RED SHOES MAGAZINE | Settembre/Ottobre 2021

SETTEMBRE/OTTOBRE 2021

CUORE DA

CAPITANI OTTOBRE ROSSO

CHACHO 300 GARE IN EUROLEAGUE REDSHOESMAGAZINE

L’INTERVISTA DINOS MITOGLOU 1

KYLE HINES

OLIMPIAMILANO.COM

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4 Ottobre Rosso 10 Chacho 300 13 One Team 14 Cuore da Capitani 18 L’intervista Dinos Mitoglou 22 L’intervista Jerian Grant 26 Olimpia Big Players John Gianelli

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OTTOBRE

ROSSO

11 partite in un mese, tra storia, rivalità, passato remoto e recente.

Tra queste in casa contro Maccabi ed Efes, in trasferta a Monaco per l’EuroLeague. Ma anche Venezia, Fortitudo e Sassari in campionato

Il mese di ottobre porterà l’Olimpia a giocare 11 partite tra campionato ed EuroLeague, a cominciare da quella già giocata con Trento, formazione che per i casi della vita Milano ha incontrato tantissimo negli ultimi anni (due volte nei quarti di finale dei playoff, una volta in semifinale e una volta in finale, nel giro di sei anni con l’aggiunta di un quarto di finale di Eurocup), ed è anche l’ex squadra di Shavon Shields, fino all’ultima che sarà con Sassari, il 31 ottobre, altra rivale frequente. In mezzo ci sono in tutto cinque partite di Serie A e sei di EuroLeague tra cui sfide cariche di significati come quelle con Maccabi, Efes Istanbul e Bayern

Monaco. Sei sono programmate al Mediolanum Forum. @Vitoria – E’ una trasferta storicamente ostica, perché in 19 precedenti, la squadra viaggiante ha vinto solo cinque volte con 14 successi di quella di casa. L’Olimpia due volte ha vinto a Vitoria, l’ultima nel 2018 con un canestro in penetrazione di Jordan Theodore nell’83-82 conclusivo. Un secondo motivo di significato è la presenza di Shavon Shields, che ha giocato due anni a Vitoria vincendo un titolo spagnolo, mentre tra i baschi figura un altro ex Olimpia, Simone Fontecchio. Un altro motivo di curiosità: si affrontano i due alle-

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natori che diedero vita alla prima finale di EuroLeague della storia e secondo (Ettore Messina) e quarto (Dusko Ivanovic) per presenze in panchina nella competizione. Solo Zeljko Obradovic ne ha più di Messina, solo Javi Pascual è in mezzo ai due. @Varese – Si tratta di un derby, tanto più rilevante per la storia che divide (o unisce) i due club che si sono incontrati in un numero-record di spareggi per lo scudetto, addirittura quattro di cui uno risolto a tavolino dopo molto tempo (nel 1966, per l’utilizzo di un giocatore di Varese, Tony Gennari, in posizione irregolare) e tre praticamente tutti in volata in tre stagioni consecutive.

Vs Maccabi – La sfida con il Maccabi apparentemente è limitata a 20 precedenti, con 12-8 a favore del Maccabi e in generale un bilancio favorevole alla squadra di casa dell’80%, 16-4. L’Olimpia ha vinto solo una volta a Tel Aviv, l’anno scorso, dopo un tempo supplementare grazie al jumper risolutivo di Malcolm Delaney (86-85). Ma la storia tra questi due club è molto più antica, perché coinvolge i tempi della FIBA e addirittura due finali consecutive giocate nel 1987 e 1988 in campo neutro e ambedue conquistate dall’Olimpia.

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Vs Efes – Questa è una rivalità che risale al 1996, quando le due squadre si affrontarono nella finale di Coppa Korac e l’Efes conquistò il primo titolo europeo di una squadra turca. Ma nell’era EuroLeague, la sfida si è rinnovata in modo importante, con addirittura 30 precedenti. Nessuna squadra è stata affrontata dall’Efes più dell’Olimpia. Il bilancio è 20-10 per i turchi Campioni d’Europa in carica, ma l’Olimpia ha vinto le ultime due battaglie la stagione scorsa, 7269 in trasferta e 98-75 a Milano. Di questa gara fanno parte rimonte, grandi battaglie e anche canestri rocamboleschi come quello di Zoran Planinic da tutto campo che nel 2014 impedì all’Olimpia di vincere per la prima volta sul campo dell’Efes, cosa che invece è accaduto la scorsa stagione.

Vs Venezia – L’aspetto più atipico di questa storia è che Milano e Venezia si sono incontrate spesso nei playoff (2013, 2016, 2021) ma mai in finale. Così in Coppa Italia.

Unica eccezione, la Supercoppa del 2017 a Forlì vinta dall’Olimpia.

