Nipoti di Maritain 01/2016

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unioni civili: cosa cambia concretamente

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amoris letitia: quale libertĂ ?

riforma costituzonale: piĂš spazi di par tecipazione?

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intervista - Andrea Grillo: le cose nuove di Amoris Laetitia


Nipoti di Maritain Anno I Numero 1

22 giugno 2016

Direttore Responsabile: Piotr Zygulski Redazione: Lorenzo Banducci, Niccolò Bonetti Progetto Grafico e Impaginazione: Mattia Carletti, Gianni Oderda Editore e Proprietà: Nipoti di Maritain è edito dall’associazione di fatto non riconosciuta – con lo scopo di diffondere il dibattito ecclesiale – denominata “Nipoti di Maritain”, che ne possiede piena proprietà. Pubblicazione: Nipoti di Maritain è un prodotto editoriale non soggetto ad obbligo di registrazione in quanto privo di periodicità regolare (legge n. 62/2001, art. 1). È pubblicato presso World Wide Web in formato PDF scaricabile al link https://issuu.com/nipotidimaritain Diritti: Nipoti di Maritain è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale Pagina Facebook: https://www.facebook.com/nipotimaritain Indirizzo E-mail: inipotimaritain6@gmail.com


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Dibattito

Rubriche

Unioni Civili

intervista

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La libertà di potersi voler bene di Omar Vitali

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L’accoglienza non basta: abbattiamo lo stigma della diversità di Federico Ferrari

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Intransigente, come San Telemaco di Lorenzo Nicola Roselli

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Laudate Hominem 47

Unioni civili: e adesso? di Gabriele Cossovich

riforma costituzionale Cittadini più partecipi, se vorranno di Raffaele Dobellini

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Referendum e leggi popolari: più spazi, troppe incognite di Gabriele Maestri

La quotidianità della Santa Famiglia nel vangelo armeno dell’infanzia di Vincenzo Romano

Rodafà 49

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Andrea Grillo e le cose nuove di Amoris Laetitia a cura di Lorenzo Banducci

De nuptiis di Stefano Sodaro

A ben vedere 52

Il bello dell’eresia di Emanuele Pili

Umanesimo Integrale AMOris laetitia

Indice

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L’esperienza concreta: una risposta alla crisi della famiglia di Vincenzo Fatigati

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La cautela del gesuita di Andrea Virga

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Amoris Laetitia, respiro per la Chiesa di Omar Vitali

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Presentazione di Amoris Laetitia di Lucas Van Looy, traduzione a cura di Marco Sergio Narducci

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Di quale stampa cattolica abbiamo bisogno? di Stefano Gherardi

A misura d’uomo 56

La sussidiarietà e la sfida della complessità di Davide Penna

Recensione 59

Il Vangelo del povero peccatore a cura di Lucandrea Massaro


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Editoriale di Piotr Zygulski

“essere non solo il sale della terra, ma anche il pepe”

Nipoti di Maritain ha assunto una nuova forma. La pagina facebook e il blog fondati da Niccolò Bonetti e da Lorenzo Banducci, che dal 2012 quotidianamente offrono riflessioni e provocazioni su tematiche di attualità ecclesiastica, politica e sociale, adesso sono affiancati da questo nuovo spazio. Forse potrà evitare che le migliori considerazioni si disperdano nel flusso continuo di informazioni cui siamo esposti nel web e soprattutto nei social network, tuttavia senza fossilizzare alcunché. Anzi, vogliamo conservare ciò che contraddistingue i Nipoti di Maritain, ossia un dibattito plurale, aperto alla partecipazione di tutti, in cui siano di casa posizioni differenti. Tutto ciò ha riscosso un buon livello

di interesse e di coinvolgimento, certamente più su alcuni temi che non su altri, ma comunque mantenendo un progetto duraturo nel tempo e contribuendo a divulgare discussioni teologiche ad un pubblico relativamente esteso. Lo abbiamo fatto cercando di essere non solo il sale della terra, ma anche il pepe. Ed è nostra intenzione preservare tale peculiarità anche all’interno di questa nuova pubblicazione, sperando di vincere quei timori e quelle timidezze che le reti sociali digitali ci hanno abituato a superare.Non vogliamo infatti essere una rivista accademica, dal momento che queste spesso si chiudono nell’autoreferenzialità, ma neppure un portale informativo, perché ce ne sono già molti disponibili online in

grado di fornire qualsiasi tipo di notizia con la tempestività di pochi secondi. Se ci mettessimo a “competere” con loro, non ci sarebbe storia. Proponiamo invece qualche riga in più per poter sviluppare quelle riflessioni che non possono essere articolate in un commento di un post su facebook, né tantomeno nei laconici 140 caratteri che mette a disposizione twitter. La scommessa è quella di poter mantenere vivo il medesimo spirito critico e di confronto, magari giungendo a qualche conclusione su ciò che ci accomuna, superando insieme le sorde contrapposizioni, che in genere si consumano nelle cose accidentali considerate erroneamente come essenziali; qualora riuscissimo a far risplendere Dio Trinità – che è relazione di amore – al centro del nostro cuore, l’ordinamento delle priorità verrebbe da sé. Ogni numero, come potete leggere nell’indice, si articola in due sezioni. La prima, quella maggiormente dialogica, intende lanciare tre quesiti di differenti ambiti (etico/morale, politico/sociale, pastorale/ecclesiale) cui tutti sono chiamati ad offrire il proprio punto di vista. La seconda, invece, permetterà di esaminare alcuni argomenti in rubriche tematiche, oltre a recensioni e interviste. Gli spunti non mancano. In questa prima uscita si parla innanzitutto delle “unioni civili” recentemente approvate dal Parlamento italiano, ma – per-

lomeno nella formulazione del nostro quesito – con una particolare attenzione alle conseguenze nella vita quotidiana. Vorremmo evitare ragionamenti astratti, sui massimi sistemi, che tendono a generare intransigenze che dal punto di vista spirituale potrebbero rivelarsi assai più sterili della supposta non-fecondità delle relazioni omosessuali. È evidente come il tema sia ancora arroventato, tuttavia le esperienze dirette, se depurate da qualsivoglia desiderio di vendetta per i torti subiti a livello personale, possono sicuramente gettare un ponte tra le reciproche ostilità. Cogliamo l’occasione per abbracciare Filippo, Mario, Roberto e tutti coloro che hanno commentato brevemente la nostra provocazione perché coinvolti direttamente dalla materia, ma che per i più svariati motivi non se la sono sentita di inviarci un contributo più articolato: Cristo sia sempre presente nei loro affetti. Senza ignorare le divergenze di partenza – anzi, dopo esserci immersi in esse in modo viscerale, come vedrete – l’atteggiamento risorgente prospettato da Gabriele Cossovich sembra essere quello più confacente al nostro sentire cristiano: la bellezza non è possibile comandarla ed imporla. La bellezza risplende, si propone, ma poi sta alla ineludibile libertà dell’altro riconoscerla ed accoglierla. In seguito è stata affrontata la Riforma costituzionale: anche qui preferiamo ragionare, concretamente, sul-

“le esperienze dirette possono gettare un ponte tra le reciproche ostilità”


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le eventuali ripercussioni nella partecipazione del popolo italiano alla vita pubblica. Altro grande tema è l’Amoris Laetitia che conclude il percorso sinodale degli ultimi due anni sulla famiglia. In questo testo, tra le altre cose, Papa Francesco incoraggia la «maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore» (§ 303), ma ciò è stato visto impropriamente da alcuni come un avallo al soggettivismo morale.

“debitori a Voltaire per la tolleranza e debitori a Lutero per il non conformismo”

Nella seconda sezione della nostra pubblicazione, la stessa esortazione apostolica di Papa Francesco è occasione per un’intervista al teologo Andrea Grillo, per un approfondimento con l’apocrifo Vangelo armeno dell’infanzia di Gesù e per una “liturgia del quotidiano” offerta da Stefano Sodaro, che ha dipinto la “matrimonialità” del mistero trinitario e l’apertura all’alterità che da esso sgorga copiosa.Ci rivolgiamo ai catechisti e agli insegnanti, che potrebbero anche trovare ispirazione per possibili incontri, discussioni o lezioni; ci anche rivolgiamo ai pastori, alle persone impegnate in parrocchia e nei movimenti ecclesiali e a tutti coloro che desiderino formare in modo retto la propria coscienza, per poterla esercitare liberalmente. In sintonia con questa finalità, abbiamo incluso un “elogio dell’eresia” che ci motiva a confrontarci con essa, per accoglierne quella parte di verità nascosta, che chiede di

essere ascoltata. Era inevitabile una considerazione su Jacques Maritain – nel cui intento, “debitori a Voltaire per la tolleranza e debitori a Lutero per il non conformismo”, ci riconosciamo pienamente – a proposito della stampa cattolica. Spazio anche alla Dottrina Sociale della Chiesa, con la sfida della complessità che può essere affrontata non cedendo a “ideologie dell’Unico” né rifugiandosi in “luoghi comuni” – siano essi “buonisti” o “antibuonisti” – bensì riscoprendo il significato del concetto di sussidiarietà, svincolandolo dall’abbraccio di chi pensa sia un sinonimo di deregolamentazione dei mercati. Infine, chiude questo numero una recensione al “Vangelo del povero peccatore” scritto due secoli fa da Wilhelm Weitling e recentemente pubblicato in italiano, spunto per scoprire un volto nuovo di Gesù, per interrogarci sulle diseguaglianze sociali di ieri e di oggi e per comprendere quanto sia radicale il contributo che il cristianesimo può dare in vista di una società più giusta. Lo confessiamo: questa pubblicazione è una grande scommessa. Con il tempo sottratto a tante altre cose, con le poche forze che abbiamo, con le tasche assolutamente vuote – ma animati dallo Spirito – prendiamo il largo.

Dibattito Unioni Civili « Approvate le unioni civili, cosa cambia concretamente nella tua vita e in quella della comunità (parrocchiale, comunale, conoscenti, amici) di cui fai parte? »


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La libertà di potersi voler bene di Omar Vitali

Ho riflettuto a lungo su questo tema, anche perché in questi anni ho avuto diversi amici in difficoltà che ho pazientemente ascoltato. Un amico in modo particolare già dagli anni del seminario era alla ricerca della sua vocazione, del suo posto nel mondo. Qualche mese fa l’ho incontrato in un pub, davanti ad una birra. Ha iniziato a raccontarmi della sua vita: ha trovato lavoro, vive con i suoi genitori e... Non tanto la “e” finale, ma i tre puntini di sospensione mi hanno lasciato di sasso.

– “E... cosa?!” – “Sono omosessuale. L’ho detto ai miei genitori e...” – “Altro?” – “No, basta”.

Quella sera l’ho semplicemente ascoltato e poi ci siamo salutati con un abbraccio stretto. Nei 7 giorni successivi non esagero se dico che non ho dormito, ma ogni giorno mi tornava alla men-

te questo mio amico che per tanti anni ha nascosto, ha fatto finta di nulla. Eppure prima o poi la vita ti prende a pugni e ti porta il conto da pagare. E quasi sempre il prezzo da pagare è molto alto. È il prezzo della vita stessa, degli anni in seminario alla ricerca di chi era e di che cosa poteva fare. Ora vedo in lui un ragazzo di 35 anni che si deve ri-costruire da zero. E non è facile. Per niente. Ne so qualcosa. Quella sera mi confidava che gli sarebbe piaciuto trovare un compagno da amare e poi lasciare fare a Dio. Una piccola esperienza che non risponde a nessuna domanda ma ne apre di nuove. Con le unioni civili approvate credo che si apra alla libertà di potersi voler bene. Non credo sia peccato, o almeno, non ancora. Vedrei molte persone che finalmente non si devono nascondere. Resta il fatto che condivido il pensiero di molti che mantengono la struttura classica della famiglia, ovvero di un padre e di una madre che hanno dei figli: questa è la famiglia. Le unioni civili sono unioni che possono dare spazio ad una coppia. Ad un uomo alla ricerca di un compagno o una donna alla ricerca di una compagna. Già in altri Stati molte coppie vivono tranquillamente e non ci sono particolari problemi. Mi piacerebbe vedere questo

amico – ma anche tutti gli altri che vivono una situazione simile alla sua – più sereno, più felice e magari vivere una vita normale. Senza dire ogni volta “e...”, ma dando spazio e racconto a quei tre puntini, appunto, di sospensione.

