Un Giro d'Italia

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Paolo Casti



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UN GIRO D’ITALIA di Paolo Casti


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Desiderosissimo sempre di ammirare quanto larga di bellezza sia la natura e quanto d’artifizio vi abbia aggiunto l’umano ingegno, ho cercato di avere agio di farlo coll’aggirarmi talvolta di paese in paese e, ivi, osservare la diversità delle situazioni e delle produzioni naturali. Viaggetti che spesso intraprendo a tal uopo, de’ quali l’eseguito nell’anno scorso fu uno de’ più deliziosi e di sollazzo per me, tale che mi diedi il piacere di descrivermelo con la penna.

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ueste sono le prime righe di un piccolo libro che

ho acquistato, attirato più dal titolo “Viaggi Geografici” che dalle mie allora scarse conoscenze del contenuto. Il piacere del viaggio, inutile dirlo, non è cosa di oggi. 5


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Le complicazioni del passato ed i lenti mezzi di cui fino ad inizio secolo si disponeva rendevano i viaggi cosa per pochi. Ricchi perditempo, audaci scrittori in cerca di ispirazione o di pretesti, hanno iniziato ad arricchire la letteratura dei viaggi da almeno due secoli. Il mio, al contrario di quello di questi signori, molto più fortunati di me, è stato un viaggio velocissimo. Ed è stata proprio questa rapidità di sequenze che mi ha fatto capire, forse meglio del solito, le differenze e le consonanze tra luoghi diversi tutto sommato vicini, all’interno di un’Italia che si può fare da cima a fondo in un giorno, con i mezzi attualmente disponibili. Sono un pubblicitario che si occupa di comunicazione esterna e per questo sono stato più o meno dappertutto in questa Italia magnifica da scoprire e da vivere. Sono innamorato di molti dei luoghi raccontati in queste pagine, ed ho fatto questo viaggio per raccontare, a chi non ne abbia avuto la possibilità, le qualità della nostra penisola e le ragioni per cui tutti prima o poi si muovono per scoprirla, non sempre come ho 6


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fatto io questa volta per motivi professionali, ma spesso per cercare se stessi o la voglia di stare con gli altri in un posto che ci consenta di vivere le piccole gioie quotidiane, l’acqua tiepida di fine estate, i profumi di una gita in collina e, perchè no, anche il divertimento di una notte o l’adrenalina di una corsa in macchina. Piccole o grandi cose che il mondo ci invidia insieme alla storia, di cui siamo orgogliosi, che ci ha regalato cittĂ , campagne, strade e tradizioni ineguagliabili. Ho fatto questo viaggio su di una macchina meravigliosa insieme ad un amico. Con lei e con lui ho vissuto quasi una settimana senza distrazioni, pensando solo al viaggio, a quello ed a quelli che incontravamo. Tante foto e tanti racconti intrisi di emozioni indimenticabili. Spero che alcune di queste siano rimaste impigliate tra le righe di questo breve diario che non racconta la storia di un viaggio, ma il modo in cui le persone che ho incontrato mi hanno raccontato il loro modo di viaggiare e di vivere i luoghi che ho attraversato. Questa sequenza di episodi, raccontati in modo di7


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verso da persone diverse, potrà essere utile a farci un’idea su certi luoghi e di certi viaggi in questo piccolo angolo del mondo, forse a capire perchè tutti quelli che li hanno vissuti, fatti o soltanto sognati, li amano. Comprendendo questo sentimento capiremo perchè più di altri ci spostiamo, perchè abbiamo costruito tutti questi campanili, tutte queste strade, perchè molte città sono cosi piccole, perchè anche se sono cambiati i tempi ed abbiamo case ed auto più belle, ci fermiamo ancora lungo le strade alla ricerca della buona cucina, di un buon albergo, oppure perchè spesso facciamo tanta strada per cercare compagnia. Perchè ci fermiamo quando tramonta il sole o aspettiamo l’alba dopo una notte di divertimento. Forse è perchè siamo contenti del paese dove abitiamo ed una volta tanto siamo orgogliosi di esserlo. Come compilatore di questo piccolo diario mi sono preso il grande lusso di ritornare indietro nel tempo percorrendo il viaggio al contrario, ritornando a casa da Venezia, città nella quale sono arrivato dopo cinque giorni dalla partenza da Verona. Forse è stato questo il modo per far girare le lancet8


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te dell’orologio al contrario, con il desiderio di rivivere il viaggio per arrivare a capire quello che mi ha spinto a farlo.

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Venezia

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VENEZIA D’ESTATE È UNA DOPPIA CITTÀ di Enrico Finzi

Venezia d’estate è una doppia città, in parte semivuota. Ma come, direte Voi? Non è stracolma di turisti, anche se scarsa di locali? Sì, ma quella dei visitatori è un’altra Venezia, stretta tra la stazione e l’Arsenale, articolata in poche strade (a partire da Lista di Spagna) ed abitata da monumenti che - per l’uso che se ne fa - potrebbero benissimo essere accolti in una qualche Disneyland. Infatti, piazza San Marco, Rialto, San Giovanni e Paolo, i Frari e poco altro sono consumati di fretta da gente che crede di visitare Venezia, mentre si limita ad entrare per qualche attimo nella sua cartolina più banale, godendo se straniera d’un finto folklore locale, fatto di canzoni napoletane, di gondolieri da favola (ma costosissimi), di vetri di Taiwan creduti di Murano. La Venezia vera, quella dei pochi residenti rimasti e di inglesi e tedeschi colti e silenziosi, non abita la stessa 13


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località della Venezia disneyiana. Batte, infatti, calli e fondamenta segrete, mangia in osterie sconosciute alle masse, beve ombre e pilucca cicchetti riservati ai non foresti, passa tra bui profondi e squarci assolati da San Nicolò di Mendicoli all’unica cattedrale cittadina (cioè San Pietro, tenuta dai dogi agli estremi della Serenissima, per separare anche fisicamente il potere ecclesiastico da quello temporale). La vera Venezia boccheggia nella piazza vuota del Ghetto, fa il bagno dopo l’aeroporto nelle spiagge libere del Lido, sente musica sud-americana nel sestiere popolare di Cannareggio, va al cinema al Giorgione (l’unica multisala che mette insieme due minisale da pochi posti, condivisi da qualche intellettuale rimasto e da coppiette colte e in cerca di frescura). A volte, certo, le due città s’incontrano, senza che la prima riconosca la seconda, mentre quest’ultima resta per un attimo attonita sia alle conseguenze del turismo massificato, sia all’inciviltà del suo depredamento sistematico da parte dei grassatori commerciali, che hanno reso la Disneyland veneta un angolo più degradato dei souk medio-orientali (ma quello di Marrakesh è più fi14


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ne ed onesto…). Anche l’aria non è la stessa per le due città che raramente si intersecano: ferma ed orientale per la Venezia vera, mossa e urlata per quella da cartolina. Poi, senza dubbio, entrambe debbono passare per il grande ponte che unisce la nostra Turchia alla terraferma, all’orrida periferia mestrina. Per tutti, allora, torna l’Italia, imprevedibile ed a volte ributtante, insieme meravigliosa ed irritante. Ma questa è un’altra tappa dei viaggi di Paolo Casti. E altri la debbono raccontare…

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PIACERE PER LA GUIDA di Loris Casadei

Sì, esiste ancora. Sembrerà strano, visto che il traffico che ci circonda sta uccidendo la libertà di movimento. Eppure gli appassionati possessori Porsche usano ancora con piacere le loro auto sia per raggiungere gli autodromi dove liberano il desiderio di competizione e ricerca del limite, sia per rompere con la banale routine scegliendo mete di fascino da conquistare con la propria. Accade così per gli iscritti dei Porsche Club che danno vita ad un’ottantina di incontri all’anno, gran parte dei quali prevedono, a suon di chilometri, raid turistici alla scoperta della provincia italiana e delle migliaia di strade poco frequentate, ma accade allo stesso modo anche per l’appassionato del Marchio non ancora coinvolto dalla spirale dell’associazionismo. Le strade preferite? Se la metà è al di là del confine, qualunque esso sia, e non si deve andare di fretta, non è strano incontrare qualche Porsche sulle strade dei passi 17


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alpini. Lì infatti si misura ancora, in tutta tranquillità, il piacere per la guida, pennellando i tornanti, giocando con l’acceleratore sempre con rispetto dell’auto e dei limiti di sicurezza. Se poi piacere di guida corrisponde ad emozione, anche il solo lasciarsi il casello d’autostrada alle spalle e raggiungere in una manciata di secondi il limite di velocità ammesso è sufficiente per poter godere di un’armonia, che solo il sound Porsche è capace di regalare. Sì, viaggiare con piacere è ancora possibile, basta poter girare la chiave della messa in moto, ma con la mano sinistra come si faceva una volta, a Le Mans.

