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Giornalismi

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Crocevia

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Formazione

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Bussole

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Periodico edito dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia 2022/2023 –Anno LII n° 1
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Tabloid

Periodico edito dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

2022/2023 – Anno LII n°1

Ciuntibus solorio o dipsam hil eos que p oribusda iuntio berferorem.

Et lat estorep udiciis eaquat. Magnam, occum re etumqui cum res nobitionet pliciis doleni occus, consequi int.

Os am, quossi non resci omnimint qui omniet volori nis dunt enis nulpa niendae caborecea id magniet ommoluptas dollitaecti quam int in culluptat faccuptas et assunt, omnienduciae molupta tquasped quodit pa sentint volor aligendem sant lis re ipiet acerum eostiis id qui volu ptate que nonsed qui si ipsundit ipsus int facerum que quibustrum harum har io. Onserit et, ut am es ella bor magnatessiti dest, inis i piduciet rendiorit, quidus intia verumqu iatiae et, quatquod quidis sunto cor io. Litem am eatempe rspera dolupta im acipsaes enihil int quas ditruptat iuntiasperi am nus solorere que pro berrum www.odg.mi.it

A chi serve oggi l’Ordine dei giornalisti

Agli iscritti, se assicura loro diritti e doveri “rafforzati”. E ai cittadini, se sa essere presidio collettivo della libertà di informazione. Non sempre, fin qui, si è fatto al meglio. Anche per questo la legittimità - costituzionale e sociale - di questa istituzione va affermata e rafforzata nei fatti. Ecco da dove vogliamo cominciare

editoriale

Un presidio della libertà di informazione. Non risolutivo, ma fondamentale. È questa la funzione – la realtà razionale, per così dire – dell’Ordine dei giornalisti. La sua legge istitutiva, che subito (all’articolo 2) introduce il concetto di «libertà insopprimibile di informazione e di critica», da noi ripetuto giustamente in ogni occasione, e il testo unico delle regole deontologiche che pre vede come primo dovere la difesa della libertà di informazione – ne parla a pag. xx il presidente del Consiglio di disciplina lombardo, Paolo Della Sala – sono una dimostrazione chiara del ruolo che l’or dinamento affida a questo organismo. Le ragioni di un Ordine: diritti e doveri

rafforzati per gli iscritti. Le parole della legge non bastano, però. Tutta l’attività dell’Ordine deve ruotare attorno a questa libertà e alla sua difesa. Persino la tenuta dell’albo ne è parte: riconosce – fatto importante anche per chi giornalista non è – diritti e doveri rafforzati a chi è in possesso della tessera. A cominciare dal diritto (e dal dovere) – imper fetto quanto si vuole, ma previsto – di non rivelare le proprie fonti. Allo stesso modo, la deontologia non è l’imposizione di un’etica – quale, tra le tante oggi disponibili? – ma punta a sottrarre la valutazione di eventuali scorrettezze dei giornalisti all’esame della magistratura, liberandoli da sanzioni più pesanti; e la

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di Riccardo Sorrentino
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formazione ha lo scopo di dare strumenti che permettano sempre maggiore ac curatezza, altro concetto centrale di ogni codice etico, in tutto il mondo. All’estero, là dove non esiste un Ordine, giornali e giornalisti hanno sentito ovunque l’esigenza di creare press councils per sviluppare almeno una di queste funzioni, in genere quella deontologica. L’Ordine italiano, ente pubblico dotato di maggiori risorse – anche se appesantito dalle onerose procedure amministrative – può svolgerle, e deve svolgerle, con maggiore efficacia.

Le azioni dell’Ordine lombardo a difesa della libertà di informazione. Essere un presidio della libertà di informazione non è facile. Non si può neanche dire che questa funzione sia stata svolta nel passato con metodo e continuità. Il lavoro di riorientare strategicamente tutta l’at tività dell’ordine attorno al quel principio, di predisporre le possibili modalità di intervento, di avere una capillare rete informativa su quanto acca de e quindi di diventare attivi e non solo reattivi

è ai primi passi. Le difficoltà al lavoro giornalistico create dal decreto della Pre sunzione di innocenza – a cui è dedicata un’ampia parte di questo numero – sono un importante esperimento: l’Ordine lombardo ha costituito una Commissione alla quale partecipa l’intero consiglio, alcuni colleghi di cronaca nera e giudi ziaria e alcuni esperti, con lo scopo di individuare tutte le strade possibili per affrontare il problema. Giungere a una valutazione della normativa da parte della Corte costituzionale è uno dei nostri obiettivi. L’Ordine è sicuramente un organismo con pochi poteri rispetto alle sue ambizioni. Il suo è il classico soft power, che dipende dalla sua credibilità e dalla sua capacità di rappresentare il giornalismo. «Siete divisi, su questo tema», ha obiettato un procuratore lombardo a cui erano prospettate le difficoltà poste dal decreto sulla Presunzione di innocenza, interpretando una normale diversità di opinioni come assenza di una volontà univoca. È una frase che mostra le

nostre difficoltà: il mondo dei giornalisti non è una comunità che possa tendere a una qualsiasi forma di omogeneizzazione. È più simile, piuttosto, a una città, molto differenziata. Esprimere una volontà unitaria – in nome del principio della li bertà di informazione – non può allora che essere il frutto di uno sforzo consapevole e costante. Ribadire con i fatti la legittimità costituzionale dell’Ordine. L’esperienza stra niera ci mostra che si può anche imma ginare – come si è tentato di fare – di abrogare l’Ordine, ma non di cancellarne le sue funzioni. Molte delle critiche rivolte all’organismo sono allora immeritate. La centralità della libertà di informazio ne significa che l’Ordine attuale non ha nulla a che vedere con l’Albo dei giornalisti di fascistica memoria, da qualcuno polemicamente evocato. Né può essere ricondotto alla cultura corporativa, viva anche nell’età repubblicana. L’Ordine non è uno strumento che possa limita re l’offerta di lavoro sul mercato, anche

se la sproporzione tra domanda e offerta – so prattutto oggi – non può essere ignorata: la legittimità costituzionale dell’Ordine dipende strettamente dalla garanzia che offre all’accesso alla profes sione. La lunga storia dell’Ordine, i pra ticantati d’ufficio, i ricongiungimenti, gli allargamenti allo studio dei requisiti della legge, il press badge lombardo per le aree di crisi da poco introdotto mostrano lo sforzo dell’Ordine a rappresentare davvero anche chi è giornalista ma non è riconosciuto come tale.

Capire dove va l’innovazione giornalistica, a quali nuove figure professionali dà vita è allora essenziale e sarà costante attenzione di questa rivista (a pag. Xx).

Le condizioni economiche della libertà di informazione sono altrettanto importanti di quelle giuridiche, soprattutto in questa fase di crisi dei modelli di business, che rende ancora più forte la tentazione di mescolare pubblicità, propagan da e informazione. Un rischio mortale, per il mondo del giornalismo.

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Le azioni dell’Ordine lombardo a difesa della libertà di informazione
firma new Tabloid editoriale
Ribadire con i fatti la legittimità costituzionale dell’Ordine

Sommario

Sommario

5 editoriale

A chi/che serve l’Ordine dei Giornalisti? Tesi a confronto. Un bilancio su un anno di consiliatura, lo spunto per un confronto sul senso, lo statuto e l’utilità di questa istituzione

Riccardo Sorrentino

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La questione del momento pag. 45

Presunzione d’innocenza: a pagare è la libertà di cronaca Giuseppe Guastella pag. 45

A Como a parlare non è solo la Procura

Paolo Moretti

pag. 37

A Milano un percorso a ostacoli per chi fa giudiziaria

Benedetta Dalla Rovere pag. 37 A Pavia cala il silenzio sulla cronaca giudiziaria

Maria Fiore

34 Formazione

Gli strumenti che ci servono pag. 35 Formazione gratuita o a pagamento: quale scelta per l’Ordine della Lombardia Nome cognome

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Bussole

Appunti di deontologia

pag. 23

Il “nostro” Consiglio di Disciplina fra tutela della libertà e sanzione Paolo Della Sala pag. 27 I codici deontologici degli altri Guido Camera

