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Il rapporto fra ospedale e territorio Dal lavoro alla pensione
N. 3 / 2022 Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Pavia
Fra ospedale, territorio e casa
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ALBERTO OLIVETI
Presidente Fondazione Enpam Non esiste una buona pensione se non c’è un buon lavoro. E questo vale sia a livello dell’individuo, che deve essere in grado di versare contributi per costruirsi una pensione adeguata, sia a livello di ente, che può garantire la previdenza solo se c’è un flusso contributivo coerente con le previsioni. È quindi evidente che l’Enpam non possa non interessarsi dell’evoluzione dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale.
L’esigenza è sicuramente di integrare maggiormente ospedale e territorio. Specialmente in alcune zone d’Italia, con un divario nordsud rilevante, partiamo da una condizione di “ospedalo-centrismo” obbligato, con i cittadini che si riversano sulle strutture ospedaliere a causa di una ridotta possibilità di ricevere assistenza territoriale, anche per evidenti problemi di distribuzione geografica. Da un lato occorre un nuovo ospedale che sia soprattutto tecnologico e flessibile, a partire dalla struttura muraria stessa, prevedendo pannelli che permettano di aprire e chiudere spazi a seconda del bisogno, come abbiamo visto con il Covid. Ma è anche chiaro che l’ospedale dovrà essere sempre di più riferito alle vere acuzie, alla chirurgia – sia d’urgenza sia elettiva –, con dei pronto soccorso ben attrezzati per affrontare tutte le emergenze e una degenza che sia limitata allo stretto indispensabile. Per farlo occorrerà che l’ospedale stesso “impari” ad agire anche sul territorio, aiutato in questo dalla tecnologia che consente di monitorare a distanza pazienti gestiti a casa grazie all’ausilio di dispositivi innovativi. Nello stesso tempo va potenziata l’area del territorio, coinvolgendo le strutture intermedie rispetto all’ospedale vero e proprio. Il contesto di partenza è noto: in Italia soffriamo le conseguenze della scarsa programmazione, dal 2006 non si è fatto un piano sanitario nazionale e dal 2013 non c’è una relazione sullo stato di salute del Paese. E abbiamo sofferto di un finanziamento scarso, soprattutto riguardo al capitale professionale umano, che ha sofferto in maniera massiva dell’impatto di tali gravi mancanze.
Ora dobbiamo giocarci tutte le carte: gli ospedali per gli acuti, gli ospedali di comunità come strutture intermedie sia in andata sia in ritorno (post-acuzie), le Rsa, le centrali operative territoriali, i distretti evoluti o case di comunità centralizzate (hub), ma soprattutto le case di comunità periferiche (spoke) che in concreto sono gli studi professionali. È in questi ultimi luoghi che i medici del territorio possono portare il vero valore aggiunto nel loro esercizio professionale, cioè il rapporto fiduciario, diretto e continuato nel tempo, con i cittadini che li hanno scelti. Fondamentale, poi, la presenza capillare del personale di studio e l’utilizzo della massima digitalizzazione e strumentazione tecnologica possibile. Solo così sarà possibile fare sia diagnosi e assistenza sia fornire big data sulla cui analisi costruire anche strumenti di opportuna programmazione sul territorio. In un quadro del genere, fare un’assistenza domiciliare integrata al 10% della popolazione al di sopra dei 65 anni smetterebbe di essere un’idea auspicabile per diventare un obiettivo praticabile per la sanità pubblica, sottolineando peraltro che la casa è il primo luogo di cura. Appare evidente che nulla di tutto ciò sarà effettivamente praticabile se non si interverrà sulla formazione a ciclo completo dei professionisti. L’Enpam potrà fare la propria parte, anche investendo risorse per rendere meno disomogenea possibile la fruizione del diritto alla salute sul territorio. Del resto, sono proprio i medici e gli odontoiatri i contribuenti della Cassa previdenziale, che con il loro lavoro rendono esigibile questo diritto costituzionale di tutti.