NUMERO 2 — OTTOBRE 2019
OVEST
NUMERO 2
ovest
Fionda n°2 Direttore responsabile: Giulia Bondi Progetto grafico e illustrazioni: Sara Garagnani Fotografie: Davide Piferi De Simoni, Cinzia Ascari, Roberto Bini, Roberto Falavigna, Giorgio de Finis, TheBlindeyeFactory, Giorgio Benni, Giovanni De Angelis, Vittorio Antonacci, Carlo Rotondo Coordinamento editoriale: Silvia Tagliazucchi, Serena Terranova, Federica Rocchi con la collaborazione di Silvia Sitton La rivista è realizzata da una redazione aperta composta da cittadini del Villaggio Artigiano di Modena Ovest e della città: Cinzia Ascari, Roberto Bonfatti, Serena Carboni, Maurizio Caroli, Alessandro Della Santunione, Matteo Di Cristofaro, Angelo Fantoni, Simona Fiorani, Anna Maria Frignani, Sara Lorenzini, Stefano Losi, Ilaria Lusetti, Beppe Manni, Luca Negrogno, Marino Neri, Paola Nora, Beatrice Pucci, Eugenio Ronchetti, Marco Sternieri, Federico Zanfi Hanno partecipato alla redazione: Enrica Berselli, Gianluigi Capucci, Chiara Ferrin Hanno collaborato: Giorgio De Finis, Roberto Falavigna, Stefano Mancuso, Gianluca Poggi, Marco Smacchia via Nicolò Biondo 86 Modena www.ovestlab.it info@ovestlab.it T 059 877 7673 fb: OvestLab
Un ringraziamento speciale alle persone che hanno partecipato insieme alla redazione agli incontri di “Parole Incrociate” durante l’edizione del 2019 del Festival Periferico: Matteo Brighenti, Elena Lamberti, Leonardo Delogu, Valerio Sirna, Enrico Piergiacomi, Rossella Menna Editore — viaindustriae publishing Stampato da Centroffset via Carso, 21 - 42042 Fabbrico (RE) Registrazione n. 5 in data 10/05/2018 del Registro Stampa del Tribunale di Modena ISSN 2611-8815 Questo numero è stato chiuso il: 2 Ottobre 2019 Potete anche consultare Fionda on line: http://ovestlab.it/fionda/ Fionda esce due volte all’anno ed è gratuita. La redazione è sempre aperta a chiunque voglia farne parte, anche senza esperienza giornalistica, e si riunisce ogni mese circa presso OvestLab. Visita il sito di OvestLab o la pagina facebook OvestLab, scrivici una mail, chiamaci, vieni a trovarci: ti aspettiamo! Associazione Amigdala via Gemona 151 / 41125 Modena www.collettivoamigdala.it
Un ringraziamento speciale all'illustratore Marco Smacchia per il disegno di copertina
Marco Smacchia (1982). Formatosi all’Istituto d’Arte d’Urbino, consegue il diploma nella sezione di grafica pubblicitaria e del corso di perfezionamento di cinema d’animazione. Successivamente si laurea in scienze della comunicazione e inizia a collaborare come grafico e illustratore con affermate compagnie e realtà teatrali italiane. Dal 2009 al 2014 si è occupato della grafica del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna. Alcuni suoi disegni sono stati pubblicati su Banchi di nebbia, Orecchio acerbo editore (2010), Lo Straniero, Gli Asini, L'Unità, Watt 3,14 (2013).
in dex
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editoriale — della redazione
posta
Joe Villag
— con il contributo di Alessandro Della Santunione
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dizionario
Ovést
— di Matteo Di Cristofaro
voci
Dove il cielo è sempre più blu
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— a cura di Angelo Fantoni e Silvia Tagliazucchi
Puoi trovare Fionda qui: OVESTLAB via Nicolò Biondo, 86
dischi libri
MusicVillage — di Simona Fiorani
Consigli di lettura
— di Cosetta Grillenzoni
conversazioni
CIRCOLO ARCI PIAZZA via Alfonso Piazza, 2
Paesaggio corale. Dentro il museo ci sono le case Conversazione con Giorgio De Finis
TRIC E TRAC via Nobili, 380/a
— a cura di Silvia Tagliazucchi, con Serena Terranova
BIBLIOTECA VILLAGGIO GIARDINO via Marie Curie, 22
6-7 8
SCUOLA PRIMARIA EMILIO PO via Scacciera, 89 EMILY BOOKSHOP via Fonte d'Abisso, 9/11
fabbrica civica
FUSORARI piazzale Torti, 5
Forme in movimento
DRAMA TEATRO viale Buon Pastore, 57
— di Gianluca Poggi
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DISCHINPIAZZA piazza Giuseppe Mazzini, 35 INFORMAGIOVANI piazza Grande, 17
storie
FAB LAB MAKERS MODENA strada Attiraglio, 5/A
C’era una volta l’occidente
OFFICINA TYPO via Giardini, 464
— di Gianfranco Mammi
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LA FONTE via Fonte di S. Geminiano ovest, 13 CGIL MODENA piazza Cittadella, 36 LO SPAZIO NUOVO via IV Novembre, 40/b OSTELLO SAN FILIPPO NERI via Sant'Orsola, 48
mani
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Grattare uno specchio per vedere la Luna
— intervista a Roberto Falavigna, a cura di Angelo Fantoni e Silvia Tagliazucchi
EX AEM LABORATORIO APERTO viale Buon Pastore, 43
EDERA COWORKING AND MORE via Pietro Ercole Gherardi, 6
STELLA NERA via Folloni, 67
patrimoni
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In cammino sull’argine — di Federico Zanfi
scuola
20
Il vento da Ovest Ti piace questo progetto e vuoi sostenerlo?
— di Sara Lorenzini
sassolini
Alla ricerca della Strega Cattiva dell’Ovest
Puoi sottoscrivere un abbonamento speciale che aiuterà moltissimo la stampa del prossimo numero. Se doni 20 euro ti invieremo direttamente a casa i prossimi due numeri della rivista e le illustrazioni delle copertine firmate dagli autori! Il nostro iban bancario è: IT20X0335901600100000150357 Banca Prossima, conto corrente intestato all’Associazione Amigdala. Poi inviaci una mail (info@ovestlab.it) con il tuo indirizzo e la ricevuta dell’avvenuto bonifico.
— tratto da Il meraviglioso Mago di OZ di L.F. Baum
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fotoromanzo
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futuro
Plant inspiration
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— Intervento di Stefano Mancuso a OvestLab in occasione della Open Week di Scuola Archivio Leonardi e Festival Periferico
ricordo
Ermanno Salvalai — di Beppe Manni
Terrapiattismi
Parole incrociate cruciverba
— a cura della redazione di Fionda con la collaborazione del Teatro del Limone
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2 — luglio 2019
edi toria le —
di roberto bonfatti
Se le parole ci provocano sensazioni e stimolano il nostro immaginario, che cosa accade quando ci imbattiamo casualmente nella parola Ovest? L’Ovest è forse il punto cardinale che più di tutti evoca il senso di evasione e di avventura. Ci fa immaginare un'altra vita possibile, basata su canoni nuovi e affascinanti. Per Fionda, la parola Ovest chiude il trittico aperto con Villaggio e Artigiano nei numeri precedenti. In questo numero infatti indaghiamo un concetto che può stare al di là di un confine “nostro” come la Massicciata, ex linea ferroviaria che corre alle spalle di numerose officine, ripercorsa dalla penna di Federico Zanfi per la rubrica Patrimoni e indagata attraverso la rubrica Voci con alcune domande poste a chi “per caso” passasse di là. L’Ovest lascia anche pensare al mito della trasformazione, all'avanzamento della civiltà, all’insieme delle scoperte che hanno dato slancio al genere umano, ed è così che l’Ovest come luogo del progresso lascia spazio all’invenzione dei telescopi di Roberto Falavigna, artigiano residente al Villaggio di Modena Ovest, e ci induce a guardare verso il cielo, in direzione della Luna, dove è ambientato il documentario di Giorgio De Finis con la comunità Rom di Casilina (Roma) di cui l’autore ci dà testimonianza nella rubrica Conversazioni. Ecco quindi che un punto cardinale diventa, nella sua essenza, oltre che un riferimento specifico, una vera e propria metafora concettuale. Ad esempio, ci capita di pensare al Nord in contrapposizione al Sud del mondo, senza che questo rappresenti una precisa localizzazione geografica quanto piuttosto un’esemplificazione di pensiero. Dalle civiltà Mesopotamiche si è progrediti alla prima forma di democrazia e alla nascita della filosofia nella Grecia di Pericle e Socrate. Poi la nascita sempre verso Ovest dell'Impero Romano, primo esempio di dominio del mondo. Le orde barbariche come i Longobardi di Re Alboino lasciarono le steppe ad est per impossessarsi della civiltà romana e farla propria. La potenza del Sacro Romano Impero di Carlo Magno nato nella Francia Merovingia prima e Carolingia in seguito per poter riaffermare l'imprimatur della civiltà di Roma. E ancora più ad Ovest la nascita del Regno di Spagna per potersi spingere poi con Colombo oltre l'Oceano Atlantico. E da lì il mito della Frontiera del XIX secolo per arrivare sulle sponde dell'Oceano Pacifico. Anche la conquista della Luna fu raggiunta seguendo la prima orbita, come tutte le successive, verso l'Ovest lunare.
Il nostro istinto si indirizza irrazionalmente verso questo punto cardinale che viene a rappresentare in modo metaforico tutte le scoperte che hanno dato slancio al genere umano. È l’immaginario nel quale cresciamo, dallo studio della storia alla grande epopea del ci-
foto di Davide Piferi De Simoni
nema americano, ma è anche una forma mentis data dal desiderio umano di avere punti di riferimento (anche simbolici) che siano certi e condivisi. In quanto principio, dunque, l’Ovest si trova a essere discusso e ribaltato, come nel Meraviglioso Mondo di Oz, in cui si va a caccia dell’ultima strega rimasta, quella cattiva, quella dell’Ovest.
A Modena, nel secondo dopoguerra, tra disoccupazione e lotte sindacali, un Sindaco visionario diede inizio a quella Frontiera che in città si propose come fucina di idee, di sviluppo e che, rappresentata da operai, artigiani, piccoli imprenditori, diede vita alla nascita della metalmeccanica modenese. Non fu un caso dunque che tutto questo si sviluppasse in un luogo che venne denominato poi Villaggio Artigiano di Modena Ovest. Non certo e non solo perché situato a Ovest del centro urbano ma anche perchè, inconsciamente o meno, rappresentava l'inizio del mito della frontiera, in una città che aveva bisogno di speranza e di scoprirsi fautrice di nuovi orizzonti. Ma come la civiltà si è spostata costantemente verso Ovest per ritrovare nuovi stimoli, anche il Villaggio di Modena Ovest dovrà avere il proprio spostamento che non avverrà necessariamente in senso geografico, ma molto più opportunamente dovrà ridisegnarsi, riscoprirsi in un Ovest che porti con sé una nuova visione urbanistica, di comunità, di integrazione di servizi e sociale. L’equipaggio di Fionda
caro Joe —
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joe villag risponde ai lettori con il prezioso contributo di alessandro della santunione villagjoe @ gmail . com
2 — luglio 2019
Caro Joe, ho letto con piacere la vostra rivista cartacea che trovo molto interessante e ben fatta, ricca di spunti e notizie. A proposito di spunti volevo chiederti: come mai non prevedete anche un supporto più interattivo? Mi spiego meglio, sarebbe veramente utile e ancora più user friendly poter usufruire di contenuti extra tipo QR codes, realtà aumentata etc., ecco ad esempio proprio la realtà aumentata potrebbe essere molto apprezzata! Certo di una tua risposta, cari saluti. — Arnaldo Ferretti Caro Arnaldo, grazie dei complimenti! La realtà in cui viviamo è già abbastanza complicata, e secondo noi non c’è bisogno di aumentarla. Continua a seguirci, mi raccomando!
Caro Joe, oltre ad aver letto la rivista (molto belli i disegni!) frequento anche Ovestlab ed ho avuto modo di assistere a quella installazione con le piante tutte verniciate che mi ha lasciato un po’ perplessa: è giusto per l’arte far soffrire delle piante che alla fine sono sempre esseri viventi? Grazie della risposta — Anna Cara Anna, anche a me, all’inizio, l’installazione di Giacomo Cossio dal titolo “Contronatura” aveva un po’ sconcertato ma ho avuto modo poi di seguirne gli sviluppi e devo dire che sì, effettivamente le piante hanno avuto la forza di ribellarsi e sopravvivere. Questa idea di ricoprire tutte quelle piante di vernice soffocante è un po’ forte lo ammetto, ma c’è un messaggio ancora più forte che passa e cioè che la natura è più forte di qualsiasi violenza noi possiamo perpetrarle. Questo è il messaggio che ho recepito, passeggiando di notte da solo, di fianco alla foresta verniciata. I nuovi butti e le caparbie foglioline verdi appena sbocciate mi sembravano sussurrare nel buio. “Siete proprio degli str**zi” mi sembrava dicessero. Credo un messaggio per l’umanità. Continua a seguirci, mi raccomando!
dizionario —
di matteo di cristofaro
ovést s. m. dal dialetto modenese ò vést, lett.
"(io) ho visto", comunemente scritto come un'unica parola ovést. Espressione che descrive qualcosa di inaspettato, di nuovo; talvolta usata anche per esprimere stupore. Es. - o' vést Gino. - Gino? - Sé, Gino, al fiól dal barbér! - Ah! Cuma sta-l? - Bèin, at saluda. Con accento sulla prima vocale òvest, usato in Italiano per indicare uno dei punti cardinali; deriv. per estensione ad indicare stupore, l'ovest è il punto che porta, secondo gli esploratori, "verso l'ignoto" (cf. Cristoforo Colombo).
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Caro Joe, ma che piacevole scoperta questa rivista! Bravi, bravi, bravi! Mi sembra un prodotto di alto livello, belle illustrazioni belle foto, grafica ed impaginazione curate e soprattutto contenuti molto interessanti e mai banali, continuate così! — Mario Villaggio Caro Mario, che dire? Grazie, fanno sempre piacere i complimenti specie se disinteressati, faremo del nostro meglio. Continua a seguirci, mi raccomando! Ps. per favore dì alla mamma che domenica non riesco a passare e se mi tiene da parte della zuppa inglese.
