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L'EDITORIALE
Condividere i bisogni per cercare soluzioni
Carlo Maria Lomartire – Direttore Responsabile
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Una certa ideologia, che gli economisti definiscono “sviluppista”, ci aveva convinti che, grazie ad un ininterrotto sviluppo, la ricchezza non solo sarebbe continuamente cresciuta ma si sarebbe anche diffusa sempre di più in tutti gli strati della società. Sappiamo che non è andata così, e non solo a causa della serie di imprevedibili crisi che ci ha colpito in pochi anni: dalla pandemia con conseguente recessione, al ritorno della guerra nel cuore dell’Europa, alla “carestia energetica”, preparata e cominciata ben prima della guerra in Ucraina. In realtà già da tempo la cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia aveva lasciato campo libero a qualsiasi forma di speculazione e aveva consentito una ingiusta distribuzione delle risorse, facendo in modo che i pochi ricchi diventassero sempre più ricchi e i molti poveri sempre più poveri e numerosi. Fenomeni, questi, di dimensioni planetarie, il che ne rende praticamente impossibile il controllo, la valutazione degli effetti e la correzione nel senso di una maggiore equità. Che fare, allora?
Per quanto ci riguarda non possiamo che attenerci alla nostra dimensione e al
nostro spazio. Si succedono ricerche, analisi e relative informazioni sulla
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diffusione della povertà in Italia, da quelle dell’Istat a quelle della Caritas. La reazione a questi allarmi è di chiedere l’intervento dello Stato, di invocare l’azione miracolosamente terapeutica della mano pubblica. Che certo non può e non deve mancare ma che non basterà, e anzi per certi versi crea nuove iniquità. Da parte nostra, dunque, da parte della cosiddetta società civile – individualmente, come gruppi e associazioni spontanee o come strutture organizzate a cominciare da quelle del terzo settore – non resta altro da
fare che prendere iniziative e agire. Agire non solo nel senso di partecipare alla ridistribuzione delle risorse disponibili, intervenendo direttamente per la soddisfazione immediata dei bisogni più urgenti, più
di quanto non si sia già fatto fino ad aggi, ma a questo punto, data la gravità della situazione, dobbiamo fare altro, introdurre
comportamenti nuovi. Dobbiamo cominciare a condividere non solo quanto è a nostra disposizione ma anche le rinunce
e i sacrifici. Comportamenti che possono essere ispirati dalla congiuntura storica nella quale siamo improvvisamente venuti a trovarci, situazioni particolari venute a crearsi proprio per effetto di questo grumo di crisi nel quale stiamo vivendo. Stiamo imparan-
do ad esempio a consumare meno energia, a sprecare meno cibo, a produrre meno anidride carbonica o agenti inquinanti, ad assumere, insomma, comportamenti che se pure non producono immediati benefici per i più bisognosi, certo migliorano la loro qualità della vita e anche la nostra grazie ai nuovi e più virtuosi comportamenti. Per dare di più bisogna anche
chiedere di meno, tenere di meno per noi, condividere il sacrificio: facili rinunce per chi dispone di più risorse, sensibile beneficio, anche morale, per i destinatari.