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Da Chora Media un podcast per ciascuno

Francesca Milano pag. 45

Vi racconto la mia Morning Francesco Costa

Tabloid

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone pag. 45 Insight Nome cognome pag. 45

Fare inchiesta locale: costruire credibilità nell’interesse dei lettori Luca Rinaldi pag. 45

Tempi limitati, spazi dilatati: il paradosso dell’informazione locale Lorenzo Rinaldi pag. 45

La questione del momento

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43 Giornalismi

L700 battute Catur? Quis conseque natem fugiatem ende nimus volor reprepro qui sunt.Rum nit, officiet quo occus exceatibus nissitNequia perumqu atusae lantem in pa sit volum fuga. Omnimagnis es mos seque ea aut veliquo ex eum repersp elest, si quae rehenet que volutem nulluptat. Ut qui con escium ex et prent quatas eos molesti cum labo. Aligendusdae adi quia cus venti ut pos et quo officip sapita dolore ea ped eaquiberissi omnimaios quam quis quati dolentios ad evellabor aute plamus voloriorem quodio. Nis eaquibu sanihicil maximodi videliam, quo volupta venientiaes que porio ma numque sit, officto vel minctot aquatia doluptas moluptin poreri dolupidit quae et liqui ut autet eveles dictorem

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L1800battute Catur? Quis conseque natem fugiatem ende nimus volor reprepro qui sunt.Rum nit, officiet quo occus exceatibus nissitum repersp elest, si quae rehenet que volutem nulluptat.

2.Maion peris sandaepraera doloriorem late volorporis et quiasse denit fugia plam voleniae

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100 BATTUTE

1.Maion peris

sandaepraera doloriorem late volorporis et quiasse denit fugia plam voleniae dolupti 100 BATTUTE

Limod moluptatur sit esti rem. Itati cusaperepraeUt velicat iumquat. Em et excessint.

Ut qui con escium ex et prent quatas eos molesti cum labo. Aligendusdae adi quia cus venti ut pos et quo officip sapita dolore ea ped eaquiberissi omnimaios quam quis quati dolentios ad evellabor aute plamus voloriorem quodio. Nis eaquibu sanihicil maximodi videliam, quo volupta venientiaes que porio ma numque sit, officto vel minctot aquatia doluptas moluptin poreri dolupidit quae et liqui ut autet eveles itioris nonet abore vendist es quodit labor mollabo rrovitatquis anienient et eos essit, odiam quas dendandam niae odio. Cia dus estis pre es del invene aut reptum impore non consequis adiatur, inci ima destorestrum ni cus es endam, quia perspiet aut ipicimet arcit aut aut ut ipsam aciam es dolupicta

Hictum repro id quame dis volupti osapere pudissinis rendips untisciet fuga. Pudanima voluptia dest, consenihil idel illoris sequaestia dolorrum que nam eos ipitiur, cor reicaborione prempostiam voluptur aboremporem faceatum as coreper cilites de et quibusa ntibus.

3.Maion

peris sandaepraera doloriorem late volorporis et quiasse denit fugia plam voleniae dolupti

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volesti untotaturero offic te con ra pratur, officie nisque ipsus que et endunto tatium ab id que a volor accus, quiatatum eatio incti dolumque doloriat fuga. Ut a volent omnis autem voluptature nist, quod mos quatus

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BATTUTE Maion peris sandaepraera doloriorem late volorporis et quiasse denit fugiae volorporis et quiasse denit fugia p plam voleniae dolupti oratureicae
Insight La riforma Cartabia Ed est volora preptat uresent reped molupta SOTTOTITOLO SU TRE RIGHE 150 BATTUTE TITOLO BOXDOLUTEMQUI NIHIT ULPA DOLESXEROVIDELENIM NISQUUN TIUNTI SIMIN NON RENISFACTURNIS. ESSED REMORTUUS? PATU
Max Allegritti

Presunzione d’innocenza: a pagare è la libertà di cronaca

Gli effetti collaterali della riforma Cartabia: il decreto legislativo 188/21 va oltre gli intenti della direttiva europea che doveva recepire e rende sempre più difficile fare informazione.

di Giuseppe Guastella, Corriere della Sera

Con il varo del decreto legislativo 188/21 - la cosiddetta riforma Cartabia sulla presunzione d’innocenza - ora anche nelle Procure l’unico accesso alle notizie dovrebbe essere quello ufficiale

Negli ultimi mesi si è inesorabilmente ridotto il perime tro nel quale i cronisti possono muoversi per accedere alle informazioni, eroso più o meno subdolamente da difficoltà, inerzie, divieti e norme. Dopo le aziende pubbliche e non, dopo le istituzioni che affidano il loro rapporto con i giornalisti esclusivamente agli uffici stampa, con il varo del decreto legislativo 188/21 - la cosiddetta riforma Cartabia sulla presun zione d’innocenza - ora anche nelle Procure l’unico accesso alle notizie dovrebbe essere quello ufficiale. Dovrebbe. La riforma prevede che quando una notizia sia ritenuta dall’inquirente di “interesse pubblico” i rapporti con la stampa siano tenuti dal solo Procura tore della Repubblica per mezzo di con ferenze stampa o di comunicati, e che ciò avvenga rispettando la presunzione di innocenza delle persone indagate. La nuova normativa è stata varata con il decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 188 perché, come siamo abituati a sentire troppo spesso, “ce lo ha chiesto l’Europa”. In verità, le cose stanno diversamente: nel 2019 una direttiva Ue affermò infatti che la “presunzione di innocenza” è un caposaldo della democrazia - com’è giusto che

sia ed è scolpito nella nostra Costituzione - ma non ha affatto stabilito che debbano essere solo i Procuratori a dare le notizie, dopo aver valutato in proprio quali siano quelle di “interesse pubblico”.

Alcuni rischi…

Non è detto infatti che il giudizio dei Procuratori combaci con quello dei giornalisti, e soprattutto con quello dei cittadini, dato che ci sono innumerevoli esempi di valutazioni divergenti su cosa sia “di interesse pubblico”, ciò che induce a concludere che sarebbe meglio che ciascuno facesse il proprio mestiere.

C’è anche il rischio che i magistrati siano portati, anche in buona fede, a comunicare solo ciò che interessa loro o sta a cuore alle forze di polizia.

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Fratello.Gracco

Sembra anche un’ipocrisia chiedere a un Pm di spendersi sul principio di non colpevolezza di una persona di cui ha ottenuto l’arresto, visto che evidentemente pensa esattamente il contrario.

Nei primi dieci mesi di applicazione della normativa si sono visti Procuratori arrampicarsi sugli specchi con comunicati che sono un incredibile esercizio di equilibrismo nel dire e non dire

C’è poi la questione dei dati che si possono o meno fornire alla stampa. Nei primi dieci mesi di applicazione della normativa si sono visti Procuratori arrampi carsi sugli specchi con comunicati che sono un incredibile esercizio di equilibrismo nel dire e non dire e, al tempo stesso, sono una aperta istigazione a delinquere verso i giornalisti. Perché sono poi i cronisti - magari violando i teorici divieti di pubblica-

zione degli atti previsti dalla legge - a dover riempire gli spazi lasciati vuoti dai Pm per dare all’opinione pubblica un’informazione accurata ed obiettiva ed evitare suggestioni errate che potrebbero, quelle sì, danneggiare le persone reali. La stampa fa quasi sempre il suo dovere e - chissà come mai e grazie a chi - quegli spazi li riempie comunque.

