sento nel contatto con gli oratori) vorrei dirvi quali sono alcune di queste sfide che vi invito a tenere presente per ripensare l’Oratorio. Ovviamente magari non sono immediatamente traducibili dentro alcuni percorsi ed atteggiamenti, ma penso che questo non sia nemmeno il mio compito in questo momento.

1. La prima sfida consiste nel ripensare il legame tra antropologia e annuncio. In parole povere: il rapporto tra la questione educativa, umana, la crescita di un ragazzo e l’annuncio del Vangelo. A me pare che in questo momento questa sia una sfida vera, profonda, perché i modelli concreti con cui stiamo andando avanti mi pare che non !23

vadano più bene. I modelli sono due: abbiamo oratori che da una parte fanno cammini educativi e dall’altra parte cammini evangelici; questo modello non va bene. Non serve né all’educazione, né al Vangelo. O, dall’altra parte, abbiamo dei modelli che semplicemente li intrecciano, li sovrappongono. Quindi il cammino di evangelizzazione all’interno di un Oratorio è la preghiera all’inizio o alla fine; o il segno di croce tra il primo e il secondo tempo.

Cioè una serie di segni che mettiamo per dire: ragazzi, siamo in Oratorio! Questo modello perde l’incarnazione, la prospettiva più importante che la nostra fede ci ha dato, che Gesù è pienamente uomo e pienamente Dio. Questa intuizione è il metodo fondamentale dell’Oratorio. Ma noi dobbiamo ricostruire dei processi in cui ci sia pienamente tutto l’uomo e tutto il Vangelo, non la distanza o la semplice presenza formale; abbiamo bisogno di ricomporre l’unità fra i due momenti e questa si compie con persone, educatori pienamente uomini e pienamente cristiani; il che non significa perfetti, ma impastati di umanità e di Vangelo, azioni che siano intelligentemente messe insieme.

2. La seconda sfida porta a pensare alla dinamica, al rapporto tra la proposta individuale e la dimensione comunitaria. Oggi la dimensione del gruppo con i ragazzi è un po’ in divenire, soprattutto in un percorso che non richiede il gruppo come base. Oggi la nostra società insiste molto sui percorsi individuali. In questo momento non facciamo fatica, come Oratorio, a intercettare individualmente i ragazzi. Basta che ci sia un prete un po’ disponibile, un animatore bravo e in gamba che intesse relazioni con i ragazzi ma alcune volte facciamo fatica ad uscire da una proposta educativa che non sia legata soltanto al singolo, !24

all’individuo. I percorsi comunitari fanno una gran fatica.

Questa è una cosa su cui ripensare l’Oratorio. Io penso che non possiamo scegliere un modello di relazione con la singola persona o con il gruppo, ma occorrono tutti e due all’interno dell’Oratorio. L’apporto educativo dell’Oratorio nel nostro contesto mi pare che trovi particolare fascino, perché non ci appiattiamo sul singolo ma crediamo in una proposta comunitaria reale. I nostri ragazzi hanno bisogno di fare un’esperienza vera della dimensione comunitaria, “del noi”. L’Oratorio offre una realtà concreta di comunità. Quando ad un animatore durante il Grest chiedi di prendersi cura dei più piccoli, proponi la realtà comunitaria, gli altri, come un passaggio fondamentale che entra nella vita. Mi pare che oggi i ragazzi non abbiano così tante possibilità di fare un’esperienza reale dell’alterità. È molto più declinata sulla virtualità, su quello che non esiste, su quello che desidero ma non c’è, mentre invece la realtà comunitaria (questo Oratorio, questi ragazzi, questi educatori) sono una dimensione necessaria oggi, profondamente concreta e reale. Ma in realtà è una delle sfide da raggiungere oggi. Mi pare che in questa dinamica l’attenzione al singolo senza rinunciare alla dimensione comunitaria sia un passaggio fondamentale.

3. Come misurare l’efficacia educativa dell’Oratorio? Alcune volte mi sembra che tanti oratori abbiano ancora la preoccupazione di misurarsi sui numeri e allora misuriamo se siamo efficaci o meno da quanti ragazzi abbiamo, da quanto introito facciamo sulle feste dell’Oratorio… Oggi anche noi potremmo essere tentati di valutare il rapporto con i ragazzi prendendo in esame solo dei criteri che ci portano a fare una valutazione quantitativa e !25

non qualitativa. Mentre è importante investire sui ragazzi, abituarci a misurare l’efficacia educativa sui processi prima che sui risultati.

4. La sfida del luogo e del tempo. L’Oratorio è anche una casa; la famiglia senza una casa non esiste, non può stare in piedi e nella nostra dimensione umana il tema del luogo e del tempo che abito è fondamentale. A volte idolatriamo il tema dello spazio (se avessi un bello spazio in Oratorio riuscirei a fare tante cose… e intanto non le fai e nemmeno le pensi) mentre invece è importante che sul tema concreto del luogo e del tempo che abitiamo con i ragazzi mettiamo alcune logiche educative di Oratorio come la bellezza e l’essenzialità, la programmazione e l’accoglienza, la complessità e la personalizzazione, la differenza e la creatività... Pensare come abitare lo spazio e il tempo con i nostri ragazzi è fondamentale.

5. L’altra variabile fondamentale che accenno solo è il tema della corretta esperienza educativa. L’Oratorio educa perché fa fare esperienze. Non è la scuola, non si fa teoria dell’educazione ma chiediamo ai nostri ragazzi di mettersi in gioco, di fare un cammino, un’esperienza. La logica educativa è inserire un corretto processo educativo nelle cose che facciamo fare. Il concetto giusto di esperienza educativa è che io ti faccio fare una cosa perché solleciti in te tutto quello che ti serve per costruire e far crescere te stesso. Però occorre farlo correttamente. I nostri oratori fanno fare tante cose ma poche volte seguono una logica di esperienza educativa corretta. Se tu educatore non permetti al ragazzo di rileggere e di ridirsi tutto quello che questa esperienza concreta suscita dentro di lui, gli sarà piaciuto il Grest, si ripresenterà tra un anno !26

allo stesso punto, perché gli piacerà ancora, ma non è cresciuto. L’esperienza educativa non è solo provare una cosa dopo l’altra ma entrarvi dentro, è allora che io sento che son capace e che servire gli altri serve più a me. Occorre che qualcuno prenda per mano quel ragazzo e gli dica: questa cosa qui non la metti solo nella testa, ma dentro la tua vita, nel tuo modo di pensare, di agire, di vedere, di interpretare l’esistenza, nelle decisioni che dovrai prendere… perché questa è la logica del Vangelo che sta dentro tutta la vita. Occorre però avere una corretta prassi educativa. Siamo i primi in Italia per le cose che proponiamo ai ragazzi ma a volte siamo un po’ superficiali nell’accompagnarli, è un tesoro che sprechiamo, accompagnarli vuol dire passare un po’ di tempo con loro per ripensare a quello che è stato fatto, vuol dire rileggere con loro l’esperienza, vuol dire fargli prendere il Vangelo per dire: guarda Gesù cosa dice…

6. Moltiplicare gli attori nell’Oratorio. Nel senso che l’Oratorio deve vedere più figure educative, più diversità di percorsi educativi. Nello stesso tempo, mentre si moltiplica questo, bisogna dare spazio alla gente perché possa entrare in Oratorio e dimostrare un’appartenenza educativa. Se tutti sono educatori si deve vedere. Penso che questa sia una sfida in grado di cambiare il volto dei nostri oratori. Uno è educatore non perché ha il patentino.

Forse deve fare anche qualcosa dal punto di vista teorico e va bene. Ma qual è la connotazione più importante che secondo me oggi serve nelle nostre comunità, per cui uno veramente diventi educatore e faccia parte della comunità educativa dell’Oratorio? Che porti qualcosa. Ci parliamo poco tra settori in Oratorio e non ci rendiamo conto di quello che di educativo fanno gli altri. Possiamo scam!27

biarci quello che di educativo noi intuiamo, viviamo?

Parliamo di educativo non solo quando ci sono problemi, ma sulle prospettive, condividendo con gli altri i processi educativi in atto, da raggiungere insieme.

7. La dimensione della socialità dell’Oratorio. Una delle connotazioni che portano a vedere con simpatia l’Oratorio è che diamo un apporto sociale incredibile. Qual è l’apporto sociale dell’Oratorio oggi? Sicuramente offrire servizi educativi ed essere anche attori di questi ultimi, però oggi abbiamo un compito ancora più importante: gli oratori devono costruire una nuova cittadinanza insieme ai ragazzi. Ci sono alcune sfide educative che hanno bisogno di ricostruire il concetto di cittadinanza. Pensiamo alle questioni dell’integrazione. L’Oratorio può essere un luogo significativo perché accoglie i ragazzi, non siamo noi adulti che riusciremo a risolvere la questione dell’integrazione ma ci aiuteranno i nostri adolescenti. Noi siamo troppo rigidi e schematici, ci dividiamo politicamente, educativamente su queste cose. Saranno loro che vivendo insieme nella diversità ci porteranno fuori da questa problematicità, però occorre dare loro uno spazio in cui non ci sia semplicemente una convivenza, ma un confronto tra diversità. È importante che l’Oratorio accolga anche i ragazzi musulmani e che sia data la possibilità di un reale confronto sulla diversità religiosa insieme ai nostri ragazzi cattolici.

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Oratorio Parola attuale a cura del prof. Roberto Mauri Fare discernimento Nel guardare all’Oratorio, come più in generale alle strategie, ai programmi ed alle relative strutture pastorali che le incarnano, c’è una dimensione fondamentale, una chiave di lettura probabilmente non così presente e valorizzata: il discernimento, la lettura dei segni comunitaria.

Siamo chiamati ad aiutarci nella carità nel fare discernimento, un compito ed un dovere della comunità cristiana nel suo insieme, da non lasciare soltanto al clero o ai consacrati. Proviamo dunque a condividere questa azione così forte, così fondamentale (sia nel senso che sta alla base sia che va ritenuta prioritaria) che consiste nel leggere i segni che riguardano l’Oratorio.

Fare discernimento sull’Oratorio non è facoltativo ma necessario, non fosse altro per evitare delle gaffe pastorali.

Ecco un esempio: qualche anno fa su Avvenire (05.04.2009) un importante prelato pubblico nella sua rubrica settimanale scrive il seguente brano, pensando di segnalare in modo ironico i pericoli del calo della pratica religiosa: “Il buon don Maurizio era persuaso di poter condurre i ragazzi a capire il significato dell’espressione “di precetto”. Con molti esempi e insistenza sollecitava una risposta.

“Non vuol dire una cosa che devi fare per forza: è una cosa bella che rende bella tutta la giornata. Sì, è un impegno che ti sei preso, però non lo fai per un dovere, ma perché ti piace, ti fa contento. È qualcosa che fai la domenica, ma poi continui a pensarci durante tutta la settimana. In certi momenti ti viene spontaneo parlarne con gli amici. !29

In fondo è un segno che stai diventando grande, e che non c’è bisogno della mamma per ricordartelo: sei tu che ci tieni.

Sei convinto della sua importanza e perciò ti prepari e fai di tutto per arrivare in orario. Se il papà si mette a chiacchierare con la mamma, sei tu che lo solleciti “Dai papà, vai a prendere la macchina: non vorrai che arrivi dopo che è già cominciata!”

Se non ci fosse, la tua domenica sarebbe più povera e vuota”.

Don Maurizio aveva messo tutto il suo impegno. Ma gli venne da dubitare della sopravvivenza del cristianesimo in occidente, quando Davide, uno dei più svegli tra i ragazzi, si illuminò: “Ah, ho capito. È la partita di calcio della mia squadra!”

L’autore intendeva far riflettere creando un contrasto ad effetto tra qualcosa di importante (la S. Messa domenicale) e qualcosa di secondario (la gara sportiva) senza rendersi conto che in realtà stava mettendo il dito nella piaga e che la pretesa ironia gli si ritorceva contro. Quella descritta non era una facezia ma la realtà, ed egli stava – come si suol dire - scherzando col fuoco. Se non facciamo discernimento, rischiamo di non cogliere il cambiamento, oppure di irriderlo, senza capire che in realtà siamo noi che rischiamo l’irrilevanza.

Io vengo dall’Oratorio ambrosiano, ho fatto Oratorio e ho cominciato a fare discernimento sull’Oratorio nel 1987, collaborando all’organizzazione del Convegno diocesano “Progetto Oratorio. Storia, realtà, profezia”.

Diversi anni dopo, anche sulla scia del rinnovamento della pastorale oratoriana che ne seguì ho potuto alimentare il discernimento analizzando e riflettendo sui dati raccolti nel corso di alcune indagini conoscitive commissionate dall’Odielle, l’organismo di coordinamento pastorale degli oratori delle Diocesi Lombarde e realizzate all’inizio degli anni 2000. Esse riguardavano appunto “realtà, esigenze e potenzialità” degli oratori in prospettiva del terzo millennio. Infine, più recentemente, nel !30

2007 il lavoro svolto portò ad un altro convegno, a vent’anni dal precedente, “Oratorio oggi e domani”, con cui proseguiva ed arricchiva ulteriormente il discernimento sull’attività oratoriana. Quello che emerge con chiarezza da questo percorso è il fatto di essere coinvolti ed immersi in una profonda e lunga transizione, che ancora non può dirsi conclusa.

Il discernimento che dobbiamo esercitare dunque non nasce oggi e neppure ieri ma va considerato l’impegno della comunità cristiana in cammino, in analogia se si vuole con la traversata del deserto di cui parla l’Esodo.

Oggi, dopo oltre vent’anni, non siamo ancora entrati nella “terra promessa oratoriana”; ed io in particolare mi sento un po’ come Mosè sul Monte Nebo, punto panoramico da cui si vede la terra di Canaan, ma nella quale Mosè non entrò.

Oggi possiamo pertanto provare a dare qualche sguardo alla terra promessa del nuovo Oratorio: sulla base del cammino fatto e dal nostro punto di osservazione possiamo individuare e riconoscere alcuni aspetti di questa nuova terra oratoriana, ma ovviamente non è possibile scorgere distintamente tutte le sue caratteristiche e mettere a fuoco quanto ci aspetta.

Dal vetero al neo Oratorio La transizione che stiamo vivendo è quella dal vetero-Oratorio al neo-Oratorio. È questo “esodo” e le relative prove ciò che ci impegnano a fare discernimento.

Per meglio cogliere questa transizione, vale la pena accennare brevemente al punto di partenza, alle “genealogie oratoriane” che ci hanno preceduto.

I ‘nonni’ dell’Oratorio sono senza dubbio San Carlo e il Card.

Federigo, da cui discendono i genitori dell’Oratorio moderno, San Giovanni Bosco da un lato e il Card. Ferrari dall’altro.

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Da essi si generano due oratori-fratelli (ma non gemelli): il primogenito è l’Oratorio salesiano, che eredita i tratti caratteristici del fondatore, San Giovanni Bosco; il secondogenito è l’Oratorio ambrosiano, fortemente voluto dal Card. Luigi Ferrari, come struttura di Pastorale Giovanile capillare e di base, ovvero a livello parrocchiale.

In estrema sintesi, l’Oratorio delle origini era impostato sulla falsariga di una congregazione giovanile laicale, aveva al centro la formazione spirituale e si reggeva grazie ad una formidabile organizzazione gerarchica.

Su questa architrave, don Giovanni Bosco inserì le scuole professionali, tratto distintivo degli oratori salesiani (aspetto sostanzialmente assente o secondario negli oratori diocesani). Gli oratori parrocchiali del modello ambrosiano, dal canto loro, si qualificano rispetto ai precedenti per il maggior peso dato alla catechesi e all’iniziazione cristiana.

Entrambi condividono l’importanza delle attività ludiche (gioco), espressive (teatro, musica..), sportive, senza trascurare ovviamente la vita di gruppo e l’esercizio della carità attraverso l’educazione dei più piccoli.

Molti oratori sono dedicati a Maria, perno della spiritualità giovanile proposta da San Giovanni Bosco e dal Card. Ferrari.

Domenico Savio, Luigi Gonzaga sono modelli di spiritualità che hanno dato nome a tanti altri oratori.

Il Novecento è dunque il secolo dell’Oratorio moderno, fondato sulla responsabilizzazione e il protagonismo giovanile, sul dare importanza agli interessi giovanili, sulla spiritualità giovanile, sull’autonomia e l’autosufficienza.

Benché parrocchiale, l’Oratorio è una cittadella pastorale ed educativa autonoma.

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Per una serie di fattori interni ed esterni al mondo ecclesiale e giovanile, l’Oratorio moderno si esaurisce contestualmente al concludersi del secolo scorso.

L’Oratorio moderno’ oggi non esiste più, siamo ormai nel terzo millennio. Dobbiamo rendercene conto e fare discernimento.

Se invece pensiamo che una cosa che non esiste più esista ancora, non facciamo altro che ingannarci e ingannare gli altri.

L’Oratorio moderno entra in crisi perché dagli anni ’70 cominciano a svilupparsi le conseguenze del Concilio Vaticano II, c’è la contestazione studentesca, gli oratori che dovevano essere separati diventano misti, e non perché l’hanno chiesto i Vescovi ma perché i giovani si sono autonomamente trasferiti da un Oratorio all’altro; nascono i movimenti ecclesiali che, diversamente dall’Oratorio, non sono su base parrocchiale e cominciano a sentirsi i primi effetti della crisi vocazionale.

Il percorso oratoriano: dall’Oratorio moderno a quello post moderno Oratorio moderno Nasce nel XIX secolo con San Giovanni Bosco e il beato card.

Ferrari.

Si caratterizza per: • importanza assegnata agli interessi giovanili: il metodo preventivo salesiano;

Fattori di crisi L’Oratorio moderno entra in crisi a partire dagli anni Settanta, anche per effetto dei cambiamenti prodotti da: • riforme introdotte dal Concilio Vaticano II;

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Oratorio post-moderno • familiarizzazione: esodo dei giovani e ingresso della famiglia; • parrocchializzazione: perdita di autonomia e invasione di campo;

Oratorio moderno (continua)

• protagonismo giovanile: responsabilizzazio ne verso i più piccoli; • posizione privilegiata: Oratorio monopolio della Pastorale Giovanile diocesana e parrocchiale; • autonomia e autosufficienza: l’Oratorio è una cittadella educativa nella parrocchia;

Fattori di crisi (continua)

Oratorio post-moderno (continua)

• contestazione studentesca e conseguente riflusso;

• laicizzazione: carenza e invecchiamento del clero;

• trasformazione spontanea in oratori misti;

• dilatazione: appartenenza debole e nuove esigenze educative;

• nascita di movimenti ecclesiali, anche giovanili, non su base parrocchiale (es. CL);

• pluralismo pastorale: Oratorio è una delle possibili scelte di pastorale giovanile;

• primi effetti della crisi vocazionale;

Da allora il percorso è andato avanti e prosegue ancora oggi.

Ad un modello ben chiaro e ben strutturato di Oratorio si è sostituito un arcipelago di realtà variamente impostate, basti pensare che il FOI, Forum Oratori Italiani, ha censito qualche anno fa almeno 30 soggetti tra congregazioni religiose, coordinamenti regionali, aggregazioni diocesane, associazioni ecclesiali di oratori che si ispirano all’Oratorio, alcune informalmente, senza utilizzare o definirsi con questo termine.

Siamo quindi in una logica di rete. Da una logica di gerarchizzazione interna e verticale oggi la logica della rete porta ad un’organizzazione orizzontale. !34

Passiamo brevemente in rassegna i fenomeni chiave che hanno mutato la genetica pastorale dell’Oratorio: A. Parrocchializzazione: L’Oratorio era una cittadella autonoma ed educativa nella parrocchia, adesso non ci sono più confini: la parrocchia è Oratorio e l’Oratorio è la parrocchia. È un bene o un male? A ciascuno di voi fare discernimento insieme. Quindi: perdita di autonomia ed invasione di campo. L’Oratorio è il cuore della parrocchia. Tutto si fa in Oratorio: dalla prima alla terza età, dalla festa dei battesimi al Grest, lo sport. L’Oratorio è caricato di tutte le funzioni parrocchiali perché la parrocchia è in crisi e per uscirvi si aggrappa all’Oratorio. Non si capisce più dove comincia uno e dove finisce quell’altro. Questo porta a perdere di specificità.

B. Laicizzazione: il perno sacerdotale a motivo della scarsità del clero viene sopperito dai laici. Significativo quanto affermato dall’Ufficio statistico della Diocesi di Milano, già nel 2007: “Sembra molto chiaro che l’indirizzo sia quello di insistere su una più concreta pastorale d’insieme e di promuovere la corresponsabilità dei laici valorizzando le loro specificità e ministerialità”. Con l’indubitabile pragmatismo milanese e lombardo, al di là del ruolo che si vuole assegnare ai laici nella Chiesa, è una presa d’atto della realtà e della inevitabile crescente importanza delle figure laicali nella pastorale, ed in quella giovanile nella fattispecie. Nel 2008 l’allora vicario generale ed oggi arcivescovo di Gorizia Mons. Redaelli scriveva: “Mettere al centro delle istituzioni di pastorale giovanile e dell’Oratorio la figura del prete è un presupposto impossibile da sostenere”. A livello pratico: “[…] per la mancanza dei sacerdoti; già ora tre quarti degli oratori non vedono la presenza, sostanzialmente a tempo !35

pieno, di un sacerdote”. A livello teorico: “ […] si rivela teologicamente debole se si vuole veramente dare valore alla “comunione-collaborazione-corresponsabilità” dei laici, dei diaconi, dei consacrati”. E pensare che il Card. Ferrari non ordinava i sacerdoti se non accettavano di andare in Oratorio!

C. Ripopolazione: le persone che oggi popolano, vivono e animano l’Oratorio sono diverse da quelle di alcuni anni fa. Detto in modo brutale, i giovani se ne sono andati ed è entrata la famiglia. Non è un fenomeno di causa-effetto, ma sta di fatto che è un evento che ha privato l’Oratorio della sua generazione chiave, i giovani. I dati raccolti dicono che in Oratorio mediamente ci sono il 31% di giovani e il 69% di adulti. Viene meno una delle caratteristiche originarie, quella in cui i giovani educavano gli adolescenti, e gli adolescenti si prendevano cura dei ragazzi e così via, mettendo le generazioni giovanili a contatto e rendendole responsabili della propria crescita attraverso il servizio alla “presa in cura” dei più piccoli, scoprendo la bellezza di poter essere importanti. Ma oggi quasi il 70% dei responsabili sono adulti che fanno gli educatori d’Oratorio, non dei giovani. L’ambiente è diventato di tipo familiare, con una netta dominanza femminile (il 61% dei responsabili ed educatori sono donne).

D. L’autorganizzazione: siamo lombardi e non riusciamo a stare senza fare niente, per cui ci organizziamo. Ci tiriamo su le maniche e proviamo a fare comunque l’Oratorio. Ma è un provare auto-organizzante, per tentativi, alla ricerca di nuovi equilibri e di sinergie. Tradizionalmente la figura di riferimento e di coordinamento negli oratori era il sacerdote, ma questo, lo abbiamo visto, spesso non esiste più. Purtroppo non è stato trovato un nuovo equilibrio ma !36

lo stiamo cercando e nessuno ce l’ha in maniera così lineare e pulita. Dobbiamo davvero aiutarci nella carità a capire come ci si organizza, perché altrimenti manca la regia e noi viviamo una fase difficile perché c’è una regia educativa debole, in cui i sacerdoti non ci sono, i vari responsabili devono guadagnarsi sul campo l’autorevolezza e nessuno fa sconti a nessuno. In questa fase di transizione siamo tutti pari, per cui il gruppo catechisti non è di più del gruppo sportivo e questo non è di più del gruppo dei baristi. Se io non sono più di te e conviviamo nella stessa situazione dobbiamo guardarci in faccia e trovare un accordo, altrimenti è difficile stare insieme («Ma tu, a che titolo dici a me di cambiare orario?»). Essendo tutti volontari, brave persone che danno una mano in Oratorio, come fai a dire ad una persona di fare in un modo piuttosto che in un altro? Manca una regia educativa che è indispensabile e tuttavia va rifondata.

E. Appartenenza debole: in Oratorio abbiamo nuove esigenze e anche nuove “povertà”. Secondo una recente indagine dei Dehoniani, alla domanda “Tu ti definiresti cattolico?”

Il 22% degli intervistati ha risposto si. Tuttavia, correlando la risposta all’età anagrafica degli interrogati, emerge che negli individui nati dopo il ’78 questa percentuale si abbassa di molto. Questo crea quello che viene chiamato il “problema della trasmissione della fede”, perché saltano gli anelli generazionali (nonno-padre-figlio).

Uno sguardo al futuro Queste cinque mutazioni in atto non hanno ancora esaurito la loro portata: ci stiamo ancora convivendo e già il riconoscere questo è elemento di discernimento, ovvero – lo ripetiamo – del!37

la lettura comunitaria dei segni dei tempi, che ci interpellano.

Non abbiamo la risposta in tasca, perché altrimenti non faremmo discernimento. E invece dobbiamo provarci a non dare per scontate le scorciatoie ma a confrontarci nella carità su quali sono questi segni e dove ci portano.

Il passato lo conosciamo tutti, nel presente ci siamo dentro, sul futuro facciamo un ulteriore sforzo di discernimento. Se è in corso una mutazione genetica dove potremo approdare?

Noi cristiani cattolici non siamo fatalisti, crediamo nella Provvidenza e nel disegno di Dio. Quindi dire “dove approdiamo” non significa “dove ci porterà la corrente” ma “dove noi, leggendo i segni, orienteremo la nave”.

Credo che un elemento del futuro sarà la “pastorale giovanile a km 0”. Sotto questo aspetto, l’Oratorio è messo benissimo, perché è a km 0, imbricato nelle comunità locali. Dire questo vuol dire essere fedeli al territorio non solo della vostra Diocesi, ma alla popolazione che lì risiede e vive. L’Oratorio è fedele al territorio, non al carisma. I movimenti ecclesiali, ponendo al centro il carisma (quella speciale sensibilità religiosa che ispira l’appartenenza al movimento stesso), sono alternativi all’Oratorio. Noi oratoriani non abbiamo carismi, abbiamo il territorio. Il nostro carisma è il territorio; parrocchia significa etimologicamente, vicino alle case. L’Oratorio è cura pastorale delle realtà locali.

Possiamo immaginare la pastorale giovanile come pastorale ‘fede-sostenibile’: non vuol dire abbassare l’asticella, ma rendersi conto del mondo in cui viviamo. Potrebbe voler dire che ci aiutiamo a capire le implicazioni del passaggio epocale della Chiesa italiana avvenuto a Verona nel 2006, ovvero che si dà attenzione agli ambiti di vita (tradizione, lavoro e festa, vita affettiva, fragilità, cittadinanza) e non alle categorie ecclesiali (missioni, catechesi, liturgia, carità).

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Quello del futuro “non è un Oratorio per vecchi”. Questo non significa che ci devono essere solo gli sbarbati, ma che la testa non è vecchia, il modo di vivere la fede e di fare pastorale non è vecchio. L’Oratorio del futuro è il luogo aperto all’innovazione pastorale ed educativa, dove non esiste il confine tra il pastorale e l’educativo, perché noi siamo una persona sola, non siamo spaccati a metà, ma impastati di divinità e di umanità. È il luogo non delle fughe in avanti, ma dell’innovazione pastorale, e quindi ad alto tasso di protagonismo laicale, non di manodopera laicale, possibilmente giovanile. Il problema dei ragazzi si chiama generazione adulta. O l’adulto è in Oratorio come sta il bastone nell’orto al quale le pianticelle giovani si attaccano e crescono, o il bastone secco non utilizzato che fine fa? Io vi consiglio di scegliervi le piantine, senza le quali rischiate di sentirvi inutili, autoreferenziali.

Per concludere: testimoniare l’Oratorio post-moderno L’Oratorio del secolo scorso poteva essere definito moderno, grazie alle fertili intuizioni educative e pastorali da esso introdotte e rese popolari. Oggi a fronte dei cambiamenti in atto è doveroso parlare di Oratorio post-moderno: un diverso modello di Oratorio basato sulla corresponsabilità educativa laicale che nonostante il suo radicamento non può dare più nulla per scontato e deve al contrario reinterpretarsi in modo coraggioso e innovativo.

Si tratta per gli oratori post-moderni di oggi e soprattutto di domani, di accogliere la sfida di una doppia fedeltà: verso gli “interni” e verso gli “esterni” (missionarietà), verso i ragazzi e verso i genitori (trasmissione della fede).

Ciò comporta l’elaborazione di una proposta educativa in grado di coniugare la volontà di salvaguardare un positivo equilibrio interno, che fa perno sui ragazzi, la catechesi e la collaborazione !39

degli adulti/famiglie, l’esigenza di elaborare proposte ed iniziative più efficaci verso il territorio, e più in generale la necessità di attivare un migliore rapporto con i giovani.

Questa ricerca di una “duplice fedeltà” pone agli oratori di oggi l’esigenza di una riflessione ed una verifica circa l’effettivo livello di qualità educativa ed innovazione formativa di cui possono disporre.

Il miglioramento della qualità della formazione degli educatori e del suo aggiornamento è resa necessaria dalle nuove sfide che aspettano l’Oratorio del terzo millennio: riannodare i legami con il mondo giovanile e più in generale attivare relazioni con l’esterno ovvero sviluppare la capacità di lavorare sul territorio in rete con le altre agenzie educative, è un aspetto che tuttavia solo un Oratorio su tre ha saputo sviluppare.

Così, pure gli oratori saranno chiamati a migliorare anche a livello di competenze comunicative: oggi molti di essi sembrano ancora sulla soglia della rivoluzione mediatica, privilegiando ancora in gran parte strumenti e mezzi tradizionali, ancora poco in grado di cogliere le opportunità offerte dai nuovi media.

La cosa più importante nell’Oratorio di oggi è riconoscere che il valore aggiunto non sono i ragazzi, ma gli adulti e gli educatori.

La fatica del discernimento deriva dal fatto che noi siamo dentro alla realtà e non ad una giusta distanza; dall’essere increduli, cioè pigri e spaventati. La formazione degli educatori non deve essere solo pedagogica, ma educazione al discernimento che fa crescere. Perché viviamo tempi difficili nei quali il cristianesimo è minoranza, ma deve diventare sempre più creatività.

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Il laboratorio dei talenti La Nota pastorale della CEI sugli oratori, dal titolo “Il laboratorio dei talenti” è il documento, elaborato nel 2013 dalla Commissione episcopale per la famiglia e la vita e dalla Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali che si propone di “riconoscere e sostenere il peculiare valore dell’Oratorio nell’accompagnamento della crescita umana e spirituale delle nuove generazioni” e di “proporre alle comunità parrocchiali, e in modo particolare agli educatori e animatori, alcuni orientamenti”. L’ottica scelta è quella della “pastorale integrata”, come antidoto al “relativismo pervasivo” dei processi educativi.

La “sfida” è “far diventare gli oratori spazi di accoglienza e di dialogo, dei veri ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e la proposta di un incontro concreto con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il virtuale e il reale, tra il tempo della spensieratezza e quello dell’assunzione di responsabilità”.

Introduzione L’attenzione verso la maturazione umana e la crescita nella fede delle nuove generazioni è stata sempre al cuore della missione della Chiesa. Con il Concilio Ecumenico Vaticano II e il Magistero degli ultimi pontefici tale attenzione si è fatta ancora più marcata e incisiva. Giovanni Paolo II lo ricordava rivolgendosi direttamente ai giovani: «Tutti guardiamo in direzione vostra, poiché noi tutti, grazie a voi, in un certo senso ridiventiamo di continuo giovani. Pertanto, la vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa appartiene al complesso di quello spazio, che ogni uomo percorre nell’itinerario della sua vita, ed è al tempo stesso un bene speciale di tutti. È un bene dell’umanità stessa». Sono sempre più numerose le iniziative pastorali rivolte ai ragazzi e ai giovani per of!41

frire loro percorsi educativi in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo. Tra le proposte più significative assume una particolare rilevanza quella dell’Oratorio, realtà ricca di tradizione e nello stesso tempo capace di garantire un continuo rinnovamento per andare incontro alle odierne esigenze educative.

Negli orientamenti pastorali decennali sul tema “educare alla vita buona del Vangelo”, nel quadro del più ampio impegno della Chiesa italiana per affrontare la sfida educativa, si fa esplicito riferimento al peculiare contributo che viene offerto dagli oratori. «La necessità di rispondere alle loro esigenze porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie educative. Tale dinamica incide anche su quell’espressione, tipica dell’impegno educativo di tante parrocchie, che è l’Oratorio. Esso accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’Oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio».

Anche a seguito di queste autorevoli indicazioni stiamo assistendo a un crescente interesse da parte di molte comunità parrocchiali nei confronti dell’Oratorio quale risposta concreta e dinamica alle nuove e complesse sfide che si riscontrano nell’educazione delle giovani generazioni. Molte realtà ecclesiali si stanno impegnando per qualificare gli oratori già esistenti, altre si stanno adoperando per ridare vita ad esperienze che nel tempo si erano perse, altre ancora si stanno organizzando per la creazione di nuovi oratori. All’offerta educativa degli oratori guardano anche con molta attenzione le istituzioni civili. Negli !42

ultimi tempi si registrano anche diversi interventi legislativi finalizzati al riconoscimento e al sostegno degli oratori. Molte amministrazioni hanno manifestato, anche con aiuti concreti, un rinnovato interesse per gli oratori, offrendo e domandando collaborazione. Si tratta di situazioni nuove che richiedono un adeguato discernimento e qualche orientamento comune.