“una piccola esperienza che non risponde a nessuna domanda ma ne apre di nuove”


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L’accoglienza non basta: abbattiamo lo stigma della diversità di Federico Ferrari

Si possono fare due ordini di discorso: il primo riguardo a ciò che sarebbe auspicabile avvenisse, e il secondo riguardo a cosa è probabile che avvenga nel concreto. Il primo dato da registrare è che i cambiamenti in materia di morale sessuale e diritti riproduttivi maturati nella società italiana nel corso dei decenni passati non sembrano aver causato un cambiamento del magistero su questi argomenti. Lo sfasamento tra i convincimenti della maggio-

ranza della popolazione italiana (incluso il laicato cattolico) e le direttive ufficiali non potrebbe essere più evidente e tuttavia non ha generato mutamenti nel catechismo. Oggi semplicemente il parroco dà per scontato che la maggioranza dei propri fedeli trovi ragionevole la convivenza prematrimoniale, la sperimentazione sessuale prima delle nozze, e la possibilità di divorziare, al punto che su questi argomenti nella predicazione non si ritorna più, se non per dovere d’ufficio e con accenni fuggevoli ed imba-

razzati, col timore d’essere presi per alieni dal proprio auditorio. Per contro il dissenso sottile tra le opinioni della maggioranza del laicato e le gerarchie non ha avuto ricadute sui regolamenti ufficiali. Intendo dire che ancora oggi non sarebbe possibile indicare senza suscitare polemiche come catechista una divorziata, né come insegnante di religione una donna che conviva more uxorio col proprio compagno, ed è recente il rifiuto della Santa Sede di accreditare come ambasciatore un uomo dichiaratamente omosessuale. La situazione che si prospetta a breve termine è quella di una chiesa che in nome dell’accoglienza accolga nelle parrocchie le coppie conviventi, etero o gay che siano, ma ponga ogni cura nel ribadire lo stigma della loro diversità e presunta peccaminosità con l’escluderle dai ruoli di insegnamento. Per alcuni anni, ed è difficile pronosticare quanti, le crepe a questo sistema saranno occasionali: io stesso conosco nella mia diocesi figure di omosessuali dichiarati che prestano servizio come catechisti col placet del parroco. Ciò mostra come alcuni prelati siano capaci di andare oltre l’etichettatura data ad una persona sulla base del suo orientamento sessuale, per vedere invece come questa caratteristica si inserisca nell’insieme della sua persona. E questo ci porta al secondo punto: è facile etichettare le persone gay come una categoria che avrebbe dei tratti distinti dal resto della popolazione, dei

comportamenti peculiari che discenderebbero da questa loro caratteristica, ma solo finché non li si conosce personalmente. È più agevole infatti descrivere i gay come maggiormente promiscui o dediti a chissà quale inclinazione disordinata finché non li si conosca di persona, annoverandoli nelle proprie cerchie di amici, e si apprenda con l’esperienza diretta come siano indistinguibili dalle coppie eterosessuali, tanto nei pregi quanto nei difetti. Esemplare in questo fu l’atteggiamento del cardinal Schönborn di Vienna che, interpellato sull’opportunità di lasciare una persona omosessuale nel consiglio pastorale di una parrocchia, andò a parlare con questa coppia per scoprire che si trattava di una realtà di amore e di dedizione cristiana, e che la coppia s’era protetta e curata anche nei momenti di malattia e sofferenza di uno dei componenti. L’omosessualità del ragazzo non costituiva cioè un carattere di disordine nell’edificazione della personalità cristiana del ragazzo, ma anzi, si inseriva in un percorso che portava come suo frutto una splendida realtà di amore e dedizione, una fioritura esistenziale. Quello che occorre auspicarsi dunque, per il bene della comunità ecclesiale, è che sempre più coppie omosessuali si presentino alle rispettive comunità, perché disumanizzare qualcuno che si conosce, incasellandolo in una sterile categoria ghettizzante, è

“il dibattito ha assunto un tono da crociata che indurisce il cuore e lo rende sordo all’ascolto delle vite altrui”


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15 un atteggiamento possibile solo ad un farisaico e legalista cuore sterile, incapace di empatia. È plausibile che queste coppie siano portate a frequentare la comunità per il bisogno di battezzare i propri figli, che neppure oggi potrebbero venire rifiutati in quanto v’è un consenso unanime sul fatto che non si possa negare il battesimo ad un neonato sulla base della presunta peccaminosità dei genitori. Non ci aspettiamo però che coloro che oggi assumono toni apocalittici verso le coppie gay cambino le loro idee, infatti il dibattito ha assunto un tono da crociata che indurisce il cuore e lo rende sordo all’ascolto delle vite altrui. Il cambiamento avverrà quando la maggior parte di coloro che oggi escludono le famiglie gay finirà sottoterra, e nascerà una nuova generazione in cui il problema dell’accoglienza delle coppie gay non si porrà neppure.

Intransigente, come San Telemaco di Lorenzo Nicola Roselli

Mi è stato chiesto di scrivere un intervento sull’approvazione del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili e, devo essere sincero, sul momento ho davvero avuto difficoltà nella scelta di cosa scrivere e come scriverlo. Nel mio piccolo, ho fatto sincera opposizione a tale provvedimento, opposizione non soltanto argomentativa ma concreta, attraverso le quasi venti veglie delle Sentinelle In Piedi a cui ho partecipato, i due Family Day a cui mi sono recato e persino la presenza del tutto casuale come ospite in alcuni programmi televisivi. Difficile, quindi, scegliere le parole giuste per sintetizzare il mio fermo disaccordo con i cosiddetti “PACS italiani”. Troppe sarebbero le cose da dire, svariati gli argomenti da utilizzare.

Provvidenzialmente, mi sono imbattuto l’altro giorno nell’agiografia di un martire dei primi secoli, le cui vicende hanno ispirato queste poche righe: San Telemaco (o Almachio). Questo monaco originario con tutta probabilità dell’Asia Minore, i cui tratti leggendari si sovrappongono alle di per se scarse informazioni storiche, è particolarmente noto per il gesto dimostrativo che provocò il suo martirio. Telemaco, infatti, recatosi a Roma per evangelizzare i pagani latini, capitò per caso al Colosseo proprio nel mentre di uno scontro gladiatorio. Colpito dall’efferatezza del combattimento e dalle grida grondanti sangue del pubblico catarsizzato dalla scena, Telemaco ebbe un


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17 sussulto e con un latino incerto urlò dagli spalti ai gladiatori di interrompere il duello. Del tutto inascoltato, decise allora di avvicinarsi ai lottatori, facendosi spazio tra gli spettatori ululanti: giunse in prossimità dell’arena, secondo la tradizione, nel momento in cui uno dei gladiatori cadde e si espose al colpo di grazia dell’avversario. Ma un momento prima che l’Imperatore Onorio potesse decretare la morte o la vita dello sconfitto, Telemaco irruppe nella scena, ponendosi esattamente in mezzo ai due contendenti al grido: «Nel nome di Gesù Cristo, fermatevi!» Vi fu un momento di silenzio totale e perplessità, da parte della coorte imperiale come delle migliaia di romani che assistevano al truculento spettacolo. «Nel nome di Gesù Cristo fermatevi, cessate questo orrendo sacrificio!» – pare che urlò, con ancora più vigore, San Telemaco. La folla allora, profondamente indispettita dalla violenza negata, se la diede da sé, linciando sino alla morte il monaco venuto dall’Oriente che con fanciullesca ingenuità aveva tentato di fermare una consuetudine che andava avanti da sempre. Era infatti una convenzione sociale radicata da tempi immemorabili. Leggenda vuole che solo un uomo rimase davvero toccato da quel folle gesto: l’Imperatore Onorio, il quale di lì in poi avrebbe proibito i giochi gladiatori. La memoria liturgica di San Telemaco è quindi è celebrata tradizionalmente il

1° gennaio, poiché il 1° gennaio 404 d.C. è la data dell’ultimo scontro di gladiatori di cui vi sia prova attestata nel Colosseo di Roma. Perché ripescare questa agiografia dai tratti mitici, direte voi. Vi starete legittimamente chiedendo cosa c’entri la vicenda di questo martire con le unioni civili. Perché San Telemaco era, nel suo cristiano eroismo, drammaticamente fuori tempo massimo. Oggi chiameremmo il gesto di San Telemaco moderno. Ma moderno significa assurdo per l’epoca e, calandoci nel contesto, effettivamente lo era. Per me invece era semplicemente nel vero, nel giusto: perché la giustizia e la verità esistono sempre al di là del fatto che la maggioranza degli agenti assiologici (ovvero gli enti razionali che si pongono il problema morale) sia ad esse vicino o no. Ovvero, la Verità esiste anche in assenza totale di persone che la indichino. Ebbene, talvolta si sente parlare di diritti, di valori in evoluzione a cui il corpo ecclesiale dovrebbe adeguarsi per non costruire un muro di incomunicabilità con il mondo circostante. Questo, perlomeno, è uno dei motivi comuni di certa pastorale in voga nei nostri tempi. Ma vedete, il problema sostanziale è che i valori non negoziabili – su cui insistono tutti quelli che come me si dicono “tradizionalisti” – non mutano, ma rimangono monolitici, fissi nel tempo.

Lo erano quando San Telemaco si gettò in mezzo all’arena per fermare uno scontro gladiatorio; quando Papa Paolo III scrisse un’enciclica per denunciare i coloni portoghesi che schiavizzavano i nativi americani e le genti dell’Africa subsahariana; quando Sua Eminenza Clemens August von Galen, vescovo di Münster, si oppose all’eugenetica positiva della Germania hitleriana. I diritti individuali e le “battaglie civili” sono invece liquidi: cambiano, mutano, si contraddicono con il passare delle decadi. Quando l’On. Amintore Fanfani pronunciò le profetiche parole: «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali», all’epoca, i radicali presenti in Parlamento le presero come un ridicolo spauracchio della “paranoia cattolica”: il matrimonio omosessuale? Un’assurdità. Si devia il discorso per attaccare l’avanzamento dei diritti, dicevano. Qui sta tutta la mia opposizione a ciò che va contro l’insegnamento della Chiesa che non è né conservatore né progressista: semplicemente è di fronte a ad un sistema valoriale tragicamente umano, e per tanto volubile che è quello delle nostre società contemporanee. E che ci porta ad essere intransigenti e fermi nelle nostre convinzioni più recondite... Come San Telemaco.

“Nel nome di Gesù Cristo, fermatevi”!


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Unioni civili: e adesso? di Gabriele Cossovich

Piaccia o non piaccia la legge c’è. E adesso? Passata la prima ondata di commenti all’approvazione del ddl sulle unioni civili, provo a mettere per iscritto anch’io qualche pensiero, nella speranza (so già in partenza fragile) di uscire dalla contrapposizione che ha segnato tutto il dibattito per rimettere al centro la questione vera che per noi come Chiesa è in gioco. Non riesco a riconoscermi nelle dure reazioni che i telegiornali riportano genericamente come “dei cattolici” all’approvazione del disegno di legge Cirinnà. Non perché non comprenda il dramma sincero di chi, da credente, vede nel riconoscimento civile di unioni diverse un motivo di tristezza. Rimango per-

sonalmente dell’idea che una legge sulle unioni civili (mantenendo ferma l’inammissibilità della pratica dell’utero in affitto) in Italia fosse necessaria, anche per motivazioni non così distanti dal Vangelo. Ma capisco fino in fondo anche lo sconcerto di chi è fermamente convinto, come anche io lo sono, del valore e della bellezza del matrimonio cristiano, e nutre il desiderio, genuino e non ideologico, che questa bellezza possa essere di tutti; affinché l’intero mondo possa goderne; non perché vuole decidere lui per gli altri, ma perché desidera una vita piena per tutti e non solo per sé. Dall’altra parte però serve non dimenticarci che stiamo parlando di bellezza! La bellezza non è

possibile comandarla ed imporla. La bellezza risplende, si propone, ma poi sta alla ineludibile libertà dell’altro riconoscerla ed accoglierla. E di fronte al rifiuto la bellezza non oppone resistenza, mai. Non è interessata a vincere le battaglie in cui vorrebbero trascinarla, perché non c’è battaglia che non abbia già vinto per il solo fatto di esistere. Non c’è vittoria che possa farla brillare più di quanto già non risplenda. Anzi, rischierebbe di essere vero il contrario. Perché la bellezza non si riconosce solo da ciò che è, ma anche da come si pone, da come si presenta.

Cirinnà ha scritto su Facebook: “Anche l’Italia ha la sua legge sulle unioni civili! Ora il matrimonio ha davvero un senso”. E se questa legge invece di essere la “morte del matrimonio cristiano”, come ho letto in qualche commento, fosse l’occasione perché questo possa risplendere più fulgidamente? Libero da scontri ideologici e scacchiere politiche? L’occasione perché, come Chiesa, possiamo liberarci della preoccupazione di difendere qualcosa e concentrarci sul vivere davvero in autentica pienezza la bellezza che ci è stata donata?

Per noi cristiani Gesù Cristo è il maestro della bellezza. Lui che attraversava i villaggi della Galilea predicando e operando bellezza, ma che di fronte a chi non l’ha riconosciuta non ha opposto resistenza; perché opporsi, resistere, l’avrebbe macchiata, distorta, banalizzata. Quasi che Dio fosse un bambino capriccioso che se non si fa come dice lui scatena il finimondo. Si è invece consegnato senza lottare. Si è lasciato accusare senza proferire parola. Ha lasciato che lo ammazzassero nella maniera più brutale. Ed è stato allora che quella bellezza si è manifestata nella sua pienezza, nella sua forza più dirompente. E ancora vive risorta.

Sogno una Chiesa così: senza mura di difesa, splendente di bellezza.

