Vohabolario del Vernaholo Fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi
6. Perdita di “-re” Fenomeno di origine dubbia ma quasi sicuramente non toscana, è la perdita della desinenza -re dell’infinito. Esempi: andare > andà’ / pèrdere > pèrde / finire > finì / mangiare > mangià’ Caratteristica importante di questa perdita è che l’accento rimane sulle posizioni precedenti, e non si sposta sulla nuova penultima sillaba. Esempio, pèrdere > pèrde, “’Un tu t’abbia a pèrde”. Nel verbo all’infinito seguito da particella pronominale, la -r finale del verbo sparisce e raddoppia la lettera iniziale del pronome. Esempi: lavarsi > lavassi / lavarmi > lavammi / lavarti > lavatti Lessico Le differenze dialettali più grandi riguardano il lessico, che distingue anche tra i vari vernacoli. Il lessico toscano condivide con l’italiano la quasi totalità dei vocaboli, ma presenta comunque un organico di termini a base esclusivamente regionale abbastanza ricco. Alcuni esempi sono: babbo / papà; bischero / stupido; chetarsi / fare silenzio, stare zitto/a; garbare / piacere; gota / guancia; spengere / spegnere; codesto, utilizzato per indicare un oggetto vicino all’interlocutore; ganzo, usato per indicare una persona o qualcosa di divertente, ma anche come sinonimo di amante. Punteggiatura 1. L’accento Indica dove va a posarsi con maggior forza la voce in una parola. Con l’accento non è il caso di esagerare perché di segni grafici nella scrittura vernacola ce ne sono anche troppi. Visto però che il semplice spostamento di un accento può creare confusione, quando ci vuole ci vuole. Infatti non sono poche le parole in vernacolo dove, rispetto alle corrispondenti in lingua, l’accento va a posarsi su altra vocale. Esempi: In italiano: s’accòmodi, gratùito, zaffìro, peggiòrano In vernacolo, si pronunciano e si scrivono: s’accomòdi, gratuìto, zàffiro, péggiorano Alcune vocali che in italiano si pronunciano chiuse, noi le pronunciamo aperte. Esempi: In italiano: déve, schérma In vernacolo: dève, schèrma 2. L’apostrofo Indica la caduta di una lettera o di una sillaba. Nel nostro vernacolo le cadute sono molto frequenti e a volte compromettono anche i fonemi successivi come, per esempio: Però, ‘nsomma! / Ma te, ‘nvece! Dove, non solo c’è la caduta della vocale iniziale -I- segnalata dall’apostrofo, ma anche della consonante nasale alveolare -N- che segue e che si sente appena. Si forza la voce sulla seconda consonante fino ad avere forti dubbi se scrivere: ‘nsomma o ‘nzomma. A Firenze si usa più la -Z-, come a Pistoia. Mentre a Prato la -S-. Quindi è vero che siamo toscani e che la lingua italiana è nata in Toscana, ma è anche vero che la conclamata affinità fra vernacolo e lingua comune è solo apparente. Del resto, non sono pochi i toscani che parlano bene il loro vernacolo, ma non lo sanno leggere, tanto meno scrivere, semplicemente perché non lo leggono, quindi per mancanza di esercizio. Ma torniamo un’ultima volta alle differenze fra lingua e vernacolo… Prendiamo in esame la frase: Fammi un piacere: devi dire a tuo padre di lasciar perdere mia madre! Che tradotta in vernacolo diventa: Fammi umpo’ umpiacére: digli a to pà’ di lascià’ pèrde’ mi’ mà’! ...dove si scopre che solo tre di tredici parole rispettano la lingua italiana: fammi, a, di. Nel tradurla in vernacolo abbiamo caricato la frase di 11 segni grafici.
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