Lo scorso anno le squadre si sono incontrate ben sette volte con sei vittorie dell’Olimpia (Supercoppa, Coppa Italia, 3-0 nei playoff, 1-1 in regular season).

Vs ASVEL – Questa è una sfida

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Kyle Hines Vs Bayern Monaco

Malcolm Delaney Vs Maccabi

Kyle Hines Vs Austin Daye Rakim Sanders Vs Sassari REDSHOESMAGAZINE

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con poca tradizione tra squadre che si sono incontrate solo tre volte, con tutti successi interni. Ma ci sarà modo di cementare una certa rivalità, perché l’ASVEL è ormai membro a tutti gli effetti dell’EuroLeague. @Bologna Fortitudo – Ci sono stati anni di rivalità molto sentita tra Olimpia e Fortitudo, in particolare nel 1996 quando l’Olimpia vinse lo scudetto superando in quattro gare la squadra di Bologna.

Nel 2005 si sono ritrovate in finale scudetto e ha prevalso invece la Fortitudo conquistando Gara 4 al Mediolanum Forum attraverso uno dei canestri più famosi del basket italiano, quello di Ruben Douglas allo scadere di tabellone. Nel 1996 però l’Olimpia aveva fatto saltare il fattore campo vincendo Gara 3 con un grande canestro di Dejan Bodiroga. @Monaco – Stiamo parlando di una gara con 13 precedenti, ma tutti compresi a partire dalla stagione 2014/15 di cui sette risalgono alla stagione scorsa quando Olimpia e Bayern si sono date battaglia nei playoff di EuroLeague per cinque gare combattutissime.

L’Olimpia è avanti 8-5, lo scorso anno ha vinto 5-2 nel complesso, ma si tratta di una partita in cui la squadra di casa ha vinto 10 vol8

te su 13 e sei su sette la passata stagione (unica vittoria in trasferta, quella dell’Olimpia, fu dopo un tempo supplementare, firmata da Shavon Shields).

Vs Stella Rossa – La storia è lunga perché contiene sfide degli anni ’70 inclusa una finale di Coppa delle Coppe vinta dall’Olimpia a Salonicco con Arthur Kenney in trionfo.

La storia recente però è strana, perché l’Olimpia ha sempre faticato a battere la Stella Rossa con la quale ha accumulato una serie di sei sconfitte consecutive prima di batterla lo scorso aprile. Quella però fu la vittoria che qualificò l’Olimpia ai playoff di EuroLeague.

Vs Sassari – Il mese finisce contro Sassari al Mediolanum Forum.

Anche questa è una storia lunga, visto che le due squadre si sono affrontate nei playoff del 2011, 2014, 2015, 2019, nelle finali di Coppa Italia del 2015 e del 2017, nella finale di Supercoppa del 2014. E a proposito di tutte queste sfide, molto rocambolesche, tutti hanno la storia da raccontare e il loro protagonista da incensare. Su ambedue le sponde il più popolare resta sicuramente Rakim Sanders che vinse tre trofei nel 2015 con Sassari e poi ne vinse altri quattro con Milano.

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SHAVON SHIELDS

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300 CHACHO

Sergio Rodriguez è il nono giocatore della storia a superare le 300 presenze in EuroLeague. La prima risale al novembre del 2004, ma poi andò via per anni, nella NBA. La sua storia è sconfinata

Aveva 18 anni, indossava il numero 11 e giocava nell’Estudiantes Madrid che l’anno prima aveva raggiunto la finale del campionato spagnolo. Sergio Rodriguez era già Chacho, ma non aveva ancora creato la cultura del Chachismo. Era il 4 novembre del 2004. Giocò la sua prima partita di EuroLeague, a Istanbul, Abdi Ipekci Arena. L’Efes vinse 81-72. Il titolare del ruolo all’Estudiantes era Nacho Azofra. Lui giocò 15 minuti e segnò tre punti. La prima tripla della sua carriera. Adesso ne ha 500. Quindi è stata in qualche modo profetica anche se a quei

tempi Sergio Rodriguez era un fantasista ma era non ancora il tiratore che è diventato in seguito.