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MILANO 15 GIUGNO ORE 10 di Roberto De Luca

Milano 15 giugno, ore 10. Caldo, tanto caldo per un sabato di fine primavera. I vacanzieri del week end già si muovono ed anche noi ci apprestiamo al viaggio. Siamo in tre, io Angelo e Barbara. La macchina è quella del fidanzato di Barbara perchè ha il caricatore multiplo di cd, dieci. Saranno più che sufficienti per andata e ritorno. Credevamo e speravamo. Anche contando la coda per il traffico, le tre ore previste di viaggio potevano diventare cinque e comunque permetterci di arrivare alle 15 in tempo per l’inizio della prima giornata del Jamming Heineken Festival di Imola, headliner Red Hot Chili Peppers. E via, pronostico rispettato fin quasi a Bologna, si fila spediti sulle note degli Alice In Chains e dei Pearl Jam (Barbara è una fan del grunge) e qui ci fermiamo. Ecco la famigerata coda, prima a passo d’uomo e poi fermi. 23


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Mezz’ora, forse di più. Cominciamo a stufarci. Ho già letto tutta la Gazzetta. Cominciano le telefonate agli amici. “A che punto siete? Quando siete partiti? Fermi anche voi?”. Friggiamo ed insieme a noi frigge pure il radiatore. La pressione sale e ci dobbiamo accostare perchè il fumo che esce fuori dal cofano è tanto. Intanto la colonna si muove, lentamente ma si muove… e noi li ha guardare. Chiamiamo l’ACI. “Ok, dove siete?” Bella domanda. “Vicino a Bologna, non c’è neanche un punto di riferimento, niente cartelli, autogrill o altro che sia utile per un’indicazione.” “Richiamate quando sarete più precisi.” Che gentili, grazie!! Fortunatamente passa una macchina di amici, si ferma e promette di darci ragguagli precisi sulla nostra posizione. Dopo un fitto ponte telefonico, stabiliamo di essere ad una decina di chilometri dalla svincolo della tangenziale di Bologna. Chiamiamo. “Ok, arriviamo”. Altra mezz’ora. Ci portano in rimessa e la diagnosi dice impietosa: radiatore rotto. Ovviamente da cambiare, e, ovviamente di sabato pomeriggio non è possibile. 24


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Ok, autobus, stazione, treno, Imola. Il tutto in un altro paio di ore. Sono le sei. Il sole batte ancora forte. Noi tutti siamo disidratati, stanchi, ma ancora più stressati da tutti gli inconvenienti. Ritirati i pass, andiamo nel backstage. Il mio sogno è una birra, e mai sponsor fu più appropriato: Heineken. I capienti frigo della zona hospitality sono la mia salvezza. Un paio di bottiglie non me le toglie nessuno. Non faccio neanche a tempo a finire la prima che inevitabilmente vengo travolto da una massa di amici, conoscenti, uffici stampa, e tutti che vogliono qualcosa. Non realizzo. Sono le 18.30 e non ho visto ancora nulla del festival, ma il mio unico desiderio adesso è quello di rilassarmi e fare scendere la tensione. Sarò onesto, ho saltato e guardato distrattamente il gruppo prima dei Red Hot. Meglio risparmiare le energie per loro. Finalmente si allungano le ombre della sera. Una cena tra amici e qualche altra birra mi predispongono all’ascolto dei Red Hot. Niente di meglio delle note della chitarra west co25


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ast di John Frusicante per divertirsi. Ritmi allegri e chitarra frizzante. La voce di Anthony, superbo soprattutto nelle ballate, ed il basso slappato di Flea fanno il resto. Guardo una massa umana enorme, saranno 70.000, ad occhio, chissà. Festosi e allegri. Il buon umore mi contagia e resta fin quando i Chemical Brothers ci guidano nei meandri della notte. Suoni dub avvolgenti e narcotici. Molti ragazzi hanno voglia di ballare, ma io, Angelo e Barbara ci guardiamo negli occhi. Per un giorno solo è stato già abbastanza. La fatica del viaggio colpisce tutta d’un tratto. Ci allontaniamo silenziosi nella notte, mentre l’eco dei Hey Boy, Hey Man, ci accompagna, ma tutto quello che adesso voglio è un letto.

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BEL PAESE DEL DESIGN di Virginio Briatore

Fortunato colui che parte alla ricerca del design! Colui non ha davvero bisogno di andare lontano.. gli basta svegliarsi, allungare una mano… l’orologio prezioso o anonimo, l’interrutore della luce o la maniglia della finestra, l’etnica pantofola o la metaforica caffettiera già lo portano a viaggiare nel design! E poi bisognerà indossare abiti disegnati, aprire cosmetici perfetti, calzare occhiali anatomici, ingurgitare yogurtini dall’eccelso packaging, caricare cellulari miniaturizzati e via… trasportati dalla propria mega SUV, esempio della giocattolizzazione del prodotto per chi ha avuto una triste infanzia, o intruppati nell’aerodinamico jumbotram o sgambettanti su una nera Bianchi coi freni a bacchetta che ci ricorda quanto poco si sia evoluto il concetto di biciclo nei suoi 150 anni di storia. E così via, fino a notte fonda, allo stesso interruttore one off che ci toglie la luce. Il design ci accompagna 29


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giorno dopo giorno, è lui che viaggia con noi, invincibile: dal gaio biberon resistente agli urti all’ultima volontà di un’urna funeraria leggera nel peso, contenuta nelle dimensioni e non povera nei materiali! Ma se colui che parte alla ricerca del design è un vero appassionato, un fedele seguace del car design, un devoto del surface design o un massimalista del minimalismo nulla lo potrà trattenere dal recarsi negli appositi luoghi sacri in cui i capolavori del progetto sono conservati: i Musei del Design. L’unico problema è che in Italia il vero Museo del Design non esiste e tutti noi, critici, addetti ai lavori, progettisti, imprenditori e altri attori che di design viviamo, ci diciamo afflitti, costernati, indignati…. Orbene colui che parte alla ricerca del design è doppiamente fortunato perchè nell’attesa che venga appaltata la costruzione del megagigatera Museo del Design Italiano può vagare per la penisola e godersi la miriade di piccoli musei del design, pubblici e privati, che la costellano. Chi scrive ricorda con gioia la grande oscura sala del Museo dell’Arredo Contemporaneo, disposto nel bel 30


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edificio con facciata-portale di Ettore Sottsass e Johanna Grawunder a Russi, near Ravenna, in cui l’appassionato mobiliere a nome Biagetti ha raccolto straordinari pezzi che testimonianio un secolo d’arredo, non solo italico! Per non parlare del Museo dell’Occhiale, allestimento di Atelier Mendini, presso l’head quarter di vetro e acciaio della Safilo, a Padova, che dal monocolo ottocentesco agli occhiali avvolgenti dei soldati di Rommel sino alle momtature trasmittenti di domani, raccoglie una collezione senza eguali che traccia la storia di questa amichevole protesi. Memore anche di quanto sia interessante la raccolta dei disegni storici dell’elettrodomestico Zanussi, donata con scalpore dall’azienda di Pordenone al Museo della rivale Udine (raccolta in cui si vede fra l’altro il primo telecomando-mouse con filo, progettato da Gino Valle nel 1954, nonché un’incredibile lavapiatti orizzontale da tavolo!) invitiamo da Padova a proseguire il viaggio verso la città furlana che oggi, sempre presso I Civici Musei di Udine, dedica un’ area alla storia e all’evoluzione dell’industria italiana del legno, grazie ai materiali provenienti dal ricco archivio storico Fantoni. 31


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E poi ci sono i musei aziendali come quello di Kartell, come quello dell’Alessi a Crusinallo o come quello dei Guzzini a Recanati e poi ci sono i musei tipologici come quello dell’Automobile a Torino. Insomma, provvisto di una vacanza lunga, fornito di mappa digitale, lo strafortunato che parte alla ricerca del design può uscire da Internet Est, imboccare un raccordo esterno a propria scelta e incontrare “la qualità della città che determina la qualità della vita”. Questa l’idea che ha costituito la premessa per la creazione di un Museo che ripercorre la storia di una componente importante e preziosa della citta: l’arredo urbano. Perchè raccogliere e conservare pezzi dell’arredo urbano dei secoli passati? Il Museo Italiano della Ghisa, alloggiato in un’antica chiesetta di Longiano, near Cesena, ha come finalità la conservazione delle testimonianze ancora esistenti e la diffusione della cultura nata intorno a un prodotto che per le sue peculiarità si presta ad essere analizzato e studiato da diversi punti di vista.” Dall’industria della ghisa alla grafica del fumetto il 32


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passo è grande… ma non troppo. “Ospitato in pieno centro storico all’interno di “Agorà” (la cittadella della cultura della città) il nuovo museo occuperà un intero piano del superbo complesso dell’ex convento dei Serviti (piazza dei Servi, a cento metri dal Duomo di San Martino), dallo splendido chiostro quattrocentesco. Il Museo Italiano del Fumetto di Lucca è il degno coronamento di trentasette anni di ininterrotta attività del salone internazionale lucchese. E, più in generale, segna il pieno riconoscimento “istituzionale” della grande valenza culturale di una vasta, diffusissima e apprezzata produzione artistica che presenta punti di incontro e di intersezione con la letteratura, il cinema, la pittura e le nuove tecnologie informatiche e digitali.” E siccome girachetirigira la capitale del design è Milano, conviene girarci attorno una volta: Galleria del Design e dell’Arredamento di Cantù Le Collezioni Collezione Storica Premio Compasso d’Oro ADI Mobili come aforismi: 35 mobili del razionalismo italiano Neoliberty e dintorni: 33


