La palestra dello scrittore - Le parole e la forma

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Lezione 1

al terzo piano, l’altoparlante chiamò un certo dottor Madison. Ann uscì dietro le infermiere, che voltarono dall’altra parte e ripresero la conversazione che avevano interrotto quando era entrata in ascensore. Percorse tutto il corridoio fino alla piccola sala d’attesa dove c’era la famiglia di colore. Adesso se n’erano andati, ma le poltroncine erano sparse in giro come se gli occupanti fossero saltati in piedi un attimo prima. Il tavolo era ancora ingombro degli stessi involucri e bicchieri, e il posacenere era pieno di cicche. Si fermò alla postazione delle infermiere. Una di loro era dietro al bancone e si spazzolava i capelli, sbadigliando. «C’era un ragazzo nero in sala operatoria stanotte» disse Ann. «Si chiamava Franklin. La famiglia era di là in sala d’attesa. Vorrei qualche informazione sulle sue condizioni.» Un’altra infermiera, seduta a una scrivania dietro al bancone, alzò lo sguardo da una tabella che stava consultando. Il telefono squillò e lei rispose, ma tenne gli occhi su Ann. «Non ce l’ha fatta» disse l’infermiera al bancone. Tenne alzata la spazzola e guardò fissa Ann. «Lei è un’amica di famiglia?» «Ho conosciuto la famiglia ieri notte» rispose Ann. «Ho anch’io un figlio ricoverato qui. Credo sia sotto shock. Non sappiamo con precisione cos’ha. Mi chiedevo solo come stava Franklin, tutto qui. La ringrazio.» Proseguì lungo il corridoio. Le porte di un ascensore dello stesso colore della parete si aprirono e un uomo calvo e magrissimo, con pantaloni bianchi e scarpe di tela bianche, tirò fuori un carrello pesante. La notte precedente Ann non aveva notato quelle porte. L’uomo spinse il carrello nel corridoio, si fermò accanto alla porta più vicina all’ascensore e consultò una tabella. Poi si abbassò ed estrasse un vassoio. Bussò piano alla porta ed entrò nella stanza. Appena passò accanto al carrello, Ann sentì lo sgradevole odore di cibo caldo. Accelerò il passo, non guardò nessuna delle infermiere e aprì la porta della stanza del figlio. Howard era in piedi davanti alla finestra con le mani dietro la schiena. Appena lei entrò, si voltò. «Come sta?» chiese Ann. Andò dritta al letto. Lasciò cadere la borsetta sul pavimento accanto al comodino. Le pareva di essere stata via un secolo. Sfiorò il viso del bambino. «Howard?» «Il dottor Francis è stato qui poco fa» disse Howard. Lei lo guardò meglio e le parve che tenesse le spalle un po’ curve. «Credevo non sarebbe venuto fino alle otto» si affrettò a dire lei. «Con lui c’era anche un altro dottore. Un neurologo.» «Un neurologo» ripeté lei. Howard annuì. In effetti teneva proprio le spalle curve, adesso ne era sicura. «Che cosa hanno detto, Howard? Per l’amor di Dio, che cosa hanno detto? Che c’è?» «Hanno detto che lo porteranno di sotto e gli faranno altre analisi, Ann. Pensano di doverlo operare, tesoro. Tesoro, lo operano senz’altro. Non riescono a capire come mai non si sveglia. C’è qualcosa di più, oltre allo shock e alla commozione cerebrale, adesso lo

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