Una ragazza che conosco, del tutto distante dai nostri ambienti ecclesiali e cattolici, festeggiando l’approvazione della

Pubblicato il 16 maggio 2016 sul blog collettivo vinonuovo.it

“la bellezza risplende, si propone, ma poi sta alla ineludibile libertà dell’altro riconoscerla ed accoglierla”


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Dibattito RIFORMA COSTITUZIONALE « La Riforma della Costituzione, che dovrà passare il vaglio del referendum confermativo di ottobre, quali effetti avrà sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica dell’Italia? »


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Cittadini più partecipi, se vorranno di Raffaele Dobellini

In autunno gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso nei confronti della Riforma costituzionale, cosiddetta “Renzi-Boschi” o “BoschiNapolitano”. Già dalla scelta di come appellare questa Riforma si possono comprendere le posizioni in campo. Chi la chiama Renzi-Boschi vuole porre attenzione sul significato che l’approvazione della stessa avrà per le sorti del Governo in carica. Chi la denomina Napolitano-Boschi pone, invece, l’accento sul fatto che la legge costituzionale aveva avuto inizialmente l’avallo della maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento, anche grazie all’esplicito sostegno del Presidente emerito, Giorgio Napolitano, che aveva accettato la propria rielezione per con-

tribuire, tra l’altro, alle riforme istituzionali. Al di là, però, dei risvolti politici che avrà l’esito referendario è opportuno soffermarsi su quali effetti questa Riforma avrà nel concreto e, nello specifico, su come condizionerà la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Come ho premesso, l’attuale Riforma assume ben precise coloriture politiche, che vanno ben oltre quelle che naturalmente assume un cambiamento della Costituzione. Ritengo, pertanto, opportuno esplicitare fin da subito i miei convincimenti in materia politico-istituzionale, così da permettere al lettore, soprattutto a quello non avvezzo alle materie giuridiche, di orientarsi al meglio. Sono un parlamentarista convinto, favorevole ad un

limitato rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, che evito, infatti, di chiamare “Premier” per ribadire il suo ruolo di primus inter pares. Il Consiglio dei Ministri, infatti, dovrebbe essere non solo luogo di decisioni esecutive, ma anche di un ampio ed approfondito confronto sulle sorti del Paese. La svolta maggioritaria dei primi anni Novanta, l’elezione diretta degli organi monocratici di governo locale, il ricorso alle primarie per la scelta del Segretario nazionale del Partito Democratico hanno, col tempo, mutato la natura del Presidente del Consiglio, che è andato accentuando il suo ruolo direttivo, a scapito di quello di coordinamento. Sono dell’opinione che ibridare i sistemi istituzionali non sempre sia corretto. Se, quindi, si vuole un rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio, tanto da trasformarlo in un Primo ministro o in un Cancelliere, questo va fatto in modo esplicito e con una certa coerenza giuridico-legislativa. Schematizzando posso affermare: un sistema di coerente rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio era già in linea con il precedente dettato costituzionale, sarebbe bastate poche modifiche per semplificare il processo legislativo e rafforzare il ruolo di indirizzo del Presidente del Consiglio. È evidente, però, che la Riforma non ha avuto solo quest’intento. Se è vero che Renzi si è mosso secondo il modello del “Sindaco d’Italia” – il combinato disposto

Riforma Costituzionale-Italicum è chiaro in questo senso – è altrettanto vero che il sistema dei comuni non è immediatamente riproducibile a livello nazionale. I comuni non legiferano e, soprattutto, l’attività legislativa non può ridursi ad un semplice confronto tra maggioranza e opposizione. Il venir meno dei partiti “ideologici” impedisce di collocare tutti i temi, soprattutto quelli eticamente sensibili, in un confronto tra opposte parti politiche. Al rafforzamento del ruolo dell’Esecutivo e al superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (o paritario) si affiancano altri due intenti: assecondare un elettorato che è sempre più diffidente nei confronti della classe politica e riportare lo Stato al centro dell’azione politicolegislativa. Il primo intento è perseguito attraverso la riduzione drastica del numero dei senatori, l’eliminazione del CNEL, l’esclusione di una indennità di incarico per i nuovi senatori, l’abolizione della figura del senatore a vita di nomina presidenziale (i nuovi senatori di nomina presidenziale dureranno in carica sette anni). Se l’eliminazione del CNEL non costituisce un problema di sorta e, comunque, non costituisce una svolta epocale, diversa è la scelta che riguarda il Senato. Qui bisogna fare alcune precisazioni: in molti Paesi si è fatta la scelta del monocameralismo; in nessuno Stato occidentale esiste un bicameralismo perfetto; dove esiste una seconda Camera, questa è spesso og-


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25 getto di critiche; il ruolo della seconda Camera assume un ruolo rilevante nei sistemi federali – es. USA o Germania – dove serve a rappresentare le esigenze delle realtà regionali/statuali che compongono la Federazione. Il progetto originario della Riforma aveva una sua coerenza: guardava al modello tedesco e, pertanto, prevedeva l’elezione di tutti i senatori ad opera dei Consigli regionali e ne prevedeva la caducazione alla cessazione dell’incarico di primo livello (sindaco o consigliere regionale) o al termine della legislatura del consiglio regionale eleggente. Sostanzialmente i senatori erano immaginati come delegati delle Regioni a rappresentare gli interessi della comunità regionale. L’assenza di un diretto mandato popolare giustificava: l’eliminazione dell’indennità; l’eliminazione dell’immunità parlamentare; il ridotto potere legislativo. Il sistema mancava, però, di uno strumento fondamentale: la possibilità per l’ente delegante di revocare l’incarico al senatore, qualora questi avesse votato in modo difforme agli orientamenti della Regione sulle questioni strettamente legislative. Almeno si sarebbe dovuto prevedere che i senatori avrebbero potuto esprimere solo un voto percentualizzato o unitario. Se, infatti, il Senato è immaginato come Camera delle Regioni, quello che viene in rilievo è l’ente; quindi nella stragrande maggioranza dei casi i voti si sarebbero dovuti esprimere non in modo indivi-

duale, ma unitario. Cioè ad ogni Regione sarebbe spettato un solo voto e per esprime questo i senatori di ogni singola Regione si sarebbero dovuti accordare o avrebbero espresso un voto pari solo ad un percentuale del voto della Regione. Nonostante alcuni limiti (anche seri) che presenta la Riforma costituzionale ritengo che la stessa abbia un indubbio vantaggio: aumenta le occasioni di partecipazione democratica. Questa Riforma, pur non incidendo sulla prima parte della Costituzione – e, quindi, sui principi che reggono il nostro sistema repubblicano – va ad incidere sul procedimento legislativo e sull’equilibrio tra alcuni poteri dello Stato. Soffermarsi sulle convinzioni politiche e filosofiche alla base di questa Riforma sarebbe troppo complesso. È bene, quindi, soffermarsi solo sugli effettivi cambiamenti prodotti, indipendentemente dalle conseguenze politiche che agli stessi si vuole attribuire. È noto, infatti, che al di là del dato normativo ciò che assume rilievo è anche il modo in cui la dottrina, la giurisprudenza, soprattutto costituzionale, e la politica comunemente interpretano la Costituzione. La Riforma del Titolo V avvenuta nel 2001 è stata, ad esempio, oggetto di numerosi interventi della Corte Costituzionale, che è intervenuta a delimitare e ridefinire il riparato di competenze legislative tra Stato e Regioni, depotenziando di fatto il porta-

to della riforma c.d. federalista. Nella Riforma costituzionale Renzi-Boschi-Napolitano assumerà rilievo il modo concreto in cui verranno utilizzati gli istituti di partecipazione popolare e come i senatori intenderanno il proprio ruolo. Come precisato, infatti, non è previsto l’istituto della revoca dei sentori e agli stessi è riconosciuta l’immunità. È discutibile, comunque, fin dove si possa spingere la loro azione politica, quanto cioè possano giovarsi dell’assenza di un vincolo di mandato, pur rappresentando la propria Regione. Del resto, a seguito delle obiezioni della minoranza interna al PD, la norma costituzionale prevede che – relativamente ai consiglieri regionali da eleggere come senatori – il Consiglio regionale eleggente dovrà tener conto delle “indicazioni” dell’elettorato. Come questo avverrà e come questo si tradurrà in una elezione effettiva ad opera del corpo elettorale non è dato saperlo. Sicuramente non dovrebbe avvenire per i sindaci che saranno eletti senatori. Le principali novità in termini di partecipazione popolare, però, sono altre e sono spesso passate sotto silenzio, pur determinando importanti cambiamenti. Del resto, sono le riforme che meno hanno subito le obiezioni dei costituzionalisti, godendo di un sostegno quasi unanime. Il maggiore coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale passa attraverso: la previsione di referendum propositivi o d’indirizzo; l’abbas-

samento del quorum alla metà dei votanti alle ultime politiche, nel caso in cui il referendum sia stato chiesto da almeno 800.000 elettori; l’aver fissato tempi certi per la calendarizzazione delle leggi d’iniziativa popolare. Determinanti risulteranno le leggi attuative del dettato costituzionale. Il superamento del bicameralismo paritario e la sottrazione alla scelta dell’elettorato di una parte dei senatori è ampiamente compensata dall’introduzione di queste forme di partecipazione diretta. Su questo versante, quindi, difficilmente la Riforma può essere oggetto di critiche decisive.

“è bene soffermarsi solo sugli effettivi cambiamenti prodotti, indipendentemente dalle conseguenze politiche che agli stessi si vuole attribuire”


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Referendum e leggi popolari: più spazi, troppe incognite di Gabriele Maestri

«Oltre il Senato c’è di più». Verrebbe da introdurre così la riforma della Costituzione su cui saremo chiamati a votare in autunno. Si è parlato molto (e in parte a sproposito, semplificando troppo e male da una parte e dall’altra) delle trasformazioni che subirebbe la seconda Camera, ma ci si è soffermati meno su altri contenuti, non meno importanti rispetto alla struttura e alla formazione del secondo ramo del Parlamento. Se di spazi di partecipazione popolare si deve ragionare, è giusto farlo ad ampio spettro. A tutt’oggi, i cittadini possono partecipare alla vita politica in più modi: indirettamente, votando i loro rappresentanti al Parlamento; in maniera diretta, soprattutto pre-

sentando in forma collettiva proposte di legge (per proporre alle Camere temi su cui legiferare) o richieste di referendum (per eliminare dall’ordinamento norme non gradite). Questi ultimi due strumenti, col tempo, hanno mostrato alcuni limiti: le proposte di legge popolari si impantanavano puntualmente nelle secche parlamentari, mentre la disaffezione dei cittadini verso lo strumento referendario (forse anche per un suo abuso) ha impedito spesso di raggiungere il quorum per la sua validità e, a volte, non si è neanche arrivati a raccogliere le firme necessarie. La riforma costituzionale interviene su entrambi i punti. Sul piano dell’iniziativa legislativa popolare, a fronte di un innal-

zamento sensibile del numero di firme necessarie (da 50mila a 150mila), il nuovo testo dell’art. 71 prescriverebbe che la discussione e la deliberazione conclusiva su quelle proposte di legge «siano garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari». L’asticella in effetti si alza, anche se superarla non è proibitivo (gli elettori, in settant’anni, sono quasi raddoppiati e oggi è più facile firmare e far autenticare le firme); in compenso, si dovrebbero avere tempi certi perché nelle aule parlamentari si discuta davvero delle istanze che un numero consistente di cittadini ha tradotto in proposta di legge. In teoria sarebbe un passo avanti, rispetto alla poca considerazione di cui hanno goduto i testi di iniziativa popolare. Resta personalmente un po’ di rammarico: sarebbe stato opportuno dare più regole già nel testo costituzionale, invece che delegare la disciplina di tempi, forme e limiti della discussione ai regolamenti parlamentari, cioè alle stesse Camere che finora non hanno tenuto conto delle istanze popolari. Troppa sfiducia da parte mia o troppa fiducia in sé del Parlamento? Se il tema delle proposte di legge è stato poco “gettonato” nel dibattito pubblico, si è parlato di più delle innovazioni della riforma in tema di referendum. Queste riguardano innanzitutto il referendum abrogativo, che

diventerebbe «a geometria variabile» (come dice il professor Pasquale Costanzo) in caso di entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 75. Accanto all’attuale ipotesi “normale” (raccolta di 500mila firme e necessità di superare il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto), si creerebbe un secondo percorso “rinforzato”, qualora i promotori raccogliessero almeno 800mila firme: per la validità di quella consultazione, basterebbe raggiungere la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera. Tornando all’esempio dell’asticella, il nuovo testo costituzionale farebbe decidere ai cittadini – specie ai promotori – il livello di difficoltà: potrebbero mettere l’impegno consueto nella raccolta firme, sperando che poi voti almeno un elettore su due, o impegnarsi di più sulle sottoscrizioni, abbassando l’asticella all’atto di rivolgersi al corpo elettorale. Si è parlato di “controriforma” del referendum, che non rimuove il quorum e aumenta le firme, ma non condivido: si è aggiunta una nuova strada, che chiede sì più firme (ma 800mila sono l’1,70% dei 46,9 milioni di elettori del 2013; 500mila sottoscrizioni, nel 1948, erano l’1,72% dei 29 milioni di elettori di allora), ma rende più difficile avere consultazioni invalide (prendendo i dati del 2013, invece che 23,5 milioni di votanti, ne basterebbero 17,6). Un minimo di partecipazione appare comunque necessario, per

“sarebbe stato opportuno dare più regole già nel testo costituzionale”


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29 evitare che spariscano dall’ordinamento norme sgradite a sparute minoranze.

“a volte non c’era altra scelta, a volte si sarebbe potuto fare di più”

Restando sul tema dei referendum, se nulla cambia per le consultazioni territoriali e per il referendum confermativo di revisione costituzionale, la riforma integra così l’art. 71: «Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione». Si tratta di qualcosa che nella Costituzione non c’è mai stato e che è stato chiesto da più parti (dai cittadini come dagli studiosi): nuove occasioni di partecipazione, non solo degli elettori ma di tutti i cittadini, come singoli e membri di «formazioni sociali» (questa parte, però, è tutta da precisare meglio in futuro). Quanto alle nuove forme di referendum, potrebbe aprirsi una stagione di consultazioni propositive (per suggerire temi di cui Parlamento e Governo dovrebbero occuparsi, senza sovrapporsi allo strumento dell’iniziativa legislativa popolare) e d’indirizzo (per permettere a chi è al potere di verificare, all’interno del corpo elettorale, il consenso su posizioni e progetti specifici). A oc-

chio, peraltro, questi strumenti avrebbero un valore solo consultivo (e non immediatamente produttivo di norme): non sarebbero comunque disponibili prima di un doppio intervento del Parlamento, prima con una legge costituzionale che definisca meglio questi istituti, poi con una legge ordinaria bicamerale, che attui nel dettaglio le regole ancora da stabilire. Si è dunque tentati di dire che, in questa lettura della partecipazione popolare, chi ha voluto la riforma ha proposto un passo adelante, pero con mucho juicio, lasciando decidere al Parlamento che verrà: a volte non c’era altra scelta, a volte si sarebbe potuto fare di più. C’è, infine, la grande incognita sulla formazione del Senato: non sarebbe eletto direttamente, ma si è introdotto il principio per cui i consigli regionali e di province autonome dovrebbero eleggere i senatori «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi». Ci sarebbe dunque spazio per far contare, in qualche modo, anche l’espressione degli elettori; toccherà però sempre a una legge ordinaria (bicamerale) stabilire le modalità di elezione dei senatori. Anche qui, dunque, il giudizio dev’essere necessariamente sospeso.