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1948-1964 sedici anni di mobili italiani Collezione Bruno Munari Due volte: La Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate Una galleria figlia di un Premio di importanza storica. Il museo d’Arte Moderna di Gallarate continua a crescere, offre 3.050 opere, una sezione permanente di design dell’oggetto unica in Italia e laboratori didattici per i bambini. Farsi anche un giretto in montagna: Il fascino dello sport invernale Museo dello Sci Näfels (Svizzera) Näfels si trova all’inizio della Valle del Canton Glarona. Il Museo dello Sci fa parte del Museo Cantonale di Glarona. Per approdare infine alla Triennale di Milano, luogo deputato da sempre (qui una traccia-speranza di sei anni or sono) ad ospitare il futuro megagigateramuseo e che nel frattempo, non si sa bene dove, cela già tanti te34


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sori… tra cui, chi scrive ricorda le rosse Guzzi d’antan. Il 14 aprile 1997 si inaugurerà in Triennale la Collezione Permanente del Disegno Industriale Italiano 1945-1990. In quella che è comunemente conosciuta come capitale del design a livello internazionale e nella sede che da quasi 70 anni ne ha rappresentato il fulcro, l’immagine e la ricerca, si inaugura il primo nucleo del Museo del Disegno Industriale Italiano. L’area espositiva, situata al primo piano del palazzo della Triennale, interesserà circa 1700 metri quadrati di cui 1400 per l’esposizione permanente e la restante parte, situata nella zona centrale rialzata, per allestimenti temporanei. La superficie allestita costituisce già ora uno dei più grandi spazi dedicati al design. Il percorso della mostra, articolato in tre parti, segue un ordine cronologico che rispetta le cadenze già determinate dalle precedenti esposizioni dedicate al design italiano curate da Manolo De Giorgi (periodo 1945-63) e Andrea Branzi (periodi 64-72 e 73-90). Tornati a casa, nell’accendere e poi spegnere la luce, ricordiamoci che non alla lampada Arco né allo sgabello 35


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Mezzadro né ad altri suoi 100 pezzi celebri guardava Achille Castiglioni nello scegliere l’icona della vita sua, ma al piccolo interruttore-switch per lampade da tavolo, che progettò col fratello Pier Giacomo nel 1966, fin qui prodotto da VLM in 18 milioni di esemplari, che con ogni probabilità abbiamo tutti “switch-on switch-of ” almeno una volta. P.S. I siti dei musei virgolettati sono copiati da Internet e sono rintracciabili digitando “museo di design italiano” su Google.

Il Museo Italiano del Fumetto di Lucca è il degno coronamento di trentasette anni di ininterrotta attività del salone internazionale lucchese. E, più in generale, segna il pieno riconoscimento “istituzionale” della grande valenza culturale di una vasta, diffusissima e apprezzata produzione artistica che presenta punti di incontro e di intersezione con la letteratura, il cinema, la pittura e le nuove tecnologie informatiche e digitali. 36


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IL CONERO E LA RIVIERA ADRIATICA: CROCEVIA DI EMOZIONI IN COMUNICAZIONE

Aspetto da un’ora qui. Ho voluto recarmi in questo “luogo di incontri” per antonomasia con un attimo di respiro sull’ora dell’appuntamento. Ora butto giù due note per presentarti la Riviera del Conero con le dovute maniere. Lo ammetto, non è stato semplice il mio lavoro di scrematura e selezione tra i tanti angoli d’Italia d’irresistibile attrativa. Ma alla fine, ho visto che questo più di altri racchiude il massimo ventaglio di valori per un’esperta di comunicazione come me, che tutti i giorni per professione traduce i comportamenti umani in strategia mediatica. Non appena arrivi sulla Riviera adriatica senti subito di essere in un tiro incrociato di energie, di emozioni e di forze; questi luoghi svincolano dalla razionalità dei numeri per liberare la creatività, esemplificano la dualità che anima la nostra vita contemporanea: l’estro e la 39


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ragione. Ma se altrove questi due elementi entrano in conflitto, qui si armonizzano. Addesso abbraccio con lo sguardo tutta intera la scogliera, per cogliere la sua bellezza a volo radente. L’effetto è impattante, questo è sicuro, per me abituata all’estetica della pubblicità da afferrare a colpo d’occhio: è uno spot senza parole! Per modo di dire, naturalmente, perchè questo luogo è di un’eloquenza spaventosa. Parla per sè, per i suoi migliaia d’anni di storia. E parla anche per noi perchè fa cantare la voce dei cinque sensi e dà un’ispirazione descrittiva, cognitiva, creativa e tutto… Ma tu arriverai qui con il tuo bel carico di viaggio, portando notizie ed entusiasmo dal resto d’Italia e allora capirai quanto questo luogo sia anche capace di ascoltare! Fuor di retorica, quando uno viene qui, specie dalla grande città, si sente svuotare dei veleni; basta guardarla la Baia delle due Sorelle per ottenere un vero effetto catartico, una confessione, una chiarificazione istantanea di tutto quel che sei. Hai una percezione così sgomberata e trasparente ora di te che, via di lì, ti giuri che mai più, mai più, ti lascerai contaminare nuova40


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mente da stress, ansia e quant’altro. La bellezza di questo litorale, si sa, non è di palme e di mare color malachite, richiede una maggior intelligenza e sensibilità al visitatore, che deve saper cogliere gli aspetti sorprendenti, nascosti nel gioco delle incoerenze e delle sovrapposizioni tipiche italiane. Qui il selvatico si frammista all’organizzato; si armonizzano i silenzi del mare e gli schiamazzi umani, l’entroterra rurale con l’edilizia urbana, la classe di un certo turismo d’élite con la stravaganza modaiola delle torme di giovani. Interiorità ed esteriorità si compenetrano sulla bilancia degli opposti. Se il Parco del Conero è un incontro degli elementi, la Riviera è il concetto stesso di comunicazione. Il nostro “crocevia energetico” non è solo fatto di natura ma anche di umanità e di mondanità. Infatti, quando alla fine dell’inverno le spiagge si armano delle sovrastrutture turistiche che ne stravolgono la naturalezza, l’animo flessibile si piega volentieri a questo temporaneo cambiamento d’identità. Ora il rituale è incontrare gente, conoscerne di sempre nuova, frequentare posti e locali proprio con lo scopo di mischiarsi, ritrovarsi 41


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uomini tra uomini, favorire le relazioni, inventare strategie interpersonali. La convivialità regna. L’apertura del luogo diventa apertura dell’animo. Sarà il clima, ma la gente qui sembra si arrabbi di meno… E c’è Voglia. Di Vita, di Piacere. Lo slancio di ridere o di piangere se uno vuole, l’amore che trovi quando lo cerchi, lo star bene come ti va. Da comunicatore definisco questo luogo il concetto stesso di comunicazione. Se fossi architetto lo definirei un “esploso”, se fossi pittore ne dipingerei una tela di “astrattismo iperrealista”, se fossi un compositore ne farei un pezzo tecno trend sulle quattro stagioni di Vivaldi. Se fossi un cuoco ne farei uno slow food. Se fossi un innamorato perderei la testa del tutto… Se fossi qualunque altro diverso da me troverei comunque l’ispirazione per essere qualcosa di più.

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GRAZIE DOLCE & GABBANA! VIAGGIO ARCHEOLOGICO NELL’INFANZIA di Mariangela Veneziani Eccola qui quell’aria leggera che mi ritorna in mente tante volte, eccola che mi viene subito incontro appena scendo dal treno. E quella luce e il cielo blu, qui è impossibile andarsene in giro senza occhiali da sole. Qui basta una microscopica finestrella per illuminare tutta la casa, sole e cielo sembrano infilarsi in tutte le fessure. Sono alla stazione di Monopoli, a piedi andrò a casa, come a piedi andrò al cinema, a piedi al mare, alla “Villa”, a casa della nonna, che resta casa della nonna anche se la nonna non c’è. Già la “Villa”, si chiama così il giardino vicino al mare formato da un’insieme di aiuole e una fontana al centro. Tradizione araba quella della “Villa”, lo scoprii in un viaggio a Granada, là negli spettacolari giardini di Generalife, una guida ci spiegò che per gli assetati arabi l’acqua e i fiori strappati al deserto erano tra le più grandi ricchezze da mostrare come segno di potenza e di bellezza. 47


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Come sembrava lontano da casa quel giardino e tanto grande quando avevo 5 anni. Ora quella distanza è più o meno il tragitto che separa la mia macchina da casa, a Milano, s’intende quando trovo da posteggiare vicino! Povera “Villa” non è più così fulgida come allora con quella massa di fiori e di colori: viole, gigli, anemoni, dalie. Le aiuole sono un pò spelacchiate e poche le persone ad ammirarle, eppure ogni tanto, come allora, un profumo intenso di qualche ostinato fiore mi avvolge e mi cattura ancora. Quanto mi sembrava pericoloso allontanarmi dalla panchina dove la nonna, vestita di nero, chiacchierava con altre donne di età indefinibile, ma tutte vestite di nero. Con due spiccioli correvo a comprare i lupini subito fuori dalla “Villa”con il cuore che batteva forte per la corsa e la paura. Certo che c’era d’aver paura: fuori dalla “Villa” subito verso il mare cominciava la città vecchia, anzi “abbasso al paese vecchio” era così che si diceva. Giù giù verso il mare dove l’odore dei pescherecci, di quei disgustosi miasmi di nafta e di scorie di stive affaticate dal mare, si fondevano con il profumo della salsa di pomo48