La presente Nota vuole in primo luogo ribadire l’impegno educativo delle nostre comunità ecclesiali nei confronti dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, riconoscendone la soggettività e valorizzando i talenti di cui sono portatori. Si vuole pertanto incentivare e sostenere l’Oratorio quale via privilegiata per educare alla vita buona del Vangelo. La Chiesa italiana, anche attraverso questa Nota, vuole riconoscere e sostenere il peculiare valore dell’Oratorio nell’accompagnamento della crescita umana e spirituale delle nuove generazioni. Si intende proporre alle comunità parrocchiali, e in modo particolare agli educatori e animatori, alcuni orientamenti pastorali circa la natura, le finalità e lo stile educativo dell’Oratorio nell’attuale contesto ecclesiale e socioculturale. Vengono formulati anche alcuni criteri di discernimento su aspetti della vita e dell’organizzazione dell’Oratorio: la formazione e la responsabilità degli educatori; il rapporto con la pastorale giovanile; la catechesi in Oratorio; le alleanze educative, in particolare con la famiglia; l’impegno delle aggregazioni ecclesiali; la sfida dell’integrazione sociale e culturale; l’animazione dello sport educativo, del gioco e del tempo libero; la titolarità e la gestione dell’Oratorio.

La Nota non intende trattare tutte le problematiche relative all’Oratorio, peraltro già affrontate nell’ampia letteratura disponibile. Si vuole piuttosto sviluppare una riflessione in termini di pastorale integrata per rendere ancora più visibile il volto missionario ed educativo della parrocchia quale risposta al secolarismo che determina sempre più l’abbandono della fede e della !43

vita ecclesiale da parte delle nuove generazioni. L’Oratorio, in questa ottica di pastorale integrata, diventa una proposta qualificata della comunità cristiana per rigenerare se stessa e rispondere in maniera appropriata al relativismo pervasivo che è ben riscontrabile anche nei processi educativi. La riflessione sugli oratori viene collocata nel contesto sociale odierno al fine di attualizzarne il ruolo anche rispetto alle grandi sfide educative del nostro tempo. Destinatari primari della Nota sono tutti coloro che attraverso l’Oratorio svolgono la loro missione educativa a partire dalla comunità ecclesiale, di cui è emanazione, dalla famiglia – da cui non si può mai prescindere in ogni attività educativa – per arrivare agli educatori e agli animatori che sono i protagonisti, assieme ai ragazzi e ai giovani, della vita dell’Oratorio.

Parte I: memoria e attualità dell’Oratorio 1. Alle sorgenti dell’educazione Gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il secondo decennio degli anni duemila richiamano l’urgenza e la bellezza di un rinnovato impegno nell’affrontare la sfida educativa. È una dimensione della vita ecclesiale e sociale di fronte alla quale tutti si sentono interpellati e che molti vivono come una vera emergenza. Il carattere di “emergenza” nell’ambito educativo, secondo le acute analisi di Benedetto XVI, è dato dalla perdita delle fonti che alimentano il cammino umano: la natura, la Rivelazione e la storia. Solo nel loro “concerto” si ritrovano «le indicazioni per un’educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell’io al tu, al noi e al Tu di Dio». Si tratta dunque di «ritrovare le fonti, il linguaggio delle fonti», come esorta il Santo Padre, per interpretare e discernere le con!44

dizioni attuali del nostro impegno educativo e proseguirlo con passione e speranza, senza cedere a sfiducia e rassegnazione.

Quella dell’educazione è un’attenzione antica e sempre nuova che ha visto la Chiesa impegnata in ogni epoca ad individuare le risposte più efficaci e qualificate. In particolare, «nella storia della Chiesa in Italia sono presenti e documentate innumerevoli opere e istituzioni formative – scuole, università, centri di formazione professionale, oratori – promosse da diocesi, parrocchie, istituti di vita consacrata e aggregazioni laicali. Molte sono le figure esemplari – tra cui non pochi santi – che hanno fatto dell’impegno educativo la loro missione e hanno dato vita a iniziative singolari, parecchie delle quali mantengono ancora oggi la loro validità e sono un prezioso contributo al bene della società».

Tra queste iniziative brilla di luce propria l’Oratorio, che può vantare, come poche altre istituzioni formative, oltre 450 anni di esperienza educativa. Ridestare lo stupore per la sua straordinaria e spesso trascurata memoria educativa può rappresentare il primo passo per la sua reinterpretazione nell’attuale contesto culturale.

2. Una grande ricchezza di proposte Come non risulta possibile tratteggiare una figura ideale di Oratorio, allo stesso modo non è ipotizzabile una narrazione unitaria e lineare della sua storia. Di fatto non disponiamo di una documentazione omogenea, criticamente vagliata e completa della sua secolare vicenda perché essa è inseparabile dalle vicende biografiche di Santi e figure esemplari e dai concreti cammini storici delle diverse diocesi. Occorre inoltre vigilare per evitare impropri trasferimenti anacronistici di categorie contemporanee su realtà storiche assai differenti. È possibile invece cogliere costanti, caratteristiche peculiari, elementi di !45

contatto, evoluzioni di un medesimo modello, senza mai dimenticare che, nelle varie trasformazioni dell’Oratorio, la pratica ha in genere preceduto la teoria.

Dovremo dunque più propriamente riferirci, come ebbe a scrivere lo stesso don Bosco, alle memorie dell’Oratorio o meglio ad una memoria cui implicitamente e inconsapevolmente si fa riferimento quando si parla di Oratorio. Gioverà a questo proposito intendere l’Oratorio come un’“esperienza dinamica”, ovvero come uno snodo educativo capace di attivare ricordi, suscitare immagini, creare legami. Conferma ne viene dalla stessa varietà semantica del termine, indicante, a un tempo, un luogo adibito per la preghiera, un particolare genere musicale e uno stile educativo tipico del nostro Paese; l’uso del termine nel linguaggio comune della gente richiama poi un’esperienza di vita buona legata ai tempi della giovinezza. Bisogna inoltre precisare che, storicamente, Oratorio non rappresenta neppure l’unico riferimento per indicare tale stile formativo: nelle diocesi del Triveneto, ad esempio, è conosciuto anche come patronato, mentre in molti luoghi, dagli anni settanta, ha mutato il suo nome in centro giovanile, in casa della gioventù e sono sorti, in ambito non ecclesiale, strutture simili, quali i ricreatori laici. In questa prospettiva il termine Oratorio risulta perciò fortemente evocativo e, allo stesso tempo, bisognoso di chiarificazione.

3. Per una memoria viva dell’Oratorio Dove e come potrà essere individuata questa memoria dell’Oratorio? Essa deriva da un intreccio di intuizioni, esperienze, attività ed opere, frutto della grazia dello Spirito, del genio creativo di non pochi Santi e, nondimeno, di scelte pastorali ponderate e fedelmente perseguite nel tempo da singole Chiese locali. Senza alcuna pretesa di completezza e consapevoli di una lettura par!46

ziale, possiamo individuare tre grandi filoni o matrici principali di questa memoria dell’Oratorio: la tradizione filippina, sorta con San Filippo Neri (1515-1595), la tradizione ambrosiana e lombarda, con l’opera di grandi Vescovi, quali San Carlo Borromeo (1538-1584), il cardinale Federico Borromeo (1564-1631), il Beato cardinale Andrea Carlo Ferrari (1859-1921) fino alle figure più recenti di pastori, tra cui spicca l’allora cardinale Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI (1897-1978), e la tradizione piemontese, con San Giovanni Bosco (1815-1888), Santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), San Leonardo Murialdo (18281900) e tanti altri eminenti educatori torinesi e piemontesi.

La memoria delle tradizioni dell’Oratorio non si esaurisce tuttavia nelle esperienze di Roma e dell’Italia Settentrionale: numerose Congregazioni religiose, singoli educatori ed educatrici, consacrati e laici sono stati protagonisti, anche nel Centro e nel Sud d’Italia, di esperienze educative simili, al di là delle singole denominazioni, in parte attingendo da queste fonti più antiche e parimenti arricchendole con le loro realizzazioni. Tra queste ultime si possono ricordare due esperienze significative. Il sacerdote cosentino don Gaetano Mauro (1888-1969) istituì un «ricreatorio per i giovani» e nel 1925 diede vita all’Associazione Religiosa degli Oratori Rurali (ARDOR), con sacerdoti e laici, per l’insegnamento della dottrina cristiana nelle campagne, per alleviare miseria, ingiustizia, ignoranza religiosa, con iniziative di evangelizzazione e di promozione umana. Notevole fu anche l’attività di diffusione e sostegno degli oratori in Puglia, legata al Seminario regionale di Molfetta. Dagli inizi del ‘900, con l’obiettivo di riunire la domenica bambini e fanciulli per attività ricreative, caritative e di sostegno all’insegnamento catechistico, si diede impulso a una specifica formazione non solo per direttori di oratori e sacerdoti, ma anche per seminaristi, quale mirato tirocinio pastorale per l’Oratorio. In questa prospettiva possia!47

mo cogliere il prezioso contributo che l’Azione Cattolica, con il suo capillare e forte radicamento nelle parrocchie, ha dato, e continua a dare, alla vita degli oratori.

La pubblicazione della presente Nota vorrebbe dunque anche incoraggiare la ricerca, nelle storie locali, di tanti testimoni e iniziative esemplari da proporre all’attenzione delle nostre comunità ecclesiali e, in particolare, delle nuove generazioni.

4. Con la passione dei grandi maestri dell’educazione «Nell’opera dei grandi testimoni dell’educazione cristiana, secondo la genialità e la creatività di ciascuno, troviamo i tratti fondamentali dell’azione educativa: l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per la costruzione del bene comune». Opportunamente gli orientamenti pastorali per il decennio delineano quasi una traccia di lettura delle nostre tradizioni educative, utile anche per una corretta memoria dell’Oratorio.

Ad essa ci riferiremo interpellando le diverse tradizioni alla luce delle questioni e delle domande oggi più urgenti per il futuro dei nostri oratori, facendo emergere, a seconda dei diversi contesti storici e culturali, anche le diverse “fratture” della memoria, ovvero le perdite, le involuzioni o le riduzioni improprie che hanno caratterizzato la pratica dell’Oratorio.

Di fronte ad una tale ricchezza di esperienze viene da chiedersi quale sia la chiave interpretativa o la cifra sintetica di una così sorprendente e variegata pratica pastorale. Nel medesimo e più ampio orizzonte in cui le singole esperienze si collocano – quello dell’educazione – esse sono di fatto accomunate dalla loro peculiare offerta di prossimità alle giovani generazioni, amate, accolte e sostenute nella loro concretezza storica, sociale, culturale e !48

spirituale. Si tratta di un atteggiamento suscitato e animato dalla carità evangelica, testimoniato innanzitutto dai singoli iniziatori, custodito dagli sviluppi e dalle opere successive e, infine, assunto come specifico stile educativo. Come non pensare alla nota parabola del Vangelo di Luca in cui un Samaritano, ritrovatosi, per strada, davanti ad un uomo ferito, «vide e ne ebbe compassione» (Lc 10,33) e non passò oltre come altri prima di lui? L’Oratorio anche oggi si colloca sulle strade frequentate dai giovani per prendersi cura di loro.

5. Nel solco della tradizione con risposte nuove e creative Gli oratori non nascono come progetti “fatti a tavolino” ma dalla capacità di lasciarsi provocare e mettere in discussione dalle urgenze e dai bisogni del proprio tempo. Le precarie condizioni spirituali della gioventù cinquecentesca di Roma per San Filippo, l’esigenza di scolarizzazione e educazione cristiana per la diocesi ambrosiana nell’attuazione del Concilio di Trento, l’incontro di don Bosco con ragazzi “abbandonati e pericolanti”, spesso precocemente incarcerati a causa delle dure condizioni di vita nella Torino industriale di metà Ottocento: queste sono state le circostanze che hanno originato le diverse esperienze educative.

Gli oratori non si sono poi limitati al recupero, all’istruzione o all’assistenza: la seconda caratteristica è quella di aver saputo valorizzare e abitare la qualità etica dei linguaggi e delle sensibilità giovanili, promuovendo, a un tempo, musica, teatro, letteratura e, contemporaneamente gioco, sport e festa – formazione umana, culturale e spirituale –, prevenzione sociale, accompagnamento familiare e avviamento al lavoro. Tuttavia tali proposte non sono state concepite in senso solo strumentale in vista dell’educazione religiosa, ma sono state percorse fino in fondo, nella loro capacità di educare alla relazione e alla responsabilità, !49

come condizione di apertura dell’io, secondo l’efficace espressione del Papa sopra ricordata: dall’io al tu, al noi e al Tu di Dio. L’Oratorio, infatti, ha sempre custodito come sua preoccupazione primaria l’educazione alla fede delle giovani generazioni (terza caratteristica) seppur nella logica prima descritta da Benedetto XVI, investendo cioè su una pluralità di relazioni affidabili (verticali e orizzontali) che propiziassero l’uscita da “sé” e l’apertura dell’“io”. Il Vangelo, già implicitamente sperimentato nell’accoglienza incondizionata e nella condivisione della vita quotidiana, poteva così sprigionare tutta la sua carica di trasformazione dell’identità plasmando le personalità e dischiudendo la via della conversione o una ripresa del cammino di fede. In questo dinamismo di crescita umana e spirituale è stato sempre favorito anche il riconoscimento della propria vocazione. La vera genialità dell’Oratorio è di aver saputo declinare questo stile in epoche, luoghi, persone e situazioni tra loro molto diverse ed oggi per noi ancora esemplari.

Oggi gli oratori devono essere rilanciati anche per diventare sempre più “ponti tra la Chiesa e la strada”. Lo ricordava il Beato Giovanni Paolo II parlando ai giovani di Roma: «Condividendo la vita dei vostri coetanei nei luoghi dello studio, del divertimento, dello sport e della cultura, cercate di recare loro l’annuncio liberante del Vangelo. Rilanciate gli oratori, adeguandoli alle esigenze dei tempi, come ponti tra la Chiesa e la strada, con particolare attenzione per chi è emarginato e attraversa momenti di disagio, o è caduto nelle maglie della devianza e della delinquenza».

La sfida pertanto è quella di far diventare gli oratori spazi di accoglienza e di dialogo, dei veri ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e la proposta di un incontro concreto con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il virtuale e il reale, tra il tempo della spensieratezza e quello dell’assunzione di responsabilità. !50

Parte II: fondamenti e dinamiche dell’Oratorio I fondamenti della tradizione oratoriale 6. Il Vangelo, sorgente e fine dell’attività educativa «Il Vangelo è il più grande dono di cui dispongano i cristiani» e costituisce il fondamento da cui sgorga tutta l’azione educativa in Oratorio. In esso gli educatori trovano il principio che sostiene e orienta l’impegno a favore della crescita integrale delle giovani generazioni. Dalla coerenza di vita con l’insegnamento evangelico deriva anche la credibilità educativa e l’autorevolezza del servizio offerto dagli operatori pastorali impegnati negli oratori.

La Chiesa per sua natura è chiamata ad evangelizzare con quello slancio missionario che le permette di essere prossima ad ogni persona, perché il Vangelo sia annunziato a tutte le creature. È all’interno della prossimità, spazio indicato da Gesù per vivere il comandamento dell’amore, che si svolge l’attività educativa oratoriale, attenta alle fragilità e alle povertà dei ragazzi di ogni tempo, ma anche capace di svilupparne le risorse e le potenzialità per una vera promozione della persona.

La tradizione ecclesiale conferma che ogni autentica esperienza educativa rivolta alle giovani generazioni manifesta storicamente e concretamente la compassione di Cristo verso le esigenze e i bisogni del tempo. In questa prospettiva il Vangelo è il presupposto imprescindibile per lo svolgimento della funzione spirituale e sociale dell’Oratorio. E proprio in forza della sua fedeltà al Vangelo, l’Oratorio contribuisce alla crescita di cittadini responsabili cooperando così alla realizzazione del bene comune, anche rispetto a quelle situazioni di marginalità e fragilità presenti nelle diverse realtà civili.

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Il Vangelo, come parola di vita e nutrimento spirituale, è il bene più prezioso che la Chiesa possa offrire alle nuove generazioni attraverso la singolare e multiforme esperienza dell’Oratorio. È, pertanto, l’incontro vivo e palpitante con il Signore Gesù che ispira e sostiene l’attività educativa dei nostri oratori. Questi luoghi sono stati, e devono diventarlo sempre di più, una manifestazione di quella «carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera».

7. Con lo sguardo di Gesù verso le giovani generazioni Le nostre comunità ecclesiali, impegnate principalmente nella trasmissione della fede, da sempre dedicano alle giovani generazioni un’attenzione speciale con cui intendono esprimere la loro responsabilità educativa e pastorale. Benedetto XVI ha definito «fortunati» i ragazzi che hanno la possibilità di frequentare gli oratori e ha ricordato che «l’Oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere». Ha incoraggiato i giovani ad essere frequentatori assidui dell’Oratorio «per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore». I progetti oratoriali possono contribuire in modo determinante al processo di crescita umana e spirituale, dalla fanciullezza fino alla giovinezza. L’Oratorio rappresenta, nel contesto delle iniziative delle Chiese locali, «un punto solido per la pastorale dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani».

Ma a chi si rivolge l’Oratorio e chi ne è il protagonista? Uno sguardo attento alla realtà dell’Oratorio e al suo sviluppo ci porta a dire che se in passato l’attenzione prevalente era per i ragazzi fino all’adolescenza, oggi appare necessario adeguare le !52

sue proposte ad una giovinezza sempre più prolungata che arriva alle soglie dei trent’anni. Si presentano nuove criticità e nuove situazioni nel mondo giovanile a cui gli oratori possono offrire risposte concrete e pertinenti, valutando attentamente le esigenze e le reali capacità di intervento.

In questa prospettiva, possiamo affermare che l’Oratorio è l’espressione della comunità ecclesiale che, sospinta dal Vangelo, si prende cura, per tutto l’arco dell’età evolutiva, dell’educazione delle giovani generazioni. In esse vediamo crescere, con il sostegno di adulti testimoni del messaggio evangelico, i protagonisti e costruttori della società del domani, come ebbe ad affermare Paolo VI a conclusione del Concilio, rivolgendosi ai giovani: «Vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, ad intendere l’appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio.

Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale».

8. Il ruolo della comunità educativa La natura educativa dell’Oratorio e la sua funzione evangelizzatrice esigono una comunità cristiana capace di prendersi cura delle giovani generazioni. Quest’aspetto si realizza nella Chiesa quando tutti concorrono «alla vita e alla crescita del corpo ecclesiale», ciascuno secondo i carismi e i doni che lo Spirito suscita.

All’interno della più ampia comunità parrocchiale o religiosa, tenendo conto anche delle nuove situazioni delle realtà ecclesiali organizzate in unità pastorali, l’équipe educativa dell’Oratorio comprende i sacerdoti, gli educatori e gli animatori il cui compito è la strutturazione, l’attuazione e la verifica degli itinerari educativi nel quadro di un progetto ben articolato. !53

La comunità educativa dell’Oratorio è il soggetto fondamentale dell’azione oratoriale, ed esprime a suo modo la continuazione della missione degli Apostoli la cui «comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia». L’indole ecclesiale e lo slancio apostolico fa degli operatori dell’Oratorio una comunità solidale e educativa, attenta all’evangelizzazione e alla crescita delle giovani generazioni.

La comunità educativa, pertanto, è l’espressione della carità pastorale della Chiesa che, in forza della sua natura missionaria, provvede all’accoglienza e all’accompagnamento di tutti i ragazzi e i giovani attraverso il progetto educativo, elaborato secondo le esigenze della realtà ecclesiale di riferimento. Compito, dunque, di tale comunità è l’elaborazione e l’animazione del progetto educativo dell’Oratorio, nell’esercizio della corresponsabilità pastorale, attraverso tutte le dinamiche che articolano e favoriscono il protagonismo e la responsabilità dei ragazzi e dei giovani.

9. Una rinnovata collaborazione con la famiglia All’interno della comunità educativa una particolare responsabilità compete alla famiglia che, per sua indole e vocazione, «possiede vincoli vitali e organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l’alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia, infatti, nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l’anima della vita e dello sviluppo della società stessa». Il compito educativo, connaturale alla sua identità, fa sì che «nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la !54

prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato». È pertanto necessaria una forte e rinnovata alleanza tra le famiglie e l’Oratorio perché, come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI ad Ancona parlando ai sacerdoti e agli sposi responsabili della pastorale familiare: «La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene insostituibile per i figli, fondamento indispensabile della società, comunità vitale per il cammino della Chiesa. A livello ecclesiale valorizzare la famiglia significa riconoscerne la rilevanza nell’azione pastorale. Il ministero che nasce dal sacramento del matrimonio è importante per la vita della Chiesa: la famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questa finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un dono prezioso per l’edificazione della comunità». È compito primario dell’Oratorio valorizzare il ruolo delle famiglie e sostenerlo, sviluppando un dialogo aperto e costruttivo.

La soggettività educativa della famiglia in Oratorio deve modularsi in modo da favorire la tipicità del luogo che, nel rispetto degli spazi propri destinati ai ragazzi e ai giovani, deve rimanere tipicamente giovanile. L’Oratorio, infatti, si configura come ambiente di condivisione e di aggregazione giovanile, dove i genitori trovano un fecondo supporto per la crescita integrale e il discernimento vocazionale dei propri figli. In una fase storica in cui i cambiamenti culturali e sociali in atto nel nostro Paese richiedono una rinnovata alleanza tra la famiglia e le agenzie educative, il rapporto tra Oratorio e famiglia si configura come laboratorio quanto mai fecondo per sperimentare anche nuovi percorsi di corresponsabilità educativa. !55

È importante che nell’Oratorio si respiri un clima familiare anche per aiutare i tanti ragazzi e giovani alle prese con situazioni familiari problematiche, per i quali spesso l’Oratorio diventa una seconda famiglia.

10. Nella prospettiva vocazionale La caratteristica fondamentale dell’educazione cristiana è la dimensione vocazionale, che in Oratorio si intreccia con l’accompagnamento dei ragazzi e la testimonianza di vita data dagli educatori. Tale dimensione scaturisce dalla visione della vita come dono che porta in sé uno stupendo progetto di Dio La realizzazione di una progettualità vocazionale, capace di rispondere al desiderio di felicità, alla ricerca della verità e al bisogno di comunione fraterna, offre ai ragazzi e ai giovani gli elementi necessari per un cammino di autentico discernimento verso la piena maturità. L’approccio vocazionale favorisce e sostiene il progressivo manifestarsi del progetto di Dio nella vita di tutti coloro che frequentano l’Oratorio. «Occorre iniziare i giovani alla vita come risposta a una vocazione, aiutandoli a vedere che il loro cammino di sequela di Cristo va realizzato concretamente in uno stato di vita, senza timore di fare proposte esigenti e mostrando che per tutti c’è una chiamata e un progetto di santità».

Il profilo vocazionale della proposta oratoriale si manifesta concretamente nello stile di animazione degli educatori e nella proposta degli itinerari educativi. Tutte le attività dell’Oratorio costituiscono pertanto occasioni proficue per far maturare un adeguato senso vocazionale. La gradualità è il criterio imprescindibile per accompagnare i ragazzi e i giovani nelle tappe della loro crescita, tenendo fisso lo sguardo sulla meta del progetto educativo, che costituisce il paradigma di tutta la proposta oratoriale: la maturità integrale, umana e religiosa, dei ragazzi e dei giovani. !56

11. La formazione di cristiani maturi La natura ecclesiale dell’Oratorio si caratterizza per una specifica proposta formativa cristiana. Nel progetto educativo trovano ampio spazio gli itinerari di educazione alla fede, che, muovendo dal progetto catechistico diocesano, offrono ai ragazzi e ai giovani «una visione integrale della persona di Gesù Cristo, mediante un annuncio e una catechesi che non abbiano timore di farsi anche cultura, facendo incontrare la verità sulla storia del Figlio di Dio fatto uomo con la realtà della vita dei giovani».

L’esperienza di gruppo e l’ambiente accogliente, che i ragazzi vivono in Oratorio, favoriscono le condizioni concrete per un cammino di crescita e d’iniziazione cristiana, realizzando il «costante processo di raccordo tra la fede e la vita».

L’Oratorio, rispetto ad altri luoghi formativi, si caratterizza per la specifica identità cristiana, i cui principi educativi s’ispirano al Vangelo e alla tradizione cristiana alla luce del Magistero della Chiesa. Per questo motivo ogni proposta offerta ai ragazzi ha un carattere formativo, ispirato e sostenuto dalla ricerca di un concreto e significativo incontro con la persona di Gesù Cristo, garanzia di una vita davvero felice e di una crescita nella pienezza dell’amore.

Attraverso i linguaggi del mondo giovanile, l’Oratorio promuove il primato della persona e la sua dignità, favorendo un atteggiamento di accoglienza e di attenzione, soprattutto verso i più bisognosi. È in questo modo che l’esperienza formativa apre i ragazzi alla disponibilità, alla generosità e alla prossimità, che fanno di loro autentici testimoni di carità. Di fronte alla crescente presenza di ragazzi e giovani appartenenti ad altre culture e religioni deve crescere la capacità di accoglienza senza venire meno all’identità del luogo e alla peculiarità della proposta educativa improntata ai valori cristiani. Si tratta di nuove e preziose occasioni di dialogo e di evangelizzazione. !57

12. Nell’orizzonte di una pastorale giovanile integrata Consapevoli della ricca verità di esperienze ecclesiali diffuse nel nostro Paese, da cui deriva una pluralità di proposte per la formazione e l’accompagnamento delle giovani generazioni, è fondamentale ribadire lo stretto legame che intercorre tra pastorale giovanile e Oratorio. L’attenzione da parte delle Chiese locali per l’educazione dei giovani, lungo tutto l’arco dell’età evolutiva, ha ispirato l’elaborazione di molteplici itinerari di educazione alla fede che, secondo le urgenze locali, ha sviluppato modelli diversi di pastorale giovanile. Essendo l’Oratorio uno strumento privilegiato con cui la comunità educa e accompagna i giovani all’integrazione fede-vita, la pastorale giovanile ne accoglie la funzione educativa nel suo progetto, riconoscendo e promuovendo nelle parrocchie la sua diffusione. In virtù di questa funzione è opportuno garantire la presenza dei responsabili degli oratori negli organismi di coordinamento e di consulta del Servizio per la pastorale giovanile e la loro rappresentatività nei Consigli pastorali diocesani e parrocchiali.

L’Oratorio, che per definizione rimane uno strumento di animazione dei ragazzi e dei giovani, il cui metodo educativo li coinvolge a partire dai loro interessi e dai loro bisogni, inserendoli organicamente in un cammino comunitario, non può essere pensato e non deve costituire una realtà a sé stante, ma è un’espressione qualificata della pastorale giovanile di una comunità parrocchiale. La promozione e l’organizzazione dell’Oratorio concorrono allo sviluppo di una forma sinergica e condivisa di pastorale giovanile integrata, dove la comunità educativa comprende e sostiene l’impegno di chi, su mandato della comunità ecclesiale, concorre al bene e all’educazione cristiana delle giovani generazioni. Questa prospettiva di pastorale integrata cresce grazie al raccordo con tutte le realtà ecclesiali, gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali, che anche nel !58

contesto dell’Oratorio sono chiamate ad offrire il loro peculiare contributo.

Le dinamiche e lo stile dell’Oratorio 13. Luogo fecondo di evangelizzazione L’Oratorio, in quanto espressione educativa della comunità ecclesiale, condivide con essa il desiderio e l’urgenza della missione evangelizzatrice, che «consiste nel realizzare l’annuncio e la trasmissione del Vangelo» e insieme «annunciare il Signore Gesù con parole e azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e azione nel mondo».

Nel compiere tale missione l’Oratorio ha un suo modo specifico che si caratterizza nello stile e nel metodo, assumendo forme e attività adeguate alle esigenze e ai cammini sia del singolo che dei gruppi: esso «accompagna nella crescita umana e spirituale» inserendosi nel ritmo quotidiano delle persone e della comunità civile e proponendo iniziative, percorsi, esperienze, relazioni e contenuti che, in modo esplicito o implicito, vogliono favorire l’incontro con il Signore Gesù e con il suo dono di vita buona.

Per questo l’Oratorio si configura come un variegato e permanente laboratorio di interazione tra fede e vita. Quanti sono coinvolti nella vita oratoriale, a vario titolo, siano essi ragazzi, giovani, famiglie e adulti, sono chiamati a vivere un’esperienza globale che trae dal Vangelo forza e significato, e che ha nell’incontro con il Signore Gesù la sua fonte e il suo culmine. Una tale configurazione porta a far sì che in Oratorio siano compresenti percorsi differenziati: alcuni chiaramente riferiti all’azione evangelizzatrice della Chiesa, come i cammini di iniziazione cristiana e di formazione religiosa; altri che rispondono alle esigenze del primo annuncio, soprattutto nell’incontro con giovani prove!59

nienti da altre culture e religioni oppure di giovani battezzati non praticanti; insieme a questi vi sono molti percorsi educativi di aggregazione e formazione che si concretizzano nelle molteplici attività oratoriali messe in atto come risposta alle sfide culturali e ai bisogni dei ragazzi e dei giovani stessi: sport, esperienze comunitarie, animazione, teatro, volontariato sociale e missionario, laboratori artistici, pellegrinaggi, cinema, web sono solo alcuni degli ambiti in cui la comunità educativa dell’Oratorio si cimenta.

All’interno di molti oratori si attua concretamente anche il cammino di formazione religiosa con il completamento dell’iniziazione cristiana e la proposta di itinerari di fede in grado di garantire una maturazione spirituale progressiva e integrale. Questa prassi ampiamente diffusa è molto importante e risponde all’esigenza di sviluppare una crescita armonica e solida in cui la catechesi sia costantemente coniugata con le scelte di vita, al fine di condurre i giovani ad una piena maturità cristiana. Sono sempre più frequenti anche i casi in cui l’iniziazione cristiana viene avviata proprio grazie alla frequentazione dell’Oratorio.

14. Per una gioiosa trasmissione del Vangelo Tali percorsi, nella loro diversità e ricchezza, si caratterizzano per uno specifico stile di evangelizzazione, possibile e tanto più efficace quanto più attua le seguenti condizioni: • la testimonianza di fede in una concreta comunità cristiana da parte di coloro che animano l’Oratorio: passione e competenza educative hanno nella consapevolezza del mandato ecclesiale e nel riferimento a Cristo buon pastore il loro fondamento sorgivo; • l’inserimento del ragazzo e del giovane in un’esperienza oratoriana che è allo stesso tempo cammino personalizzato !60

e comunitario: l’ambiente nel suo insieme, con la ricchezza di relazioni personali, attività ed esperienze, ne accompagna e illumina la crescita (presenza di molteplici figure adulte, anno liturgico e pastorale, incontri ed attività di gruppo, attività estive, feste patronali, iniziative di carità e di solidarietà…); tuttavia è nel rapporto personale con una guida e nella preghiera che egli viene aiutato a fare sintesi di vita e scelte di futuro in quanto discepolo del Signore; • l’accoglienza progettuale del ragazzo e del giovane, rispettati nel loro percorso storico di vita e nei loro interessi espressivi e ricreativi, ma insieme pro-vocati e sollecitati nel loro cammino di crescita e maturazione verso la pienezza di maturità in Cristo, avendo come orizzonte l’inserimento responsabile nella comunità ecclesiale e civile e la propria santificazione; • la possibilità di percorsi graduali e differenziati: ragazzi e giovani, pur appartenendo alla medesima fascia di età oppure frequentando le medesime attività scolastiche e oratoriali, hanno esigenze e storie diverse, per cui è opportuno che il dono di vita buona del Vangelo si adatti ad ogni singola persona, incontrando i giovani al punto in cui si trova la loro libertà e accompagnandoli nella loro piena maturazione.

Di conseguenza emerge con chiarezza che la missione evangelizzatrice dell’Oratorio non si esprime solamente attraverso la catechesi e l’azione liturgica, per quanto essenziali e ineludibili siano da considerare tali aspetti; essa tende a innervare ogni singola attività ed esperienza, i tempi e i luoghi dell’Oratorio, a partire dalle motivazioni chiare e profonde di coloro che vi operano.

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15. Il primato della relazione L’Oratorio educa ed evangelizza, in un contesto ecclesiale di cammino comunitario, soprattutto attraverso relazioni personali autentiche e significative. Esse costituiscono la sua vera forza e si attuano sia attraverso percorsi strutturati sia attraverso espressioni informali. L’attuale emergenza educativa è letta da più parti come esito di un impoverimento delle relazioni educative personali. In particolare va sottolineato come l’accrescersi esponenziale della comunicazione virtuale costituisca una sorta di surrogato della relazione, che rischia di trarre in inganno molti giovani. Anche laddove i social network sembrano semplicemente prolungare e rafforzare rapporti di amicizia, appare necessario aiutare i giovani che abitano il mondo della rete a scendere in profondità coltivando relazioni vere e sincere.

L’Oratorio risponde a questa situazione favorendo il più possibile il consolidarsi di un preciso stile relazionale fatto di accoglienza semplice e schietta, ascolto profondo e sintonia empatica. Particolare cura richiede l’accompagnamento educativo personale, specie a partire dall’età delle pre-adolescenza, che permette di verificare la reale assimilazione degli obiettivi proposti e di ricalibrare continuamente in itinere la proposta formativa.

Tutte le attività dell’Oratorio sono, perciò, improntate a favorire un contesto di dialogo sereno e costruttivo nella consapevolezza che nessuna attività può sostituire il primato della relazione personale.