Questa è la dodicesima stagione di EuroLeague per Sergio Rodriguez, ma soprattutto gli vale il traguardo delle 300 partite giocate. Il playmaker nativo di Tenerife ha giocato una stagione all’Estudiantes Madrid, sei al Real Madrid, due al CSKA Mosca e due a Milano. E’ il nono giocatore della storia con almeno 300 presenze in EuroLeague, il quarto spagnolo dopo Felipe Reyes, Juan Carlos Navarro e Sergio

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Llull. A livello statistico, Sergio Rodriguez è in grado di tagliare presto altri traguardi significativi: attualmente, è il terzo di sempre nei canestri da tre punti, una posizione che da qualche tempo si scambia con i suoi ex compagni di squadra Sergio Llull e Rudy Fernandez. Tuttavia, Chacho vanta 500 triple in carriera, una soglia oltrepassata per ora solo dallo stesso Navarro e Vassilis Spanoulis. Tra l’altro, a livello di primi cinque di sempre, Rodriguez è il più preciso, oltre il 39% in carriera. Chacho è anche il terzo di sempre negli assist e il settimo nei punti. In due anni, è diventato anche il primo di sempre in maglia Olimpia negli assist in EuroLeague.

Ma tutto cominciò appunto nel novembre del 2004 a Istanbul, con il numero 11 e la maglia dell’Estudiantes. Tre turni più tardi, partì in quintetto per la prima volta in EuroLeague, a Zagabria contro il Cibona. Nel girone di ritorno, contro l’Efes ma a Madrid, per la prima volta andò in doppia cifra e sempre contro il Cibona segnò il primo “over 20” della carriera all’11° apparizione.

Quell’anno giocò 14 partite. Per 12

raggiungere quota 15 avrebbe dovuto aspettare il 2010, perché l’anno seguente l’Estudiantes non si qualificò per l’EuroLeague e nel 2006 volò verso la NBA. Il suo è stato un percorso straordinario, ma non ancora terminato durante il quale ha vinto due titoli europei e il titolo di MVP nel 2014 partendo ogni volta dalla panchina. Non fosse andato nella NBA – dove ha giocato un’altra stagione, tra Madrid e Mosca – con altre quattro o cinque stagioni probabilmente sarebbe già attorno al traguardo, mai tagliato da nessuno, delle 400 presenze.

Chacho ai tempi del Real

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L’Olimpia Milano si è aggiudicata lo One Team Silver Award One Team è il programma aziendale di responsabilità sociale (CSR) di EuroLeague Basketball e utilizza il basket per avere un impatto sociale positivo nelle realtà nelle quali opera. Dalla sua fondazione, nel 2012, il programma One Team ha raggiunto direttamente o indirettamente 22.000 partecipanti, attraverso i diversi progetti delle singole squadre, attivati nel corso della stagione.

Olimpia Milano e Fondazione Laureus Italia collaborano da tre anni per il difficile tema “dell’integrazione nella comunità” realizzando un’iniziativa rivolta agli studenti della Scuola Primaria Baroni, nel quartiere Gratosoglio della periferia sud di Milano dove vivono persone di diversa provenienza a rischio di esclusione sociale.

Lo scorso anno hanno partecipato al progetto tre classi di 5° elementare, 60 bambini di 11 anni provenienti da differenti contesti culturali, che faticano a integrarsi, per distanza linguistica e soprattutto per carenza di offerte rivolte a loro e alle loro famiglie.

Sono famiglie molto numerose che si mantengono con lavori precari, la scuola diventa spesso l’unica opzione per promuovere processi educativi e di inclusione per i bambini di queste aree. Da qui l’importanza di portare delle proposte sportive proprio nelle scuole.

Il progetto si è aggiudicato il secondo posto agli One Team Awards di EuroLeague, un riconoscimento che mette in luce i migliori progetti e tutto quello che è stato fatto per dare un inizio di speranza e di futuro migliore.

Il progetto, coordinato dal One Team Manager Michele Samaden in collaborazione con Lara Tagliabue di Laureus Italia, si è avvalso del supporto della psicologa dello sport di Laureus Alessandra Stella, in qualità di tutor, il cui compito è stato affiancare la coach Olimpia Marilisa Zanini, durante le attività previste.

Le finalità sono molteplici e investono sia la sfera prettamente emotiva e psicologica che quella fisica.

Laureus cerca infatti di educare i bambini al rispetto delle regole e alla comunicazione tra pari e con l’adulto, affinché possano acquisire delle competenze da un punto di vista emotivo, psicologico e motorio.

Nella stagione 2020/21 Olimpia Milano ha coinvolto due nuovi Ambassadors, Kyle Hines e Luigi Datome, da anni parte della famiglia di One Team. Hines commenta così: “Sono felice di essere ambasciatore del progetto One Team assieme a Gigi Datome per l’Olimpia Milano. Dal 2012, dall’inizio quindi, faccio parte del programma. È stato bello vedere come di anno in anno sia cresciuto e come continui ad aiutare tante persone. Il progetto ci permette, come atleti, di avere un vero e proprio impatto nella comunità in cui giochiamo. Non vedo l’ora di continuare ad aiutare la missione di One Team”. Gli fa eco Datome: “One Team è un modo per aiutare e per sensibilizzare tematiche socialmente utili. È un onore ogni anno farne parte e poter incidere sulla vita di chi partecipa al progetto.”