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doro e dei gelsomini. Tutto il via vai dominato dal castello cupo e meraviglioso. Ora quando torno “abbasso al paese vecchio” con mio padre, ci torno accompagnata da una sorta di illuminismo, è come se tutti i racconti di fantasmi, di lupi mannari e di malavita fossero stati spazzati via dalla razionalità del Nord. Ora vivo al Nord, la vita del Nord del lavoro, gli amici, i “danè”, le carriere, i single, il fashion system rendono ora assurdi i racconti della mia infanzia. “Questo è palazzo Palmieri” dice mio padre ogni anno quando facciamo il nostro amato giro nel paese vecchio, un viaggio archeologico nelle nostre infanzie. Lo dice ancora con una specie di deferenza: “lì abitavano i marchesi Palmieri i primi ad avere l’automobile”. Eppure anche loro avevano i loro segreti, i loro lati oscuri, in quel Palazzo si aggirava lo spirito di un antenato morto disperato, per amore e nessuno metteva in dubbio che fosse vero. Nessuno dubitava che al verso della civetta, di notte, sarebbe seguita una disgrazia, che il giorno della Festa della Madonna, ferragosto, non si poteva fare il bagno perchè qualcuno sarebbe certo annegato. Perchè? Sole e ombre, quando cammini d’estate alla 49


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“contr’ora” termine meraviglioso che indica quel cocente spazio di tempo tra l’una e le quattro, quando non succede nulla, come se tutto quanto sprofondasse in un universo parallelo dove ogni cosa resta immobile fino a quando un alito di vento restituisce tutto alla vita quotidiana e il mondo sottratto all’incantesimo ricomincia ad animarsi. Se solitario ti aggiri allora tra strade deserte cercando l’ombra, lo vedi quanto netto sia il confine tra luce accecante e l’ombra buia. Accanto alla vita, nella sua fisicità: donne dai tratti intensi esaltai da rossetti bui, tante incinte, quante incinte!il cibo saporito sempre e sempre troppo abbondante. Accanto a tutto questo, un senso di malinconia, quella consapevolezza di essere fragili, piccoli turaccioli a galleggiare in mezzo al mare di eventi a volte preannunciati ma mai domabili. Al Nord ci si illude spesso di poter organizzare tutto anche l’amore, anche la felicità. Tra queste case bianche, abbagliate dall’estate si sa che i nostri destini sono in mano a terribili Dei. Forse per questo diventa così importante godersi il “timballo” con le polpette e parlarne per ore, così necessario tuffarsi nei colori del mare e ricordarlo tutto l’anno, sfidare le spine e raccogliere i fi50


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chi d’India, magari salendo sui bianchi muretti a secco con i sandali pieni di quella terra rossa, grassa, morbida e generosa. Forse per questo all’ospite, va sempre offerto un momento di ristoro, a volte con un’orzata, lattiginoso sollievo di un pomeriggio di sole o una sorsata di sciroppo d’amarena con le ciliegie in fondo al bicchiere che non puoi fare a meno di pescare con il cucchiaino e farle sciogliere in bocca. Dolci e amare come un pò tutto qui. Starò pochi giorni anche questa volta, ma prima di partire voglio imprimermi nella mente quegli scogli aguzzi e salati, quelle donnine anziane, piccolissime, con i loro abiti neri davanti a muri bianchi, voglio trovare anche questa volta un viso bruno con occhi incandescenti di qualche bellezza mediterranea. Qui mi sembra di essere in uno spot di Dolce & Gabbana: sensualità, tradizione e bellezza. Grazie Dolce & Gabbana sono felice che voi abbiate portato nel mondo un pò di questa magia: antichi misteri e calore della vita.

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Alberobello

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VIAGGIO IN PUGLIA TRA SUGGESTIONE E SORPRESA di Domenico Di Paola Spesso mi viene di pensare all’impressione che i colori, i sapori e gli odori della nostra terra, così naturali per noi perchè ormai ci sono entrati nel sangue, possono avere su chi viene in Puglia per la prima volta. La reazione più comune di chi “viene portato” a conoscere la Puglia è quella della sorpresa. Sì, perchè bisogna essere “portati” a visitarla questa terra, che all’apparenza aspra e a volte inospitale, premia chi ha la pazienza di percorrerla palmo a palmo, regalandogli piccole e grandi perle. Chi viene a trovarci ha quasi sempre un’idea sommaria di ciò che lo aspetta, un’idea che rimanda al mare, ai trulli e alla buona tavola. Ma poi man mano che si viene a contatto con questa terra, con la sua cultura, la storia, le persone, i luoghi, quell’immagine si scompone in un caleidoscopio di suggestioni e colori insospettati. Ed ecco che l’effetto finale è di sorpresa. Il colore e 55


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l’odore della terra stupiscono, la luce chiara e limpida, le distese di ulivi, il paesaggio brullo e pietroso della Murgia, i filari ininterrotti dei muretti a secco che trincerano i campi, la monumentalità di certe masserie, la rusticità e la generosità della gente, la frugalità e la varietà della cucina, il fascino dei centri storici ancora ricchi di tracce del passato, il valore storico artistico di certe testimonianze rimaste intatte a distanza di secoli e mille altri spunti che sollecitano la fantasia di chi decide per svago di percorrere in lungo e in largo le nostre strade. Un viaggiatore solitario e attento al dettaglio, credo, sarà più capace di apprezzare goccia dopo goccia tutto quello che una terra discreta e riservata come la nostra sa offrirgli, al di là delle mete facili e ormai conosciute come il Gargano che comunque non perde mai il suo fascino: le sue scogliere battute dal vento, le foreste e le spiagge, i laghi e le grotte costiere sono uno spettacolo indimenticabile. E la mano dell’uomo lascia i suoi segni anche qui, basta fare caso ai “trabucchi”, quelle curiose strutture di legno che sporgono di tanto in tanto dagli speroni di roccia verso il mare e che sono usate per la pesca. 56


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Lo scenario cambia del tutto ma non perde suggestione a Monte Sant’Angelo, una meta conosciuta per i pellegrinaggi religiosi alla leggendaria Grotta sacra di S. Michele Arcangelo. Ma è il giro nel quartiere Junno, il più antico del paese, a calarti in un’altra dimensione, che parla attraverso un artigianato povero, attraverso le forme giganti di pane e i dolci tipici del posto, fatti in casa in maniera semplice come una volta: due ostie tenute insieme da una pasta di mandorle e miele. È questo l’odore che riempie i vicoli e se indugi sulla soglia di qualche abitazione per assaporarlo scappa di certo l’invito ad entrare per assaggiare. L’ospitalità è una costante ovunque, nei luoghi più battuti dai turisti, così come nell’entroterra. La puoi toccare con mano partecipando ad una delle tante sagre paesane che si ripetono ogni anno nei borghi arroccati come presepi sul Subappennino dauno. La sagra della salsiccia di Faeto è solo un esempio, un tuffo nella tradizione e il modo migliore per provare la cucina pugliese, una delle tante, quella più rustica. Se di cucina vogliamo parlare allora da provare di si57


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curo è il pesce, crudo, fritto o a zuppa e qui con circa 800 km di coste c’è solo l’imbarazzo della scelta, da Molfetta, a Mola, a Monopoli, fino ad Ostuni nel brindisino, a Taranto sulla sponda opposta e ad Otranto giù nel Salento non si resterà mai delusi. Il percorso costiero è quello più battuto per via del richiamo del mare, ma lontano dalle spiagge affollate verso i centri abitati e le campagne si scoprono delle vere meraviglie: come il centro storico di Barletta con una serie imponente di palazzi signorili, oltre al monumentale castello e alla cattedrale; e poi Trani naturalmente, meta classica del turista per la straordinaria cattedrale. Un fascino diverso, più sobrio e silenzioso, spira invece dal Duomo Vecchio di Molfetta nel suo volume spoglio ed essenziale, tipico romanico. E poi come non fermarsi a Giovinazzo per un giro nel borgo medievale perfettamente conservato e popolatissimo nelle sere d’estate, con locali tipici ad ogni angolo e in ogni piazzetta. Lo stesso avviene a Polignano, dove passeggiando tra un vicolo e l’altro ti ritrovi a strapiombo sulla scogliera e rimarresti affacciato per ore a goderti lo spettacolo del mare contro le rocce. 58