Caro Joe, ma che senso ha tenere una rubrica di posta in una rivista che esce ogni 4 mesi? Viviamo in tempi veloci dove le persone sono abituate a consumare tutto e subito, i contatti sono immediati e chiunque può parlare con chiunque in giro per il mondo sul web e sui social, non sarà un po’ un vezzo anacronistico? Grazie per la risposta — Guglielmo Lusvarghi Caro Guglielmo, sono stato molto indeciso sul risponderti o meno, in effetti da quando mi hai scritto ti potrebbero essere capitate così tante di quelle cose, chi lo sa! ho pensato, magari è finito sotto un treno poveretto, oppure è diventato cieco o non ha più neanche un soldo per comprarsi la rivista, poi mi son detto... un attimo! la rivista è gratis quindi anche se è diventato povero la potrà leggere, e se è diventato cieco gliela può leggere un suo amico, la ferrovia che passava qua di fianco l’hanno tolta quindi... pieno di ottimismo e fiducia per il futuro, ho pensato di risponderti! Continua a seguirci, mi raccomando.
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music village 2 — luglio 2019
VOCI
suggerimenti sulla musica da ascoltare mentre leggi queste pagine
—
a cura di
Simona Fiorani
Dove il cielo è sempre più blu —
di angelo fantoni e silvia tagliazucchi
CALEXICO “END OF THE WORLD WITH YOU” (2018) Originari di Tucson, la loro musica è una sorta di colonna sonora che si consuma tra la sabbia infuocata dell'Arizona e le suggestioni delle fiestas messicane; un Alternative rock che sta tra il Tex-Mex e il Jazz Psichedelico. I Calexico prendono il loro nome da una città della California, a sua volta nome composto da "California" e “Mexico”. «Il concetto basilare della canzone "End of the world with you" è che viviamo in un'epoca dove sembra che le persone vengano allontanate e divise» - dice Joey Burns, fondatore della band insieme a John Convertino «Sembra di vivere in un periodo estremista, dal punto di vista sociale, ambientale. Volevo parlare di questo argomento attraverso gli occhi di due innamorati. Ho immaginato una coppia sull'orlo del precipizio di quella che sembra la fine del mondo. I nostri pezzi sono diversi tra loro, mescoliamo sempre gli stili musicali nei dischi e nei concerti. I membri della band vengono da contesti diversi. Penso che sia importante far capire che noi apprezziamo la diversità».
PET SHOP BOYS “GO WEST" (1993) “Andiamo ad Ovest / La vita è pacifica / Andiamo ad Ovest / All'aria aperta / Andiamo ad Ovest / Dove i cieli sono azzurri / Andiamo ad Ovest / Questo è quello che faremo..." cantano i Pet Shop Boys. West come paesaggio immaginario, la direzione verso cui tendere, un ideale, una terra di frontiera, tutta da esplorare e costruire, dove poter essere felici. Quella dei Pet Shop Boys è la celebre cover-version di un brano dei Village People del 1979, che a sua volta si basa sulla progressione musicale barocca del "Canone" di Johann Pachelbel, noto anche come "Canone e giga in Re maggiore", composto verso la fine del 1600. È un'aria molto conosciuta, sia per la sua versione originale che per le tante interpretazioni pop o rock che ne sono state fatte.
ANNIE LENNOX “INTO THE WEST” (2003) Into the West - 2003 In sottofondo ai titoli di coda del film "Il signore degli anelli - Il ritorno del re", la canzone di Annie Lennox è stata concepita come un amaro lamento in lingua elfica cantato da Galadriel (personaggio di Arda - la dama della luce), per quelli che sono salpati attraverso il grande mare. «Cosa vedi all'orizzonte? / Perché i bianchi gabbiani stanno chiamando? / Attraverso il mare una pallida luce sorge / le navi sono arrivate per portarti a casa / E tutto diventerà vetro argentato / Una luce sull'acqua / Grigie navi stanno andando verso Ovest...». Qui la speranza svanisce nel mondo della notte, nelle tenebre che stanno scendendo, fuori dalla memoria e dal tempo, ma sebbene «siamo giunti alla fine, io e te ci incontreremo di nuovo...»
foto di Davide Piferi De Simoni
Un giorno assolato, un’arietta leggera leggera che quando arriva sulla pelle concede un momento di freschezza dal caldo del sole. Partiamo da OvestLab diretti alla premeditata meta: la pista ciclabile. Non una pista ciclabile qualunque, ma il risultato dei lavori fatti dal Comune per i preparativi dell’evento ormai entrato nella storia, Vasco Modena Park. Era l’anno 2018. Prima un passaggio abusivo fatto con i pilastroni di cemento con la scritta “Ferrovie dello Stato” in bassorilievo, ora una pista ciclabile. Una piccola lingua di asfalto con strisce gialle per dividere bici e pedoni, ma che in realtà è stata una grandissima conquista: finalmente un collegamento diretto tra il Villaggio Artigiano ed il quartiere Madonnina. L’intenzione è quella di piantonare questa invisibile linea di confine e fare lì la nostra inchiesta semestrale.
Cosa vuol dire per te Ovest? Se dico ovest cosa ti viene in mente? Cappelli, seggioline pieghevoli e crema solare. L’idea era delle più promettenti, per scoprire ben presto che era poco realizzabile: le persone prendono quella pista ciclabile solo per quello che è: un attraversamento, sfrecciando come se fossero aeroplani sulle loro bici! In pochissimi si sono fermati per rispondere alle nostre domande. Rassegnati alla nostra sconfitta, siamo andati come al solito in giro per il Villaggio. Di seguito vi riportiamo quello che le persone incontrate per strada ci hanno risposto:
2 — luglio 2019
Libri ~ America ~ Blu ~ Il colore della bandiera americana ~ Il piemonte ~ Il continente più occidentale di tutti: l'America ~ Niente ~ Occidente ~ Una posizione geografica ~ Il Villaggio! Noi siamo al Villaggio di Modena Ovest!!! ~ Un grigio sfumato dal basso verso l’alto, dal più scuro al più chiaro ~ Niente ~ Non est! ~ Oceano atlantico! ~ Il rosa del tramonto quando cala il sole ~ Una direzione a cui tendere, dove andare per cercare fortuna ~ La contrapposizione tra l'est e l'ovest del muro di Berlino ~ Un punto cardinale ~ Una bella parola, come tutte le parole che iniziano per O sono belle parole: infatti io mi chiamo Orianna
~ Il blu, il rosso e il bianco; con questa parola mi vengono in mente questi tre colori: la bandiera americana ~ I cowboy! ~ La febbre dell’oro ~ Piscina, un momento di relax al tramonto. ~ O è di qua o è di là ~ Qualcosa è a Ovest solo per una questione di prospettiva. Ma quindi cosa vuol dire veramente Ovest? Si può dire sul serio che qualcosa sia a Ovest? ~ È questione non solo di direzione, ma anche di relazione ~ La Francia, il Portogallo e la Spagna... la parte ovest dell’Europa. Se invece lo vuoi considerare per l’Italia, il Piemonte ~ Un viaggio... un viaggio lontano lontano
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Consigli di lettura —
a cura di cosetta grillenzoni
“HERR LEHMANN” SVEN REGENER (Feltrinelli, 2003)
Berlino Ovest alla vigilia della caduta del muro raccontata attraverso gli occhi di un barista che la notte del 9 novembre 1989 assiste al fiume di gente e di Trabant che si riversano al di qua del muro e ci beve su. Regener pubblica qualche anno più tardi anche I Berlinesi facendo un ritratto di Berlino Ovest negli anni '80 attraverso una variegata fauna di punkettari, artisti squinternati e personaggi che vivono di espedienti e stazionano nei bar fino all'alba.
“NEL MARE NON CI SONO I COCCODRILLI” FABIO GEDA
(B.C. Dalai, 2010)
Alla scoperta del Nuovo Mondo, in una stampa di Gustav Adolf Closs, 1892
L'Ovest è la meta dell'incredibile viaggio che Enaiatollah Akbari è costretto ad affrontare per sfuggire agli uomini che lo esigono come risarcimento di un carico di merce perso nell'incidente che ha ucciso suo padre. Fabio Geda racconta la storia di un ragazzino afghano di 11 anni lasciato solo ad affrontare sfide e pericoli più grandi di lui attraverso Pakistan, Iran e Turchia fino all'Italia.
“I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN” ANNE PROULX (B.C. Dalai 2005)
foto di Davide Piferi De Simoni
Il Far West con mandrie, rudi cowboy e spostamenti a cavallo attraverso paesaggi arsi e sconfinati è l'ambientazione del racconto di Anne Proulx, I segreti di Brokeback Mountain poi diventato un film con cui Ang Lee ha vinto il Leone d'Oro a Venezia. Anne Proulx sgretola il mito del Far West raccontando una tragica storia d'amore tra due cowboy che non possono venire meno alle regole inflessibili della loro società e alla netta divisione di genere prevista dal loro ruolo.
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CONVERSAZIONE
Paesaggio corale. Dentro il museo ci sono le case conversazione con giorgio de finis
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a cura di silvia tagliazucchi con la collaborazione di serena terranova
Kobra, Peace (2014), foto di Giorgio Benni
Ha il sapore di una storia di fantascienza, di un’avventura antropologica, di una rivoluzione collocata in un momento invisibile del nostro presente. Come tutte le cose importanti, la realtà di Metropoliz e del MAAM è nata senza fare rumore, finché non si è resa manifesta per la sua bellezza e per il senso che ha generato dentro e attorno a sé. Giorgio de Finis, ideatore e guida di queste due esperienze tra loro sorelle, ci ha raccontato alcuni dei movimenti sottesi alla nascita di un progetto culturale in una situazione di emergenza abitativa nel quartiere Casilino di Roma: da un progetto di autocostruzione nasce l’idea di compiere un gesto tanto eclatante quanto privato, la costruzione di un razzo che potesse condurre una minoranza trascurata dalla politica verso nuovi orizzonti, come la Luna. A 50 anni dall’allunaggio americano, e a circa dieci anni dalle prime voci che si sono sollevate dal campo Rom Casilino 900, Metropoliz e il suo Museo dell’Altro e dell’Altrove (abbreviato MAAM) ci propongono oggi di riflettere sull’Ovest come una terra da conquistare senza caravelle e senza il consenso delle regine, ma solo con le proprie mani e la propria fan-
tasia, nei paesaggi nascosti delle nostre città. Qual è stato il primo approccio con gli abitanti di Metropoliz? Come li ha conosciuti? Sono entrato la prima volta a Metropoliz nel 2009, partecipando al giro a piedi sul Grande Raccordo Anulare organizzato dal gruppo Stalker/OsservatorioNomade. Sono rimasto molto colpito dal luogo e dai suoi abitanti: una fabbrica abbandonata da oltre vent’anni abitata da circa duecento migranti e precari provenienti da tutto il mondo. Due anni dopo insieme a Fabrizio Boni, autore col quale ho collaborato in più occasioni, abbiamo invitato questa “città meticcia” a costruire un razzo per andare tutti insieme sulla Luna. Perché è stato necessario progettare un viaggio sulla Luna? L’idea del viaggio sulla Luna è nata al Casilino 900, il campo Rom illegale più grande d’Europa. Avevo seguito come filmmaker il progetto di Stalker/ON Savorengo Ker, che in lingua Rom significa “casa di tutti”: il film traccia-
va la storia del progetto di autocostruzione di una baracca “a norma” realizzata a circa la metà del prezzo di un container. Questa opera partecipata (che sembrava proprio una casa, ma senza la scritta alla Magritte “questa non è una casa” che interrogasse il suo statuto) è andata alla Biennale di Venezia, ma una notte è stata data alle fiamme. All’epoca pensai che Stalker e i Rom del Casilino avrebbero fatto meglio a costruire un razzo per andare sulla Luna, perché i Rom non li vuole nessuno. Questa idea poi l’abbiamo estesa a tutte quelle che Bauman chiama “vite di scarto”. Metropoliz ha accettato di giocare con noi al gioco della Luna, aprendo le porte a questo dispositivo ludico e situazionista, che voleva accendere un riflettore sulla grave questione dell’emergenza abitativa a Roma, e da lì abbiamo creato il film documentario Space Metropoliz (2012), dove questo viaggio ha preso forma. Ci piacerebbe che ci raccontasse le dinamiche che hanno portato alla costituzione del MAAM, pensando naturalmente alla sua origine da Metropoliz, e in che modo oggi le
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relazioni tra queste due identità nello stesso luogo proseguono. Il MAAM nasce al termine delle riprese di Space Metropoliz, una volta arrivati sulla Luna! Abbiamo immaginato il razzo un po’ come una clessidra che a un certo punto si gira in aria e riatterra là dove era partita. Il Museo dell’Altro e dell’Altrove è un ulteriore dispositivo “situazionista”, nel senso che crea una “situazione”: questa volta non più del cinema, bensì del museo. Stavamo portando il fiore all’occhiello delle città globali in competizione, con un evidente cortocircuito, a un punto più basso dello standard: lo slum [‘bassifondi’, NdR]. Il MAAM esiste solo il sabato, quando l’occupazione apre i suoi cancelli alla città. In quel giorno, Metropoliz, che si è data come sottotitolo “la città meticcia”, si ibrida ulteriormente diventando quello che io ho sempre scherzosamente chiamato il “bar di Guerre Stellari”. Cosa significa Museo dell’Altro e dell’Altrove? Perché avete scelto questo nome? L’Altrove è la Luna, l’Altro è ciascuno di noi rispetto a tutti gli altri. Volevo che fosse chiaro che non avremmo lavorato alla costruzione di uno spazio identitario, a uno spazio del “noi”, ma alla creazione di uno spazio accogliente e rispettoso di tutte le forme di vita. In che modo la costituzione del MAAM ha dato un contributo alla battaglia per il diritto alla casa? Il MAAM ha dotato Metropoliz di una pelle in grado di proteggerla, una vera e propria “barricata dell’arte” (anche se amo di più l’idea che sia una barriera corallina, come l’ha definita Pablo Echaurren). Sono oltre cinquecento gli artisti che hanno dato il loro contributo al MAAM. Più che una collezione è un’opera corale… una sorta di cattedrale laica del Terzo Millennio.
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Il tema della Luna ha accomunato scienziati e artisti, bambini e adulti, ognuno lo ha declinato a modo suo… ma è stato importante creare un immaginario comune che facesse da sfondo, che ci permettesse, nella differenza, di contribuire a una costruzione comune: il razzo, il film, il museo, una città per tutti. In questa continua tensione tra immaginario e reale, qual è invece il ruolo dei musei? Che cosa rappresentano? Credo che sia sentita da più parti l’urgenza di reinventare i musei. Non credo in una ricetta vincente, ma in una continua sperimentazione. Dobbiamo creare spazi comuni, pubblici, accessibili, capaci di fare tesoro della diversità. Gli artisti sono magnifiche “anomalie”, spesso musei e gallerie sono convinti che il loro compito consista nell’addomesticarle. Il prossimo obiettivo? Marte? Marte, certo! Contiene la M di museo e la parola arte! I miei amici ufologi radicali mi hanno sempre invitato, nel formulare il nostro programma spaziale autonomo, a guardare oltre la Luna. Scherzi a parte, sto lavorando alla creazione di un nuovo museo, il RIF museo delle periferie a Tor Bella Monaca, nel quadrante stellare di Roma Est, oltre il G.R. A., l’anello che, come Saturno, cinge la Capitale. Il tema del numero della nostra rivista Fionda è Ovest, per lei cosa significa questa parola? Dove il sole tramonta?
