SalutePiù - Aprile Maggio 2014

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Intervista

KineSpring

La molla salva ginocchio

Vene varicose Ipoglicemia

Chiesa di MONTEBUONO Castello di NEROLA

ASMA PEDIATRICO

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TERME SABINE

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Varicocele: breve vademecum

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Diabete e gravidanza

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Occhi e postura: una coppia inaspettata

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Le Apnee Ostruttive Notturne - OSAS

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Ginnastica respiratoria

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Ipoglicemia

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Stent riassorbibili novità in cardiologia interventistica

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Il prolasso mitralico: quando il cuore fa CLICK

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KineSpring: salva il ginocchio con una molla!

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Gammopatia Monoclonale

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Asma pediatrico

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Vene varicose

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La Chiesa di Montebuono - San Pietro ad Muricentrum

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Montecelio - Il gruppo scultoreo della Triade Capitolina

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Il castello di Nerola

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SALUTE PIÙ - BENESSERE CULTURA COSTUME Anno V - Num. 20 - Aprile-Maggio 2014

Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta Segreteria di Redazione Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576 Art director e impaginazione Alessia Gerli a-gerli@libero.it Editore Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009 Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT) Per la pubblicità su questa rivista rivolgersi a: GERLI COMUNICAZIONE a-gerli@libero.it T 338 5666568

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Hanno collaborato

Dott.ssa CATIA IMPERATORI

Dott.ssa LARA GUERRINI

Dott.ssa BARBARA MONTANTE

Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “La Sapienza” ove ha successivamente conseguito la Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio-Allergologia con il massimo dei voti e lode. Ha sviluppato la sua attività professionale in reparti di Medicina Interna, Pneumologia ed Allergologia in strutture della Capitale e della provincia di Roma. Ha tra gli altri ricoperto l’incarico di Responsabile dell’Ambulatorio di Allergologia dell’Ospedale Cristo Re. Opera presso la Branca di Pneumologia ed Allergologia del Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano.

Laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Endocrinologia e Malattie del Ricambio con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. E’ autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in ambito endocrinologico. E’ Responsabile della Branca di Endocrinologia presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini.

Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con il massimo dei voti e presso il medesimo ateneo ha ottenuto la Specializzazione in Ematologia. Ha successivamente conseguito il Master Universitario di II livello in Ematologia pediatrica. Ha al suo attivo pubblicazioni su riviste scientifiche italiane ed internazionali. Opera attualmente presso l’UOC Ematologia, Ematologia Pediatrica e Trapianto di Cellule Staminali dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma e presso il Centro FCSA per la Terapia Anticoagulante del Laboratorio Clinico Nomentano.

Prof. ANTONINO GATTO

Dott. MARCO GARUFI BOZZA

Dott. FABIO VALERIO SCIARRETTA

Il Professor Antonino Gatto, già Primario Chirurgo del Presidio Ospedaliero SS. Gonfalone della ASL RMG, è specialista in Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso, in Urologia ed in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma è titolare dell’insegnamento di Chirurgia d’Urgenza. E’ autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche di interesse chirurgico e la sua la sua casistica operatoria consta di oltre 7.000 interventi chirurgici di media ed alta chirurgia generale, vascolare, toracica, urologica. Svolge la sua attività professionale anche presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini.

Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ove, sempre con il massimo dei voti, ha anche conseguito le specializzazioni in Tisiologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio ed in Medicina del Lavoro. Ha partecipato e presentato relazioni in numerosi congressi scientifici nazionali ed internazionali. Svolge la sua attività professionale presso numerose strutture mediche della Capitale. È Responsabile della Branca di Allergologia e Pneumologia del Poliambulatorio Specialistico “Laboratorio Clinico Nomentano” di Monterotondo.

Specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse case di cura romane. E’ stato relatore in oltre 40 congressi nazionali ed internazionali ed ha al suo attivo 38 pubblicazioni. È Responsabile della Branca di Ortopedia del Poliambulatorio Specialistico “Laboratorio Clinico Nomentano” di Monterotondo.

Dott.ssa FRANCESCA CRISTELLO

Dott. ANTONIO SAPONARO Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e specializzazato in Cardiologia presso la seconda Facoltà di Medicina dell’Università “La Sapienza” di Roma. E’ in servizio presso il reparto di cardiologia del Policlinico Militare “Celio”. Svolge la sua attività professionale presso il Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano ed in altri ambulatori romani. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni sul Giornale di Medicina Militare e su Minerva Cardiologica.

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Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Pisa dove si è specializzata con lode in Ginecologia ed Ostetricia. Ha maturato esperienza presso l’Ambulatorio di Fisiopatologia dell’Adolescenza e Procreazione Assistita della medesima Università. Sempre presso l’Università di Pisa ha esercitato la professione nell’Ambulatorio di Colposcopia e Patologia Cervico-vaginale e Vulvare. Ha collaborato all’attività scientifica presso il Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente presso il Policlinico A. Gemelli in Roma. Nell’ambito della propria attività ha pubblicato su diverse riviste scientifiche nazionali (Giornale Italiano di Ostetricia e Ginecologia, “Il Consultorio familiare: contraccezione e desiderio di gravidanza”) ed internazionali (Human Reproduction, Fertility and Sterility, Gynecological Endocrinology). Attualmente esercita la propria attività anche presso il Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano.

Dott. MARCO DECUZZI Dott. MAURO CIPULLO FIORENTINO Dott.ssa ROBERTA IOANNUCCI Laureata in Ortottica ed Assistenza in Oftalmologia presso l’Università di Roma “Tor Vergata’’, ha successivamente frequentato il Master in ‘’Gestione del Coordinamento nelle Professioni Sanitarie’’ presso l’Università delle Scienze Umane di Firenze. Ha iniziato la sua attività professionale presso la casa di cura ‘’Villa Tiberia’’ di Roma. Attualmente svolge la sua attività di Ortottista presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma nonché presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini di Monterotondo

Il Dott. Mauro Cipullo Fiorentino ha conseguito la laurea in Pedagogia presso l’Università degli Studi di “Roma Tre”. Successivamente, si è laureato in Scienze Motorie e specializzato in Attività Motorie Preventive ed Adattate presso l’Università degli Studi di Roma Foro Italico “Roma 4”. Ha operato in diversi centri fisioterapici in qualità di massofisioterapista, e svolge attualmente la sua attività professionale presso il suo studio di Monterotondo.

Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Bari, e successivamente specializzato in Medicina Nucleare. Ufficiale Medico dell’Esercito, assistente di reparto di chirurgia vascolare presso il Policlinico Militare di Roma “Celio”, ha conseguito il diploma nazionale di ecografia clinica Siumb (Società Italiana di Ecografia in Medicina e Biologia), ed ha frequentato il corso specialistico di EcocolorDoppler Siumb, il corso di ecografia di medicina di base Siumb, e si è perfezionato in dietetica e dietoterapia presso l’Università degli Studi di Padova. Ha al suo attivo 40 pubblicazioni in riviste nazionali ed internazionali su argomenti di ecografica clinica e diverse presentazioni sui medesimi temi in congressi nazionali ed internazionali. Svolge la sua attività professionale anche presso il Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano.

Dott.ssa CLAUDIA ANNOSCIA Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti e specializzata in Endocrinologia e Malattie del Ricambio presentando una tesi sperimentale dal titolo “Obesità ed Osteoporosi: Quale Relazione?”. Ha successivamente conseguito un Master in Prevenzione e Assistenza al Sovrappeso, Obesità e Disturbi dell’Alimentazione. Ha collaborato con la Cattedra di Endocrinologia e Medicina Interna dell’Università di Roma “La Sapienza“ presso il Policlinico Umberto I ed altre strutture della Capitale. Attualmente svolge la sua attività professionale presso il Centro disturbi del comportamento alimentare ”Villa Pia” – Italian Hospital Group – di Guidonia e nell’ambito della Branca di Endocrinologia dello Studio Medico Polispecialistico Cappuccini di Monterotondo.

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Varicocele

Breve Vademecum

IL VARICOCELE È UNA MALATTIA CARATTERIZZATA DA DILATAZIONE VARICOSA ED INCONTINENZA DELLE VENE SPERMATICHE (O TESTICOLARI) CHE HANNO IL COMPITO DI DRENARE IL SANGUE DAL TESTICOLO.

Prof. Antonino Gatto Specialista in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso Specialista in urologia Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva - già Primario Chirurgo del presidio ospedaliero di Monterotondo della ASL RMG. Responsabile della Branca di Chirurgia Generale e Urologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

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siste anche il varicocele femminile (dilatazione delle vene ovariche) che è causa di dolore pelvico cronico. Tali vene nell’uomo e più raramente nella donna, possono diventare incontinenti e dilatarsi impedendo il deflusso del sangue venoso del testicolo creando un ristagno. Ciò si manifesta in particolar modo a carico del testicolo sinistro (95%) e raramente nel testicolo destro (5%) a causa delle differenti caratteristiche anatomiche tra le due vie vascolari. Talvolta il varicocele coinvolge entrambi i testicoli ed allora si parla di varicocele bilaterale. Il reflusso determina aumento della pressione sulle pareti venose ed un aumento di temperatura. Tutto ciò causa ipossia ( diminuzione di ossigeno) ed una diminuzione di testosterone nel testicolo, causando così una alterazione degli spermatozoi e quindi STERILITA’. Il varicocele è piuttosto frequente (15-20% della popolazione maschile) ed è presente nel 30-40% degli uomini con problemi di fer-

tilità.Nella maggior parte dei casi non si hanno sintomi evidenti. Un ragazzo può non accorgersi affatto di avere un varicocele. Infatti, molti ragazzi scoprono casualmente la patologia (es. durante una visita medica per la leva militare).