… e alcuni effetti collaterali

Il dlgs 188/21 presunzione d’innocenza” ha anche portato con sé un ulteriore fenomeno, che ingenera un sospetto sui veri obiettivi della norma. Ha chiuso ancora di più ai giornalisti le porte dei magistrati che oggi rischiano, almeno in teoria, di subire un procedimento disciplinare per il solo fatto di parlare con un cronista. Ciò potrebbe alimentare il rischio di rapporti “clandestini” con chi è interessato a comunicare qualcosa, in un intreccio oscuro ed interessato tra magistrati e giornalisti “fidati”. Rapporti che potrebbero anche avere un nobile fine se servissero a far emergere notizie che o erroneamente non ven gono ritenute di interesse pubblico oppure volutamente vengono nascoste alla stampa e non per esigenze investigative. Non mancano anche comici effetti secondari. Capita, infatti, che nelle grandi Procure i capi debbano diffondere in un solo giorno più co municati sulle operazioni delle varie forze di polizia e che riescano a farlo solo a sera, quando ormai la notizia è “sfuggita” ed è già è sui siti. Succede pure che uno di questi procuratori, proprio perché è obbligato a mettere il visto su qualunque comunica zione, sia costretto a diramare in un’enfatica nota una brillante operazione che ha portato al sequestro di “cinque cuccioli privi di microchip” e alla denuncia di due trafficanti di animali. C’è da chiedersi, infine, se la presunzione di innocenza debba valere solo nelle indagini preliminari, come è sacrosanto, e perché non debba essere rispettata anche nei successivi vari gradi di giudizio. La riforma Cartabia non impone ai giudici di dif fondere le notizie delle assoluzioni di quelle stesse persone che erano state arrestate. Se la loro cattura era di interesse pubblico non lo è anche il fatto che poi sono state scagionate?

Capita, infatti, che nelle grandi Procure i capi debbano diffondere in un solo giorno più comunicati sulle operazioni delle varie forze di polizia e che riescano a farlo solo a sera, quando ormai la notizia è “sfuggita” ed è già è sui siti

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Claudio Cuomo

A Como a parlare non è solo la Procura titolo su

3 righe

Una interpretazione meno restrittiva della riforma Cartabia da parte del capo dei Pm lascia anche alle Forze di Polizia la possibilità di fornire informazioni: viene così assicurata la pluralità di fonti necessarie a una corretta informazione.

di Paolo Moretti, La Provincia di Como

Il decreto legislativo 188/2021 sulla “presunzione d’innocenza” è senz’ombra di dubbio uno dei provvedimenti più dannosi e lesivi della libertà di stampa degli ultimi anni

L’incontro con la stampa dei nuovi questori, così come quello dei nuovi ufficiali dei carabinieri o della guardia di finanza, da diversi mesi a questa parte ripropone il medesimo refrain: «Come sapete la legge Cartabia ha ridotto notevolmente la nostra possibilità di comunicare con voi». A cui, immancabilmente, viene aggiunto: «Ma la stampa ha un ruolo importante per diffondere la cosiddetta sicurezza per cepita». Tradotto: le notizie sui procedimenti penali e sugli arresti vediamo se darvele, ma se c’è bisogno di farci pubblicità contiamo su di voi. Il decreto legislativo 188/2021 sulla “presunzione d’innocenza” è senz’ombra di dubbio uno dei provvedimenti più dannosi e lesivi della libertà di stampa degli ultimi anni. Ed è anche una delle norme che maggiormente sottrae alla professione giornalistica una delle sue prerogative: comprendere e decidere quale notizia abbia o meno rilevanza pubblica. Non potendo limitare normativamente il diritto di cronaca, in quanto ogni provvedimento in tal senso sarebbe a rischio di incostituziona lità, ormai da diversi anni – un po’ in tutti i settori – la strategia alternativa adottata per limare la libertà a informare, è quella di erodere la possibilità di accedere alle fonti. La riforma Cartabia, nel campo della cronaca giudiziaria, è ri-

uscita nell’impresa di delegare ogni decisione circa la divul gazione o meno di notizie a una sola figura: il capo della Procura. Che, almeno nell’intenzione della norma, diventa non solo l’unica fonte per i giornalisti, ma anche la persona che, al posto dei professionisti dell’informazione, è chiamata a decidere quando, come e perché comunicare informazioni relative ai procedimenti penali. E, soprattutto, se quelle informazioni sono di interesse pubblico o meno. Una contrazione così clamorosa del diritto dei cronisti di attingere da più fonti d’informazione crea situazioni profondamente differenti da provincia a provincia, da Pro curatore a Procuratore. C’è chi ha imposto il silenzio assoluto su ogni procedimento, limitando i comunicati stampi a pochi fatti dove regolarmente vengono omessi dati,

La riforma Cartabia, nel campo della cronaca giudiziaria, è riuscita nell’impresa di delegare ogni decisione circa la divulgazione o meno di notizie a una sola figura: il capo della Procura

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Così interpretato, l’impatto del decreto legislativo 188 è senz’ombra di dubbio attenuato. Perché i giornalisti possono ancora rivolgersi a una pluralità di fonti

particolari, circostanze che consentano talvolta anche solo di comprendere il fatto di cui si parla, e c’è chi invece ha interpretato in maniera più larga il dettato normativo. Nella realtà comasca, dove mi occupo da anni di cronaca nera e giudiziaria, il procuratore capo uscente ha intrapreso la seconda via. E ha diffuso una nota a tutte le forze di polizia nella qua le lascia loro facoltà di comunicare con i giornalisti. In partico lare si legge: «Le Autorità diverse da questa A.G. che decidano di rilasciare dichiarazioni relative a procedimenti penali non dovranno chiedere una preventiva autorizzazione al procuratore della Repubblica ma saranno tenute al rispetto del segreto investigativo e di quanto previsto dall’art. 2 del decreto legisla tivo 188/2021». Sul segreto investigativo, nulla è cambiato. Ri guardo l’art.2 della norma Cartabia il riferimento è al passaggio in cui «è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili». Ciò che resta vincolante, e che passa inevitabilmente dal procu ratore, è invece il comunicato stampa o la conferenza stampa. Così interpretato, l’impatto del decreto legislativo 188 è senz’ombra di dubbio attenuato. Perché i giornalisti possono ancora rivolgersi a una pluralità di fonti. Al contrario, un’interpre tazione più rigida finirebbe per avere un effetto paradosso, rispetto allo stesso principio della norma. Come noto, gli atti dei procedimenti penali a disposizione delle parti non sono più segreti. E quindi i giornalisti, del tutto lecitamente, possono con tinuare ad averli e ad usarli per fare cronaca giudiziaria. Chiedendoli ad altre parti del processo. Con il problema, ben sottolineato da Luigi Ferrarella, tra i più autorevoli giudiziaristi italiani, che avremmo “l’effetto di favorire quei legami incestuosi che si proclama di voler spezzare” proprio con la legge Cartabia.

A Milano un percorso a ostacoli per chi fa giudiziaria

I comunicati stampa introdotti dalla riforma Cartabia inquadrano solo alcuni aspetti delle inchieste: lo slalom tra note ufficiali, fonti informali e indiscrezioni rischia di alimentare il “mercato nero” delle notizie. di Benedetta Dalla Rovere, agenzia LaPresse

Un medico accusato di aver abusato delle pazienti che si presentavano nel centro che dirigeva nel cuore di Mila no. Visite immunologiche che diventavano improbabili e invasivi accertamenti ginecologici. Il trauma raccontato da 6 ragazze, che hanno fatto mettere tutto a verbale e lo hanno ripetuto davanti al gip nel corso dell’incidente probatorio. Esperienze analoghe riferite da altre giovani che si sono fatte avanti in un secondo momento e hanno denunciato. L’avvo cato difensore del medico che invoca la legge Cartabia, sostenendo che riportare questo grave fatto di cronaca leda i diritti dell’indagato e minaccia azioni legali. Questo è solo l’esempio più recente in ordine di tempo che bene illustra come in questi mesi si sia complica to il lavoro quotidiano dei giornalisti che si occupano di cronaca nera e giudiziaria. Anche a Milano, dove da sempre c’è un clima di apertura da parte della Procura e delle Forze dell’Ordine nei confronti dei media, il cambio di passo si è avvertito.

Anche a Milano, dove da sempre c’è un clima di apertura da parte della Procura e delle Forze dell’Ordine nei confronti dei media, il cambio di passo si è avvertito

La maggior parte delle notizie, raccolte da inquirenti e investi gatori, prima di essere divulgata deve ottenere il necessario via libera della Procura e può essere divulgata solo quando si ravvisi un interesse pubblico. E non sempre i tempi della giustizia coincidono con quelli della cronaca né la selezione e il “taglio”

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La ricerca delle notizie si è trasformata sempre più in un percorso ad ostacoli. Uno slalom tra note ufficiali, fonti informali e indiscrezioni che ha l’effetto di alimentare il “mercato nero” delle notizie

scelto coincidono con le esigenze di chi scrive.

