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Una biografia sentimentale e culturale, quella di Mendini, che vede i suoi esordi nella casa natale – fu in quello spazio magico che vidi le prime cose – espressione di un universo familiare e domestico, che trae alimento dall’arte e dagli stimoli figurativi e pittorici profusi dalle figure rappresentate nei quadri appesi alle pareti di Morandi, Severini e Sironi. Ma è soprattutto l’opera di Alberto Savinio – in bilico tra surrealismo e metafisica – a generare in lui una sorta di imprinting iconografico-progettuale de finendo una persistente linea di indirizzo che, assumendo la “stanza” come luogo della sedimentazione della memoria del l’abitare, lo accompagnerà per tutta la sua carriera. L’Annunciazione, nonché, L’isola dei giocattoli – ispiratrice dell’armadio Archetto – non a caso sono per Mendini quadri dell’anima espressione della necessità di ritrovare nell’infanzia primordiale dell’Homo ludens motivo di riscatto dalla monofunzionalità della ragione. La scrittura di Irace ci racconta di tormenti, di movimenti ciclici dei pensieri, della memoria e del fare. Ci parla di gesti volontariamente ripetuti, temi ritmicamente riproposti, ma sempre riformulati, che si declinano in varianti continuamente diversificate che rimandano ad altro da loro stesse e che raccontano di una carriera creativa e di un universo poetico basato sui ritorni, sull’introspezione, sulla sperimentazione emotiva tutta costruita sul filo sottile di un ricercato fragilismo. Sia che si tratti di un autoritratto, di un grafismo, di un macro o micro oggetto di design, di
un’architettura artistica, del gioco delle grandezze invertite o delle ricercate distorsioni percettive (effetto Gulliver o Alice a seconda dei casi), emerge come costante la teorizzazione di un pensiero che descrive una traiettoria circolare – espressione di una certa ritualità di approccio – che conduce a una interminabile riscrittura dell’oggetto che riattiva, con ogni sua rivisitazione, un nuovo ciclo. In questo senso è possibile concepire la progettazione come un infinito fenomeno di redesign, di styling e di fantasia che parte da oggetti già esistenti in commercio, per arrivare agli stessi oggetti purché trasformati nella loro immagine e perciò da “scarichi” divenuti “carichi”. Il tema del rammendo – da cui scherzosamente Mendini fa derivare l’etimologia del proprio nome (ram-mendini) – il procedere per frammenti, l’assemblaggio, l’arte della “crettatura”, il patch work, la stratificazione, il riciclo ecc. corrispondono tutti a una visione non lineare, ma ricorrente della Storia. Un ritorno che non è revival, ma è un riportare alla vita forme ormai condannate all’obsolescenza. Per il lavoro “labirintico” di Mendini, infatti, è possibile postulare una sorta di principio di conservazione del l’energia – in questo caso creativa – che porta a un’operosità incessante, effetto di una ruminazione ininterrotta, che assimila per trasformare. È il carattere ciclico del suo metodo […] – spiega Irace – a renderlo labirintico: ogni elemento viene usato e poi accantonato momentaneamente, per essere poi ripreso con una serie di varianti