Le proposte dell’Oratorio si nutrono di relazioni e nello stesso tempo ne costituiscono il contesto naturale e fecondo. In un tempo segnato dalla consumazione immediata del presente e dal continuo cambiamento, dalla frammentazione delle esperienze, l’Oratorio si propone di suscitare e alimentare relazioni costanti nel tempo senza sfuggire le responsabilità e le sfide del “rischio educativo”. La qualità delle relazioni incide profonda!62

mente sul processo educativo. «La creatura umana, in quanto di natura spirituale si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale».

Molto spesso il tempo concorre notevolmente a definire lo spessore della relazione; perciò l’Oratorio favorirà, per quanto possibile, una continuità relazionale, senza la quale difficilmente si potrà costruire un percorso educativo promettente. Oltre a essere costanti e qualificate, quelle che si vivono in Oratorio mirano ad essere anche relazioni autorevoli in grado di aiutare i ragazzi e i giovani a fare sintesi. La vita dei ragazzi e dei giovani è segnata da diversi rapporti, per lo più settoriali, che raramente riescono a fissare l’attenzione su tutta l’ampiezza e la complessità del vissuto personale. Occorre passare dalla “consumazione delle relazioni” ad una sapiente e qualificata “costruzione delle relazioni”. L’esperienza insegna che spesso l’Oratorio finisce per essere di fatto il luogo unificante del vissuto, aiutando chi lo frequenta a superare il rischio, oggi tutt’altro che ipotetico, della frammentazione e della dispersione. La caratteristica forse più significativa delle relazioni che un ragazzo vive in Oratorio è quella della gratuità che nasce dalla fede ed è totalmente protesa al bene dell’altro. Tale atteggiamento genera stupore e dischiude orizzonti di fiducia, insieme al desiderio di mettersi in gioco e di imitare chi si spende con generosità per gli altri.

16. Ambiente accogliente nella chiarezza delle proposte Normalmente l’Oratorio viene immaginato come un ambiente aperto e accogliente, un luogo in cui è facile entrare, un contesto in cui il ragazzo e il giovane si trovano a proprio agio, una seconda casa: in termini di intervento sociale potrebbe essere defi!63

nito un “servizio a bassa soglia”, pensando al fatto che uno scalino più o meno alto può porsi come un filtro all’ingresso. Tale rappresentazione ideale fa centro su una delle caratteristiche più qualificanti la realtà oratoriana, che ha nella capacità di accoglienza la sua strategia e il suo potere di attrazione. Una tale accoglienza, però, non può mai comportare disimpegno o svendita dei valori educativi.

Essa si manifesta in molteplici forme e contesti. Certamente si riferisce alla possibilità fisica di accedere con facilità e naturalezza agli spazi interni dell’Oratorio: un ingresso visibile, aperto e accessibile. Tuttavia si esprime soprattutto attraverso le persone che sono all’interno di esso, o in quanto responsabili e collaboratori o in quanto partecipanti e fruitori: il presentarsi e far conoscenza, il saluto, il sorriso, le “buone maniere”, l’invito a partecipare alle attività sono le modalità con cui i frequentatori abituali e i nuovi arrivati si sentono accolti e messi a proprio agio. Un elemento da prendere in considerazione per valutare e potenziare la capacità di accoglienza di un ambiente oratoriano riguarda la struttura dell’Oratorio: piccolo o grande che sia, l’elemento strutturale dice molto di sé, sia a livello di stato di conservazione che di cura nell’arredamento e nell’allestimento di attrezzature e materiali, come anche nella disposizione degli spazi dedicati alle varie attività.

Ci sono poi alcuni aspetti che esplicitano la volontà e il desiderio di andare sempre incontro ai ragazzi e ai giovani. Molte iniziative e proposte oratoriane esprimono chiaramente la disponibilità e l’interesse ad entrare in relazione con tutti e negli ambiti più diversi. È il caso della pratica sportiva, o delle attività in ambito teatrale ed espressivo, oppure delle iniziative di sostegno scolastico e di volontariato. Più recentemente l’Oratorio si sta confrontando con le novità del digitale e dei new media, trovando in essi stimoli per nuove proposte e percorsi educativi. !64

Anche la presenza di ragazzi e giovani provenienti da altre culture e religioni è motivo e occasione di ripensamento e di riorganizzazione della proposta oratoriana. Occorre, inoltre, misurarsi anche con situazioni di grave degrado sociale e culturale (criminalità organizzata, disoccupazione, alcolismo, droga…): di fronte a tali contesti, con lo spirito del buon samaritano l’Oratorio si fa “prossimo”, reinventando modalità e iniziative per rispondere alle nuove emergenze educative.

17. Il progetto educativo dell’Oratorio Al centro del progetto educativo dell’Oratorio c’è la crescita e la progressiva maturazione di ogni singolo ragazzo o giovane secondo la prospettiva dell’auto-realizzazione ben delineata da Giovanni Paolo II: «Davanti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’intero progetto della vita futura. La vita si delinea come la realizzazione di quel progetto: come auto-realizzazione».

Tutti nell’Oratorio devono trovare accoglienza vera e piena. Lo stile di accoglienza dell’Oratorio esige pertanto una chiara impostazione identitaria e progettuale. Si tratta cioè di uno stile intenzionale, pensato e voluto, e per quanto è possibile organizzato. Si può parlare di accoglienza progettuale laddove ci sono persone che hanno tematizzato le problematiche e che hanno deciso di mettere in gioco le proprie risorse di tempo, di passione e di competenza per rispondere a tali sollecitazioni.

L’accoglienza è realmente progettuale, e quindi sensata e finalizzata, nella misura in cui rispetta alcune condizioni di base: è frutto di una larga condivisione tra i responsabili di Oratorio, sia di ambiente che di settore, e il consiglio pastorale parrocchiale !65

e/o oratoriano; fa riferimento a persone concrete che, su mandato dei responsabili, diano attuazione a quanto stabilito; prevede tempi e modalità condivise di verifica e valutazione di quanto progettato e messo in atto, sia in itinere che prima della ripresa di ogni iniziativa.

L’espressione “progetto educativo dell’Oratorio” non deve primariamente rimandare a un testo scritto, un documento, in cui sono state raccolte riflessioni e indicazioni, ma a un insieme di persone che, nel confronto e nella condivisione, hanno certamente definito e codificato obiettivi, tempi, attività, percorsi, verifiche, ma soprattutto hanno chiarito le motivazioni di ciò che propongono, scelto il come realizzarlo e individuato il chi si farà carico di dare seguito a tali indicazioni.

L’accoglienza progettuale, quindi, non può essere improvvisata o lasciata alle buone intenzioni di qualcuno, perché è un aspetto che qualifica e specifica l’Oratorio nella sua identità, e questa è patrimonio e responsabilità della comunità cristiana tutta e non solo di qualcuno.

18. Educare a un protagonismo responsabile In Oratorio chi arriva nuovo così come chi lo abita da tempo, il ragazzo come l’adulto, vi trova il suo spazio di espressione e di partecipazione, la valorizzazione delle capacità, e soprattutto l’opportunità di essere riconosciuto e accolto come persona. Da una fase iniziale a quella più avanzata si delinea quel processo di coinvolgimento che spesso induce a sentire l’ambiente oratoriano come la propria seconda casa, il luogo dove ci si sente a proprio agio e dove si assumono impegni e responsabilità, dove si impara che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35).

Parliamo qui di un protagonismo sano e virtuoso che non ha nulla a che fare con le connotazioni negative riscontrabili nella cultura odierna. Si registra, infatti, una dannosa tendenza all’e!66

sibizionismo e al narcisismo, che generalmente si esprime in un accentuato individualismo, interpretabile anche come forma di compensazione della propria fragilità personale, percepita o reale. Nonostante questi reali limiti e possibili rischi, il protagonismo, sia giovanile che adulto, rimane la migliore risorsa dell’Oratorio per avviare percorsi di educazione alla partecipazione e all’assunzione di responsabilità.

Le vie attraverso cui in Oratorio si educa al protagonismo virtuoso e responsabile danno origine a un processo di maturazione progressiva, frutto dell’interazione di più elementi che si intrecciano in modalità e intensità diverse da persona a persona: • via privilegiata è quella dell’imparare facendo, che certamente richiede un minimo di competenza, ma che soprattutto esige disponibilità ad apprendere, passione nel dedicarsi e fedeltà nel mantenere gli impegni presi; • contesto essenziale al protagonismo oratoriano è quello dell’agire comunitario, basato sul confronto e sulla condivisione, ragione per cui non si opera mai da soli e in forma isolata o autoreferenziale; • percorsi di formazione che siano in grado di sviluppare processi di approfondimento e assimilazione delle adeguate motivazioni che sorreggono e muovono l’agire personale.

A sostegno della proposta oratoriana di graduale e progressivo coinvolgimento di tutti, ragazzi, giovani, adulti e famiglie a servizio degli altri sovente viene proposta la dinamica della “restituzione”. Tutti, in modi e situazioni diverse, hanno ricevuto del bene da qualcuno. Tutti quindi, ognuno secondo le proprie possibilità e capacità, sono chiamati a restituire tale bene diventando dono per altri. L’Oratorio deve aiutare ciascuno a scoprire i propri talenti e a metterli a frutto per il bene di tutti. In tale di!67

namica si inserisce anche l’esperienza del bene sommo, la grazia divina, che tutti abbiamo ricevuto nella passione, morte e risurrezione del Signore Gesù, e a cui tutti siamo chiamati a rispondere diventando a nostra volta dono.

19. Alleanze feconde e diversificate L’educazione è sempre in qualche misura un’opera corale. Essa richiede l’apporto di diversi soggetti in grado di ridire le stesse cose, in modo armonico e coordinato, nella diversità di tempi, luoghi e forme. La reale forza di un processo educativo dipende in gran parte dall’interazione di più soggetti capaci di trasmettere lo stesso messaggio attraverso una molteplicità di esperienze e linguaggi. Su questo presupposto si basa la forma stessa dell’Oratorio che prevede, nella quasi totalità dei casi, la presenza di diverse figure educative che operano in sinergia. Così la comunità educante risulterà arricchita dai molteplici e variegati apporti di sacerdoti, consacrati, catechisti, animatori, educatori, genitori, nonni e di altre figure che si renderanno necessarie e disponibili.

L’Oratorio può apparire già di per sé, al suo interno, un’alleanza educativa compiuta. Questo però non giustifica alcun ripiegamento o il pensarsi in modo autoreferenziale. L’Oratorio per sua natura è chiamato a promuovere ampie e feconde alleanze educative, gettando ponti verso l’esterno. Si rende così più visibile ed evidente la sua natura estroversa, tesa a valorizzare ciò che di buono è già presente nel territorio, mettendosi cordialmente in dialogo con le diverse realtà.

La prima e fondamentale alleanza educativa è certamente quella con la famiglia, come ricordato dai Vescovi: «Se è vero che la famiglia non è la sola agenzia educatrice, soprattutto nei confronti dei figli adolescenti, dobbiamo ribadire con chiarezza che c’è un’impronta che essa sola può dare e che rimane nel tempo. !68

La Chiesa, pertanto, si impegna a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori». Il ruolo fondamentale della famiglia nei processi educativi implica anche una particolare attenzione da parte dei responsabili dell’Oratorio verso quei ragazzi e giovani che hanno in casa situazioni di maggiore fragilità e sofferenza.

Altro orizzonte fondamentale di alleanza educativa è quello che fa riferimento al mondo della scuola, con il quale l’Oratorio crea quanto più possibile una collaborazione permanente ai diversi livelli, nell’interesse reciproco e prima ancora dei ragazzi stessi.

Particolare attenzione sarà riservata alla figura del docente di religione cattolica, che potrà concorrere a stabilire punti di contatto e di sapiente interazione. Tra le attività dell’Oratorio, quella molto diffusa del doposcuola costituisce certamente un ambito privilegiato di collaborazione che merita di essere incentivato e incrementato.

Di grande rilevanza inoltre è la collaborazione con le associazioni sportive che spesso gravitano attorno all’Oratorio. Lo sport, con il suo bagaglio di valori, costituisce una delle più grandi risorse educative e pertanto deve sentirsi a casa propria nell’Oratorio. Occorre però vigilare affinché gli aspetti agonistici non prendano mai il sopravvento sulle finalità educative. L’Oratorio, oltre a promuovere al suo interno attività sportive, potrà anche valutare, di volta in volta e dopo adeguato discernimento, l’opportunità di sviluppare collaborazioni con le altre realtà sportive del territorio.

20. L’ambiente dell’Oratorio: luogo, tempi e linguaggi I luoghi. Spesso si dice che l’Oratorio non è solo un luogo, ma è molto di più. Questa affermazione, pur molto vera, rischia di farci dimenticare l’importanza dell’avere un luogo che si possa considerare Oratorio. Ciò non significa che il luogo sia indispensabile per iniziare, o che bisogna partire necessariamente da un !69

luogo. Si possono valorizzare al meglio i luoghi che ci sono e pensare con cura a nuove strutture. Gli ambienti, il loro utilizzo e la loro gestione possono dire molto in riferimento alle scelte educative. È importante che gli ambienti dell’Oratorio siano adatti alle attività educative e quindi sobri, ordinati e dignitosi.

Essi dovrebbero essere percepiti dai ragazzi quasi come una seconda casa e perciò devono essere da loro in qualche misura custoditi e mantenuti al meglio. Ogni scelta relativa agli ambienti dell’Oratorio va contemperata con le esigenze delle attività educative e non deve snaturare le finalità principali dell’Oratorio.

Per quanto possibile, si cercherà di dotare l’Oratorio di tutte le strutture utili alle attività giovanili, in particolare degli spazi esterni per il gioco libero e per lo sport e quelli interni per le altre attività, tra cui l’angolo della preghiera o una piccola cappella. Tutte le strutture di servizio, come un piccolo bar all’interno dell’Oratorio, devono essere in linea con la proposta educativa dell’Oratorio.

I tempi. La dinamica dei tempi dell’Oratorio costituisce oggi indubbiamente una questione che richiede una profonda riflessione e un intenso discernimento comunitario. È sotto gli occhi di tutti il grande cambiamento nei tempi di vita delle famiglie; questo dato richiede di essere contemporaneamente assunto ed educato. Non è possibile prescindere dalle esigenze concrete che la vita spesso impone e tuttavia non ci si può fermare a rispondere ad esse. L’Oratorio, attraverso le sue diverse attività, si farà carico di aiutare i ragazzi e le loro famiglie ad umanizzare il tempo e a vivere bene il giorno del Signore. Il progetto educativo dell’Oratorio e la sua declinazione nel programma annuale avranno cura di armonizzare in modo sapiente i tempi della vita in riferimento alle diverse iniziative proposte e alle altre attività della parrocchia. Inoltre il progetto educativo di ciascun Oratorio saprà indicare i momenti e tempi più opportuni in riferimen!70

to alle attività settimanali feriali e festive, così come nell’ambito del programma annuale. Una particolare attenzione dovrà essere riservata anche ai tempi liturgici e a quelli della crescita nella fede. Un tempo propizio per le attività dell’Oratorio è senza dubbio quello estivo. Esso non esaurisce tutte le proposte dell’Oratorio, che anzi trovano il loro fondamento nelle attività svolte durante l’anno pastorale, ma costituisce un momento decisamente privilegiato nel quale proporre attività formative e ludiche, sia in loco che residenziali.

I linguaggi. Il metodo proprio dell’Oratorio è quello dell’animazione, ovvero quello del coinvolgimento diretto; è un metodo attivo che si caratterizza per il protagonismo del soggetto e per la notevole carica esperienziale. Esso parte normalmente da un’attività semplice, dinamica e attraente per comunicare dei contenuti o stimolare una riflessione. Tale metodo si serve di molti linguaggi a seconda dell’opportunità. Molto spesso la ricchezza di una proposta educativa dipende in grande misura dalla varietà dei linguaggi attraverso i quali riesce a esprimersi.

L’utilizzo di più linguaggi può permettere un’assimilazione dei contenuti più precisa e profonda, oltre che dare la possibilità a ciascuno di esprimersi a partire dalle proprie inclinazioni naturali. L’Oratorio assume volentieri i linguaggi del mondo giovanile contemporaneo, nell’auspicio che ogni interlocutore possa riconoscere la propria lingua. In particolare sceglierà di servirsi dei linguaggi del gioco libero e creativo, dello sport spontaneo e organizzato, della musica, della narrativa, del cinema e di altre dinamiche comunicative riconosciute, apprezzate e frequentate dai ragazzi. Tra i vari linguaggi, merita certamente una menzione quello della comunicazione nel nuovo ambiente digitale.

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21. L’Oratorio come laboratorio culturale La testimonianza appassionata di tante persone racconta delle molteplici e variegate esperienze vissute in Oratorio e di come attraverso di esse sono cresciute e hanno acquisito valori civili ed ecclesiali, sensibilità e atteggiamenti, tradizioni e abitudini, criteri e capacità di valutazione: pur nella diversità delle sue realizzazioni, nei tempi, negli spazi e nelle modalità, l’Oratorio si offre come un laboratorio in cui si produce cultura. Certamente il suo ambito di azione e le sue modalità ordinarie non lo inducono a forme culturali di tipo accademico, anche se non mancano, tra le attività proposte dagli oratori, convegni, giornate di studio, dibattiti, aggiornamenti, specialmente in ambito educativo. Nel contesto della direzione indicata anche dagli orientamenti pastorali per questo decennio, varrà la pena di investire tempo ed energie per partecipare anche al dibattito pubblico sui temi e i compiti educativi della società civile e della comunità ecclesiale.

Tuttavia, non si può negare che l’Oratorio svolga molte funzioni culturali, sia quanto a contenuti che a modalità: esso propone una visione di uomo e di donna in relazione con Dio, fa sperimentare una forma specifica di cittadinanza e di partecipazione responsabile, è una comunità in cui si fa esperienza di relazioni intergenerazionali e spesso anche interculturali, è uno spazio in cui ci si confronta con le sfide sociali provocate dalla crisi economica e dal degrado socio-culturale.

A questo impatto culturale, estremamente importante e significativo, concorrono le diverse iniziative, a volte solo apparentemente ricreative e ludiche, che si possono riscontrare nelle migliaia di oratori sparsi nel territorio italiano: incontri di gruppo, in cui sovente si affrontano temi e si attivano dinamiche proprie di una determinata età; scuola di formazione sociale e politica, per accompagnare la maturazione di cittadini credenti e respon!72

sabili; attività sportive ed espressive (teatro, musica, danza, arte, cinema), considerate sempre meno passatempi e sempre più come occasioni di approfondimento e di rinnovamento culturale, innanzitutto per l’Oratorio stesso; iniziative di comunicazione e informazione (web e giornalini), con un’attenzione speciale ai new media e ai social network, che tanto peso hanno oggi nel prolungare e allo stesso tempo indebolire le relazioni interpersonali; progetti di accoglienza e scambio interculturale e interreligioso, per favorire nell’Oratorio quella convivenza a volte così difficile sul proprio territorio; commercio “equo e solidale”, iniziative di volontariato e solidarietà, sensibilizzazione al tema del rispetto dell’ambiente e molti altri ancora sono gli ambiti in cui l’Oratorio si confronta con la mentalità corrente e in cui propone la propria sintesi e visione ispirata alla vita buona del Vangelo.

Sinergie e collaborazioni in questa prospettiva possono esser sviluppate con la Caritas e con le varie iniziative di solidarietà, tra cui anche il progetto Policoro.

Parte III: impegno e responsabilità ecclesiale 22. Identità ecclesiale dell’Oratorio L’Oratorio è espressione della cura materna e paterna della Chiesa. Nasce dall’amore della comunità ecclesiale per le nuove generazioni e, quindi, non può essere affidato ad altri soggetti, seppur competenti, che non abbiano le stesse finalità, perché quando viene meno una chiara appartenenza ecclesiale l’Oratorio perde la sua identità. Quest’originaria e vitale appartenenza va declinata nelle diverse situazioni e nelle molteplici forme con cui la Chiesa è presente nel territorio. L’appartenenza ecclesiale dell’Oratorio è espressa anzitutto a livello di Chiesa particolare attraverso la comunione con il Vescovo diocesano, il quale indi!73

ca le principali linee educative e gli orientamenti pastorali, a cui devono riferirsi anche le realtà promosse da istituti religiosi o altri soggetti ecclesiali. Per favorire e incentivare un cammino educativo unitario può essere utile costituire un coordinamento diocesano.

L’Oratorio deve, inoltre, poter contare su di un clima di costruttiva collaborazione con tutti i soggetti ecclesiali presenti nel territorio. È fondamentale l’apporto dei consigli pastorali e delle consulte di pastorale giovanile, ai diversi livelli (parrocchiale, zonale, vicariale, diocesano) sia per l’elaborazione del progetto sia per la costante verifica dell’attività educativa dell’Oratorio. Il progetto educativo, mentre evidenzia l’identità dell’Oratorio, ne favorisce anche la crescita nella condivisione e nella sapiente regia, nella progettualità, nella responsabilità, nella operatività di tutti i soggetti e di tutte le persone coinvolte. Tale progetto deve essere largamente condiviso e verificato da tutti i soggetti coinvolti: sacerdoti, educatori, giovani e famiglie. Tutto ciò richiede pazienza, attenzione e corresponsabilità condivisa.

La convergenza di tutti attorno al progetto educativo dell’Oratorio potrà favorire anche la valorizzazione di una ministerialità educativa in grado di promuovere i carismi, valorizzare i talenti e mettere a frutto i doni suscitati dallo Spirito. Preziose sono le iniziative degli ordini religiosi e degli istituti di vita consacrata, così come il coinvolgimento delle aggregazioni laicali, soprattutto di quelle particolarmente contrassegnate da un carattere educativo. Interpreti fondamentali dell’identità ecclesiale dell’Oratorio sono i responsabili e gli educatori. Chi assume il compito di educatore non può farlo semplicemente a titolo personale, ma deve sentirsi espressione della comunità: stimato e seguito, incoraggiato e sostenuto. Tale servizio, infatti, rappresenta una vera e propria chiamata: è una vocazione che ha bisogno del discernimento e del dovuto accompagnamento formativo. !74

Il coinvolgimento della comunità deve vedersi anche nella cura degli ambienti, delle strutture e delle attività dell’Oratorio. La vivacità di un Oratorio e la sua capacità di essere di richiamo per i ragazzi e i giovani si vede anche dalla collaborazione dei vari membri della comunità che a diverso titolo e in molte forme possono contribuire al buon andamento dell’esperienza. L’Oratorio può trarre notevoli vantaggi da una precisa e organica strutturazione delle collaborazioni che, evitando sovrapposizioni e invadenze, favorisca il coinvolgimento di tutti con un senso profondo di comunione e di partecipazione alla sfida educativa.

Anche gli ammalati con il loro silenzioso apostolato contribuiscono non poco al bene dell’Oratorio: preziosa è la sofferenza donata, testimoniata e vissuta con i figli nell’amore.

23. Formazione e profilo delle figure educative Ripercorrendo la memoria delle tradizioni dell’Oratorio, la prima evidenza che ci viene consegnata è il valore insuperabile dell’autorevolezza delle figure educative. Centrale è la figura del “padre e della madre secondo lo spirito”: San Filippo era chiamato padre nell’accezione più intensa dai giovani romani che frequentavano l’Oratorio per gli eccezionali sentimenti di paternità con lui sperimentati e don Bosco volle ricreare nei suoi oratori un ambiente di famiglia sotto la sua cura di padre, maestro e amico. Altrettanto si dovrebbe dire delle opere femminili, ad esempio delle Orsoline di Sant’Angela Merici o delle Figlie di Maria Ausiliatrice. In molte diocesi i giovani sacerdoti erano quasi interamente dediti all’Oratorio, in taluni casi risiedendo addirittura nella stessa struttura oratoriana e assumendone la responsabilità educativa e gestionale.

Ancor oggi il più grande patrimonio dei nostri oratori è rappresentato dalle decine di migliaia di educatori, formatori, animatori e collaboratori che prestano un generoso servizio, donando !75

tempo e competenze. Tutti possono fare qualcosa per il proprio Oratorio, ma secondo i ruoli e le responsabilità non potrà mancare una specifica e adeguata formazione. La disponibilità da sola non basta, è necessaria anche la competenza che si realizza attraverso un attento cammino di formazione pensato e progettato insieme nei luoghi e nelle forme più appropriate. Perciò tutti, parrocchie, istituti di vita consacrata, aggregazioni laicali con un carisma educativo devono sentire forte la necessità di camminare insieme e stringere alleanze educative per il servizio da offrire a supporto dei singoli oratori.

In ogni Oratorio si porrà poi la dovuta attenzione affinché la gestione delle attività non diventi mai prevalente rispetto al fine educativo. Al di sopra del fare e dell’organizzare dovrà essere sempre salvaguardata la relazione, la condivisione dei programmi, la comunione d’intenti, considerando i ragazzi mai come “utenti” ma sempre come figli di Dio, protagonisti della loro crescita. Pertanto vanno garantiti, all’interno della progettazione, momenti e spazi per la formazione della comunità educativa dell’Oratorio: è necessario che periodicamente ci si ritrovi per la formazione, per pregare, per verificare il lavoro svolto. La formazione andrà pensata anche in base al ruolo che ciascuno ricopre, tenendo conto che la dinamica educativa, in un quadro di comunione e condivisione, esige sempre una chiara articolazione delle responsabilità. In considerazione dello sviluppo che gli oratori stanno registrando su tutto il territorio nazionale, si dovranno sempre più prevedere e organizzare momenti qualificati di formazione a livello parrocchiale, diocesano, interdiocesano, regionale e nazionale, anche con il supporto di centri universitari specializzati, facoltà e istituti teologici, istituti superiori di scienze religiose.

All’interno di un Oratorio è insostituibile la presenza del sacerdote anche in un tempo in cui, a causa della carenza di vocazio!76

ni, diventa difficile poterla garantire a tempo pieno. Pure laddove non si può beneficiare di una presenza assidua non potrà mancare una figura sacerdotale di riferimento, specie per gli aspetti spirituali e formativi. Peraltro questa presenza non deve essere relegata solo ai giovani sacerdoti: l’esperienza insegna che l’efficacia educativa non coincide con la vicinanza generazionale fra educatori e ragazzi, anche se questo aspetto a volte può avere un suo valore. È sempre più necessario che i sacerdoti stiano in Oratorio più per gli aspetti religiosi che per quelli organizzativi, per favorire un autentico clima di scambio, di conoscenza, di stima e per offrire un accompagnamento umano e spirituale ai ragazzi e agli educatori. Vedere un sacerdote attento alla vita dell’Oratorio e felice della propria scelta è un segno forte e fecondo, anche in vista di proposte vocazionali concrete e affascinanti. Allo stesso modo anche la presenza dei consacrati è un grande dono. Essi, con la professione dei consigli evangelici, danno concreta testimonianza di un amore libero e disinteressato che si fa carico, in particolare, dei più poveri, deboli e indifesi. Tra tutte le presenze non deve essere assolutamente trascurata quella degli stessi giovani adulti, il cui protagonismo deve essere sostenuto e orientato al servizio.

La necessità di avere in Oratorio figure stabili di riferimento è indiscutibile: tradizionalmente essa è individuata nel direttore, coordinatore o responsabile dell’Oratorio, ma in alcuni grandi oratori operano stabilmente diversi educatori. I ruoli di responsabilità, in passato, venivano svolti per lo più da sacerdoti o religiosi/religiose. Oggi, sempre più spesso, tale compito viene affidato a dei laici preparati. Al di là delle tradizioni e delle odierne situazioni, chiunque, su mandato ecclesiale, ne assuma la responsabilità deve operare perché l’Oratorio “funzioni bene”, coordinando le varie attività, operando nell’ottica evangelica e vocazionale, garantendo la cura delle relazioni interper!77

sonali, lo stile dell’accoglienza e la qualità educativa dell’ambiente. Il responsabile è chiamato a favorire un positivo e armonico intervento di tutte le altre figure educative: deve possedere pertanto buone doti di coordinamento e una spiccata attitudine al lavoro comune e condiviso. Non agisce mai a titolo personale e per questo riceve un incarico dall’autorità ecclesiale di riferimento che ne certifica la formazione e ne determina la funzione.

La questione dell’eventuale remunerazione di laici impegnati in modo stabile deve essere affrontata con prudenza e saggezza, tenendo conto che è sempre bene promuovere la gratuità e il volontariato, anche per una chiara scelta educativa, senza però che questo pregiudichi la qualità della proposta. Quando l’impegno richiesto e il mandato affidato assumono carattere di prolungata stabilità ed implicano alta professionalità, non sempre possono essere ricondotti ad un profilo di solo volontariato. Le soluzioni possono essere molteplici e vanno individuate in base alle situazioni concrete, alle esperienze e alle determinazioni dell’autorità ecclesiastica. In ogni caso occorre tener presenti alcuni criteri: l’appartenenza e la dedizione ecclesiale, la testimonianza di vita coerente con la morale cattolica, le competenze e la professionalità, il livello di responsabilità e l’impegno richiesto, il senso della giustizia, la sostenibilità dell’onere da parte della comunità o dell’ente titolare dell’Oratorio.

24. Attività sportive, artistiche e culturali Nell’Oratorio convergono una molteplicità di percorsi e di linguaggi, un variegato insieme di proposte culturali e sportive, una ricca offerta formativa. La bellezza dell’Oratorio e la sua forza di attrazione verso i ragazzi e i giovani dipendono anche da questa molteplicità di offerte in un quadro di proposta educativa integrata e sinergica.

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Tra le proposte più consolidate e diffuse c’è l’attività sportiva.

Lo sport in Oratorio è un dono per tutti a patto che si rispettino alcune caratteristiche proprie della natura educativa di questo ambiente: lo sport come gioco e divertimento che viene prima della competizione; la possibilità di un esercizio dello sport aperto a tutti, senza discriminazioni di alcun tipo; la diversificazione della pratica sportiva per evitare una assolutizzazione di alcuni sport; la presenza di educatori sportivi che vivano autenticamente l’appartenenza all’Oratorio; un progetto sullo sport dichiaratamente educativo, che sia stimolo anche al di fuori dall’ambiente oratoriano.

La presenza sul territorio nazionale di associazioni cattoliche che operano per la promozione e l’organizzazione dell’ambito sportivo – prima fra tutte per la sua storia e la sua presenza capillare il Centro Sportivo Italiano – è di grande aiuto per gli oratori. Ad esse viene richiesto non solo di collaborare nell’ambito delle attività sportive, ma di integrarsi pienamente nella vita dell’Oratorio assumendone fino in fondo le finalità educative.

Deve essere pertanto incentivato il collegamento fra di esse e le strutture di coordinamento degli oratori al fine di creare maggiori sinergie e unità di intenti a beneficio dei ragazzi e dei giovani.

L’accoglienza dei linguaggi giovanili e della loro espressività rende l’Oratorio a misura dei più giovani, lo fa sentire familiare e a loro vicino. La musica, il teatro, la danza e le numerose manifestazioni artistiche, così come i vari ambiti della creatività, sono tutti elementi che possono qualificare la proposta educativa dell’Oratorio perché favoriscono una presenza attiva dei ragazzi e permettono loro di esprimersi. Le varie attività proposte assumono così una valenza culturale, oltre che educativa.

Una forte cultura educativa deve essere in grado di generare anche una significativa educazione a fare cultura. È questa del !79

resto l’esperienza della fede, che non è tale se non genera cultura. Anche l’Oratorio, per molti versi, contribuisce all’attuazione di quel progetto culturale che dalla metà degli anni novanta caratterizza la presenza della Chiesa nel nostro Paese. La dimensione culturale delle attività educative, oltre al valore intrinseco e al beneficio che apporta alla crescita dei ragazzi e dei giovani, può diventare ulteriore motivo di coinvolgimento delle famiglie e della comunità. L’Oratorio, con le sue attività culturali, diviene così protagonista della vita spirituale e sociale della comunità.

All’interno di un’autentica rete educativa tali attività possono risultare strategiche anche per dialogare con il mondo scolastico o con altri circuiti culturali presenti nel territorio.

25. Sfide antiche / nuove: emarginazione e interculturalità Fin dalle sue origini l’Oratorio, nelle varie situazioni e tradizioni, ha posto attenzione alle necessità e alle povertà delle nuove generazioni. In modo particolare don Bosco, con la sua sensibilità per l’abbandono in cui versavano masse di ragazzi, si fece carico della loro formazione e istruzione, non solo religiosa: la nascita di scuole e collegi manifestò come il Vangelo non potesse limitarsi al catechismo, ma chiedesse, in quel contesto, un’attenzione nuova e diversa. Oggi occorre prendere atto che molti oratori faticano a perseverare in questa medesima apertura, per la complessità delle sfide culturali sociali che li coinvolge. In altri quartieri o paesi, invece, l’Oratorio resta l’unico vero punto di riferimento ecclesiale e sociale, non di rado capace di denuncia e di rottura rispetto a ingiustizie e degrado. Purtroppo non sono poche, anche tra i più giovani, le situazioni in cui il disagio scivola in comportamenti a rischio fino alla dipendenza da alcol e droghe. Gli oratori, se per loro natura non sono presidi per il contrasto al disagio sociale, possono però fare molto in termini di prevenzione e di sostegno ai ragazzi e ai giovani in difficoltà. !80

Occorre per questo che, oltre ad offrire luoghi protetti e sicuri, sappiano “stare anche sulla strada” per cercare e per accogliere i soggetti più feriti e bisognosi.