Giorgio de Finis - Antropologo, filmmaker, artista e curatore indipendente, autore di libri e contributi scientifici, collabora da sempre con le pagine culturali di quotidiani e periodici. Ideatore e curatore del MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia e della -1 art gallery della Casa dell’Architettura di Roma. Ha fondato il DiF, Museo diffuso della città di Formello. Tra le ultime pubblicazioni si segnalano Diari urbani (introduzione Marc Augé), Exploit. Come rovesciare il mondo ad arte. D-istruzioni per l’uso (curato insieme a F. Benincasa e A. Facchi) e Space Metropoliz. L’era delle migrazioni esoplanetarie (curato con F. Boni), R/home: Diritto all'abitare dovere capitale (curato con I. Di Noto). È autore, con Fabrizio Boni, del film documentario Space Metropoliz, progetto che ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Dal 2018 è direttore artistico del progetto MACRO Asilo.
Conosce altri progetti simili che uniscono il tema abitativo a quello culturale? Credo che a Roma molti spazi si siano ispirati, in qualche modo, all’esperienza del MAAM. Basta pensare allo straordinario lavoro di Blu a Porto Fluviale, per citarne uno. La cosa che trovo interessante è che si sta sperimentando un incontro nuovo tra arte e movimenti. L’arte non è più pensata banalmente a servizio della causa, per fare striscioni, magliette o murales, ma se ne sta riconoscendo (e penso che questo sia avvenuto a Metropoliz) la profonda natura politica. Pensando alle diverse professionalità che la sua figura racchiude, dal mestiere di antropologo a quello di documentarista fino alla direzione di progetti museali, in che modo le “forme del racconto” che Metropoliz e MAAM hanno esplorato ed esplorano contribuiscono alla creazione di nuovi immaginari? Qual è il “ruolo” di questi immaginari e di chi li crea, oggi? E che rapporto innescano con la realtà? Penso che sia necessario fornire delle coordinate di gioco, immaginare il tavoliere, le regole e poi lasciare che ciascuno faccia la sua partita.
— in alto Alessandro Bulgini, Opera viva, luci d’artista (2015), foto di Giorgio de Finis — a sinistra Mauro Magni, Reset (2014), foto di Giorgio de Finis — a destra Gregorio Pampinella, Le space est a nous (2013), foto di Giorgio Benni
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FABBRICA CIVICA
Periferico 2019. Le coordinate di un festival in movimento —
di gianluca poggi
Era il 27 maggio 2018. Attorno a OvestLab ci si stringeva per festeggiare la fatica e la soddisfazione al termine di Insolente. La decima edizione di Periferico si concludeva in una sera calda, caldissima. «Dall’anno prossimo, si ricomincia da uno!» e un brindisi suggellava questa promessa improvvisa di cose nuove. Mi piace pensare che l'edizione numero XI di Periferico sia nata così... Chissà se è vero. Il collettivo artistico Amigdala affianca da anni la produzione di spettacoli site-specific alla direzione di Periferico; per l'edizione di Latitudine e longitudine di un granello di sabbia ha scelto di proseguire la sua ricerca rivolgendosi con lo stesso spirito al pubblico e agli artisti ospiti, formulando a entrambi l'invito a condividere qualcosa, a farla accedere. La natura di questo progetto di festival, che nasce come incursione artistica temporanea in luoghi marginali, quartieri e stabili dismessi della città di Modena, fonda la sua natura sulla triplice intersezione di luoghi, abitanti e artisti, tutti partecipi di uno spostamento dell’immaginazione collettiva, elementi costanti di configurazioni inattese per forme, tematiche, relazioni. Nel 2016 l’approdo a OvestLab: Periferico diventa “residente” al Villaggio Artigiano, ma stanziale non coincide con statico, tanto che su questa linea di demarcazione si innesta tutto il lavoro del collettivo, ispirato a una dimensione curatoriale dall’approccio ibrido e multidisciplinare, capace di interpretare la missione della rigenerazione grazie a un’idea di cultura fondata sulla partecipazione e sull’orizzontalità di una programmazione aperta e condivisa. Ecco perché Periferico appare così mutevole: il progetto affronta sempre una messa in discussione radicale, che investe anche i ruoli di chi organizza e chi crea, chi ospita e chi viene ospitato. A Periferico 2019 le coordinate dell’infinitamente piccolo si trasformano in viaggio, in costellazione, diventano rotte da percorrere nel segno dell’ospitalità, dell’intreccio e dell’incontro. È un’edizione impaziente, che instaura connessioni tra prima e dopo, dentro e fuori, cercando ciò che è simile e ciò che è dissimile. È così che Periferico si avvista ancora prima di arrivarci, attraverso un prologo in due tappe che vede prima la creazione corale di Amigdala, Elementare, accompagnare una notte di Trasparenze Festival, poi il dialogo – organizzato a OvestLab in collaborazione con la direzione artistica del Teatro dei Venti – con la compagnia teatrale Archivio Zeta, intorno alla
loro decennale attività artistica “al confino” del Cimitero Militare Germanico della Futa. Cura dei luoghi e di chi li abita, ri-connessioni sociali e affettive che germogliano in comunità: con questa ambiziosa idea concreta di site-specific, Periferico muta forma affidando ciascuna delle sue cinque giornate di programmazione, dall’8 al 12 maggio, a una diversa figura artistica, in co-curatela con Amigdala. La compagnia Dewey Dell sceglie la palestra de “La Fratellanza” per popolarla di coreografie di figure ancestrali ed elementari, rievocando una natura potente e tiranna che si abbatte su di noi impietosa e brutale come una tempesta (Cinquanta urlanti, quaranta ruggenti, sessanta stridenti), oppure maestosa e sovrana nell’eternità del tempo, come nei canti corali dei pastori della Sardegna arcaica (Deriva traversa). Quale linea sottile passa dal pastore al navigatore, dal poeta all’artigiano? Forse una certa ciclicità del tempo, una certa cura per le cose fatte con le mani e con l’ingegno, una segreta sapienza dell’abitare, dimenticata. Alla ricerca di identità perdute o ritrovate, quando non ancora tutte da costruire, la seconda giornata si confronta con il Villaggio attraverso un procedimento di condensazione: gli artisti milanesi di Effetto Larsen trasformano OvestLab in un microcosmo del Villaggio Artigiano. Allo spettatore non si chiede di visitare l’installazione, bensì di comporla lasciando le proprie Tracce (questo il nome dell’opera): testimonianze, confessioni, desideri, paure… tutte quelle cose davvero importanti, che definiscono se stessi e i luoghi in cui si vive. Il Villaggio si rivela una trama intricata, si trasforma con noi, si trasforma come noi. Il terzo giorno, sotto la direzione del percussionista Enrico Malatesta, si muove lungo le coordinate dell’ascolto e dell’esplorazione dei voicescapes – il paesaggio sonoro dei luoghi. Sì, perché paesaggio non è solo ciò a cui tendiamo con la vista, ma anche tutto quello in cui siamo immersi e che viene a noi in forma di suono, producendo ambienti altrettanto familiari. Laboratori di ascolto disseminati per il quartiere scandiscono la giornata, fino al clou dei concerti serali, all’interno del laboratorio ceramico ArteLab64. Circondati dai forni e dai calchi delle creazioni di Stefano Lodi, si snoda il viaggio sonoro nella musica delle cose: le percussioni sono sassi, legni, tessuti; mentre il confine tra musica e rumore si fa sottile come il nastro magnetico riprodotto in loop.
Sconfinamenti e dispercezioni del camminare racchiudono la penultima giornata di festival. Leonardo Delogu e Valerio Sirna di DOM- stabiliscono il loro insediamento temporaneo al Villaggio per esplorare le possibilità del corpo in relazione allo spazio e restituire al paesaggio la dimensione dell’attraversamento. Dopo la Pennicchella Post-Antropocentrica – seminario su materasso alla ricerca di nuovi punti cardinali per superare l’impasse della prima estinzione di massa provocata dall’uomo – Camminare come prefigurazione trasforma la comunità di Periferico in un popolo nomade, disegna traiettorie non convenzionali attraverso il quartiere, tagliando per i campi, scavalcando fossati, seguendo la dorsale rocciosa della massicciata. Alla fine, il quartiere ha un volto trasfigurato, gli occhi si guardano e sono nuovi: è questa la speranza con cui fare argine al tempo senza grazia raccontato da Antonio Moresco, autore de Il grido. Sembra un crescendo: Periferico sposta il Villaggio nello spazio e nel tempo, ma proprio in virtù di connessioni profonde con il passato e il presente. Archivio Cesare Leonardi e Isabella Bordoni interpretano questa eredità lasciandole spazio – il primo attraverso una serie di appuntamenti dedicati a Cesare Leonardi, Bordoni allestendo l’appartamento concesso in uso al festival da Learco Menabue, fino al garage sottostante, scrigno malconcio e bellissimo di un passato automobilistico e di molte scartoffie. Forme diverse di interpretazione dell’abitare che si incontrano nel regno vegetale, del vivente, attraverso codici che ne carpiscano la struttura profonda o la espongano a traduzioni fallaci eppure significanti. Con Code_Syntax error_ Congedo dalla figura 22, Bordoni riprocessa il materiale registrato in F.O.N.D.E.R.I. A. tabula linguae - unconference a Periferico 2018 - sottoponendolo alla trascrizione automatica di algoritmi informatici: nello squarcio prodotto dall’errore, dal fraintendimento, interviene una parola nuova, poetica. Cosa resta oggi? Fino a settembre 2019 resta la foresta smaltata di Contronatura di Giacomo Cossio - performance-installazione monumento alla resilienza vegetale, oltre la violenza - ma ancor di più resta un legame rinnovato, che ti fa chiamare le cose per nome, che mentre senti che appartengono a tutti, ora appartengono un po’ anche a te.
2 — luglio 2019
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STORIE
C’era una volta l’Occidente —
di gianfranco mammi
foto di Tiago Muraro
Allora quel mattino mi alzo come al solito che non ce ne avevo neanche voglia ma tutto sommato era meglio se andavo a lavorare – il tempo buttava un po’ sul vago nel senso che non si capiva se pioveva o non pioveva. Alla fine ho deciso che pioveva e ho preso su l’ombrello anche se a guardar bene dalla finestra forse non ce n’era bisogno fino a sera. Però per terra l’asfalto era bagnato, non mi andava di rischiare. L’ombrello comunque è stato utile perché già a metà strada verso il bar l’ho dato sulla testa di un vecchietto che gridava “È increddibbile! Una rivoluzione coppernicana!” e faceva degli strani gesti con le mani come a dire che bisognava esaltarsi per qualcosa ma non lasciava trapelare per che cosa di preciso e nemmeno per sommi capi. Questi sono modi che mi danno un po’ sui nervi, soprattutto quella mania di raddoppiare le consonanti che nella mia città quasi tutti parlano così e allora è evidente che prima o poi l’ombrello va a finire sulla groppa di qualcuno. Infatti a quel vecchietto gli ho dato anche dell’asino e poi ho tirato dritto verso il bar dove sapevo che c’era qualcuno che per esempio mi aspettava. C’è sempre una vecchietta che mi aspetta un po’ in bilico sull’orlo del marciapiede lì davanti a una delle entrate e tutti i giorni mi dice “Buongiorno senatore, le auguro buon lavoro” e questo anche di domenica che non vado neanche a lavorare ma fa sempre piacere sentirsi dire qualche frase educata già di prima mattina anche se non sono affatto un senatore né mai lo sono stato. Anzi ai senatori in generale e anche ai deputati gli darei delle grandi ombrellate negli stinchi, anche a quelli stranieri tipo i senatori tedeschi per esempio. Però quella mattina invece di dirmi di fare un buon lavoro la vecchietta mi sussurra “Buongiorno senatore, stia attento alla rivoluzione che oggi andiamo male.” È stata fortunata che non ha fatto strani gesti con le mani sennò le tiravo uno sgambetto che perdeva subito il bilico sull’orlo della strada anzi no del marciapiede. Allora dopo ho ordinato una svedese e un cappuccino con poca schiuma e mi sono seduto a un tavolo dove c’erano un sacco di giornali, non faccio per dire ma anche su quelli meno rozzi tipo i quotidiani sportivi c’erano dei gran titoli in prima pagina, “Rivoluzione copernicana!” dicevano le prime pagine di tutti i giornali di quel giorno, anche quelli stranieri come per esempio i giornali tedeschi. Quindi mi son messo a dare dei gran colpi d’ombrello sui giornali che alla fine mi girava anche la testa, ero ancora a stomaco vuoto perché mi avevan trascurato nel servizio. Era strano perché in quel bar lì c’è pieno di cinesi tutti velocissimi che ti
portano la roba un po’ di corsa che se uno non lo sa magari si spaventa, tutta quella fretta senza un valido motivo. Dunque a causa della fame ero un po’ inquieto ma cercavo di non darlo se possibile a vedere. A questo scopo mi son diretto verso un altro tavolo in un angolino dove i cinesi tengono i giornali vecchi messi in pila, ne ho preso uno di dieci giorni prima che sapevo già quant’era interessante; c’era un articolo molto lungo su un esponente dell’opposizione che durante un consiglio comunale aveva tirato cinque colpi di pistola al vicesindaco, tutti completamente fuori bersaglio, tanto che purtroppo aveva distrutto un lampadario di Murano che poi era risultato anche molto prezioso e gliel’han messo in conto assieme all’altra roba. La mia ordinazione è arrivata quand’ero già quasi alla fine dell’articolo, non ho chiesto come mai ci avevan messo tanto tempo perché ero sicuro che avrebbero dato la colpa alla rivoluzione. Appena finito pasta e cappuccino son subito arrivati due cinesi a sparecchiare e a pulire il mio tavolo come se quel giorno avessero un po’ fretta di mandarmi via. Strano; molte volte stavo lì anche delle mezz’ore a leggere tutti i giornali anche quelli stranieri, tanto in ufficio non mi davano mai niente da fare perché ero stato assunto per così dire pro forma, più che altro. Ho pagato la consumazione con due monete tedesche da due euro e m’han dato di resto una moneta spagnola da un euro e una italiana da cinquanta centesimi. Ho fatto finta di niente perché secondo me quel giorno i cinesi non avevano voglia di discutere sulle nazioni di emissione e mi son diretto piano piano verso l’ufficio ma ero un po’ deluso perché mi ero accorto che la vecchietta dava del senatore a moltissimi clienti di quel bar e io invece in tutto quel tempo mi ero fatto delle illusioni di esser l’unico onorevole lì attorno. Per allungare il percorso ho preso giù per una stradina che va al mare, ma da metà in poi era piena di turisti belgi con dei gran giornali che anche quelli dicevano “Révolution! Copernicaine!” e i turisti dicevano tra di loro “Parbleu!” come se non ci credessero poi troppo e questo li ha salvati, sennò li scaravoltavo tutti quanti a pancia all’aria. Meglio così perché erano davvero tanti, saran stati almeno una ventina, e poi in questa città si posson dare delle ombrellate e delle scaravoltate un po’ a tutti tranne che ai turisti dato che per il Comune son come le vacche sacre per gli indiani. Allora arrivo lì quasi in riva al mare che parallelo alla riva c’è un gran portico costruito alla moderna con tutte quelle linee diritte del cemento armato, non c’era bisogno dell’ombrel-
lo neanche quando pioveva, era un bel posto per provare a rilassarsi, ma sento un rumore come di pernacchia che viene giù dal cielo. Là nel cielo mezzo grigio svolazzava un aeroplanino piccolino con un grande striscione attaccato per di dietro, “Oggi rivoluzione copernicana”, diceva lo striscione; e dietro veniva un aeroplanino ancora più piccolo, con uno striscioncino che diceva “Approfittatene!” in caratteri arancioni che si leggevan bene sopra al grigio. Per puro istinto m’è venuto di lanciare l’ombrello contro tutti quegli aerei a mo’ di giavellotto – lo so anch’io che fin lassù non ci si arriva specialmente se il giavellotto ha il manico ricurvo che provoca un attrito molto grande, in ogni caso è stato un lancio fuori dal comune che ha colpito al polpaccio una giovane turista tedesca che stava sulla spiaggia a far del footing a quell’ora del mattino. Questa qui ha cominciato a gridare in una lingua incomprensibile ma ha comunque attirato l’attenzione di alcuni passanti rivoluzionari che han subito chiamato sia l’ambulanza che la polizia, e intanto scrutavano tutt’intorno per cercare di capire da dov’era piovuto quell’ombrello ma io mi son subito nascosto dietro a un pilastro del gran portico. Insomma ormai m’ero convinto che era ora di passare dall’ufficio per vedere se c’erano delle pratiche pro forma da sbrigare, sono arrivato lì che il mio capo stava fumando un sigaro sdraiato sul divano della sala d’aspetto e ho capito che nonostante la rivoluzione era una giornata un po’ sul morto. Poi il mio capo m’ha guardato a lungo dritto in faccia e ha detto che secondo lui non stavo mica troppo bene, allora mi ha offerto uno di quei suoi sigari che costano dei soldi e siam rimasti lì a fumare sdraiati insieme nella sala d’aspetto senza dirci niente finché lui non mi ha detto che era meglio che tornassi a casa perché per quel giorno avevo fatto già abbastanza. Allora sono uscito di nuovo dentro al mondo e ho visto che c’erano tantissime auto con delle luci blu piantate sopra al tetto e tutte queste auto giravano da tutte le parti come i matti, si vede che cercavano qualcuno. Nel frattempo però il cielo da mezzo grigio era diventato tutto nero e poi ha cominciato a piovere da piegare le grondaie e io non avevo più l’ombrello. Gianfranco Mammi è nato in Venezuela, ma ha quasi sempre abitato a Modena, dove si è laureato in giurisprudenza. Ha pubblicato vari romanzi e raccolte di racconti, da Uomini senza Mercedes (Ravenna, 2002) a La Scellerata (Roma, 2014), nonché alcuni brani su Linus, Tèchne, Panta, L’Accalappiacani, Griselda, Almanacco Quodlibet.