I sintomi del varicocele I sintomi possono presentarsi con il caldo, durante un esercizio fisico, alla fine di un rapporto sessuale, oppure dopo un tempo prolungato in stazione eretta. I sintomi includono: • un dolore sordo al testicolo • un senso gravativo di pesantezza a livello scrotale • un fastidio al testicolo o in una parte dello scroto i segni più frequenti sono: • nessun segno evidente visibile ma vene dilatate palpabili a livello scrotale. Vengono spesso descritte come un sacchetto di vermi. • il testicolo colpito da varicocele può risultare più grande dell’altro

La diagnosi La diagnosi di varicocele si basa su una visita accurata, ecografia, eco-color-doppler e spermiogramma (analisi dello sperma). L’ecografia, esame ormai ad elevatissima diffusione, è l’esame diagnostico fondamentale, per la classificazione del varicocele. Nello specifico, l’ecografia testicolare permette infatti di valutare anche la volumetria del testicolo. Lo studio attraverso l’ecocolordoppler dei vasi spermatici, permette di evidenziare facilmente il reflusso a livello delle vene spermatiche interne ed apprezzarne l’incremento durante un aumento della pressione addominale con gli sforzi.

La terapia del varicocele La terapia si avvale di varie metodiche quali: • legatura soprainguinale • intervento di Ivanissevich • intervento di Palomo • sclerotizzazione • embolizzazione vene spermatiche • legatura laparoscopica La scelta del trattamento è in funzione del singolo caso e dell’esperienza del chirurgo.

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a posizione del corpo è regolata dal sistema nervoso centrale. In presenza di un problema di postura, l’organismo cercherà in tutti i modi di compensarlo, ad esempio con una spalla più alta, un torcicollo, una scoliosi o un appoggio plantare sbagliato. Quando le possibilità di compensazione si esauriscono, compaiono problemi molto diversi che – a prima vista - è difficile ricondurre alla postura. Stanchezza oculare, astenopie, cefalee, cervicalgie, nevralgie, dolori alle spalle ed agli arti ma anche disturbi meno noti come difficoltà di concentrazione nella lettura. Difetti visivi e postura Viceversa, anche una visione scarsa e/o mal corretta può generare una cattiva postura. Nello specifico, a ciascun difetto visivo corrisponde una postura sbagliata. Ovvero: • Astigmatici: inclinanazione della testa; • Anisometropi: ruotazione della testa; • Esoforici: ruotazione delle scapole verso l’interno; • Exoforici: ruotazione delle scapole verso l’esterno. Ipocorrezioni o ipercorrezioni delle lenti o un errore di correzione dell’asse di un astigmatismo possono essere quindi causa di un torcicollo oculare.

Dott.ssa Roberta Ioannucci

Ortottista – Branca di Oculistica Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

TRA LA NOSTRA VISTA E LA POSTURA DEL NOSTRO CORPO CORRE UNA RELAZIONE PIÙ STRETTA DI QUANTO NON SI PENSI. POTRÀ SEMBRARE STRANO, MA OCCHI E POSTURA SONO TRA LORO CORRELATI.

Che fare? La riabilitazione ortottica ha così una parte importante nella riabilitazione posturale. Nei casi più evidenti,in presenza di posizioni anomale del capo, ad esempio, si ricorre all’utilizzo di appositi prismi. Ovvero di lenti che spostano la direzione visiva e la posizione relativa dell’occhio. Essi sono stati introdotti anche nella riabilitazione posturale, in virtù dell’azione che esercitano sui muscoli estrinseci oculari e di conseguenza sul sistema propriocettivo oculare per l’integrazione del sistema di equilibrio. Si tratta, però, di soluzioni correttive complesse e di attuazione delicata. È fondamentale il corretto posizionamento delle lenti sull’occhiale e la loro esatta centratura. Infatti, questa è la condizione sia per evitare l’induzione di effetti prismatici errati che per introdurre effetti prismatici funzionalmente utili. La prescrizione dei prismi, dovrà essere estremamente precisa e tenere conto del difetto visivo, dell’anatomia facciale del soggetto, della giusta montatura, sia per il bambino che per l’adulto. Piccolo Dizionario Astenopia: tendenza al precoce affaticamento dell’apparato visivo. Anisometropia: condizione in cui i due occhi hanno difetti di vista diversi. Esoforia: tendenza alla convergenza degli occhi (strabismo convergente). Exoforia: tendenza alla divergenza degli occhi (strabismo divergente) Muscoli estrinseci dell’occhio: muscoli striati caratterizzati da un innervazioni molto più ricche dei muscoli delle restanti parti del corpo e dotati delle più piccole unità motorie che permettono i movimenti oculari. Sistema propriocettivo: è la capacità del nostro Sistema Nervoso Centrale di conoscere in ogni momento lo stato di tono e di tensione di ogni muscolo attraverso recettori presenti in tutti i muscoli e tendini del nostro corpo.

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Il sonno è un mondo affascinante in cui la nostra mente si prende una pausa dall’azione quotidiana di controllo su tutte le attività del corpo e lascia posto a meccanismi “automatici” di funzionare. Dott.ssa Catia Imperatori Branca di Allergologia e Pneumologia, Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

Le Apnee Ostruttive Notturne - OSAS

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ormire è una necessità primaria dell’uomo e di tutti gli esseri viventi è di fondamentale importanza per mantenere efficiente le attività cerebrali, cardiache, per mantenere integra l’attività degli ormoni che regolano il metabolismo. Per essere efficace il sonno deve essere continuo intenso e duraturo nel tempo. Il russamento - oltre ad essere causa di conflitti tra conviventi può essere sintomo di un vero e proprio disturbo respiratorio: la Sindrome delle Apnee Ostruttive Notturne detta anche OSAS dall’inglese Obstructive Sleep Apnea Syndrome. In questi casi, durante il sonno profondo, si verificano dei veri e propri momenti di arresto della respirazione (le apnee, appunto) seguite da una ripresa rumorosa del respiro. Spesso è il partner ad accorgersi di pause respiratorie associate al russamento, il paziente ci riferisce risvegli improvvisi oppure sono presenti microrisvegli impercettibili che frammentano il sonno.

Quali sono i sintomi che ci debbono mettere in allarme? Sonnolenza diurna eccessiva fino ad arrivare nei casi più gravi a veri colpi di sonno, stanchezza ingiustificata, cefalea, deficit di memoria e della concentrazione con riduzione delle performance in ambito lavorativo e alle guida di autoveicoli, irritabilità, secchezza della bocca al risveglio, aumento del’appetito.

Chi ne è più colpito? Il sesso maschile, ma anche quello femminile specialmente dopo la menopausa, persone sovrappeso o obesi che presentino accumulo di adipe nel collo che esercitando una pressione provoca il collasso del tratto faringeo, soggetti con deviazione del setto nasale, polipi nasali, aumento di volume dell’ugola e del palato molle per ipertrofia delle tonsille e delle adenoidi. Molto di fre-

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quente patologie respiratorie come anche la bronchite cronica si associano alla Sindrome delle Apnee Ostruttive Notturne e si parla di overlap syndrome cioè di sovrapposizione o presenza contemporanea di due patologie.

Quali sono le conseguenze? Come abbiamo detto, le apnee notturne sono provocate da un collasso più o meno grave delle vie aeree. La conseguenza è che i livelli di ossigeno nel sangue si possono abbassare rapidamente. Questo evento, a sua volta, ha un impatto sul cuore e sul cervello poiché il “sistema automatico” non riesce a far fronte a questo bisogno aumentato di ossigeno. A ciò si aggiunge poi molto spesso la presenza contemporanea all’OSAS di malattie respiratorie come la bronchite cronica. Ne consegue che, con il passare degli anni, si sviluppino sia malattie cardiovascolari che endocrine-metaboliche:

MALATTIE CARDIOVASCOLARI IPERTENSIONE ARTERIOSA - ARITMIE - INFARTO ANGINA PECTORIS - ICTUS CEREBRALE

MALATTIE ENDOCRINE-METABOLICHE

OBESITÀ - DIABETE MELLITO DI TIPO 2 IPOTIROIDISMO - RIDOTTO LIVELLO DI ORMONI SESSUALI

Come diagnosticare la Sindrome delle Apnee Notturne? Il Polisonnigrafo Per diagnosticare la Sindrome delle Apnee Notturne si deve eseguire una polisonnografia oppure un monitoraggio cardio-respiratorio ambulatoriale con un piccolo apparecchio non invasivo senza necessità del ricovero. L’esame consiste nell’applicazione di alcuni sensori di al torace ed all’addome che registrano i movimenti del corpo, l’attività re-

spiratoria e cardiaca (l’elettrocardiogramma). Un piccolo microfono piatto viene applicato sul collo della persona e registrerà il russa mento. Un lettore a fibre ottiche verrà posto sul dito indice ci darà i valori della saturazione dell’ossigeno momento per momento, le cannule nasali permetteranno invece di rilevare il flusso di aria. La risposta dell’esame ci fornirà un tracciato cosiddetto multiparametrico registrato durante le ore di sonno. Al paziente verrà poi chiesto di annotare eventuali “eventi” occorsi durante la notte in un diario del sonno.

Come si cura la la Sindrome delle Apnee Notturne? La terapia consiste in un approccio multidisciplinare valutando nella globalità le cause della malattia, che sono spesso più di una, dopo una attenta anamnesi. In primis, ove necessario, calo del peso con il supporto del nutri-

zionista. Una spirometria permetterà di escludere malattie respiratorie. Se necessario, si eseguirà l’emogasanalisi per valutare i livelli di ossigeno a riposo e da svegli. La terapia più diffusa consiste applicazione di una pressione positiva delle vie aeree per via nasale o naso-bocca durante il sonno. Ciò al fine di correggere il collasso passivo delle alte vie aeree ed eliminare i disturbi respiratori ad esso associati. Tale pressione viene generata da un apparecchio specifico il PAP, dall’inglese Positive Airway Pressure. L’apparecchio – costituito da un piccolo ventilatore collegato ad una maschera - consente la ventilazione meccanica a pressione positiva delle vie aeree. Importante è anche la valutazione dell’otorinolaringoiatra per diagnosticare le alterazioni delle vie aeree superiori e per programmare interventi chirurgi correttivi che sono posti a coadiuvare la terapia con il PAP o a sostituirla nei casi in cui il paziente abbia difficoltà a gestire la terapia attraverso ventilazione meccanica.