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Per un riposante antipasto di ricci di mare all’aria aperta non si può non fare tappa a Savelletri; ma a questo punto vale la pena spingersi fino alla zona archeologica di Egnazia, tra le più interessanti per la quantità di testimonianze che raccoglie. Poi naturalmente c’è Ostuni, la “città bianca” e più giù Lecce, la “regina del barocco” e Otranto “nostra signora dei Turchi”, fin giù al Capo di Leuca, dove vale la pena spingersi per lanciare lo sguardo nel punto dove si incontrano i due mari, l’Adriatico e lo Ionio. Ma lo stupore della scoperta cresce quando ci si spinge verso l’entroterra, che di per sé sembra non avere tanti motivi di attrazione. E invece succede che accanto al mito di Castel del Monte, che già da solo giustifica una venuta in Puglia, c’è la straordinaria visione di cattedrali come quella di Troia e di Ruvo, o dei tesori archeologici di Canosa, o dell’immenso museo a cielo aperto che ritroviamo a Gravina, tra chiese rupestri e resti della civiltà romana. Per non parlare di Massafra dove c’è un vero e proprio percorso naturalistico e archeologico che si può fare scendendo giù per la gravina e passando di grotta in 59


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grotta, laddove la civiltà rupestre ha lasciato incredibili segni delle varie frequentazioni. Se poi il desiderio è quello di passeggiare in tutta tranquillità assaporando l’aria salubre, la bellezza del paesaggio, le essenze e gli umori del posto, mete ideali possono essere Martina Franca, elegante salotto in stile “barocchetto”; oppure Locorotondo, caratteristica corona circolare sulla Valle d’Itria; certamente Alberobello, dove resta unico lo spettacolo dei trulli, risultato straordinario dell’arte di arrangiarsi sfruttando tutte le risorse a disposizione - in questo caso la pietra che qui si trova in abbondanza e un pò di ingegno; e poi Ceglie Messapica e Oria dove sei catturato dal fascino dei loro castelli che svettano entrambi sulla cima della collina; infine Conversano, dove aleggia ancora la leggenda del terribile Guercio di Puglia e dei suoi passatempi raccapriccianti - si dice che dalla cima della torre del suo castello si divertisse a fare il tiro a segno sparando contro le donne che andavano a prendere l’acqua ai pozzi.

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UN RINCORRERSI BLU DI ONDE MAGICHE

di Asnaghi Un rincorrersi blu di onde magiche, pareti a picco con grotte dall’acqua cristallina, i colori forti della roccia che si riflettono nel blu profondo del mare. Non un paradiso tropicale, un paradiso italiano che ha “buttato” l’orologio e si difende dall’ingordigia della modernità: Marettimo. Marettimo, isola delle Egadi, ti appare come fosse “un’area dolomitica” che ha sbagliato regione! Si difende con la sua natura apparentemente aspra e difficile ma poi si lascia amare da chi riesce a farsi affascinare dalla magia dei suoi boschi, dai profumi della macchia mediterranea, dai colori dei “suoi mari”. Si, i suoi mari perchè ogni angolo è una storia a parte, ogni baia è un mondo a parte, ogni fondale ti offre mondi talmente diversi da farti perdere la cognizione del tempo. Ti incanti a guardare le stelle marine che sembrano sospese sugli scogli, e dal profondo del blu, che po63


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chi metri più in là, sprofonda negli abissi, ti immagini Nettuno con il suo tritone. Un mare incantato dove ho avuto la fortuna di poter navigare in barca, amando ogni anfratto con la bramosia di chi da quell’incanto si aspetta sempre di più! La grotta del cammello, la grotta del presepe…… immagini nitide nella mente che anche a distanza ti trasmettono luce ed energia e la grande certezza che sono lì ad aspettare per “ridarti” la gioia di poter rivivere luoghi così unici. Ma al di là dei mille toni di blu e di azzurro del mare in tutte le sue sfumature, al di là delle rocce così imponenti e così impervie, la vera unicità di Morettimo la si scopre al suo interno. Un’isola relativamente piccola, ma dalle mille scoperte con la cima del monte Falcone che nella sua regalità si rimira nello specchio blu del mare. Le passeggiate a piedi o a dorso dell’asino sotto la guida attenta di Nino che conosce palmo a palmo ogni sentiero, ogni mulattiera, ogni anfratto sono un’emozione anche per la persona più insensibile. Ti arrampichi in pineta, tra la macchia mediterra64


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nea, cespugli bassi dalle mille tonalità di verde, sembrano casualmente dischiudere il passaggio, le fronde dei pini marittimi divertite ti “ostacolano” il sentiero per proteggere questo scenario di impareggiabile bellezza... Il profumo delle piante aromatiche si fonde nella brezza e ti avvolge in un’alchimia rara. Emozioni forti ti mantengono all’erta! Il rumore dei ciotoli che si lamentano sotto le zampe degli asini, il dirupo che ti si presenta ripido e misterioso si stemperano nella luce del tramonto. Una luce unica, irripetibile che avvolge il paese là a valle “accoccolato” tra lo scalo vecchio e lo scalo nuovo, fermo, immobile e senza tempo. Un pieno di energia, di curiosità così come i suoi abitanti; ospitali e disponibili ma fermi e caparbi con il turista sbruffone. Un’isola di gente vera, in inverno restano 100 anime, come mi racconta Padre Campo, da quarant’anni parroco di Morettimo. Isola ospitale dove vivi e lasci vivere, dove la frenesia del continente è bandita, dove i ritmi e le ore vengono scanditi dagli “avvenimenti della giornata” l’arrivo della nave con turisti e provviste, il rientro o la partenza 65


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delle barche da pesca, il suono delle campane. Il profumo del pane e i sapori della cucina. Anche la cucina a Marittimo è speciale! Gusti decisi, sapori forti, pesce che sa di pesce! Mandorle, finocchietto, capperi, pomodori gustosi si sposano alla pasta e al pesce in ricette povere ma regali. Gusti unici, non riproponibili che si abbandonano nell’aroma dei vini, fino al nettare dell’ambrato passito. Un’isola dura e ruvida per chi ama la tecnologia è il full confort. Un’isola da vivere e da sognare per chi come me ci ha lasciato l’anima e ha nostalgia dei suoi colori e dei suoi profumi.

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L’OSPITALITÀ DEI SICILIANI di Francesco Cascio Non si può non partire in questo “viaggio” dalla condizione di insularità della Sicilia e dalle attrattive che un mare così unico può offrire, ma non ci si può certamente limitare alle attrattive del mare nella terra dei vulcani e delle numerose civiltà che hanno fatto di questa terra magica la sede dei loro domini, lasciando infinite vestigia del progresso della civiltà umana. Tutto ciò, unito ad una fastosa tradizione culinaria costituisce l’enorme appeal che ogni anno attira da noi milioni di turisti, lasciando nei loro cuori un ricordo indelebile. In barca in giro tra le tante isole o in auto attraversando ogni genere di paesaggio, viaggiare in Sicilia è una continua emozione e anche al di fuori dei tradizionali itinerari turistici non mancano le occasioni per farsi catturare da panorami mozzafiato. Un viaggio in Sicilia sveglia la voglia irrefrenabile di 71


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girare, scoprire e farsi coinvolgere da un atmosfera densa di colori, profumi e tradizioni millenarie.

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CAPRI, PERCHÈ IO SONO UNO E LE “MERAVIGLIE” SONO TANTE? di Massimo Caiazzo Forse perchè così, uno si rilassa, rinunciando a girare affannosamente per l’isola e se ne sta buono buono in piazzetta, seduto in un caffé, a scrutare i passanti. Qualcuno spicca per buon gusto, qualcuno è fin troppo agghindato, ma molti sempre più numerosi in bermuda sudati e scarpe da tennis, e questo mi ruba la poesia. Si, a Capri ci vuole una camicia bianca, ben tagliata a maniche lunghe e pantaloni leggeri, colorati, magari rossi, ma non troppo. Poi se si possiede una barca vanno bene i mocassini bianchi, altrimenti meglio neri e al polso un bell’orologio che deve penzolare dolcemente sulle gambe accavallate quando si è seduti al bar in piazzetta. Per carità a Capri, shorts e sandali, non si sposano con gambe pelose e piedi deformi, meglio per le donne, ma solo quelle belle. Io preferisco vedere, piut77


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tosto che farmi vedere, per questo mi mimetizzo con la natura scegliendo sempre angoli poco accessibili dai quali godermi il panorama. Se ho fame mi faccio uno spaghetto con le vongole alla Canzone del mare, e prima di andare a letto faccio una passeggiata, solitamente arrivo fino a Casa Malaparte, oppure a San Michele. Mai nella grotta azzurra.