Le tre classi della scuola Baroni di Gratosoglio sono rimaste in collegamento on line da Novembre a Maggio per finalmente tornare in presenza con tre sedute alla settimana a fine stagione.

Un’occasione che si aspettava da un anno, dallo scoppio della pandemia che ha costretto i partecipanti a seguire gli allenamenti solo via web. In questi mesi l’attenzione dei piccoli scolari è stata tenuta accesa sul progetto attraverso dialoghi, giochi con la palla, esperienze di vita, tutto svolto da casa o a distanza in classe, inventando ogni giorno nuovi giochi, iniziative e molto altro.

Un cammino a volte ostico e difficoltoso ma sempre entusiasmante che ha permesso in un anno di tenere insieme più di sessanta bambini mantenendo accesa la speranza in un futuro migliore.

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INSIDER

DUE CAPITANI, CI SONO DUE… Era già successo nella stagione 2006/07. Quest’anno due giocatori condivideranno i gradi per quello che rappresentano per la loro storia e la loro presenza. Nicolò Melli e Sergio Rodriguez

Nicolò Melli e Sergio Rodriguez condivideranno i gradi di Capitano nell’arco della stagione 2021/22. Sono il 30° e il 31° capitano della storia del club.

Melli è il giocatore che vanta il maggior numero di presenze tra i membri del roster attuale, ad eccezione – in EuroLeague – di Kaleb Tarczewski. Rodriguez significa molto per la storia contemporanea dell’Olimpia. E’ stato il primo giocatore “storico” a firmare per Milano certificandone la credibilità a certi livelli europei. Dopo di lui sono arrivati Kyle Hines, Malcolm Delaney,

Gigi Datome e infine lo stesso Nicolò Melli sia pur di ritorno.

Enrico Castelli, milanese classe 1909, è stato il primo Capitano nella storia dell’Olimpia e di conseguenza anche il primo Capitano campione d’Italia nel 1936. Come tale ha vinto quattro scudetti, lasciando i gradi nel 1940 a Sergio Paganella.

Entrambi figuravano nella Nazionale italiana che giocò le prime Olimpiadi di basket della storia, a Berlino proprio nel 1936.

Il triestino Emilio Giassetti era il terzo giocatore dell’Olimpia di

quella spedizione.

Alessandro Gentile è stato il più giovane Capitano della storia. Lo diventò all’inizio della stagione 2013/14 quando non aveva ancora compiuto 21 anni, battendo così Riccardo Pittis, capitano all’inizio della stagione 1990-91, quando era di circa un anno più anziano. Cesare Rubini (il primo Capitano voluto da Adolfo Bogoncelli) è stato capitano a 24 anni, Gianfranco Pieri, Massimo Masini, Pino Brumatti a 26 anni.

Da giocatore-allenatore, Rubini ha vinto sei scudetti. E’ il numero uno anche in questo. E’ stato anche il capitano più longevo, otto stagioni, battendo Mike D’Antoni e Sergio Paganella, capitani per sette anni; Andrea Cinciarini lo è stato per cinque come Pieri e Ferracini. D’Antoni, grazie alle diverse formule del campionato, è stato però il capitano per il numero più elevato di partite ed è stato il primo straniero, nel 1983, a essere elevato al ruolo di Capitano anche se già dal 1984 è stato impiegato da italiano, come è successo ad altri capitani come Dante Calabria, Joey Beard e Mason Rocca. Paolo Bianchi, Riccardo Pit-

tis e Flavio Portaluppi sono stati i Capitani cresciuti nel settore giovanile dell’Olimpia. In parte questo vale anche per Vittorio Ferracini che arrivò a Milano da Pordenone a 16 anni.

E’ la seconda volta che l’Olimpia nomina due capitani: era successo con Joseph Blair e Dante Calabria nella stagione 2006/07. Si tratta di una pratica invece abbastanza frequente nella NBA. Anche se è uno dei volti nuovi della stagione, ovviamente il legame di Melli con la società è fortissimo. Arrivato a Milano nell’estate del 2010 a 19 anni, vi è rimasto per cinque stagioni e 177 gare di campionato disputate, oltre ad uno scudetto vinto, nel 2014, da protagonista. Sergio Rodriguez è alla terza stagione all’Olimpia: arrivato da Mosca nell’estate del 2019, ha già giocato 66 gare di EuroLeague con oltre 700 punti segnati e oltre 300 assist distribuiti. E’ già primo di sempre nella classifica societaria di assist in EuroLeague. Ha vinto con la maglia dell’Olimpia sia la Supercoppa 2020 che la Coppa Italia 2021 e ha guidato la squadra alle Final Four europee del 2021.