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ginnastica respiratoria

COMBATTI IL MAL DI SCHIENA

LA BPCO, MALATTIA RESPIRATORIA SEMPRE PIÙ FREQUENTE E SOTTOSTIMATA, NECESSITA NON SOLTANTO DI TERAPIE MEDICHE APPROPRIATE MA ANCHE DI TUTTO CIÒ CHE NON È PRETTAMENTE FARMACOLOGICO. NEL SEGUITO, PARLEREMO DUNQUE DELLA COSIDDETTA GINNASTICA RESPIRATORIA COME FARLA, PERCHÉ FARLA E QUANDO NON È POSSIBILE FARLA.

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Dott. Mauro Fiorentino Fisioterapista

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a Ginnastica Respiratoria è una speciale ginnastica che viene utilizzata per migliorare la capacità ventilatoria nei pazienti affetti da patologie respiratorie. Con il termine capacità ventilatoria si intende la capacità di espellere l’aria già contenuta nei polmoni e di introdurre nei polmoni aria nuova. La capacità ventilatoria deve essere adeguata alle esigenze della persona per garantire l’ossigenazione dei suoi tessuti. Viceversa, la capacità ventilatoria e, dunque, l’ossigenazione dei tessuti, può essere ridotta in misura più o meno importante nelle malattie respiratorie. Infatti, una delle patologie respiratorie più significative che può trarre benefici dalla ginnastica respiratoria, è la BPCO ovvero la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva. Il paziente affetto da questa patologia ha difficoltà di respiro unite ad un maggiore sforzo inspiratorio e un minore scambio gassoso. Con il termine scambio gassoso si intende la cessione di anidride carbonica dai capillari agli alveoli polmonari, e l’acquisto di ossigeno dagli alveoli ai capillari.

La Respirazione

E’ innanzitutto necessario chiarire che la respirazione può avvenire con diverse modalità. Si parla di respirazione diaframmatica o bassa quando, posizionando le mani sull’addome durante la inspirazione, l’addome divenga più prominente. Si parla invece di respirazione media o costale nel caso in cui, durante l’ispirazione, si sollevino le costole e di respirazione alta o clavicolare nel caso in cui si sollevino le clavicole. Coloro i quali siano affetti da BPCO, non utilizzano la respirazione diaframmatica quindi l’atto respiratorio è più corto e insufficiente perché viene utilizzata solo la porzione toracica superiore. La correzione di questa problematica avviene appunto attraverso la ginnastica respiratoria.

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La Ginnastica Respiratoria

La ginnastica respiratoria è finalizzata a: • disostruire le vie aeree dalle secrezioni patologiche • rieducare il paziente ad una corretta modalità di respira zione • aumentare la resistenza allo sforzo diminuendo contempo raneamente il consumo di ossigeno ed energia • ridurre la dispnea (cioè la respirazione faticosa). Gli esercizi propri della ginnastica respiratoria possono essere eseguiti in varie posture: da sdraiati, da seduti o in piedi. I movimenti possono riguardare gli arti, in abbinamento alla respirazione, oppure movimenti di torsione del busto sempre abbinati alla respirazione. L’esecuzione dei movimenti deve essere lenta senza avere fretta di terminare l’esercizio. Di volta in volta verranno alternati i diversi esercizi con l’accortezza di inspirare sempre dal naso ed espirare dalla bocca.

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Controindicazioni alla Ginnastica Respiratoria

Esistono però – in caso di particolari malattie - delle controindicazioni alla ginnastica respiratoria. Ad esempio in caso di cardiopatie scompensate, aritmie gravi, ipertensione arteriosa grave ed instabile, aneurisma cerebrale, metastasi ossee, grave osteoporosi. Per quanto riguarda i pazienti con BPCO, è necessario tener presente come sia possibile effettuare l’allenamento allo sforzo solo dopo che la malattia sia stata “stabilizzata” dallo specialista. Ovvero, il paziente non debba più dipendere da strumenti di supporto delle funzioni vitali, da monitoraggio e da terapie avanzate. In condizioni di malattia “stabilizzata” il paziente non corre rischi durante un’attività che richieda uno sforzo, naturalmente adeguato alle sue possibilità. L’indicazione all’esecuzione della ginnastica respiratoria deve essere prescritta dal medico specialista pneumologo ed è eseguita sotto l’attenta osservazione del fisioterapista.

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Ipoglicemia L’IPOGLICEMIA È UNA RIDUZIONE DEI LIVELLI DI GLUCOSIO (ZUCCHERO) NEL SANGUE AL DI SOTTO DEI VALORI DI NORMALITÀ SOLITAMENTE ACCOMPAGNATA DA SINTOMI CARATTERISTICI CHE REGREDISCONO CON IL RIPRISTINO DEI NORMALI LIVELLI DI ZUCCHERI NEL SANGUE.

Dott. ssa Lara Guerrini Responsabile della Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

Dott. ssa Claudia Annoscia Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

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Come si diagnostica l’ipoglicemia? La diagnosi clinica di ipoglicemia è basata sulla cosiddetta triade di Whipple: a) presenza di sintomi compatibili con ipoglicemia; b) valori bassi di glucosio plasmatico; c) scomparsa dei sintomi con il ripristino di normali valori di glicemia dopo assunzione di glucosio. In realtà non esiste accordo generale tra le comunità scientifiche sui livelli soglia plasmatici da adottare per la definizione di ipoglicemia, che vengono riportati per valori compresi tra i 45 e i 75 mg/dl (da 2.5 a 4.2 mmol/l). Tale discordanza deriva dal fatto che la comparsa del quadro clinico di ipoglicemia è condizionata da tre variabili: 1) la risposta dell’organismo al digiuno; 2) la soglia di comparsa dei sintomi da carenza di zuccheri nel sangue; 3) la soglia di attivazione dei meccanismi di compenso (la cosiddetta risposta controregolatoria) Infatti, in soggetti abituati a mantenere livelli glicemici piuttosto elevati come avviene nel diabete scompensato, anche valori di glicemia superiori a 60 mg/dl possono associarsi

alla comparsa dei sintomi. Al contrario, quando si ha un controllo glicemico buono, con valori vicini alla normalità, i sintomi dell’ipoglicemia possono non essere presenti anche se la glicemia scende al di sotto di 60 mg/dl. Le cause dell’ipoglicemia possono essere diverse: • attività fisica eccessiva (non programmata o più prolungata del solito) • alimentare (orario ritardato dei pasti o pasto non sufficiente) • da farmaci (sovradosaggio di ipoglicemizzanti o assunzione di altri farmaci) • assunzione eccessiva di alcool • insulinoma • insufficienza cardiaca, renale, epatica • gravi infezioni • deficit ormonali • reattiva: (ad es in soggetti sottoposti a chirurgia per obesità patologica)

I Sintomi dell’ipoglicemia I segni ed i sintomi dell’ipoglicemia possono variare per intensità e tipologia e sono dovuti alla carenza nelle cellule nervose di glucosio. Possono essere suddivisi in autonomici e neuroglicopenici: i primi, sono dovuti all’attivazione del sistema nervoso autonomo con conseguente rilascio di adrenalina e provocano sensazione di fame, sudorazione, ansia, formicolii alle estremità, alterazioni del ritmo cardiaco (palpitazioni, tachicardia), tremore, pallore cutaneo, aumento della pressione arteriosa. I sintomi e segni neuroglicopenici, invece, sono l’espressione diretta della carenza di glucosio a livello del sistema nervoso centrale e si manifestano con: debolezza e facile faticabilità, vertigini, cefalea, difficoltà di concentrazione fino alla confusione, nervosismo, irritabilita’,visione offuscata, ipotermia, convulsioni, deficit neurologici fino al coma nei casi più gravi. Quando l’ipoglicemia è lieve il paziente manifesta i sintomi autonomici che regrediscono completamente e velocemente dopo l’assunzione di carboidrati a rapido assorbimento

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CONTROLLA LA TUA

TIROIDE (zuccheri). Se l’ipoglicemia è moderata, ai sintomi descritti precedentemente possono associarsi quelli dovuti ad un insufficiente apporto di glucosio al cervello, ed in questo caso il paziente dovrebbe essere ancora in grado di correggere la sua ipoglicemia da solo, assumendo zucchero, ma potrebbe aver bisogno dell’aiuto di un’altra persona. Se l’ipoglicemia diviene severa perché i livelli glicemici continuano a scendere, il paziente potrebbe perdere coscienza, avere convulsioni o cadere in coma. In questi casi non sarà in grado di intervenire autonomamente e un’adeguata assistenza sarà necessaria. Questo è quello che succede a volte nei pazienti diabetici che assumono la terapia insulinica o farmaci ipoglicemizzanti non di ultima generazione che poi non si alimentato in modo adeguato. Infatti in questi pazienti circa la metà delle ipoglicemie si verifica proprio nelle ore notturne o nelle prime ore del mattino perché il fabbisogno di insulina si riduce rispetto al resto della giornata. ll rischio maggiore è compreso tra la 1 e le 4 del mattino. Incubi, difficoltà al risveglio, stanchezza mattutina e mal di testa sono molto frequenti quando si è in presenza di ipoglicemie notturne. È pertanto utile uno stretto monitoraggio dei valori glicemici, controllare la glicemia prima di andare a letto e, in caso di valori minori di 100 mg/dl, l’assunzione di alcuni carboidrati (es. uno spuntino a base di frutta) può aiutare ad evitare l’ipoglicemia notturna. Sarà poi lo specialista diabetologo a valutare le modifiche terapeutiche in base ai valori glicemici riscontrati. Una segnalazione a parte meritano le forme di ipoglicemie definite reattive, più frequenti nelle donne, in cui si riscontrano valori glicemici bassi in conseguenza di un eccessiva produzione di insulina dopo assunzione di un pasto ricco di zuccheri semplici. In questo caso lo specialista endocrinologo, dopo aver escluso cause più gravi di eccesso insulinico (come i tumori pancreatici), consiglierà al paziente di seguire,

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anche con l’ausilio di un nutrizionista, un regime alimentare appropriato in cui vengano privilegiati gli zuccheri complessi e le fibre (che ne favoriscono un ritardato assorbimento) ed in cui i pasti vengano frazionati nel corso della giornata.