Dibattito AMORIS LAETITIA « Amoris Laetitia: maturazione di una coscienza illuminata o presa d’atto del soggettivismo morale? »


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L’esperienza concreta: una risposta alla crisi della famiglia di Vincenzo Fatigati

Se si potesse astrarre dal nostro dizionario quotidiano il termine “famiglia” e leggere l’etimologia in senso genealogico, allora il lettore constaterebbe con meraviglia che alla nostra definizione di famiglia non corrisponde alcun termine o definizione dell’antichità. La familia romana, infatti, si riferiva letteralmente a tutto ciò che era soggetto all’autorità del pater familias, il quale però non era incluso nella familia, non essendo soggetto alla sua stessa autorità. La familia dunque corrispondeva alla proprietà del capofamiglia; essa non era ne-

anche necessariamente intesa in senso monogamico, ma si riferiva generalmente a gruppi famigliari più ampi. Questo significato più o meno rimane immutato fino al Medioevo, dove non esiste ancora un concetto univoco per definire la discendenza di consanguinei. Anzi, nello stesso periodo troviamo una pluralità di tipologie di famiglia, cioè di nuclei tribali, in base all’estrazione sociale o alla provenienza. Nella Bibbia, quando si fa riferimento alle diverse compilazioni censitarie, si indicano sempre i gruppi tribali: non esisteva un’entità della “famiglia” come oggi noi la possiamo intendere.

Basta semplicemente sfogliare l’Antico Testamento per capire come in antichità era contemplata la stessa poligamia; si vedano le pagine dedicate a Giobbe. Come dunque porci per poter davvero comprendere in prospettiva storica l’importanza – e l’eventuale innovazione – dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia scritta da Papa Francesco? Per rispondere a questa domanda e cogliere l’importanza dei punti sollevati dal testo in questione bisognerebbe partire dall’ipertesto, formato dalle sfide e dalle crisi che corrodono la nostra contemporaneità, e poi rileggere il testo in filigrana. Esso è sviluppato in nove capitoli (325 paragrafi, di cui 7 introduttivi) e si inserisce nella tradizione già tracciata 35 anni fa da Giovanni Paolo II con Familiaris Consortio, ma con elementi di innovazione, anche contenutistici; per esempio c’è con molta meno attenzione al tema dei contraccettivi e quello del divorzio viene posto in una luce differente. Quanto all’impostazione formale, questa sintesi elaborata dai sinodi indetti sulla famiglia nel 2014 e 2015 sembra dare maggior spazio ai vescovi, quindi mostra un atteggiamento corale e più democratico. Nonostante – basta scorgerne l’introduzione – questa dimensione polifonica di intenti e di sintesi, non segue alcuna vera rivoluzione teologica: «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi

del magistero» (§ 3), come viene chiaramente specificato. La tradizione dogmatica, insomma, viene sostanzialmente conservata; qui si nota un altro elemento tipico del pontificato di Papa Francesco, già evidente dalla composizione di quanti l’hanno appoggiato all’indomani dell’elezione: una tendenza a decentralizzare (“de-romanizzare”) la portata di certi problemi ad una dimensione particolare, a soffermarsi maggiormente sui temi sociali e a lasciare alcune tematiche spinose, come quella della sessualità, aperte a interpretazioni che possano integrarsi meglio nelle singole culture particolari. Si lascia insomma più spazio ad interpretazioni attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale [...] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato» (§ 3). L’atteggiamento di fondo dell’Amoris Laetitia quindi è sostanzialmente cauto, come viene puntualizzato quando si fa riferimento alla comunicazione nei mezzi di informazione: bisogna cercare un equilibrio, senza scadere negli eccessi di chi vuole «cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento» (§ 2) o, al contrario, di chi cerca di risolvere tutto applicando norme astratte, senza considerare i casi specifici e particolari in cui quelle norme andrebbero applicate.

“il lettore dovrebbe leggere i nove capitoli che compongono l’Esortazione Apostolica partendo dall’orizzonte degli stessi problemi nati all’interno della modernità”


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“un tono colloquiale che tende a soffermarsi sull’esperienza e sulla concretezza dei problemi anziché definire una visione idealtipica della famiglia”

33 Allora il lettore dovrebbe leggere i nove capitoli che compongono l’Esortazione Apostolica partendo dall’orizzonte degli stessi problemi nati all’interno della modernità, avendo in mente quindi la crisi delle strutture sociali – come quella del matrimonio – e di un tessuto sociale che tende verso l’iper-individualismo, al fine di ripensare i valori cristiani misurandosi con tali sfide. Non quindi un atteggiamento dogmatico, cattedratico e razionalista, come in un certo senso lo poteva essere quello di Ratzinger, bensì un tono colloquiale che tende a soffermarsi sull’esperienza e sulla concretezza dei problemi anziché definire una visione idealtipica della famiglia. Così andrebbe letta l’esortazione. Se poi la soluzione al progressivo annichilimento delle istituzioni familiari e religiose sia quella di reimpostare i termini che hanno definito la tradizione culturale cattolica – in modo da preservare una visione più ampia, ricca e plurale del cristianesimo – lasciamo alla Storia rispondere.

La cautela del gesuita di Andrea Virga

“il cambiamento riguarda la pastorale, ossia il modo in cui la dottrina morale cattolica debba essere applicata alle situazioni concrete”

L’esortazione apostolica Amoris Laetitia ha sicuramente destato polemiche, specie da parte tradizionalista. Trattandosi di un testo di circa 250 pagine e 400 note, queste critiche si sono dunque concentrate su alcuni singoli aspetti, tanto che lo stesso Mons. Fellay (Fraternità Sacerdotale San Pio X; i c.d. “lefebvriani”, NdR) ha ammesso che «contiene molte cose che sono giuste, che sono belle». In particolare, si parla di cambiamenti radicali alla dottrina cattolica e di apertura al soggettivismo morale. Come sempre, anche da parte progressista (es. “Noi Siamo Chiesa”) c’è stato invece un apprezzamento a queste aperture, pur limitato dalla constatazione che è comunque ribadita la dottrina cattolica.

Il fatto è che, piaccia o meno, la dottrina non è affatto cambiata, specialmente sui temi di maggior importanza: su aborto (§ 83), eutanasia (§ 48), contraccezione (§ 80), ideologia di genere (§ 56), unioni omosessuali (§ 251) Francesco ripete quello che è l’insegnamento della Chiesa. Il cambiamento riguarda semmai la pastorale, ossia il modo in cui la dottrina morale cattolica debba essere applicata alle situazioni concrete. In questo, Francesco, da buon gesuita, si riallaccia evidentemente alla casuistica. Insomma, davvero niente di nuovo, se ricordiamo come per secoli, in età moderna, contemporaneamente alla nascita del soggettivismo filosofico, i teologi morali hanno dibattuto


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35 riguardo al maggiore o minore peso della coscienza individuale rispetto alla legge morale.

“in presenza di cattivi sacerdoti questa misericordia può trasformarsi in lassismo, però non si può nemmeno invalidare una legge o una prassi per il timore degli abusi”

Un caso esemplare è rappresentato dalla famigerata nota 351, e qui si sono concentrate le critiche “da destra”. Al paragrafo che recita: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio», la nota aggiunge: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti […] il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore […] l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli». Ora, chi era in malafede, ossia pregiudizievole verso Papa Francesco, vi ha voluto leggere lo sdoganamento, sic et simpliciter, dell’Eucarestia ai divorziati risposati. Eppure, la nota si contraddistingue per la sua cautela. In sostanza, dunque, è fuorviante parlare sia di “soggettivismo morale”, perché appunto non viene mai negata la realtà oggettiva della morale cattolica, sia di “coscienza illuminata”. Questo, perché l’esame morale dei singoli casi e situazioni non è mai abbandonato alla scelta individuale, il che rischierebbe effettivamente di sottomettere la dottrina rivelata e la stessa legge

naturale ai placita dei singoli. Invece, è conservato e sottolineato il ruolo del sacerdote, e in particolare del direttore spirituale e del confessore, come tramite tra Dio e l’uomo, e come interprete della divina misericordia, coerentemente alla sua condizione di alter Christus. Naturalmente, è ben vero che in presenza di cattivi sacerdoti questa misericordia può trasformarsi in lassismo, però non si può nemmeno invalidare una legge o una prassi per il timore degli abusi. Resta, invece, l’importanza di curare con maggiore attenzione le anime dei fedeli, nella corrente situazione di alienazione e povertà spirituale che caratterizza il mondo postmoderno.

Amoris Laetitia, respiro per la Chiesa di Omar Vitali

Il giorno in cui hanno pubblicato l’Esortazione Apostolica di papa Francesco ho seguito la presentazione del cardinale Schönborn e ho sentito dietro alle sue parole, alla sua lettura personale dell’esortazione, un respiro. Sì, un respiro di Chiesa che non sta arroccata dietro a delle leggi, al magistero, ma anzi, parte dal magistero per incontrare le persone. Incontra le persone e ne cura le ferite, proprio come papa Francesco dice.

Forse è bene che in due righe mi presenti. Sono un ex sacerdote in attesa di ricevere la dispensa e attualmente insegno religione. Ho trovato interessantissimo il testo del papa. Mi ha aperto diverse riflessioni a riguardo delle unioni cosiddette “irregolari”, degli omosessuali, dell’amore dei giovani... Credo che la strada giusta da prendere sia quella che ogni giorno ci consegna papa Francesco. Ascoltare i segni dei tempi e non avere paura di cambiare. L’importante è capire per-


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37 ché si cambia e andare avanti con coraggio e fra le mani il Vangelo. Il Vangelo che innanzitutto è misericordia. Ecco un’altra parola chiave: misericordia. È il sostegno che ho sentito dalla “madre” Chiesa nel mio periodo di crisi e nel momento difficilissimo della scelta mia personale. La Chiesa nei momenti terribili – dove non c’era una crisi di fede ma una crisi esistenziale in corso – mi è stata vicina, mi è stata di grande conforto.

di; ho risparmiato loro la lettura completa del testo. Il mio stupore c’è stato quando hanno iniziato a farmi domande precise sulle situazione dei loro genitori – quelle cosiddette “irregolari” –, sulla sessualità e sulle altre tematiche. Si sono aperte discussioni in classe ed è stato molto arricchente per me e per loro, innanzitutto per conoscerci e per riflettere alla luce del Vangelo e dei documenti che la Chiesa ci dona.

E con questa Esortazione sento che si sta avvicinando sempre di più alle famiglie e alle coppie ferite. Ho provato a pensare quando anch’io accompagnavo le coppie al matrimonio o in situazioni difficili. Cosa mi veniva chiesto? Di amare, solo questo: accompagnare e amare senza giudicare. Senza mettere davanti le leggi e i decreti e tutto quello che pone muri. Utilizzare la capacità di un padre o di una madre veri che richiamano i loro figli. In questo respiro che vorrei trasmettere ci sta il respiro di sollievo di chi non è con l’acqua alla gola, ma di chi è aiutato, sostenuto, non abbandonato. L’impressione è che i sacerdoti abbiano abbandonato la pratica di accompagnare al matrimonio le giovani coppie e si occupino solo dei documenti. Il prete invece è l’uomo delle relazioni, non l’uomo delle documentazioni.

Mi è capitato di sentire questo racconto in un convegno. È un apologo di Kierkegaard.

Ho trovato una piccola sintesi dell’esortazione e l’ho proposta a scuola agli studenti più gran-

«La storiella è interessante. Narra come un circo viaggiante in Danimarca fosse un giorno caduto in preda ad un incendio. Ancora mentre da esso si levavano le fiamme, il direttore mandò il clown già abbigliato per la recita a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto anche perché c’era pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi aridi, s’appiccasse anche al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando i paesani ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attrarre la più gran quantità possibile di gente alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di pian-

gere che di ridere; e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco, bensì d’una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda… La commedia continuò così, finche il fuoco s’appiccò realmente al villaggio, ed ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché villaggio e circo andarono entrambi distrutti dalle fiamme». È un esempio lucidissimo di come anche oggi si possa sentire ogni cristiano che sul lavoro, in famiglia e a scuola tenta di “testimoniare” il suo essere cristiano. Quasi sempre i suoi risultati sono scarsi. Non è questione di vestito di scena o meno, di trucco o non trucco. Il cristiano può semplicemente testimoniare chi è veramente con la sua vita, con quello che fa e che dice ogni giorno.

“ho provato a pensare quando anch’io accompagnavo le coppie al matrimonio o in situazioni difficili. Cosa mi veniva chiesto? Di amare, solo questo: accompagnare e amare senza giudicare. Senza mettere davanti le leggi e i decreti e tutto quello che pone muri”


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39 sua complessità e la presa in carico della grande diversità delle situazioni. È sempre il cammino sinodale che ha permesso di parlare della responsabilità delle persone sposate, degli operatori pastorali, dei presbiteri e dei vescovi.