Di fronte alla sfida dell’interculturalità, inoltre, gli oratori rappresentano oggi uno dei luoghi più avanzati e maggiormente coinvolti nei processi di accoglienza e di integrazione dei figli degli immigrati. Sono gli stessi ragazzi, messi nella condizione di confrontarsi con i coetanei di altre nazionalità e di altre religioni, che aiutano le nostre comunità a crescere nella dimensione dell’apertura, della cordiale convivenza e della testimonianza della fede. Il linguaggio dell’accoglienza fa già parte, di fatto, del patrimonio e della sensibilità educativa dell’Oratorio. Tale contesto può favorire un confronto, anche per superare una certa indifferenza diffusa, rispetto alle questioni più profonde dell’identità, compresa quella religiosa.

Pur nel rispetto di tutte le provenienze e sensibilità religiose è da escludere che, all’interno degli oratori, siano ospitati momenti di culto pubblico di altre religioni. L’Oratorio rimane espressione della comunità cristiana e questa natura non può essere mai negata o offuscata. All’interno delle attività dell’Oratorio, che pur contemplano l’accoglienza di ragazzi di altre religioni e tradizioni, non si potrà mai rinunciare alla preghiera e alla formazione cristiana, alla dimensione missionaria, che implica l’annuncio del messaggio evangelico a tutti. Il rispetto della sensibilità dei ragazzi e dei giovani di altre religioni richiede che la partecipazione ai momenti più tipicamente religiosi non sia obbligatoria. Appare comunque fondamentale offrire a tutti la possibilità di comprendere la tradizione cattolica, i contenuti della fede e delle espressioni spirituali. Una tale conoscenza li aiuterà a integrarsi meglio con i loro compagni e nell’ambiente oratoriano in cui si trovano a vivere.

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26. Al passo con le nuove generazioni dei nativi digitali Trovandosi a diretto contatto con il mondo dei ragazzi, in continua e veloce evoluzione, l’Oratorio deve affrontare situazioni sempre nuove e inedite. L’attuale mondo giovanile viene giustamente segnalato come il primo abitato dai cosiddetti “nativi digitali”. L’Oratorio non si può sottrarre al confronto con questo nuovo contesto esistenziale dei ragazzi e dei giovani. Può farlo assumendo le possibilità delle nuove tecnologie digitali con intelligenza e prudente innovazione, abitando con naturalezza questi stessi mondi e “facendo Oratorio” anche dentro queste nuove tecnologie, privilegiando elementi come il confronto, la relazione, l’informazione, la vicinanza, la circolazione delle idee, il protagonismo dei ragazzi, le nuove abilità che hanno sviluppato in termini relazionali e di apprendimento. Nello stesso tempo l’Oratorio garantisce ai ragazzi uno spazio reale di confronto con il virtuale per capirne profondamente potenzialità e limiti. In un tempo in cui la realtà rischia di diventare sempre più liquida e priva di peso specifico, l’Oratorio offre un’appartenenza reale, concreta, con obiettivi da raggiungere insieme attraverso esperienze dirette che permettono di misurarsi con se stessi e di percepire la proposta bella e affascinante della vita buona del Vangelo.

L’Oratorio può quindi contribuire ad attuare concretamente alcune indicazioni degli orientamenti pastorali del decennio, quando invitano a porre particolare attenzione al rapporto tra nuove tecnologie e sfida educativa: «Il loro ruolo nei processi educativi è sempre più rilevante: le tradizionali agenzie educative sono state in gran parte soppiantate dal flusso mediatico. Un obiettivo da raggiungere, dunque, sarà anzitutto quello di educare alla conoscenza di questi mezzi e dei loro linguaggi e a una più diffusa competenza quanto al loro uso. Pure in questo campo, l’impresa educativa richiede un’alleanza fra i diversi soggetti. Perciò sarà importante aiutare le famiglie a interagire con i media in modo !82

corretto e costruttivo, e mostrare alle giovani generazioni la bellezza di relazioni umane dirette. L’impegno educativo sul versante della nuova cultura mediatica dovrà costituire negli anni a venire un ambito privilegiato per la missione della Chiesa».

27. Aspetti amministrativi e collaborazione con altri soggetti Le attività dell’Oratorio si svolgono in ambienti e strutture di vario genere: pertinenze dell’edificio di culto, sale della comunità, saloni, spazi musicali, biblioteche, campi sportivi, parchi, tanto per citare quelli più comuni. A volte si tratta di spazi limitati, altre volte di complessi e strutture di notevole estensione. Anche le attività educative esercitate al suo interno si configurano in diversi modi: spontanee, organizzate, servizi alla persona, incontri, percorsi. Alcune attività possono svolgersi in collaborazione con realtà diverse: associazioni sportive e di Oratorio, gruppi, enti di vario genere, associazioni culturali…

In questi casi deve essere chiara e fatta sempre salva la responsabilità ultima dell’ente ecclesiale titolare dell’Oratorio. È bene che tali collaborazioni siano definite con cura, se necessario, anche dal punto di vista giuridico con convenzioni e specifici accordi. La gestione di un Oratorio, quindi, dal punto di vista amministrativo, può essere molto complessa e per alcuni aspetti anche in continua evoluzione. Il rispetto delle leggi e delle norme relative a tali attività è parte integrante della proposta educativa di un Oratorio. Vanno evitate forme di spontaneismo e di improvvisazione garantendo all’Oratorio una precisa configurazione giuridica e organizzativa. Ogni Oratorio, a seconda della sua concreta strutturazione, deciderà come organizzarsi rispetto alla gestione amministrativa, nel rispetto della normativa canonica e civile. È importante, comunque, mantenere sempre il riferimento diretto alla comunità ecclesiale, re!83

lazionando periodicamente, nelle sedi opportune, sulla conduzione economica dell’Oratorio e condividendo con le autorità ecclesiastiche preposte anche le fondamentali scelte di carattere giuridico e amministrativo.

Il rapporto tra il mondo dell’Oratorio e gli enti pubblici si è molto evoluto. Si registra un crescente interesse da parte delle istituzioni pubbliche che a diversi livelli hanno anche legiferato e promosso azioni amministrative a sostegno degli oratori.

Negli ultimi anni l’Oratorio ha ottenuto ampi riconoscimenti della propria funzione sociale ed educativa, ad ogni livello, nazionale, regionale e locale. La realtà civile ha scoperto, e sempre più apprezza, l’Oratorio quale soggetto educativo competente e legato al territorio con cui intessere patti educativi e creare servizi per le giovani generazioni e le famiglie. È importante che questi rapporti non pregiudichino libertà e iniziativa degli oratori e avvengano nel pieno rispetto del principio costituzionale della sussidiarietà e della libertà religiosa. Occorre pertanto vigilare affinché tali collaborazioni, di per sé positive e finalizzate al bene comune, non determinino vincoli o restrizioni alla libertà di indirizzo e di gestione educativa della comunità ecclesiale e non finiscano per generare improprie e inaccettabili commistioni. Nel futuro risulterà ancora più interessante allargare queste collaborazioni anche ad altri enti pubblici con cui, in questo momento, risulta più faticosa una collaborazione strutturata (mondo scolastico in primis), preferendo sempre di più, rispetto alle strutture, accordi che agevolino la creazione o il consolidamento di servizi educativi.

Al fine di gestire in modo adeguato il rapporto con gli enti pubblici è necessario avere qualificati supporti dal punto di vista amministrativo e giuridico. In ambito nazionale tale esigenza è realizzata dalla Segreteria Generale della Conferenza !84

Episcopale Italiana attraverso gli uffici competenti, i quali si avvalgono anche delle attività del Forum degli Oratori Italiani (FOI), costituito dagli organismi di coordinamento regionale, dalle associazioni ecclesiali di rilevanza nazionale e dagli istituti di vita consacrata che riconoscono l’Oratorio quale ambito di pastorale dell’età evolutiva e giovanile. A livello regionale è bene che il soggetto di riferimento siano le rispettive Conferenze Episcopali. I coordinamenti diocesani sono poi importanti per seguire gli oratori presenti nel territorio, suggerendo e monitorando gli accordi con le amministrazioni locali, sempre nel rispetto delle reciproche autonomie, al fine di rendere concreto il comune interesse e la collaborazione per la crescita serena e positiva dei ragazzi e dei giovani.

L’Oratorio normalmente non ha personalità giuridica per cui gli accordi con gli enti pubblici vanno stipulati tramite i soggetti ecclesiali di riferimento. Essendo l’Oratorio espressione della comunità ecclesiale, in genere della parrocchia, è bene che gli accordi con gli enti pubblici siano stipulati dall’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto di cui l’Oratorio è espressione o da enti la cui responsabilità sia direttamente riconducibile all’autorità ecclesiastica, evitando che altri soggetti operino in nome e per conto dell’Oratorio. Va sempre garantita la titolarità e la responsabilità ecclesiale della gestione dell’Oratorio, soprattutto in presenza di accordi e convenzioni con enti pubblici e privati non ecclesiali, rispettando eventuali indicazioni dell’Ordinario in materia. La saggezza dell’esperienza suggerisce di stipulare accordi solo laddove esista, da parte dei rappresentanti dell’ente di riferimento, un pieno rispetto della natura e delle finalità proprie dell’Oratorio e la condivisione delle modalità tipicamente ecclesiali di servizio al bene delle nuove generazioni.

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Conclusione 28. L’Oratorio come permanente laboratorio educativo Nella prima parte di questa Nota abbiamo visto come l’Oratorio sia sorto per favorire l’educazione alla fede in modo adeguato alle diverse situazioni delle giovani generazioni. È evidente l’opera dello Spirito Santo che, unita alla disponibilità e genialità dei fondatori, ha dato vita ad una creativa risposta alle esigenze dei ragazzi e dei giovani. Questa opera continua e si rafforza a partire da queste solide radici. Nella cultura filippina, l’Oratorio indicava inizialmente proprio l’incontro (domenicale o di tutte le sere della settimana) durante il quale si alternavano letture spirituali, sermoni (i cosiddetti ragionamenti sul libro) in un clima festoso e allietato da musica e canto. Strettamente legati alle scuole della Dottrina Cristiana, nate su iniziativa di Castellino da Castello (1480-1566) per un’istruzione e una catechesi di massa per tutti, gli oratori milanesi si strutturarono di fatto come vere e proprie scuole parrocchiali. E don Bosco, incontrando l’8 dicembre 1841 un giovane immigrato analfabeta, Bartolomeo Garelli, in quello che poi riconobbe come il momento scelto dalla Provvidenza per iniziare la sua opera, gli propose un “catechismo a parte”, un catechismo speciale per lui più conveniente.

Questa convenienza educativa si è tradotta nel tempo in uno sviluppo sorprendente di tanti altri aspetti, che possono essere sintetizzati nella prospettiva pedagogica dell’educazione integrale. Infatti gli oratori sostengono e favoriscono il pieno sviluppo di tutte le dimensioni della persona, intellettive, affettive, relazionali e spirituali. In questa luce va considerata la convinta valorizzazione del gioco, della musica, del teatro, dello sport, della natura, del viaggio, della festa e, parimenti, la promozione della cultura, del volontariato, e della solidarietà. Forti di una consolidata tradizione, gli oratori devono oggi affrontare con co!86

raggio, per un verso, il ripensamento della trasmissione della fede alle nuove generazioni nel contesto di sfida della nuova evangelizzazione e, dall’altro, l’assunzione dei nuovi linguaggi giovanili, così come dei rapidi cambiamenti dischiusi dall’avvento delle nuove tecnologie informatiche. Sempre più la riflessione pastorale intercetta la questione antropologica.

Così gli oratori sono stati, lo sono ancora e speriamo che lo diventino sempre di più, dei veri e propri “laboratori educativi”.

A questa consapevolezza vanno ricondotti tutti gli interventi a livello spirituale, sociale e culturale che vedono oggi impegnata la comunità ecclesiale sul fronte degli oratori. Se non risulta possibile definire un modello unitario e omogeneo degli oratori italiani, è comunque necessario e fecondo richiamarne sempre gli aspetti identitari più significativi, attingendoli dalla memoria delle diverse tradizioni e ponendoli in relazione con le molteplici configurazioni degli odierni oratori. Solo così sarà possibile affrontare le sfide educative dell’Oratorio di oggi e di domani.

Dalla memoria viva, attraverso l’impegno di discernimento su un presente drammatico e affascinante, è possibile riconoscere nel ripensamento e nel rilancio degli oratori una vera forza profetica a beneficio delle nuove generazioni nella Chiesa e nella società.

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Tu sei prezioso ai miei occhi Nel 2014 è celebrato il secondo convegno diocesano degli Oratori che ha focalizzato l’attenzione sulle figure educative in Oratorio.

Ha guidato la riflessione Fabio Leidi, direttore laico dell’Oratorio di Lallio (Diocesi di Bergamo)

Testimonianza Ho poco da raccontare circa il lavoro da me svolto in Oratorio come educatore professionale laico, se non quello che con queste mani ho cercato di fare con tanta umiltà, senso di responsabilità, voglia di sperimentare, fiducia nel Signore e nei fratelli più piccoli che in questi anni ho incontrato. Lavoro che immagino ognuno di voi qui con me oggi, svolge già presso la propria parrocchia e il proprio Oratorio. Non voglio essere scontato e dire delle banalità, però concedetemelo: lavorare in Oratorio in questi anni è stato molto bello! Si sono progettate attività, situazioni di crescita, stili di vita buoni, io stesso sono molto cresciuto e maturato. Credo opportuno sottolineare come ci siano stati anche giorni in cui, lavorare in Oratorio, sia stato faticoso, e allora in quei momenti ho cercato, e cerco ancora oggi, di accogliere tutti, specialmente le persone meno collaboranti, meno “vicine” con un sorriso! Un sorriso che vuole, che cerca almeno, di veicolare un po’ di quell’amore che Cristo ha avuto ed ha per me, per la mia famiglia, sempre presente e partecipe del mio essere educatore in Oratorio. Credo che questo atteggiamento, questo stile dia Speranza per il futuro, sia un segnale per tutte le persone che ti stanno accanto, un chiaro messaggio Cristiano: di fronte alle difficoltà mai abbattersi, ma confidare nel Signore, pregare, sostare nel silenzio e... continuamente ri-partire e ri-costruire.

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L’Oratorio cos’è? L’Oratorio non è un’idea, non è una novità, l’Oratorio è una proposta seria, il luogo dove formare alla fede le giovani generazioni.

La mia esperienza personale Mi viene chiesto dal parroco don Giovanni, nel 2007, di “concretizzare” il percorso fatto fino ad allora con la mia fidanzata, oggi mia moglie, come catechista delle classi elementari e medie, inserendomi come figura educativa stabile in Oratorio, per sopperire alla mancanza del curato che ormai da cinque anni non era più presente nella nostra parrocchia. Il parroco consapevole delle difficoltà nella gestione della parrocchia e dell’Oratorio mi chiede, anche in virtù della professione di educatore che ho sempre svolto dapprima con minori a rischio e poi con persone con disabilità, di progettare con lui un percorso/progetto per l’Oratorio. Entusiasta della proposta, vedevo realizzarsi per me un sogno: fare della mia passione per l’Oratorio una professione! Ho iniziato di buona lena a lavorare in Oratorio ed oggi sono ancora qui e ve ne parlo con altrettanta passione ed entusiasmo. Cosa abbiamo costruito/realizzato?

In un primo step una figura di coordinatore: sono stato dunque inserito per seguire gli adolescenti e tutte le attività ad essi collegate (catechesi, animazione, sport e tempo libero) dal 2007 al 2010, in questo modo abbiamo realizzato un “bacino di utenza”, creando così le condizioni per cui gli animati/educati, gli adolescenti, diventassero a loro volta animatori/educatori, i giovani, dei più piccoli, attraverso: dei percorsi di formazione, l’esperienza diretta di animazione e di accompagnamento nel cammino della catechesi, con le esperienze di volontariato e di servizio sul territorio. Ripeto nulla di nuovo, iniziative che anche voi fate già nelle vostre parrocchie, l’elemento di novità è stato però certamente la presa di consapevolezza da parte dei volontari tutti !89

circa la forte intenzionalità educativa che doveva e deve muovere ogni adulto in Oratorio. Perché? Perché dal primo secondo all’ultimo del mio sostare in Oratorio, ogni mio singolo atteggiamento, ogni mia parola, ogni scelta, ogni decisione seppur piccola, semplice, scontata dev’essere educativa!

E un secondo step quando, dopo essere riuscito a far comprendere il mio ruolo come educatore retribuito ed essere riconosciuto da parte della comunità, in particolar modo dai volontari della parrocchia, di concerto con il parroco e il Consiglio d’Oratorio abbiamo introdotto un piccolo percorso progettuale, sulla scorta delle “Linee guida progettuali” dettate dal Sinodo diocesano bergamasco che è terminato proprio nel lontano 2007, che ha accompagnato il nostro Oratorio per un quinquennio.

Perché adesso non è più il momento di improvvisare, servono persone che sono consapevoli di quello che fanno. Serve dunque uno studio, ci si deve dare del tempo, e insieme a tutti gli organi parrocchiali preposti: Consiglio d’Oratorio, Consiglio Pastorale Parrocchiale, Consiglio Affari Economici fare concertazione, ascoltando le voci di tutti, dei più giovani e dei meno giovani.

C’è ancora molto da fare, soprattutto adesso che si sta concludendo il mio mandato!

Per fare il lavoro che ho fatto e per essere educatori d’ Oratorio serve una formazione continua del personale educativo, che siamo noi.

Bisogna avere sempre cura di cogliere il meglio di/da ogni persona. Spesso però questo discorso di accoglienza nelle nostra realtà è assente, ci facciamo “solo” carico dei nostri problemi, senza ricordarci che in quel luogo siamo un esempio. L’Oratorio non è un servizio, è un luogo d’incontro. Sono li con un ruolo, devo ricordarmelo. Se i miei ragazzi mentre giocano bestemmiano e io non dico loro niente, anche in quel caso sono educativo per loro, perché non ho detto loro niente, meglio ho fatto !90

intendere loro che io accetto la bestemmia come metodo di interlocuzione. Ovvio anche che non posso aggredirli o sgridarli apertamente davanti a tutti, perché non è un atteggiamento educativo. Riproporsi magari di prendere da parte i ragazzi in un secondo momento e chiarire, in modo fermo, che chi bestemmia assume un comportamento deplorevole agli occhi di Dio e dei fratelli questa invece è la cosa più opportuna e, alla lunga, più costruttiva poiché porta il ragazzo a ragionare sul proprio operato in maniera serena, dandogli l’opportunità di crescere, se lo vuole!!!. Ho colto che dovevo far capire ai “vecchi”, meglio agli anziani del paese che, per interagire con i ragazzi dovevano essere loro i primi ad essere protagonisti delle attività che l’Oratorio di volta in volta avrebbe proposto. Rendere protagonisti gli adulti attraverso la logica del “fare per” per realizzare un gioco, un carro di Carnevale, una scenografia per la festa finale del Grest... in una parola: per educare i giovani ad essere il meglio di ciò che sono!

Ecco allora che l’educatore d’Oratorio deve essere il promotore di tutte le attività che si svolgono in Oratorio facendo diventare però protagonista i ragazzi.

La stessa cosa deve accadere anche durante la catechesi. Il protagonista è Gesù, certo, ma è anche vero che lo devo far diventare protagonista nel cuore dei ragazzi ai quali mi rivolgo.

Bisogna continuare a veicolare Gesù sempre, senza stancarsi, tramite una testimonianza umile, dove i protagonisti veri sono i ragazzi e non noi.

L’Oratorio è il “Braccio armato” della parrocchia, l’Oratorio ha come obiettivo i ragazzi e la loro educazione alla fede, l’Oratorio promuove per i ragazzi. Ricordandoci che Comuni, Provincie, Regione, attuano tutta una serie di proposte alternative all’Oratorio che diventano ad esso complementari, a volte antagoniste, ma non per questo dobbiamo chiuderci senza collaborare. An!91

che in questo caso serve sempre tanta capacità di mediazione e una buona dose di pazienza/umiltà.

Qui davanti a me vedo delle belle persone, perché sono buone persone che decidono di spendere il loro sabato mattina per venire qui a sentir parlare dei loro giovani, e a Cristo piace il Buono e il Bello.

Oggi la Diocesi di Bergamo si sta interrogando sulla presenza dei laici in Oratorio. A Milano la Diocesi ha istituito una cooperativa di laici per gestire gli oratori senza curato e in particolare situazione di fatica. Idee, progetti, esperienze che devono essere accompagnate da un’adeguata formazione dell’educatore, per creare un tandem che insieme alla comunità sia espressione di una volontà, di un indirizzo educativo esplicito.

L’Oratorio è un luogo simpatico (come dice Marco Mori, presidente FOI), ed è vero, perché all’Oratorio si possono vivere un sacco di belle esperienze.

I ragazzi vengono all’Oratorio perché magari a casa non hanno nessuno, i genitori spesso lavorano entrambi, le persone che in quel momento danno attenzione ai nostri bambini siamo proprio noi, significa che noi ci siamo per loro! Non per forza parlando di Gesù. Il volontariato in genere è spesso una questione di passione, svolgere volontariato in Oratorio è una missione.

Perché, se ci credi davvero, non hai domeniche o sere durante la settimana che tengano!

Gli adolescenti, i ragazzi, i bambini che s’incontrano in Oratorio sono capaci di leggerti dentro, sanno se sei li per loro o no, se sei li perché tieni a loro o meno, cosa vuoi dirgli d’altro?

Stiamo affrontando insieme ai miei adolescenti la figura del profeta Osea. Un profeta minore, sposato con figli, scopre dopo 10 anni che non hanno più i soldi per andare avanti, situazione attuale, e cosa fa? Si affida al Signore e ri-comincia! A vivere, a lavorare, a... !92

Vogliamo parlare ai ragazzi della fiducia che ha dato a noi il Signore?! È la stessa fiducia che dà Don Bosco ai ragazzi, tirando fuori il meglio da loro attraverso l’amorevolezza che a sua volta porta una ragionevolezza che si costruisce con il dialogo e con un confronto fraterno. Per altro la ragione che diventa ragionevolezza, è anche “solo” fare il caffè al bar con il sorriso sulle labbra. Nel nostro lavoro è importante la testimonianza, senza stare zitti. Nell’Oratorio si è in azione, si è in atto, non si è più in “potenza” (la potenzialità di fare la catechista, di fare l’allenatore, di fare le pulizie, di pregare o qualcos’altro). Bisogna essere attenti agli altri.

Poter esprimere quel lavoro educativo che fa crescere e che permette di far nascere la condivisione e la comunità.

Da sempre l’Oratorio è basato sulla tolleranza delle persone che lo hanno frequentato e lo frequentano. A cosa assistiamo oggi?

Ad una perdita della presenza degli adolescenti in Oratorio, al tempo stesso noi adulti non ci riconosciamo più come punto di riferimento per loro. Il fatto di non intervenire quando sbagliano, di lasciare perdere, di tacere di fronte a episodi negativi è un problema: “sai sono emarginati perché suo papà è cosi, perché ieri hanno combinato questo, perché non si lavano…”; ecco allora che, cercare di cogliere la diversità dell’altro come la mia ricchezza, deve diventare la prospettiva di ognuno in Oratorio e per la vita. Coscienti di vivere in una crisi di valori per certi aspetti devastante, ricordiamo ancora una volta le parole di Don Bosco ai suoi ragazzi: “onesti cittadini, buoni cristiani”. Sono valori, meglio principi forti che possono cambiare la vita, rispettando la libertà dei ragazzi.

Progettare significa quindi non entrare in conflitto con il presente, ma essere propositivi in meglio, aperti al futuro, il progetto dell’Oratorio è in continua definizione.

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Deve essere chiaro che il parroco da solo non può fare tutto, avere dunque un progetto condiviso, facendo un’analisi della comunità per vedere cosa si può fare.

Il progetto è una dichiarazione d’intenti, ti permettono di presentare la tua realtà oratoriale con chi presiede il territorio. Avere un progetto educativo è dunque far presente a tutti quelli che abitano la comunità quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

L’educatore è chiamato a mettersi in gioco in prima persona, per quello che è, anche nei limiti che esso possiede. Non sono bravo solo io, educatore autoreferenziale, non sono fantastico! Da soli si fa più fatica, insieme si può condividere e costruire più facilmente. L’adulto chiede al giovane di mettersi in gioco, a volte si fa fatica, ma a partire da questa richiesta si riescono a coinvolgere anche altri ragazzi che altrimenti non si riuscirebbero ad intercettare. Ascoltare sempre i ragazzi è molto importante. Una figura professionale deve essere mossa da un bisogno, da un’urgenza, da una vocazione (magari voluta dal Signore), mettersi a fianco dei ragazzi e camminare con loro.

Se non mi faccio interrogare da cosa mi dicono/chiedono i ragazzi, se vedo che i ragazzi hanno un bisogno, un malessere, una necessità/domanda e io non vado verso di loro, se non li cerco anche a casa quando serve, che educatore sono? Certo costa fatica, costa sudore, ma devo avere la certezza che in quel ragazzo c’è il Signore che mi parla.

Se l’educatore è stato inserito dal parroco senza che lui abbia condiviso con il Consiglio Pastorale Parrocchiale o con il Consiglio dell’Oratorio tale scelta è un problema, perché la figura può non essere riconosciuta dalla comunità. Nel mio caso abbiamo cominciato a creare delle commissioni in Oratorio, molto specifiche per aree d’intervento, dove nessuna escludeva l’altra, che partecipavano al Consiglio Pastorale.

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La figura dell’educatore dell’Oratorio non deve stravolgere l’organizzazione interna, nel massimo rispetto delle persone che sono lì presenti, ma tutti sanno che chi arriva è li per me, che è li per individuare i limiti e le difficoltà del progetto, così da valorizzare la potenzialità di tutti i soggetti che sono presenti. All’educatore è chiesto di condividere in toto l’obiettivo dell’Oratorio attraverso un confronto continuo con il parroco e gli organi di governo, con i genitori dei ragazzi e con le altre figure educative del territorio. Quindi testimonianza e professionalità vanno di pari passo.

Da quando ho cominciato a lavorare in Oratorio ho due incontri fissi a settimana con il parroco e incontri mensili con i due consigli d’Oratorio e pastorale parrocchiale per condividere le fatiche e le scelte. Se avete un curato, fidatevi. Non è un matto capitato li per caso. Che siano condivisibili o meno le scelte che un curato fa, ho una possibilità, andare a chiedere, senza mettere in giro pettegolezzi e quant’altro. Vi assicuro che l’ho vissuto anche io, ed è un caos. Non lasciamo soli questi sacerdoti, ogni volta che li abbiamo lasciati da soli abbiamo fallito.

Le competenze Ricordiamoci infine che le competenze superano il concetto di abilità, sono intese come insieme di conoscenze, atteggiamenti e capacità, che permettono di svolgere al meglio il proprio lavoro.

Facciamo spesso fatica a capire perché l’Oratorio ha un mese dove è vissuto (Grest), e poi dopo il “vuoto”. Dobbiamo trovare una strada per cercare di dare spazio ai ragazzi durante l’anno, che sia anche gestire il bar una sera la settimana. A volte serve anche opporsi/convincere il consiglio dell’Oratorio che non è d’accordo a lasciare l’Oratorio in mano ai ragazzi probabilmente perché ci si fida poco di loro? Bisogna lasciarli liberi di fare!

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Quindi: atteggiamento, capacità, conoscenza (conosco una cosa e ho un atteggiamento propulsivo e propositivo e la capacità di metterla in piedi...), implica competenza.

Riflessione Il lavoro nei gruppi per contestualizzare Grest 365 giorni l’anno Ci siamo confrontati se non ci fosse il Grest d’estate. Sostanzialmente abbiamo passato in rassegna i motivi per cui ci deve essere il Grest. Esso è un servizio per le famiglie, e perché c’è un tema. Le esperienze che si sono confrontate sono diverse, perché in città ci sono più proposte e di conseguenza i ragazzi potrebbero scegliere delle attività diverse. Ma comunque il Grest è sempre legato alla presenza di un Oratorio.

Dopo di questo ci siamo domandati cosa c’è di buono nel Grest da applicare anche durante l’anno, si è riflettuto sul fatto che non bisognerebbe limitare l’esperienza soltanto alla parrocchia, ma bisognerebbe coinvolgere anche la scuola, quindi capire se ci sono degli insegnanti disponibili a parlare del concetto Grest anche prima dell’inizio di esso.

Un altro ruolo importante è quello di coinvolgere gli adolescenti, che sono essenzialmente di tre tipi: quelli che ci hanno seguito nel percorso dell’anno, degli adolescenti che sono presenti soltanto nel periodo estivo, e gli adolescenti che invece si presentano solo in alcuni specifici momenti/attività.

Sicuramente il lavoro è più facile con i primi due gruppi.

La figura che riteniamo importante è quella dell’educatore degli adolescenti. Il coordinatore spesso non si vuole conoscere, o meglio, non lo si ritiene neanche necessario.

Coinvolgere gli adolescenti tutto l’anno non sembra necessario, se loro non vogliono, ma sarebbe interessante magari, poterli !96

coinvolgere nei momenti importanti del calendario liturgico.

L’altra condizione importante è che questi ragazzi prestino attenzione ai bambini più piccoli, oppure lasciare loro in mano delle responsabilità anche piccole ma distribuite lungo tutto il percorso dell’anno. Gli adolescenti devono rispettare delle regole. Si può coinvolgerli proponendo a loro delle attività come gite, e altre attività del genere.

Formazione per essere educativi Sono cinque i punti sui quali si doveva riflettere. Eravamo consapevoli che la formazione fosse necessaria, questo è indubbio.

Dove e come dobbiamo trovare spazio per l’aggiornamento di questa nostra formazione personale, che non deve mai essere fatta per conto nostro.

Dobbiamo essere educativi, vogliamo formarci attraverso l’equilibrio, la coerenza e l’esempio. L’equilibrio per darci delle linee formative, per trovare dei cammini da seguire, perché si può fare tutto ma non va bene tutto, e quindi, sia la coerenza del linguaggio, perché esso può creare molte fratture. Quindi creare un clima armonioso, già questo è formazione. Formativo è tenere un qualcosa di bello che c’è già per costruire qualcosa di bello e grande. E poi creare l’armonia, creare un collegamento perché forse siamo ancora troppo chiusi. Perché se non siamo in grado ancora, di collegarci alla parrocchia vicina, alla Diocesi, possiamo perdere tante occasioni di formazione. È vero anche che facendo così magari si toglie del tempo alla propria famiglia, ai propri interessi, come si fa a conciliare tutto questo? È vero che però se una cosa piace e interessa il tempo si trova. Sarebbe bello trovarsi, unirsi per discutere e condividere i propri problemi e magari correggere piccoli gesti quotidiani, che non siano solo parole, ma anche sorrisi. Ecco piccole cose che aiutano a migliorare il clima e a creare un Oratorio armonioso. !97

Comunità educativa in Oratorio Inizialmente ci siamo confrontati con la situazione che abbiamo nelle parrocchie, e ne sono usciti alcuni punti tra i quali è emerso la possibilità di un cammino condiviso. Il bisogno della comunità educativa è dato dall’unità e non agire su strade parallele.

Secondariamente, bisogna saper leggere i cambiamenti dei ragazzi e saperli affrontare.

La terza pista è quella della figura degli animatori, e del tema precedente della formazione. Questa deve essere un’esperienza legata alla crescita del ragazzo che l’Oratorio deve offrire!

Si è riflettuto anche sullo stile della comunità educante: come capacità educativa e capacità di dare una testimonianza, perché l’Oratorio ha una sua identità nella comunità. E infine sulla presenza delle persone adulte nell’Oratorio.

Oratorio di uscita?

Sono partiti dalle realtà che hanno vissuto come gruppo, vedendo che sono realtà diverse. Ci sono una serie di relazioni che si sviluppano con l’esterno. L’esterno è anche solo la società sportiva che ti affitta lo spazio, il salone che viene occupato da una attività, quindi ci sono realtà diverse. Ma al centro di tutto questo ci sono alla base le relazioni dal punto di vista di chi rappresenta l’Oratorio e chi rappresenta altre associazioni. Da cosa nascono queste relazioni? Nascono da delle necessità.

Se non ci fosse però questa necessità, ognuno farebbe il suo? Ad esempio se io comune non ho i soldi chiedo a te l’affitto dello spazio-Oratorio. Ma se io comune avessi i soldi, verrei a chiedertelo ugualmente?

Perciò che tipo di relazione porta la necessità? È dovuta solo al bisogno o a un rapporto maturo? !98

Se queste relazioni devono durare oltre alla necessità, l’Oratorio stesso deve fornire qualcosa. Non possono essere oratori individuali, ma devono mettersi in collaborazione puntano sui punti di forza di ogni singola realtà.

Il coordinatore laico in Oratorio: strade possibili?

Abbiamo sentito parlare spesso di coordinatore d’Oratorio, abbiamo provato a pensare a questa figura dividendo la parte logistica dalla parte educativa/formativa. Abbiamo pensato al fatto che è il don che deve essere coordinatore o il coordinatore deve aiutare il don? Bisogna stare attenti a non confondere queste due realtà, perché devono esserci tutte e due, e non si devono entrambe dimenticare ne della parte logistica ne della parte spirituale che è loro assegnata.

Devono esserci figure che gestiscono, che coordinano. Qualcuno ha affermato che dovrebbe essere la Diocesi che propone un coordinatore, ma ovviamente è stato fatto notare come è giusto che un coordinatore d’Oratorio, sia già una persona che si è formata all’interno dell’Oratorio. Il rischio di questa cosa è dovuto al fatto che essendo un volontario magari possa ad un certo punto scoppiare.

Essenziale sul ruolo del don che è fondamentale, è il centro dove ruota tutto il resto.

Per la figura retribuita è rimasta nel vago, si può fare, ma bisogna stare attenti. Questa però è la conclusione: potrebbe esserci un coordinatore che vada a dare una mano ad un Oratorio con problematicità, ma comunque il don deve essere sempre presente e al massimo deve chiamare in determinati momenti un coordinatore pagato.