Come intervenire in caso di ipoglicemia Il trattamento dell’ ipoglicemia è relativamente semplice. In generale si possono verificare due situazioni: • Individuo ancora cosciente: il trattamento consiste nella cosiddetta regola del 15: somministrare zucchero ad assorbimento rapido 15 gr ( 3 zollette di zucchero da 5 gr oppure ½ bicchiere succo di frutta o bevanda zuccherata, 5-6 caramelle oppure o un cucchiaio grande di zucchero o miele) + riposo, se dopo 15 min la glicemia non si è alzata( oltre 70 mg/dl) altra dose di 15 g zuccheri sino a che la glicemia non risulti superiore a 100 mg/dl + dopo 15 min assunzione di zucchero ad assorbimento lento (pane, fette biscottate,ecc per evitare che la glicemia torni a scendere). Deve poi seguire una misurazione glicemica per controllare il ritorno a valori normali. • Individuo incosciente: non somministrare bevande zuccherate per evitare l’ingestione di liquidi o solidi nelle vie aeree e quindi soffocamento. Se disponibile intervenire con fiala di glucagone ( disponibile in kit), un ormone in grado di far aumentare la glicemia nell’arco di pochi minuti. Nel momento in cui il paziente riacquista conoscenza, può essere somministrato glucosio (o zucchero) per via orale. Nei casi più gravi di ipoglicemia far intervenire 118.

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Stent riassorbibili NOVITÀ IN CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA

Dott. Antonino Saponaro Branca di Cardiologia, Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

NEGLI ULTIMI 40 ANNI LA CARDIOLOGIA HA VISSUTO DIVERSE RIVOLUZIONI. DALLA PRIMA ANGIOPLASTICA CORONARICA NEL 1977, LA TERAPIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA PUÒ VANTARE L’INTRODUZIONE DI SEMPRE PIÙ EFFICACI DISPOSITIVI PER CONTRASTARE LE OSTRUZIONI DELLE ARTERIE CORONARIE.

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o stent riassorbibile ha l’aspetto di una gabbietta di plastica di forma cilindrica e rappresenta l’ultima novità nel campo della cardiologia interventistica. Si tratta di uno stent fabbricato con lo stesso materiale utilizzato per i punti di sutura riassorbibili. Ed è infatti questa la sua principale caratteristica: il nuovo dispositivo, chiamato BVS (bioreasorbable vascular scaffold o impalcatura vascolare bioriassorbibile), una volta esaurito il suo compito, quello di tenere aperta la coronaria per il tempo necessario affinché non si richiuda, scompare. I nuovi stent riassorbibili iniziano infatti a dissolversi dopo sei mesi dalla loro applicazione per sparire completamente in circa 2 anni.

I progressi della cardiologia interventistica Dal 1977, con l’invenzione dell’angioplastica, i cardiologi interventisti hanno a disposizione una tecnica che consente di riaprire le coronarie occluse da trombi o da placche aterosclerotiche grazie a un palloncino. Principale limite dell’angioplastica semplice era il pericolo di una chiusura improvvisa del vaso, superata grazie alla seconda invenzione, l’introdu-

zione degli stent metallici che, come un’impalcatura a rete, permettevano di mantenere aperta la coronaria. Anche gli stent tuttavia avevano ed hanno un punto debole:la restenosi. Lo stesso stent, infatti, è in grado di generare un processo infiammatorio che porta alla crescita di nuovo tessuto al suo interno con conseguente chiusura de vaso. Da qui l’avvento degli stent medicati (stent “ricoperti” di un farmaco che blocca la proliferazione della parete dell’arteria). Ma ogni nuova tecnologia ha il suo lato oscuro che per gli stent medicati è la trombosi tardiva. L’occlusione, cioè, acuta e potenzialmente più pericolosa di tutta l’arteria che a differenza della restenosi si manifesta improvvisamente dando luogo ad un nuovo infarto miocardico spesso più grave del danno all’arteria che aveva portato all’impianto dello stesso stent.

I vantaggi degli stent riassorbibili Con il nuovo stent riassorbibile si spera di conservare i vantaggi dello stent metallico, ma di eliminare quelli negativi. Lo scaffold polimerico è coperto da un farmaco antiproliferativo e mima esattamente quello che fa uno stent metallico a rilascio di far-

maco. Una volta che l’arteria ha assunto la nuova morfologia, nel giro di 6 mesi la massa del polimero inizia a ridursi. In 2 anni viene riassorbito, restituendo all’arteria sua elasticità e la sua capacità di rispondere agli stimoli fisiologici e cioè di restringersi e dilatarsi in relazione a questi stimoli. Il fatto di scomparire ha anche altri vantaggi, infatti con lo stent riassorbibile evitiamo di causare uno stimolo infiammatorio cronico alla parete dell’arteria coronaria, possibile causa di restenosi.

A chi possono essere utili gli stent riassorbibili? Candidati ideali all’impianto dei nuovi stent sono soprattutto i pazienti giovani, di età inferiore ai 50 anni, che potrebbero avere la necessità di essere sottoposti in futuro a nuovi interventi. Gli esperti sono convinti che il nuovo dispositivo porterà ulteriori vantaggi nel trattamento delle malattie cardiovascolari. È soprattutto grazie ai progressi in questo campo che oggi viviamo più a lungo. Dal 1960 al 2000 la vita si è allungata di 7 anni, un allungamento dovuto per il 70%, cioè per 4,8 anni, alla riduzione delle morti per malattie cardiovascolari.

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Il prolasso mitralico:

quando il cuore fa CLICK

IL PROLASSO MITRALICO: QUANDO IL CUORE FA CLICK IL FLUSSO DEL SANGUE ALL’INTERNO DEL CUORE È REGOLATO DA UN SISTEMA DI VALVOLE (QUATTRO IN TUTTO) CHE COLLEGANO TRA LORO ATRI E VENTRICOLI E QUESTI ULTIMI CON L’AORTA E CON L’ARTERIA POLMONARE. I VENTRICOLI FUNZIONANO COME DUE POMPE E, RICEVUTO IL SANGUE ATTRAVERSO GLI ATRI, HANNO IL COMPITO DI IMMETTERLO NEL SISTEMA CIRCOLATORIO. LE VALVOLE CARDIACHE POSSONO PRESENTARE DELLE PATOLOGIE LORO SPECIFICHE, DETTE ANCHE “VALVULOPATIE”: IL PROLASSO DELLA VALVOLA MITRALE È LA PIÙ FREQUENTE TRA LE VALVULOPATIE, SOPRATTUTTO IN ETÀ GIOVANILE. 22

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i riscontra in circa il 5% della popolazione generale, ma i dati sulla prevalenza sono controversi. Secondo alcuni autori, infatti, i tassi di prevalenza variano dal 5% al 15%, altri invece, parlano di tassi che non superano l’1-2%. Di certo è che il prolasso mitralico sembra essere più frequente nella popolazione femminile nella quale si osservano due picchi di prevalenza, intorno ai 30 e ai 50 anni di età. Nei soggetti maschi il picco di prevalenza invece è attorno ai 20 anni e tende a decrescere man mano che l’età anagrafica aumenta. Si è osservato inoltre che il prolasso mitralico è più frequente nei soggetti longilinei; in diversi casi si l’alterazione in questione è presente in diversi membri della stessa famiglia.

Cos’è il prolasso mitralico? Iniziamo con una definizione generale. Secondo l’Enciclopedia Treccani, il prolasso è l’ “abbassamento di un organo attraverso un canale o un orifizio naturali, fino alla sua fuoriuscita all’esterno”. Nel nostro caso, la definizione di prolasso mitralico è stata oggetto di numerose discussioni fra i vari autori che non sempre si sono trovati d’accordo. In base all’orientamento generale attuale si definisce il prolasso mitralico come “il dislocamento superiore o la protrusione di uno o entrambi i lembi mitralici in atrio sinistro durante la sistole (cioè quando il cuore si contrae), causato da anomalie strutturali dell’apparato mitralico”. L’entità della protrusione e l’alterazione della dinamica dei lembi che ne consegue può variare da lieve o grave e può causare rigurgito valvolare. Per cercare di capire meglio qual è il problema relativo a questa alterazione valvolare è opportuno ricordare che i ventricoli cardiaci hanno una valvola di afflusso e una di efflusso; queste valvole servono a far sì che tutto il sangue scorra in un’unica direzione. La valvola di afflusso al ventricolo sinistro è la Valvola Mitrale che deve il suo nome alla sua forma, simile a quella di una mitra da vescovo, formata cioè da due lembi. Quando questi lembi si chiudono, impediscono al sangue defluito in ventricolo sinistro di tornare indietro. Nelle valvole prolassanti, invece, uno o più lembi, durante la contrazione cardiaca, risale indietro rispetto al piano valvolare e questa non perfetta chiusura fa si che una parte del sangue (il quale dovrebbe passare tutto da atrio a ventricolo) rigurgiti in atrio sinistro. In molti casi il prolasso mitralico è un reperto ecografico occasionale che non si associa ad alcuna sintomatologia; è evenienza abbastanza rara che tale valvulopatia comporti alterazioni cardiache di una certa importanza.