Presentazione di Amoris Laetitia di Mons. Lucas Van Looy, Conferenza Episcopale Belga traduzione a cura di Marco Sergio Narducci

“la Chiesa ha il dovere di prendersi cura di ciascuno”

Manifestamente, l’esortazione apostolica di Papa Francesco vuole mettere fine alla percezione di una Chiesa troppo severa allorquando parla di amore e di sessualità. Il linguaggio ecclesiale troppo spesso si è rinchiuso nella propria autoreferenzialità, senza tenere conto a sufficienza del fatto che l’amore è un processo, che i giovani sono chiamati a crescere verso il matrimonio, soprattutto se desiderano aprirsi al sacramento. Dopo la benedizione nuziale, resta ancora un lungo cammino da percorrere. Questo è un testo chiaramente pastorale. Non tocca la dottrina, il tono è completamente diverso. «Non si è toccata la dottrina, è

la Chiesa che è cambiata!», così ha potuto affermare il cardinale Danneels alla fine del Sinodo del 2015. Ecco perché il Papa fa appello alle famiglie, ai pastori e ai vescovi affinché mettano in campo un accompagnamento pastorale di qualità, a livello diocesano e parrocchiale, per le giovani coppie che intendono sposarsi, affinché siano sostenute nei loro problemi piccoli e grandi, e anche nelle loro disillusioni. Il cammino di questi due anni – i questionari rivolti a tutto il Popolo di Dio e i due sinodi – non è dunque stato senza importanza. È tale cammino che ha reso possibile al Papa questa descrizione del matrimonio in tutta la

Il Papa invita all’accompagnamento, al discernimento dello Spirito e all’integrazione. In qualunque circostanza, ogni cristiano è membro della Chiesa. Egli non è dunque scomunicato, ma vi dimora quale figlio di Dio. La Chiesa ha il dovere di prendersi cura di ciascuno. In una famiglia ogni figlio è veramente un figlio, indipendentemente dalla situazione ove si trova. Così, per Dio, ogni essere umano è suo figlio. In un bellissimo capitolo dell’enciclica, Papa Francesco sviluppa “l’inno all’amore” di San Paolo (I Co 13). Egli vi sottolinea come «l’amore tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Qui, a partire dalla Sacra Scrittura, il Pontefice disegna un cammino di integrazione totale per ciascuno. Arriviamo così alla difficile questione dell’Eucarestia per i divorziati che vivono una nuova situazione familiare. In primo luogo, il Papa avverte che l’intenzione non è di giudicare o di sviluppare una disputa teologica, ma è quella di riconoscere queste persone e di accompagnarle. La Comunione, afferma nella nota 351, «non è un premio destinato ai perfetti, ma un

generoso rimedio e un alimento per i deboli». Quanto alla questione dell’omosessualità, essa non è stata affrontata in questo documento, dal momento che non era all’ordine del giorno al Sinodo. Le persone omosessuali devono in ogni caso essere pienamente rispettate e riconosciute nella loro situazione, senza tuttavia che la loro unione sia considerata sullo stesso piano del matrimonio tra un uomo e una donna (cfr. 250251). Il Papa desidera che la persona, poco importa il suo orientamento sessuale o la situazione in cui si trova, sia considerata a tutti gli effetti membro della comunità. In risposta all’amore di Cristo, la Chiesa è chiamata a comprendere e accompagnare ciascuno in vista di una piena integrazione. Una parte importante del testo è consacrata alla preparazione dei giovani al matrimonio, la quale dovrebbe già fare parte della catechesi. In effetti non è felice che i giovani riducano l’amore al romanticismo. La realtà è tutt’altra. È per questo che la Chiesa deve sforzarsi, sul piano locale, di dare un’immagine completa del significato di questo impegno importantissimo. Troppo a lungo la Chiesa ha parlato della sessualità e delle relazioni d’amore in maniera problematica. La tenerezza, l’inno all’amore di San Paolo, la misericordia e il necessario dialogo per gestire i problemi e i conflitti permettono


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41 di aprire il cammino verso una relazione sana e piena tra gli sposi, senza che le situazioni di crisi siano tuttavia evitate.

“il Papa desidera che la persona, poco importa il suo orientamento sessuale o la situazione in cui si trova, sia considerata a tutti gli effetti membro della comunità”

Il Papa parla egualmente, e in modo molto intimo, della gravidanza e della nascita del primo figlio. Egli sviluppa il quadro della responsabilità della madre e del padre, ma anche il legame indispensabile con il tessuto sociale nel quale si situa la famiglia. Quanto è bello vedere in Papa rivolgersi direttamente alle persone: “Cari genitori…; Cari fidanzati…; Mamma…; Papà…”. Egli va incontro a tutte le situazioni e prova a raggiungere ogni persona. Parla in maniera diretta e molto concreta: «Cari fidanzati: abbiate il coraggio di essere diversi, non lasciatevi divorare dalla società del consumo e dell’apparenza» (n. 212); «Io supplico i genitori separati: non bisogna mai, mai, mai prendere un bambino come ostaggio!» (n. 245). In conclusione, noi possiamo dire che siamo di fronte a un approccio pastorale. Questa esortazione incoraggia la crescita in vista di una integrazione concreta nella comunità, grazie all’accompagnamento dei laici e dei sacerdoti. Questo testo è aperto a situazioni diverse e circostanze attenuanti, vuole considerare il bene nella diversità, chiamarlo e riconoscerlo. Le parole d’ordine sono: accompagnare in vi-

sta dell’integrazione, escludere tutte le esclusioni. Noi non possiamo che ringraziare Papa Francesco per questo cambiamento di paradigma, che apre le porte all’avvenire. Questo cammino non è tuttavia concluso. Questa esortazione mi pare essere un nuovo inizio per una Chiesa che si fa accogliente con tutti. + LUCAS VAN LOOY Vescovo di Gand

Rubriche


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intervista

Andrea Grillo e le cose nuove di Amoris Laetitia a cura di Lorenzo Banducci

Professor Andrea Grillo, con il titolo del suo ultimo libro Le cose nuove di “Amoris Laetitia” – Come papa Francesco traduce il sentire cattolico (Cittadella, 2016) ci lascia già intendere la Sua opinione, molto positiva, sul testo dell’esortazione. Ma cosa sono in concreto queste “cose nuove”? Sono solo novità nello stile, nel linguaggio e nell’approccio o c’è qualcosa di concreto? Anzitutto voglio chiarire un punto decisivo: le “cose nuove” sono una formulazione che traduce Rerum Novarum, ossia la esperienza che la Chiesa visse

nel 1891, di fronte al testo di Leone XIII che inaugurava una nuova fase del magistero ecclesiale, quella che da allora chiamiamo “dottrina sociale”. Era allora un mutamento epocale. Altrettanto possiamo ora dire per Amoris Laetitia, che rinnova profondamente l’approccio e le forme di linguaggio di fronte all’amore e al matrimonio. Dopo Amoris Laetitia le parole amore, matrimonio e famiglia “suonano in modo nuovo”. Queste sono vere novità, che determinano fatti concreti, che mutano il modo con cui consideriamo una serie di questioni, le quali ottengono perciò nuova definizione e – se sono proble-

mi – nuove soluzioni. Si pensi, ad esempio, al cambiamento di comprensione della “condizione oggettiva di peccato”, che determina conseguenze pastorali e giuridiche assai rilevanti. Chi non capisce dice due cose opposte: AL non cambia niente, oppure, AL nega la indissolubilità del matrimonio. Chi capisce riconosce che la continuità nell’annuncio del “per sempre” dell’amore comporta una discontinuità nel modo di concepire la relazione tra adulterio e seconde nozze. In qualche modo, nel non accettare più la semplicistica identificazione tra seconde nozze e adulterio, AL traduce la dottrina di sempre in una disciplina nuova.

Nel sottotitolo alla Sua pubblicazione, Lei parla di un Papa che “traduce il sentire cattolico”. Cosa intende con questa perifrasi? A cosa si riferisce quando parla di “sentire cattolico”? La definizione di “sentire cattolico” è stata elaborata alcuni anni fa da Mario Perniola, in un libro interessante. Io non la assumo in senso tecnico, ma mi pare importante sottolineare che il testo di Papa Francesco non segna soltanto una “svolta” nel modo di leggere la dottrina e la disciplina, ma traduce anche il “sentire” ecclesiale, a riguardo dell’amore e della famiglia. Inaugura in modo ufficiale un discorso “non risentito” e “non aggressivo” sull’amore. Questo, a mio avviso, dipende da una sana presa di distanza da quella

forma di “idealizzazione aggressiva” che ha caratterizzato una parte consistente delle posizioni cattoliche sul matrimonio a partire dalla fine del 1800. Ciò ha creato e in parte alimentato una reazione contraria, di cui la Chiesa stessa ha dovuto fare le spese molto amaramente. Un cattolicesimo che usa la “natura” non per unire, ma per dividere, ha bisogno di ritrovare uno stile davvero “cattolico”, che nell’ultimo secolo aveva spesso smarrito.

Una delle questioni più interessanti dell’esortazione apostolica è quella dello “sdoganamento” di certa dissidenza che, finora, aveva vissuto con molta clandestinità all’interno della Chiesa, ma che risulta essere presente su tante tematiche. Come si farà dunque a bilanciare la necessità di “unire dottrina e prassi” con la diversità nelle interpretazioni di alcuni aspetti della dottrina? Non si dovrà qui accompagnare questo obiettivo molto alto di Papa Francesco con programmi di formazione più aggiornati e rinnovati dei vescovi, dei parroci, ma anche dei laici che svolgono servizi da educatori in tante realtà associative e parrocchiali? Non credo che questo sarà un problema insormontabile. La questione, semmai, è quella inversa: ci sono “quadri” della Chiesa cattolica in campo familiare che negli ultimi 40 anni sono stati formati con un approccio rigido, massimalistico,

“avremo bisogno anche di un lavoro teologico di mediazione, a livello sacramentale, spirituale e catechetico”


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45 intransigente, autoreferenziale insopportabilmente clericale e che ora si sentono perduti. Non si riconoscono in una Chiesa misericordiosa e povera, in una Chiesa della periferia esistenziale e non del centro autoritario. Questi quadri erano da decenni sfasati non solo rispetto alla cultura, ma rispetto al Vangelo, che traducevano in forme troppo anguste e pesantemente clericali. È sufficiente pensare al fatto che, da 35 anni, abbiamo potuto pensare di risolvere i problemi delle “seconde nozze” con la proposta di convincere marito e moglie a vivere come fratello e sorella. Una tale presunta soluzione attesta una profonda deformazione nel comprendere il problema, con la intenzione più o meno cosciente di volerlo rimuovere e accantonare. Sembrava essenziale “negare la realtà”: di fronte al contrasto tra “due nozze”, o si negavano le prime con la nullità, o le seconde con la “promessa di vita fraterna”. E tutto tornava a posto, come per miracolo. Si è preferito creare una irrealtà idealizzata, piuttosto che fare i conti con la realtà imbarazzante, ma vera. Ciò che la Chiesa non aveva ancora compreso è che la sessualità non può essere sottratta ad una relazione, senza alterarla irrimediabilmente. Ma questa differenza dipende dalla evoluzione della cultura tardomoderna, che legge la sessualità come una dimensione che le generazioni precedenti non conoscevano. Se la Chiesa pensa di potersi permettere di concepire

la sessualità come se fosse semplicemente una “dotazione naturale per la generazione” resta fuori dalla esperienza di coloro che la vivono nell’ultimo secolo.

Come verrà recepito questo documento nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle associazioni? Non vi è il rischio concreto che si continui a fare come si è sempre fatto un po’ a causa della pigrizia e un po’ a causa dello scollamento che vi è fra un certo tipo di linguaggio alto, come quello di un’esortazione apostolica, ed i problemi concreti, quotidiani e semplici che si affrontano ogni giorno in queste realtà? Io credo che vi sia una domanda autentica di rinnovamento e di richiesta di nuove vie per la pastorale familiare. Ma gli stessi vescovi che nascondevano nei cassetti i questionari pre-sinodali o che facevano compilare diversi moduli alla stessa persona, pregandola di usare penne di colore diverso, non saranno così solleciti a darsi nuovi stili e nuove ottiche di azione. Lo scollamento non è tra il linguaggio della Esortazione e i problemi concreti, ma tra la serietà delle questioni in gioco e la evasività delle soluzioni che finora erano state proposte. Si era confusa la grande tradizione con piccoli escamotage di seconda categoria, dettati dalla paura e dalla disperazione. Occorre dire che, in tutto questo, avremo bisogno anche di un lavoro teologico di mediazione, a livello sacramen-

tale, spirituale e catechetico. In questo campo la Chiesa ha più da imparare che da insegnare. E può testimoniare il Vangelo anche così, investendo risorse più in ospedali da campo che in tribunali. Anche il lavoro dei giuristi sarà prezioso, purché i canonisti si convincano che la loro dogmatica giuridica non è preordinata, ma subordinata alla dogmatica teologica e pastorale. Oggi non è così: in campo matrimoniale abbiamo spesso il prevalere di vecchie impostazioni di dogmatica giuridica, che condizionano in modo indebito il pensiero e la prassi pastorale. I canonisti avranno molto da lavorare in questa “conversione pastorale”, che li chiama ad un inaggirabile responsabilità. Dovranno superare soprattutto letture ingenue e fondamentaliste della scrittura e acquisire una prospettiva genuinamente storica e sacramentale di comprensione della salvezza. Se manca questo, le idealizzazioni aggressive diventano il sostitutivo delle accurate distinzioni di cui vive il mestiere del giurista.

Vi sono singole questioni o singole tematiche dove si attendeva maggior coraggio da parte di Papa Francesco? Non credo che le attese rispetto al documento potessero essere diverse, almeno in considerazione dello svolgimento dei due Sinodi, con tutto ciò che questi eventi ecclesiali avevano lasciato ragionevolmente pensare.