Con l’introduzione della legge Cartabia, la ricerca delle notizie si è trasformata sempre più in un percorso ad ostacoli. Uno slalom tra note ufficiali, fonti infor mali e indiscrezioni che ha l’effetto di ali mentare il “mercato nero” delle notizie.

Senza contare che i comunicati alle volte inquadrano solo alcuni aspetti delle inchieste, non abbracciandone per intero la complessità o non raccontandone l’iter. È il caso di una recente indagine della Dda milanese. Un comuni cato della Procura del luglio scorso ricordava che era stato «no tificato un avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 27 indagati ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, traffico di droga ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso» e «contestualmente eseguita anche un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 4 soggetti ritenuti

autori di estorsione». Diversa era la versione che poteva legge re chi si fosse procurato, con “metodi informali”, l’ordinanza.

Il Pm nell’aprile del 2021 aveva chiesto al gip 27 arresti, ma il gip li aveva respinti escludendo l’associazione mafiosa per i 10 a cui era contestata. Il Gip aveva anche escluso le esigenze cautelari per tutti e 27 gli indagati, pur ritenendo i reati gravi ed esistenti, mentre aveva accolto un supplemento d’indagine che riguardava una grave estorsione, disponendo gli arresti per 3 persone e l’obbligo di firma per una quarta. Un problema di punti di vista, certo. E di sicuro non il più complesso da affrontare.

Solo nell’ultima settimana, in un paio di occasioni, chi dalle redazioni milanesi chiamava le forze dell’ordine chiedendo il nome e l’età di un operaio morto sul lavoro si è sentito negare le informazioni «perché la legge Cartabia non lo consente». E ancora, tornando indietro di qualche mese, sempre invocando la norma, nel marzo scorso il sindaco di un paese in provincia di Lecco si è rifiutato di confermare che un jet fosse precipitato su uno dei versanti del vicino Monte Legnone e che i piloti fossero morti nello schianto. E questo, nonostante in rete ci fossero già i video che mostravano l’incidente.

Di casi simili ognuno di noi ne potrebbe citare decine. Quella della norma in vigore ormai da un anno è diventata una “coperta” che permette di omettere, mo dificare o edulcorare le informazioni che vengono fornite alla stampa, pretendendo che i giornalisti si accontentino della versione ufficiale e dopo aver riportato qualche riga di uno scarno comunicato, rinuncino ad approfondire. Una “coper ta” alle volte invocata anche da chi, come le amministrazioni comunali, non avrebbe titolo per farlo. O addirittura richiamata per non fornire informazioni relative a sentenze ormai passate in giudicato da anni e che rientrano ormai a pieno titolo nella storia giudiziaria del nostro Paese. Con il rischio che, con l’inaridirsi delle fonti, ci si trovi a dare spazio a indiscrezioni e mezze notizie, la cui verifica risulta più tortuosa rispetto a pochi mesi fa. Con buona pace della presunzione di innocenza.

La norma in vigore ormai da un anno è diventata una “coperta” che permette di omettere, modificare o edulcorare le informazioni che vengono fornite alla stampa, pretendendo che i giornalisti si accontentino della versione ufficiale

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Fa Barboza

A Pavia cala il silenzio sulla cronaca giudiziaria

La paura di sanzioni ha fortemente ristretto i flussi di informazioni: la comunicazione dalla Procura si limita ormai a fatti eclatanti, già noti al pubblico. di Maria Fiore, la Provincia Pavese

La legge, attraverso la comunicazione unidirezionale dei procuratori capo, che possono decidere quali fatti sono di interesse pubblico e quali non lo sono, finisce per impoverire i giornali e mette a rischio la loro stessa sopravvivenza

La legge sulla presunzione di innocenza voluta dalla mini stra Cartabia, proposta e approvata come una norma di garanzia per chi è sottoposto a un procedimento penale, porta con sé, al di là delle intenzioni, diversi effetti collaterali. Le conseguenze più immediate riguardano il lavoro dei giornalisti e gli stessi lettori. I primi costretti a fare i conti, ogni giorno, con gli ostacoli imposti dalla norma sull’accesso alle fonti e alle notizie. I secondi perché esclusi dalla possibilità di venire a conoscenza di fatti di cronaca, spesso gravi e rilevanti. Così può accadere, ad esempio, che per due settimane resti sotto silenzio l’arresto per frode fiscale di un noto imprenditore di Vigevano, perché la procura di Pavia ha ritenuto di non comunicare il provvedimento.

Ma a rimetterci, oltre ai giornalisti e ai lettori, è anche la qualità dei giornali. La legge, attraverso la comunicazione unidirezionale dei procuratori capo, che possono decidere quali fatti sono di interesse pubblico e quali non lo sono, finisce per impoverire i giornali e mette a rischio la loro stessa sopravvivenza.

La cronaca giudiziaria e nera raccontano la vita e le storie delle persone attraverso un lavoro che, nella sua essenza, non è cambiato nel tempo, nonostante l’innovazione digitale e

i nuovi canali di informazione. Un lavoro che richiede sacrifi cio quotidiano, fatto di contatto diretto con le fonti, di relazioni basate sulla fiducia, vincolato al rigido rispetto delle carte deontologiche e sottoposto a verifica continua (commettere errori in un articolo di cronaca giudiziaria espone pesantemente il giornalista, anche di fronte alla legge). Un lavoro che richiede tempi lenti e approfondimento, l’opposto dell’informazione rapida e superficiale che danneggia la credibilità della nostra categoria, e quindi più che mai necessario.

La legge sulla presunzione di innocenza mette in discussione il valore che ha oggi questo aspetto del mestiere, soprattutto in una fase di crisi come quella che l’informazione sta vivendo.

Il potere accentrato nelle mani dei Procuratori, che il più delle volte, come accade da mesi a Pavia, comunicano solo attraver so note stampa, mina la possibilità per un giornalista di fare domande e di accedere direttamente alle fonti, la base per un lavoro di qualità. Allontanare un giornalista dai corridoi della

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procura, come è accaduto alla sottoscritta mesi fa, giustifican do la decisione con «le nuove disposizioni», significa proprio questo: impedire di fare domande e ostacolare la possibilità di fare verifiche dirette, non mediate da “veline” o comunicati stampa.

Il cronista di giudiziaria prova a farsi tramite del bisogno di giustizia che proviene dalla società, di chi è vittima di un reato o di chi è sotto processo a volte da anni

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La battaglia per respingere il principio alla base della legge, perciò, è anche una battaglia per preservare la qualità dei giornali che ogni giorno arrivano nelle mani dei lettori

Il giornalista che scrive di cronaca giudiziaria o nera non è, come vorrebbe la narrazione dominante, un sa dico in attesa di poter sbattere il mostro in prima pagina. Al di là dei limiti e degli errori che si possono commettere, il cronista di giudiziaria prova a farsi tramite del bisogno di giustizia che proviene dalla società, di chi è vittima di un reato o di chi è sotto processo a volte da anni. Concretamente con la legge in vigore non si possono (o comunque è sempre più difficile) fare domande sull’esito di una indagine, sul lavoro del magistrato (che non a caso, secondo la legge, non dovrebbe nemmeno più essere citato come a capo di una indagine) o verificare i tempi spesso lunghissimi dei procedimenti, mortifican do la stessa funzione che il lettore ci chiede di assumere. A Pavia, come in altre piccole procure, dall’entrata in vigore della legge si respira un clima da “caccia alle streghe”. Le fonti che consentivano al giornalista di fare il suo mestiere con libertà, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie per poter scrivere un articolo con equilibrio e imparzia lità, restano ora in silenzio, terrorizzate dalle circolari che minacciano procedimenti disciplinari e sanzioni. In questi mesi, dunque, solo il procuratore capo, Fabio Napoleone, ha fornito le comunicazioni che riteneva di dare. Una comunicazione che il più delle volte si è limitata a fatti eclatanti, già noti al pubblico e media ticamente più clamorosi. Ma le piccole vicende, quelle che riguardano i fatti più vicini alla vita concreta della gente comune, soprattutto nei territori, sono rimaste inaccessibili.