I sintomi del prolasso mitralico Il prolasso mitralico è solitamente asintomatico e la sua scoperta avviene casualmente durante controlli medici effettuati per altre ragioni.Se presente, la sintomatologia può essere varia; in particolar modo nei soggetti più giovani si possono riscontrare irregolarità del battito cardiaco (extrasistolia), dolenzia toracica, tachicardia, palpitazioni, affanno, debolezza, facile affaticabilità, sindromi ansiose e attacchi di panico. Nella stragrande maggioranza dei casi il prolasso mitralico non comporta particolari conseguenze e viene pertanto considerato un’anomalia benigna o addirittura una caratteristica fisica della valvola che non incide in alcun modo sulla qualità della vita del soggetto. In caso di prolasso mitralico di lieve entità, per esempio, nemmeno la pratica di sport a livello agonistico viene preclusa. Le cose cambiano qualora il prolasso mitralico si associ a insufficienza valvolare di una certa gravità. Spesso l’incontinenza valvolare è inizialmente di grado lieve, ma può progredire nel tempo. L’aumento della quota di sangue che risale in atrio sinistro determina, negli anni, un aumento della pressione all’interno di questa camera cardiaca con conseguente aumento progressivo del volume atriale. Lo stiramento che si verifica sulla sua struttura muscolare dell’atrio può essere causa di irritazione del sistema elettrico cardiaco con potenziali conseguenze aritmiche (p.es. fibrillazione atriale). Oltre al rigurgito valvolare associato a questa valvulopatia, occorre citare e sottolineare l’importanza della conseguenza potenzialmente più pericolosa del prolasso valvolare mitralico. I lembi di queste valvole, infatti, sono costituiti da tessuto connettivo alterato rispetto a quello delle valvole normali. Queste alterazioni del connettivo rendono queste valvole particolarmente predisposte alla degenerazione (sclerosi, calcificazione) e all’attecchimento di batteri che dovessero penetrare nella circolazione sanguigna (p.es. in occasione di piccoli interventi di chirurgia cutanea oppure odontoiatrica).

Dott. Antonino Saponaro Branca di Cardiologia, Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

Come si fa la diagnosi di prolasso mitralico? Il sospetto di prolasso mitralico può essere posto dal medico curante o dal cardiologo durante un esame obiettivo; all’auscultazione è possibile apprezzare un caratteristico suono (il cosiddetto click) e/o un soffio telesistolico (ovvero nella fase finale della sistole). La conferma del sospetto diagnostico si ha con l’ecocardiogramma color/Doppler; questa metodica consente la perfetta visualizzazione dell’anomalia valvolare e permette di stabilire il grado di insufficienza della valvola. L’ecografia cardiaca consente la visualizzazione dei lembi valvolari, il loro movimento, l’eventuale spostamento di uno o entrambi i lembi mitralici verso l’atrio sinistro durante la fase di contrazione cardiaca, la quantità di sangue che rigugita in atrio sinistro. Nel caso venga diagnosticato un prolasso della valvola mitrale è consigliabile che i familiari consanguinei del soggetto affetto dall’anomalia si sottopongano a una visita cardiologica ed un ecocardiogramma C/D allo scopo di evidenziare precocemente l’eventuale presenza dell’anomalia in questione.

Come si cura il prolasso mitralico? Nella stragrande maggioranza dei casi di prolasso mitralico non è necessaria alcuna terapia, anche se è opportuno sottoporsi a periodici controlli al fine di monitorare la progressione della malattia ed il grado di insufficienza. Nel caso non siano presenti patologie associate, il rischio di problemi futuri è da considerarsi molto basso. Nei soggetti portatori di prolasso mitralico in cui l’insufficienza valvolare è di una certa rilevanza si ha un aumento del rischio di processi infettivi a carico della valvola (endocardite) e, in tal caso, può rendersi necessario un intervento profilattico a base di antibiotici qualora il paziente si dovesse sottoporre a interventi chirurgici o strumentali oppure a cure odontoiatriche. Nel caso in cui l’insufficienza valvolare sia particolarmente severa potrà rendersi necessario un intervento di tipo cardiochirurgico con il quale si provvederà alla riparazione dell’anomalia.

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KineSpring

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Salva il ginocchio con una molla!

Dott. Fabio Valerio Sciarretta

Chirurgo Ortopedico, Responsabile della Branca di Ortopedia Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

le superfici denudate dalla cartilagine continuino a ‘grattare’ una contro l’altra. Tale dispositivo di scarico delle sollecitazioni si impianta con un semplice intervento chirurgico che prevede due piccole incisioni cutanee praticate lungo il versante mediale del ginocchio e permette di sottrarre fino a 13 kg del sovraccarico mediale. L’operazione prevede di applicare due piccole placche a basso profilo, una sul femore ed una sulla tibia, tra cui viene connessa la molla che consente di aprire lo spazio articolare tra tibia e femore mediamente di alcuni millimetri. Tanto basta a togliere il dolore. Oltre ad essere mini-invasivo, l’intervento ha un’altra importante caratteristica:

SI TRATTA DI UNA MOLLA CHE RIDUCE IL PESO CHE VIENE CARICATO SULLA PARTE INTERNA DEL GINOCCHIO. SI CHIAMA KINESPRING. È UNA MOLLA CHE CERCA DI SALVARE L’ARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO DALL’IMPIANTO DI UNA PROTESI. CIOÈ CERCA DI SALVAGUARDARE IL GINOCCHIO DALLA PROGRESSIVA USURA DOVUTA ALL’ARTROSI.

non richiede nessuna resezione dell’osso e quindi conserva l’articolazione così come è. Quindi, come si usa dire negli Stati Uniti, e’ un intervento ‘’ponte”: se a distanza di anni, la situazione peggiorasse si potrà’ sempre ricorrere facilmente all’impianto di una protesi tradizionale. E i tempi di recupero? La molla, impiantata subito al di fuori dell’articolazione, consente di conservare tutto il movimento e la stabilità dell’articolazione, richiede una brevissima degenza dopo l’intervento ed il paziente può subito rialzarsi e mettere peso sull’articolazione operata. Dopo alcune settimane é possibile ritornare a praticare anche le attività sportive. L’intervento è indicato ad ogni età, ma soprattutto in quei pazienti che sviluppano troppo precocemente l’artrosi e la deviazione verso l’interno del ginocchio, il cosiddetto ginocchio varo, intorno ai 45-55 anni, troppo giovani per la protesi. Ma ricordate: prima di costringerci ad aiutarvi a ridurre chirurgicamente il carico sulle ginocchia, cominciate voi smettendo di essere sedentari e controllando il peso e la dieta!

Vita indaffarata?

E

h si, sempre l’artrosi. Sempre questa malattia evolutiva e progressiva che rappresenta la principale causa di disabilità articolare al mondo, che tra dieci anni viene stimato raggiungerà una prevalenza del 40%. Le statistiche americane, sempre più aggiornate, dicono che oggi i malati di artrosi alle anche, alle spalle, alle mani, alle ginocchia sono 27 milioni, ma diventeranno 67 milioni per il 2030. Ma fatto ancor più importante, quasi il 60% dei casi che colpiscono il ginocchio colpisce persone ancora giovani tra i 45 ed i 64 anni. Numeri e statistiche che fanno tremare i polsi. E allora cosa cerchiamo di studiare e di fare noi ortopedici. Come avete letto in miei precedenti articoli, cerchiamo di arrivare sempre prima. Prima nel porre la diagnosi. Prima nell’intercettare i primi difetti della cartilagine. Prima nel riparare questi ‘buchi’ e riempirli perché si formi nuovo osso e nuova cartilagine e l’usura della cartilagine che riveste le nostre superfici articolari non progredisca tanto da distruggere tutta l’articolazione. Come funziona la KineSpring? Da qualche tempo ne abbiamo pensata un’altra. Sfruttare una vecchia idea con un sistema più semplice. Sottrarre la parte più malata, più sottoposta al carico, mediante un sistema tanto semplice quanto geniale. Una molla, appunto. La molla toglie il dolore perché evita che 24

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Gammopatia Monoclonale Dott.ssa Barbara Montante

Specialista in Ematologia presso il Centro FCSA per la Terapia Anticoagulante del Laboratorio Clinico Nomentano

La Gammopatia Monoclonale di Significato Incerto (MGUS, dall’acronimo in inglese di monoclonal gammopathy of undetermined significance) è una condizione patologica caratterizzata dalla proliferazione all’interno del midollo osseo di un clone di plasmacellule. Le plasmacellule sono cellule fisiologicamente deputate alla produzione di immunoglobuline (Ig), più comunemente chiamate anticorpi, in risposta a stimoli infettivi. Per un meccanismo patologico, nella MGUS, un gruppo di plasmacellule tutte uguali (clone) produce, in maniera selettiva ed in assenza di stimoli infettivi noti, un solo tipo di immunoglobuline - la cosiddetta Componente Monoclonale (CM) - individuabile in un esame di laboratorio di routine quale il quadro proteico elettroforetico. La Componente Monoclonale appare nel grafico del quadro proteico nella zona delle immunoglobuline (gamma) sotto forma di un picco stretto e più o meno alto in base alla quantità della componente stessa. 26