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ROBERTO FALAVIGNA artigiano La copertina del libro "Modena e l'astronomia"
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intervista a cura di tagliazucchi
Angelo Fantoni
e silvia
Grattare uno specchio per vedere la Luna Roberto entra nel cortile di OvestLab, con passo deciso e sottobraccio una grande fotografia ed un libro blu, in cui ha riposto i suoi appunti con i nomi dei protagonisti di questa storia. Io e Angelo lo attendiamo all’ingresso e chiediamo spiegazioni per tutto il materiale che ha portato con sè: “Se bisogna raccontarla, è necessario essere precisi”. Roberto Falavigna è uno degli storici artigiani del Villaggio. Di seconda generazione, eredita la sua officina in Via Cesare della Chiesa dal padre e lavora al Villaggio per tutta la vita come artigiano, facendo il contoterzista per pezzi speciali per la Caprari, nota azienda del modenese che produce pompe ed elettropompe, dal 1951 anch’essa al Villaggio Artigiano1. Angelo conosce molto bene Roberto. Anche sua figlia Cristina, quando era piccola, si era interessata ai telescopi e Roberto Falavigna le aveva regalato uno dei suoi. Era uno dei telescopi che non era venuto perfetto, gli specchi erano rovinati. “Ma non importava che le immagini fossero nitide, quello che importava era la Luna e quello che significava. Uno sguardo verso l’altrove.” continua Angelo ricordando quei momenti. Ci sediamo tutti e tre al tavolo e Roberto inizia a raccontare senza nemmeno darci il tempo di fare domande. 1
https://www.caprari.it/storia
ROBERTO FALAVIGNA: Comunque partiamo dagli inizi, comincio io. Sono esattamente 50 anni dal primo sbarco del primo uomo sulla Luna - è avvenuto nell'estate del '69 - e quella fu l'occasione per iniziare il mio approccio all'astronomia, perchè sull'entusiasmo di queste missioni spaziali, io e mio padre, Falavigna Walter, avevamo acquistato un piccolo telescopio artigianale che avevamo trovato da un rigattiere. Incuriositi da questo strumento, avevamo chiesto al rigattiere da dove veniva questo strumento e scoprimmo che il costruttore era un tipo molto particolare di Carpi che si chiamava Alfonso - il cognome non me lo ricordo - rifornitore degli astrofili Carpigiani, punto più attivo degli astrofili in provincia. Cosa che abbiamo scoperto nella nostra ricerca sull'origine di questo strumento. Una volta trovato Alfonso, mio padre comprò uno strumento più adatto all'osservazione astronomica - nei limiti di piccoli strumenti autocostruiti. Venimmo a conoscenza che a Modena c'era un'altro appassionato di strumenti astronomici che costruiva telescopi, ed era proprio al Villaggio Artigiano, ed era Camellini Ruggero, proprietario della BVM. Adesso c'è il figlio che manda avanti l'azienda. Cammellini aveva costruito qualche telescopio, ma erano telescopi di legno. Il modello era stato copiato da un francese, Texerau, del quale ne conservo un cimelio. Con questo telescopio Texerau cominciammo a fare delle osservazioni astronomiche vere e proprie, osservando i satelliti di Giove, gli anelli di Giove, gli anelli di Saturno che con i nostri cannocchiali autocostruiti da Alfonso prima non li vedevamo. Invece questo era un vero e proprio telescopio. Grazie a Cammellini Ruggero, scoprimmo che oltre alla struttura del telescopio, lui costruiva anche gli obiettivi, gli specchi. Così scoprimmo che esistevano i telescopi a specchio e non solo a lente. Questo Ruggero Camellini aveva questa macchinetta - che io non ho mai visto dal vivo, ma so che è ancora
conservata da suo figlio che si chiama Aronne Camellini - che aveva trovato da un rigattiere anche lui, con cui faceva gli specchi. La macchinetta veniva dalla Ducati, perchè in tempo di guerra la Ducati produceva anche ottiche per uso militare, dove veniva usata fare le lenti e lui l'aveva adattata a fare gli specchi. Questa macchina, lavorando il vetro, ne crea uno concavo e uno convesso. Il concavo è la lente, quello convesso può diventare uno specchio. Con Camellini Ruggero, abbiamo cominciato a fare dell'osservazione e a scoprire che si potevano lavorare gli specchi con delle macchinette. Il passo successivo è stato ritrovare un testo, che ci avevano consigliato gli astrofili carpigiani, che era "L'astronomo dilettante" di Paolo Andrenelli che era un fiorentino, un ingegnere che aveva lavorato alla Galileo, una ditta famosa di ottica di Firenze. Andrenelli nel suo libro spiegava come costruire uno specchio parabolico per telescopi oltre che la costruzione della meccanica dei telescopi, Questo testo è stato fondamentale perché ci ha dato le basi per capire come produrre un telescopio. Lui parlava di lavorazione a mano, non attraverso una macchina. Dopo questo, grazie alla lettura della rivista "Coelum", che era pubblicata dall'osservatorio astronomico di Bologna, trovammo uno schema per costruire una macchina per la lavorazione degli specchi e da quello schema mio padre trasse l'ispirazione per costruire questa macchina. Con questa macchina lui ha cominciato ad adattare gli specchi - come si dice in gergo da astrofili - e così è nata la prima bozza dell'officina astronomica in Via Cesare della Chiesa 20, che nel tempo è diventata la sede del primo nucleo degli appassionati di astronomia modenese. Perché in conseguenza di questa macchina, con l'ausilio della massima autorità di astrofisica di Carpi, un certo Ferdinando Caliumi - maresciallo della finanza - che aveva costruito un osservatorio domestico utilizzando dei modelli che lui aveva fatto realizza-
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re per le fusioni della cella porta specchio e delle altre parti del telescopio, ricavate da un vecchio modello di telescopio della Carl Zeiss di Jena2 e da questi modelli di telescopio lui aveva realizzato un "30 centimetri di diametro". Ai suoi tempi, negli anni '50, aveva così costruito l'osservatorio privato più grande d'Italia. In Europa ce n'erano due: il suo a Carpi e uno in Spagna. Era proprio un pioniere dell'astrofilia. Caliumi ci diede i modelli per realizzare un telescopio da 25 centimetri. In base a questi modelli, mio padre costruì il suo primo specchio, sperimentando l’utilizzo della sua macchina per fare gli specchi ed in contemporanea si aggregarono a lui altri tre personaggi modenesi. Quindi anziché costruire solo il suo telescopio, ne costruì una serie di cinque. Ora gli altri soci erano: due operai della FIAT - Zamboni Giuseppe e Gubertini Mario - e si aggregò in un secondo tempo un tecnico del liceo Muratori - che si divertiva a fare macchine elettrostatiche, che si chiamava Bertoli Ormisda, fratello di Bertoli Elpidio, famoso pittore modenese.Questi quattro personaggi si sono messi in coalizione in officina da mio padre ed hanno costruito i telescopi. Poi loro gli specchi se li sono finiti a mano ognuno per conto suo, sempre seguendo le indicazioni del libro che ho citato prima, e alla fine hanno completato i loro telescopi. Il primo a decedere fu il Signor Bertoli e noi abbiamo ereditato il telescopio e con quel telescopio abbiamo costruito un osservatorio fisso a Pompeano sulle colline vicino a Serramazzoni e per una decina d'anni abbiamo utilizzato questo osservatorio, poi il padrone di casa ha venduto ed è finita la storia del telescopio, che poi con qualche modifica è diventato lo strumento che utilizziamo nell'osservatorio ancora oggi del Parco Enzo Ferrari. Questo telescopio è ora proprietà dell'associazione astrofili Gian Battista Amici (G. B. Amici). L'associazione degli astrofili è nata dalla concomitanza della nascita del piccolo planetario di Modena istituito dai Professori Mario Umberto Lugli e Francesco Martino, i quali avevano appunto fondato il CESDA (Centro Sperimentale per la Didattica dell'Astronomia) e dal momento che avevano allargato agli astrofili i corsi che loro tenevano presso il Corni come corsi di aggiornamento per gli insegnanti di fisica sull'astronomia, avevano invitato persone interessate, aprendolo al pubblico. Allora, io, mio padre e il gruppo di astrofili abbiamo iniziato a frequentare i corsi, rendendoci conto che le nostre conoscenze non erano così lontane dalla materia d'insegnamento di questi professori. Così il Professor Lugli ebbe l'idea di istituire l'associazione astrofili coinvolgendo oltre a noi, anche gli astrofili di Carpi e il primo presidente dell'associazione che ancora si chiamava CESDA fu Ferdinando Caliumi di Carpi. Caliumi era noto in tutta Italia ed inoltre ha fatto nascere l'osservatorio astronomico a Cavezzo fornendo le basi per la costruzione dei telescopi e il progetto della cupola. Da quel primo osservatorio pubblico in Italia - parlo dei primi anni '80 - poi ne nacque un secondo a San Giovanni in Persiceto, sempre
con la supervisione di Caliumi. Poi ne venne fondato un terzo in Sardegna alla memoria di Caliumi, siccome i suoi fondatori hanno avuto le informazioni per costruirlo, hanno voluto dedicarlo. Caliumi ne aveva costruito un altro, ma privato, in Sicilia per un certo Prestinenza, un giornalista siciliano. Per cui Caliumi era un personaggio noto in tutta Italia perché lui aveva conosciuto il fondatore della rivista "Coelum" che era il Prof. Guido Horn D'Arturo che era il direttore dell'Osservatorio di Bologna. Questo professore aveva accolto nel suo studio anche gli astrofili, tra cui Caliumi, che era cresciuto appunto nel suo studio. Tutti gli astrofili di Bologna, Caliumi li conosceva e per questo motivo era diventato conosciuto da tutti gli astrofili italiani. Infatti, quando ho avuto l'opportunità di partecipare al congresso della Società astronomica italiana, in cui c'erano il professor Tempesti, Maffei...tutti i professori italiani altolocati che davano a Caliumi tranquillamente del tu. Era riconosciuto come il padre degli astrofili bolognesi e modenesi, per cui tra Carpi - principalmente - e Bologna era nata questa fucina di astronomi e astrofili. Da questi personaggi è nata l'associazione degli astrofili nel 1978 e aveva sede presso il Cesda che si trovava in Viale Storchi n. 2 all’epoca sede della scuola professionale Corni -nella casa del fascio, attualmente sede della Fondazione Marco Biagi. Noi ci trovavamo lì come ospiti del collegio dei periti, che avevano dedicato a noi una stanza grazie al Prof. Lugli de Martino, a cui è dedicato il Planetario dopo la sua scomparsa prematura all'età di 49 anni. Mio padre è morto a 59 anni ed è finita la sua attività di costruttore dei telescopi. L'ultimo che ha costruito un telescopio, è l'attuale presidente degli astrofili, Roberto Bini, che venuto a conoscenza di questa storia, ne ha voluto costruire uno. L'ha lavorato a mano, in cucina. È piccolo, ma è fatto veramente molto bene ed è custodito anche quello nella nostra attuale sede al parco Ferrari. Quel telescopio che è in foto è stato costruito con la collaborazione di Roberto Bini nella mia officina meccanica. AF: Nei momenti in cui vi trovavate con il vostro gruppo, cosa facevate? Quando vi trovavate? RF: Era un osservatorio critico: quando uno del gruppo finiva un nuovo telescopio, andavamo tutti a casa sua a provarlo e a vederlo... a criticarlo. Si era tutti in comitiva ed è così che è nata l'associazione. Anche in questo libro 3 c'è riportato anche una parte in merito alla costruzione dei telescopi al Villaggio Artigiano. Praticamente il professor Lugli decise di organizzare il primo raduno italiano degli astrofili autocostruttori nel 1979. Falavigna guarda il libro e indicando una fotografia riprende il discorso: 3
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telescopi degli anni '30-'40, per approfondire questa storia, è possibile consultare l’archivio dei documenti Zeiss al sito: http://www.archive.zeiss.de/
vedi pubblicazione Nunzia Manicardi, Modena e l’astronomia. L’avventura del Planetario in una città che ha sempre amato le stelle, Edizioni Il Fiorino - Modena 2017 [copertina nell’immagine]
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Foto di Roberto Bini, ritratto di R. Falavigna di fianco a uno dei suoi telescopi all’Osservatorio astronomico
Questo è un telescopio che avevamo realizzato noi e poi mi sono accorto che purtroppo l'ottica non era perfetta e quindi non è mai stato utilizzato, ma diventò comunque il manifesto del raduno. Per essere messo in mostra era perfetto. Era tutto in metallo, siccome tutti gli elementi che compongono il telescopio devono essere in metallo per la questione della dilatazione termica e per il fatto che devono essere strumenti stabili e una volta che sono climatizzati, dopo danno il massimo della resa. Nel 1979 primo meeting, organizzato a Modena grazie all'idea del Professor Lugli, si ritrovarono astrofili da tutta Italia. Fu un momento per ritrovarsi un po' tutti quelli che costruivano strumenti, anche non telescopi, come strumenti didattici e altri oggetti per capire come funziona il cielo. Quella fu un'occasione di grande entusiasmo per gli astrofili modenesi. Noi non eravamo in tanti, eravamo in 10 tra Modena e Carpi... secondo il calcolo di Luigi Baldinelli, un astrofilo bolognese che aveva fatto un calcolo, nasceva un astrofilo ogni 100.000 persone...noi eravamo davvero tanti! Adesso tra soci e simpatizzanti o meno, siamo ormai un'ottantina. Bini si da molto da fare facendo molte iniziative. Tutte le volte che facciamo osservazioni - tipo quella del 2018 dell'eclissi di luna totale - è venuta tanta gente e qualcuno si iscrive all'associazione. ST: Ma continuate a vedervi ancora? Cosa fate adesso durante gli incontri? RF: Era un osservatorio critico: quando uno Adesso non costruiamo più molto, ma facciamo manutenzione o perfezionamento degli strumenti che abbiamo già. Il discorso dell'autocostruzione è finito in quei tempi eroici. All'epoca l'autocostruzione era una necessità improcrastinabile, siccome commercialmente non si trovava nulla. Per darti un esempio, nel libro "L'astronomo dilettante", in fondo al libro era citato l'unico punto che si poteva comprare strumenti astronomici in Italia era a
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Bologna in galleria del Toro n. 1 e quando mi sono presentato a questo indirizzo, mi sono ritrovato davanti al negozio di un ottico, un occhialaio, che di telescopi non ne sapeva niente. Il loro contatto era stato dato un certo Foschini che faceva i mercatini con quanto raccattava in giro. La fonte principale era il mercato di Livorno dove vendevano materiale militare obsoleto, in particolare di origine americana. Pensi un po' che roba! Se in un libro a distribuzione nazionale c'era scritto un'indicazione simile, si capisce che noi eravamo pioneristici a livello dell'astrofilia, quindi era quasi una necessità costruirselo il telescopio. Infatti Andrenelli aveva scritto questo libro per ri-