La battaglia per respingere il principio alla base della legge, perciò, è anche una battaglia per preservare la qualità dei gior nali che ogni giorno arrivano nelle mani dei lettori. Una difesa che non può restare nelle mani di poche decine di giornalisti addetti ai lavori, perché è in gioco più di quanto si possa ora immaginare.

Bussole

Appunti di deontologia

25 24 1. Crocevia
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Il “nostro” Consiglio di Disciplina fra tutela della libertà e sanzione

Il dovere di essere libero è la prima regola deontologica di un giornalista: tutelare questo valore è il vero compito dell’azione disciplinare.

di Paolo Della Sala, presidente del Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine dei Giornalisti della

La Corte Costituzionale (sent. 168/1971) ha affermato che l’art. 21 della Costituzione, posto a tutela della libera ma nifestazione del pensiero, “è forse il più alto dei diritti primari fondamentali”.

Per definire la funzione del Consiglio di Disciplina Territoriale è opportuno, a mio avviso, partire da qui: solo interpretando un organo di giustizia, quale è il Consiglio di Disciplina, come stru mento di tutela della libertà di tutti e non di punizione del singolo si può trovare una linea di valori condivisi da porre a base dell’azione disciplinare per la violazione di regole deontologiche.

La dignità della professione di giornalista trova nel “dovere di essere libero” la sua prima regola deontologica

I nostri principi deontologici, infatti, si fondano su tre articolazioni del ‘dovere’ di libertà: libertà di espressione, di informazione e di critica; difesa della libertà di opinione e rispetto dei diritti fondamentali delle persone; indipendenza.

Per certi aspetti possiamo dire che, per il giornalista, queste declinazioni del concetto di libertà non costituiscono un diritto, ma un obbligo.

La dignità della professione di giornalista trova nel “dovere di essere libero” la sua prima regola deontologica.

Il giornalista, ad esempio, non deve prestarsi a iniziative pub -

blicitarie o aderire ad associazioni segrete e non può accettare pagamenti o favori o incarichi che possano condizionarne l’autonomia.

Il giornalista, per tutelare la propria li bertà, ha quale «obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti»: la violazione di questo principio costituisce, pertanto, un atto di disprezzo nei confronti della libertà di informazione, prima che una violazione deontologica.

Il giornalista, per tutelare la propria libertà, ha quale «obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti»

La deontologia professionale (considerata una sorella minore della cultura professionale) è tollerata ma non “amata” perché viene impropriamente letta come strumento di limitazione, se non di oppressione sanzionatoria.

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Adrian Pingstone

Questo obbiettivo può essere conseguito solo esercitando la propria funzione di garanzia con indipendenza assoluta e, per quanto possibile, “prendendo le distanze dalle proprie opinioni”

Le nostre linee di azione: velocità e trasparenza nel decidere Il nostro Consiglio di Disciplina, sia pure coi limiti che necessariamente contraddistinguono l’applicazione della giustizia in ogni sede, si pone l’obbiettivo di ribaltare questa visione errata e di portare la funzione disciplinare nell’alveo che gli è proprio: quello della tutela dei valori condivisi e della tutela della libertà di pensiero. Questo obbiettivo può essere conseguito solo esercitando la propria funzione di garanzia con indipendenza assoluta e, per quanto possibile, “prendendo le distanze dalle proprie opinioni” quando si è chiamati a valutare le opinioni altrui espresse nell’esercizio della professione: la nostra società è piena di temi fortemente divisivi sul piano dei principi (si pensi alla bioetica, alla libera manifestazione delle inclinazioni sessuali, al tema della immigrazione, per non parlare della religione e delle opinioni politiche). L’indipenden za, in linea di massima, è assicurata dal meccanismo di nomina dei componenti del Consiglio che assegna l’individuazione dei suoi componenti al Presidente del Tribunale. Più complesso, inevitabilmente, è l’equilibrato esercizio del ruolo giudicante. Per assicurare il più possibile il rispetto di questa condizione si intende lavorare secondo alcune direttrici principali: rendendo celeri i procedimenti e trasparenti le motivazioni delle decisioni adottate e attivando iniziative di carattere preventivo e divulgativo (le regole devono essere note e ‘comprese’ per poter essere rispettate). L’equidistanza di chi giudica, infatti, trova la sua principale difficoltà operativa nella mediazione fra l’obbli go di garantire la libertà di pensiero e il rispetto dei diritti fonda mentali delle persone che il comportamenti degli iscritti talvolta lede. Solo una migliore conoscenza e accettazione dei principi deontologici da parte degli iscritti e una maggiore consapevolezza dei problemi della professione da parte di chi è chiamato a giudicare può, probabilmente, aiutare ad un esercizio frut tuoso della giustizia disciplinare. Servono attenzione reciproca e disponibilità a mettere in discussione i propri pregiudizi. Come dice Gene Wilder in Frankestein Juinor: “si può fare!”.

I codici deontologici degli altri titolo su 3 righe

Tutela delle fonti, presunzione d’innocenza, interesse pubblico della notizia: una panoramica dei testi che regolano la professione giornalistica in alcuni Paesi esteri.

di Guido Camera, job title esteso

Le regole deontologiche hanno un ruolo fondamentale nel diritto dell’informazione. Esse sono delle norme cogenti per gli iscritti all’albo, dalla cui violazione scaturisce l’illecito disciplinare. Inoltre, nei giudizi per responsabilità civile e penali derivanti dall’esercizio della professione di giornalista, costituiscono parametri essenziali per inquadrare correttamente la condotta incriminata. La Cassazione, in proposito, ha spiegato che integrano dei precetti di carattere generale, che hanno forza e valore di fonte normativa e dal cui rispetto può derivare l’esonero di responsabilità per il giornalista (si vedano, in particolare, Cass. pen. n. 16145/2008, nonché Cass. civ. n.12834/2014).

La deontologia non è solo la prima difesa del singolo giorna lista; lo è anche del prezioso ruolo sociale che la Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo gli attribuiscono per garantire la libertà di espressione dell’opinione pubblica. Per essere una difesa efficace, è importante che i Codici deontologici siano il più possibile “vivi”, cioè capaci di adattarsi con tempismo ai mutamenti della società; perché la deontologia nasce dall’esperienza pratica quotidiana, e disciplina una professione versatile

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Se si passano in rassegna le carte deontologiche che svolgono il ruolo di “bussola” per i giornalisti stranieri, si può riscontrare l’esistenza di valori “universali” della professione, e prendere spunto per dei miglioramenti alle regole nazionali

e dinamica, il cui obiettivo è garantire una mediazione intellettuale altamente qualificata e affidabile tra notizie e opinione pubblica, i cui unici limiti devono essere verità, indipendenza e interesse pubblico del fatto narrato o commentato.

Nella società globale, un aiuto può venire dall’esame comparato con le disposizioni in vigore negli altri ordinamenti. Se si passano in rassegna le carte deontologiche che svolgono il ruolo di “bussola” per i giornalisti stranieri, si può riscontrare l’esistenza di valori “universali” della professione, e prendere spunto per dei miglioramenti alle regole nazionali. Ovunque, ad esempio, le disposizioni deontologiche sanciscono che il giornalista ha una funzione “sociale” primaria, cioè quella di garantire il diritto dei cittadini all’informazione.

La responsabilità verso il pubblico Questa attività diventa una vera e propria missione, soprattutto negli ordinamenti meno sensibili alle libertà; basta pensare che l’articolo 1 dello “Standard etico dei media” della Federazione russa prescrive ai giornalisti di fare “tutto il possibile per favorire l’accesso ai media per l’opinione pubblica”, che ha il di ritto di ricevere “informazioni affidabili, complete e presentate in modo imparziale (…) non distorte, corrispondenti allo stato reale delle cose del mondo”. Nella stessa direzione, il preambolo del Codice deontologico svizzero stabilisce che “la responsabilità del giornalista verso il pubblico prevale su qualunque altra responsabilità, in particolare su quelle che lo legano ai da tori di lavoro o agli organi statali”.