L

a gammapatia monoclononale è una patologia assai frequente nella popolazione e la sua incidenza aumenta con l’età (1% dei ventenni, 3% dei cinquantenni, 5% dei settantenni). Non è una patologia maligna, ma in rari casi può evolvere in una patologia ben più seria, il mieloma multiplo, o presentarsi come tale fin dall’inizio. Per questo bisogna prestare particolare attenzione ad una eventuale componente monoclonale, anche se del tutto asintomatica, riscontrata per caso in corso di esami di routine. La Componente Monoclonale va infatti innanzitutto quantizzata e tipizzata, cioè va misurata la sua quantità in grammi e va definito il tipo di immunoglobulina che la costituisce (le Ig sono composte da una catena pesante ed una leggera; si parlerà di IgG o IgA o IgM Kappa o Lambda in base al tipo di catene pesanti e leggere che la costituiscono). LA VALUTAZIONE DELLA COMPONENTE MONOCLONALE Quantizzazione e tipizzazione della CM possono essere effettuate in laboratorio con un semplice prelievo del sangue. Altri esami di laboratorio fondamentali in questi casi sono l’emocromo, il dosaggio di IgG, IgA, IgM, la VES, la beta2microglobulina, la calcemia e gli indici di funzionalità renale. La quantità ed il tipo di Ig ed eventuali alterazioni degli altri esami appena elencati sono parametri importanti per escludere la presenza di una malattia tumorale quale il mieloma multiplo o il maggior rischio di evoluzione nella stessa. Tutti questi parametri andranno poi seguiti nel tempo ad intervalli regolari. Step successivo ed importantissimo è quello dell’esame urine delle 24 ore per la ricerca di catene leggere kappa o lambda nelle urine, la cui assenza ci orienta per una forma benigna e a minor rischio di progressione. In caso di componente monoclonale è altamente consigliato effettuare anche esami strumentali: • una radiografia dello scheletro in toto andrà eseguita per escludere eventuali aree di osteolisi, cioè microfratture ossee; il radiologo, a conoscenza del quesito specifico, effettuerà un esame mirato ad individuare queste eventuali piccole lesioni, che più frequentemente sono a carico delle ossa craniche e delle vertebre, ma possono essere presenti in qualsiasi distretto osseo, per cui è fondamentale esaminare lo scheletro nella sua interezza; • una ecografia addominale è consigliata per valutare una eventuale splenomegalia, cioè un ingrandimento della milza. MONITORAGGIO DELLA GAMMAPATIA MONOCLONALE E COMPLICANZE Ovviamente osteolisi e splenomegalia orienteranno lo specialista ematologo verso una forma più aggressiva di gammapatia monoclonale; sulla base di tutti i risultati acquisiti si deciderà sulla necessità di un eventuale approfondimento attraverso l’aspirato midollare e la biopsia ossea e sulla frequenza dei controlli a distanza. Nella maggior parte dei casi la gammapatia monoclonale rappresenta una patologia benigna; non necessita di alcuna cura, ma solo di controlli laboratoristici e specialistici nel tempo. In caso di mieloma multiplo invece sono necessarie terapie mirate in base alla stadiazione di malattia ed all’età del paziente. 27


L’ASMA È UNA PATOLOGIA PIUTTOSTO DIFFUSA GIÀ IN GIOVANE ETÀ: BASTI PENSARE CHE CIRCA 10-15 BAMBINI SU 100 MANIFESTANO EPISODI DI ASMA.

ASMA pediatrico Dott. Marco Garufi Bozza Responsabile Branca di Pneumologia ed Allergologia Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

Cos’è l’Asma? L’asma è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da tre elementi fisiopatologici: • la cronicità della flogosi (infiammazione) presente anche negli asmatici lievi • l’ipereattività delle vie aeree (tendenza alla chiusura dei bronchi) durante l’attività fisica o le infezioni • reversibilità dell’ostruzione, spontanea o dopo un adeguato trattamento. Il quadro clinico è caratterizzato da tre ordini di sintomi: tosse, respiro sibilante, dispnea (affanno). Frequentemente è presente solo tosse secca, stizzosa e persistente, questi sono i cosiddetti detta “equivalenti asmatici”. Molto spesso è presente un respiro continuo sibilante udibile anche a distanza il cosiddetto “wheezing” nella terminologia anglosassone. Alcuni sintomi descritti possono presentarsi in modo lieve, soprattutto nei bambini. 28

tunnale ed invernale. Nel secondo caso, i fattori ambientali scatenanti l’asma possono essere di origine domestica (fumo di sigaretta, muffe, acari della polvere, epiteli di gatto e di cane, ecc.) oppure ambientale (inquinamento, pollini, nebbia, ecc.). Perché è importante diagnosticare l’asma nel bambino? Perché l’asma non trattata può avere conseguenze gravi per almeno due motivi: • è pericolosa per la possibile comparsa di episodi talmente gravi che possono addirittura avere conseguenze mortali • l’infiammazione cronica delle vie respiratorie può, con il passare degli anni, portare ad una alterazione anatomica delle strutture microscopiche dei bronchi (aumento di spessore della cosiddetta “membrana basale dell’epitelio bronchiale”) Le cause dell’asma nei bambini Le cause dell’asma in età infantile possono essere legate o alla presenza di infezioni o a fattori ambientali. Nel primo caso, il bambino mostra una maggior facilità ad ammalarsi di malattie respiratorie dovute principalmente ai virus. Ciò avviene con maggiore frequenza nel periodo au-

L’asma da sforzo Particolare attenzione va messa sulla cosiddetta “asma da sforzo”, cioè la comparsa di tosse e difficoltà di respiro durante l’attività fisica. La comparsa di questa forma di asma, non controindica in linea di massima l’attività fisica del bambino asmatico. Un buon controllo della malattia e l’assunzione di alcuni farmaci prima dell’attività sportiva, possono evitare la comparsa dei sintomi. E’ anzi consigliabile che il bambino asmatico pratichi attività sportiva perché si allena allo sforzo e quindi eleva la soglia di tollerabilità allo sforzo stesso. Sempre però sotto il controllo del medico pneumologo e del medico dello sport. Altre cause di comparsa di attacchi asmatici possono essere l’assunzione di alcuni alimenti (latte, pesce, frutta secca) o di alcuni farmaci.

Che fare in caso di asma? La comparsa o il sospetto di sintomi di asma nel bambino deve indurre il genitore a consultare il proprio pediatra e lo specialista pneumologo al fine di una valutazione diagnostica della malattia e per le opportune terapie da intraprendere. La diagnosi si basa principalmente sull’esame obiettivo, sull’esecuzione di test di funzionalità respiratoria (spirometria, tesi di provocazione bronchiale, ecc.) e, nel sospetto di allergia, sull’esecuzione di test allergologici. La terapia sia articolerà principalmente nella somministrazione di corticosteroidi per via inalatoria più o meno associati a farmaci broncodilatatori. Stili di vita Appare opportuno sottolineare come l’abitudine genitoriale al fumo di sigaretta sia da bandire nell’ambiente domestico. Altro consiglio per il bambino asmatico è quello di evitare una vita sedentaria e l’eccesso ponderale ambedue fattori di rischio di aggravamento di una malattia asmatica. 29


Ipoglicemia

Vene Varicose LE VENE VARICOSE SONO VENE DILATATE, SFIANCATE. SI TRATTA DELLA MANIFESTAZIONE VISIBILE SUPERFICIALE DI UNA INSUFFICIENZA VENOSA. CAUSA DELLA DILATAZIONE DI UNA VENA È L’INDEBOLIMENTO DELLA PARETE DEL VASO, CIÒ SIA PER FATTORI GENETICI EREDITARI, OPPURE PER L’AUMENTO DELLA PRESSIONE DEL SANGUE ALL’INTERNO DEL VASO, SPESSO CONSEGUENTE ALLA STAZIONE ERETTA PROLUNGATA.

Dott. Marco Decuzzi

Chirurgo Vascolare, branca di Diagnostica per Immagini Poliambulatorio Specialistico Laboratorio Clinico Nomentano

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San Pietro ad Muricentrum, a Montebuono, appartiene a quel novero di antiche chiese sabine – come San Paolo a Poggio Mirteto, Santa Vittoria a Monteleone o Santa Maria del Piano a Ponticelli – dove la Fede ha nei secoli testimoniato la sua presenza attraverso generazioni di affreschi. Perché se, certo, queste chiese, lontane dai grandi centri del potere e quindi dell’arte, non ostentano i tesori delle grandi chiese rinascimentali e barocche, esse custodiscono la devozione secolare della Sabina. Il suo nome – ad Muricentrum o ad Centrum Murum – racconta la storia delle sue origini. Infatti, l’edifico sorge sui resti di una villa romana che la tradizione vuole appartenuta ad Agrippa e successivamente passata alla famiglia dei Licini, come potrebbero attestare gli archivi di Farfa che menzionano un Fundus Licinianus.