L’INTERVISTA

DINOS MITOGLOU

Cresciuto in una città appassionata come Salonicco, esploso a Wake Forest dove ogni mattina si confrontava con l’immagine di Tim Duncan, a Milano vuole fare il passo in avanti decisivo Dinos Mitoglou è l’ultimo giocatore greco arrivato all’Olimpia Milano, ma la sua estrazione cestistica è doppia. Cresciuto a Salonicco, una città di basket, ma in una famiglia di calciatori, Mitoglou ha affinato l’arte negli Stati Uniti, nella piccola città di Winston-Salem, nel North Carolina, il cuore del basket universitario e della Atlantic Coast Conference. Nel raggio di 150 chilometri hanno sede qui North Carolina, North Carolina State e Duke University. E’ rimasto lì tre anni, allenato da Danny Manning, l’ex giocatore NBA che vinse il titolo NCAA a Kansas e fu scelto nel 1988 al numero 1 del draft. Il più grande giocatore della scuola che ha frequentato è stato addirittura Tim Duncan e il numero due è stato il playmaker Chris Paul. Ma per lui è più importante la “Duncan Legacy” per affinità di ruolo.

- Provieni da una famiglia di calciatori: perché hai scelto il basket?

“E’ divertente perché tutti nella mia famiglia

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hanno giocato a calcio, la mia è una famiglia di calciatori. Mio padre ha giocato nel Paok negli Anni ’80 e ’90, mio fratello sta giocando attualmente nell’AEK. La mia è una storia divertente, perché ho cominciato a giocare a calcio anche io, ma quando sono arrivato ai 10-11 anni ho capito che non era lo sport che faceva per me. Ho un ricordo molto vivo: ero nella mia camera, avevo cinque o sei palloni da calcio, e li ho lanciati tutto verso il mio fratello più piccolo, dicendogli “Simos, adesso sono tutti tuoi, io smetto con il calcio, è arrivato il momento per me di cambiare sport”.

Così ho deciso di provare con il basket, mi sono innamorato di questo sport e la storia va avanti”.

- E’ stato importante crescere a Salonicco che è una “Basketball Town”?

“Di sicuro crescere a Salonicco è stato importante, perché è la città di due squadre che hanno avuto un ruolo importante nella storia del nostro basket, in città ce ne sono

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addirittura tre, Paok e Aris sono squadre famose ovunque. Crescere lì è stato decisivo nel trasformarmi in un appassionato di basket”

giorno duramente, è atletico, ma è stato in grado di sviluppare il suo gioco. Sono felice per lui, per la sua carriera, spero che continui ad essere così forte”.

- Trasferirsi in America però ha rappresentato una scelta atipica.

“Ho cominciato a giocare a basket in un’accademia, Asteria, e il coach lì era Ted Rodopoulos che mi ha insegnato i fondamentali del basket, mi ha insegnato tanto dentro e fuori del campo. E’ stato lui in pratica a creare l’idea di trasferirsi in America, lui ha una mentalità americana, gli devo molto, non mi dimenticherò mai di lui. In sostanza, lui è il motivo per cui amo l’America e ho deciso di fare un passo decisivo per la mia carriera”

- Sei tornato Europa senza aspettare i draft NBA. “Non sono stato in grado di testare le acque della NBA per una questione di timing, è stato tutto un po’ diverso dal solito. Ricordo che tornai a casa, in Grecia, dalla famiglia per le vacanze, e avevo anche gli impegni con la Nazionale. Avevo 21 anni ma venni convocato in Nazionale, e a quel punto Panathinaikos e Olympiacos automaticamente si sono interessate a me. Così dovetti prendere una decisione: continuare la mia carriera al college, tornare per la stagione da senior, e poi tentare la carta NBA oppure firmare con un club greco e giocare in EuroLeague.

Decisi di firmare con il Panathinaikos e giocare subito in EuroLeague”.

- Wake Forest: com’è stato giocare lì?

“Ero in una città piccola, ma giocavo in una grande università come Wake Forest, è stata un’esperienza indimenticabile. Gli studenti amano il basket, seguono la squadra, e poi è stato un onore, una fortuna far parte di una grande squadra, c’era Coach Danny Manning, è stata tutta un’esperienza stupenda che non dimenticherò mai”.

- Wake Forest significa Tim Duncan per un giocatore del tuo ruolo.

