Notiziario2 2012low

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Considerazioni800 943 333 sul corretto approccio agli ausili La reiterazione di una prassi e la diffusione della stessa da parte dell’essere umano ha contribuito allo sviluppo di un nuovo modo di pensare e agire, sin dagli albori della nostra specie, ed ha fatto si che oggi, ad esempio, la nostra quotidianità si basa sull’utilizzo di strumenti che consentono e/o agevolano compiti altrimenti di difficile attuazione o che compensano una nostra mancanza. Una famiglia in cui è presente un bambino affetto da distrofia muscolare di Duchenne o Becker entra in contatto con nuovi strumenti, non subito percepiti come aiuti: al contrario, gli strumenti (teoricamente) supportivi diventano la concretizzazione della distrofia e di tutto ciò che il ragazzo – nella mente di un adulto – non potrà fare. Chiunque porta un paio di occhiali da vista non pensa costantemente ai gradi di campo visivo mancanti, bensì alla possibilità di godere di ciò che lo circonda: tale angolo di visuale andrebbe conservato anche quando parliamo di doccette notturne, di banchi antropometrici/ergonomici per la scuola, di carrozzine elettriche o manuali. Pensiamo (anche) a ciò che consentiranno di fare al ragazzo. Una delle prime sfide delle famiglie coinvolte dalla e nella DMD/BMD consiste nell’attivare facoltà come la resilienza per elaborare la diagnosi ricevuta, fase delicata cui dovrebbe seguire un nuovo equilibrio familiare che contempla, a tempo debito, la presenza di ausili adeguati (cioè correttamente individuati da una équipe multidisciplinare in cui è presente anche uno psicologo). Negare la necessità di uno strumento e/o opporsi al suo ingresso in casa sono tappe psicologiche adattive con cui l’adulto prende contatto gradualmente con il trauma subito, ma tali difese dovrebbero lasciare il posto gradualmente al desiderio costruttivo di agevolare lo sviluppo e l’indipendenza del bambino. La crescita e l’autonomia di un figlio, tanto fisicamente quanto emotivamente, è la meta cui padre e madre tendono, già prima

che il neonato venga al mondo. Come ogni compasso ha un fulcro da cui si traccia il cerchio, così è fondamentale sentirci radicati al centro del nostro cerchio personale, a prescindere dal fatto se siamo in piedi, seduti in carrozzina, appoggiati a qualcosa: anche questa è parte dell’unicità di ogni individuo. Se il punto di vista dell’adulto/del genitore nei confronti di un ausilio si palesa in termini difettivi (“cosa non farà più…”), è d’obbligo domandarsi cosa pensa a riguardo un bambino/un ragazzo affetto dalla patologia. Di fronte al dolore e alla rabbia dell’adulto – che si percepisce erroneamente sconfitto nel suo ruolo genitoriale – s’impone il sollievo del diretto interessato, il quale assapora da subito una nuova libertà e indipendenza, conquistata grazie all’ausilio dai genitori demonizzato. Poter chiedere è bello ma dover essere costantemente costretti a farlo, converrete, è mortificante. Così, ribaltando ogni pre-supposizione, il bambino affetto da DMD/BMD che necessita di un ausilio da coraggio e fa da guida affinché gli adulti che lo circondano non proiettino (più di tanto) dolore e senso di ingiustizia sullo strumento di supporto. Ogni giorno si può fare qualcosa per metabolizzare l’ingresso di un ausilio e per arrivare adeguatamente equipaggiati a “quel giorno”: è un processo che si fonda sul dialogo sincero nella coppia, tra questa il figlio (inclusi eventuali fratelli o sorelle presenti) e infine tra la coppia e il mondo esterno (psicologi, fisioterapisti…). La spirale del silenzio importata in famiglia dai genitori amplifica nella psiche di ogni bambino, per di più se affetto da una patologia rara, angosce e paure che creano un fantasma che diventa sempre più intoccabile. Da qui nasce la sensazione dei bambini di non poter fare domande su argomenti-tabù e di non poter essere né informati, né rassicurati: spezzare la coltre di silenzio spetta certamente ai genitori. Un dialogo chiaro e semplice – che prende il via dalle prime domande del bambino sul suo stato di salute – è il canale preferenziale nel rapporto genitori-figli grazie al quale parlare di ausili non sarà così destabilizzante come si può immaginare, se consideriamo che ogni strumento (pc, software, carrozzina…) serve a preservare e rafforzare le capacità attuali e future del bambino, potenzialità con le quali si potrà inserire da adulto nella società, nel mondo del lavoro, tra gli altri. Una volta entrato in casa o a scuola dopo un lungo ‘sacrificio’ psichico dei genitori, l’ausilio ancora sigillato è spesso riposto in cantina o in garage: spogliato del suo senso e funzionamento originale, non aiuterà per magia il bambino, privato così di un’importante opportunità. Anche in questo caso, l’amore per e di vostro figlio vi aiuterà a farvi aiutare… Virginia Bizzarri

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