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UN GIRO IN VESPA

di Paolo Casti Eccoci, questa è la nostra fermata. Davanti a “Porta Marola” l’autobus si accosta al lato del curvone che in questo punto allontana la strada dalla linea costiera che abbandonerà per seguire il muro dell’Arsenale Militare, questo confine invalicabile che accompagnerà la strada fino al centro di Spezia per poi lasciarla proseguire sul lungomare ed il molo. Giù dall’autobus, siamo arrivati. Questo luogo era molto diverso parecchi anni fa, come tutto d’altronde, noi compresi. L’Arsenale finiva con Porta Marola e iniziava 30 metri più in la con la “carbonifera”. Tra le due porte a disposizione dei “civili” c’era un passaggio per un molo. Non ne conosco il nome preciso, per noi si chiamava “le barche”. Era il posto dove tutti i pescatori e, più o meno tutte le famiglie, avevano una barca. 83


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Le imbarcazioni erano quasi tutti gozzi, nulla di straordinario, a parte forse il motoscafo del medico condotto e qualche barca “truccata” dei contrabbandieri di sigarette. Ricordo bene che ogni tanto qualche mio amico otteneva di passare qualche ora con la barca del genitore (senza motore naturalmente) ed allora invitava gli altri al mare. In quattro, agli scalmi, remavamo con un remo a testa, tirandolo al petto di spalle rispetto alla prua guardando il timoniere, di solito il più mingherlino, tenere quel timone sempre diritto (chiunque fosse si lamentava della scarsa forza dei vogatori). Ricordo che questo atteggiamento era reiterato ogni volta nonostante fosse chiaro che appena al largo sarebbe stato ripagato con qualche vigorosa spinta ed il conseguente risultato dell’uomo in mare che urla parolacce ai suoi compagni che lo abbandonavano tra i pesci con la maglietta addosso. Il tempo della punizione durava in rapporto al suo stato di salute ma spesso non superava il quarto d’ora. A recupero avvenuto tutto tornava come prima, noi 84


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eravamo gli incapaci e lui l’uomo di mare; così ogni volta, andava sempre allo stesso modo. Lo stesso molo dove attraccavano le barche diventava dopo la cena, la meta delle passeggiate con il gelato e più tardi il luogo dove le coppiette si appartavano e guardando la Vespucci o l’Andrea Doria ormeggiate a pochi metri, si scambiavano baci, abbracci e carezze. Eravamo tutti molto giovani. Più tardi, i motorini ed il resto, ci levarono la voglia di passeggiare. Adesso non c’è più nulla, l’arsenale ha scambiato questo passaggio con qualche campetto da calcio ed una palestra che ha “donato alla collettività”. Un nuovo “muro” così ha colmato lo spazio tra “Porta Marola” e la “carbonifera” ed ha interdetto la possibilità di accedere alle “barche” salvo l’esibizione di un lasciapassare (concesso ai residenti) che di certo non incentiva le passeggiate col gelato o le fughe d’amore. Tutto è diventato più squallido e più triste, non c’è più la vista del mare ma i militari sono più sicuri perchè il muro dell’arsenale non ha più interruzioni. Nonostante tutto, proprio qui davanti, Giorgio ha 85


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deciso di rilevare la vecchia locanda “Da Luigi”. Ci andavo a vedere le partite quando la televisione ce l’avevano solo i bar. Prima di diventare il bar con i bigliardi, che io ricordo da giovane, i carbonai che lavoravano alla carbonifera, ci andavano a consumare il pasto di mezzogiorno con le mani ancora nere, occupavano, quattro a quattro, i tavolini del locale. Si sedevano tutti insieme, dopo mezz’ora la sirena dell’arsenale urlava la ripresa del lavoro, era un lavoro duro che oggi non fa più nessuno. Giorgio nonostante la sua passione per il bigliardo, ha sgomberato i locali dalle “tavole di lavagna” per ripristinare tradizioni e sapori di una cucina contadina e marinara che gli spezini hanno troppo frettolosamente abbandonato per le orate ed i branzini dei turisti che di tutto sanno, meno che di mare. Mi telefonò il nome pieno di entusiasmo “Autedo lo voglio chiamare”. Perfetto. Disegnai un marchio che non togliesse al nome la sua poesia, con grandi caratteri, senza maiuscole come se fosse pennellato con un verde scuro, quelle delle foglie 86


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delle vigne. Realizzammo le insegne con un tradizionale “filo neon” inscatolandole con un plexi sagomato di colore verdastro intonato alle vigne. A questo Giorgio aggiunse il resto, rispolverò la cucina dell’antica Spezia, scrisse un libro (Spezia a tavola) e da allora intrattiene tutte le sere i suoi ospiti che, senza scegliere, ogni sera si fanno guidare dal suo gusto, dalla sua cucina e dai suoi umori. Il successo superò le aspettative e Giorgio, che allora aveva anche altri affari in corso, li abbandonò, per dedicarsi al suo vero amore. Intrattenere gli amici a cena. Attraversammo la strada, che è diventata larghissima da quando hanno ricoperto il canale che attraversava l’Acquasanta, ed eccoci sotto l’Autedo. Il terrazzo sovrasta un muricciolo alto poco più di due metri. L’interno è reso invisibile da una cascata di geranei illuminati da una luce nascosta. Sicuramente è in contrasto con l’imponente muro dell’arsenale dall’altro lato della strada. La scalinata è comoda e rivestita com’è in cotto la87


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scerebbe presagire un terrazzo realizzato con lo stesso materiale, ed invece no. Il terrazzo non si è concesso a questa nobilitazione, è rimasto semplicemente una lisciata di cemento. È tipicamente ligure non dare importanza alle cose, non rifinire, lasciare tutto semplice, minimo, apparentemente provvisorio o precario. È abbastanza normale da queste parti e devo dire che dopotutto, almeno quando sono qui, non mi dispiace constatare che certe soluzioni, per quanto semplici e forse non sempre ottenute di proposito, conferiscono a certi ambienti un’atmosfera più famigliare, più calda, meno distaccata e pretenziosa di certi locali troppo perfetti per essere sinceri. Quando i nostri sguardi oltrepassarono il filo dello scalino più alto, provai una piccola delusione. Il locale è chiuso ma il post-it appiccicato sul portoncino d’ingresso mi tranquillizzò. “Roby sono a Cadimare, torno alle 6, ho lasciato la vespa qui sotto, se ti serve, prendila”. Era un piccolo appunto di Giorgio a sua moglie che, a quanto pare, era anche lei in ritardo. 88


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Rimaneva il motorino e se “Giò” non aveva cambiato abitudini le chiavi si dovrebbero trovare sotto il tappettino. Ritornammo sui nostri passi per constatare che la “vespetta” era proprio lì sotto, senza cavalletto, appoggiata al muro con una manopola. E le chiavi erano lì. Scrivo sul post-it “l’ho presa io”, mi dimentico di firmare il misfatto, apro la benzina, pigio sulla pedalina dell’avviamento e su per l’Acquasanta, destinazione Campiglia. È il primo paese qui sopra dove andavamo a giocare il torneo di calcio estivo, ma molto più noto a tutti per il fresco e lo splendido colpo d’occhio che concede la piazzetta affacciata da una parte verso le Cinque Terre e dall’altra sul Golfo di La Spezia. Guidare la vespa cinquanta produce a chi lo fa un sensazione ineguagliabile, niente a che fare con gli scooter del giorno d’oggi che ai semafori bruciano anche le Porsche. Il brivido della velocità non esiste ma è sostituito dalla sensazione primordiale del dominio del motore, 89


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continui a cambiare, a scalare, a frizionare e nonostante tu sia praticamente appena in movimento, la sensazione di passare con un coordinamento perfetto dalla seconda alla terza abbassando l’acceleratore, tirando la frizione e ruotando il cambio con il polso, il tutto in un istante e scoprendo che tutto funziona a distanza di trent’anni (tanti ne ha la vespa) è ineguagliabile. Attraversiamo l’Acquasanta, due curve una a sinistra ed una a destra, e poi più o meno diritti si arriva al limite del bosco. La strada asfaltata che stiamo percorrendo con un secco tornante ripiega guadagnando quota nella direzione contraria, proprio da qui parte una scalinata che si inerpica direttamente verso Campiglia infilandosi in quel bosco che mi ha assicurato un’adolescenza ricca di passeggiate, castagne e funghi. Sono parecchie migliaia di scalini ma ne vale la pena, si arriva in alto pronti per gustarsi l’affaccio verso il mare e con l’appettito giusto. Proprio a Campiglia mi fermavo per spezzare in due il percorso, durante le lunghe escursioni che in bici ci portavano da Corniglia fino a Portovenere attraverso i 90


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boschi e le pinete che colorano e profumano questa parte di riviera di Levante. La strada dopo una ripida salita ritorna nella direzione giusta e curva dopo curva guadagna quota. Più in alto l’aria si rinfresca. Questa circostanza induce la mia compagna di viaggio a cercare il contatto con la mia schiena e me stesso ad apprezzare la solidità dei suoi seni stampati sulla mia camicia che sta vivendo con me una giornata indimenticabile. Inutile negare che trovandomi in una situazione così congeniale tutto facevo meno che affannarmi ad arrivare alla metà. E così...