“Ho scelto Wake Forest anche perché sapevo che era una scuola leggendaria per il basket. Penso a Tim Duncan, Randolph Childress, Chris Paul, Jeff Teague, tutti questi grandi giocatori che sono stati lì. Quando vai ad allenarti vedi sul muro le immagini di questi giocatori e ti vengono i brividi ogni volta. Mi ricordo perfettamente il mio primo allenamento, ma anche quando sono andato la prima volta a vedere la scuola, ho visto la foto di Tim Duncan sul muro. Non dimenticherò mai quella sensazione” - Giocavi con John Collins, oggi star degli Atlanta Hawks “JC, John, è un giocatore incredibile e un bravo ragazzo, uno dei migliori compagni di squadra che abbia mai avuto. Quello che ricordo di lui al college è che lavorava ogni

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- Com’è stato giocare al Panathinaikos?

“Giocare in un club prestigioso come il Panathinaikos è stata una grande esperienza. Da giocare greco considero un privilegio aver potuto giocare davanti a quei tifosi, insieme a grandi giocatori, grandi personaggi. E’ stato bello”.

- Infine, hai scelto di venire all’Olimpia.

“La decisione l’ho presa aiutato da Coach Messina. In questa squadra abbiamo grandi compagni, grandi giocatori, aspettative importanti. Ho voluto fare questo passo per aprire un nuovo capitolo nella mia carriera.

Il resto lo vedremo in campo. Spero che sia una grande stagione”.

- Il tiro da tre è il prossimo step della tua evoluzione?

“Il mio obiettivo è diventare più continuo, stabile. In termini di statistiche non ho uno specifico numero da raggiungere, ma ogni giorno in allenamento è una sfida. Avere l’opportunità di lavorare e vedendo giocatori che lo fanno continuerò a fare la stessa cosa”.

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“La mia è una famiglia di calciatori, avevo provato anche io poi solo basket”

“Ho deciso di venire a Milano convinto da Coach Messina, per fare un altro passo in avanti” REDSHOESMAGAZINE 21

L’INTERVISTA

JERIAN GRANT

“Ogni ricordo della mia infanzia riguarda il basket, sono cresciuto tra giocatori, in mezzo agli spogliatoi, sui campi”. Il playmaker dell’Olimpia ha anche coronato il sogno giocando cinque anni nella NBA “Tutto ciò che ricordo ha a che fare con il basket. Sono nato nel basket, crescendo il basket era dappertutto, ho cominciato a frequentare le partite il giorno in cui sono nato e continuo ancora adesso”. Jerian Grant è cresciuto con un padre giocatore, uno zio che ha vinto tantissimo nella NBA, con un fratello minore che è arrivato nella NBA prima di lui e adesso è in Nazionale, altri fratelli che hanno giocato o stanno giocando. Il basket è nel DNA di Jerian Grant, una delle novità della stagione all’Olimpia.

sono stati importanti?

“Giocare a DeMatha è stato stato speciale, davvero speciale. Ogni giorno in allenamento ho giocato contro i migliori giocatori della zona, alcuni dei migliori in tutto il paese e questo ha creato il miglior giocatore che potessi diventare. Non potevi far altro che prepararti a giocare contro i migliori”.

- Giocare contro i tuoi fratelli, tutti giocatori, ti ha aiutato?

“E’ stato un grande vantaggio. Siamo tutti competitivi, ma al tempo stesso ci siamo sempre sostenuti a vincenda. Questo ha aiutato la mia conoscenza del gioco, perché ho dovuto combattere quotidianamente contro grandi giocatori, come loro. Mi ha aiutato di sicuro”.

- E’ vero che assieme a qualche compagno avevate fondato il Breakfast Club? Vi ritrovavate ogni mattina alle sei pronti ad allenarvi.

“E’ quello che ha modellato il mio gioco. Io, mio fratello Jerami, un paio di altri giocatori (Victor Oladipo, Josh Shelby) ci trovavamo pronti alle 6 del mattino, la scuola cominciava alle 7.30, ma noi restavamo in palestra fino alle 7.15, avevamo 15 minuti per arrivare in classe, ma volevamo essere sicuri di fare del lavoro extra prima che il giorno cominciasse”.

- Gli anni in una grande scuola come DeMatha High School, nell’area di Washington,

- Hai trascorso poi ben cinque anni a Notre Dame.

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“Ho imparato tanto attraverso il lavoro duro.

Ho aspettato il io turno. Durante la mia prima stagione non giocavo, zero minuti, nessuna partita, ma quando è arrivato il mio momento ero pronto. E durante l’ultima stagione abbiamo battuto Duke, North Carolina, alcuni dei migliori programmi del paese, e abbiamo vinto il Torneo ACC”.

- Come è stato giocare cinque anni nella NBA? “Sono stati alcuni dei migliori anni della mia vita. Ho raggiunto il mio obiettivo, ho giocato nella NBA, contro i migliori giocatori del mondo per cinque stagioni, e questo dimostra che il lavoro duro svolto in precedenza è stato ripagato. Per me poi questo ha significato cominciare la carriera a New York, al Madison Square Garden, sotto le luci più brillanti del mondo. E con gli anni il mio gioco è progredito, sono stato a Chicago, a Orlando e ho finito a casa mia, a Washington. E’ stata una grande esperienza”.