Fonti e segreto professionale

In Francia, la dichiarazione di Monaco statuisce che “i giornalisti chiedono il libero accesso a tutte le fonti di informazione e il diritto di indagare liberamente su tutti i fatti che condizionano la vita pubblica. In tal caso, il segreto pubblico o privato può essere invocato nei confronti del giornalista solo in via eccezionale sulla base di motivi chiaramente espressi”. La tutela del segreto professionale è condizione per l’esercizio della profes-

sione di giornalista, tant’è che ne viene riconosciuta l’indispen sabilità nella maggior parte delle carte deontologiche.

Presunzione

d’innocenza

Anche il rispetto della presunzione di innocenza è un valore fondante del giornalismo nelle società democratiche. Le regole tedesche in materia, ad esempio, stabiliscono che “le relazio ni sulle indagini, sui procedimenti giudiziari penali e su altri procedimenti formali devono essere esenti da pregiudizi. Il principio della presunzione di innocenza si applica anche alla stampa”.

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Jana Shnipelson

Interesse pubblico della notizia

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Dalle Carte deontologiche straniere, come detto, possono venire anche insegnamenti importanti per migliorare le nostre regole interne. In particolare, il riferimento va alla nozione di “interesse pubblico” della notizia, la cui definizione è essenziale per comprendere quali sono i limiti all’attività del gior nalista, sia nella fase di ricerca delle notizie, sia di divulgazio ne delle stesse. In Italia, questo parametro è rimesso, caso per caso, alla discrezionalità del giudice; neanche il Testo unico dei doveri contiene una definizione di “interesse pubblico”, limitandosi a individuare il criterio dell’“essenzialità dell’informazione” come limite alla sfera privata altrui. Tutto ciò rischia di alimentare disparità di trattamento, e di conseguenza può disincentivare l’informazione seria. Si tratta di una carenza legislativa che va perciò contrastata in ogni modo, se si vuole tutelare adeguatamente la professione di giornalista; non dimentichiamo, in proposito, che una chiara comprensione di “interesse pubblico” diventa anche il discrimine es senziale, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 188/2021 sul rafforzamento della presunzione di innocenza, per identificare le informazioni sui processi penali che magistratura e forze dell’ordine possono divulgare. Una definizione efficace viene dalle regole deontologiche ingle si della Independent Press Standard Organization (IPSO), ove è stabilito che l’interesse pubblico “comprende, ma non è limitato” all’informazione sui reati e i processi penali, la protezione della salute e della sicurezza pubblica, il contrasto alla manipolazione dell’opinione pubblica, la rivelazione degli errori giudi ziari; inoltre, è aggiunto che è dovere dei giornalisti sollevare e contribuire al dibattito pubblico – secondo inderogabili regole di verità, indipendenza e accuratezza - su ogni questione afferente queste tematiche, visto che “esiste un interesse pubblico alla libertà di espressione stessa.” Parole importanti per la tutela della professione, che bisognerebbe mutuare all’interno del nostro ordinamento. E lo si deve fare sfruttando la riforma del sistema sanzionatorio in materia di diffamazione, che nonostante le sollecitazioni della Corte costituzionale, giace oramai inerme da anni in Parlamento.

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Formazione

Gli strumenti che ci servono

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Giornalismi

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone

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I podcast e altri media

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Fare inchiesta locale: costruire credibilità nell’interesse dei lettori

Il privilegio di lavorare sul territorio è individuare tendenze che poi diventano nazionali. Ma per riuscirci su un media digitale occorre uscire dalla logica del click, puntare sull’approfondimento e misurarsi con la scelta dei contenuti a pagamento.

di Luca Rinaldi, coordinatore di Dossier, la sezione delle inchieste e degli approfondimenti di MilanoToday

Acosa serve nel 2022 il giornalismo locale? Fare inchiesta e approfondimento in questo ambito è utile ai lettori/ utenti? È possibile avere un impatto sulla vita della città e sulle scelte delle amministrazioni? Infine, c’è una strada verso la sostenibilità per un giornalismo di questo tipo?

Il patrimonio di esperienza e credibilità che la testata e i suoi giornalisti hanno costruito in oltre un decennio di cronaca locale è un asset fondamentale per comprendere la città

Domande sempre più frequenti tra chi frequenta le redazioni locali e a cui è complicato rispondere. Per riuscirci occorre ten tare, sperimentare, applicare metodi di lavoro e interpretare poi correttamente l’accoglienza dei progetti nella platea dei lettori. Se questo ultimo punto importa sicuramente di più a chi cerca di vendere un prodotto, al giornalista deve anzitutto interessare il con tenuto: portare al lettore un contenuto di qualità, affidabile e che risponda alle domande del cittadino e soprattutto affidabile. E l’affidabilità si costruisce nel tempo e con la continuità del lavoro. Sui media nazionali così come su quelli locali.

La vocazione di Dossier, la sezione di inchiesta e approfondi mento di MilanoToday, vuole andare esattamente in questa direzione. Il patrimonio di esperienza e credibilità che la testata e i suoi giornalisti hanno costruito in oltre un decennio di cro -

naca locale è un asset fondamentale per comprendere la città e sviluppare l’approfondimento che serve per mettere in prospettiva i fatti, unire i puntini, trovare nuove storie e soprattutto incidere sulla vita della città, provando a imporre nuovi punti sull’agenda politica delle istituzioni locali. Dal Comune alla Regione passando per la città metropolitana e tutti i corpi intermedi la rilevanza è un fattore fondamentale che si costruisce con la credibilità e la conoscenza del territorio. Un lavoro difficile, che va affrontato da editori e giornalisti con la maturità di chi comprende bene che è necessario uscire dalla logica del click per entrare in quella della credibilità, soprattutto quando al

È necessario uscire dalla logica del click per entrare in quella della credibilità, soprattutto quando al lettore è richiesto di sottoscrivere un abbonamento

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lettore è richiesto di sottoscrivere un abbonamento. Soprattut to in un Paese in cui la propensione a pagare per informarsi è tra le più basse in Europa.

Osservare e raccontare oggi Milano significa sempre più spesso uscire dai confini nazionali e svolgere un lavoro sempre più complesso che necessita di competenze sempre maggiori e aggiornate

Il gruppo CityNews ha deciso di provare a puntare questa direzione sulle città di Milano e Roma. Due centri con peculia rità e caratteristiche molto diverse, così come diverso si dimostra l’interesse dei lettori. Sulla città di Milano uno dei punti fermi del progetto giornalistico è relativo all’economia cittadina. Ed essendo Milano la capitale economica del Paese, tale approccio non può che essere Glocal. Un termine questo forse abusato in passato ma che ben si addice al fare inchiesta e approfondimento in una capitale economica tra le più ricche in Europa. Milano è un luogo in cui i grandi protagonisti dell’economia cittadina sono sempre meno riconoscibili e sempre meno ancorati al territorio: dunque osservare e raccontare oggi Milano significa sempre più spesso uscire dai confini nazionali e svolgere un lavoro sempre più complesso che necessita di competenze sempre maggiori e aggiornate. Allo stesso modo occuparsi dei problemi della città in un centro all’apparenza sfavillante e privo di criticità (e venduto come tale da quella che si può definire una propaganda a tamburo battente) è un’altra sfida importante. Portare all’attenzio ne di chi governa la città e la Regione temi come il diritto alla casa, una Sanità che è stata progressivamente smontata pezzo per pezzo e lottizzata politicamente, una Scuola con criticità strutturali, le difficoltà di lavoratori che affrontano un centro sempre più esclusivo ed escludente, e tutto ciò che riguarda i temi sociali è un progetto di lungo periodo, su cui vale la pena stare.

Il privilegio di lavorare sul territorio è potere individuare fin dalla nascita tendenze politiche, economiche, amministrative e perché no criminali, che poi diventano nazionali

Il lavoro sul locale è una frontiera e una trincea: il privilegio di lavorare sul territorio è potere individuare fin dalla na scita tendenze politiche, economiche, amministrative e perché no criminali, che poi diventano nazionali. Qui sta la vera forza nel poter applicare il modello dell’inchiesta giornalistica a una dimensione

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ui con escium ex et prent quatas eos molesti cm quis quatioluptaDi aut aliquam volupis re vom volupis re volende ium quatio etuo eturiouam volupis re volende ium quatio etuo esam essunt rquat faccus magnis.

locale in cui spesso c’è poco spazio per poter scavare a fondo nei fatti.