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Genova

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VELISTI IN VIAGGIO

di Dede La mia esperienza non può essere definita come quella di uno sportivo bensì quella di un velista perchè i nostri viaggi sono sicuramente alquanto particolari. Viaggiamo sempre con furgoni o grosse automobili con carrello porta imbarcazione che a seconda della categoria può essere anche di grosse dimensioni. Una caratteristica classica del nostro viaggio è il terrore della polizia perchè per quanto ci si possa mettere d’impegno non si riesce mai ad essere perfettamente in regola (libretti, assicurazioni, targhe, patenti, fanali, pesi, etc..): qualche “rogna” c’è sempre per cui si viaggia sempre con le antenne rizzate e con varie tattiche pronte se si avvista una “volante”. A causa del tipo di mezzo i nostri viaggi sono generalmente abbastanza lenti e quindi sonnolenti, quasi sempre organizziamo un materasso o un giaciglio dove almeno una persona riesca a dormire comodamente e si 95


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fanno quindi dei turni molto rigorosi tra guida e sonno. Nei rari momenti di poco sonno, generalmente all’inizio dei viaggi, si coglie l’occasione della riunione dell’equipaggio per fare una sorta di briefing (all’andata) e debriefing (al ritorno) sulla regata. Il tempo è quasi sempre nemico quindi le soste agli Autogrill vengono ridotte al minimo (più volte siamo rimasti senza carburante) e vengono organizzate come veri pit-stop, chi si occupa del carburante, chi procura bevande e cibo e solo chi non ce la fa proprio più riesce ad andare alla toilette. La colonna sonora dei viaggi è sempre un particolare importante, ci sono delle trasferte che anche dopo anni ci vengono ricordate da una particolare canzone, a volte riusciamo a fare centinaia di chilometri con lo stesso disco per non dire lo stesso brano. In ogni caso il viaggio del velista, e immagino anche quello di qualsiasi altro sportivo, è sempre molto legato alla competizione che si sta per affrontare o si è appena conclusa, una vittoria o comunque un buon risultato riesce a far sembrare meravigliosa anche la coda della tangenziale di Milano, viceversa una delusio96


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ne non permette di apprezzare neanche il pi첫 bel tramonto su una panoramica o ancor di pi첫 un meraviglioso cartello stradale progettato da Paolo Casti!!!

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Portofino

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I VIAGGI DELL’ENTRONAUTA

di Gigi Mozzi Il viaggio più bello l’ho iniziato un po’ di anni fa, con un amico mai visto, con un maestro mai dimenticato, con uno splendido compagno (di viaggio) che mi ha insegnato a camminare nella vita. Tanto per dire, quando il primo uomo appoggiava il piede sulla luna, lui parlava di entronauti. E raccontava di viaggi che si fanno, partendo non da Fiumicino ma dal monte Athos, per arrivare non al Jfk ma a Pondicherry, visitando le religioni, le persone, i miti, camminando a fianco delle idee, dentro ai sogni e visitando le rive dell’immaginazione. Perché ogni volta, il vero viaggio è dentro di noi, con le sensazioni e con le emozioni, con gli stupori e con gli amori. Ecco perché, viaggiando viaggiando mi ritrovo dalle mie parti, in uno spazio fantastico, chiuso come fosse un grande triangolo, con un vertice basso a San Fruttuoso, 101


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poi a salire fino a Portofino vetta e scendere fino all’al-

tro vertice, appoggiato nel borgo di Camogli. Se da Camogli tendiamo una linea fino a San Fruttuoso, a metà incrociamo Stella Maris che farebbe da punto di intersezione, proprio come San Rocco diventa il punto di intersezione tra San Fruttuoso e Portofino Vetta e proprio come Ruta diventa il punto intermedio tra Portofino Vetta e il borgo di Camogli. Succede che all’interno del triangolo Portofino Vetta - San Fruttuoso - Camogli (con il vertice in alto a Portofino Vetta) si installa un triangolo formato da 102


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Ruta - San Rocco - Stella Maris (con il vertice in basso su Stella Maris).

La magia dei 2 triangoli, che ne generano 4, dove forse il più grande con il vertice verso l’alto è yang e il più piccolo, con il vertice verso il basso è yin, ci porterebbe sulla grande curva esponenziale, dove si trovano tutte le declinazioni dei multipli del 2. Non a caso i 4 triangoli con cui prepariamo la carta dei viaggi, sono il risultato dei 2 sovrapposti: guarda, guarda, l’esito delle operazioni sul 2, addizione, moltiplicazione, e potenza conducono sempre allo stesso 103


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risultato. Forse per questo ho sempre pensato che il viaggio non valga tanto come singolo evento quanto invece sia parte di una struttura, elemento di un insieme più grande, che comprenda, almeno, tutti i nostri viaggi per capire se non finisce che facciamo sempre lo stesso viaggio, o quasi. Ho sempre pensato che il viaggio fosse ordine, in mezzo all’apparente disordine (dei nostri spostamenti, della nostra vita), che fosse un ciclo ripetuto con continue variazioni minime (come il dna che guida e limita il nostro rinnovamento), che fosse una scala, in cui ogni livello si incastra in quello successivo. “Provaci ancora Sam, ma con una variante” Il viaggio di oggi percorre un sentiero che incrocia i venti caldi dell’Africa e le nevi alpine, un cammino tra nord e sud, tra passato e presente. Nella nostra carta, prende il triangolo con il vertice verso il mare e come tutti i viaggi, anche questo è una scoperta: straordinaria. Partiamo dagli uliveti che collegano Ruta a San Rocco e che gradatamente, vengono sostituiti dalla mac104


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chia mediterranea di leccio e corbezzolo con erica, pini, mirto, ginestra spinosa, lentisco. Quasi metà della vegetazione è costituita da una macchia-pineta, evoluzione naturale della foresta di pini marittimi che sono dispersi su una coltre dominata dall’erica arborea. Nelle zone più aperte vegeta l’ampelodesmo mentre sulle pareti rocciose si stende la sassifraga spatolata, endemica delle Alpi Marittime. Sembra un niente, invece è un passo importante. Un singolare destino di convergenza lega una pianta africana (l’ampelodesmo) che è al suo limite settentrionale di diffusione, e una pianta alpina come la sassifraga, che è arrivata qui durante le glaciazioni ed è rimasta isolata. Entrambe vivono qui da oltre 1 milione di anni. Ecco dove inizia il viaggio e quando: dove si incontrano i venti caldi dell’Africa con le nevi alpine e quando il passato rappresenta uno scenario irripetibile per raccontare il presente. Lord George Gordon Byron, percorrendo lo stesso cammino, ci spiega come si arriva alla meta 105


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c’è un incanto nei boschi senza sentiero, c’è una magia sulla spiaggia solitaria, c’è un rifugio dove nessuno arriva. In riva al mare profondo e nella musica del suo frangersi più degli uomini amo la natura e in questi miei colloqui con lei mi libero da tutto ciò che sono stato e che sono per essere un’unica cosa con l’universo e per sentire ciò che non so esprimere ma neppure del tutto nascondere. (caro Paolo, adesso capirai perchè vorrei gemellare le terre di Camogli con Seventeen Miles, laggiù in California, e capirai perché appena possiamo, qui a Ruta al bivio dell’Aurelia, vogliamo transennare. E io proporrò che per entrare, si debbano pagare almeno 10 euro a persona: voglio dire che, se per parcheggiare a Milano ci vanno oramai 2 o 3 euro all’ora, non mi sembra neanche caro).

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IL VIAGGIO

di Nick The Nightfly Uno delle immagine e ricordi che rimarĂ con me sempre, è quello del viaggiare la notte in Italia, e in particolare quello di un gruppo di amici, 6/7, eravamo dentro una vecchia Renault 4 e ci spostavamo da un locale al altra alla ricerca della musica, specialmente quello dal vivo. Sarebbe bello oggi avere una video cassetta o anche solo del audio di quelle serate, di solito portava anche la mia chittara e si cantava di tutto Battisti, Beatles, Pink Floyd, Doors, Pino Daniele... Sento ancora la musica che usciva di quella vecchia Renault, specialmente in curva sembrava che si capovoltava e la portiera baccassi l’asfalto, insieme con le nostre urle, era una sensazioni fantastica e forse il locale piu bello, era proprio li dentro. Oggi ci sono tante ragazzi sicuramente che fanno la stessa cosa, spero che fanno come a casa mia in Scozia, quando si esci con gli amici in gruppo si fa a turne, uno 111


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non beve e quella sera fai l’autista per tutti. I locale oggi sono molto cambiati, una volta non si parlava, ma solo perché non si poteva per il volume, si gesticolava il discorso, o si urlava nel orecchio della vitima! che provavi a conoscere, dico vittima, perché mi ricordo che si doveva lanciare le parole come silure dentro l’orecchio, per essere sentito. Per me che ho le orechie sensibile era una tortura. Sono contento che il costume dei locale è cambiato, oggi, c’è piu volgia di creare un lounge dove si puo congiugare bellezza, comodita, musica e parola. La musica è sicuramente uno dei più grande forze di gregazione dei giovane, non ci sono kilometri che li tengano lontano della musica. Ma forse è il viaggio la parte più bello, non il locale, la musica in macchina che ti divora la strada, che sgretola il tempo, che scogliere le timidezza, unisci le ragazzi crea la complicità, salda l’amicizia e ti presenta cupido, forse è il viaggio per i ragazzi la parte piu attesa per ogni partenza, non la destinazione! Buon Viaggio, ma soprattutto Buona Vita.