Direi, invece, che mi attenderei domani un progresso nel “coordinamento” degli interventi finora intervenuti in campo matrimoniale. Ricordo, infatti, che prima di Amoris Laetitia il Motu Proprio Mitis Iudex aveva profondamente modificato il processo canonico di dichiarazione della nullità del vincolo. Ora, a me pare che, accanto ad una riforma procedurale e ad una nuova e giusta prospettiva di considerazione pastorale delle famiglie felici e ferite, occorrerà mettere mano al “diritto sostanziale”. Una riforma della normativa matrimoniale del Codice diventerà, di giorno in giorno più urgente. Altrimenti rischieremo di avere una Chiesa che dichiara più facilmente la nullità del vincolo e che può far percorrere itinerari di integrazione alle coppie in seconda unione ma che, formalmente, continua a pensare il matrimonio secondo una dogmatica giuridica e una disciplina canonica corrispondente ad una “esperienza degli uomini” che non ha più corrispondenza né con la storia né con il Vangelo. Una nuova e sorprendente correlazione tra legge civile e legge canonica sarà l’orizzonte verso il quale dovremo muovere con decisione, superando tutte le inevitabili resistenze temporalistiche o i disfattismi neo-apologetici. Uno sguardo “americano” ha reso possibile in soli tre anni quello che da 50 anni stavamo aspettando. E chissà in altri tre anni che cosa potremo ancora vedere! Forse proprio il centesi-


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“accanto ad una riforma procedurale e ad una nuova e giusta prospettiva di considerazione pastorale delle famiglie felici e ferite, occorrerà mettere mano al diritto sostanziale”

47 mo anniversario del Codex del 1917 potrebbe essere la occasione storica per intervenire su uno dei punti più delicati della istituzione ecclesiale, che sul piano della normativa familiare risente di un clima culturale e di una visione ecclesiale ormai irrimediabilmente consegnate al passato. La questione che si aprirà, domani, sarà quella di rendere il sistema coerente. Se riconcilieremo anche sacramentalmente i coniugi in seconda unione, dovremo poter adeguare il loro “status giuridico canonico”: altrimenti rischieremo di avere un nuovo problema. Ossia di essere riusciti ad aver coerenza tra comunione ecclesiale e comunione sacramentale, ma di non riuscire a riconciliare identità civile e identità ecclesiale dei soggetti. Questa duplicazione delle identità diventerà presto un problema che non potrà essere affrontato solo con “processi” o con “itinerari”. Una Chiesa che riscopre il primato del tempo sullo spazio deve riformare un approccio giuridico al matrimonio che afferma in modo unilaterale il primato dello spazio sul tempo.

laudate hominem

La quotidianità della Santa Famiglia nel vangelo armeno dell’infanzia di Vincenzo Romano

Nel sentire comune la Santa Famiglia di Nazareth è ancora percepita come il luogo idilliaco ove: «regna l’amore, ineffabile vibra la gioia, domina la pace; nell’ombra assorta gli angeli contemplano ammirati»1 . Se i Vangeli canonici non ci offrono molte notizie sulla vita quotidiana di Nazareth, molto di più ci raccontanogli Apocrifi. In questa sede vogliamo interrogare il vangelo armeno dell’infanzia, scoperto dal padre Isaia Daietsi2 . Questo Vangelo, pur essendo filo-nestoriano per la

forte accentuazione dell’umanità di Cristo, da una parte presenta molte comunanze con Luca e Matteo, dall’altra se ne distanzia attestando tradizioni diverse: la data del Natale, ad esempio, con un calcolo ben congegnato è posta al 6 Gennaio e non al 25 Dicembre3 ; la dimora da fidanzati di Giuseppe e di Maria non è posta a Nazareth, ma a Gerusalemme, e così via… Mi sembra che l’utilità della lettura di questo apocrifo stia nella sua continua tensione tra miracoloso e quotidiano, tra una ricerca continua di eventi che trascendono il dato


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49 storico e un costante rimando alla quotidianità che viene assunta in tutti i suoi lati, negativi e positivi, esaltanti ed umilianti.

“un divino che non ha paura di compromettersi con l’umano”

La Santa Famiglia vive questa tensione tra doxa e sarx, tra la carne e il divino. Tralasciando gli episodi fiabeschi per cui Maria e Giuseppe vengono arrestati a causa dei prodigi operati dal piccolo Gesù, o dei templi pagani che crollano quando Gesù vi passa vicino – episodi questi che tendono ad accentuare il carattere miracoloso –, anche la storia relativa è fortemente valorizzata: senza paura di irriverenza si narrano i travagli vissuti da Maria e Giuseppe nel dover continuamente cambiare residenza, delle traversie di Giuseppe riguardo al suo lavoro, dei tormenti della Madonna circa questo Figlio che, anche se adulto, non sa ancora cosa fare .4 Si racconta, cioè, di come Maria e Giuseppe abbiano dovuto continuamente imparare a fare i genitori, si narra della loro continua conversione, di come vivendo con Gesù abbiano dovuto man mano imparare ad allargare continuamente il loro cuore accettando ed amando tutti gli altri. Scopriamo così un divino che non ha paura di compromettersi con l’umano, di una Famiglia che non ha le soluzioni a tutti i problemi che le capitano, ma che li sa assumere, anche soffrendo. Una Famiglia dunque, che più da contemplare è da sentire vicina e che ci mostra come si ama e si educa.

rodafà

De nuptiis

NOTE: 1

Liturgia Ambrosiana delle Ore, Inno

alle Lodi della IV Domenica di Genna-

di Stefano Sodaro

io, festa della Santa Famiglia. NOTE: 2

Due manoscritti sono conservati nel-

la biblioteca dei monaci mechitaristi dell’isola di san Lazzaro in Venezia. Una copia datata 1824 è stata eseguita dal p. Esaiean sulla base di un codice che era conservato nel patriarcato ar-

Che la fede cristiana si basi sul riconoscimento di un Dio trino dovrebbe far sobbalzare invece che acquietare nell’indifferenza.

Se devono essere più di due, allora saranno figli e parenti. Vi è terrore al solo pensiero di novità inaudite al riguardo.

Come se le supposte rigidità dogmatiche si fessurassero.

La Trinità è invece dogma straordinariamente postmoderno.

Come se dentro un blocco monolitico si scorgessero crepe.

Dogma debole, per così dire.

meno di Adrianopoli, ma che un chierico molto zelante ha bruciato, ritenendolo eretico. 3

Per la questione della data del Natale

rimando a J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, pp. 103-106, e all’articolo di V. MESSORI sul Corriere della Sera del 9 luglio 2003. 4

Nel capitolo XXV, ad esempio, abbia-

mo un episodio di questo tipo: Maria, sfogandosi con Gesù, dice «Ecco di che cosa sono in pena: noi abbiamo avuto cura di farti apprendere durante la tua infanzia, tutti i mestieri, e tu non ne hai fatto alcun profitto e non ti sei applicato a nulla. E adesso che sei diventato grande, che cosa intendi fare e come pensi di vivere su questa terra?» Gesù le risponde: «Hai detto cose assolutamente insensate. […] Tu sei ancora incredula, dopo tanto tempo che sono stato con te!», I Vangeli Apocrifi, a cura di M. CRAVERI, Einaudi, Torino 2005, pp. 203-204.

“il Padre sposa il Figlio che sposa lo Spirito che sposa il Padre. Un matrimonio a tre”

L’algidità dell’idolo, che costituisce sempre un rischio prossimo per le strutture religiose, si confronta con la vivacità di un Tu a tal punto esuberante da rivelarsi un Voi. Però c’è qualcosa di ancor più sconcertante. Tre e non due. I nostri modelli fanno centro intorno alla coppia, ma non riescono a sopportare concettualmente un’ulteriore disarticolazione dei due in più di due. È come se non fossimo pronti.

I Tre sono eguali, Uno, ma sono diversi, Tre appunto. Ciò che vorremmo osar appena sussurrare è che la pericoresi trinitaria – cioè il “riversamento” di ognuna delle tre persone divine nell’altra, salva la loro “personale” missione cosiddetta “economica”, cioè “funzionale” alla salvezza dell’uomo, al suo riscatto, alla sua ricollocazione, al suo recupero di dignità –, questa “circolazione” di Nomi divini ha natura, identità, caratteristiche (le parole scontano un’insuperabile inadeguatezza) proprie di un matrimonio. Il Padre sposa il Figlio che sposa lo Spirito che sposa il Padre. Un


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51 matrimonio a tre. La seconda lettura, proclamata nelle chiese cattoliche romane questa domenica, riporta il grido, quasi intraducibile, di Paolo nell’epistola ai Romani: Abbà! Padre! Il testo latino parla di un “clamor”: «Clamamus: “Abba, Pater!”» Si può leggere alle pagine 142 e 143 di Nostro Signore del deserto, riedito da Rubbettino nel 2013 e di cui è autrice la monaca eremita Adriana Zarri:

«In ogni caso dobbiamo parlare a Dio con parole che sappiano di casa, di tavola, di mensa, con discorsi che ci coinvolgano pienamente: noi, le nostre cose, e lui con noi. Parlargli come al signore, al fratello, all’amico, all’amante, con un linguaggio di volta in volta calmo, pacato, appassionato, disteso, pressante, immaginoso, abbandonato, lirico, folle. Soprattutto folle. Se l’immagine privilegiata dell’amore di Dio è l’amore sponsale, difficilmente esso ha un linguaggio ragionato; e non certo nei momenti culminanti dell’effusione amorosa. In quei momenti c’è il silenzio, il grido, il balbettio; parole animate e sconnesse, in disperata lotta col silenzio, nel tentativo di dire l’indicibile; discorsi incrinati, sillabe rotte, appelli spenti in gola e liquefatti in un disteso silenzio. Questo, al suo vertice, è il linguaggio del-

la preghiera: non più domande, non più discorsi, non più parole: soltanto la Parola eterna che chiama, in noi, “Abba, Padre”, soltanto il sospirato gemito dello Spirito che invoca, piange, ride, gioca con Dio all’interno di lui; e noi insieme, trascinati e coinvolti nel quieto e vertiginoso vortice che sembra un uragano ed è una brezza (1 Re 19, 11-12)». La notizia dell’approvazione referendaria in Irlanda di un’unione matrimoniale tra persone dello stesso sesso ha provocato, nella settimana appena chiusa, la reazione del card. Parolin, Segretario di Stato, che ha definito tali determinazioni popolari “una sconfitta dell’umanità”. La predicazione cristiana dell’amore sembra poter conoscere tutte le colorazioni e declinazioni possibili, ma con un obbligo normativo di fermarsi ad un certo punto. Oltre non si può andare. Hic sunt leones. E questo “leone” sarebbe per appunto il matrimonio, che presidia una specie di recinto sacro inviolabile. Perché è avvertita come tanto destabilizzante quella che si potrebbe definire una “matrimonializzazione” dei rapporti affettivi? Perché verrebbero così mascherate, travestite – si sostiene –,

realtà che non corrispondono all’ordine di natura, oppure realtà che nascondono altri interessi ed altri scopi. Sembra quasi esservi un singolare assioma: se c’è matrimonio, c’è motivo di sospetto. Il matrimonio rischia di diventare un fossile sacro, che ci si passa di mano in mano compiaciuti che l’immagine rimanga visibile nonostante i millenni, ma da cui non può scaturire nuova vita. Sarebbe più comodo che ci fosse soltanto un Padre – Dio – ed un Figlio – il Dio che si fa uomo –.

addirittura l’eliminazione, anzi, lo “sterminio”. Sembra, ad ascoltare tali prese di posizione, che vi siano alterità incomprensibili ed inaccettabili. Da sterminare appunto. Il male ha il volto dell’altro (come affermava Sartre? O Sartre metteva proprio in guardia contro l’inferno che gli altri creano rispetto alla nostra stessa alterità?). Ebbene, per quanto ci riguarda, è invece proprio la presenza Rom ad interrogare la tenuta della nostra cultura e, per i credenti, della loro stessa coerenza evangelica.

Ma dover considerare un terzo – concettualmente incomodo –, lo Spirito, crea un enorme disagio intellettuale, spirituale, religioso.

Sì, il Dio di Gesù di Nazaret ha un volto rom.

Che significa?

Così come ha un volto nuziale eritreo. Come ha un volto italiano. Come ha volto di monaco e di laico.

Niente poco di meno che viene creduta un’inabitazione dell’alterità in Dio stesso. In Dio, in quell’immagine di Dio che ci è stata tramandata, additata, insegnata, c’è Altro. Il Dio che ci è familiare non basta. C’è un altro Dio. Le cronache registrano, proprio in questi giorni, prese di posizione culturali, prima ancora che politiche, sulla presenza delle persone Rom nei nostri contesti urbani, di cui alcuni auspicano

Si può sposare con questo volto. Maschile o femminile.

Come ha un volto sconosciuto. Di là da scoprire. E dunque, per ciò stesso, trinitario. Buona domenica.

Pubblicato nel numero 317, del 31 maggio 2015 – Domenica della Trinità – de “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano”

“il matrimonio rischia di diventare un fossile sacro, che ci si passa di mano in mano compiaciuti che l’immagine rimanga visibile nonostante i millenni, ma da cui non può scaturire nuova vita”


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a ben vedere

Il bello dell’eresia di Emanuele Pili

“ogni eresia, infatti, porta con sé una parte, più o meno grande, di verità”

«Molte verità riguardanti la fede cattolica vengono messe in discussione dagli eretici ma, per difenderle contro di loro, sono esaminate con maggior attenzione, sono interpretate con maggior evidenza ed esposte con maggior premura. Così una controversia suscitata dall’avversario diviene stimolo all’apprendimento». AGOSTINO D’IPPONA, De Civitate Dei, XVI, 2.1.