Quella di Dossier, e in generale del fare approfondimento all’in terno dei giornali locali, è una sfida impegnativa e difficile: molti gli ostacoli anche di ordine legale, basti pensare al tema delle querele temerarie, o dell’impatto della legge Cartabia sui rapporti con le procure e le Forze dell’ordine. Ma al tempo stesso è una via che può contribuire a costruire credibilità e presti gio attorno al grande lavoro quotidiano della cronaca. Tutti i giorni ci impegniamo per essere utili ai nostri lettori e portare loro acqua pulita nel senso inteso da Enzo Biagi e questa per noi è l’unica cosa che conta.

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100 BATTUTE TITOLO BOX SU DUE RIGHE TITOLO BOXDOLUTEMQUI NIHIT ULPA DOLESXEROVIDELENIM NISQUUN

Tempi limitati, spazi dilatati: il paradosso dell’informazione locale

L’evoluzione digitale ha trasformato anche i quotidiani cittadini in network multicanale, in grado di diffondere la notizia su più piattaforme pur con organici ridotti rispetto al passato. Tecnologie, linguaggi e responsabilità verso il lettore sono gli elementi chiave di questa sfida. di Lorenzo Rinaldi Direttore de il Cittadino

o meno, siamo chiamati ad agire - avranno più possibilità di re sistere e adeguarsi ai cambiamenti e dunque di avere successo. Gli spazi dell’informazione si sono dilatati perché oggi le nostre redazioni e il corpo dei collaboratori non lavorano più unicamente al giornale cartaceo, ma sono chiamati allo stesso tempo - e con organici ridotti rispetto al passato - a realizzare il sito Internet, i video, i podcast, le newsletter e a gestire i social network. L’evoluzione digitale dell’informazione ha trasformato anche i quotidiani locali in veri e propri network multicanale, in grado di diffondere la notizia su più piattaforme, portandola a un pubblico molto più vasto di un tempo, quando si era limitati al solo quotidiano cartaceo. Un esempio, certamente simile a molti altri nel panorama nazionale, è quello de il Cit tadino di Lodi, quotidiano del Lodigiano e del Sudmilano, che, su un territorio che non raggiunge i 350.000 abitanti, affianca al quotidiano cartaceo un sito Internet e una platea social con

La rivoluzione digitale ha subito una brusca accelerata ne gli anni del Covid, nei quali si è innescato una velocizza zione di un processo già in corso. Non vi è ambito che non sia stato interessato da un’implementazione delle infrastrutture digitali e, tra i settori maggiormente esposti, vi è l’informazione. I grandi network così come i giornali di provincia hanno cambiato e dovranno continuare a cambiare i propri modelli organizzativi e le modalità di diffusione delle notizie, che re stano - è bene ricordarlo -  il “core business” di questa attività, sebbene le tipologie di fruizione da parte del pubblico siano in evidente evoluzione.

Quanti riusciranno a cogliere gli elementi postivi di questo contesto rivoluzionario - nel quale, ci piaccia o meno, siamo chiamati ad agire - avranno più possibilità di resistere

L’avvento del digitale nell’informazione ha allargato a dismisura gli spazi e la pla tea a cui ci si rivolge, nonostante i tempi della produzione e della successiva fruizione della notizia siano oggi più limitati di ieri, così come le forze in campo, vale a dire gli organici delle redazioni. Volendo sintetizzare, possiamo affermare di esse re di fronte a un paradosso, estremamente sfidante, riassumi bile con questo concetto: “La nuova informazione: tempi limitati, spazi dilatati”. Quanti riusciranno a cogliere gli elementi postivi di questo contesto rivoluzionario - nel quale, ci piaccia

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Rum nit, officiet quo occus exceatibus nissitNequia perumqu atusae lantem in pa sit volum fuga. Omnimagnis es mos seque ea aut veliquo ex eum repersp elest, si quae rehenet que volutem nulluptat. Ut qui con escium ex et prent quatas eos molesti cum lscium ex et prent quatas eos molesti cum laabo. Aligendusdae adi quia.

Facebook (90.000 follower, dato settembre 2022), Twitter, In stagram e Youtube.

Lavorare in un contesto multipiattaforma richiede un rafforzato senso di responsabilità da parte delle redazioni, chiamate a confrontarsi con una platea di potenziali lettori-fruitori che si è ampliata a dismisura: servono dunque un efficientamento del lavoro, voglia e capacità di adeguarsi all’utilizzo delle nuo ve tecnologie e dei moderni linguaggi, avendo come bussola la verità della notizia, elemento che continua a distinguere il prodotto giornalistico da ogni altro prodotto che possiamo rintracciare sulla rete.

È un palese errore però considerare quella del quotidiano cartaceo informazione di Serie A e quella dell’online informazione di Serie B

Ai giornalisti è richiesta inoltre una maggiore capacità di discernimento, essendo sempre più necessario distinguere tra canali informati vi diversi. è un palese errore però considerare quella del quotidiano cartaceo informazione di Serie A e quella dell’online informazione di Serie B, perché così facendo si finirà per non investire su una fetta di pubblico, potenzialmente più giovane, che è quella dei lettori del futuro. Cambiano gli strumenti, non cambia il valore della notizia. E questo deve essere il punto di partenza.

Da Chora Media un podcast per ciascuno

La podcast company fondata da Mario Calabresi punta sull’informazione verticale. L’intento è assicurarsi segmenti di pubblico interessati a singole aree informative: esteri, finanza, politica interna, libri, sport. di Francesca Milano, responsabile dei podcast giornalistici di Chora Media

Ad ogni momento della giornata il suo mezzo di comuni cazione più adeguato. Sembra essere questo il modello che i cittadini stanno applicando alla propria dieta informativa. E in questo modello trova spazio anche il podcast, uno strumento “nuovo” ma in realtà antichissimo, basato sulla narrazione orale.

Il successo dei podcast ha origine nel tipo di fruizione. A differenza di altri mezzi di comunicazione, infatti, il podcast non richiede una attenzione esclusiva. Per guardare la tv bisogna tendenzialmente stare comodi sul divano, per leggere un giornale bisogna stare fermi, per guar dare un sito internet o i social network bisogna quantomeno potersi concentrare con lo sguardo sullo schermo. Il podcast, invece, permette di riempire di un contenuto (di news, di approfondimento, narrativo o fiction) un tempo intellettualmente morto. Gli spostamenti a piedi, in auto o sui mezzi pubblici, per esempio. Ma anche i lavori di casa, l’attesa in un ufficio pubblico, l’attività fisica al parco o in palestra, il tempo passato in cucina o quello impiegato sotto la doccia. Si tratta di attività quotidiane che si compiono spesso in maniera meccanica, senza che il cervello sia realmente impegnato. Il podcast consente

Il successo dei podcast ha origine nel tipo di fruizione. A differenza di altri mezzi di comunicazione, infatti, il podcast non richiede una attenzione esclusiva

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Oggi più che mai conta il rapporto di fidelizzazione tra giornalista e cittadino, un rapporto fatto di fiducia professionale ma anche di appuntamenti fissi

di fruire di informazione mentre si fa altro. In un’era così rapida, in cui il tempo per potersi dedicare alla lettura si riduce sempre di più, l’audio viene incontro alla costante esigenza dell’essere “multitasking”, ossia di riuscire a ottimizzare il proprio tempo e a fare più cose in contemporanea.

Inoltre, legando la fruizione di podcast a un’attività routinaria, è più facile per i giornalisti podcaster entrare nel flusso quotidiano della vita degli ascoltatori. Oggi più che mai conta il rapporto di fidelizzazione tra giornalista e cittadino, un rapporto fatto di fiducia professionale ma anche di appuntamenti fissi.