uscire a costruirsi il proprio telescopio. Alla fine degli anni '60 c'era solo uno che produceva telescopi: Virgilio Marcon, ma non era per tutti, erano prezzi davvero esosi. Dopo la fine degli anni '70 iniziarono ad uscire i primi telescopi giapponesi e finì l'epoca dell'autocostruzione. Dopo i giapponesi sono arrivati i cinesi...pian piano i telescopi commerciali poi sono stati dotati dell'elettronica e lì è finita definitivamente l'epoca dell'autocostruzione. Con l'elettronica si può seguire molto facilmente alla perfezione la volta celeste, mentre noi dovevamo far andare tutto con grande fatica fisica utilizzando i motori dei giradischi tenendo dietro al movimento degli astri. Con
l'inflazione degli strumenti commerciali è finita l'epoca. ST: Ma quanto tempo ci si metteva a creare uno specchio? RF: Mio padre aveva costruito la macchina proprio perchè la lavorazione è estremamente lenta a mano, per costruire uno specchio da 15 cm lavorandoci a ore diciamo che ci volevano circa 300 ore. Si parte da due dischi di vetro. Dopo ci si mette in mezzo della polvere abrasiva e poi si comincia a sfregare con l'acqua, poi si continua sfregare con movimenti circolari. In questo modo automaticamente uno diven-
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AF: Che tipo di vetro utilizzava? RF: Il vetro era un vetro normale, quello che trovava. In realtà avrebbe dovuto usare il pirex, che è il vetro con cui si fanno le pentole, materiale che non è soggetto a deformazione con la temperatura. Il pirex è quello più semplice, poi quelli che costruiscono i telescopi in serie utilizzano dei vetri particolari che sono poi i vetri che si usavano una volta per i prismi per i binocoli, vetri particolari, vetri ottici, con delle sigle particolari. ST: Quando vi trovavate? Spesso?
Falavigna con uno dei telescopi costruiti con il padre, attualmente custodito presso l’osservatorio astrofili (Gagba - Associazione Astrofili G.B. Amici) nella Torre del parco Enzo Ferrari (foto di Roberto Bini)
ta concavo e uno convesso. Quello convesso è l'utensile e il concavo diventa lo specchio, l'obiettivo. Successivamente si procede con la lucidatura: si crea un calco di pece - ognuno ha la propria ricetta personale per trovare un modo per indurirla -gli si da’ la forma dello specchio, basta un contorno intorno, ci si cola sopra la pece, quando raffreddata si stacca. Con la pece e gli abrasivi super sottili si lucida lo specchio. I perfezionisti gli ultimi ritocchi li fanno con il pollice sporcato con questa abrasiva superfine per andare a lavorare nei punti critici dove ci sono gli errori. Tutto sta nel misurare la super-
ficie che stai facendo. E' un lavoro certosino, infatti è il motivo per cui mio padre ha deciso di costruire una macchina. Voleva un sistema veloce per realizzare gli specchi, soprattutto la smussatura, lui aveva la pretesa di fare anche la finitura ma non è mai arrivato a farla. Diciamo che mio padre faceva uno specchio e ci metteva due sere al posto che tre mesi. Poi erano specchi che andavano rifiniti a mano. Se non fai lavorazioni perfette, lo specchio tende ad assumere un'altra curva presso i bordi - i bordi sono molto critici - con questa macchina qui lui riusciva ad arrivare alla finitura con una forma più precisa ai bordi.
RF: Noi ci trovavamo da una vita il giovedì sera. È un giorno che aveva stabilito Lugli perché non c'erano partite di calcio, non c'era ancora il weekend quindi la serata giusta era il giovedì e da allora è rimasto il giovedì dall'anno che è stato costituito il gruppo nel 1978. Lugli non aveva avuto un'idea originale, ma aveva attinto al materiale prodotto da Mario Rigutti che era un astronomo professionista, direttore dell'Osservatorio Capo di Monte a Napoli. Lui si era dedicato - siccome l'osservatorio era all'epoca pressoché inutilizzabile - alla didattica dell'astronomia. Rigutti è venuto poi a Modena diverse volte a conoscere il gruppo, da lì poi è nata l'idea della costruzione del Planetario di Modena, il primo planetario pubblico nato in Italia. C'erano due filosofie: quella dei professori, loro tendevano a realizzare strumenti didattici e ad impostare il lavoro sulla didattica dell'astronomia rivolta ai ragazzi; poi c'erano gli astrofili, per i quali lo scopo era quello di osservare il cielo con i propri strumenti. Infatti alla fine c'è stata una separazione inevitabile perché erano due filosofie incompatibili. A noi interessava osservare il cielo, mentre agli altri interessava la didattica: il planetario praticamente ti proietta il cielo finto, noi del cielo finto non sappiamo cosa farcene, ci interessa quello vero! Con tutti i limiti e le scomodità che comporta l'osservazione naturalistica. Noi astrofili siamo fatalmente legati alle condizioni atmosferiche...è inutile che diciamo che ci troviamo il tal giorno alla tal ora. Stabilendo di trovarci ogni giovedì sera, le serate in un anno buone per l'osservazione si riducono drasticamente. Si deve essere a cielo aperto il più possibile. Poi noi adesso siamo nella torretta del Parco Enzo Ferrari, perchè abbiamo trovato quella sistemazione lì, ma la torretta non è il massimo per l'osservazione del cielo, perché hai tutto il problema della termica che produce la torre stessa: siamo a dei livelli tali di ingrandimento per vedere la Luna e i vari satelliti che se metti la mano sotto il telescopio, dopo non vedi più niente, vedi tutto barrato. Il calore della mano, il movimento d'aria calda prodotto dalla mano è sufficiente per farti sfarfallare tutto. Vedi l'immagina che balla. AF: Le deve essere piaciuta la Luna la prima volta che l'ha vista con il telescopio? RF: Ma lì è un processo: con il primo telescopio si faceva fatica a vedere i crateri, il secondo già meglio, poi dopo che abbiamo avuto da Cammellini il texerau è stata un'altra faccenda...la luna era una cosa splendida.
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PATRIMONI
In cammino sull’argine —
di federico zanfi un ringraziamento ad andrea costa fotografie di davide piferi de simoni
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Con la rimozione dei binari lungo la linea ferroviaria storica tra Modena e Marzaglia, avvenuta nel 2015, è tramontata una visione che aveva immaginato di riutilizzare quel tratto di infrastruttura dismessa come supporto per un nuovo collegamento leggero, basato sul modello del treno-tram, a servizio di un sistema di trasporto pubblico concepito su scala provinciale. Un’ipotesi intelligente ed economica, che avrebbe consentito non solo di rafforzare le sinergie tra le funzioni urbane presenti nel quadrante ovest della città di Modena e quelle più centrali, ma anche di traguardare più ambiziosamente verso la Fiera, Rubiera, Reggio Emilia e la stazione TAV Mediopadana, entro un’idea di progressiva strutturazione di un sistema metropolitano centro-emiliano1.
A valle di questo punto di svolta, sfumata l’opportunità del riuso dei binari, la riflessione sul come e dove immaginare un nuovo asse di trasporto pubblico a servizio della parte occidentale della città si è riaperta. L’ipotesi che ha via via preso forma – e che si è recentemente depositata nel Piano urbano della mobilità sostenibile 2030, adottato dall’Amministrazione nella primavera del 2019 – riguarderebbe il progetto di una pista ciclabile e un percorso pedonale inseriti in un «parco lineare» lungo il tratto più urbano dell’ex ferrovia, con due attraversamenti carrabili che metterebbero in collegamento lo storico Villaggio Artigiano e il quartiere Madonnina. Una soluzione che rimuoverebbe in buona parte il rilevato ferroviario esistente e che manterrebbe una fascia
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libera per realizzare – in futuro – una linea di trasporto pubblico a collegamento della stazione di Modena FS col polo scolastico Leonardo2. Questa ipotesi, sebbene ridimensionata nelle potenzialità rispetto alla visione qui richiamata in apertura, definisce un primo elemento utile per avviare una riflessione complessiva sul quadrante ovest modenese. Una riflessione che è di grande rilevanza per la città intera, e che non può più essere rimandata se si vuole evitare di rendere irreversibile la deriva di declino e marginalizzazione che sta segnando il tessuto edilizio e sociale del Villaggio Artigiano3. A tale riflessione – che non potrà limitarsi a un regolamento edilizio dedicato, di cui peraltro già disponiamo, ma che dovrà intreccia-
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re l’urbanistica a una visione d’indirizzo per la manifattura urbana e l’artigianato evoluto – in queste note si vuole contribuire concentrandosi in particolare sul ruolo di quello spazio che è ormai entrato nel dibattito cittadino col nome di «Diagonale». Vale a dire gli 8 km di tracciato ferroviario dismesso che corrono in rilevato dalla zona del cimitero di San Cataldo alla zona di Marzaglia, e che costeggiano il triangolo del Villaggio Artigiano come una specie di argine rettilineo per circa 2 km. È questo un manufatto singolare, che racconta del processo di modernizzazione di Modena e del suo territorio non meno dei sopravvissuti frammenti delle sue storiche industrie, e che offre una “presa” interessante per costruire quello spazio pubblico che al Villaggio è sempre mancato (e che ancor più manca oggi, dopo la demolizione della storica chiesa “operaia” nel 2009). Uno spazio pubblico, questo, che valorizzando le caratteristiche del manufatto infrastrutturale di partenza potrebbe essere concepito come uno spazio straordinario e ben riconoscibile nella città. Il suo progetto dovrebbe certamente comprendere la dimensione della mobilità sostenibile, ma non esaurirsi in essa; non ridursi cioè a un’opera pubblica per gli spostamenti in bicicletta o col trasporto pubblico, ma ambire a divenire un elemento distintivo nel paesaggio urbano capace di rilanciare l’identità del quadrante ovest e creare nuovo valore nell’intorno. Entro questa prospettiva – che è anzitutto un atteggiamento di attenzione al lascito della modernizzazione otto-novecentesca delle nostre città e un invito a “fare con quel che c’è”, ottimizzando e innovando il capitale fisso sociale esistente – provo a sviluppare di seguito tre punti che potrebbero essere tenuti in considerazione entro una più generale riflessione sul settore occidentale della città di Modena e che in particolare potrebbero aiutare a definire i caratteri del nuovo spazio da recuperarsi lungo l’ex tracciato ferroviario. Un primo punto riguarda la futura linea di trasporto pubblico, di cui si manterrebbe una predisposizione nel progetto della Diagonale descritto nel PUMS [Piano Urbano Mobilità Sostenibile, NdR]. Ora, tale nuova linea –
costruita da zero – dovrebbe appoggiarsi su un’adeguata domanda di mobilità (esistente o potenziale) per giustificarsi. Questa domanda oggi non è presente lungo l’asse infrastrutturale in questione, e il presupposto perché possa darsi in futuro consiste nell’apertura di un nuovo fronte di espansione urbana verso ovest. Una ipotesi che appare poco ragionevole a fronte di una vasta “riserva di crescita interna” di cui Modena oggi dispone, costituita da grandi ambiti di trasformazione incompleti (da rinegoziare e riprogettare, come a nord della stazione FS) e numerosi edifici/comparti privati interamente o parzialmente non utilizzati (da rigenerare, come i quartieri residenziali e artigianali edificati negli anni ’50 e ‘60), verso i quali le nuove domande di spazio abitativo e produttivo dovranno essere prioritariamente indirizzate nei prossimi decenni. Va inoltre valutato il rapporto tra costo ed efficacia dell’investimento infrastrutturale. Nella desiderabile ipotesi in cui, grazie ad aggiuntivi finanziamenti straordinari, la città potesse realmente realizzare una nuova linea preferenziale di trasporto pubblico nel quadrante ovest, questa sembrerebbe oggi più necessaria lungo l’asse stradale della via Emilia, fino al casello autostradale di Modena nord e al nodo Cittanova/Fiera: un asse che in ragione delle aziende, dei servizi e delle funzioni commerciali lì insediati esprime una domanda di mobilità ben più rilevante e problematica di quella sollevata dalle funzioni urbane potenzialmente servite lungo il tracciato della Diagonale. Questo ragionamento, in sintesi, vuole porre all’attenzione che la scelta di mantenere la predisposizione per un’ipotetica linea di trasporto pubblico lungo l’asse della ex ferrovia non è priva di implicazioni sul suo progetto spaziale: ne irrigidisce il disegno e ne rende meno libera la composizione, soprattutto in sezione, richiedendo la rimozione del rilevato (operazione che ha un costo). Tale scelta andrebbe pertanto considerata e argomentata alla luce di una visione strategica più complessiva dell’intero settore occidentale della città, in cui le previsioni di investimento infrastrutturale dovrebbero essere definite alla luce di
una valutazione sulla loro effettiva efficacia e soprattutto in relazione alle situazioni maggiormente critiche (situazioni a cui, forse, dovrebbe spettare una priorità di trattamento). Un secondo punto riguarda poi il ruolo della campagna che penetra da ovest fin dentro la città, di cui il rilevato della ex ferrovia costituisce una sorta di spina dorsale. Sono aree di varia natura, pubbliche e private, coltivate e abbandonate, numerosi i servizi pubblici (scuola, polisportiva, parco) che vi si affacciano: nella loro concatenazione costituiscono un importante «varco» di spazio aperto che penetra fin dentro l’urbanizzato. Il Comitato scientifico del nuovo Piano Urbanistico Generale ha recentemente segnalato tali aree libere come importanti elementi di strutturazione della città, auspicando una loro tutela e un rafforzamento dei diversi ruoli che già svolgono4. Le medesime aree hanno anche ispirato la suggestiva visione di «Città Parco», sviluppata nel 2014 da un gruppo multidisciplinare costituitosi per iniziativa dell’Archivio Architetto Cesare Leonardi, in cui si è proposto di tutelare il grande spazio aperto triangolare adiacente al Villaggio Artigiano e di trasformarlo in una ramificata infrastruttura verde elaborata sul modello della Struttura Reticolare Acentrata leonardiana5. Entrambe queste visioni, pur lavorando a scale diverse, segnalano la necessità di concepire il progetto della Diagonale non come una linea di mobilità a sé, ma come l’elemento portante di un progetto di paesaggio più complessivo ed esteso all’intero quadrante ovest, che ponga come punto fisso del futuro Piano urbanistico la salvaguardia del cuore verde oggi esistente tra il quartiere Madonnina e il Villaggio Artigiano e che definisca il rapporto tra queste frange urbane e la campagna. Tale rapporto ha un significato sempre più attuale in relazione al comfort termico della città durante le stagioni calde e alla sua sicurezza idraulica, ma in questo caso ha anche a che fare con la costruzione di nuovi percorsi tra il centro urbano, il Polo ambientale di Marzaglia e il sistema ciclabile lungo il fiume Secchia: percorsi che, ancora, possono assumere una straordinaria rilevanza ambientale e come in-
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www.comunemodena.it/pums/documenti-pums/ (ultimo accesso giugno 2019).