Ancora oggi, le parole di Agostino hanno la forza della profezia. Il cristianesimo si è da sempre confrontato con correnti culturali, più o meno forti, diverse dalla propria. In ogni tempo, il pensiero di matrice cristiana ha dovuto fare i conti con tali correnti e, quando è stato

grande – si pensi, per dir due nomi pesanti, allo stesso Agostino e a Tommaso d’Aquino – non ha semplicemente scartato o eliminato l’“avversario”, ma lo ha studiato e meditato approfonditamente,con l’intenzione di distinguere il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso, il bene dal male. Lo svilupparsi del confronto ha costretto ad attingere alle profondità delle proprie convinzioni, talora illuminando aspetti non ancora ben compresi o non eccessivamente considerati, talora ricollocando la centralità di altri elementi. Il confronto rinnova, sempre. Anche il nuovo millennio porta con sé le nuove eresie. Se qualcuno le vede solo al di fuori della Chiesa – ma c’è realmente un al di fuori? – altri le vedono anche al suo interno, e alcuni ri-

tengono che siano peggiori proprio quest’ultime. Ma il punto è un altro: molti – forse troppi – al solo manifestarsi dell’eresia si stracciano le vesti ed ergono muri per segnare la distanza, per non contaminarsi con la falsa doctrina. Ciò facendo, essi si tolgono la possibilità di entrare più profondamente in quello in cui credono. Perdono il bello che l’eresia offre: l’occasione di addentrarsi ulteriormente nel cammino di ricerca della verità di se stessi e del mondo. Non è a caso che si parla di verità. Ogni eresia, infatti, porta con sé una parte, più o meno grande, di verità. L’essere umano può sbagliare, errare, travisare, confondere… ma è fatto per la verità. Di conseguenza, per quanto l’uomo possa allontanarsi dalla verità, esso non se ne distaccherà mai del tutto. Ogni eresia ha una parte di verità che chiede di essere ascoltata e accolta. Non di rado, inoltre, le parti di vero presenti nell’eresia non sono state sondate in tutta la loro portata; in molti casi esse sono state poco osservate e poco meditate. È così che l’eresia si rende appetibile: senza una parte – seppur piccolissima – di verità, essa non sarebbe considerata da alcuna persona. E invece l’eresia non solo si riveste di tale verità, ma la presenta come nuova in virtù dell’essere stata poco osservata. Dunque, colui che intende superare l’eresia non può chiudere

le frontiere della propria ragione senza condannare se stesso e ciò in cui dice di credere. La domanda di verità che soggiace ad ogni discorso umano chiede di essere accolta e stimata. Non si tratta, qui, di avere un atteggiamento falsamente irenistico, ma di comprendere seriamente che ogni apparente ostacolo nasconde un appuntamento con la verità. Antonio Rosmini, grandissima – anche se troppo spesso sottovalutata (quando non ignorata) – figura della modernità, ne era profondamente convinto: chi accoglie la sfida dell’eresia e si spinge ad un livello di riflessione maggiore agisce «come colui, che dalla valle recatosi all’altezza delle vette de’ monti, di colà scorge un orizzonte smisuratamente più vasto del primo» (A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, n. 5). C’è poi un piccolo e ultimo aspetto da considerare. In fondo, la ragione che si chiude, il grido allo scandalo, lo stracciarsi le vesti, l’erigere muri, non rivelano la profonda sfiducia nel fatto che la storia e le vicende di questo mondo siano nelle mani di Dio?

“la domanda di verità che soggiace ad ogni discorso umano chiede di essere accolta e stimata”


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umanesimo integrale

Di quale stampa cattolica abbiamo bisogno? di Stefano Gherardi

“un’opera temporale da compiere, una verità temporale da servire, un bene terreno da assicurare”

Il nome di Jacques Maritain (1882-1973), filosofo francese interpellato dal Beato Paolo VI durante il Concilio Vaticano II, è molto probabilmente noto al lettore. Ci limitiamo quindi, prima di riportarne un piccolo ma interessante testo sulla stampa cattolica, a ricordarne brevemente alcuni momenti della vita, a partire dalla sua conversione. Maritain infatti, insieme alla moglie Raïssa, affrontò una duplice conversione filosofico-religiosa, che fa venire in mente, per intensità, quella di un Sant’Agostino. I giovani sposi si liberarono, frequentando le lezioni di Henri Bergson, da quello scetticismo che li aveva portati alla disperazione e, anche grazie all’incontro con lo scrittore Léon Bloy, trovarono un approdo sicuro in Cristo. Per Jacques vennero poi

il momento di affrontare l’opera di San Tommaso, la carriera da professore in Francia e negli Stati Uniti, la stesura di numerosi libri – tra cui Distinguere per unire o i gradi del sapere (1932), Umanesimo integrale (1936) e L’uomo e lo Stato (1951) – e ancora l’incarico di ambasciatore francese in Vaticano e, dopo la morte della moglie, il ritiro nella comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù a Tolosa. È verso la conclusione di Umanesimo integrale che Maritain si è interrogato su come possa essere realizzata la stampa cattolica, distinguendo tra «periodici specificamente cattolici» e «periodici specificamente “temporali” e cattolici d’ispirazione». Riportiamo di seguito il brano dedicato a quest’ultimi, una sorta di

manifesto che facciamo nostro.

«I periodici del secondo tipo si tengono sul terreno temporale stesso, ciò che suppone che hanno preso le loro posizioni concrete e determinate sulle questioni di quest’ordine, e che hanno adottato non solo una filosofia politica e sociale, ma una concreta linea politica e sociale ben caratterizzata – non solo in funzione degli interessi religiosi o del bene della Chiesa, ma anche bensì in funzione del bene temporale e terreno della città e della civiltà. Per ciò stesso è manifesto che non impegnano la Chiesa – anche se, come è desiderabile, attingano nel modo più esplicito e più ardito la loro ispirazione nella saggezza cristiana – e che non derivano da altra iniziativa che quella delle persone particolari o dei gruppi che li hanno fondati. E senza dubbio, nella misura in cui la loro ispirazione è veramente e integralmente cristiana, portano testimonianza del Vangelo e servono in modo efficace alla penetrazione del cristianesimo nel mondo e nella vita. Ma il fine proprio e diretto cui mirano non è l’apostolato, è un’opera temporale da compiere, una verità temporale da servire, un bene terreno da assicurare.

malmente diverse, persino contrarie. Che cattolici formino sul piano temporale gruppi diversi, e anche opposti gli uni agli altri, ciò è normale; tutto ciò che qui si domanda è che conservino in questa diversità e in queste opposizioni le regole di verità, di lealtà, di giustizia e di carità alle quali sono tenuti a conformare le loro azioni, non solo di fronte a coloro che condividono la loro fede, ma di fronte a ogni uomo» 1. Vorrei sottolineare tre punti: 1) il portare, almeno indirettamente, testimonianza del Vangelo; 2) il fine proprio: l’opera temporale, la verità temporale e il bene terreno; 3) la necessità di verità, lealtà, giustizia e carità. Spero possano essere i tre fari che guideranno questa nostra piccola impresa.

NOTE:

E le osservazioni proposte prima ci fanno capire che le posizioni temporali così difese sono nor-

1

J. MARITAIN, Umanesimo integrale,

Borla, Roma 1977, p. 319

“i cattolici conservino in questa diversità e in queste opposizioni le regole di verità, di lealtà, di giustizia e di carità”


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a misura d’uomo

La sussidiarietà e la sfida della complessità di Davide Penna

È indubitabile che il contesto storico, sociale, culturale ed economico nel quale stiamo vivendo sia sotto il segno della complessità. Prendere coscienza di questa sfida è importante perché come in tutti i momenti di crisi (dal greco krisis, separo) le tentazioni immediate sono quelle del demandare all’ideologia ogni possibile soluzione o, d’altra parte, quella di essere talmente convinti di non poter far nulla da restare indifferenti. Il paradigma della complessità, invece, permette di assumere uno sguardo prudente e, allo

stesso tempo, convinto della necessità del proprio impegno. La complessità guarisce dalla tentazione dell’Unico, idolo generato dalla paura, che porta ad una narrazione già vista nel corso della storia: si individua (in genere a ragione) un male; si individuano (in genere a torto) un pugno di colpevoli che tramano, a suon di leggi, contro il bene comune; si scelgono degli eletti che devono far fuori i colpevoli traditori che, a poco a poco, coincidono con tutti quelli che non la pensano come noi. Il rischio di questa Ideologia dell’U-

nico è più che mai presente. Ma, accanto a questo, si staglia sempre di più la tentazione dell’indifferente luogo comune, altra non risposta alla complessità. Il luogo comune del buonismo che, spesso in comode poltrone lontane dalle difficoltà dell’ordinario, snocciola dogmi senza alcun riferimento alla realtà. Gli esempi possono essere tanti: “è necessario accogliere tutti”, senza riflettere come possa avvenire questa accoglienza, chi la possa effettuare e che futuro dare a chi si accoglie; “occorre risanare il debito pubblico perché l’Italia è un paese sprecone”, senza sapere che siamo il paese che ha un risparmio privato, una riserva aurea e un sistema tra i più sostenibili dell’Occidente; “cambiamo tutto perché se non lo facciamo è l’Apocalisse”, come spesso si sente dire da chi ha la ricetta d’ogni bene in tasca e ritiene la sovranità popolare uno scomodo inciampo, a meno che non gli dia ragione. In questo senso, la propaganda che ci sta avvicinando al referendum costituzionale non è affatto rincuorante. L’Unione Europea sta facendo grossi passi indietro rispetto alla sfida della complessità. La sua politica sembra avere come unico fine il Moloch di un liberismo sfrenato che come ogni eccesso tradisce il suo ideale e che, soprattutto, ha abbandonato il vocabolario del bene comune, della solidarietà tra i popoli, della cooperazione per la pace,

il benessere e lo sviluppo. Ma soprattutto, sembra che la grande ambiguità che sottintende al progetto politico ed economico dell’UE sia relativa ad un principio essenziale della Dottrina sociale della Chiesa cattolica (d’ora in poi DSC): la sussidiarietà. Essa, come la storia del XX secolo ci ha insegnato, è un elemento essenziale per la vita democratica. Come recita la DSC n. 187:

«Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità». Per uno sviluppo a misura d’uomo, che torni a parlare la lingua del bene comune come benessere di chi sta peggio, occorre recuperare – e in tempi brevi – il significato della sussidiarietà, vera risposta alla complessità. Sussidiarietà intesa non solo e non tanto come progressivo esodo dello Stato negli investimenti, soprattutto in settori chiave come la sanità, l’istruzione, il lavoro, la previdenza sociale. L’ambiguità di cui accennavo consiste proprio in questo: spesso l’UE e i vertici degli Stati membri confondono sussidiarietà con disimpegno statale, con tagli alla spesa pubblica. A ben vedere questo disimpegno limita la


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“spesso l’UE e i vertici degli Stati membri confondono sussidiarietà con disimpegno statale, con tagli alla spesa pubblica”

59 vera sussidiarietà, che non deve solo proteggere i singoli dagli abusi delle istanze superiori, ma deve far sì che queste ultime aiutino i singoli e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Politiche, vere, per la famiglia, come maggiori diritti per chi è in maternità o paternità; investimenti o possibilità di finanziamenti pubblici (evoco questo spirito, con buona pace di chi crede che questo sia il male italiano) per le libere associazioni di cittadini; incentivi per chi intraprende iniziative culturali a favore della comunità: questo potrebbe aiutare a sfidare la complessità e a valorizzare il contributo, unico e originale, di ciascuno alla comunità.

recensione

Il Vangelo del povero peccatore (di Wilhelm Weitling, traduzione e introduzione di Emanuele Pinelli, Castelvecchi, Roma 2016) Recensione a cura di Lucandrea Massaro

In tempi di revisione ideologica della sinistra, disorientata ormai da oltre un quarto di secolo dalla fine del comunismo e dalla apparente vittoria del Capitale sulla Storia, studiare gli inizi di una tradizione politica non è uno sforzo inutile ma fondamentale per capirne gli esiti, a maggior ragione se sempre più leader mondiali della cosiddetta sinistra guardano oggi con simpatia alla Dottrina Sociale della Chiesa e addirittura al papato: oggi carismaticamente Francesco ma, almeno in Italia, c’è stata una breve stagione dei cosiddetti “marxisti ratzingeriani” (Tronti, Vacca, Barcellona), prima che la rottamazione renziana oltre all’establishment del partito post-comunista spazzasse via anche il dibattito culturale sulle radici dell’umano, della società, sui limiti della libertà individuale

e collettiva che pure tra il 2012 e il 2013 si era avviato. Dicevamo delle origini, ed ecco che spunta – tra gli arnesi della propaganda – una sorpresa: nella radice più antica del socialismo e del comunismo fa capolino una versione eretica del Cristianesimo: “Il Vangelo del povero peccatore” [ed. orig. 1843] di Wilhelm Weitling. Di questo “Vangelo apocrifo” del comunismo premarxista siamo debitori dell’unica traduzione e introduzione ad Emanuele Pinelli – studi filosofici alla Sapienza di Roma, per lungo tempo scout, e dottorando in Storia delle dottrine politiche a Pisa – che ha dato alle stampe da poche settimane il libro di Weitling per i tipi di Castelvecchi. Contrariamente a quanto la maggior parte di noi pensa, Weitling nella storia del Comunismo tede-


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61 sco precede di oltre un decennio l’avvento di Marx. La sua opera tuttavia si svolse principalmente in Francia dove i tedeschi si spostavano per cercare lavoro e dove lui fu esule per diversi anni. La sua attività inizia con le leghe socialiste, egli viene coinvolto presto dall’ala più radicale del movimento di cui diventa il principale animatore tramite la nascente Lega dei Giusti: essa sarà attiva dal 1836 fino al 1847 quando il movimento verrà egemonizzato da Marx ed Engels divenendo così Lega dei Comunisti. Marx eredita in pratica la struttura costruita da Weitling e altri portando Feuerbach e la sinistra hegeliana – colta – a sostituirsi alle ideologie più popolari, tra cui quello del comunismo cristiano, che avevano fino a quel momento sostenuto le rivendicazioni della Lega. Nel “comunismo cristiano” alla denuncia di una realtà corrotta, al passaggio di un messaggio messianico, c’è una palingenesi che cambia il mondo trasformandolo in un paradiso in terra. Con Marx questa cosa si esaspera dentro le leggi ferree dell’economia. Se tutte le eresie hanno la tendenza alla desacralizzazione, in Marx in un certo senso questo viene esasperato al punto tale da espungere la Religione stessa dal discorso rivoluzionario, sostituendosi completamente al discorso di Weitling che utilizzava parole e concetti trascesi dal cristianesimo per veicolare la propaganda social-comunista negli ambienti popolari. Che cos’è il “Vangelo del pove-

ro peccatore”? È una vita di Gesù scritta e commentata da Weitling in cui l’autore non solo cerca di dimostrare che Gesù fosse un comunista, ma anche che egli fosse un peccatore: ma perché questa necessità? Perché – ed è qui la genialità del messaggio di Weitling – : «Dio ci ha dato un modo per essere felici: la società comunista» e Gesù, che viene descritto come un tipo vigliacco, vendicativo, imbroglione e peccatore appunto, è così imperfetto proprio per dimostrare che la via della felicità è raggiungibile da chiunque, anche da questo “contro-Messia” che non è perfetto né senza peccato, ma eccezionalmente umano in tutta la sua fragilità. Con una mentalità da eretico professionista egli critica e rifugge ogni interpretazione ufficiale al solo fine di propagandare la futura società comunista:

«Sul serio può l’abolizione della proprietà essere invocata più esplicitamente che in questi numerosi passi? Non sarebbero privi di senso, se parlassero d’altro? Giudicate da soli: Lc 14, 33 “Chi di voi non rinuncia a tutto ciò che ha non può essere mio discepolo”. Lc 18, 29-30 “Non c’è nessuno che non lasci casa, moglie, fratelli o genitori per il Regno di Dio che non riceverà cento volte tanto in questa vita e nel tempo a venire la vita eterna”. Soffermiamoci su questo passo. È privo di qualunque ambiguità.