Casi di successo

Un paio di esempi di successo sono rappresentati da “Morning”, il podcast quotidiano del vicedirettore del Post Francesco Costa, ascoltato ogni mattina da migliaia di abbonati, o da “Stories”, il daily pomeridiano di Cecilia Sala che ogni giorno racconta una storia dall’estero. Entrambi questi casi dimostra no, inoltre, che il podcast è un mezzo di informazione più “in timo”, quasi come se il podcaster diventasse una voce amica che utilizza, per informare, un tono colloquiale, annullando la distanza che c’è sempre stata tra chi fa informazione e chi ne fruisce.

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Oggi l’informazione passa attraverso un rapporto più “paritario”: mi fido se mi identifico in te, se mi assomigli, se parliamo la stessa lingua

È un cambio totale di paradigma che consente al cittadino di costruirsi una dieta informativa basata sui propri bisogni e i propri tempi

Questo è uno dei pilastri su cui si fonda tutta l’informazione di Chora Media, la podcast company fondata da Mario Calabresi: l’autorevolezza del giornalismo non si basa più su un rapporto verticale con il pubblico, ma con un rapporto orizzontale, a cui contribuisce anche l’uso dei social network. Soprattutto per le nuove generazioni, il modello verticale che vede un’emittente calare dall’al to il suoi contenuti è respingente. Al contrario, oggi l’informazione passa attraverso un rapporto più “paritario”: mi fido se mi identifico in te, se mi assomigli, se parliamo la stessa lingua. I podcast informativi di Chora Media - daily, weekly o basati su serie con un numero prede finito di puntate - si pongono quindi l’obiettivo di informare le nuove generazioni instaurando con loro un rapporto di fiducia. Al contrario di altri editori, Chora ha deciso di puntare sull’informazione verticale, in modo da assicurarsi un pubblico interessato ad ogni singolo tema: esteri, finanza, politica interna, libri, sport eccetera. Questo anche perché si è scelto di creare contenuti di approfondimento, che vadano oltre la notizia rapida che si può conoscere anche attraverso altri mezzi di informazione (siti, social, telegiornali). Il podcast diventa piuttosto uno strumento per approfondire un tema o una vicenda di particolare interesse. Per poter approfondire, però, è necessario il tempo. E qui subentra un’altra caratteristica: il podcast non ha vincoli temporali come una trasmissione radiofonica, legata a un palinsesto spesso troppo stretto. A decidere non è quindi una scaletta dettata dalle pubblicità, dai Gr o dagli appuntamenti sul traffico, ma il contenuto stesso della storia. Quanto tempo è necessario per raccontare e spiegare un avve nimento? È questa la domanda che il giornalista-podcaster si fa quando inizia a lavorare su una puntata. C’è poi un’altra sostanziale differenza con radio: il podcast è on demand. È l’ascoltatore a decidere quando ascoltare una puntata. È un cambio totale di pa radigma che consente al cittadino di co struirsi una dieta informativa basata sui propri bisogni e i propri tempi.

Vi racconto la mia Morning titolo su 3 righe

Francesco Costa, vicedirettore de ilPost.it, spiega come ogni mattina costruisce il podcast diventato un punto di riferimento per chi ama le rassegne stampa. Ecco cosa accade dalla sveglia (alle 4.45) alla messa online (alle 8). di Francesco Costa, vicedirettore de ilPost.it

La sveglia suona alle 4.45 e il primo pensiero non è mai esattamente felice: nonostante preparare e condurre ogni mattina il podcast Morning sia una responsabilità stimolante e mi diverta anche, nonostante abbia sicuramente cambiato in meglio la mia carriera… il sonno si fa sentire. Il senso di stordimento dura poco, comunque: il tempo di sciacquarmi la faccia e versarmi il primo caffè che sono già alla scrivania. Dopo una veloce occhiata a Twitter e ai principali siti di news italiani e internazionali, utile ad assicurarmi che durante la notte non sia accaduto qualcosa di importante che non troverò sui giornali, alle 5 prendo il tablet. Leggo le versioni digitali dei quotidiani, così da averli a portata di mano dovunque mi trovi: Morning esce ogni giorno, quindi devo poterlo fare anche quando sono in giro per lavoro, all’estero o lontano da un’edicola. Resto sui giornali poco meno di un’ora e mezza: è una lettura obliqua, diventata più efficiente col tempo e l’esperienza, con la quale man mano metto insieme le principali notizie della giornata e seleziono gli articoli attraverso i quali commentarli. Pezzo dopo pezzo, quella selezione diventa una scaletta. Alle 6.20 interrompo la lettura, dovunque sia arrivato: di solito sono riuscito a consultare

Alle 6.20 interrompo la lettura, dovunque sia arrivato: di solito sono riuscito a consultare almeno otto quotidiani nazionali, l’obiettivo è arrivare a dieci ma non sempre ci riesco

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Registro circa 40-45 minuti consecutivi di parlato, compreso di errori, impappinamenti e rumori, nonché i momenti vuoti in cui passo da un giornale all’altro o penso a cosa voglio dire. Poi riascolto tutto a velocità doppia, tolgo il superfluo, aggiungo le sigle e i jingle

almeno otto quotidiani nazionali, l’o biettivo è arrivare a dieci ma non sempre ci riesco. Inforco le cuffie, mi avvicino al microfono e comincio a registrare. Vado a braccio, guidato solo dalla scaletta, interrompendomi quando mi impappino o quando dalla finestra arriva la sirena di un’ambulanza. Registro circa 40-45 minuti consecutivi di parlato, compreso di errori, impappinamenti e rumori, nonché i momenti vuoti in cui passo da un giornale all’altro o penso a cosa voglio dire. Poi riascolto tutto a velocità doppia, tolgo il superfluo, ag giungo le sigle e i jingle, esporto il file e lo pubblico, entro le 8 del mattino: durata variabile, dai venti ai trenta minuti. Cosa dico, in quella mezz’ora? Do le notizie, per cominciare: Morning è innanzitutto un podcast di servizio, pensato per dare alle persone la possibilità di informarsi in meno di mezz’ora sui principali fatti del giorno. Per quanto non ci sia puntata della quale poi non ripensi a cosa avrei dovuto dire ma non ho det-

to, e a cosa avrei potuto fare di diverso da quanto ho fatto, cerco di ancorare la scelta delle notizie di cui parlare a qualche principio. Primo: i grandi fatti, che si parli di campagna elettorale o guerra in Ucraina. Secondo: le cose che toccano la vita delle persone, dalla scuola alle tasse, dai servizi pubblici al carcere. Terzo: premiare i lavori di qualità e originalità. Quarto: niente fuffa, niente retroscena, niente chiacchericcio. Credo che i prodotti di informazione definiscano la loro identità non solo sulla base di quello che fanno ma anche sulla base di quello che scelgono di non fare, e non dire. Dentro Morning, poi, non ci sono solo le notizie: è una rassegna stampa commentata, che prova a rac-

Credo che i prodotti di informazione definiscano la loro identità non solo sulla base di quello che fanno ma anche sulla base di quello che scelgono di non fare, e non dire

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contare le notizie ma anche il percorso che fanno per arrivare sui giornali, i meccanismi che portano testate diverse a raccontarle in modo diverso, il modo in cui l’informazione plasma la realtà mentre la racconta; e attraverso un’analisi delle notizie prova a stimolare chi ascolta a compiere ulteriori approfondimenti e farsi una propria idea della realtà. Tra i molti strumenti e linguaggi oggi a disposizione dei media per diffondere il loro lavoro, il podcast è l’unico che non richiede l’attenzione esclusiva del pubblico: in questo modo si infila più facilmente nelle consolidate routine delle persone, aggira l’ostacolo del “non ho tempo” e permette di costruire dei piccoli riti attorno a una fruizione che sfrutta il metodo più antico utilizzato dagli es seri umani per trasmettersi informazioni e conoscenza, la voce. Provando così a ricostruire quel rapporto di fiducia sul quale si basa ogni positiva relazione tra un giornale e la sua comunità.

È una rassegna stampa commentata, che prova a raccontare le notizie ma anche il percorso che fanno per arrivare sui giornali, i meccanismi che portano testate diverse a raccontarle in modo diverso

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TERZA DI COPERTINA

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QUARTA

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