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Costruire il Progetto dell’Oratorio Nel 2015 è celebrato il terzo convegno diocesano degli Oratori che ha permesso di riportare al centro l’importanza del progetto educativo d’Oratorio.

Io, Tu, Noi: la riflessione lungo la veglia diocesana degli Oratori La riflessione circa la necessità e l’importanza di un progetto educativo d’Oratorio è stata declinata da Mons. Domenico Sigalini durante la veglia diocesana degli oratori.

L’intervento conclusivo è stato affidato al Vescovo di Crema, Mons.

Oscar Cantoni.

Io... dono di Dio, talenti da mettere in gioco Niente avviene a caso: c’è sempre una chiamata e una risposta Ci sono delle ragazze che quando passano, attirano gli sguardi di tutti; tutti si girano, fanno sorrisi; saranno pure belle, ma ci sanno anche fare; giustamente vogliono dare un messaggio di bellezza, di grazia, di spontaneità in questo nostro mondo di programmi, di bilanci, di Dow Jones. Non necessariamente occorre pensare male, la bellezza e la grazia sono sempre un dono di Dio. Nel Vangelo c’è una donna che quando passa, tutti si girano. Questa però è troppo superficiale, ha una vita chiacchierata, non è certo una buona madre di famiglia, anche se deve lavorare e tenere la casa. Ha passato in rassegna troppi mariti per essere solo sfortunata.

Un giorno va a prendere acqua al pozzo della città e ci trova Gesù. È un pozzo famoso, risale al patriarca Giacobbe. È una ricchezza per la città di Samaria. Gesù è lì accaldato e stanco, da solo, mente i discepoli sono in giro per raccattare qualcosa da !100

mangiare. Gesù perentorio le si rivolge solenne, come sa fare spesso nei suoi dialoghi: donna, dammi da bere. La donna non si sente né soggiogata, né remissiva. Come ti permetti di chiedermi da bere, tu che sei un giudeo e che, come tutti i tuoi, hai chiuso ogni rapporto con i samaritani? Gesù è stato perentorio perché voleva andare oltre. Ha letto nel cuore di quella povera donna tutta la sua sete di felicità, tutte le strade che ha percorso per trovarla, tutti gli inganni di cui è stata vittima e tutti i fallimenti che ha subito.

Gesù le legge la sua telenovela, i suoi passaggi di uomo in uomo, di marito in marito, la sua superficialità e l’incapacità di guardarsi dentro, di fermare la corsa verso il nulla.

Le legge la banalizzazione dell’amore, che solo in Dio è vero e che trova in Lui solo la sorgente. È una donna che ha smarrito la sorgente dell’amore, come tanti di noi che viviamo di tentativi, di prove, di aggiustamenti, di “stiamo assieme finché dura”.

Di questa sorgente ha bisogno. Se tu conoscessi il dono di Dio e se sapessi chi ti chiede da bere, chiederesti tu l’acqua che zampilla per una vita piena, non per rattoppi di sopravvivenza. La donna è colpita dalla chiarezza e dalla forza di verità che promana da Gesù.

Vorremmo tutti essere guardati dentro da lui, riuscire a farci leggere nel nostro intimo la voglia di felicità, fare chiarezza nelle bufale in cui incorriamo e che spesso rifiliamo agli altri. Vorremmo che sconfiggesse la nostra incoscienza, il nostro sorriso superficiale ed ebete che scambiamo per serenità, ma che nasconde l’imbarazzo di una vita a brandelli!

Questa donna ha capito almeno dove sta la felicità. Siamo buttati nel mondo a caso, oppure c’è qualcuno che ci pensa? C’è un destino cieco che determina la nostra vita o possiamo decidere noi come meglio ci aggrada? Ci industriamo in mille modi per dare alla nostra esistenza la piega che vogliamo noi, oppure sia!101

mo come il cane legato a un palo che non può andare oltre il cerchio descritto dalla sua catena? Ci sono momenti in cui ci sentiamo liberi quasi di volare e altri in cui ci sembra di essere perseguitati da un cieco destino. In alcuni momenti ci sembra di essere noi che definiamo la rotta della nostra vita, in altri ci sembra di essere elegantemente ingannati o presi per i fondelli, come si usa dire. Abbiamo a disposizione intelligenza, volontà, cuore, affetti, amici, amore materno e paterno amore di coppia: sono tutte energie che ci aiutano a definire la nostra vita. Ci sono anche agenzie specializzate che ci orientano dove piace a loro, vedi per esempio la pubblicità che sta imperversando forse troppo.

Siamo di fronte a molte opportunità, spesso troppe per cui non sappiamo da che parte voltarci, quale scegliere. Ecco, Gesù si colloca in questa vicenda e ci apre una nuova prospettiva dicendo che la vita dell’uomo è risposta a una chiamata. Non c’è nessun destino cieco nella vita, non c’è nessuna fortuna o sfortuna, ma la risposta libera a una chiamata originale. C’è in tutti una chiamata nella vita. Non siamo falli con lo stampino, ma in maniera originale; nessuno è generico, non siamo clonati, possiamo sperare di intravedere ciò per cui siamo nati, costruire la nostra risposta originale.

In concreto: l’Oratorio deve essere il luogo che mi permette di fare questo cammino, di ascoltare, di vagliare la mia vita con i miei amici, di decidermi. È un luogo in cui nessuno deve parlare di destino o di caso, ma di chiamata e risposta.

Tu... il Signore è il vero tesoro Una delle esperienze tipicamente umane che caratterizzano la nostra vita distratta è l’inquietudine. Non siamo mai soddisfatti, ci manca sempre qualcosa, abbiamo dentro domande che ritornano continuamente e cercano risposte soddisfacenti, ma non le !102

trovano. Le domande della vita sono un appello continuo ad andare oltre, sono aperture, che noi spesso ci illudiamo di chiudere con delle botole anziché usare come strade per approfondire la vita. È spesso anche il modello educativo cui siamo abituati: a ogni domanda una risposta, a ogni desiderio la sua soddisfazione, a ogni quiz tre possibili soluzioni: barra quella che ti sembra più giusta. Non riesci più a pensare, ma solo a tentare.

Nella vita invece si deve usare un altro metodo: ogni domanda, che abbiamo dentro, deve diventare una sfida e ogni risposta una scommessa. Mi hai chiesto compagnia? io non ti do un elenco di amicizie in Facebook, ma ti obbligo a scavare nella tua sete di amicizia e ti faccio scoprire il vero amore.

Dio fa scommesse; se gli chiedi qualcosa non te la dà subito, ma ti fa trovare molto di più di quello che hai chiesto. C’è un’arte nella vita che è quella di riuscire a vedere in ogni nostra domanda una freccia che indica la strada della nostra felicità. Questa sete che hai è l’appello a scavare, a cercare oltre; è una sete che spinge sempre a trovare la sorgente; il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te, diceva Sant’Agostino. Il Vangelo è la sorpresa e la scommessa. Nella vita di ogni persona per dono di Dio si è accesa una luce nitida e gioiosa, che offre orientamento e infonde forza, che si fa compagnia fedele e coinvolgente: il Vangelo.

I cristiani sono coloro che fanno giungere al Vangelo tutta la loro sete di Dio e voglia di vivere, tutte le loro angosce e tensioni, le loro gioie semplici e le soddisfazioni della vita quotidiana, i loro pentimenti e rimorsi, le aspirazioni a una vita nuova e la percezione di sentirsela donata oltre ogni merito da Dio. Il Vangelo è Gesù ancora una volta per le strade del mondo come lo è stato lungo le rive del lago di Galilea o le strade della Palestina. È la sua voce quotidiana che ci chiama, ci sra!103

dica dal male, ci dà speranza, ci fa apprezzare la vita e ci distacca dal torpore cui ci vorremmo adattare. È l’inizio della preghiera che ogni giornata vogliamo rivolgere al Padre, in continuazione di quella che Gesù di notte continuava a ripetere col dolce nome di papà, Abbà. Prendere in mano il Vangelo, e nell’Oratorio dobbiamo abituarci facilmente ad averlo in mano, accoglierlo nella nostra mente e nella nostra vita ogni giorno è cercare la guarigione dai nostri mali perché ad ogni alba che nasce rischiano di cambiare la nostra amicizia in abitudine, il nostro amore in possesso, il nostro lavoro in affanno, le nostre attese in angoscia, la nostra vita quotidiana in sopportazione, la nostra creatività in capriccio, i nostri dialoghi in processi, le nostre stesse preghiere in lamenti. Come si fa a superare questi rischi? Avendo in mano il Vangelo, dare al nostro cuore la bellezza dell’incontro con colui che amiamo sopra ogni cosa. Leggere il Vangelo è la lettera, la telefonata, la certezza dell’innamorato che sa di stare a cuore a colui che ama, a Gesù, è un sms che li mandiamo tutti i giorni, gli parliamo, lo incontriamo ogni giorno, senza nessuna pretesa, senza nessuna richiesta, senza nessun vantaggio, soltanto per amore.

Accostarci al Vangelo è lasciarci accogliere nella comunione con un popolo che in ogni casa, in ogni ambiente di studio o di lavoro si aspetta da Dio ogni giorno speranza in un futuro di pace, perdono per i continui tradimenti della vita e forza per le spinte verso il bene che lo Spirito non fa mai mancare e che per la nostra pesantezza e superficialità sono percepite con difficoltà. Avere il Vangelo è sapere dove sta il centro della nostra vita di credenti, avere guida sicura nelle scelte quotidiane, sentirci rafforzati nelle prove, saper guardare alla croce e al crocifisso con la speranza della risurrezione, incontrare Lui, il risorto, per le nostre strade. Farsi accompagnare dal Vangelo è of!104

frire a tutti la vera vita cristiana, prima di ogni struttura o organizzazione, è vivere la vita da chiamati e non da impiegati, è guardare alla storia come un capitolo dell’avvento del Regno di Dio e non come la palestra in cui i malvagi si allenano per dominare. È il primo e vero testo formativo di ogni associazione o gruppo di cristiani, prima di ogni mediazione, di ogni schema e di ogni riflessione. È da tenere nella bisaccia della vita, cruscotto dell’automobile o borsa della spesa, zaino della scuola o sacca del lavoro. Ma soprattutto è dare al nostro cuore la bellezza dell’incontro con colui che amiamo sopra ogni cosa. È la lettera, la telefonata, al certezza dell’innamorato che sa di stare a cuore a colui che ama, a Gesù, e gli parla, lo incontra ogni giorno senza nessuna pretesa o richiesta o vantaggio: solo per amore.

Noi... i talenti della comunità educante Non sappiamo se la samaritana ha cambiato vita, sappiamo però che ha messo in piazza i suoi errori e ha convinto le persone che incontrava ad andare da Gesù. Io sarò quel che voi ben sapete e sempre mi rinfacciate, ma di una cosa dovete assolutamente convincervi: quel Gesù di cui tutti parlano è davvero la fine del mondo, non ve lo lasciate scappare, non state bloccati nei vostri pregiudizi. Non stiamo tutti aspettando il messia, non siamo tutti in attesa di un cambiamento, di una salvezza, di una svolta nella nostra storia e nelle nostre vite? Potrebbe essere proprio Lui, quello che aspettiamo. E andarono da Lui. In questa fila ci potremmo essere anche noi. Anche noi potremmo farci voce di questo Dio che abbiamo incontrato o che tentiamo di incontrare.

C’è più sete di Dio di quante sono le fontane capaci di offrire acqua pura. C’è più domanda di Dio di quante siano le risposte vere. Non ditemi che non vi siete mai posti qualche domanda !105

che va al di là delle solite quattro cose che ci capitano in ogni giornata, che non vi è mai capitata come una coltellata nella schiena qualche domanda del tipo: ma io chi sono? Che ci sto a fare qui, in questa vita? Ma questa è vita? C’è qualcuno che mi pensa o sono destinato a vagare da solo senza meta? Dio, se esisti, batti un colpo! Fatti sentire!

E di là arrivano delle risposte? La messe è molta, gli operai sono pochi, molti chiedono di Dio, ma chi l’ha incontrato si rintana.

Le fontane ci sono, ma ci hanno costruito attorno delle palizzate per non far bere nessuno.

Oppure chi potrebbe aiutare ad estinguere la sete si mimetizza, si preoccupa di bisacce, sandali, borse, microfoni, auditel, concerti, organizzazione, clack, persuasione e potenza e si dimentica quello che deve dire, chi deve essere perché la domanda incontri in profondità la risposta. Il tuo collega di lavoro ti gira attorno una settimana perché ha sentito anche lui che si può aver sete non solo di bibite, ma anche di Dio, sa che tu sei imparentato con questo Dio, esprimi qualche volta le tue convinzioni cristiane o continui a fuggire? Perché non ti fermi, non l’aiuti?

Perché non dai una svolta più profonda alla tua relazione, così che in essa possano passare anche le domande vere della vita?

Anche tu consumi tutti i tuoi dialoghi per metà settimana a parlare della partita di domenica e per l’altra metà a pronosticare la prossima? Andate, diceva Gesù, vi mando come agnelli in mezzo ai menefreghisti, li chiamava lupi. Quante volte troviamo persone a cui non interessa niente della fede. Ma ricordatevi, dice sempre Papa Francesco: non dobbiamo perdere tempo a dimostrare l’esistenza di Dio, ma a mostrarla nella nostra vita.

In qualunque casa entriate dite: c’è qualcosa di più bello nella vita della pace che dà solo il Signore. Ma a miei amici non interessa niente… Mi domandano come Salomone: È proprio vero che Dio abita sulla terra? Questa domanda di grande timore, di !106

senso di stupore e adorazione dello scrittore sacro molti uomini di oggi la cambiano in una sfida impregnata di scetticismo che liquida Dio dalla vita e dalla storia, dalla riflessione e dalla ricerca. La ragione in questi ultimi secoli si è quasi auto-limitata, ha deciso di attestarsi soltanto su ciò che è sperimentabile, falsificabile, esclude dall’orizzonte ogni discorso su Dio, sul futuro dell’uomo, sulla fede, si è limitata a sequenze logiche di carattere scientifico tecnico.

Il nostro Papa Benedetto invece non cessava di invitarci ad allargare lo spazio della razionalità a dirci che la ricerca di Dio, la fede, ha buon diritto di stare a confronto con ogni ricerca scientifica, non teme la scienza e quindi non deve essere emarginata dal mondo intellettuale e da nessuna cultura. La dimensione religiosa dell’uomo ha pari dignità come ogni altra dimensione.

Noi sappiamo che il logos di Dio si è fatto carne, Lui, il Creatore ha inscritto nel mondo la sua potenza “razionale”, e la ragione dell’uomo che nasce da Lui non può misconoscerlo e chiudersi le strade per raggiungere il fondamento del suo essere. Cancelliamo Dio dalla nostra vita anche noi, quando lo riduciamo a sentimento, lo releghiamo all’ultimo posto della nostra ricerca intellettuale, lo nascondiamo alle nostre coscienze e lo teniamo come vetrina da rompere in caso di bisogno. Cancelliamo Dio dalla nostra vita quando non lo riteniamo il fondamento del nostro vivere, ma solo un ingrediente del politicamente corretto, una tradizione culturale che ci fa meno rozzi ma non per questo veri adoratori di Lui. È proprio vero che Dio abita sulla terra?

Altri invece a questa domanda rispondono di sì, ma credono che Dio si possa ingabbiare a piacimento nelle proprie colte visioni di vita, se ne fanno un possesso, lo riducono a strumento per ampliare il loro potere, per disprezzare la dignità e la vita dell’uomo, per costruire imperi sulle coscienze.

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Strumentalizziamo anche noi Dio, quando non diventa la sorgente della nostra vita d’amore, ma la stampella del nostro perbenismo, la fuga nell’irrazionale perché incapaci di cercarlo con la forza di tutta la nostra intelligenza e vita.

Ma c’è una pietra viva, pure rigettata, ma scelta e preziosa davanti a Dio, Gesù Cristo che non ci permette più né di ignorare Dio, né di appropriarcene a nostro uso e consumo. È una pietra viva, è un fondamento, è la certezza continuamente ricercata e donata, è una compagnia ineffabile, è una amicizia, una solidità, una luce, una via, ma soprattutto la verità e la vita che ci mostra il Dio invisibile, il Dio che abita i cieli e la terra, che alla domanda di Salomone rende vera, storica la risposta: c’è un Dio che mantiene l’alleanza e la misericordia con chi cammina davanti a Lui con tutto il cuore, che tiene aperti i suoi occhi davanti a noi, che ascolta e perdona, di cui nessuno può appropriarsi e che ci fa stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo guadagnato con il suo sangue. È questo nuovo popolo ora la sua casa, ogni pecorella smarrita nella vita che si lascia amare dal suo pastore e che ritorna sulle sue spalle nell’ovile può celebrare un incontro vivo con Lui. Proprio questo sangue versato in una morte che è scoppiata nella risurrezione ha sconvolto la domanda di Salomone: è proprio vero che Dio abita sulla terra? Lui, il Dio invisibile agisce e abita in segni straordinari, ha dato origine a una nuova presenza di Dio nella vita degli uomini, ci ha fatti pietre vive che gli possono formare una casa, l’unica casa vera e possibile che Dio possa abitare nel nostro mondo. È Gesù Cristo, l’architetto di questa casa, Lui è la pietra angolare, che tiene in piedi ogni segno visibile di Dio nel mondo. Segni straordinari sono la Parola che si è fatta carne, che si fa eucaristia, che si fa sacramento di salvezza, dentro il grande sacramento che è la Chiesa costruita sugli apostoli. !108

Un dono... la preghiera del più Cari amici, sono molto lieto di vedervi riuniti, questa sera, così in tanti alla Veglia degli Oratori, nella nostra Cattedrale. È bene che periodicamente ci si ritrovi insieme, per farci coraggio, per dirci che “ci siamo”, che attraverso il cammino educativo proposto dagli Oratori vogliamo crescere come uomini e donne, come discepoli di Gesù nelle nostre comunità parrocchiali, dentro la nostra chiesa di Crema. Io credo che ciascuno di voi, ragazzi e adolescenti, possa dirsi un privilegiato, per le tante occasioni e per gli strumenti che la nostra Chiesa dispone per farvi crescere nella maturità umana, ma anche come cristiani e come cittadini del mondo.

Abbiamo molteplici ricchezze per essere aiutati a vivere una esperienza ricca di umanità e di fede che da altre parti ci invidiano. Pensate alla straordinaria presenza degli oratori, una realtà tipica della nostra terra, se è vero che il 50% degli oratori in Italia sono in Lombardia! Ecco perché siamo dei privilegiati! Siamo persone che il Signore guarda con uno sguardo d’amore e l’amore ci giunge attraverso tanti fratelli e sorelle che sono qui con noi, adulti e testimoni: sacerdoti, educatori, educatrici, animatori di gruppo, consacrate, religiose, religiosi: tanti amici che camminano con voi, che crescono con voi e testimoniano che è possibile fare della nostra vita un capolavoro, utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per qualcosa di bello e di grande, utile ai fratelli che vivono nel nostro ambiente di vita.

Gli adulti e i giovani che trovate in Oratorio e si impegnano a vivere la vita cristiana vi testimoniano che oggi essere cristiani è possibile, perché è una splendida occasione per cambiare il mondo e renderlo più abitabile. Essi vi fanno coraggio, vi propongono alti ideali, vi aiutano a comprendere che la vostra vita e quella degli altri ha un grandissimo valore, perché tutti amati da Dio e preziosi al suo cuore, perché tutti raggiunti dalla forza dello Spirito, per!109

ché tutti discepoli di Gesù, l’Uomo Nuovo. Tra le tante occasioni di crescita che avete a disposizione considerate l’Oratorio non come una struttura solamente, perché esso non è fatto semplicemente dai muri, ma dalle persone che in esso collaborano, che vi sono vicine, vi sono amiche, che mettono a disposizione il loro tempo e le loro energie d’amore, che vi stimolano ad essere di più.

La preghiera del più è molto bella e vorrei che diventasse una vostra preghiera abituale: “Donaci, Signore, più amore, più coraggio, più forza, più generosità, più inventiva, più passione per la vita, più capacità di amare, più…” e andate avanti voi, perché la preghiera del più non deve terminare tanto facilmente!

Preghiamo il Signore perché tutto il bene che abbiamo ricevuto questa sera fruttifichi in voi e vi faccia diventare grandi nell’amore, testimoni di Gesù, capaci di essere persone significative, così come le nostre comunità devono essere aiutate a diventare “attraenti”, ossia capaci di incuriosire altri giovani, ragazzi, adolescenti, perché siano, con voi e come voi, testimoni e costruttori di un mondo nuovo.

Progettiamo Insieme L’esperienza dell’Oratorio lo insegna: le idee non se ne vanno in giro da sole qua e là… hanno bisogno di gambe, di braccia, di cuori che le sostengono, che le fanno loro, alle quali si appassionano ecco perché il convegno è l’occasione, per essere creativi ma anche operativi.

La riflessione di senso è portata da Mons. Domenico Sigalini mentre la metodologia da Mauro Bignami.

Come... centro formativo e progetto di educazione 1. Valenza formativa dell’Oratorio Le domande cui vogliamo rispondere sono quelle di ogni operatore pastorale che è appassionato alla sua gente, che incontra o !110

vorrebbe incontrare nella comunità cristiana, e che nello stesso tempo è innamorato perso di Gesù, di cui ogni giorno va sperimentando amicizia e salvezza, forza e perdono. Questa comunità cristiana, questa parrocchia, è ancora capace di far crescere cristiani maturi? Gli elementi fondamentali che la costituiscono, la Parola, i sacramenti, le relazioni umane che servono la comunione, dono di Dio, sono ancora in grado, così come noi li viviamo e offriamo, di far scattare nell’uomo e nella donna di oggi una adesione profonda al Vangelo tale da ricostruire una nuova vita che ha per centro Gesù Cristo, che ha in Lui il criterio di ogni scelta umana, il senso che tanto si cerca? In altri termini ci chiediamo: È possibile rispondere a quel vuoto di formazione che ci pare di leggere nei cristiani di oggi? Celebriamo tante messe, offriamo tanti sacramenti, facciamo tanta carità ma non riusciamo a dare identità cristiana e offrire ragioni profonde di vita, come patrimonio per una umanità più vera e messaggio di speranza per tutti.

Rispondere a queste domande non è operazione di marketing, ma conversione pastorale.

Ci mettiamo quindi in punta di piedi nel solco dell’aiutarci a vicenda a fare in modo che la comunità maturi a una fede adulta e pensata: il soggetto è la comunità cristiana. Non si pone fuori da sé, non fa un altro servizio oltre a quelli che già offre, non sta affinando il marketing, ma sta dicendo di sé, si vuole ridefinire, convertire e di conseguenza offrire a tutti in novità di vita.

L’operazione da compiere è centrale per la vita di una comunità cristiana, non stiamo parlando di superfluo, di aleatorio, di secondario. Si tratta di far crescere una coscienza cristiana che configura una esistenza cristiana. Non ci accontentiamo di tenere legate delle persone con appartenenze sociologiche, con tradizioni, con abitudini anche buone e gratificanti, con automatismi ma vogliamo, a partire da noi, decidere di noi e della nostra vita !111

secondo il Vangelo, perché tutti coloro che ci incontrano decidano di sé e della loro vita secondo il Vangelo.

Si tratta di prenderci in carico some soggetti, che vivono in condizioni di debolezza e fragilità, che fanno fatica a ritrovare in Gesù, nel Vangelo, ogni giorno, il riferimento, il legame costituito che presiede a guida l’esperienza umana. La fede o è centrale per la vita dell’uomo e non è fede. La fede è centro polarizzante della coscienza.

L’uomo e la donna che noi siamo e che incontriamo, è un uomo e una donna che fa esperienza della sua incompiutezza, che nasce segnato dal desiderio di compimento. La formazione cui ci applichiamo non è solo un compito dovuto alla solita “nequizie dei tempi”, frutto di una constatazione di impotenza dovuta alla confusione culturale, ma è una necessità, una invocazione scritta nello statuto antropologico dell’umanità. È una sete che viene dal profondo della coscienza ed è a questo livello che va affrontata.

2. Il posto dell’Oratorio nella formazione Si può sapere studiando; si può conoscere informandosi; ci si può qualificare leggendo o formare discutendo; ma per imparare a vivere bisogna fare esperienza. Le riunioni cosiddette formative spesso la vita la rappresentano, ne parlano, la immaginano, la vivisezionano, la guardano al virtuale, ne fanno simulazioni: molto raramente la vivono. Li aiuta tutta una serie di sussidi ben compaginati e articolati in mete, strumenti, proposte, verifiche. Alla fine la vita è un continuo rimando; è un campo di applicazione di quello che si è imparato. E il campo di applicazione, si sa, è difficile; vi sei lasciato solo a viverlo, senza avere in memoria i file che devi applicare e allora capita che ti nascondi e rimandi a un altro tempo. Si ritorna a scuola senza aver fatto i compiti. A scuola appunto, proprio perché sembra !112

l’unico modo che abbiamo per imparare a vivere. Non è poi il massimo dei mali! Solo che la vita si allontana sempre più e non ci resta che parlarne fino a non sentirne più il sapore. È possibile imparare a vivere in diretta? Star dentro la vita a conquistarla, affrontarla, magari in gruppo per penetrarla? Si possono fare percorsi di crescita cercando ogni giorno la strada, mettendosi quotidianamente in discussione con qualcuno che vedi, incontri, senti, ascolti, ami? La pace è uno slogan che hai scritto su uno striscione dopo aver discusso con gli amici in gruppo o è un tessuto di relazioni che ti sono scoppiate nella vita e che ti hanno cambiato modo di pensare? La giustizia è una rivendicazione culturale o è una invocazione che sale ogni giorno alla tua coscienza dagli amici che incontri, nei dialoghi con loro che ti segnano i giorni? La cittadinanza è la carta di identità o è la solidarietà partecipata con chi ne ha perso il diritto e di cui finalmente ti sei accorto perché ha un volto, un nome, una storia che ti è entrata nella giornata?

3. Il senso del percorso formativo di ogni Oratorio Vuol dimostrare che i valori della vita si possono e si devono conquistare nella vita stessa. Ti capita che ti metti con tutti i tuoi desideri dentro una esperienza per lo meno strana come il volontariato e ti accorgi che la vita ti parla, ti conduce a scoprire quello che c’è sotto le apparenze. “Volevo smetterla con le belle parole”...”volevo mettermi dentro con la testa, adesso mi sento coinvolta con il cuore” e questo coinvolgimento diventa percorso per tanti.

La fede prima di essere un insieme di risposte del catechismo è una relazione d’amore, una lotta quotidiana con te stesso, con Dio, con gli altri. È un insieme di sogni e di delusioni, di parole e di ascolto profondo di una Parola che è vita e non solo emissione di fiato. !113

La pace allora prima di essere assenza di guerre, pacifismo da dimostrazione, che pure non guasta, schieramento partitico, bandiera e slogan è un insieme di sentimenti tenui e forti: ricerca, dolore, scelta, verità, desiderio, discernimento, dialogo, bisogno di esserci, famiglia, scuola, città, confronto, ascolto, diversità, strategia, perdono, pace con se stessi, giusta convivialità delle differenze, diritto, dignità, essere uomini e donne di buona volontà, amore, pazienza, costanza, forza spirituale. Non sono una definizione, ma piccoli passi nel cuore, perché diventino prospettive di convivenza e strutture di società.

La cittadinanza prima di essere un imperativo etico, un diritto scritto su carta, una rivendicazione è decisione di abitare la città, è dire questo è il mio posto, appartenenza, condivisione di orizzonti di senso, azioni che parlano, essere uno per tutti e tutti per uno, scelta educativa e pure partecipazione, costituzione, responsabilità, politica, legalità, globalizzazione. Non sono una definizione, ma altri passi nel ricco tessuto di nuove relazioni con tutti.

La giustizia sociale prima di essere un atto di accusa a chi non la vive o la sotterra, una rivendicazione di principi è decisione di abitare il mondo: è territorio, l’altro, la coscienza, lo star bene, solidarietà, gratuità, condivisione, reciprocità, pace, diritti e doveri, uguaglianza, servizio, bene comune, immigrati, malattie, carità, volontariato, destinazione universale dei beni. Non sono ancora una volta una definizione, ma passi in compagnia dei più poveri, per guardare il mondo dal loro punto di vista e farci aiutare da loro a capire il Vangelo.

L’Oratorio è un altro modo di applicarsi alla realtà, è un modello di formazione dentro la vita con i passi della quotidianità. Non è fatto per qualificare professionalmente operatori sociali o pastorali, ma per preparare giovani che non vanno collocati dentro una logica strumentale ai bisogni di una istituzione, parrocchia !114

o amministrazione pubblica che sia, ma che sono provocati a verificare di continuo la qualità della propria vita, delle proprie scelte e non soprattutto l’efficienza nell’assolvimento di eventuali funzioni. Il volontariato che fa sperimentare e a cui prepara avrà bisogno ancora di corsi, di informazioni, di tecniche, ma saranno collocate subito dentro una scelta di vita, una vocazione e non dentro una sistemazione di stipendio. È adatto a giovani che non hanno paura di diventare adulti, di camminare verso quella maturità che permette loro di stare in piedi da soli nei luoghi ordinari della vita; che permette loro quella maturità di dialogo per affrontare con le persone di oggi, con coloro che sono più chiaramente in ricerca… un dialogo aperto e credente sui grandi temi della vita.

4. La formazione che si fa in Oratorio mira alla maturità umano-cristiana Il credente in Cristo è un uomo, una donna consapevole del fatto che il dinamismo della fede produce un «salto di qualità» nella persona, senza però rinnegare (anzi, potenziando) quanto di meglio è inscritto nelle pieghe intime dell’essere umano.

Per questo quando si forma si dà dei criteri di maturità umana e cristiana: 1. Lo sguardo riflessivo su di sé.

L’uomo non ha, certo, atteso il cristianesimo per esprimere una sapienzialità «naturale», che si esplicita anche nell’esigenza di rientrare in sé, di «guardarsi dentro», evitando, perciò, di vivere alla superficie. Tutto questo è condizione per potere «prendere in mano», consapevolmente, la propria vita. Ma, la conoscenza di sé implica una lunga fatica, un’avventura sempre aperta per decifrare ogni giorno un po’ meglio il mistero che siamo a noi stessi. Richiede silenzio, ascol!115

to, coraggio per affrontare anche le nostre negatività. Ciò costituisce una sorta di preparazione naturale alla conoscenza di sé nella luce della fede. La conoscenza cristiana è «sapienza e scienza d’amore nello Spirito Santo». È un conoscere sé e il mistero della nostra vita in Cristo, la qual cosa introduce a un’esperienza «saporosa» di Dio e di noi in Dio. 2. L’accettazione di sé.

La cultura in cui siamo stati immersi in questi decenni ci ha aiutato ad accettarci in quanto «dato» di una storia concreta, biologica, familiare, sociale, culturale! L’accettazione della nostra situazione (fisica, bio-psichica, storico-culturale) è condizione indispensabile per procedere verso la maturità. Nell’ottica cristiana, la dinamica dell’accettare se stessi sollecita a un «salto di qualità» ricco di prospettive nuove. Siamo invitati, infatti, ad accettarci come creature amate e redente, con una vocazione da scoprire e realizzare. In definitiva, per il cristianesimo, accettarsi significa affidarsi, entrando nella logica e nel mistero di un Dio Padre, provvidente, compromesso con la storia dell’umanità.

3. La ricomposizione di un’unità interiore.

Il diventare adulti, maturi esige una progressiva unificazione della persona. Unificazione come ricerca e individuazione di un baricentro psicologico, valoriale, di senso. Conosciamo tutti la letteratura sull’uomo della post-modernità, il quale – anche senza volere eccedere in letture riduttivamente negative –, porta però in sé il rischio profondo della divisione, della frammentazione, con le ben note conseguenze pratico-comportamentali: esperienzialismo incessante, nomadismo valoriale, insoddisfazione permanente. Ora, l’unificazione interiore intorno a un nucleo di senso esprime anche il conseguimento, da parte della persona, di un livello adeguato di armonia. Ma questa si rag!116

giunge attraverso un lavoro profondo su di sé, che implica, fra l’altro, freno alle passioni, capacità di auto-dominio. E – com’è noto – la sapienza «naturale» ci ha insegnato molto anche a tale proposito. Se ci volgiamo alla visione cristiana dell’uomo, siamo introdotti alla scoperta della radice ultima di ogni attentato all’unità della persona: il mistero del peccato. Alla luce di ciò, si comprende come la maturità cristiana passi attraverso l’incorporazione alla morte e risurrezione di Cristo. Il paolino «morire in Cristo» diventa, pertanto, condizione e itinerario per ogni credente che voglia aspirare alla statura dell’uomo perfetto, cioè l’uomo spirituale, unificato e pacificato, che cammina nello Spirito di Gesù.

4. L’andare oltre se stessi.

Il tragitto verso la piena maturità umana contempla anche un continuo decentramento da sé. Occorre distogliere gli occhi da un’auto-contemplazione narcisistica, segno d’infantilismo regressivo. L’uomo maturo, decentrandosi, innesca un meccanismo di costante apertura verso l’altro. Il «rinnegamento» di sé, cui ci sollecita il Vangelo, è da intendersi non in senso masochistico, ma piuttosto secondo la logica della disponibilità continua a uscire dal rischio di serrarsi nel guscio del proprio «particolare». Certo, in tal modo si entra nella dinamica del dono di sé, che, considerato nella sua espressione più alta, conduce a «perdersi». Ma, a questo punto, si scopre la verità dell’apparente paradosso evangelico: la «perdita» di sé, ossia di un modo individualistico d’intendere e impostare la vita, in realtà, si risolve in un «guadagno», perché produce un’insperata e pacificante ricchezza interiore.