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Lazise

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FATICHE E GIOIE DI UN VIAGGIO

di Cesare Pelucchi Durante il periodo passato quale amministratore della Gardaland spa, sia per necessità professionale che per fortuite occasioni, ho avuto modo di conoscere ogni "strategie" di viaggio, messe in atto dalle varie tipologie dei nostri clienti, per approdare al Parco nel minore tempo possibile e con il dispendio, ridotto al minimo, di energie fisiche e risorse economiche. Certo dai primi anni settanta, dove si vedevano spesso famiglie o gruppi di amici arrivare in bicicletta dai paesi limitrofi, per una visita al Parco di poche ore, ai tre giorni di oggi "di tutto compreso" la differenza di preparazione della trasferta è indubbiamente notevole. Agli inizi, il Parco era lo scopo di una passeggiata fuori porta, la distanza breve con itinerario conosciuto. Tutta l’organizzazione era riservata al pranzo da fare sui prati del Parco, quindi stivare in auto nonne, bambini, cibi, tavolino, stoviglie varie e l’immancabile ombrel117


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lone. Possiamo immaginare come fosse l’atmosfera all’interno del mezzo, spesso di piccole dimensioni. Il pilota capo della spedizione, tra sedare le intemperanze dei figli, eccitati dal pensiero della giornata a Gardaland e il mantenimento dell’itinerario e dell’orario di marcia, poteva a giusta ragione considerarsi un campione della Parigi-Dakar. A mezzogiorno tutte le aree verdi diventavano un unico pic-nic. Per noi non era il massimo della gioia, poiché mancava l’incasso al Ristorante ed ai Bar, ma rimaneva la grande raccolta dei rifiuti. Comunque fu una tradizione che permise al Parco di fare i primi passi ed essere sempre più conosciuto. Insieme a questi utenti si unirono in numero sempre maggiore i vacanzieri della giornata in Pullman che partendo, all’alba, dai loro paesi, pretendevano di vedere ogni cosa del lago di Garda. Gli autisti di questi Bus, allettati da noi con un omaggio, dirottavano i gruppi dal loro itinerario originale, verso il Parco. Devo dire che il risultato era sempre di soddisfazione per tutti, ma soprattutto di grande entusiasmo per i dirotta118


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ti, fossero essi anziani o piccini. Con l’aumentare della dimensione e della notorietà del Parco, aumentò anche la distanza di provenienza dei nostri visitatori. Il miglioramento delle Autostrade consentiva ora la giornata a Gardaland anche dalle città e paesi delle Regioni più lontane. A questo utente non interessava il pic-nic, ma utilizzare al massimo il tempo disponibile, per godere il Parco. Quindi niente auto cariche di vettovaglie, ma spazio per la comodità dei viaggiatori. Partenze senza alcuna sosta intermedia per arrivare, quanto prima, a destinazione. Anche il treno incominciò ad essere considerato un ottimo mezzo per un andata e ritorno giornaliero. Venne e viene in genere preferito dalle scolaresche quale mezzo di sicuro arrivo nel tempo previsto e con spazi che consente loro di anticipare il divertimento. Dall’inizio degli anni novanta crebbe notevolmente il desiderio di unire le giornate di visita al Parco con tour a Verona e ai caratteristici paesini del lago. 119


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Ritengo che per molti nostri utenti del centro e meridione d’Italia, il lago di Garda sia stata una piacevole scoperta da inserire nel programma di ferie, come vacanza piena oppure per i classici tre giorni da dividere con il momento ludico. Potrebbe essere presuntuoso dire d’aver contribuito a far conoscere al grande pubblico, questo bellissimo territorio, ma emblematico fu il dialogo tra un ragazzino Veronese, in vacanza a Palermo ed un coetaneo del posto. Il "nordico" tentava di far comprendere l’ubicazione della sua città parlando di "Verona… l’Arena, il fiume Adige ecc." ma solo quando nominò il lago di Garda ebbe l’immediata risposta" ah… si… ho capito, abiti vicino a Gardaland!!". Ormai per le dimensioni raggiunte dal Parco e per la notevole simpatia generata non ci sono distanze che non possono essere superate. Ora l’organizzazione per una visita avviene anche attraverso Tour Operator che si servono per le medie o lunghe tratte di voli charter o di Super Pullman comfort ed il voucher per evitare le code agli ingressi. Non c’è più l’emozione del viaggio fai da 120


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te, dell’incontro con paesi e paesaggi diversi e della visita al Parco un pò spartana. Forse qualcosa di pionieristico è rimasto negli appassionati del Caravan a motore, che introducono spesso nei loro itinerari la visita al Parco. Vanno ad incolonnarsi nella notte, come un piccolo Esercito, agli ingressi dei parcheggi, per essere i primi ad entrare la mattina dopo. Ecco questo è in sintesi quali furono e sono oggi i modi utilizzati per raggiungere il Parco, o meglio per raggiungere una giornata diversa e serena, in mezzo alla calda umanità di una folla festante che forse è quello che più si aspettano le decine di milioni di appassionati frequentatori, di tutti i Parchi ludici del Mondo.

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CARO PAOLO...

di Fabio Amicabile Caro Paolo, io di lavoro mi adopero per divertire la gente, a regalare loro una o più giornate in allegria piene di emozioni e ricordi. Questo si traduce in una sorte di micro viaggio che ogni mio cliente intraprende per venire a trovarmi. Solitamente (cliente medio) viaggiano in automobile, con i famigliari o con amici, molto presto per non trovare traffico e per arrivare in tempo per l’apertura dei Parchi (normalmente intorno alle 9:30). Purtroppo si organizzano con dei cestini per il picnic da usufruirne durante la giornata, soprattutto per comodità ma anche per risparmiare qualche cosa nel badget della giornata-vacanza. È bello vedere i bambini che si preparano al viaggio, infatti sono molto teneri quando per l’occasione indossano dei gadget (capellini, magliettine, bandane...) con la personalizzazione del parco precedentemente acquistati nelle visite degli anni 123


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passati. Non mancano mai il nonno e la nonna, la macchina fotografica e la maglietta della squadra di calcio preferita (spesso anche la t-shirt della Ferrari). Quando arrivano al parco sono già stanchi, non conoscendo le vie alternative e soprattutto, provenendo da bacini molto popolati, percorrono tutti lo stesso tragitto; fino a qualche anno fa’ viaggiavano anche senza aria condizionata! Il tempo per acquistare i “costosissimi” biglietti e la giornata ha inizio. Il passare delle ore è incalzante e inesorabilmente arriva la sera e lo spettro del ritorno, non c’è problema, ci sono tanti argomenti di cui parlare, foto digitali da commentare e tanti opuscoli da sfogliare e da rivivere con il pensiero. Il giorno sta per finire la dolce casa si avvicina e tutta la famiglia ormai stanca è stata al centro di una mini vacanza che ha regalato loro maxi emozioni. Passano i giorni, arriva il prossimo week end e… si riparte. Ciao Paolo.

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Villa VeritĂ

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CI SONO TURISTI CHE ARRIVANO DA MALPENSA IN TAXI di Leopoldo Montresor Ci sono turisti che arrivano da Malpensa in taxi, cenano da noi e la mattina, dopo colazione, ripartono; altri che arrivano addirittura in elicottero. Sono eccezioni, anche se non rare. La normalità dei nostri ospiti compie il viaggio con auto noleggiate quasi sempre in qualche aeroporto italiano e si ferma due o tre giorni, talvolta una settimana per poi proseguire alla volta di un’altra villa veneta, ma anche verso la Toscana, l’Umbria. Per l’80% sono stranieri, molti americani in cerca di quiete. L’alta stagione per noi è l’estate, con punte a luglio ed agosto. L’opera lirica è il grande attrattore, ma anche la particolare posizione della Valpolicella, sempre arieggiata, vivibile e gradevole anche in estate. La tipica cucina, il buon vino insieme al buongusto 129


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di cercare alloggi confortevoli e riservati sono le leve che funzionano tutto l’anno. Le guide fanno molto, ma ciò che più aiuta nella scoperta di questi posti è il passaparola; molti chiedono un certo numero di camera anche se non sono mai stati da noi. Ai nostri clienti piace essere riconosciuti nei gusti e nelle preferenze, soprattutto a tavola. Un turismo elitario, dunque, un nomadismo stile “grand tour”, ma non per questo trascurabile soprattutto sotto il profilo delle qualità sempre più viste come traguardo, come ambizione, come sogno da parte di tutti. Individui che si spostano in piccolissimi gruppi alla ricerca di angoli di paradiso lontani dal caos, dalla folla, attenti soprattutto alla qualità della vita e del contesto, disposti a spostarsi spesso anche con lunghi tragitti pur di bere quel vino, assaporare quel piatto o dormire in quelle stanze sopra il vigneto.

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“Ho fatto questo viaggio su di una macchina meravigliosa insieme ad un amico. Con lei e con lui ho vissuto quasi una settimana senza distrazioni pensando solo al viaggio, a quello ed a quelli che incontravamo. Tante foto e tanti racconti intrisi di emozioni indimenticabili. Spero che alcune di queste siano rimaste impigliate tra le righe di questo breve diario che non racconta la storia di un viaggio, ma il modo in cui le persone che ho incontrato mi hanno raccontato il loro modo di viaggiare e di vivere i luoghi che ho attraversato.”

“Questa sequenza di episodi, raccontati in modo diverso da persone diverse, potrà essere utile a farci un’idea su certi luoghi e su certi viaggi in questo piccolo angolo del mondo; forse a capire perché tutti quelli che li hanno vissuti, fatti o soltanto sognati, li amano.” Paolo Casti

Paolo Casti

copertina giro d'italia

Paolo Casti


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