Cultura
Le stagioni della protesta
Al termine dell’unica fase espansiva del capitalismo moderno, quella che seguì il secondo conflitto mondiale, furono piantati alcuni semi che richiedono la cura del presente di Giancarlo Micheli
Citazione da Martin Luther King affissa su un muro della Facoltà di Medicina dell’Università di Parigi durante l’occupazione del 1968
D
urante gli ultimi giorni soleggiati del mese di settembre, mi è capitato di rileggere il testo del seminario XVII che Jacques Lacan tenne alla Facoltà di Diritto dell’Università di Parigi dal dicembre 1969 alla primavera dell’anno successivo.
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Debiti e crediti per una coscienza di specie
Un anno prima l’università francese era stata scossa dai venti della protesta, i quali, stando alle testimonianze del cui peso e della cui leggerezza altri ci hanno caricati, continuavano a soffiare con un certo vigore. Tra le conquiste che il movimento studentesco aveva allora strappato al governo Pompidou c’era stata quella dell’istituzione di corsi sperimentali, dove una università critica potesse muovere i primi passi sulle antiche acque del sapere. Presso la località di Vincennes, alle porte della capitale, l’esecutivo aveva prescelto una sede che, non forse a caso, era stata in precedenza adibita ad accogliere uffici della burocrazia militare. Qua Lacan intrattenne una composita folla di centinaia di studenti con quelli che chiamò Quattro improvvisi, nell’intenzione di svilupparvi un discorso in esplicito contrasto con quello svolto alla Facoltà di Diritto. L’Associazione Psicanalitica Internazionale, di rigida osservanza freudiana, aveva da poco espulso Lacan a causa delle sue tesi eterodosse e, verosimilmente, proprio in ragio-
ne di ciò egli aveva trovato occasione di esporle negli ambiti consentiti dall’istituzione universitaria. A Vincennes la contestazione, memore di egualitarismo giacobino, investì anche le sue lezioni. Incalzato dai contradditori Lacan tirò in ballo, non è facile stabilire con quale pertinenza, le unità di valore, il sistema di valutazione degli studenti, basato su un punteggio di debiti e crediti, che era entrato da poco in vigore proprio in virtù delle proteste studentesche. Il colloquio a più voci che ne scaturì nell’aula di Vincennes passò attraverso fasi che, a rileggerle, disvelano uno stile ed un senso umoristici: una voce provocatoria si leva per proporre che la lezione si trasformi in un “love-in selvaggio” (evidentemente tali espressioni erano allora in voga), un’altra chiarisce invece che gli studenti dovrebbero uscire dall’università per unirsi, su posizioni rivoluzionarie, ai contadini e ai lavoratori, Lacan ribatte con una riflessione sul posto che l’università occupava nella società sovietica, quella del socialismo reale; in un generale trambusto si lanciano accuse, si azzuffano ancora, faticano a trovare una conclusione che non sia incoerente o incompleta, che li motivi a sospendere la riunione. Il sistema dei debiti e dei crediti li ha intrappolati nelle sue conseguenze, proprio come in un dramma di Beckett o come accade alle immagini impresse su una pellicola di Buñuel. Il sistema dei debiti e dei crediti, del resto, non suona affatto estraneo al discorso del capitalismo, che Lacan,