5. Il dinamismo della comunione L’uomo adulto deve imparare a stare anche da solo. Però, questa ricerca di momenti, più o meno ampi, di raccoglimento e anche isolamento va veduta in ordine alla possibilità di potenziare una !117

disponibilità comunionale. D’altra parte, la comunione, come tensione a una relazione profonda con l’altro, con gli altri, non è «aggiunta» volontaristica alla nostra struttura antropologica. Nell’io, infatti, come ci ha lungamente spiegato la tradizione personalistica, sono racchiuse le categorie del «tu» e del «noi». Da qui l’istanza insopprimibile della comunicazione. La persona è sì «povertà», nel senso che include la dimensione insuperabile del limite, ma è anche «sovrabbondanza», in quanto non può sussistere senza soddisfare il bisogno di «dirsi», di relazionarsi, di stabilire rapporti amicali. Insomma, pure quest’ultimo indice di maturità conferma che la nostra realtà umana ci si presenta come «sistema aperto», non «chiuso». Su di essa s’innesta la parola e il dinamismo della fede, producendo, se bene accolti, un «salto di qualità» nel cammino di maturazione personale, fino ad accogliere il dono della comunione, più grande di ogni nostro sforzo per raggiungerla. La comunione non è un affannarsi degli uomini a qualche tavolo di concertazione, è la vita donata da Gesù alla sua sposa che è la Chiesa, supera le nostre continue divisioni; è una luce alta che attira, è dono dello Spirito alla sua Chiesa. È stata implorata da Gesù nella sua accorata preghiera prima di salire la croce e giudica ogni nostro aggregarci, sta davanti a ogni nostro sforzo per realizzarla nel tessuto delle nostre vite. Se la comunione è dono di Dio sta sempre più avanti delle nostre realizzazioni, anzi spesso è oscurata dalle nostre infedeltà, dalle nostre maschere, da rapporti ecclesiali più legati all’apparenza che alla sostanza, da dichiarazioni di comunione soggettive o comode fuori della verità e della sequela di Gesù. Occorre allora vivere percorsi che ci aiutano e aiutano la Chiesa a ricostruire sempre la fedeltà al dono di Dio della comunione per trasformare il modo di relazionarsi, di collaborare, di convivere, di celebrare, di orientarsi al Vangelo secondo uno stile di relazioni nuove, che vanno oltre la spontaneità, l’impressione, l’emotività, verso una relazione d’amore. !118

Come si diventa cristiani? Occorre sempre guardarsi dai rischi dell’intellettualismo (che pone l’enfasi sulla semplice conoscenza dei contenuti di verità) e dell’esperienzialismo (che esalta pratiche rituali, momenti di coinvolgimento emozionale). In realtà, l’itinerario verso una matura consapevolezza credente richiede l’attivazione di un processo ampio e articolato, a determinare il quale concorrono rapporti intensi, approfondimenti conoscitivi, contemplazione personale, aspetti celebrativi, pratiche caritative. Deve essere, inoltre, un processo capace di assumere la totalità della persona, considerata nella sua concretezza storica ed esistenziale. Con la consapevolezza, ancora, che l’irrinunciabile imperativo di «conformarsi a Cristo», quando lo consideriamo in un’ottica di formazione, esige, per ciascuno, le debite mediazioni pedagogiche.

La formazione deve misurarsi con alcuni importanti nodi critici sollecitati in misura particolare dalla situazione socioculturale nella quale siamo coinvolti.

• Il problema del senso. Siamo tutti consapevoli che si tratta di uno snodo cruciale per i cammini di fede odierni.

Forse, non siamo ugualmente avvertiti circa l’esigenza di argomentare la questione del senso in rapporto al tema della verità, ossia, ultimamente, di Dio. • L’incontro con il mistero del Volto. Porre il soggetto di fronte al problema di Dio, in un’ottica cristiana, implica, immediatamente, di provare a definire le «sembianze» dell’Assoluto. Si dischiude qui l’itinerario cristologico, orientato a fare incontrare la persona con il Volto di Gesù, Figlio dell’uomo, Servo crocifisso e Risorto.

• La sfida della libertà. È davvero un passaggio cruciale degli itinerari formativi cristiani. Sul piano educativo di!119

venta indispensabile maturare nel soggetto la consapevolezza della libertà non solo come esperienza esaltante di autonomia, ma anche come compito e responsabilità.

A tale proposito, vi è una difficile e urgente opera di bonifica culturale da condurre.

• La dimensione morale dell’esperienza. Questo nodo critico si salda al precedente e, pertanto, esige articolate mediazioni per aiutare la persona a cogliere il significato liberante di una «vita buona», perché moralmente ordinata. È un compito, sul piano educativo, difficile e urgente, certo non facilitato dal clima dominante. Richiede di mettere in «circolo virtuoso» princìpi, valori e virtù con sentimenti, desideri e affetti personali: un’operazione rispetto alla quale si registrano ancora ritardi in campo cattolico.

• Fede e pienezza dell’umano. Per una certa quota di persone (giovani e non) l’esperienza religiosa continua ad essere percepita come diminuzione, limitazione, anziché cammino verso la pienezza dell’umano e, quindi, del desiderio di vita. Su questo il Santo Padre continua a insistere dicendoci di allargare lo spazio della razionalità. Dinanzi a simili posizioni erronee, occorre elaborare un’appropriata strategia d’intervento capace di reggere al confronto dell’egemonia culturale che oggi mass media e scuole e università sbandierano come modernità o scienza.

• L’interazione fede-vita. Nell’àmbito della catechesi – come sappiamo – si sono compiuti considerevoli passi in avanti per definire significato e implicanze di tale connessione. Molto, però, resta da compiere sul piano della prassi educativa, per maturare in ciascuno la capacità di !120

cogliere il duplice andamento dell’interazione proposta: è vero che la fede deve interpellare la vita, ma vale anche la reciproca: la vita, con la concretezza dei suoi problemi, deve interrogare la fede.

Se questi sono, plausibilmente, alcuni fra i più significativi nodi critici che, oggi, investono la cura della coscienza, cioè l’accompagnamento del diventare cristiani, bisogna ancora insistere nel dire che, in rapporto ad essi, lo sforzo da compiere consiste nella mediazione pedagogica relativa alle diverse stagioni della vita. È un impegno al quale non possono sottrarsi operatori pastorali e educatori.

Il riferimento alla cura della coscienza credente richiede un accenno anche al capitolo degli alfabeti, degli strumenti culturali, dei linguaggi. Occorre promuovere modelli di formazione sicuramente fondati sul piano biblico e teologico, ma anche aperti alle voci del tempo, degli uomini, della riflessione culturale. D’altra parte, l’obiettivo deve essere quello di maturare una coscienza cristiana abitualmente disposta all’ascolto, al discernimento e al dialogo con tutti.

La cura della coscienza credente esige attenzione anche al contesto. A tale proposito, penso alla comunità cristiana come luogo in cui, normalmente, s’impara a camminare nella fede.

Nel contesto assumono importanza il clima e le relazioni.

Come per la crescita umana, anche per quella cristiana sono necessarie relazioni vive, calde, accoglienti. Si dovrebbe aprire, a questo punto, una riflessione sugli stili dei rapporti nei nostri gruppi, associazioni, ambienti, parrocchie.

Da ultimo, penso che la cura della coscienza cristiana adulta (e, aggiungo, specificamente laicale) esiga una proposta, con relativo accompagnamento, sul piano della spiritualità.

Si tratta di formulare percorsi spirituali sostenibili per il «cristiano comune» (o «fedele laico», per dirla con la locu!121

zione del recente magistero). Una volta assodato il profilo cristocentrico della spiritualità, spunti particolarmente significativi possano venire se si riesce a coniugarla in rapporto alla dimensione quotidiana dell’esistenza e a una prospettiva di tipo comunionale.

5. Come fa l’Oratorio ad essere centro formativo?

Lo fa offrendosi come ponte…

1. Ponte tra la strada e la chiesa È capace di interessare la vita e per questo ha la capacità di essere crocevia come la strada, ma nello stesso tempo è attirato verso le risposte fondamentali della vita, come fa la Chiesa. È il luogo in cui si può guardare la vita al rallentatore, si aiuta il giovane a tenersi in mano l'anima tutto il giorno. (In genere i giovani lasciano l'anima sul comodino la mattina quando si alzano e la riprendono la sera quando vanno a dormire, con qualche mezzo segno di croce). È uno spazio in cui ci si fanno domande, non in cui si imparano solo risposte.

E alle domande occorre saper rispondere e non solo tergiversare. Le domande nascono nei meandri della vita non sul lettino dello psichiatra o nell’aula della discussione.

2. Ponte tra l’istituzionale e l’informale Oggi i giovani si sono scavati spazi propri di vita in cui prendono le decisioni più importanti della loro giovinezza e spesso anche della loro esistenza. Sono gli spazi della quotidianità, luoghi in cui passare il tempo senza pagare pedaggi, né fisici, né di simboli, né di immagine e che tento di elencare per non rimanere nel vago. Sono: la banda, il muretto, la squadra, la compagnia, il gruppo musicale, la piazzetta, le vasche del corso, la spiaggia, i concerti, il pub, la

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discoteca, la notte, l’automobile; gli spazi virtuali, la musica, il fumetto e internet.

L’impegno allora si porta su due versanti: abitare questi spazi e progettare una comunità per abilitarsi a entrare in dialogo con questi. Questo significa preparare nuove figure educative, capacità di uscire, nuove collaborazioni, la consapevolezza di non essere autosufficienti, ma anche un offrire e ripensare gli spazi classici e strutturati dell’educazione dei giovani, oltre l’Oratorio, come la scuola cattolica, le associazioni, i movimenti.

3. Ponte tra il virtuale e il reale Il mondo virtuale incanta i giovani, ma non li soddisfa, perché se è bello comunicare con i cellulari, fare raccolte di mp3, di sonerie, di trasmissioni radio, avere a disposizione tutti i mezzi possibili per comunicare a distanza, solo il rapporto concreto, l’amicizia del contatto fisico, del guardarsi negli occhi, del sentirsi accolti concretamente permette di sviluppare scelte e dare alternative alla solitudine. La banda opera questo collegamento, ma è sempre al ribasso, scatena gli istinti, non mette in comunicazione le energie positive, gli ideali, i sogni. Un ponte come la comunità cristiana può essere lo spazio dello scambio, il posto in cui si elaborano anche con questi strumenti virtuali proposte educative e si aiutano le persone a cambiare il virtuale in reale.

Per questo c’è da una parte una fame quasi istintiva di concretezza, di manualità, di mettere in gioco la corporeità e dall’altra la difficoltà a bucare il virtuale, a uscire, a impegnarsi. Se i giovani non fanno niente non è per malavoglia, ma è per la difficoltà a cambiare il virtuale in reale (cfr. Meglio una carezza, un bacio, LDC).

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4. Ponte tra la domanda di Dio e la proposta della fede La domanda c’è, la volontà di rispondere pure, ma manca l’incontro. Il tessuto di relazioni della comunità deve attrezzarsi ad essere questo incontro che non è catechesi, ma ancor prima accoglienza delle domande, approfondimento di esse e iniziative che conducono a fare scelte. Spazi di primo annuncio, di accoglienza di non credenti, di approfondimento su tematiche giovanili sono necessari, a partire da una identità non camuffata di chi fa la proposta.

5. Ponte tra l’autosufficienza delle parrocchie e la eccedenza delle opportunità Il cumulo di problematiche giovanili rende assolutamente non autosufficiente la comunità cristiana. Occorre finalmente mettersi in rete favorendo e sviluppando la vocazione particolare di ciascuna realtà educativa o di tutto il cumulo di proposte che vengono fatte ai giovani. In molte realtà non esiste niente, in altre invece c’è troppo e tutto confuso. Lo stesso capita anche all’interno delle nostre comunità cristiane: in certe comunità c’è per i giovani un forte tradizione sportiva, in altre attrezzature teatrali, in altre esperienze di volontariato, in altre particolari capacità di rete internet o di radio; in altre particolari esperienze di musica giovanile ambienti adatti al sabato sera, alcune comunità sono ben attrezzate per far incontrare le coppie… qualche altra è attrezzata per incontri di spiritualità, per la direzione spirituale, e perché no, per la confessione, ciascuno può offrire bene quello che serve a tutti. Ciò significa che in una zona si possono diversificare le proposte soprattutto per i giovani oltre i 18 anni, che sono indipendenti per i mezzi di spostamento, e qualificarle. Questo esige una forte intesa tra parrocchie, tra preti, tra consigli pastorali e consigli di Oratorio, tra quartieri e amministrazioni civiche. !124

In pratica: gli strumenti per il progetto educativo Nell’incontro di oggi mi è stato chiesto di riprendere il concetto di “progetto educativo” e di provare a declinarlo in chiave tecnica, per aiutare i singoli Oratori della Diocesi di Crema a rendere concreto il percorso di avvicinamento alla creazione (in ogni Oratorio) di un progetto educativo.

Nella prima parte dell’incontro indicherò alcune nozioni di concetto e successivamente intendo proporvi un confronto diviso a gruppi.

Volevo iniziare con un’immagine… e questa immagine penso sia l’aspetto più significativo che dovete portarvi a casa: è l’immagine di un ragazzo frammentato. Perché questa immagine è così importante? Perché credo che progettare sia essenzialmente ricostruire un’unità. I ragazzi che incontriamo, a prescindere dall’età, vivono quotidianamente in modo frammentano… e l’Oratorio rappresenta in modo inequivocabile la possibilità di “sentirsi comunità”. Ogni volta che vedete entrare un ragazzo in Oratorio, provate a guardarlo nella sua complessità, sapendo che la sua unità la potrete ricostruire solo attraverso la comunità. Abbiamo “davvero” bisogno di una comunità che supporti il nostro agire educativo. Per questo è importante progettare insieme... perché quel ragazzo riuscirà a ricomporre la sua unità solo attraverso la vicinanza di “tanti” accanto a lui, intenzionati a concorrere per lo stesso obiettivo.

A partire dall’esigenza di superare la frammentazione di ogni ragazzo e della nostra stessa comunità, vorrei far emergere, attraverso una sequenza di immagini, l’importanza di progettare.

• Alcune agende… agende diverse fra di loro. Sono un po’ il dramma dei nostri oratori. Ciascun gruppo ha la sua agenda…. con tempi diversi, quasi mai conciliabili.

• Questa seconda immagine un po’ retrò: il Pac-Man. Perché !125

c’è ancora nei nostri oratori qualcuno che “mangia” qualcun altro.

• Un’immagine sulla cooperazione… perché in realtà non credo che siamo capaci davvero di cooperare, sottovalutando l’importanza e la difficoltà del lavoro di gruppo.

• Ecco poi in sequenza tre alberi… un albero del cambiamento, uno della creatività e uno della diversità, ovvero tre aspetti che la progettazione può vivere contemporaneamente.

• Ecco un’immagine bellissima e molto particolare. Sono quattordici mani, perciò sette persone che compongono un volto. Sarebbe interessante pensarci come un Oratorio in grado di fare questo: generare interdipendenza pensando all’unità.

• I nostri oratori spesso sono chiusi e mi piaceva questa immagine perché richiamava l’idea di essere un po’ sospinti tutti sulla stessa barca. Abbiamo bisogno di recuperare tanta fiducia nel nostro agire, nel nostro agire educativo.

• Ora pensate di percorrere una banchina da soli, oppure di farlo insieme a qualcun altro. Progettare vuol dire anche andare verso qualcosa che può farci paura, ma se affrontata insieme…

• Un’altra immagine per toccare il tema del “nuovo”. Le nostre comunità hanno paura del nuovo, del nuovo che ci interroga che e ci chiama a cambiare, a doversi sempre mettere in discussione.

• Vi sto facendo vedere queste immagini perché progettare è mettere insieme tutte queste cose… come ad esempio il tema della convivenza. Io vivo in una grande città dove si sviluppa la fatica del convivere, ma credo che anche in Oratorio la convivenza non sia sempre semplice. !126

• Poi ci sono altri aspetti, come ad esempio il tema dell’integrazione, un tema entrante che necessita di una seria progettazione… o quello del protagonismo dei ragazzi, attraverso una rilettura costante della loro centralità.

• Tutti siamo consapevoli che il centro dell’Oratorio è la relazione personale, l’ascolto attivo e la comprensione del “tempo di crescita” dei ragazzi.

• Esiste poi nei ragazzi dell’Oratorio un mondo sommerso che dobbiamo far emergere.

• Progettare poi vuol dire superare gli ostacoli, anche quelli che ci sembrano insuperabili, abbattere muri e diventare accoglienti in modo incondizionato, gettando le numerose maschere che mettiamo come educatori.

• Nel superare gli ingorghi nei quali ci troviamo nelle nostre comunità siamo chiamati a smettere di pensare all’Oratorio solo con un passato virtuoso, ma in un modo diverso e innovativo.

• Due immagini importanti dove c’è Gesù. Nella prima Qualcuno ci chiede di gettare e di costruire una rete anche imperfetta…, oltre le nostre imperfezioni. Nel secondo quadro, raffigurante la natività e la viti dei Magi, la scena si svolge tra l’indifferenza di tanti. L’ho scelta per sottolineare che Gesù è venuto per tutti, anche per quelli che non lo hanno incontrato. Anche l’Oratorio è per tutti, e dobbiamo rendercene conto realmente.

• Progettare vuol dire imparare a lasciarsi sorprendere, a non dimenticare i significati, a scegliere di essere punto di riferimento, a sbilanciarsi verso le nuove generazioni.

• Progettare è definire un profilo per essere un segno visibile. !127

Queste immagini hanno il filo rosso dell’unità, della necessità di tenere insieme tutti gli aspetti che abbiamo appena sottolineato.

Progettare in sintesi vuol dire tenere insieme tutte queste cose dentro un quadro logico, per arrivare all’unità della quale si parlava all’inizio dell’intervento.

I Vescovi ci hanno regalato una definizione di Oratorio che è molto utile per partire insieme, per chiarire cosa significa “fare” l’Oratorio. Una chiarezza necessaria perché se all’interno di una comunità partiamo con un’idea di Oratorio anch’essa “frammentata” non riusciremo mai a progettare insieme.

Progettare, significa gettare avanti, già questo ci dice che è un movimento. Progettare è un atteggiamento (non è una cosa che facciamo una volta per tutte), un modo di porsi di fronte al reale (faccio un bel respiro, guardo le cose che accadono, e agisco) ed è un modo di sognare dandosi dei confini e scadenze (ognuno di noi ha dei sogni, non è facile darne confini e scadenze ma è la sfida della progettazione).

Nella nota - Il Laboratorio dei Talenti - ci viene indicato che “gli oratori non nascono come progetti a tavolino, ma nascono dalla capacità di lasciarsi provocare, e mettere in discussioni dalle urgenze e dai bisogni del proprio tempo”. Gli Oratorio non nascono da progetti a tavolino, ma nascono dai bisogni del nostro tempo e della nostra singola realtà. Quindi c’è un sogno al quale devo dare dei confini e scadenze, e ci sono dei bisogni che devo in qualche modo intercettare, avendo il coraggio di dare risposte concrete. Se non parto da questi due aspetti progettare sarà piuttosto inutile.

Sempre nella nota dei Vescovi ci vengono sottolineati altri aspetti che toccano il tema della progettazione: il progetto educativo dell’Oratorio è un progetto definito da più persone che nel confronto hanno definito e codificato obiettivi, in un quadro di corresponsabilità e condivisione con l’intera comunità parrocchiale. !128

Per progettare sono inoltre importanti alcuni aspetti tecnici. Un progetto educativo dell’Oratorio non lo possono realizzare cento persone… neanche il Consiglio dell’Oratorio. All’interno dei vostri oratori si scelgano 4/5 persone che costituiscano il gruppo di progetto e che per un periodo 6/8 mesi si diano l’obiettivo di costruire questo progetto. Pochi mesi e non i 2 anni che alcuni oratori impiegano per fare un progetto, con una conseguente “tale fatica” che poi quel progetto rimane bloccato per un ventennio… motivo principale per il quale in Italia forse il 5% degli oratori ha un progetto educativo in atto.

Il gruppo di progetto è costituito da un gruppo di persone stabili, che hanno percezione della loro unità e della loro diversità come risorsa, interdipendenti, interagenti, motivate, legate all’appartenenza al progetto da un metodo di lavoro definito dal gruppo, con ruoli definiti, responsabilizzati, impegnati a raggiungere l’obiettivo nel minor tempo e nel miglior modo possibile.

Queste persone si trovano insieme solo per fare questo progetto, hanno un tempo e un mandato preciso che permette a tutta la comunità di conoscere la loro funzione e quindi di aiutarli nella raccolta di tutti gli elementi necessari alla progettazione.

Il gruppo di progetto genera una progettazione secondo uno schema: • Le premesse: dovrebbero essere un po’ valoriali, indicando quali sono gli aspetti fondamentali, irrinunciabili (centralità relazioni, corresponsabilità…) e le finalità. Queste premesse potrebbero essere elaborate in un contesto un po’ più condiviso, come ad esempio il consiglio dell’Oratorio.

• Analisi dei bisogni e del contesto: il presupposto per fare un progetto è che vengano individuati i bisogni educativi e formativi dei ragazzi, attraverso l’ascolto e l’osservazione.

Questo quadro dei bisogni non può prescindere dalla storia !129

dell’Oratorio, perché può essere che tanti aspetti rispetto a questi bisogni siano già stati affrontati. Il gruppo di progetto quindi individua i bisogni legandoli al contesto specifico dell’Oratorio.

• Analisi delle risorse: umane, del territorio, spazi, materiali, economiche. Il progetto si misurerà nella capacità di creare interdipendenza tra le risorse. Più questo gruppo legherà tutte le risorse a disposizione e più avremo la garanzia che questa progettazione potrà essere efficace. Un “legare insieme” che si dovrà trasformare in “essere insieme”.

• Individuazione obiettivi: i bisogni vengono trasformati in obiettivi. Nella definizione degli elementi sui quali puntare è importante definire quali bisogni hanno la precedenza. È opportuno puntare su un obiettivo più grande, e affiancarne poi alcuni più piccoli, realistici, concreti e verificabili.

Non serve a niente darsi degli obiettivi impossibili da raggiungere e particolarmente teorici.

• Contenuti e attività: lo sviluppo bisogno-obiettivo-attività porta a definire una serie di azioni concrete dentro una tempistica precisa e indicata.

• Metodo: esiste nell’Oratorio un metodo, quello dell’animazione, che punta sul gruppo attraverso un imparare-facendo, una proposta attiva, una concreta sperimentazione, una verbalizzazione con i ragazzi. Un metodo quindi per realizzare gli obiettivi esiste!

• Organizzazione: è fondamentale se devo fare qualcosa. Gestione degli ambienti e dei tempi, definizione dei ruoli… tutto questo è organizzazione. Tutto ciò deve stare nel progetto, facendo attenzione che l’organizzazione è un linguaggio vero e proprio.

• Ruoli educativi: alcuni ruoli devono essere inseriti nella !130

progettazione. In particolare esiste una comunità educante (dobbiamo chiederci come si interfaccia con il progetto), un responsabile del progetto (non deve essere per forza il sacerdote). Esiste il gruppo di coordinamento e il consiglio dell’Oratorio, dove il progetto viene di volta in volta verificato.

• Criteri di Valutazione: un progetto deve essere valutato. I criteri di valutazione devono essere già indicati. Questi criteri possono essere di processo (stile, coerenza…), o di verifica dei risultati (quantitativi, qualitativi…). Concretamente: il punto nevralgico è porsi questa domanda “come farò a dire che l’obiettivo è stato raggiunto?”. Già porsi questa domanda è fare un passo enorme verso la progettazione.

• Progettare/riprogettare: il progetto è uno strumento vivo.

Un progetto educativo ideale dovrebbe avere una durata triennale. Una buona riprogettazione parte dalla verifica del progetto precedente.

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Itinerario di Iniziazione Cristiana per i bambini e i ragazzi Nell’anno 2014 la Diocesi di Crema vissuto il cammino condiviso di revisione dell’Iniziazione Cristiana. All’inizio dell’anno pastorale 2015-16 sono state presentate alla Diocesi le linee guida per una sperimentazione negli anni seguenti.

Sono riportati i passaggi più importanti che riguardano il rapporto tra Oratorio e Iniziazione Cristiana.

I soggetti […] Nell’assemblea diocesana e dai contributi pervenuti è emerso come spesso il catechista, o per onor del vero soprattutto la catechista, ormai da sola non può più rispondere in maniera esauriente a questo grave e fondamentale compito educativo: gli operatori dell’Oratorio, della carità e della liturgia, il mondo del volontariato ai più deboli, gli animatori del tempo libero e dello sport debbono essere coinvolti in prima persona affinché con il loro apporto possano dare armonia e complementarietà al progetto, manifestando inoltre ai nostri ragazzi il volto di una comunità che vuole essere sempre più una grande famiglia e non solo un anonimo contenitore di tante belle cose e persone.

Le attenzioni del progetto 7. Contesto ecclesiale: l’itinerario di iniziazione cristiana dei ragazzi avviene all’interno di una comunità cristiana viva. Da qui, come detto, l’importanza della comunità educante, ma anche di persone e di realtà significative sotto il profilo evangelico, come pure delle grandi feste e dei momenti comunitari (festa patronale, festa dell’Oratorio, Grest, ecc.). Nel solco della tradizione del!132

la nostra Diocesi, va valorizzato al massimo il rapporto tra iniziazione cristiana e Oratorio.

Gli itinerari Arduo e impegnativo ci è parso inevitabilmente questo punto, soprattutto alla luce di quello che è emerso dai vari contributi avuti nell’ambito diocesano.

• Grande aspettativa di qualcosa di nuovo ed efficace; • Rispetto dell’esistente soprattutto per quanto concerne la scansione celebrativa dei Sacramenti (Battesimo, Riconciliazione, Eucarestia e Confermazione).

Da qui allora un lavoro di revisione, approfondimento e riflessione ci ha portato a individuare quattro fasi dell’itinerario di iniziazione cristiana cercando di apportare quelle sottolineature e innovazioni metodologiche, contenutistiche e del coinvolgimento dei soggetti: • l’accompagnamento dei genitori con i bambini 0 – 6 anni; • il tempo dell’evangelizzazione (6 – 7 anni); • essere discepoli di Gesù (8 – 11 anni); • “Vivi quello che sei” la mistagogia (12 – 14 anni).

a) 0-6 anni: il tempo della catechesi battesimale Si tratta di accompagnare i giovani genitori che hanno un bambino in età prescolare nella fase battesimale e post-battesimale.

Gli obiettivi sono: • il coinvolgimento attivo e partecipe dei genitori; • un approccio alla fede che parte fin dai primissimi anni di vita. !133

b) 6-7 anni: l’evangelizzazione In sintesi potremmo dire che diventa necessario ripensare questi primi anni in cui il bambino inizia a sperimentare il senso di appartenenza alla comunità attraverso l’esperienza del gruppo di Catechesi, l’Oratorio e la partecipazione domenicale all’Eucarestia. In questi due anni, che corrispondono alla prima e seconda elementare gli obiettivi prioritari sono: • la formazione del gruppo; • la scoperta del proprio Battesimo; • l’esperienza dell’appartenenza alla comunità cristiana.

c) 8-11 anni: essere discepoli di Gesù Con questo titolo essenziale abbiamo voluto contraddistinguere la corposa fase della catechesi che corrisponde agli anni in cui i fanciulli ed i ragazzi fanno l’esperienza Sacramentale della Riconciliazione, dell’Eucarestia e della Confermazione. È comunque la fase in cui rafforzano quello che è l’obiettivo fondamentale della IC: la vita in Cristo!

Ecco perché nell’itinerario formativo si fa particolarmente attenzione: • alla dimensione biblica: la storia della salvezza trova in Cristo il compimento dell’amore del Padre; • alla dimensione liturgica: nell’anno liturgico e nella grazia dei Sacramenti (Penitenza, Eucarestia e Cresima) il ragazzo ha modo di sperimentare la Grazia dell’agire di Dio sull’uomo; • alla dimensione esistenziale: eletti a vivere la sequela a Gesù nel mondo che ci è donato.

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d) 12-14 anni… e oltre: la mistagogia Alla celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione fa seguito la mistagogia che dura circa due o tre anni, durante la quale i ragazzi sono chiamati ad approfondire i misteri celebrati, si consolidano nella vita cristiana e si inseriscono pienamente nella comunità. Questi gli obiettivi: • vivere l’identità cristiana, soprattutto nella testimonianza della carità in famiglia, a scuola, nel quartiere, partecipando stabilmente a iniziative di solidarietà personali e di gruppo. Il Battesimo e la Confermazione esigono testimonianza e coerenza, l’Eucaristia condivisione e dono di sé verso gli altri; • diventare abituali frequentatori della Messa domenicale, apprendendo a partecipavano attivamente; • accostarsi abitualmente al sacramento della Riconciliazione o penitenza, accogliendola come opportunità di celebrare la misericordia di Dio che guarisce le nostre fragilità; • aprirsi alla comunità parrocchiale, al di là del gruppo di appartenenza, scegliendo un servizio da svolgere a favore degli altri; • inserirsi in un gruppo di adolescenti continuando il cammino formativo. L’Oratorio ne è il luogo privilegiato; • Durante la mistagogia la novità cristiana va tradotta per i ragazzi in stimoli interiori e comunitari, nella maturazione di una progressione personale nella fede e nell’esperienza di concrete attività di testimonianza cristiana.

Per progressione personale nella fede si intende: • la capacità di saper leggere l’evoluzione della propria emotività/interiorità; !135

• la scoperta del proprio corpo in sviluppo; • il rilancio della ricerca esperienziale di Dio e di Gesù; • la graduale conoscenza del progetto di sè alla luce della vocazione cristiana.

Si deve, inoltre, portare a compimento il definitivo inserimento dei ragazzi nelle attività dell’Oratorio e nei gruppi di adolescenti della parrocchia, insieme a un corretto coinvolgimento corresponsabile dei genitori.

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Le dodici parole In preparazione alla Veglia diocesana degli oratori del gennaio 2015 è stato chiesto a ogni Oratorio di guardarsi dentro, immaginandosi una scatola da aprire e provandone a ordinare il contenuto secondo un atteggiamento particolare contenuto nella nota pastorale “Il laboratorio dei talenti”.

Le nostre 43 esperienze di Oratorio hanno riletto il loro agire tramite una parola e una riflessione che tenga in considerazione tre aspetti fondamentali dell’Oratorio: le figure educative, la dimensione cristiana e il rapporto con Gesù, la comunità e il territorio di riferimento (rapporti con il comune, le scuole,…). Quello che è offerto in questo documento è una sintesi ragionata del lavoro che possiamo quasi definire lo “stato dell’arte” degli Oratori cremaschi.

La traccia consegnata agli Oratori • Luoghi: l’Oratorio si colloca sulle strade frequentate dai giovani per prendersi cura di loro? Lo stato di conservazione degli ambienti è orientato ai giovani? Provate a disegnare la pianta del vostro Oratorio e riflettere sui confini fisici e di azione educativa, provate poi a dare un nome e una “destinazione d’uso” agli ambienti.

• Iniziazione Cristiana: in un progetto d’Oratorio possono trovare spazio gli itinerari di educazione alla fede? Quel rapporto tra l’IC e i percorsi di aggregazione e formazione: sport, esperienze comunitarie, teatro, missioni,… ?

• Tradizione: l’idea di Oratorio è un concetto capace di attivare ricordi, suscitare immagini, creare legami. Conosciamo a chi è intitolato il nostro Oratorio? Come ci confrontiamo con la tradizione di Oratorio (eppure se è dedicato a qualcuno un !137

motivo ci sarà!)? Quale valore hanno per noi le tradizioni di, ad esempio, San Giovanni Bosco?

• Dio e Vocazione: nell’Oratorio il profilo vocazionale di manifesta concretamente nello stile di animazione degli educatori e nella proposta di itinerari educativi? In Oratorio si percepisce un costante processo di raccordo tra fede e vita? Nell’Oratorio è previsto un cammino di formazione permanente per educatori e animatori? L’Oratorio può essere un laboratorio vocazionale?

• Accoglienza: nell’Oratorio l’accoglienza di tutti (a bassa soglia) comporta disimpegno o svendita dei valori educativi per attrarre il maggior numero dei ragazzi? L’Oratorio è attivo di fronte alla sfida dell’interculturalità, rappresentando oggi uno dei luoghi più avanzati e maggiormente coinvolti nei processi di accoglienza e di integrazione dei figli degli immigrati?

• Responsabili: Nell’Oratorio esiste un’equipe educativa composta dai sacerdoti, dagli educatori, dai catechisti, dagli animatori,…? Nell’Oratorio il ruolo di coordinatore o responsabile è affidato a un laico? Se così fosse cosa ne pensi? Il Consiglio dell’Oratorio è un luogo di responsabilità?

• Cultura: puoi definire l’Oratorio un laboratorio culturale? Nell’Oratorio c’è ricchezza di linguaggi dei ragazzi e dei giovani per un’assimilazione dei contenuti più significativa e per dare loro la possibilità di esprimersi a partire dalle proprie inclinazioni naturali?

• Unità: l’Oratorio a chi pone attenzione? Ai bambini, ai ragazzi, alle famiglie? Oratorio, comunità e parrocchia agiscono con unitarietà o sono soggetti che non condividono il cammino?

Quali sono le difficoltà e i punti di forza?