La Chiesa di Montebuono

San Pietro ad Muricentrum Fabrizio Sciarretta

Una storia antica

I

recenti restauri e l’esplorazione delle fondamenta della chiesa hanno consentito di scoprire mosaici e strutture romani, anche se interrotti da numerosi ossari, databili al I° secolo d.C.. Il Regesto di Farfa, dieci secoli dopo, ci svela l’esistenza – in due documenti uno del 1024 ed uno del 1116 – nella località di Muricentrum di una chiesa dal titolo di Sancti Angeli. Dovrebbe trattarsi già dell’edificio sacro che poi diverrà San Pietro. Nel 1343 il Registrum lurisdictionis Episcopatus Sabinensis registra come la nostra chiesa abbia ormai assunto il titolo con cui la conosciamo oggi ed eserciti un ruolo centrale nell’amministrazione religiosa del Castrum Montisboni. Infatti vi dimora un arciprete con quattro canonici ed ha sotto la sua giurisdizione ben otto cappelle. Tra queste la

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“capellam sancti Salvatoris de roccha”, evidentemente la chiesa castrense di Montisboni. La chiesa perderà poi di importanza nel corso dei secoli per divenire chiesa cimiteriale ed il suo stato di conservazione peggiorerà enormemente. L’edificio che vediamo oggi è con tutta probabilità quanto generato da rimaneggiamenti avvenuti tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Infatti, San Pietro disponeva originariamente di una navata di sinistra andata distrutta come dimostrano le arcate visibili sul lato sinistro dell’edificio. Solo grazie agli importanti interventi di restauro succedutisi in questi ultimi decenni è stato possibile salvare San Pietro ad Muricentrum da una fine che avrebbe privato la Sabina di una testimonianza insostituibile del suo passato romano prima e medievale poi. 33


EDEMA LINFATICO

&

DIAGNOSI CURA

L’abside

Gli affreschi: la controfacciata Colpisce di San Pietro il rincorrersi e l’affastellarsi degli affreschi, come se le pur ampie pareti non offrissero spazio sufficiente né alla devozione dei committenti né all’operosità degli esecutori. Le opere più antiche – databili tra fine XIV ed inizio XV secolo sono quelle della controfacciata: tra gli affreschi spicca (in alto a destra) quello dedicato al miracolo della Madonna dell’Ulivo. Argomento dell’opera è l’apparizione della Madonna avvenuta presso Assisi nel 1399. La Vergine apparve ad un fanciullo indicandogli di esortare la gente ad indossare la veste bianca, fare penitenza e rappacificarsi tra loro. Da questo miracolo trasse origine quel movimento spontaneo, detto dei Bianchi, i quali, cantando e penitenziando, attraversarono l’Italia da tutte le direzioni per confluire a Roma in occasione dell’Anno Santo del 1400. Anche la Sabina venne attraversata dal pellegrinaggio e diversi affreschi testimoniano questo passaggio. A destra della Madonna dell’Ulivo, il Martirio di San Lorenzo. Al di sotto – contenuti in un’unica fascia – due Madonne con Bambino. La prima tra Santa Caterina e Sant’Antonio Abate, la seconda di nuovo con Sant’Antonio Abate. La navata destra è riccamente affrescata: spiccano i sottarchi con ritratti di santi e condottieri mentre la parete d’ingresso ospita l’Incontro di Gioacchino ed Anna alla Porta Aurea e quella di fondo la Morte della Vergine.

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Riccamente affrescato anche l’abside. Partendo dall’alto, Cristo in trono tra i santi. Nella fascia sottostante, da sinistra ; il Giudizio Universale; San Pietro in trono adorato dal committente; La Madonna in trono col bambino; La Madonna in trono col bambino tra angeli e San Giovanni Battista; La Natività. Proprio sotto la scena della Natività, un’iscrizione riporta il nome del pittore – Jacopo da Rocca Antica – e la data del dipinto, il 1451. La fascia sottostante a questa descritta ospita un’ulteriore serie di riquadri rappresentano la Vergine in Trono e figure di santi.

Ecocolordoppler Venoso degli Arti Inferiori + Consulenza del Medico Specialista + 11 Esami del sangue La Cappella di destra La cappella che si apre a destra del presbiterio presenta nella facciata un’Annunciazione ed all’interno episodi della vita di San Giovanni Battista (Battesimo di Cristo, Banchetto di Erode, la Decollazione); il Martirio di San Giovanni Evangelista, Miracoli dell’Apostolo Giacomo e, nella parete di fondo, una Crocefissione. Sulle vele della volta, i Quattro Evangelisti.

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Apparve prima una testa, al centro. Una testa virile con una cascata di riccioli fluenti, una barba maestosa che incorniciava un volto severo e imponente, poi un’altra, coperta da un elmo corinzio che sovrastava il volto duro eppure delicato di una vergine guerriera. Da ultimo apparvero le fattezze solenni, regali e al tempo stesso soavi di una sposa divina, assisa a fianco degli altri personaggi”. (dal racconto di Valerio Massimo Manfredi “Gli dei dell’Impero”in Archanes e altri racconti, Mondadori 2010).

Il gruppo scultoreo della Triade Capitolina Maria Luisa Bruto

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a Triade Capitolina, esposta nel Convento di San Michele a Montecelio dall’aprile 2012 ed affidata con regolare autorizzazione del MIBACT all’Amministrazione Comunale di Guidonia Montecelio dallo scorso anno, rappresenta per tutti noi che la osserviamo un documento di grandissimo valore. Innanzitutto, come è evidente, dal punto di vista iconografico poiché si tratta della rappresentazione più completa a tutto tondo del gruppo di divinità tutelari dello Stato romano: Giove al centro, Minerva alla sua destra e Giunone a sinistra sono descritti con tale dovizia di particolari che l’osservazione del la scultura richiede un certo lasso di tempo per coglierli tutti. Esistono raffigurazioni su medaglioni, rilievi, monete, ma pochi sono i frammenti di statue quasi tutti provenienti dai numerosi templi (Capitolia) dedicati alla Triade. Non è secondaria l’ammirazione e la gratitudine per le forze dell’Ordine, in 36

questo caso per i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio artistico, il cui lavoro di investigazione ha reso possibile, con l’operazione “Giunone”, il recupero del gruppo rapinato a tutti i cittadini italiani che hanno a cuore la loro cultura nazionale perché fonte di comune identità, da uomini privi di scrupoli. Sì perché proprio da uno scavo clandestino nella tenuta dell’Inviolata, raccontato con consumata maestria dall’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi, si dipanarono tanti risvolti che ancora oggi,

a distanza di vent’anni, siamo ancora attratti da tutta la vicenda come fosse un romanzo giallo con tutti gli ingredienti enti al posto giusto (la Triade nei panni della vittima, gli assassini i suoi trafugatori, gli investigatori i Carabinieri con soluzione finale positiva). Non è nemmeno da trascurare, ma anzi da porre in risalto, la capacità di una cittadinanza, quella nel cui territorio avvenne negli anni ’90 il furto, di aver saputo mantenere sempre vivo il desiderio di poter recuperare prima o poi il prestigioso simulacro, desiderio avveratosi come già detto lo scorso anno. Quindi mentre osserviamo il pregevole gruppo nell’ultima sala del Museo Rodolfo Lanciani non dobbiamo dimenticare che vi si fondono

molti elementi positivi alcuni dei quali si riassumono nello stato di conservazione e nella ricchezza descrittiva, nel senso dello Stato e nell’attaccamento alle proprie radici.

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Breve scheda della Triade capitolina

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Fabrizio Sciarretta

Questa particolare posizione fu alla base dell’importanza del castello unitamente al fatto che Nerola era a ridosso del confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Napoli il quale passava nelle zone di Orvinio e Collalto.

Il controllo di Nerola

IL CASTELLO DI NEROLA Il Castello di Nerola è probabilmente il più scenografico tra i castelli sabini. Se chiudete gli occhi ed eliminate dalla scena la Salaria nuova – costruita nel dopoguerra – vi renderete conto di come questa fortificazione, dall’alto della rupe su cui sorge, controlli la Salaria vecchia e chiuda il percorso che, superando Osteria Nuova, conduce a Rieti, segnando così uno dei punti di confine tra la piana del Tevere ed il reatino.

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icostruire i molti passaggi che nei secoli hanno caratterizzato la proprietà del castello è vicenda complessa. Se siete interessati ad approfondire l’argomento, vi consiglio di leggere l’articolo sul castello di Nerola pubblicato sulla nostra rivista digitale www.salutepiu.info Qui, cercherò di condensare in poche righe mille e più anni di storia. Infatti, la prima notizia conosciuta risale al 972 d.C.: con l’obiettivo di controllare la via consolare e creare una difesa alle incursioni saracene, Nerola fu concessa in feudo a Benedetto Crescenzi il quale vi costruì il Castrum Nerulae. Anche il borgo aveva funzione di fortificazione con il lato esterno delle case in funzione di cinta muraria i cui resti e le cui torri, sono ancora individuabili tra le case del paese. I Normanni, vassalli di Papa Niccolò II (1059-1061), nell’ambito delle lotte che vedevano coinvolti papa, imperatore di Germania e famiglie aristocratiche romane assalirono il borgo. Ciò avvenne nuovamente sotto il pontificato di Alessandro II (1061-1073). I Regesti dell’Abbazia di Farfa ci permettono di ritenere assodato il controllo dei Crescenzi su Nerola tra il X e l’XI secolo. Ai primi del ‘200 il castello dovette tornare nel patrimonio della

Chiesa per entrare a far parte successivamente delle proprietà concesse agli Orsini i quali, con l’elezione nel 1191 a papa di Celestino III, avevano visto crescere il loro potere. Infatti, Matteo Rosso Orsini “il Grande” (1178 - 1246) è Signore di Nerola dal 1235. Dunque, nel XIII secolo, Nerola è già in mano agli Orsini. Vi resterà fino alla metà del ‘600. A metà del XVI secolo gli Orsini possiedono un ampio territorio intorno a Nerola. Fu così che essi costituirono lo “Stato di Montelibretti” in cui riunirono questo feudo e cinque vicini castelli (Montelibretti, Corese, Montorio, Monteflavio, Ponticelli, Monte Maggiore). Il loro dominio si avvicina però alla fine. Giannantonio Orsini (1567-1639) ebbe una sola figlia femmina, Giustiniana che andò in sposa a Ferdinando Orsini Duca di Bracciano (†1660). Ferdinando e Giustiniana ebbero tre figli maschi: Virginio; Flavio I, 1° Principe di Nerola; Lelio, 2° Duca di Nerola. Con loro cesserà il dominio Orsini su Nerola. Infatti, Ferdinando Orsini vendette a Taddeo Barberini lo Stato di Montelibretti nel 1644. Sappiamo però per certo (leggete più oltre) che Flavio Orsini abiterà il castello anche diversi decenni dopo quell’atto di vendita. 41


mala e sta per morire. Il Papa invia in soccorso del piccolo frate Amedeo e Francesco guarisce. Amedeo indica come fonte della guarigione l’immagine della Vergine che è ospitata nella cappella del castello, opera di Antoniazzo Romano. Padre Amedeo chiede agli Orsini di costruire un monastero a Scandriglia – l’attuale monastero di Santa Maria delle Grazie – e quando nel 1478 l’edificio sacro è realizzato, vi giungono i padri francescani, ottiene che anche l’immagine sacra venga donata al monastero dove ancora oggi potete ammirarla.