- Ricordi la notte in cui sei stato scelto al primo giro dei draft NBA? “E’ stato un sogno che si è realizzato, sentire il tuo nome, salire sul palco, stringere la mano del Commissioner, è tutto un sogno che si realizza. Lavori ogni giorno, giochi a basket, anche alle sei del mattino, nel Breakfast Club, fatichi e alla fine sentire il tuo nome. E’ stato il momento più bello della mia carriera”.

- Avevi una scommessa con Jerami su chi sarebbe stato selezionato più in alto. Ti ha pagato?

“Una scommessa è una scommessa e alla fine si è dovuto arrendere e pagare. Ma ovviamente, la sua carriera è diventata eccezionale.

Sono felice per lui. Ha vinto anche l’oro con la Nazionale americana, è incredibile, è speciale” - La tua carriera NBA è stata soddisfacente?

“No, non sono di sicuro soddisfatto. So che ho giocato nella NBA per cinque anni, che è molto più di quanto molti giocatori possano dire.

Di questo deve essere riconoscente. Ma ho la sensazione che il mio tempo lì non era terminato, che avevo ancora molto da dire, che

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avrei potuto fare molto di più. Ma alla fine, puoi solo lavorare duro e credo che le cose stiano andando bene lo stesso”.

- Il primo anno in Europa l’hai trascorso al Promitheas, in Grecia.

“E’ stata una bella esperienza, era il mio primo anno in Europa e ho giocato con mio fratello. Giocare con il mio fratello maggiore è stato divertente, abbiamo vinto tante partite e abbiamo giocato bene insieme. Dovendomi adeguare ad un diverso stile direi che ho fatto tutto bene”.

- E’ differente lo stile di gioco europeo?

“Penso sia molto più fisico. Per tutta la partita, ti fanno fallo, ti spongono, ti trattengono molto di più del normale, così adattarsi alla fisicità del gioco è qualcosa che devi fare necessariamente”.

- Arrivi a giocare in EuroLeague con Milano.

“Trasferendomi in Europa, è esattamente dove volevo arrivare. Giocare al livello più alto. C’è la NBA e poi c’è l’EuroLeague. E’ un passo in avanti, non vedo l’ora di misurarmi con questo tipo di competizione, giocare contro i migliori giocatori del mondo che non siano nella NBA. Sono felice di poterlo fare”.

- Come descriveresti il tuo stile di gioco?

“Per me la cosa più importante è vincere. Faccio quello che serve alle mie squadre per vincere. Affronto ogni situazione convinto di vincere e convinto di poter aiutare la squadra a vincere, e questo è ciò che prima di ogni altra cosa descrive il mio gioco. Posso fare un po’ di tutto, segnare quando serve, posso dare via dieci assist se serve, fare canestro, difendere ad un livello alto. Penso di essere un vincente e come tale faccio quello che serve per vincere”.

- Ma quale è il tuo ruolo preferito?

“Ho giocato da 1 e da 2 per tutta la vita. Ma mi piace avere la palla in mano, penso di poter aiutare la squadra molto di più in quel modo, ma se devo giocare senza palla in mano, un modo di far succedere qualcosa di buono lo trovo lo stesso”.

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“Nella NBA avevo ancora molto da dire, ma ci sono stato cinque anni, non tutti ce la fanno”

“Qui il gioco è più fisico, adattarti è indispensabile fin dall’inizio” REDSHOESMAGAZINE

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ELLI

OLIMPIA BIG PLAYERS - 4 Lo chiamavano “Pisolo” perché sembrava dormisse in campo, ma era solo una sensazione.

Gianelli è diventato l’uomo simbolo dello scudetto del 1982, un giocatore intelligente, moderno e un grande rimbalzista Dopo la Banda Bassotti e la delusione del 1980, l’Olimpia alzò notevolmente il livello del proprio roster portando a Milano John Gianelli all’indomani di un flirt con Kevin McHale addirittura: in rotta con i Boston Celtics per una questione di soldi, McHale, numero 3 del draft, da Minnesota University, sbarcò a Milano, assistette al Trofeo Lombardia al Palalido e sembrava pronto a firmare sul serio quando il mitico Red Auerbach cedette, lo accontentò e sventò il buon esito della trattativa-boom. Una trattativa che McHale, in un libro uscito alla fine della sua carriera sull’epopea dei Celtics capitanati da Larry Bird, Robert Parish e appunto McHale, ha ricordato con dovizia di particolari. “Il giorno dell’ultimatum avevamo fissato un pranzo con i dirigenti di Milano per festeggiare la firma. Mentre stavo per uscire, mi chiamarono dall’America: Red Auerbach aveva accettato le nostre condizioni. I dirigenti di Milano furono graziosi, incassarono con classe”.