Gesù parla del suo tempo e del futuro, e dice con chiarezza che tutto ciò a cui un uomo rinuncia gli sarà restituito, cento volte più abbondante, in questo tempo. Ma solo con un sistema economico dove si lavora in comune, e dove si mettono i beni in comune, è possibile aumentare il tenore di vita di tutti, a tal punto che ogni uomo si ritrovi con più libertà, con più godimenti, con meno preoccupazioni di quante ne avesse quando aveva le sue case, il suo denaro e le sue proprietà» (p. 87). Anche sul matrimonio Weitling ha una idea precisa che riconduce al tema del comunismo:

«Oggi, se una storia d’amore è disonorante agli occhi del mondo, spesso è per colpa dell’idea di proprietà. Ma un cristiano, che è libero da questi pregiudizi, dovrebbe infischiarsene del mondo. Se accettasse questi odiosi pregiudizi offenderebbe Gesù, sua madre e i suoi antenati. Matteo menziona quattro donne quando ripercorre l’albero genealogico di Gesù: Tamar, che aveva sedotto il padre del suo marito morto, la prostituta Raab, Ruth, che aveva conquistato suo cugino intrufolandosi di notte nella sua camera, e Betsabea, l’adultera, moglie di Uria. Gesù ha spiegato chiaramente cosa pensava sul matrimonio. In Marco 10, 11-12 e Luca 16, 18 dice che ogni divorzio è un adulterio, e che è un adulterio perfino

lasciare a una divorziata la libertà di risposarsi. Ma secondo Mt 19, 9 ogni divorzio può essere giustificato dall’adulterio, e in Mt 5, 27-28 Gesù arriva a chiamare adulterio qualsiasi desiderio per un’altra donna. Ne deduciamo che ogni matrimonio consiste in una coppia di adulteri, e quindi che in ogni matrimonio ci sono le basi per il divorzio. Tant’è che i discepoli commentano: Mt 19, 10 “Se è così, non è vantaggioso sposarsi”. 11 Ma egli rispose “non tutti gli uomini possono mettere in pratica questo precetto, ma solo coloro ai quali è stato dato”. Queste parole dimostrano che Gesù non riteneva che i discepoli fossero in grado di capire il suo insegnamento sul matrimonio. Preferì non turbare i discepoli, alcuni dei quali erano sposati, piuttosto che suscitare in loro i più rozzi sospetti» (p. 94). Una lettura a tratti divertente, in cui alcune tematiche sono di stringente attualità circa il rapporto tra società, equità e fede cristiana, ma soprattutto per capire come davvero come diceva qualcuno, il Comunismo è stata l’ultima grande eresia del cristianesimo, e di come – al contempo – il cristianesimo sia la radice più profonda di ogni critica alle disuguaglianze e delle ingiustizie nel mondo.

“Gesù, che viene descritto come un tipo vigliacco, vendicativo, imbroglione e peccatore appunto, è così imperfetto proprio per dimostrare che la via della felicità è raggiungibile da chiunque”


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Autori

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63 dova, presso l’Abbazia di S. Giustina di Padova, conseguendo Licenza e Dottorato in teologia presso l’Istituto di Liturgia Pastorale. Dal 1996 al 2000 ha fatto parte della Commissione CEI per il nuovo rito del sacramento del Matrimonio. Dal 2002 al 2006 è stato Vicepresidente dell’Associazione Professori di Liturgia. Attualmente è Professore Ordinario di Teologia Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e docente di teologia presso l’ILP di Padova e l’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona. Inoltre ha insegnato, come professore invitato, nella Facoltà Teologica di Lugano (CH) e nella Facoltà Teologica della Pontificia Università Gregoriana.

Lorenzo Banducci

Gabriele Maestri @GabriMaestri Nato a Guastalla (RE) nel 1983, laureato in Giurisprudenza, è dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università “La Sapienza” di Roma; attualmente è dottorando in Studi di Genere all’Università di Roma Tre. Giornalista pubblicista, si occupa molto di diritto dei partiti e delle elezioni, ha scritto alcuni libri sui simboli politici ed è caporedattore della testata giornalistica online Termometro Politico. gab.maestri@gmail.com

Niccolò Bonetti

Nato a Lucca nel 1990, dopo la maturità classica ha conseguito la laurea triennale e poi quella magistrale in Filosofia presso l’Università di Pisa, con particolare interesse per la storia del pensiero patristico e medievale. È impegnato nell’Azione Cattolica, nel Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale e nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per la quale è stato consigliere centrale. Con Lorenzo Banducci è tra i fondatori del blog Nipoti di Maritain.

Lucandrea Massaro @Jarluc Nato a Roma nel 1980, dopo la laurea in Storia e la laurea magistrale in Scienze delle Religioni presso l’Università di Roma Tre ha collaborato con la divisione radiofonia della RAI e con alcune testate del mondo del lavoro. Giornalista professionista, attualmente è co-editor e social media manager di Aleteia, network sulla fede cristiana. lucandrea.massaro@gmail.com

Gabriele Cossovich

Marco Sergio Narducci

Nato a Lucca nel 1988, si è laureato in Odontoiatria a Pisa nel 2012 e dal 2013 esercita la professione in vari studi della Toscana. È stato fra i rifondatori del gruppo FUCI di Lucca nel 2009 per poi esserne responsabile regionale per la Toscana dal 2010 al 2012. Dal 2011 ad oggi ha incarichi diocesani in Azione Cattolica di Lucca dove attualmente è Vice-Presidente del Settore Giovani. Con Niccolò Bonetti è tra i fondatori del blog Nipoti di Maritain. iaffo@hotmail.it

Nato a Milano nel 1985, ha studiato Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Responsabile laico d’oratorio in una parrocchia della diocesi di Milano e attivo nell’Azione Cattolica Ambrosiana.

Raffaele Dobellini

Nato a Napoli nel 1978, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Avvocato, lavora a Roma presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Iscritto all’Azione Cattolica.

Vincenzo Fatigati

Nato a Napoli nel 1988, dopo la maturità classica si è laureato in Filosofia all’Università Federico II di Napoli con una tesi sui teoremi di incompletezza. Attualmente è studente del corso di Laurea Magistrale all’Università Statale di Milano, dove si sta specializzando sulle logiche non classiche e in generale sull’aspetto scientifico della filosofia. Interessato da sempre a tutto ciò che ruota intorno al mondo religioso, ha frequentato, tra i vari ambienti, anche quello della FUCI. vi.fatigati@gmail.com

Federico Ferrari

Nato a Brescia nel 1986, dopo la maturità classica ha studiato filosofia all’Università di Venezia dove è stato anche borsista per tre anni presso la scuola dottorale del medesimo ateneo, scrivendo una tesi sulla tradizione platonica. Attualmente insegna nelle scuole superiori. I suoi interessi principali sono la filosofia della religione e l’esegesi neotestamentaria.

Stefano Gherardi

Nato a Genova nel 1986, ha ottenuto la laurea magistrale in Metodologie Filosofiche presso l’Università degli Studi di Genova. Attualmente frequenta l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Genova. stefanogherardi86@gmail.com

Andrea Grillo

Nato a Savona nel 1961, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Genova e in seguito, nel medesimo ateneo, anche in Filosofia. Ha compiuto studi teologici presso la scuola “Ut unum sint” legata al Seminario di Savona e poi a Pa-

Nato a Venaria Reale (TO) nel 1991, ha frequentato il seminario minore arcivescovile di Torino. Dopo la maturità classica si è iscritto al corso di laurea triennale in Beni Culturali (curriculum storico-artistico) laureandosi nel 2014 con una tesi su Giovanni Spadolini e la fondazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Attualmente sta terminando il biennio magistrale in Storia dell’ Arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Université Catholique de Louvain-la-Neuve, in Belgio. È attivo come volontario nel Gruppo Abele di Don Ciotti, partecipa a gruppi di spiritualità ignaziana ed è organista nella Parrocchia del Santissimo Nome di Maria a Torino.

Davide Penna

Nato a Genova nel 1988, dopo la laurea in Filosofia con una tesi su San Severino Boezio ha conseguito la laurea magistrale in Metodologie Filosofiche presso l’Università di Genova, approfondendo le tematiche morali nell’opera di Pietro Abelardo. Nel 2013 ha conseguito il Diploma in Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità, con indirizzo Ontologia Trinitaria, presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. Nel 2015 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento della storia e della filosofia; dallo stesso anno ha iniziato a insegnare nei licei e il percorso di dottorato presso il consorzio FINO (Filosofia del Nord-Ovest) che riunisce le facoltà di filosofia di Genova, Torino, Pavia e Piemonte Orientale. È presidente dell’Associazione culturale “Arena Petri” e di Amici di Sophia.

Emanuele Pili

Nato a Genova nel 1988, dopo la laurea in Filosofia ha conseguito la laurea magistrale in Metodologie Filosofiche presso l’Università di Genova e in Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità con indirizzo Ontologia Trinitaria presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. Attualmente svolge il proprio dottorato di ricerca in Filosofia presso il consorzio FINO e collabora con diversi centri di ricerca (Istituto Universitario Sophia, Rosmini Institute, Circolo San Tommaso d’Aquino). È autore di pubblicazioni in ambito filosofico. emanuele.pili@unito.it

Vincenzo Romano

Nato a Vico Equense (NA) nel 1987, dopo la maturità classica ha studiato Lettere


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64 Nipoti di Maritain Moderne presso l’Università Statale a Milano, laureandosi in Lingua Latina; ora frequenta la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Fortemente legato al carisma carmelitano, presta servizio presso la Parrocchia S. Teresa di Gesù Bambino in Legnano (MI). romano.vincenzo1987@gmail.com

Lorenzo Nicola Roselli @LorenzoRoselliX

Nato a Roma nel 1994, ha conseguito la maturità classica al Liceo San Leone Magno. Attualmente è studente di Filosofia presso la sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. In passato membro dell’Azione Cattolica, ora è iscritto alla FUCI. Collabora settorialmente con il blog Campari & De Maistre e con il gruppo editoriale Radio Spada, per il quale ha curato la pubblicazione di un’opera dell’autore antimodernista ottocentesco Antonio Puja. laurence_sir@hotmail.it

Stefano Sodaro

Nato a Trieste nel 1968, dopo la maturità classica si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Siena. È stato presidente provinciale delle ACLI di Trieste e nella medesima città ha frequentato dal suo inizio la Scuola di Filosofia coordinata da Pier Aldo Rovatti. Già cultore della materia in Diritto Canonico ed Ecclesiastico presso l’Università degli studi di Trieste, è giornalista pubblicista e dirige “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano”. È socio dell’Associazione Teologica Italiana (ATI), della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, della Società per il Diritto delle Chiese Orientali, dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI), socio aggregato del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e membro del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (GIDDC).

Lucas Van Looy S.D.B.

Nato a Tielen (Belgio) nel 1942, membro della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, dal 2004 è vescovo di Gand, nelle Fiandre Orientali. Ha fatto parte del Consiglio Generale dei Salesiani, divenendo responsabile per le Missioni Salesiane – con particolare attenzione alla Corea del Sud – e per la pastorale giovanile salesiana. Tra i vari incarichi, è stato assistente ecclesiastico presso l’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici.

Omar Vitali

Nato a Bergamo nel 1981, ha conseguito il Baccalaureato in Teologia presso il Seminario Vescovile “Papa Giovanni XXIII”. In attesa di ricevere la dispensa dagli oneri sacerdotali, attualmente insegna religione presso le scuole primarie e secondarie di primo grado della provincia di Brescia. omarvit@outlook.it

Nel prossimo numero: Ambito etico/morale: Un cristiano, nel proprio testamento biologico, che cosa può e/o non può scrivere? Ambito politico/sociale: Quale tipo di fraternità e dialogo è possibile tra cristiani e musulmani? Hai esperienze da raccontarci? Ambito pastorale/ecclesiale: In che modo il diaconato, anche femminile, potrebbe servire meglio alle necessità odierne della Chiesa?

Andrea Virga

Nato a Casale Monferrato (AL) nel 1987, dopo la maturità classica ha frequentato la Scuola Normale Superiore di Pisa, ottenendo un diploma di primo livello in Discipline Filosofiche e poi la Laurea Specialistica in Storia e Civiltà, approfondendo le tematiche della Rivoluzione Conservatrice anche con soggiorni in Francia e in Germania. Attualmente è Dottorando di Ricerca in Political History presso l’IMT Istituto di Alti Studi di Lucca, con un progetto di ricerca su fascismo e nazionalismo a Cuba, svolto tra L’Avana, Berlino e Madrid.

Piotr Zygulski @piozyg Nato a Genova nel 1993, dopo la maturità scientifica e la laurea in Economia e Commercio conseguita all’Università di Genova, si è iscritto all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano per la laurea magistrale in Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità, indirizzo Ontologia Trinitaria. È organista dell’Oratorio di San Lorenzo e della Chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore in Cogoleto (Diocesi Savona-Noli). È autore di pubblicazioni in ambito filosofico. Giornalista pubblicista, dal 2014 è redattore della testata giornalistica online Termometro Politico. pz.senet@hotmail.it

Accettiamo interventi di risposta di 600 parole circa da farci pervenire all’indirizzo inipotimaritain6@gmail.com entro il 15 settembre 2016


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