comfort urbano. Si veda la sezione “Indirizzi sotto forma di Schemi d’assetto” all’interno della Delibera di indirizzo approvata dal Consiglio comunale nel febbraio 2019, che definisce il quadro della programmazione per la fase di transizione fino all'approvazione del nuovo Piano Urbanistico Generale (in particolare le pp. 63–66). Documento reperibile all’indirizzo urbanistica.comune.modena.it/ CC/2019/2019_13/AllegatoA_Relazione_VolII.pdf (ultimo accesso giugno 2019).
Le riflessioni più avanzate in tal senso sono state quelle sviluppate da Andrea Spinosa su incarico del Comune di Reggio Emilia tra il 2014 e 2016. Si rimanda a: A. Spinosa (2016) Recupero e potenziamento delle ferrovie Modenesi e reggiane per la realizzazione di una rete ferrotranviaria provinciale, Cityrailways-Comune di Reggio Emilia, rapporto di ricerca non pubblicato. Per un estratto: Id. (2014) Le ferrovie locali da “rami secchi” a risorsa. Il caso mediopadano, reperibile su issu.com (ultimo accesso giugno 2019). Paolo Silingardi e Claudio Borsari hanno poi tradotto parte di questa visione in una proposta politica, in occasione delle elezioni amministrative di Modena nel 2014. Si veda D. Miserendino (2014) Un tram-treno per la città e la provincia, “il Resto del Carlino”, 16 febbraio, p. 2. 2
Comune di Modena (2019) Piano urbano mobilità sostenibile 2030. Relazione di piano, p. 175, reperibile all’indirizzo:
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Tracce di queste dinamiche in relazione all’invecchiamento demografico e al sottoutilizzo degli spazi manifatturieri sono documentate rispettivamente in: Cresme (2017) Scenari demografici e domanda abitativa nel Comune e nella Provincia di Modena, rapporto di ricerca non pubblicato; Consorzio attività produttive Area e Servizi di Modena e Comune di Modena (2017) Atlante degli ambiti produttivi del Comune di Modena, rapporto di ricerca non pubblicato; un estratto è reperibile all’indirizzo www.capmodena.it/atlante-aree-produttive-modena (ultimo accesso giugno 2019). 4
In particolare si sono posti all’attenzione i ruoli idraulici, ambientali, fruitivi e relativi alla biodiversità svolti da questi sistemi spazi aperti, e i loro effetti positivi sul benessere e il
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Archivio Architetto Cesare Leonardi (2014) Città Parco. Progetto per il villaggio artigiano di Modena Ovest, progetto-visione presentato nel quadro delle iniziative di #Ovestlab-Spazio aperto per la trasformazione di Modena ovest, settembre-ottobre 2015. Per un estratto: A. Cavani e G. Orsini (2018) Il villaggio come città parco, “Fionda”, rivista del Villaggio Artigiano di Modena Ovest, n. 0, pp. 24–25.
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frastrutture per il tempo libero a disposizione della città intera. Un terzo e ultimo punto riguarda il carattere del nuovo spazio pubblico che si potrebbe realizzare lungo la Diagonale, e gli sguardi che da qui si potrebbero aprire sul paesaggio urbano e rurale circostante. Oggi, se si cammina sulle rocce della massicciata dal cimitero di San Cataldo fino al Polo scolastico Leonardo ci si imbatte in uno spazio sorprendente: una sorta di corridoio verde, fitto di vegetazione spontanea sorta in pochi anni, che si solleva via via dal piano di campagna e che laddove la vegetazione s’interrompe, grazie all’elevazione di pochi metri, consente di godere di alcune viste privilegiate sull’intorno. I muri di cinta dei cimiteri del Costa e di Rossi, il campionario dei tetti a shed, a volta e a padiglione del Villaggio Artigiano (forse il suo aspetto architettonico più interessante), il grande pratone triangolare che arriva a lambire il quartiere Madonnina, gli orti e il polo scolastico Leonardo, gli ultimi quartieri residenziali, infine lo sguardo aperto verso la campagna, con l’Appennino sullo sfondo. È un punto di vista “alto” che certe ferrovie urbane consentono di assumere e che alcune città hanno deciso consapevolmente di valorizzare laddove queste ferrovie sono state dismesse, dando origine a spazi pubblici di grande successo. Si pensi alla Coulée Verte parigina, al Gleisdreieck Park berlinese, alla High Line newyorkese, o anche alla pista ciclabile del Ponente Ligure, ove il nuovo percorso ha mantenuto le quote della vecchia linea ferroviaria e i dislivelli sono diventati occasioni progettuali. Nella nostra pianura ultra-piatta è un punto di vista che ricorda quello di cui si gode salendo sugli argini dei fiumi, che appunto consentono di allungare lo sguardo sul territorio e di vederne le forme disegnate dal lavoro dell’uomo entro una prospettiva diversa6. Per questa ragione andrebbe considerato un elemento distintivo e di specificità, da valorizzare attraverso il progetto e non da disperdere.
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Gianni Celati, Esplorazioni sugli argini, in Id. (1989) Verso la foce, Feltrinelli, Milano.
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SCUOLA
Il vento da Ovest —
a cura di sara lorenzini
L'ovest è uno dei quattro punti o direzioni cardinali, è opposto all'est e perpendicolare a nord e sud. È sinonimo di "occidente" e "ponente". Per un osservatore ubicato sulla superficie terrestre l'ovest è la direzione sull'orizzonte indicante il punto nel quale tramonta il Sole agli equinozi. Questa è una delle tante definizione del punto cardinale, la prima che viene in mente quando si pronuncia la parola “Ovest” ma a pensarci un po’ meglio, in realtà, rimanda a tutta una serie di suggestioni che fanno parte della sfera e del vissuto di ogni individuo. Per i bambini di otto-nove anni il panorama delle definizioni possibili è inevitabilmente un po’ più limitato, legati come sono all’esperienza concreta e quotidiana del concetto. Infatti Tommaso non ha dubbi, per lui Ovest è un punto cardinale mentre per Nicole è la via dove abita, via Emilia Ovest; ad Anita viene in mente la bussola perché i punti cardinali sono dentro la bussola e la bussola serve per orientarsi, per non perdersi; per Enrico è anche “OvestLab, un luogo dove posso conoscere molti nomi di persone importanti come Leonardo Da Vinci”. Forse, chissà, la persona importante in cui i bambini si sono imbattuti durante un laboratorio era Cesare Leonardi visto che le sue sedie gialle con le ruote sono piaciute tantissimo e qualcuno ci ha fatto anche un giretto… “Se io dico Ovest – dice senza ombra di dubbio Francesco- mi viene in mente una direzione fredda dove tutte le volte che ci vado spunta un tramonto”. Eppure, parlando, discutendo e confrontando, l’orizzonte di significati si amplia e la parola fa venire in mente il ristorante “Old Wild West”, dove ogni tanto qualcuno di loro si ferma a mangiare “tipo i panini, le cose del West”. Sulla versione inglese della parola si accende un interruttore: il West, il mitico Far West. E qui mi sono stupita perché non immaginavo che i bambini ne sapessero qualcosa, abituati a leggere storie e passare il con giochi elettronici che trattano tutt’altro argomento. Invece Emma esordisce dicendo che lei è “stata in America tre volte, cambiavo spesso hotel. Un giorno sono andata nel Grand Canyon che è nella parte ovest dell’America. Questa zona si chiama Far West”. Certamente dice Anita, nel Far West ci abitano i Cow Boys cioè i guardiani delle mucche! Ma ci sono anche i tori, le mucche, oltre che i cavalli e di sicuro anche il maiale e i polli, dice convinta Giorgia.
La fantasia e la creatività dei bambini, il riuscire a interconnettere i pensieri tra di loro partendo dalla discussione collettiva e dalle loro conoscenze frutto dei vissuti di ognuno, porta all’individuazione di concetti più complessi e alla capacità di capire che una parola o un evento non hanno mai un unico significato. Anche questo significa ampliare le proprie competenze e soprattutto la capacità di ragionamento personale, obiettivo principale della scuola. Per finire un’ulteriore spunto è venuto dalla lettura di un breve brano tratto dal libro di P.L. Travers, Mary Poppins. Per me eroina senza tempo, legata alla immagini del famoso film del 1963; per loro, la baby sitter dell’ultima versione del film, quella dello scorso anno: “Mr Banks le lanciò uno sguardo così ferito che Mrs Banks desiderò di avere avuto più tatto… Umpf! Umpf! Disse lui soffiandosi forte il
naso e prendendo il soprabito dall’attaccapanni. Poi andò verso la porta. Ehilà disse, in tono allegro, i tulipani screziati sono in boccio! Andò in giardino e annusò l’aria. Mmh, c’è vento da Ovest, mi sembra. Guardò verso la casa dell’Ammiraglio Boom, dove il telescopio-banderuola si agitava. Mi sembrava, disse, Vento da Ovest. Limpido e balsamico. Niente soprabito. E detto questo, si affrettò verso la City. Hai sentito cosa ha detto? Michael afferrò il braccio di Jane. Lei annuì. Vento da Ovest disse lentamente. Nessuno dei due aggiunse altro, ma nelle loro teste c’era un pensiero che avrebbero voluto che non ci fosse…” quello che porta via la scorbutica ma maca Mary Poppins, quella del libro, non quella del film. Ma questo i bambini lo scopriranno solo leggendo!
SASSOLINI
alla ricerca della strega c at t i va d e l l ’ o v e s t —
di l . f .B aum , tratto da il meraviglioso mago di oz
“Qual’è la strada che porta alla Strega cattiva dell’Ovest?” chiede Dorothy “Non c’è nessuna strada” rispose il Guardiano della Porta “In quella direzione non ci vuole mai andare nessuno” “Ma allora come facciamo a trovare la Strega?” domandò la bambina. “Niente di più semplice” ribattè l’uomo “perché non appena saprà che vi trovate nel Paese degli Ammichetti, sarà lei a trovare voi e a farvi suoi schiavi.” “Magari no” disse lo Spaventapasseri “perchè noi abbiamo tutta l’intenzione di annientarla.” “Oh allora le cose cambiano” disse il Guardiano della Porta. “Finora nessuno è mai riuscito ad annientarla, così m’è venuto spontaneo pensare che vi avrebbe fatto suoi schiavi, come fa con tutti gli altri. State bene attenti, però, perché è cattiva e feroce e può anche darsi che non si lasci annientare. Dirigetevi a Ovest, dove tramonta il sole, e la troverete di sicuro.” La strega in un'illustrazione originale del libro
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FUTURO
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liberamente tratto dalla lezione tenuta da stefano mancuso a ovestlab il in occasione dell ’ open week della scuola archivio leonardi
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foto di Davide Piferi De Simoni
Stefano Mancuso,
Prologo
scienziato di fama mondiale, è professore all’Università di Firenze, dove dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, e membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior. Nel 2012 “La Repubblica” lo ha indicato tra i 20 italiani destinati a cambiarci la vita e nel 2013 il “New Yorker” lo ha inserito nella classifica dei “world changers”. Tra le sue scoperte più importanti quella sulla capacità delle piante di comunicare tra loro, ricordare e apprendere. I suoi libri più famosi sono “Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale” (con Alessandra Viola) pubblicato nel 2013, "Plant Revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro" (2017) e il recentissimo “La nazione delle piante” (2019).