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• Animazione: nell’Oratorio, il metodo è quello dell’animazione, ovvero quello di un metodo attivo che si caratterizza per il protagonismo del soggetto e per la notevole carica esperienziale? Gioco, impegno per uno scopo comune, espressività, immaginazione dei ragazzi… l’Oratorio Sto arrivando! parlare ai giovani e da questi alimenta la propria vitalità, la propria motivazione, il proprio “spirito”?

• Relazione: gli animatori dei nostri Oratori vivono il “primato della relazione personale” o è solo un servizio da compiere “una volta alla settimana”? L’Oratorio si nutre di relazioni?

Quanto passiamo dalla “consumazione delle relazioni” alla “costruzione delle relazioni”? Relazioni umane e digitali… il nostro Oratorio dove sta?

• Alleanze: quali alleanze educative l’Oratorio ha in atto? L’Oratorio ha un rapporto organico, occasionale o nessun rapporto con la scuola? Quale ruolo hanno le società sportive che gravitano attorno all’Oratorio? E con le associazioni e i movimenti?

• Organizzazione: in Oratorio tutto deve essere organizzato, programmato, delineato… sei d’accordo? Come l’associazione NOI si integra nella proposta oratoriana? Senti l’esigenza di definire dei perimetri organizzativi all’interno dell’Oratorio?

La riflessione emersa Alleanze Il tema delle “alleanze” tocca nel vivo la realtà dei nostri oratori, e li mette di fronte alla necessità di interrogarsi sul loro ruolo nel contesto territoriale. L’Oratorio deve essere “in uscita”, non deve soffermarsi solo alle proprie esigenze e realtà interne, ma deve essere consapevole che ha la necessità, e l’obbligo, perché !139

no, ad aprirsi anche alle altre realtà che lo circondano, essendo così non un contesto isolato, ma parte di un sistema di alleanze.

Gli interrogativi che sono stati posti alle parrocchie erano essenzialmente quattro e andavano a sondare i rapporti che l’Oratorio intrattiene con diverse realtà.

Prima di tutto è stato chiesto quali sono le relazioni educative che l’Oratorio ha in atto. È emerso come la realtà oratoriale sia viva e caratterizzata dalla presenza di persone adulte e giovani che coadiuvano i sacerdoti nella missione pastorale-educativa.

Le seguenti figure sono identificabili, principalmente, in coloro che si occupano del percorso catechistico di bambini e adolescenti, nelle persone che seguono i ragazzi nel doposcuola e durante l’attività estiva. Non bisogna poi dimenticare, che le figure dei baristi, di coloro che si occupano della sagra, o dei momenti “forti” nella vita comunitaria, non possono essere considerate solo come persone di facciata, le quali hanno solo un ruolo organizzativo: esse infatti sono una presenza attiva per l’educazione dei ragazzi e dei bambini che frequentano l’Oratorio.

Secondariamente è stato chiesto quale sia l’effettivo rapporto con la scuola. Le risposte sono state diverse: troviamo infatti chi ha costanti e intensi rapporti con la realtà scolastica del proprio territorio; altri sostengono che con la scuola esistano solo contatti di “convenienza”, in particolar modo nelle occasioni di scambio di locandine e avvisi; altri ancora, invece, affermano di poter contare sull’appoggio della scuola in particolari momenti dell’anno liturgico con giornalieri incontri di preghiera presso le strutture dell’Oratorio.

Qualunque sia stata la risposta, è indubbio, per tutti, come i rapporti con la scuola siano di fondamentale importanza per dare una continuità educativa a questi bambini e ragazzi che spesso vivono in realtà famigliari completamente diverse: ragazzi con lingua, condizione sociale ed economica, contesto fa!140

migliare completamente diversi possono essere aiutati, tramite la collaborazione tra le figure educative di riferimento per entrambi i contesti, e ad essere meglio inserite ed aiutate in un percorso emotivo ed emozionale non sempre privo di bruschi contrasti con la realtà che li circonda.

Anche le società sportive hanno un ruolo non marginale all’interno della realtà oratoriana. Esse sono coinvolte nell’Oratorio, anche perché spesso gli spazi che vengono utilizzati per svolgere le varie attività, sono interni o per lo meno adiacenti allo spazio di quest’ultimo. Riscontriamo che la collaborazione tra queste due realtà non è limitata al solo periodo ottobre-giugno, ma continua anche durante l’estate, grazie alla partecipazione da parte della società sportiva nell’attività del Grest.

Esistono poi altre associazioni e movimenti che gravitano attorno all’Oratorio. Parliamo degli aderenti all’Azione Cattolica, alle varie associazioni sparse sul territorio (come ad esempio la Papa Giovanni XXIII). Anche queste fanno parte di una rete di alleanze, che possono solo che giovare e giocare a favore dei nostri ragazzi e di tutti coloro che vivono l’Oratorio. Sono state inoltre avanzate delle proposte a favore di alcune azioni che potrebbero favorire esperienze di alleanza: momenti di festa insieme, di restituzione e di ringraziamento, proposte intergenerazionali, possono aiutare a mantenere viva la voglia e l’entusiasmo di creare “nuove reti” di rapporti tra l’Oratorio e le realtà che lo circondano.

Luoghi L’Oratorio, pensato come luogo fisico, è essenzialmente identificato come punto di riferimento per bambini, ragazzi e giovani che intensificano la loro presenza in questo luogo durante i giorni del catechismo, del Grest e nei momenti in cui sono più liberi da impegni scolastici e non. È inoltre il luogo di ritrovo !141

per le famiglie e per le persone più anziane, che si apprestano a condividere qui momenti di divertimento, di scambio o più semplicemente di relax.

Spesso però le strutture non sembrano essere propriamente funzionali alle richieste di chi l’Oratorio lo vive quotidianamente.

Oppure è emerso che chi invece possiede le strutture, a volte fa comunque fatica a proporre iniziative accattivanti che possano coinvolgere i giovani. Le strutture disponibili devono avere come obiettivo l’accoglienza indiscriminata, così che le persone che le vivono possono sentirsi protette e accettate. Non solo le pareti colorate a fare la differenza, ma le buone intenzioni e i piccoli gesti che ognuno fa verso l’altro.

Chi poi possiede delle unità pastorali si è reso conto di come sia necessario per queste realtà non solo identificare l’Oratorio come un luogo fine a se stesso, ma come un luogo per poter coltivare la capacità di ritrovarsi insieme, una necessità che a volte passa in secondo piano in quanto occupati a portare avanti solo le proprie iniziative, vivendo con una specie di “paraocchi”.

Organizzazione L’organizzazione in Oratorio è importante per una buona convivenza, per favorire la partecipazione e il buon esito di ogni progetto e iniziativa che vi si svolge. Senza un’organizzazione bisognerebbe sempre improvvisare e questo significherebbe un lento e inesorabile rincorrersi di cose non dette, di iniziative sovrapposte. Questo potrebbe forse apparire come avere una maggiore libertà di azione, ma in questo modo non possiamo fare fronte alle esigenze educative che troviamo alla base dell’Oratorio. Non si può lasciare nulla al caso, ogni aspetto, anche effimero, della vita dell’Oratorio deve essere perfettamente organizzato, altrimenti daremmo vita ad una “macchina difettosa”, dove ognuno va per proprio contro, fino a creare !142

quelle “insormontabili discussioni di principio” che ogni consiglio dell’Oratorio affronta ad ogni sua convocazione.

Nessuno può affermare che tutto questo sia semplice, che per chi ci mette tutti i giorni la testa, sia facile poter monitorare tutto quello che succede all’interno di questo contesto: ma ciò è necessario perché chi arriva qui si senta davvero accolto. Ecco perché sarebbe opportuno analizzare le proprie forze e risorse interne. Perché prima di organizzare bisogna “sapersi organizzare”. Un aspetto molto importante è quello di adattare le proprie scelte in funzione alle età che si vogliono intercettare, creando una determinata iniziativa, e soprattutto cercare di stare al passo con i tempi, anche se questo non risulta sempre facile.

Gli oratori inoltre non devono essere solo un contenitore vuoto, un passatempo senza alcuna finalità. Essi hanno il compito di formare le persone nella loro integrità, e tutto ciò non può avvenire se dietro ad ogni iniziativa che viene proposta non troviamo un progetto educativo di comunità cristiana. Ecco perché appare necessario che nell’Oratorio le diverse esperienze e proposte che vengano fatte non siano solo delle “isole felici”, senza un raccordo tra l’una e l’altra: esse devono invece dialogare tra loro per poter accompagnare, ognuna nell’ambito che lo caratterizza, la crescita globale di ciascuno.

In conclusione è impossibile pensare l’Oratorio senza il coinvolgimento nell’organizzazione delle varie proposte anche delle famiglie. Questo aspetto non può essere lasciato da parte in quanto è anche il tramite per capire meglio le situazioni personali di ogni ragazzo, sia per evitare di proporre iniziative che possono urtare il consenso dei genitori di questi ultimi. Perché l’Oratorio per la famiglia è una specie di luogo sicuro al quale non hanno il timore di affidare i propri figli. Inoltre la partecipazione delle famiglie è un esempio concreto di “attivismo” per i figli che si apprestano a partecipare alla vita comunitaria. !143

L’Associazione NOI è integrata nella realtà oratoriana favorendone l’organizzazione e il supporto tecnico.

Cultura L’Oratorio dovrebbe essere un centro di cultura. Una parola davvero importante, ma che spesso si fa fatica a mettere in pratica: l’Oratorio infatti dovrebbe produrre cultura in tutte le sue fasi, dalla ricerca, alla sperimentazione e infine alla realizzazione di esperienze concrete. Si può infatti passare dall’Oratorio come luogo legato allo sport e al gioco, all’Oratorio come luogo di incontro alimentato da numerose esperienze che vedono nella pluralità e nella condivisione degli interessi il suo punto di forza.

Ci sono vari tipi di cultura che si possono proporre all’interno dell’Oratorio: la loro sfida principale è quella di riuscire ad attrarre non solo gli adulti, ma anche i ragazzi e i bambini. Ecco perché si possono fare proposte legate a volontariato, carità, servizio, a cose concrete che possono toccare i giovani nel vivo.

Far cultura non vuol dire semplicemente sedersi di fronte a delle persone e raccontare con grandi parole i “perché della vita”: ma vuol dire mettersi al pari degli altri e far vedere che la bellezza della cultura è proprio nel suo essere concreta e sperimentabile.

Tradizione L’Oratorio è un luogo dove si incontrano varie generazioni che hanno esigenze diverse e pareri a volte contrastanti. Tradizione vuol dire anche rischiare mantenendo lo sguardo fisso alla base, vuol dire anche farsi carico delle richieste dei giovani, vuol dire anche saper andare al passo con i tempi e provare ad arricchire la propria tradizione di iniziative belle e soprattutto nuove. !144

Iniziazione cristiana Un'importante attenzione va attribuita all'iniziazione Cristiana.

A tal proposito invitiamo a leggere il progetto diocesano presentato recentemente. Si sottolineano, però, alcuni aspetti particolari, ritenuti punti importanti sui quali ampliare la riflessione.

Una costante alleanza tra le varie figure oratoriane e i genitori che sempre più stanno diventando oggetto di riflessioni e dei quali emergono lati positivi e negativi. È utile soffermarsi e capire come le famiglie siano fondamentali in un contesto oratoriano, di come il futuro dei nostri ragazzi non può prescindere da una rivisitazione e un rafforzamento dell'alleanza tra genitori e Oratorio stesso.

Il coinvolgimento di sempre nuove persone che siano capaci di accompagnare i ragazzi, figure specializzate e non, adeguatamente preparate per questo ruolo. Ognuno può trovare il suo spazio all'interno dell'Oratorio, ma è giusto riconoscere che non tutti sono in grado di fare tutto. Sono perciò necessarie due cose: discernimento e collaborazione. Il primo per conoscersi e individuare il proprio posto nell'Oratorio, il secondo per ricordarsi che non si cammina mai da soli, soprattutto nella chiesa.

Riflettere sulla quantità e utilizzo del tempo libero dei ragazzi, ampliare la riflessione anche sulla qualità del tempo e di come esso viene vissuto e percepito. I ragazzi, oggi, sono sempre più sommersi di cose da fare, sport, musica, scuola, e spesso non gli viene concesso il tempo necessario per far sintesi all'interno della loro vita. L'Oratorio può essere anche questo, un luogo in cui non si è il personaggio principale, ma si è tutti protagonisti.

Far risaltare la centralità della domenica come giorno del Signore e di festa (religiosa). Non dimentichiamo che l'Oratorio è componente fondamentale della pastorale e perciò è importante ricordarsi la dimensione ecclesiale che esso ha, a servizio del

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Signore nel prossimo. Riconosciamo e ricentriamo, quindi, la centralità del Signore.

Puntare sulla carità e sulle esperienze caritative che sempre più si rivelano efficaci e stimolanti. Sono le esperienze che ci formano e ci modellano, perciò sta a noi trovare la giusta via di mezzo tra "teoria e prassi".

Cercare di scollegare il catechismo dal modello scolastico. Stiamo attenti a non far pensare ai ragazzi che i tempi del catechismo siano gli stessi della scuola, essi collaborano e camminano insieme, ma ovviamente hanno due ruoli e obiettivi diversi.

Dio e vocazione L'Oratorio viene riconosciuto come luogo importante da un punto di vista esperienziale, e quindi nell'ambito della crescita personale, ma gli viene attribuito anche un connotato vocazionale. Uno dei primi aspetti emersi è la difficoltà a identificare questo taglio all'interno delle proposte che quotidianamente si fanno in Oratorio. Eppure nessuno ha messo in dubbio il fatto che l'Oratorio possa avere una grande importanza in ambito vocazionale, ecco che allora viene definito un laboratorio un po' particolare, un laboratorio vocazionale. Questo perché il laboratorio dà l'idea di essere un qualcosa in costruzione, sul quale si sta ancora lavorando e che non si ha ben chiaro quale sia il finale, proprio come la crescita interiore e il discernimento dei ragazzi che ci vengono affidati. Per affrontare questa tematica gli Oratorio hanno individuato due ambiti di riflessione: gli "educatori vocazionali" e l'interiorità della persona.

Per quanto riguarda il primo punto si intende tutti coloro che girano intorno ai ragazzi e che hanno un ruolo significativo all'interno dell'Oratorio. Importante viene ritenuta la testimonianza dei sacerdoti che sono coloro che automaticamente vengono associati al luogo Oratorio. Questi, insieme ai genitori, hanno il !146

compito di mostrare la bellezza di vivere la vita come vocazione, di favorire l'unita dei pensieri e delle esperienze dei ragazzi loro affidatigli. Altra figura è, appunto, quella dei genitori, che devono ricordarsi di essere coloro che sono adibiti al servizio, ma soprattutto alla presenza accanto alla vita dei figli. I genitori, infatti, sono la prima forma di comunità cristiana con la quale i ragazzi entrano in contatto. La famiglia deve diventare sempre più un'alleata speciale. Ecco che risulta indispensabile, allora, puntare sulla formazione dei genitori. Il nuovo progetto dell'iniziazione Cristiana della nostra diocesi va in questa direzione, verso il coinvolgimento dei genitori. Sicuramente anche i genitori di Oratorio, oltre il catechismo, hanno bisogno di formazione. Insieme ai genitori ci sono anche gli adulti in generale che sono coloro che fisicamente si prendono cura, progettano e aiutano a vivere l'Oratorio stesso. Infine è rilevante la presenza degli animatori, di coloro che, giovani e non, accompagnano fisicamente in Oratorio i ragazzi secondo uno stile che è proprio dell'Oratorio. In riferimento a ciò ricordiamo ai giovani di non aver paura di osare anche nei momenti di crescita personale, che va oltre il servizio, perché per testimoniare quello stile, quel clima tipico dell'Oratorio non può bastare il solo servizio, c'è bisogno della crescita personale, anche perché è la relazione che educa. Riassumendo, l'Oratorio deve diventare una bella sintesi di tutte le vocazioni che insieme collaborano per il loro bene.

I nostri ragazzi, oggi, preferiscono fare un servizio in parrocchia piuttosto che dedicare del tempo a se stessi. È più facile essere Marta rispetto a Maria, nel senso che si preferisce darsi da fare per gli altri e dimenticarsi del proprio percorso, del cammino che si sta facendo, forse anche di cosa ci aspetta il futuro che neanche dedicarsi al cento per cento alla propria crescita e relazione con Gesù. Solo in quest'ottica il nostro servizio ha senso perché ci inserisce all'interno di una comunità che cammina con !147

noi. È proprio questa relazione con Gesù quella che dà motivazione, ispirazione e perseveranza a ciò che facciamo. È, perciò, solo nel coltivare la propria interiorità e nel vivere attivamente lo stile oratoriano che i ragazzi possono crescere a 360 gradi, anche da un punto di vista vocazionale. È importante riuscire a far capire che l'obiettivo dell'Oratorio non è solamente quello di accompagnare le giovani generazioni verso i sacramenti. L'Oratorio è certamente anche questo, ma è anche altre cose: un luogo in cui favorire l'accompagnamento spirituale, in cui maturare uno stile, crescere in condivisione. Ci si può porre la domanda se i nostri ragazzi sono consapevoli di tutto ciò. Magari non totalmente, probabilmente solo in parte, ma possiamo ipotizzare che se i ragazzi sono in Oratorio è perché una scelta l'hanno fatta. Compito della comunità diventa far emergere in loro la sete di una vita piena, realizzata e significativa per tutti, il desiderio di un'esistenza che non vuole essere a spot ma totalizzante.

Accoglienza Dall’analisi della parola “accoglienza” emerge che, per la maggior parte, l’Oratorio è un luogo aperto a tutti, in cui non si può essere selettivi. È chiaro, però, che per una buona convivenza ci devono essere dei canoni di comportamento che stanno alla base della buona educazione. I primi a dare il buon esempio dovrebbero essere le figure educative che rappresentano un punto di riferimento che i ragazzi possono seguire ed imitare. Accogliere significa anche far sentire tutti a proprio agio, come a casa propria, è per questo che presentare un luogo ospitale, pulito e ordinato è di fondamentale importanza.

La missione dell’Oratorio non punta solo sui numeri dei partecipanti attuali alle attività che propone ma lavora in prospettiva di un domani che possa favorire il passaggio di importanti !148

valori e apertura al confronto. È proprio il confronto e l’apertura al “diverso” una delle sfide che l’Oratorio si pone sempre di più. Sembra, infatti, che l’affluenza di figli di immigrati sia aumentata negli oratori ma che comunque la loro totale partecipazione sia ancora un obiettivo difficile da raggiungere.

Emerge che le nuove generazioni vivono male il tema dell’interculturalità perché respirano questo atteggiamento dalle persone adulte, le quali non sono sempre predisposte ad accogliere allo stesso modo lo straniero che vive accanto a loro.

Unità L’Oratorio pone attenzione a tutte le fasce d’età con uno sguardo privilegiato nei confronti di bambini, ragazzi e giovani.

Fondamentalmente gli sforzi sono tutti spesi a favorire la frequentazione dell'Oratorio da parte dei più giovani e dalle loro famiglie attraverso la proposta di un numero sempre crescente di iniziative, senza trascurare la cura degli spazi e degli ambienti resi sempre più accoglienti. L'Oratorio richiede necessariamente una condivisione dell'esperienza con la parrocchia e la comunità che si traduce in collaborazione continua e intensa.

Non si potrebbe pensare al triangolo “Oratorio-Parrocchia-Comunità” come tre entità completamente diverse, che non hanno alcun accordo tra di loro.

Il punto di forza dell'Oratorio è la sua caratterizzazione aggregante, di fatto ancora oggi riesce a raccogliere un buon numero di persone anche di diverse estrazioni sociali. A volte presenta ancora difficoltà il senso di appartenenza sviluppato dalle diverse modalità di frequentazione: c’è chi frequenta l’Oratorio con spirito di partecipazione e vi dedica energie e tempo, mentre c’è chi lo considera una mera proposta di servizi a cui poter partecipare liberamente senza impegno.

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Responsabili La parola responsabilità calata nell’ambiente dell’Oratorio significa interrogarsi su quali siano le priorità che devono essere perseguite in Oratorio: priorità organizzative ma soprattutto priorità educative. In tutti gli oratori è presente un’equipe educativa che si occupa di questo, composta per la maggior parte da sacerdoti, educatori, catechisti e animatori.

In un buon numero di oratori, l’idea di un coordinatore/responsabile laico nell’Oratorio non è condivisa completamente. Condizione ideale sarebbe che la guida rimanesse il sacerdote o il curato affiancato da una figura gestionale che si occupi della struttura, coordini le iniziative e l’animazione, e che sia costantemente presente in Oratorio per accogliere e passare del tempo con i ragazzi. Una figura come quella sopra descritta non può essere un semplice volontario, che mette a disposizione gratuitamente la gran quantità di tempo richiesta per svolgere bene la funzione richiesta dell’educatore.

Animazione Animare all’interno dell’Oratorio significa creare occasioni di incontro, di aggregazione, di gioco e di formazione. L’animazione dell'Oratorio ha come responsabile il parroco ed eventualmente il curato, coadiuvato da persone adulte e giovani volontari, che stabiliscono il programma delle attività ed il loro indirizzo, formandosi e provvedendo alla formazione degli operatori. La figura dell’animatore è quella di una persona responsabile, affidabile, propositiva e presente durante le attività assegnategli, garante del buon funzionamento e del rispetto delle regole, nonché della soluzione dei conflitti che dovessero presentarsi.

Pur dividendosi in diversi gruppi a seconda delle attività svolte, gli animatori hanno un programma comune e condiviso, facendo costante riferimento al Consiglio Pastorale e, se presente, al !150

consiglio dell'Oratorio, nonché alle indicazioni della diocesi, che avrà a sua volta cura di non far mancare le occasioni formative.

Il fine dell'animazione non deve essere solo quello di motivare ed incoraggiare i giovani nell'esperienza cristiana, ma deve anche essere occasione di crescita umana per la preparazione alla vita che li attende.

Relazione Il tema delle relazioni tocca profondamente la realtà dei nostri oratori e li costringe ad interrogarsi sul valore dei rapporti che si stringono all’interno. Si valorizza principalmente il rapporto educatore-ragazzo sinonimo di relazione autentica che resiste nel tempo e che costituisce una formidabile capacità di aggancio anche quando, soprattutto con l’età della adolescenza, i ragazzi si allontanano o interrompono i legami con tutto ciò che sa di impegno formativo di vita cristiana.

Inoltre è proprio dalla testimonianza dell’assoluta gratuità dell’impegno di un educatore nella sua presenza in Oratorio, che nasce, per un adolescente, il presupposto necessario per una scelta futura di seguirne l’esempio e di dedicarsi al servizio delle giovani generazioni, oltre che per una ripresa di un cammino di fede interrotto. È chiaro che il ricambio generazione porta alla costruzione di relazioni non solo umane, ma anche digitali attraverso smartphone e social network. La maggior parte degli oratori ha preferito far mantenere alle relazioni umane un pilastro importante della propria realtà, preferibili a quelle digitale, proprio per la loro immediatezza e genuinità.

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Pensa, credi, sogna, osa Nel 2016 è celebrato il quarto convegno diocesano degli Oratori che ha permesso di riflettere su come concretizzare i sogni dei ragazzi nel progetto educativo dell’Oratorio e come l’educatore osserva e si “smonta” per loro. Gli interventi sono stati affidati a Marco Moschini.

Pensa, sogna: la riflessione lungo la veglia diocesana degli Oratori Sono uno che è cresciuto in un Oratorio e che ha conosciuto tanta gioventù e che ha avuto la fortuna di mantenersi giovane.

Ho avuto la fortuna di condividere con le persone tante cose. Il Signore mi ha messo tante storie davanti. Vi racconto questa, tra le tante: facendo il professore devo permettere ai miei studenti di fare dei tirocini. Ho mandato un milanese a Scampia. Scampia è molto peggio di quella che si vede nei film, di quello che avete letto o avete visto nei tanti reportage che si fanno da quel luogo. È un luogo di morte dello spirito e di morte del corpo, in cui non c’è nessun presidio di stato e forse ci sono troppo pochi presidi di bontà. Il tirocinante doveva fare qualcosa di diverso dal solito: far scuola. L’Oratorio che fa scuola. Nell’Oratorio dove quel ragazzo milanese stava il suo compito era aiutare gli educatori della realtà di introdurre ragazzi 14/15enni a raggiungere livelli minimi di conoscenze per accedere al diploma di scuola media. Dovevate vedere la gioia di un ragazzo di quindici anni che quella mattina in cui io ero lì aveva imparato a mettere le virgole. Aveva compiuto un passo decisivo per la realizzazione del suo sogno.

Nella nostra fede abbiamo imparato a venerare i sogni e le speranze che stanno nel cuore di ciascuno di noi. Questa è la storia dei luoghi dell’educazione della fede e sapete perché? perché la !152

nostra fede non ci ha insegnate tante cose, ma poche. La prima grande cosa è che Dio ci ama, Dio è venuto da noi e con noi è restato perché ci ama e ci ha fatto notare una cosa: che Dio sa sognare. Non sogna però incubi, illusioni, fantasie, sogna ad occhi aperti. Sogna e cioè vede il meglio di tutti noi. Ha tenuto bene aperti gli occhi quando ha creato la terra, ha visto tutte le albe e tutti i tramonti, ha visto tutti i fiori, tutti i colori. Quando ha creato Adamo ha visto la sua solitudine ecco perché ha voluto per lui una compagna, ci ha voluto mettere in relazione. Ha voluto per noi delle storie che sono le nostre storie, quello che siamo noi. Cosa saremo senza i nostri genitori? Senza i nostri mariti o mogli o fidanzate o fidanzati? Senza gli amici? Ha visto Adamo e ha sognato una promessa. Ha visto la sofferenza dell’uomo in Israele e ha sognato una liberazione; ha visto i pianti di tutti noi, ha visto le nostre storie sbrindellate, spezzate, frantumate e ha voluto piangere con noi.

Capite che cosa sono i sogni di Dio? I sogni di Dio sono i nostri sogni, Dio sogna noi, le nostre speranze, la nostra felicità, sogna che ciascuno di noi sia se stesso, lo sia realmente e con felicità. È per questo che i suoi sogni ci permettono di tenere aperti gli occhi sul mondo, su noi stessi per dire chi siamo. Noi, come dice il grande poeta Shakespeare, “Siamo fatti delle natura dei sogni”.

Perché Dio è un sognatore.

Purtroppo viviamo negli incubi, viviamo in un tempo nel quale ci dicono “tu cerca di essere quello che gli altri vogliono tu sia e sogna poco, sta sveglio!”. Ci dicono “il mondo è un magazzino prendi quello che serve e via”. ”Dio, ma chi è? ti ha mai risposto?, l’hai mai visto?”.

Con queste domande sprofondiamo in una mezzanotte. Da qui gli incubi che ci rendono orribile la realtà. Come se la vita fosse bella senza un sogno ma ci siamo davvero dimenticati che si può gioire per una virgola? Per una madre che ci ama? Per una persona che ci regala un sorriso? Per un amico che ci è stato vi!153

cino? Per un pianto fatto insieme a tanti? Siamo così ridotti male da non pensare che ci si può commuovere, ridere, piangere con gli altri e che si può immaginare una vita nuova per me, i miei figli, i miei studenti, i miei ragazzi, per chi mi sta vicino? Siamo così svegli da aver accettato gli incubi della veglia piuttosto che la bellezza del sogno? Siamo ridotti così? Mi fa pensare ad un altro episodio della mia vita: ero a Sarajevo e su un muro c’era scritto “Dal fango vediamo le stelle” noi possiamo stare nel fango ma possiamo orientare la testa verso le stelle. Sogniamo perché questo ci tocca.

Credi, osa: la riflessione al convegno diocesano degli Oratori Tra gli incarichi accademici che mi sono stati affidati dall’Università degli Studi di Perugia c’è la direzione del Corso di Perfezionamento in “Progettazione, gestione e coordinamento dell’Oratorio” una realtà che è sostenuta dai Vescovi umbri, insieme ad una associazione educativa. Queste realtà – con una sensibilità particolare - hanno deciso di pensare e sostenere un percorso di studio, di formazione, sull’Oratorio visto come una bella esperienza educativa. Una delle più ampie e longeve istituzioni educative tipiche della sollecitudine per i giovani del nostro paese e della chiesa.

Infatti l’Oratorio è da 500 anni l’istituzione educativa più longeva che questo paese abbia pensato, voluto, realizzato. Una storia non morta ma anzi ancora molto viva tanto che in tutto il paese (da Nord a Sud) si stanno aprendo ovunque oratori; anche in situazioni territoriali socialmente molto problematiche. Queste realtà degli oratori raccolgono un numero di educandi ed educatori che è secondo solo a quelli del sistema scolastico.

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Ieri sera avete presentato il vostro progetto con le casette e i vostri sogni. Nessuna di queste piccole case era uguale ad un’altra.

Questo ha manifestato visivamente la variegata forma dell’Oratorio anche in un contesto di vicinanza territoriale come questo.

Infatti l’Oratorio non è una realtà uguale per tutti (nemmeno uguale da parrocchia a parrocchia). In esso vengono accolti giovani che hanno storie e reti relazionali non uguali. Nell’Oratorio si specchiano le vicende delle persone che, per definizione, non sono mai una uguale all’altra. Nell’Oratorio entra una storia precisa che è quella di una comunità che lo vuole, lo sostiene e che se ne giova trovando in esso una palestra della gioia, della formazione, dell’educazione e si assicura un futuro perché educa le giovani generazioni a costruire se stessi e prepararsi a vivere la loro vita con speranza.

Qui il primo dato su cui riflettere: l’educazione è una concreta forma e figura di comunità; è uno strumento di civiltà e ogni Oratorio prende su di sé la responsabilità di parlare a singoli giovani, a generazioni che si incontrano nei suoi spazi, per mezzo delle molte iniziative in esso vissute e danno insieme un esempio di vita comune in un particolare territorio. Perciò proprio perché fatto di comunità ogni singolo Oratorio ha degli aspetti del tutto diversi. Ogni realtà ha esigenze diverse.

Il fatto che io – come molti di voi - siamo cresciuti in Oratorio lo dobbiamo al fatto che questa palestra di vita ci è consegnata da quella grande ricchezza spirituale e umana, religiosa e culturale insieme che è il cristianesimo, la fede cristiana. Lo dico spesso ai miei studenti: il cristianesimo non è una religione… è anche una religione! È una visione sull’uomo che viene colto in ogni aspetto della sua vita come una ricchezza amata da Dio, salvata dalle conseguenze delle sue fragilità e da Lui custodita con una speciale forma di amore e di misericordia. Il cristianesimo è uno sguardo globale amorevole sul vivente, su ogni vivente. Il cri!155

stianesimo entra nel tempo con l’annuncio di un modo nuovo di vedere l’uomo, la storia e la relazione di tutti con Dio. È un guardare la vita dell’uomo; è uno sguardo di trascendenza gettato sull’uomo. Il prologo di San Giovanni termina con la frase “Dio nessuno l’ha mai conosciuto, solo Gesù Cristo ce ne ha dato un racconto” uso tradurre così dando con essa una lettura interpretativa, di quello che la Bibbia CEI traduce “ce lo ha rivelato” ; il termine giovanneo ce lo consente. Il Vangelo altro non è che il racconto dell’amore di Dio, una narrazione dell’incontro di Dio con l’uomo, un’ermeneusi di Dio. Gesù racconta come Dio ha incontrato l’uomo; ci ha raccontato l’amore di Dio e di come Egli guarda l’uomo. Questa cosa è importantissima, è la sintesi della fede cristiana. L’uomo è guardato da Dio con profondo amore, secondo San Luca, con “eudochia”, con buona reputazione, con amore generoso e pieno. Dio si piega per dire all’uomo che è amabile. Quale altra forma di pensiero, di spiritualità, di maniera di interpretare la vita ci dice che Dio ci vuole bene esattamente per come siamo? La dimenticanza di Dio, il silenzio in cui abbiamo ridotto Dio nelle nostre società, ricche solo dell’egoismo di noi stessi, ha costretto l’uomo a guardare a se come un problema, come un coacervo di pulsioni, di desideri che riescono a temperarsi poco con un appello ad un moralismo poco solido di valori e pieno di impulsi volontaristici ed arbitrari. Abbandonato Dio ci siamo sentiti più nudi come Adamo dopo il peccato.

Nessuno ci dice più che siamo amabili. Solo il cristianesimo ci ha indicato, ci indica e ci indicherà, una parola di consolazione, di verità capace di ricostruire e riconsegnarci un universo bello.

Quale ideologia?! Quale credo isolato e singolare?! Il Cristianesimo è una rivoluzione capace di trasformare il mondo con atti generosi di carità che nascono da fede in un Dio che non abbandona l’uomo alla disperazione ma che gli mostra sempre gli orizzonti della speranza. Non più soli, mai soli, ma ricolmi di un !156

amore che riceviamo gratuitamente e gratuitamente dobbiamo e sentiamo di restituire ad ogni fratello. In comunione.

Nel cuore del cristianesimo possiamo attingere a delle virtù che dovrebbero essere le qualità dell’educatore. La Bibbia che ci racconta la prossimità di Dio all’uomo ci dà anche il codice di comportamento e di stile che deriva da questo essere penetrati dall’amore ed essere consegnati all’amore. La Bibbia ci dice che Dio non è assente dalla storia. Ci dice che gloria di Dio è l’uomo vivente. Dio ci ha legato con questo strepitoso legame alla sua divinità che è la carità, l’amore gratuito, libero, senza contraccambio. Perciò ci dice anche il modo con cui Dio opera: educando il popolo.