Flavio Orsini e Anne-Marie de La Trémoille

Flavio, primo Principe di Nerola, già vedovo di Ippolita Ludovisi, sposa nel 1675 Anne-Marie de La Trémoille (1641–1722) duchessa di Noirmoutier e vedova, a sua volta, di Louis-Blaise de Talleyrand,

Nel 1728, in seguito al matrimonio di Cornelia Barberini con Giulio Cesare Colonna, il feudo passa ai Colonna di Sciarra. Successivamente, il castello appartenne ai marchesi Sacchetti e nel 1939 passò ai marchesi Ferrari-Frey. Se questa è la storia del castello, vi sono due vicende particolari, meno note, che mi sembra bello ricordare qui.

Il Miracolo della Madonna delle Grazie

Raimondo e Giustiniana Orsini – signori di Nerola nella secoda parte del ‘400 - ebbero un solo figlio maschio, Francesco il quale fu il primo a portare il titolo di Conte di Nerola e morì nel 1503 ucciso da Cesare Borgia. Ma Francesco da bambino era di salute cagionevole e soggetto a malattie gravi. Nel 1471 sale al Soglio Pontificio Sisto IV, francescano dei frati minori, il quale chiama a Roma come suo confessore il confratello Amedeo da Silva, in odore di santità tanto da divenire poi Beato. Il piccolo Francesco per due volte si am-

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principe di Chalais. Sebbene la nobildonna francese non abbia soggiornato che pochissimo a Nerola, molto amata invece da Flavio, la sua storia, certamente intrigante, merita di essere narrata. Infatti, giunta a Roma dopo la morte del primo marito, si era assai adoperata nel gestire contatti e rapporti informali a vantaggio della corte francese e tra queste manovre rientrava probabilmente anche un matrimonio italiano importante come quello con Flavio Orsini. La sua carriera raggiunse l’apogeo quando, dopo la salita al trono di Spagna di Filippo V di Borbone, nipote di Luigi XIV e quindi elemento importantissimo per formare un’alleanza franco-spagnola, la nostra Anne Marie riuscì a favorire il matrimonio della dodicenne Maria Luisa di Savoia con il nuovo Re di Spagna. Per ricompensa, divenne Camarera Mayor della giovane e fu per numerosi anni la donna più potente della corte spagnola ed il gestore degli interessi francesi da quelle parti. Quando però Maria Luisa morì nel 1714 e Filippo V sposò Elisabetta di Parma, Anne Marie non riuscì a ripetere l’operazione e fu anzi allontanata dalla Spagna dalla nuova regina e tornò a Roma dove morì ottantenne nel 1722.

Il profumo di Nerolì

Un’ultima notazione: Flavio coltivava a Nerola alberi di arancio amaro (Citrus aurantium L.) da cui traeva un’essenza prediletta da Anne Marie la quale ne fece una moda di quei tempi. Ancora oggi, si produce – anche da parte di case molto rinomate – una fragranza che porta questo nome.

IL CASTELLO DI NEROLA 43


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Reinhold Würth è certamente noto a tutti per essere il fondatore del grande gruppo multinazionale che porta il suo nome ed opera nel settore dei prodotti per il fissaggio e il montaggio. Presente in 84 paesi attraverso 400 società, il Gruppo Würth ha sfiorato nel 2012 i 10 miliardi di euro di fatturato. Anche nel mondo dell’arte, però, il Professor Reinold Würth è una personalità conosciutissima: la sua formidabile collezione lo pone infatti tra i più grandi collezionisti viventi. Ma non è tutto. Ciò che probabilmente rende la sua esperienza particolarmente originale è il legame inscindibile che ha saputo creare tra la sua passione per l’arte e la sua azienda facendo di quest’ultima un vero e proprio veicolo per la diffusione di quell’insieme di valori che l’arte racchiude in se in ogni luogo dove la Würth è presente. SalutePiù lo ha incontrato per approfondire proprio questo particolare aspetto.

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Prof. Würth come e quando è nata la Sua passione per l’arte? Ebbene, provengo da una famiglia molto sensibile nei confronti dell’arte. Ad esempio ricordo con piacere i primi viaggi con la mia famiglia a Vienna, dove visitavamo la Hofburg o il castello di Schönbrunn. Anche la cultura musicale veniva da noi coltivata sotto forma di “musica della casa”.

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acquistato negli anni ’60 e da allora la passione per il collezionismo non mi ha più abbandonato. Nel frattempo la Collezione annovera circa 16.000 opere, che vengono mostrate nei nostri 15 spazi espositivi in tutta Europa.

E quando ha iniziato invece la Sua Collezione? Si ricorda quale è stata la prima opera?

Oggi lei è uno dei maggiori collezionisti internazionali. Immagino abbia avuto modo di riflettere sulle similitudini o sulle differenze tra i grandi collezionisti moderni e dei secoli passati, ad esempio del Rinascimento. Quali sono i punti di contatto e le diversità? Ed in termini di capacità di influenzare le tendenze della produzione artistica, le direzioni che essa prende?

Si certamente, era un acquerello di Emil Nolde dal titolo “ Riflessi di nuvole nella palude”. È stato realizzato nel 1935, lo stesso anno in cui sono nato, una bella coincidenza. L’ho

Sono una persona curiosa e mi interessa molto ciò che succede intorno a me, cos’è accaduto in passato e cosa avverrà in futuro, non soltanto in ambito artistico. Non mi 45


ECOGRAFIA ECOGRAFIA

Singolo organo

Kunsthalle Würth a Schwäbisch Hall, Baden Württemberg Foto: Andi Schmid, Monaco di Baviera

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Veduta della mostra “La Transavanguardia tra Lüpertz e Paladino. Opere nella Collezione Würth”, presso l’Art Forum Würth Capena Foto: Matteo Mignani, Roma

vorrei però paragonare ai mecenati del Rinascimento italiano, non considero il mio impegno come proprio di un mecenate. Contemplando la questione da un punto di vista pragmatico ed obiettivo, la promozione culturale è molto sensata. Nel mio caso, il nome Würth è stato trasmesso enormemente attraverso la promozione culturale e le attività artistiche della mia azienda. Tramite le attività artistiche, Würth ha fatto comprendere che anche noi ci occupiamo considerevolmente del lato piacevole della vita. I dipendenti si sentono molto a loro agio in questo scenario. Come collezionista influenzo solo marginalmente la ricerca di un artista, ad esempio se commissiono un lavoro. Altrimenti capita più spesso che mi lasci impressionare da un’opera, che compro, se mi affascina. Mi faccia passare al rapporto tra arte ed impresa. Lei lo ha coniugato ai massimi livelli. Ci racconta come è nata l’idea? Anche l’idea di presentare l’arte sul posto di lavoro, è stata da noi coltivata e approfondita. Non mostriamo soltanto musei Würth e gallerie Würth integrati nei rispettivi contesti aziendali dove esponiamo opere provenienti dalla Collezione Würth, ma offriamo ad esempio anche visite guidate gratuite per i dipendenti, i cui posti disponibili esauriscono in fretta. Attribuiamo anche grande valore ad un’architettura riuscita. Quando i dipendenti tornano in azienda nel fine settimana con la propria famiglia o ospiti, per vedere l’edificio o le mostre attuali e ottengono come reazione “Come, lavori qui? In un’azienda del genere?” ciò contribuisce a rafforzare il prestigio sociale dei miei dipendenti. E per il futuro, quali sono gli obiettivi? Dunque, l’anno prossimo compirò 80 anni, il che vuol dire che la “nave della vita” rientra lentamente in porto. Sto lavorando a due obiettivi: vorrei lasciare la mia azienda in condizioni di ottima salute e aver risolto gli aspetti più importanti. Prof. Würth, la Sua azienda ha sedi in tutta Europa e gli Art Forum svolgono una funzione di attiva proposizione 46

Due strumenti di eccellenza per le vostre indagini ecografiche culturale. Avete fin qui sviluppato iniziative comuni con le istituzioni culturali pubbliche o private locali? Naturalmente. Le cito un esempio attuale nell’ambito delle arti figurative in Germania. Collaboriamo strettamente con gli Staatlichen Museen zu Berlin Preuβischer Kulturbesitz (i Musei statali di Berlino). Mostriamo le nostre opere d’arte applicata nel Bode-Museum e riceviamo ora il progetto espositivo “Moderne Zeiten” (Tempi moderni) dalla Nationalgalerie di Berlino per mostrarlo nella Kunsthalle di Schwäbisch Hall. D’altronde la Neue Nationalgalerie è una tappa obbligata per ogni appassionato d’arte, una presentazione del superlativo e che viene considerata a livello mondiale un museo che custodisce un tesoro di opere che sono ormai dei classici della contemporaneità. Mostriamo opere di Munch, Picasso, Hodler, Kirchner, Dix e Grosz, solo per citare alcuni nomi.

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E dalle nostre parti? L’Art Forum Würth Capena potrebbe essere il motore di una rete culturale che coinvolga soggetti pubblici e privati intorno a progetti comuni? Spero vivamente che ciò esista già. Offriamo stimoli soprattutto nell’ambito della didattica museale. Quando vedo, ad esempio, come vengono ben recepite le visite guidate ed i laboratori per bambini, ne sono orgoglioso.

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