L’85% degli esseri viventi sulla Terra sono piante. Gli animali, non solo i mammiferi, ma tutti gli animali, compresi gli insetti, gli uccelli e i pesci, rappresentano lo 0,3%. Senza le piante noi non potremmo esistere, se noi sparissimo le piante invece non si accorgerebbero di nulla. Giacomo Leopardi lo aveva già capito chiaramente.
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Se vogliamo sopravvivere dobbiamo iniziare a ascoltare le piante. La vita biologica di un ginko è di 250 milioni di anni, quella media di una specie 5 milioni di anni, noi esistiamo solo da 300 mila anni e le previsioni più ottimistiche dicono che dureremo non più di 10 mila anni. A valle di questo ragionamento, se consideriamo che il significato biologico della vita è la propagazione della specie, allora le piante sono senza ombra di dubbio molto meglio di noi. Stefano Mancuso è convinto che le piante ci salveranno. Ma perché questo succeda - dice Mancuso - dobbiamo ascoltare e imparare un po’ di cose. Ecco cosa ci ha detto:
1. L’organizzazione vegetale A differenza degli uomini e degli animali, le piante sono costruite come dei moduli reiterati e messi insieme a creare una enormità infinita di soluzioni. Lo 0,3% di esseri viventi di cui anche noi facciamo parte ha un cervello che governa degli organi. Ogni organo - singolo o doppio - svolge funzioni precise: guardiamo con due occhi, respiriamo con due polmoni, digeriamo con uno stomaco, ragioniamo con un cervello, che manda gli impulsi agli altri organi. Tutto quanto dipende dal nostro cervello. Cercate di immaginare questa organizzazione: un cervello da cui dipendono diversi organi. L'avete mai vista? Guardate qualsiasi organigramma di qualsiasi organizzazione umana e vedrete questa stessa modalità: il capo che governa da cui dipendono gli altri dipendenti. Questa organizzazione va bene? No. questa organizzazione ha un solo grande merito: la velocità. perchè siamo costruiti così? Perché siamo animali. E cosa significa essere animali? Significa essere animati, ovvero siamo esseri che si muovono: questo vuol dire essere animali. Tutto questo che ci riguarda viene elaborato attraverso il movimento. Tutte le nostre risposte ai problemi sono elaborate attraverso il movimento, tanto è vero che noi diciamo di aver risolto un problema quando in realtà lo stiamo evitando. Gli animali evitano i problemi, una pianta non può farlo. Cosa succede in un essere vivente che non è dotato di movimento? È soggetto alla predazione, che in soldoni vuol dire che gli animali se lo mangiano. Ora immaginate che un albero fosse costruito come noi. Immaginate un platano altissimo o una sequoia enorme, immaginate un albero di queste dimensioni, arriva un bruco che gli fa un buco nel cervello e lo uccide. È per questo che le piante non hanno organi singoli o doppi. Cosa hanno fatto le piante? Hanno dato via tutte le funzioni degli animali? Ma neanche per idea. Le piante hanno diffuso sull'intero corpo ciò che gli animali concentrano negli organi. Guardate che è una rivoluzione, una cosa completamente nuova che rende le organizzazioni vegetali di gran lunga più efficienti delle nostre. Innanzi tutto sono più robuste, si può rimuovere il 90% di un corpo vegetale e la pianta continua a vivere; mentre invece basta un buco in uno qualsiasi dei nostri organi perchè noi moriamo. A noi sinceramente piacerebbe essere fatto come una pianta. Quando dobbiamo costruire una macchina importante, che deve svolgere un lavoro prezioso, la facciamo
ridondante, cioè la costruiamo in modo tale che se un pezzo si rompe ce n'è un altro che può prendere il suo posto. L'uomo invece non ce li ha questi organi ridondanti. Noi siamo fatti così, usa e getta. Non ci vedo questa meraviglia in un’organizzazione del genere. Le organizzazioni centralizzate sono fragili: chi prende le decisioni è molto lontano dal luogo dove il problema avviene. Ovunque ci siano organizzazioni centralizzate gerarchiche si sviluppa anche una burocrazia e capite che abbiamo imitato ciò che noi siamo partendo dal presupposto che noi siamo il meglio quando invece non lo siamo affatto, e quando avremmo delle possibilità di ispirazione straordinarie che ci possono venire dalle piante.
2. La comunità Mentre negli animali l'enfasi in tutte le sue manifestazioni è sempre sull'individuo, nelle piante l'accento è sempre sulla comunità. È una conseguenza del fatto che sono stanziali. Immaginate di essere radicati per terra. Nonostante sembrino esseri passivi, le piante hanno una vita molto complessa. Ad esempio hanno necessità di riprodursi. Ma con chi vi riproducete se siete radicati per terra e non avete una comunità attorno? Non è che ti vai a iscrivere in palestra se devi trovare qualcuno con cui ti devi riprodurre, devi averlo lì intorno. Quindi la comunità è fondamentale. Altra cosa: se tu sei radicato qui e non ti puoi muovere, che senso ha mettersi a fare la guerra con il nostro vicino? Quanto potremmo sopravvivere? Quanto dureremmo? Pensateci: niente. Non è un caso se le piante hanno sviluppato un sistema di cooperazione: le piante cooperano con tutto, con i batteri, con i funghi, con altri esseri viventi, usano gli altri esseri viventi ai loro fini. Anche noi potremmo essere usati dalle piante, noi pensiamo di aver addomesticato le piante per mangiarcele, loro potrebbero dire "vi abbiamo intortato così ci portate in giro". È difficile comprendere degli esseri viventi che sono così diversi da noi. Riusciamo a comprendere solo quello che è molto simile a noi. Anche fra gli uomini bastano delle differenze culturali ridicole per non riuscire più a capirsi gli uni con gli altri. Immaginiamo cosa significa comprendere il comportamento delle piante. Pensate ad esempio a quando vi ho detto che le piante "si fanno mangiare": tutta la nostra vita di animali è fatta per sfuggire alla predazione. Noi uomini oggi abbiamo raggiunto uno status particolare da super predatori però prima che diventassimo super predatori, fino a 300.000 anni fa quando è nato l'homo sapiens eravamo delle prede. Tutta la nostra vita è sempre stata cercare di evitare di essere mangiati. Le piante sono degli esseri completamente diversi: si sono evoluti per essere mangiati. Quindi mentre la soluzione del problema animale è fondamentalmente scappare, le piante ci indicano un’attitudine diversa sia nei confronti della soluzione dei problemi sia nei confronti della vita e del nostro futuro. Il loro essere stanziali le ha portate a sviluppare un forte senso di comunità e una grande abilità nel risolvere i problemi che si presentano loro: se c'è un problema infatti non possono scappare, non lo possono nemmeno procrastinare o trasmettere alle generazioni successive,
foto di Davide Piferi De Simoni
lo devono risolvere sul momento altrimenti non sopravvivono.
3. I consumi I nostri consumi sono ciò che cambiano la storia del mondo. Avete sentito parlare di earth overshooting day - quel giorno dell'anno in cui noi consumiamo tutte le risorse che avremmo potuto consumare quell'anno. cioè da quel giorno in poi l'umanità vive consumando le risorse delle generazioni future, prendendole diciamo così in prestito. Questo giorno adesso cade più o meno a giugno o luglio, cioè noi metà anno viviamo con risorse che non abbiamo. Se tutto il mondo fosse fatto da americani, questo giorno cadrebbe a febbraio. Se fosse fatto da italiani, francesi e spagnoli cadrebbe più o meno dove cade ora. Se fosse fatto tutto quanto da indiani, si potrebbe raddoppiare la popolazione del mondo. Per questo dico che dai nostri consumi dipende la nostra sopravvivenza. Il mio ultimo libro “La nazione delle piante” inizia raccontando la prima immagine della Terra vista dallo spazio. Il 24 dicembre del 1968 una missione Apollo che gira intorno alla Luna scatta quella famosa foto che molti di voi avranno visto e che si chiama "L'alba della Terra" in cui si vede la Terra che sorge dietro l'orizzonte lunare. È una famosissima immagine e quell'immagine è molto forte non soltanto perché mostra la Terra da una prospettiva diversa, ma anche perché è una delle prime volte che si vede l'intero nostro pianeta da fuori: una palla che galleggia nel nero dell'universo. Quell’immagine è molto evocativa perché ci fa capire delle cose che oggi stanno alla base dei problemi che affronta l'umanità. Primo il fatto che la Terra è un'isola. Il nostro pianeta è come un'isola che naviga, il fatto che sia un pianeta non cambia nulla, è semplicemente un'isola più grande che naviga diciamo nel mare dell'universo. E qual è la caratteristica delle isole? È quella di avere risorse limitate: tutte le grandi civiltà che si sono sviluppate sulle isole sono quasi sempre finite perchè hanno consumato le risorse che avevano a disposizione. Un caso classico è quello dell'Isola di Pasqua, dove gli abitanti tagliano tutto quanto e scompaiano.
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Quello che è accaduto sull'Isola di Pasqua può tranquillamente accadere anche sulla Terra, dato che siamo solo un'isola più grande. Ma quante risorse ci sono ancora su quest'isola? È una cosa che sappiamo esattamente. Nel 1972 il Club di Roma che era formato da scienziati di tutto il mondo si riuniscono per studiare il nostro futuro e producono un documento che troverete in Internet ovunque ed è stato comunque stampato e venduto il 24 milioni di copie, dunque non esattamente una cosa sconosciuta, che si chiama "Sui limiti del nostro sviluppo". È un documento fondamentale, proprio perchè già nel 1972 questi signori si pongono la domanda che appunto è fondamentale per qualsiasi specie che è "Ma se continuiamo a consumare così, quanto dureranno le nostre risorse? Fino a quando questa civiltà potrà mantenere questi standard consumando e agendo sull'ambiente in questa maniera?". Vengono fatti dei modelli, delle curve, che ci dicono che nel 2072 , quindi in un secolo, davvero una quantità di tempo ridicola per la storia del mondo, non sarà più possibile mantenere la civiltà così come la conosciamo noi, se non cambiando radicalmente il nostra approccio all'ambiente. E cosa intendevano con "non sarà più possibile mantenere la nostra civiltà?” Intendevano che "ci sarà una riduzione della popolazione da un terzo alla metà". Questi modelli sono stati sbeffeggiati dal mondo intero. non perché fossero fatti male ma perché tutti dicevano "cosa ne volete sapere voi di cosa accadrà nel 2010 o nel 2020 quando la tecnica avrà prodotto tanti e tali straordinari risultati da rendere il vostro calcolo completamente obsoleto e senza alcun valore?" Una critica che potrebbe sembrare ragionevole, se non fosse che sono passati 50 anni e la realtà ricalca esattamente le curve disegnate nel modello del Club di Roma. Sembra quasi che questi scienziati nel 1972 avessero doti di preveggenza, non capacità di modellare il futuro. Questo ci dice anche che 50 anni di scienza e tecnologia non hanno mosso di una virgola quel modello. Perché? Il motivo è che la tecnologia riesce a risolvere delle cose che a noi non servono per sopravvivere. Alla fine dell'Ottocento questo concetto era stato già elaborato: la rivoluzione industriale era basata sul carbone, una risorsa unica e non infinita. Perciò gli industriali inglesi si chiedevano cosa sarebbe successo una volta che il carbone fosse finito. Iniziarono a dire "è vero che il carbone sta diminuendo ma troveremo dei sistemi per rendere più efficiente la produzione di energia a parità di carbone: con un chilo di carbone invece di produrre 1 produrremo 20". E in effetti è successo proprio questo ma il risultato è stato che la richiesta di carbone è aumentata e non diminuita. perchè a differenza di quanto si pensa, la produzione di processi più efficienti non riduce la richiesta della risorsa ma l'aumenta. Quello che dobbiamo cambiare è il nostro approccio all'ambiente. La tecnologia e la scienza non cambieranno di un nulla il nostro destino (che ormai è solo di altri 50 anni) se non cambieremo istantaneamente il nostro approccio alle risorse del pianeta. Uno degli articoli più categorici de “La nazione delle piante” dice che è vietato l'uso di qualsiasi risorsa che non è completamente riciclabile, qualunque risorsa che si consumi non può essere consumata. I 50 anni che rimangono sono pochissimi.
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foto di Niccolò Faietti
Noi stiamo andando a grande velocità verso una cosa che sinteticamente viene definita una diminuzione da una metà a un terzo della popolazione mondiale, senza fare nulla. E noi saremmo meglio delle piante? Le piante non consumano assolutamente mai più di quello che hanno a disposizione. Quale tecnica, quale tecnologia potrebbe mai ricreare delle risorse che sono scomparse? Il miracolo. Questa è l'unica tecnologia che può fare una cosa del genere. qual è questa tecnologia che stiamo aspettando? È finito il petrolio e pum ritorna! Non c'è questa tecnologia che ricrea le risorse consumate, nè potrà mai esistere. E non potrà mai esistere una tecnologia che non consuma risorse, cioè quello che voglio che abbiate molto chiaro è che i telefonini, qualsiasi cosa oggi faccia girare il mondo, richiede delle risorse. richiede dei minerali. proprio della roba fisica. il cobalto. il litio. che finiscono. E poi dove li prendiamo? È finito il fosforo. per capirci il fosforo serve per far crescere le piante, ed è finito. Nel 2030 non ci saranno più fertilizzanti fosfatici. Ci sono tutte le curve di disponibilità dei diversi elementi, sono disponibili pubblicamente, non è una cosa arcana, di ogni elemento sappiamo quanto ce n'è e quando finirà. Questa è la questione. E cosa possiamo apprendere dalle piante? A consumare solo ciò che possiamo consumare.