Allora sappiamo che Dio sta dove si trova l’uomo, Dio è Emanuele, Dio con noi, non sopra di noi. Un educatore deve sviluppare quindi una solida e profonda spiritualità; se ognuno di noi non sa indicare che ruolo Dio occupa nella sua vita, è anche difficile che poi possa indicarlo agli altri. Sapendo dunque che Dio c’è ed è in mezzo a noi, dobbiamo capire che la prima caratteristica che dobbiamo sviluppare in quanto cristiani è la fiducia.

Una persona deve avere la fiducia che tutto quello che fa non lo fa in prima persona, ma è Dio che lo compie e l’ha forse già compiuto. Dio sta nel volto impertinente di un ragazzo che chiede cose cattive, o in quello che al momento ti sta dando fastidio, in quello che gioisce e in quello che ti chiede ragioni. È lui sempre che interpella te… e tu sei sempre il Cristo che risponde alle domande di tutti. Per questo Egli è nella storia di tutti.

Se Dio c’è ed è nella mia vita per quanto brutta, rotta, allora dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo crescere in questa certezza e cioè che se Dio abita l’uomo, l’uomo è suo luogo, suo tesoro. Dio non ha avuto gelosia della sua natura divina e non ha avuto paura di venire incontro all’uomo. Gesù è venuto al mondo in una stalla come suo primo atto; e la stalla non è un !157

espediente scenografico! Dio nasce nello sterco; respinto dalle case, entra a forza nel mondo anche quando il mondo non intende riconoscerlo; non ci lascia soli per amore nostro nasce anche in un posto impuro ben lontano dal suo trono di gloria. Dio abita talmente tanto l’umano da riconsocere nell’uomo ciò che noi non vediamo: riconosce in una prostituta una santa, in un ladrone, crocefisso come lui, il primo dei santi.

La seconda caratteristica è di non avere paura di questi tempi così grami, per cui temiamo per le nostre certezze, per i soldi, per la povertà. Siamo chiamati ad avere coraggio a non vergognarci. La fiducia genera coraggio. L’educatore, in quanto cristiano, è un buon osservatore. Anche quando Gesù va in mezzo alla folla e gli si avvicina la gente ricorre spesso la frase “Li fissò e li amò”. Anche qui tratti umani. Nel passo del Vangelo in cui un padre e un figlio malato si recano da Gesù e affermano “Io e mio figlio abbiamo lottato molti anni contro questi demoni” . Gesù allora scuote il figlio e ordina di andare. Prima di compiere il miracolo però Gesù si è messo nel dolore del padre. Dio sa osservare e domandare.

Noi osserviamo perché amiamo. Noi siamo chiamati ad amare i nostri vicini, la prossimità è la nostra prima categoria di stile.

Noi siamo chiamati ad amare noi stessi ed ad amare gli altri.

Noi amiamo anche la nostra terra, le nostre tradizioni, il quartiere, la città, la parrocchia. È quello che siamo. Amare un luogo e un territorio aiuta a riconoscere la gente. Riconoscere significa continuare sempre a conoscere le persone. Noi amiamo l’uomo perché è in comunità, in relazione. Voglio riconoscere gli altri nella relazione. Ecco un altro elemento: la relazione, mettere in relazione. L’educatore costruisce le relazioni. Un pecora non può stare senza il gregge. Il male di questi tempi è la solitudine. Il Signore non si è fatto specie della solitudine è andato a riprendere la pecora smarrita. Noi dobbiamo renderci conto che noi !158

piacciamo a Dio, un po’ meno i nostri comportamenti. Ma Dio è misericordioso e ha la pazienza di aspettarci. Aspetta il nostro cambiamento. Dobbiamo crederci però che possiamo cambiare il mondo e dare prospettive e orizzonti nuovi. A questa terra nuova dobbiamo crederci credendoci in prima persona. Il sogno di Dio è costituito dal coraggio, dalla fiducia, il riconoscimento, il costruire relazioni per cambiare il mondo. Dio vuole riportarci nell’Eden, dal luogo in cui siamo usciti di nostra spontanea volontà. Oltre a sognarlo dobbiamo farlo insieme.

Queste sono le prime virtù (non le sole) dell’educatore. Esse nascono dalla vicinanza ed apertura allo Spirito di Dio, nascono nel cuore dello spirito del cristianesimo. Lo Spirito Santo fa suscitare una passione educativa. Così ha fatto sempre e sempre farà. La passione educativa è una delle forme di carità con cui si esprime questa verità di prossimità.

Ma come si educa cristianamente? Guardiamo al modo con cui Gesù nel Vangelo ha educato il popolo di Dio. Come egli si è avvicinato alla gente, di come si è fatto prossimo a tutti. E la chiesa, come tutti noi, dobbiamo prendere la stessa forma nei suoi dieci atteggiamenti educativi: • Si piega verso gli altri. È lui che vieni da noi, ci viene incontro.

• Racconta le cose e poi le spiega. Si ferma a parlare per raccontare delle cose di Dio, non come i teologi ma con paragoni, con parabile, rendendo accessibile il mistero.

• Dà testimonianza di vita. Prima fa e poi parla.

• Non tradisce e non si fa impaurire dal tradimento. Nel Vangelo ha avuto molti tradimenti, ma non ha paura.

Neanche di Giuda.

• Attende chi si attarda. Gli apostoli soprattutto. Si arrabbia quando sono impazienti !159

• Non inganna.

• Chiede ed esige.

• Sa stare zitto.

• Osserva. Ha notato Zaccheo sulla pianta del Sicomoro (lo osservò e lo guardò). Dio sa guardare in mezzo alle fronde.

• Dio dà le carezze Il buon educatore ha un decalogo nella vita di Cristo. Per questo un educatore cristiano è facilmente identificabile; egli si uniforma al Vangelo. Con questo stile evangelico dobbiamo fare in modo di rispondere, con creatività, alle esigenze dei talenti dei nostri ragazzi. E l’Oratorio diventi quindi alla luce della virtù e dello stile evangelico della prossimità il luogo specifico di questa semplice restituzione della speranza alla generazioni di questo tempo martoriato.

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L’Oratorio Oggi (Ricerca IPSOS, 2016) Da diversi anni i nostri oratori svolgono, attraverso molteplici attività, una funzione educativa nei confronti delle giovani generazioni.

Tale ruolo è stato riconosciuto ufficialmente, all’inizio dello scorso decennio, da Regione Lombardia che, approvando la legge regionale sugli oratori, ha identificato questa struttura come “uno dei soggetti sociali ed educativi della comunità locale” riconoscendogli “la facoltà di contribuire alla programmazione e alla realizzazione di interventi e di azioni nell’area dei minori”. Per questo motivo gli oratori dimostrano di abitare il territorio, ciascuno con le proprie risorse, mettendo a disposizione tutta la loro passione educativa.

Il coordinamento regionale delle pastorali giovanili, denominato ODL (Oratori Diocesi Lombarde), ha avviato nel luglio 2013, grazie alla collaborazione di IPSOS, un’indagine volta ad incrementare la conoscenza del mondo oratoriale regionale permettendo quindi anche alle singole diocesi di fotografare la situazione dei propri oratori.

Durante il periodo settembre 2013 – marzo 2014 i responsabili degli oratori hanno compilato il questionario di rilevazione contenete una varietà di domande volte alla rilevazione oggettiva dello stato di funzionamento degli Oratori. Nelle fasi successive a tale periodo sono stati elaborati i dati e redatta la restituzione a livello regionale comprendente sia la valutazione quantitativa, ovvero il commento a quanto emerso, sia quella qualitativa, attraverso l’intervista di diversi portatori d’interesse. Tale restituzione, contenuta nella collana “Gli sguardi di ODL” (n. 9), ha permesso una lettura ragionata dell’assetto educativo dei nostri Oratori a livello regionale e avviato la fase di rilettura nel diocesano.

L’indagine rileva, per la diocesi di Crema che sono presenti 53 Oratori attualmente funzionanti e 2 senza attività. In 8 parrocchie non è presente l’Oratorio: si tratta di parrocchie molto piccole o che condividono le attività di un Oratorio vicino. Altro dato interessante è quello che in tutti i comuni della nostra Diocesi è presente almeno un Oratorio.

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Questo dato è una piacevole sorpresa: la Diocesi di Crema si pone al secondo posto in Lombardia per la presenza di oratori parrocchiali attivi e al primo posto in regione per numero di strutture.

Conclusioni della ricerca Progettare è l’unica strada per rendere utile il lungo lavoro di analisi dei dati della ricerca ISPOS sugli oratori lombardi.

Un’approfondita osservazione della realtà a partire da alcune parole chiave determinanti, che trovano nella progettazione l’unico percorso di sintesi.

Questo report e questa pubblicazione vogliono quindi servire a tutti i responsabili degli oratori della diocesi di Crema, per attuare un’azione nelle proprie comunità e per rendere l’Oratorio più adatto alla crescita delle nuove generazioni. Una responsabilità nella corresponsabilità, per fare in modo che i nostri ambienti siano luoghi di passione educativa condivisa, arricchita dal contributo di più figure educative.

Le nostre strutture hanno bisogno di sentirsi abitate in modo attivo, superando l’idea che sia sufficiente un bell’Oratorio per garantire la riuscita delle attività e una presenza significativa di ragazzi, adolescenti e giovani. Strutture quindi il più possibili realizzate e progettate in funzione della missione dell’Oratorio e dello stile educativo che si intende attuare. Strutture che hanno bisogno di una gestione economica attenta e proiettata all’autosufficienza, in modo che l’Oratorio non incidi fortemente sulle casse della parrocchia. Solo una progettazione che tenga conto anche di questo aspetto, permette all’Oratorio di realizzare attività strutturate ed economicamente in attivo.

Solo una progettazione pensata in una cabina di regia educativa definita, può coinvolgere tutti i soggetti presenti nell’Oratorio e orientarli in modo unitario. Una regia in grado di definire nel dettaglio orari di apertura e attività, che rendono la sfida !162

educativa interessante nella “continuità” di una proposta. I nostri ambienti hanno bisogno di calibrare ogni singolo sforzo per essere luoghi generativi di educazione, di narrazione di esperienze, di azioni creative, di innovazione. Spazi di incontro nei quali vengono proposti percorsi di fede progettati con cura e qualità, puntando alla crescita di cammini di fede “oltre” l’iniziazione cristiana e che coinvolgano attivamente preadolescenti, adolescenti e giovani. Sono loro i frequentanti verso i quali i nostri oratori devono maggiormente “sbilanciarsi”, per evitare di “perderli” dopo i sacramenti. Progettare l’Oratorio non solo per i più piccoli, diventa quindi un’azione di forte responsabilità per tutte l’equipe educative, che sono chiamate ad essere creative e a sperimentare proposte di forte protagonismo dei ragazzi.

Un’azione progettuale che deve concentrarsi anche sull’attuazione di processi di integrazione con i numerosi ragazzi stranieri accolti nelle nostre comunità. Abbiamo bisogno di cogliere tutte le opportunità che le diverse risorse umane presenti in Oratorio ci offrono, con una particolare attenzione ai numerosi adulti coinvolti a vario titolo nell’attività. Un dato che permette di immaginare gli oratori come spazi intergenerazionali veri, nei quali sono possibili percorsi di condivisione e collaborazione tra età diverse.

Abbiamo bisogno di progettare percorsi di formazione permanente di qualità, per sostenere l’impegno dei numerosi educatori coinvolti nelle attività, per farli crescere in competenza e per dare loro strumenti attuali in ambito educativo e spirituale.

Competenze che, in alcune realtà, sono garantite dall’investimento in un personale retribuito. Sono giovani ai quali affidiamo la responsabilità di affrontare le situazione più complesse da un punto di vista educativo e ai quali chiediamo di sostenere i volontari nella programmazione dei vari percorsi. !163

Pensare le attività di catechesi, di tempo libero, di volontariato ed estive in modo unitario, rappresenta una delle sfide più alte della progettazione, nella consapevolezza che solo questa prospettiva garantirà alle nostre comunità di crescere.

Abbiamo bisogno di generare “interdipendenza positiva” tra il maggior numero di risorse umane e del territorio, tra collaborazioni interne e collaborazioni esterne, per superare le difficoltà a lavorare insieme e per valorizzare tutte le agenzie educative con le quali i ragazzi entrano in rapporto. Solo un lavoro di sistema e di rete permetterà ad ogni Oratorio di sentirsi a “suo agio” nell’affrontare le numerose problematiche giovanili della realtà sociale in cui viviamo.

Una realtà nella quale si inserisce con determinazione il lavoro del coordinamento oratori, in un paziente “mettere insieme”, per creare occasioni di crescita strutturata delle singole realtà e di buone prassi.

Progettare. Progettare. Progettare.

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Cambiamo insieme!

Nel 2017 è celebrato il quinto convegno diocesano degli Oratori che ha promosso la capacità di cambiamento negli Oratori.

La riflessione è stata affidata a Carla Acerbi e a Marilisa Rizzo.

L’Oratorio e il cambiamento Difficile è provare a dare una definizione univoca di Oratorio, in grado di tenere in sé tutta la sua molteplicità. Tuttavia è possibile evidenziarne dei tratti caratteristici, delle specificità. Esso innanzitutto può essere visto come collettività, “mondo”, microcosmo e in quanto sistema dai confini flessibili; come dunque luogo promotore di “identità normali”, di appartenenze e “verità”, di punti di riferimento, ma anche — a causa dei suoi confini flessibili, che pure gli permettono di sopravvivere ai mutamenti sociali — come contesto mutante e produttore a sua volta di cambiamento. Da queste prime considerazioni si può intravedere una possibile contraddizione, eppure ricchezza, che sottolinea tuttavia un ostacolo da presidiare. L’Oratorio davanti a questo può cercare di ri-definirsi grazie a uno sguardo attento alla realtà attuale e allo stesso tempo non perdendo di vista la sua tradizione e particolarità.

La realtà sociale di oggi è sottoposta a trasformazioni costanti, è connessa a un presente connotato da debolezza progettuale e dei legami con il passato e il futuro; ciò inevitabilmente pone l’Oratorio in un movimento dinamico e ininterrotto; sembra costringerlo a una rincorsa senza senso e priva appunto di pensiero progettuale. Tuttavia un’altra caratteristica/trasversalità oratoriana ha proprio a che fare con l’essere e il fornire punti di riferimento stabili, duraturi, con il creare socialità e legami significativi e non fluidi e “scorrevoli”, con il presentarsi come mondo !165

credibile, sicuro e abitabile. L’Oratorio pare quindi “dovere”, in una società che costantemente si trasforma, cambiare e allo stesso tempo resistere a questi mutamenti; mostrarsi flessibile eppure solido, roccioso. Essere una cosa e il suo contrario nel medesimo momento. Il possibile rischio, di fronte a queste richieste è così doppio: da una parte ha a che fare con la “collusione oratoriana” all’estrema liquidità contemporanea, mentre dall’altra con il presentarsi dell’Oratorio sotto forma di realtà rigida, conservatrice e incomunicante con l’oggi e dunque, determinante la sua stessa inefficacia e “morte”, intesa in termini educativi. L’Oratorio infatti, rimanendo fedele alla tradizione, ma anacronistico per il tempo attuale, risulterebbe insignificante per le famiglie e i giovani in crescita, allentando in definitiva la presa sul proprio compito educativo. È sembrato necessario allora, anche davanti a questi rischi reali, pensare alle condizioni capaci di restituire all’Oratorio la sua funzione di presidio educativo del territorio; pensare quindi a tutti coloro che lo abitano e animano (in maniera perlopiù volontaria) con responsabilità e compiti diversi, contribuendo (o meno) a costruire una dimensione di “comunità”, vivendo fatiche e frustrazioni, sperimentando motivazioni altalenanti, portando con sé, come è naturale, la propria storia (personale, spirituale, educativa), il proprio modo di essere adolescente/giovane/ adulto, uomo/donna. Oltre a sottolineare le nuove “strategie” di presidio educativo, l’invito agli oratori è provare a non dimenticare la specificità dei compito oratoriano, ossia quello di promuovere una prima evangelizzazione, che avviene non solo e non per forza con la catechesi, ma piuttosto attraverso gesti e parole differenti: attraverso la testimonianza e l’esempio, la presenza di figure educative impegnate a loro volta nella crescita cristiana; grazie all’attenzione data/ricevuta, un’attenzione dunque alle singole persone, che rende il «cammino personaliz!166

zato e comunitario» allo stesso tempo con una proposta significativa di vita cristiana, ma anche con un’articolata formazione, in grado di prevedere percorsi differenziati e alternativi. I linguaggi utilizzati dall’Oratorio dovranno inevitabilmente essere molteplici e appunto differenti, per valorizzare le varie forme e modalità d’espressione dei singoli.

Si crede possibile e utile dunque riscoprire la tradizione oratoriana (la storia e il suo compito, lo stile, i suoi ambiti e destinatari dell’agire educativo quotidiano), mettendo in evidenza però alcune possibili linee di sostegno (anche professionali) e sviluppo, che possano valorizzare questa stessa tradizione, senza offuscarne la specificità. Si tratta di sostenere l’esperienza volontaria e il compito educativo che sempre l’Oratorio ha avuto, prevedendo anche la strutturazione di alleanze educative, di percorsi di progettazione e di formazione e promuovendo così una lettura attenta e critica della realtà dei territori (tanto oratoriani, quanto più in generale sociali e attuali). L’ipotesi è dunque che, anche in Oratorio, si possano dare delle risposte a quegli aspetti nuovi che chiedono una nuova «creatività educativa». Si pensa infatti che gli oratori, concorrendo ancora alla definizione di un sistema formativo territoriale, debbano continuare a operare mantenendo intatta la loro identità, rispondendo allo stesso tempo alle nuove sfide che giungono dai territori della contemporaneità. L’Oratorio dunque può provare a tenere in considerazione gli apprendimenti formali, non formali, informali, intrecciando e intrecciandosi con i diversi dispositivi educativi, creando alleanze e collaborazioni, interne all’Oratorio e con le realtà educative esterne a esso. L’Oratorio, se da un lato può dar vita a progetti oratoriani che siano parte integrante del progetto educativo della comunità, in modo da non creare frammentazioni inefficaci e sovrapposizioni conflittuali, dall’altro può tentare di svolgere, sempre più, un ruolo significativo (alle volte !167

decisivo) affinché «nei territori l’impegno educativo sia davvero letto e attuato come impegno di tutti».

L’Oratorio, strutturandosi come reale esperienza educativa, può tentare di differenziare la sua offerta e di “gettare avanti” il proprio pensiero inerente il suo essere «palestra di “umanità” e “spiritualità”» per soggetti di differenti età potrà provare a delinearsi quindi come espressione concreta di un’intenzionalità educativa, da attribuire non solo al prete o al parroco, ma alla comunità parrocchiale nel suo insieme.

Se è vero che risulta complesso dare una definizione unica e onnicomprensiva dell’Oratorio, è vero anche che può aver senso esplorare le definizioni che cli questo vengono date o sono state date, per comprendere fin da subito di che tipo di riconoscimento questo contesto goda e quali siano le aspettative a esso solitamente rivolte. In primo luogo l’etimologia del termine Oratorio rimanda a un edificio sacro dedicato alla preghiera. Grazie alla varietà semantica tuttavia lo stesso sta anche a indicare un genere musicale, come pure un ambiente o il complesso di ambienti, generalmente annesso a un chiesa parrocchiale, attrezzato in modo da offrire a bambini e ragazzi la possibilità di praticare attività ricreative, culturali, sportive e spirituali sotto la guida di religiosi e laici.

In ambito ecclesiale l’Oratorio è stato definito, in termini molto generali, come l’attenzione educativa, propria delle comunità cristiane, manifestatasi nel tempo in quelle «realtà aventi la finalità dell’istruzione e della formazione religiosa della gioventù».

Il Forum Oratori Italiani ha però saputo rintracciare, nel confronto tra le varie realtà oratoriane, una serie di caratteristiche che, pur nella diversità di situazioni, consentono di offrire un criterio interpretativo comune, grazie al quale con il termine “Oratorio” si intendono strutture e ambienti concreti, più o meno articolati, prevalentemente rivolti e aperti ai ragazzi e !168

giovani che abitano il territorio di riferimento; con un chiaro collegamento alla parrocchia del medesimo territorio o alla comunità cristiana di riferimento con le sue possibili articolazioni; avente esplicite finalità educative e pastorali, normalmente realizzate da volontari, tra le cui attività regolari vi sia il gioco e l’animazione del tempo libero.

Allargando lo sguardo dagli aspetti generali più formali al versante educativo, vediamo che la Conferenza Episcopale italiana riconosce l’Oratorio quale luogo/ambiente che accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’Oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio. Si cominciano a intravvedere quindi alcuni tratti caratteristici, che fanno dell’Oratorio una realtà educativa e unica: l’accompagnamento nella crescita delle giovani generazioni, il protagonismo laicale — dentro a un contesto comunitario particolare che vede coinvolte svariate figure educative — e l’attenzione specifica ai linguaggi giovanili. Sono tutti aspetti ritrovabili anche in un contributo recente che la Conferenza Episcopale Italiana ha dedicato all’Oratorio ovvero “Il laboratorio dei talenti. Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo”. Il documento segna una sorta di spartiacque, in quanto per la prima volta, il ruolo educativo degli oratori nel panorama sociale ed ecclesiale contemporaneo viene riconosciuto apertamente ed esplorato nei suoi elementi essenziali. Nella “Nota” vengono esplicitati alcuni criteri di discernimento su aspetti della vita e dell’organizzazione dell’Oratorio: la forma!169

zione e la responsabilità degli educatori; il rapporto con la pastorale giovanile; la catechesi in Oratorio; le alleanze educative, in particolare con la famiglia; l’impegno delle aggregazioni ecclesiali; la sfida dell’integrazione sociale e culturale; l’animazione dello sport educativo, del gioco e del tempo libero; la titolarità e la gestione dell’Oratorio.

Possiamo riconoscere che alcuni di questi tratti sono gli stessi rintracciabili all’origine della strutturazione dell’Oratorio come lo conosciamo oggi, ossia quale istituzione difficilmente identificabile entro i confini di un preciso “modello” educativo, ma nella quale sono individuabili alcune costanti, che ne fanno una istituzione per certi aspetti fedele alla tradizione e immutata nei secoli: la cura per una formazione integrale della persona, a partire dai valori proposti dal Vangelo; la vocazione popolare e “di massa”; la dimensione comunitaria (in quanto comunità costituita cii gruppi e persone, ma anche in quanto espressione della cura educativa della comunità di cristiani adulti verso le giovani generazioni); la compresenza nella regia educativa di presbiteri, religiosi/e e laici e una sana tensione alla collaborazione con le famiglie e con il mondo adulto; l’iniziativa locale, che rende l’Oratorio strettamente legato al territorio di riferimento e al tempo stesso istituzione diffusa; l’attenzione a chi è “ai margini” e la dimensione caritativa; la capacità di leggere le trasformazioni sociali e farvi fronte, riorientando opportunamente la propria azione e cercando soluzioni sul campo.

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Risposta al questionario del Sinodo: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale È riportato l’estratto della relazione diocesana inviata nel 2017 alla Conferenza Episcopale Italiana dalla Diocesi di Crema in risposta al questionario del Sinodo previsto per il 2018.

Oratorio Nella nostra realtà diocesana e lombarda si è concordi nel riconoscere nell’Oratorio uno spazio e un tempo importante per crescere insieme e vivere un accompagnamento nel quotidiano.

Quasi la totalità dei nostri giovani hanno vissuto l’Oratorio, non tutti hanno seguito percorsi formativi, pochi sono rimasti restituendo quanto ricevuto. Anche l’Oratorio chiede di essere ripensato perché con il suo stile possa parlare alla vita dei giovani di oggi. Ogni comunità parrocchiale possiede spazi per continuare ad offrire questa esperienza, non tutte hanno la forza di strutturare percorsi per i giovani.

Anche in questa realtà troviamo un grande sforzo per pensare cose nuove da inventare per tentare di “attirare” i giovani, ma la vera sfida è quella di offrire cammini significativi che osino puntare in alto e corrispondano alle esigenze/interrogativi dei giovani stessi.

L’Oratorio resta comunque un’opportunità per incontrare, ascoltare e condividere la vita e cammini di fede, ed il cuore pulsanti dell’intera comunità cristiana.

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Educatori e adulti in uscita Tanti sono coloro che con gratuità dedicano il tempo per testimoniare la gioia del Vangelo. Questa è una grazia che riconosciamo come un immenso dono.

Coloro che si dedicano ai giovani sono molto spesso oberati da molti altri servizi nella comunità, cosicché si fatica a trovare una giusta priorità e dedicarsi anche ad una formazione personale ad hoc. Ci accorgiamo che siamo educatori che concentrano il proprio sforzo e servizio solo ad attendere i giovani nei nostri spazi e con le nostre modalità, siamo poco in grado di metterci sulle loro strade camminando verso di loro e con loro. Essere educatori in un mondo che cambia vorticosamente, che chiede risposta a molti quesiti, che chiede di testimoniare la bellezza della vita e della fede in un contesto che troppe volte parla di buio e di morte è una delle priorità per ridonare speranza e fiducia alle nuove generazioni.

Ci sentiamo tutelati e al sicuro nei nostri ambienti e questo ci dona un’apparente senso di giustizia e sicurezza. Dovremmo recuperare quel coraggio missionario che ha contraddistinto la Chiesa nascente, senza la pretesa di attirare ma con il desiderio di inquietare e di essere testimoni gioiosi di Dio.

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Conclusioni Ti sei mai chiesto se raccogliere e riprogettare sono la stessa cosa? In un certo senso sì.

Per raccogliere dobbiamo guardare quello che abbiamo davanti (che in un certo senso è passato), dobbiamo pensare a come organizzarlo e poi procediamo a dare una nuova forma.

Per progettare guardiamo il bisogno (ciò che abbiamo davanti), pensiamo a come agire (ci organizziamo con degli obiettivi) cercando di dare una nuova forma (attraverso un’attività).

Allora ecco come questa raccolta ordina e progetta nel medesimo istante. Abbiamo tra le mani uno strumento che raccoglie riflessioni e pensieri che aprono altrettante considerazioni e scelte. Scelte che i nostri Oratori sono chiamati a prendere insieme per camminare in modo unitario.

Ma qual è il progetto per il futuro dei nostri oratori?

Non c’è, oggi, una risposta. Dobbiamo costruirla insieme nei prossimi anni. Ma intanto iniziato a fare un punto della situazione attraverso il concentrato di idee che negli ultimi vent’anni hanno abitato i nostri ambienti.

Emergono quindi alcune importanti riflessioni che ci accompagneranno nel futuro più prossimo: 1. Quale identità per i nostri Oratori?

2. La riprogettazione delle collaborazioni pastorali può nascere da una riprogettazione dell’Oratorio?

3. Quali investimenti sulle strutture?

4. Quale proposta per l’Oratorio?

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5. Quale rapporto tra Oratorio, Pastorale Giovanile e Vocazionale?

6. Quale rapporto con la famiglia?

7. Come progettare, coordinare e verificare la cura educativa della comunitĂ in Oratorio?

8. Quali sono le figure educative? Quale rapporto tra servizio e professionalitĂ ?

9. Come stare sul territorio e nel territorio?

10. Quale ruolo per il coordinamento diocesano?

Non abbiamo la risposta in tasca.

Abbiamo voluto raccogliere per riprogettare.

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Sommario Introduzione Oratorio ieri, oggi e sempre Mappa dei documenti XXII Sinodo della Diocesi di Crema L’Oratorio 637. L’Oratorio luogo educativo Raccomandazioni 638. Un progetto educativo 639. Il gruppo degli educatori 640. Gli Oratori maschili e femminili 641. Collaborazione tra Oratori 642. Il Centro Giovanile San Luigi Lo guardò con Amore Estratto Gli strumenti di educazione alla fede Trasmettere la fede battesimale Estratto Educare alla vita buona del Vangelo La parrocchia, crocevia delle istanze educative Assemblea Ecclesiale Fase preparatoria Il cammino formativo del credente 1.4 Giovani e formazione – Si propone Il volto missionario delle nostre parrocchie 2.3 Giovani missionari – Si rileva Il volto missionario delle nostre parrocchie 2.3 Giovani missionari – Si propone Strumento di lavoro La formazione dei giovani e degli adolescenti Conclusioni !175

3 3 5 6 6 6 7 7 7 7 8 8 9 9 9 11 11 12 12 14 14 14 14 14 15 15 16

Alcune scelte operative Seguire Gesù, Maestro di vita L’Oratorio Mi fido, ci pensiamo, mi (ri)metto in gioco Saluto di Mons. Oscar Cantoni Ripensare l’Oratorio, don Marco Mori Oratorio Parola attuale, prof. Roberto Mauri Fare discernimento Dal vetero al neo Oratorio Il percorso oratoriano: dall’Oratorio moderno a quello post moderno Uno sguardo al futuro Per concludere: testimoniare l’Oratorio post-moderno Il laboratorio dei talenti Introduzione Parte I: memoria e attualità dell’Oratorio 1. Alle sorgenti dell’educazione 2. Una grande ricchezza di proposte 3. Per una memoria viva dell’Oratorio 4. Con la stessa passione dei grandi maestri dell’educazione 5. Nel solco della tradizione con risposte nuove e creative Parte II: fondamenti e dinamiche dell’Oratorio I fondamenti della tradizione oratoriale 6. Il Vangelo, sorgente e fine dell’attività educativa 7. Con lo sguardo di Gesù verso le giovani generazioni 8. Il ruolo della comunità educativa 9. Una rinnovata collaborazione con la famiglia 10. Nella prospettiva vocazionale !176

16 18 18 20 20 22 29 29 31 33 37 39 41 41 44 44 45 46 48 49 51 51 51 52 53 54 56

11. La formazione di cristiani maturi 12. Nell’orizzonte di una pastorale giovanile integrata Le dinamiche e lo stile dell’Oratorio 13. Luogo fecondo di evangelizzazione 14. Per una gioiosa trasmissione del Vangelo 15. Il primato della relazione 16. Un ambiente accogliente nella chiarezza delle proposte 17. Il progetto educativo dell’Oratorio 18. Educare a un protagonismo responsabile 19. Alleanze feconde e diversificate 20. L’ambiente dell’Oratorio: luogo, tempi e linguaggi 21. L’Oratorio come laboratorio culturale Parte III: impegno e responsabilità ecclesiale 22. Identità ecclesiale dell’Oratorio 23. Formazione e profilo delle figure educative 24. Attività sportive, artistiche e culturali 25. Sfide antiche e nuove: emarginazione e interculturalità 26. Al passo con le nuove generazioni dei “nativi digitali” 27. Aspetti amministrativi e collaborazione con altri soggetti Conclusione 28. L’Oratorio come permanente laboratorio educativo Tu sei prezioso ai miei occhi Testimonianza La mia esperienza personale Le competenze

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57 58 59 59 60 62 63 65 66 68 69 72 73 73 75 78 80 82 83 86 86 88 88 89 95

La riflessione: il lavoro nei gruppi Grest 365 giorni l’anno Formazione per essere educativi Comunità educativa in Oratorio Oratorio di uscita?

Il coordinatore laico in Oratorio: strade possibili?

Costruire e realizzare il progetto dell’Oratorio Io, Tu, Noi: la riflessione lungo la veglia diocesana degli Oratori Io... dono di dio, talenti da mettere in gioco Tu... il Signore è il vero tesoro Noi... i talenti della comunità educante Un dono... la preghiera del più Progettiamo Insieme Come... centro formativo e progetto di educazione 1.Valenza formativa dell’Oratorio 2. Il posto dell’Oratorio nella formazione 3. Questo è il senso del percorso formativo di ogni Oratorio.

4. La formazione che si fa in Oratorio mira alla maturità umano-cristiana 5. Come fa l’Oratorio ad essere centro formativo?

In pratica: gli strumenti per il progetto educativo Itinerario di Iniziazione Cristiana per i bambini e i ragazzi I soggetti Le attenzioni del progetto Gli itinerari a. 0-6 anni: il tempo della catechesi battesimale b. 6-7 anni: l’evangelizzazione c. 8-11 anni: essere discepoli di Gesù d. 12-14 anni… e oltre: la mistagogia !178

96 96 97 98 98 99 100 100 100 102 105 109 110 110 110 112 113 115 122 125 132 132 132 133 133 134 134 135

Le dodici parole La traccia consegnata agli Oratori La riflessione emersa Alleanze Luoghi Organizzazione Cultura Tradizione Iniziazione cristiana Dio e vocazione Accoglienza Unità Responsabili Animazione Relazione Pensa, credi, sogna, osa Pensa, sogna: la riflessione lungo la veglia diocesana degli Oratori Credi, osa: la riflessione al convegno diocesano degli Oratori L’Oratorio Oggi (ricerca IPSOS) Conclusioni della ricerca Cambiamo insieme!

L’Oratorio e il cambiamento Risposta al questionario del Sinodo: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale Oratorio Educatori e adulti in uscita Conclusioni

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137 137 139 139 141 142 144 144 145 146 148 149 150 150 151 152 152 154 161 162 165 165 171 171 172 173

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo (elettronico o meccanico, inclusa la fotocopia e la registrazione ad ogni altro mezzo di ripresa delle informazioni) senza il permesso scritto del Servizio per la Pastorale Giovanile e degli Oratori della Diocesi di Crema: info@pgcrema.it

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Abbiamo davanti a noi la possibilitĂ di dare un volto nuovo ai nostri Oratori: ripensarli nei contesti delle UnitĂ Pastorali, ricreare alleanze educative vitali e arricchenti, offrire uno spazio e tempo pensato, vivere relazioni significative e soprattutto donare la buona Parola del Signore mostrando loro la bellezza della fede.