Pochi giorni dopo Milano firmò il vecchio John Gianelli che sarebbe rimasto tre anni. Gianelli veniva dalla California del Nord. Era un giocatore liceale di alto livello ma nel 1968 decise di restare a casa e giocare a Pacific University. Nel 1970 e nel 1971 vinse la West Coast Athletic Conference e nell’arco di quattro anni REDSHOESMAGAZINE

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segnò 20.5 punti per gara di media. Nel 1972 fu scelto al secondo giro dei draft NBA da Houston ma i suoi diritti furono ceduti immediatamente ai New York Knicks. Fu un colpo di fortuna perché Gianelli andò a giocare in una squadra fortissima in cui le sue qualità di ala forte-centro con tiro pungente dalla media, mani buone anche per passare la palla, e attitudine al gioco di squadra, vennero esaltate.

Assieme a Phil Jackson completava la rotazione dei lunghi alle spalle dei titolari Willis Reed e Dave DeBusschere. Fu l’apice della sua carriera: nel 1973 i Knicks vinsero il titolo NBA. In seguito, giocò a Buffalo, Milwaukee, Utah. Nel 1980 accettò di venire in Italia. “Parlai con mia moglie Sharon: decidemmo che sarebbe stata una grande esperienza di vita”, spiegò. Fu anche di più. Quello fu l’anno maledetto della semifinale scudetto per-

sa contro Cantù al Palazzone di San Siro con Antonello Riva che a 19 anni segnò 32 punti e pilotò la Squibb in finale e quindi allo scudetto contro la Virtus Bologna.

Ma l’anno successivo arrivarono Meneghin e Premier, l’Olimpia era un’altra cosa e arrivò lo scudetto.

Con Gianelli non fu amore a prima vista.

In campo, non tradiva emozioni, sembrava sempre apatico, inoltre non era il centro tradizionale degli anni ’80, grosso, fisico, esplosivo. Gianelli era un giocatore tecnico, intelligente, che difendeva di squadra e tirava da fuori. Lo chiamarono “Pisolo”, perché sembrava dormisse in campo. Ma non era così. “Arrivò a Milano all’ultimo momento, organizzammo un allenamento per fargli vedere i nostri giochi: anticipava gli sviluppi di ogni situazione.

Era un giocatore di estrema intelligenza”, racconta Coach Dan Peterson. Aveva

Con John Gianelli L’Olimpia ha giocato la finale della Coppa dei Campioni nel 1983 28

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John Gianelli ha giocato tre anni a Milano vincendo lo scudetto del 1982

solo un difetto: non credeva nella 1-3-1, la difesa che era il marchio di fabbrica di Peterson. “Diceva di non amare la zona e non riuscivo a spiegargli che non era una zona tradizionale. Poi in una gara di playoffs contro Mestre, lui esce per falli a metà ripresa, quando siamo sotto nel punteggio. Io chiamo la 1-3-1: c’era D’Antoni, c’era Gallinari, c’erano solo giocatori che credevano. Rimontammo e vincemmo. A fine partita mi disse che la zona aveva funzionato”. Peterson colse la palla al balzo: “John, non è una vera zona e funziona se chi la applica crede che possa avere successo”. Gianelli riconobbe il messaggio dell’allenatore: “Coach, adesso ci credo anche io”.

Con l’arrivo di Meneghin, era un’altra pallacanestro, Gianelli giocò di più da ala forte, libero di usare il tiro da fuori. Ma fu una sua giocata difensiva a dare lo scudetto al

Billy nel 1982, al Palazzone di San Siro.

Fu lui a proteggere un punto di vantaggio stoppando il tiro dalla lunetta di Mike Sylvester di Pesaro: se la Scavolini avesse vinto, lo scudetto sarebbe stato assegnato sull’Adriatico. Ma Gianelli eseguì la stoppata risolutiva.

Il suo terzo anno fu sfortunato: l’Olimpia raggiunse la finale di Coppa dei Campioni, ma la perse a Grenoble contro Cantù di un punto, nonostante una furiosa rimonta finale; in campionato perse ancora la finale in tre partite a Roma contro il Banco trascinato da Larry Wright. Gianelli lasciò Milano, l’Italia e il basket dopo quella finale persa. In tre anni, ha segnato 1.826 punti, 16.3 per partita, con 1.275 rimbalzi, quarto di tutti i tempi, 11.5 per gara, forse l’aspetto più sottovalutato del suo gioco.

E’ ancora oggi il secondo stoppatore nella storia del club, alle spalle di Bob McAdoo.

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