4. Le migrazioni Le migrazioni dovrebbero essere in un mondo ideale non soltanto consentite ma agevolate. Le migrazioni sono uno dei modi attraverso cui la vita riesce a sopravvivere. L'uomo in Europa è arrivato migrando dall'Africa in risposta a dei cambiamenti climatici. Uno degli articoli della Costituzione delle piante dice che la Nazione delle piante non riconosce confini e il diritto a migrare è un diritto sacrosanto di qualsiasi essere vivente. Pensate a quello che vedete attorno a voi. Non so se a Modena siano arrivati i pappagalli, a Firenze sì. Pensate siano uccelli autoctoni, tipici delle nostre terre? No, sono arrivati negli ultimi 15 anni, spinti dai cambiamenti climatici. È talmente banale questa cosa che è uno dei motori della sopravvivenza. Quando i cambiamenti climatici portano a un innalzamento di mezzo grado - agli attuali ritmi avviene tra i 30 e 50 anni -
per noi può sembrare anche una cosa piacevole. “Guarda non abbiamo più gli inverni rigidi, che bello. C'è un po' di rottura di palle, ogni tanto piove forte”. Ma alla fine a noi questi cambiamenti climatici non ci danno fastidio. Ma questo stesso mezzo grado qualche chilometro più a sud nella fascia sub-sahariana, nel cosiddetto Sahel, provoca lo spostamento della linea dell'agricoltura, cioè la zona dove si può coltivare e poi mangiare, di 150 km. Avete idea di quante persone vivono in una fascia di 150 km? Queste persone non possono più coltivare e quindi vivere lì con tutto quello che ne consegue in termini di carestie, guerre. Il problema principale è sempre l'ambiente. poi le altre cose sono robe ancillari, cioè che avvengono come conseguenza di quello che succede all'ambiente. Quando sposti di 150 km in 30 anni il limite di vegetazione ti devi aspettare che ci siano decine di milioni di persone che si spostano. Pensate com'è assurdo il nostro modo di operare nei confronti delle migrazione. Noi lo sappiamo perfettamente che migrare è un modo di sopravvivere, che le specie utilizzano la migrazione per sopravvivere. Le piante per esempio negli ultimi 30 anni hanno fatto delle enormi migrazioni che noi abbiamo studiato. Ad esempio il leccio in Catalogna fino al 1980 non esisteva sopra i 1000 metri. oggi la fascia predominante di tutta la vegetazione di lecci in Catalogna è fra i 900 e i 1400 metri. Questa cosa che le piante migrano è talmente importante per la loro sopravvivenza che noi lo sappiamo e facciamo dei calcoli e abbiamo dei piani già pronti per intervenire per far migrare noi le piante in luoghi dove possono crescere qualora non ce la facessero da sole e rischiassero l’estinzione. Garantiamo alle piante e agli animali un diritto che noi stessi ci togliamo, senza nessuna logica. La vita ha sempre fatto uso delle migrazioni. la migrazione è una forza fondamentale della natura. E noi oggi vorremmo bloccare le migrazioni di tutti. Cos'è questa paura dell’invasione? Le piante invasive per esempio. C'è un'ossessione per le piante invasive. Ma quali sono le piante locali? Lo sapete da dove viene il grano? E il basilico? Il pomodoro? La pasta con il pomodoro che è il nostro pianto nazionale non viene mica dall’Italia. C'è sempre stato un grado di mescolamento, la vita è fatta così.
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RICORDO
Ermanno Salvalai —
di beppe manni
foto di Marcella Menozzi
Ermanno Salvalai aveva 89 anni. È l’ultimo e più vecchio testimone insieme al falegname Vittorio Candi dei fondatori del Villaggio Artigiano. Era lucido, sorridente, interessato alle cose nuove, sempre disponibile. Veniva spesso consultato per le sue testimonianze sul Villaggio dai ragazzi e dalle ragazze di OvestLab. La sua officina era una meta obbligata per visitare un pezzo delle vecchie aziende. Ogni mattina fino a pochi mesi fa scendeva dal suo piccolo appartamento e andava in officina tra gli operai. Oppure incontrava vecchi amici al bar su quelle strade dove centinaia di operai ed operaie negli anni Sessanta e Settanta andavano e venivano in bicicletta dal lavoro o dalla mensa. Salvalai aveva fondato nel 1954 la SEA (Saldature Elettriche Autogeno). In quel tempo quasi cento erano le officine nate a Modena Ovest per volontà del sindaco Corassori che voleva dare lavoro e prospettive a operai licenziati dopo la guerra. Ermanno all’età di 14 anni era rimasto senza padre, morto nel ‘44 sotto le macerie delle Ferriere distrutte da un bombardamento. Lui, unico
maschio di tre figli, dovette andare a lavorare come garzone saldatore a Saliceta San Giuliano. “Abitavamo di fronte a un campo militare americano. I soldati più vecchi avevano preso a benvolere noi ragazzi perché gli ricordavamo i loro figli lontani. Ci davano del pane e della cioccolata: era la prima volta che la mangiavo. Quando se ne sono andati ci hanno dato dei capi di vestiario. Io mi vestivo con giacca da ufficiale, occhialoni da motociclista, braghe mimetiche, stivaloni. E così vestito andavo a fare il saldatore: hanno cominciato a chiamarmi l’Americano”. Infatti sotto questo nomignolo hanno continuato a chiamarlo al Villaggio. Nel 1955 costruisce un primo capannone in via Zarlati lavorando di sera e di domenica. “Ma non abbiamo soldi” aveva detto Ermanno al sindaco Corassori che gli suggeriva di fare il capannone lontano da centri abitati per via del rumore. “Non ci pensare, aveva risposto, prendete la terra e poi quando avete 10 mila lire me le date”. La ditta si trasferì poi in Via Orsini dietro alla Coop Fonditori e si è specializzata nella costruzione di piccole betoniere, i dumper. Oggi la ditta è diretta dal figlio Alberto, laureato in Economia: nel suo ufficio sta in bella mostra la foto della consegna del diploma di laurea fatta dal professor Marco Biagi. Ermanno è l’ultimo di una razza di artigiani tornitori, saldatori, fresatori, fabbri, lamieristi, elettricisti (ma anche falegnami, tipografi, magliai, ecc) che nel dopoguerra, con coraggio, sacrifici, intelligenza e grandi capacità hanno costruito la fortuna ‘meccanica’ e non solo dell’industria modenese. Lavoravano con le loro mani abili e onnipotenti, addestrate da antichi maestri, ma avevano imparato a leggere i disegni e a conoscere i materiali alle scuole Corni serali. Preparavano pezzi per le grandi aziende. Sapevano risolvere ogni problema, inventavano attrezzi e macchine. Collaboravano tra di loro. Padroni con la tuta in mezzo ai loro operai. Le mani dell’artigiano sono mani di artista belle, oneste e pulite anche se con i calli e le cicatrici del lavoro; come dice la Bibbia nel racconto della Creazione, hanno ricevuto la materia informe e hanno continuato trasformandola l’opera creatrice di Dio. Nel soppalco dell’officina, Salvalai conservava gelosamente attrezzi e macchine da lui costruite che voleva donare a un museo delle officine al Villaggio. Un antico gasometro. Perché la loro memoria non vada dispersa. Ermanno riposa in pace dopo le lunghe giornate di lavoro. Il figlio Alberto ha messo nella bara un cannello di ottone da saldatore che gli faccia compagnia nella tomba.
C R U C DI V I E N R C B R PAROLE C I A T E
Il cruciverba è stato realizzato dall’equipaggio di Fionda in collaborazione con gli artisti e i giornalisti presenti a Periferico 2019 nel corso del laboratorio Parole incrociate.
ORIZZONTALI 1) Sigla di Venezia 3) Riempire fino all'orlo 11) Pratica di divertimento per bambini 12) Allarme, segnale 13) Si “sbrigano” per finta 15) Fiumiciattolo 16) Automobile di ultima generazione che porta il nome di un inventore 17) Sigla dei raggi solari più pericolosi 18) Arrivano per demolire 20) Quella dimensione che va a braccetto col tempo 21) Opposte alla luce 24) La lettera muta 26) Sillaba che fa il verso alla gallina 27) Molti la sognano pochi l'affrontano 28) Per combatterla bisogna stare vicini 29) La settima nota 31) Fortemente desiderato 34) Sigla del celebre treno sui cui salì Poirot per svelare un assassinio collettivo 35) Se ne vedi uno brutto, non torni più a teatro 39) È meraviglioso quello di Oz 41) … fu sì come immobile 42) Quello che manca 44) Senza zucchero 45) Generare, comporre 46) Particella che con “uso” e “generazione” crea concetti in voga anche per Fionda 50) Serbatoio per acqua o altri liquidi
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51) Non è una montagna ma ci si appoggiano i binari 53) Uno dopo l'altro si va lontano 55) Numero palindromo che inclinato di 90° tende all'infinito 56) Ante Domine 58) In mezzo al cerume 60) Al contrario della razza, esiste 63) Al Circolo Piazza non si può... 64) Poi, in seguito 66) Arcaico avverbio di luogo 69) Io ho, tu hai, egli... 70) La parte dell'attore 71) Quello cinematografico può essere dappertutto 72) La fanno Rivista ed Enigmista 73) A favore di 74) Avere casa ovunque 77) Poter stare in pantofole 79) Sigla verde su molti alimenti 80) Né sì, né no 81) Come il 41 orizzontale 82) Gol di piedi e gol di... 83) Rumore disturbante, tipico delle mosche 87) Non qui ma... 89) Gli alieni a volte li rapiscono 91) Quella cosa che ognuno ha ma che è diversa per tutti 93) Non ce n'è abbastanza per tutti 95) Sigla per “cercasi” 96) Si accende e si realizza 97) Inventiva, creatività 98) Particella che indica “uguale” nei nomi
100) Calca, folla 102) Quando è fuori, sei a disagio 105) Sarebbe opportuno (o bello, se non necessario...) averne uno per la vita! Poi vedi tu... 108) Quando c'è, chiami l'idraulico 109) Re di Micene, assassino di Agamennone 110) Gruppo di due
VERTICALI 2) Io... quando mi sento molto importante 3) Uniti e compatti 4) Quella degli occhi è sinonimo di amore 5) Non è qui. Oltre il proprio confine. Ai confini della realtà 6) Lui senza personalità 7) Il saluto più semplice 8) Quando arriva, gli occhi si sgranano 9) Non va persa quella storica 10) Bruciato, carbonizzato 13) Si accompagna spesso con le patate 14) imposta del Valore Aggiunto 18) Organo di propulsione, anche nucleare 19) È il clan più potente 20) Se la scrivi con la Q allora non l'hai fatta
22) Formaggio francese 23) Una cosa che prima non c’era. Poi diventa scontata. Poi è vecchia. Poi va cambiata. 24) A Roma c'è quella Pacis 25) La prima forma di danza che ci fa cadere rimanendo in piedi 29) A Vignola le ciliegie ci finiscono sotto 30) Secondo Donatella Rettore non è un serpente 32) Le ultime della Samba 33) Sigla di Torino 35) Lo è il letto del fiume se non piove 36) Non tu, quel ragazzo lì... 37) In mezzo al boom 38) Anche se è sporca, non si lava... 40) Luogo confortevole, proprio o comune 43) Aiuto! 46) Il contrario della 54 vert. 47) Senza vigore, spento 48) C'è quella preistorica e quella attuale dell'antropocene 51) Il fiore preferito di Riccardo Cocciante 52) La tromba militare serve per... 53) La musica più diffusa 54) Il tema della nostra rivista 57) Straordinario. Extra. 59) La caramella che incontra il caramello 60) È d'oro 61) Puri, innocenti
62) Utile in campeggio 64) Quelli di vinile stanno tornando di moda 65) Un modo ideologico per dire che stiamo tornando indietro 67) A voi 68) Prefisso per il sangue 73) Ci si è sempre immersi 75) Ogni artigiano ne sa fare uno 76) Duplice, binario 77) Associazione Naturista Emiliano Romagnola 78) Penna a sfera 79) Quello di piume a volte aiuta a sedurre 84) Macchia d'onore 85) Le consonanti di Nuotare 86) L'incipit degli iban italiani 88) L'avverbio ancora in latino 89) Al centro del motore 90) La memoria interna del computer 92) Sogno o son...? 94) Maschera quotidiana 99) Bisogna averne per chi si ama 101) Cento grammi 102) Il femminile del 36 vert. 103) Al centro della moda 104) Off Topic 106) Old Garden 107) È successo 108) Lo storico cantante dei Litfiba, ora solista (iniz.)
Terrapiattismi 26
2 — luglio 2019
FOTOROMANZO
Manuel e Rosa si incontrano casualmente per i provini di un fotoromanzo sui terrapiattisti. Nella conversazione parlano dell’insensatezza di un progetto simile, ma poi scatta una scintilla tra i due.
Ciao, anche tu per il fotoromanzo?
—
a cura della redazione di fionda con la collabora zione del teatro del limone , in particolare agli attori : alessia parlato nel ruolo di segretaria di produzione , andrea mazzetto nel ruolo di manuel , samanta xhokola nel ruolo di rosa . fotografie di cinzia ascari con il prezioso aiuto di roberto bonfatti , alessandro della santunione , simona fiorani , marino neri .
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Intanto le presentazioni, io mi chiamo Manuel.
Si... non so se si può entrare già o meno.
Rosa, piacere.
Un fotoromanzo... Bella idea no? Già... È proprio quella nota nostalgica mista a romanticismo che mi ha attirato! Vedremo..
Però non mi è chiara una cosa: tu sai quello che dobbiamo fare? Insomma, qual'è l’argomento di questo “fotoromanzo”?
Al telefono mi hanno parlato di terrapiattisti... Sai cosa significa?
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Non sono quelle persone che credono che la terra sia piatta?
Mmmm... terrapiattisti?
Credono che la terra sia come un disco?
Piatta??? Ma quindi... che abbia un perimetro? Quindi potremmo cadere giĂš?
Penso di si... ma potrebbe essere vero? Non ci ho mai pensato..
Non so se questa storia sia vera, ma almeno questo fotoromanzo ha portato qualcosa di positivo...
2 — luglio 2019
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Ho conosciuto Manuel! E’ proprio carino questo ragazzo.
Senti, stiamo aspettando da una vita che ci chiamino... mi sono rotto di stare qui immobili.
Ti va se andiamo a vedere se i terrapiattisti hanno ragione?
Siamo già ad Ovest, se c'è un confine non sarà lontano.
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2 — luglio 2019
Ma dove sono finiti?
E’ una vita che li aspettiamo!
2 — luglio 2019
Fine *
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PRENDERE PARTE
puoi a un laboratorio incentrato sul “ fare ” manuale , sull ’ arte performativa o sull ’ innovazione civica
PARTECIPARE
puoi alle attività laboratoriali dedicate alle famiglie o agli itinerari didattici per le scuole
FREQUENTARE
puoi la scuola archivio leonardi ( www . scuola. archivioleonardi . it)
PORTARCI TUOI MATERIALI
puoi foto , video e documentazione sulla storia del villaggio artigiano di modena ovest da includere nel nostro archivio di fonti orali ( http://ovestlab. it/afor)
INCONTRARE
puoi un artista in residenza o partecipare all ’ esito del suo lavoro sul territorio , ad esempio in uno spazio dismesso o in una bottega artigiana
CONOSCERE
puoi la realtà del villaggio artigiano , la sua storia , partecipare alle visite guidate e agli incontri puoi
CONTRIBUIRE
alla redazione di questa rivista
FARE LA SPESA
puoi al mercato bio e chilometri - zero di alimentazione ribelle
USARE LO SPAZIO
puoi per realizzare un tuo progetto o proporci un ’ idea per svilupparla insieme
...
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puoi a un concerto o a uno spettacolo , visitare una mostra o ascoltare una conferenza
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