Ippolita - Luci e Ombre di Google

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The Dark Side of Google – III. Google Open Source: teoria e pratiche

editor e interi sistemi operativi (GNU/Linux), quasi ogni utente si è accorto o ha sentito parlare dell’esistenza dei programmi detti genericamente copyleft o Open Source. Open Source era il termine adatto, e necessario, per sostituire la dicitura Free Software. In inglese infatti la parola Free ha il duplice significato di Libero e di Gratuito: questa ambiguità linguistica rendeva il prodotto poco appetibile dal punto di vista economico. La sostituzione con Open fu un modo strategicamente vincente per mantenere le caratteristiche di cooperazione libera senza rinunciare alla possibilità di un uso più strettamente commerciale dei software. All’epoca, in realtà, si stava assistendo a un cambiamento radicale nell’assetto delle comunità digitali spontanee, cioè quelle comunità a cui si sentono legati tutti coloro che danno una definizione positiva di hacking. Questi aggregati erano (e lo sono ancora) estremamente compositi. Ci riferiamo a un interstizio culturale fluido nel quale si formano e collaborano studenti, professori, ricercatori, liberi professionisti, polizia e criminali, programmatori stipendiati da società di sviluppo, appassionati e molte altre tipologie di hacker. Il movimento del Free Software stava cominciando un confronto serrato con l’economia di mercato. La battaglia della Free Software Foundation verteva sulla diffusione della licenza GPL (General Public License), creata dal fondatore della FSF Richard Stallman52; tale licenza vincola l’artefatto in modo “virale” alle quattro libertà sopra elencate. In sostanza ogni modifica apportata a codice sotto licenza GPL deve mantenere la stessa licenza d’uso, rendendo impossibile la chiusura del codice; questo meccanismo è noto come “permesso d’autore” (copyleft, gioco di parole su copyright). Nascevano e si diffondevano allora le prime distribuzioni del sistema operativo GNU/Linux. La commistione tra metodo di sviluppo libero e net-economy avrebbe determinato negli anni successivi al 2000 l’esplosione dei prodotti Open Source e allo scatenarsi del dibattito politico circa la brevettabilità del software, il copyright e alla gestione etico-politica di tutto ciò che attualmente definiamo opera d’ingegno umano. L’azienda Google, per quanto non sia direttamente un produttore di software, non è rimasta ai margini dello scossone Open Source: come altre aziende dinamiche e innovative, Google ne ha cooptato le metodologie e le ha poste al servizio della sua “missione”. La contiguità fra Google e Open Source è spaziale e temporale: nel 1998 a Stanford, proprio mentre Brin e Page mettevano a punto la prima versione del loro motore di ricerca, stavano emergendo alcuni importanti progetti Free Software; ricordiamo ad esempio SND e Protegè che, in campi molto differenti, ovvero l’audio e il web semantico, avrebbero riscosso grande successo sulla scena digitale. A Stanford la cultura hacker, da cui deriva in ultima analisi l’Open Source, si respira come un’aria di famiglia: non è dunque un caso che il nostro duo formatosi in quegli anni abbia sempre manifestato una certa predilezione per lo sviluppo su piattaforma GNU/Linux. Se esistono differenze sostanziali tra Open Source e Free Software, vi sono però anche elementi in comune e continuità di vedute. Per semplicità e correttezza parleremo perciò di “metodologie e pratiche aperte”, in breve di Open Source, per indicare il fenomeno che interseca Free Software, Open Source e competizione di mercato nel mondo dell’IT. La prima caratteristica di una comunità Open (ma in questo senso anche Free) è quella di mettere in pratica un metodo di lavoro aperto alla collaborazione di tutti, capace cioè di accettare suggerimenti e interazioni spontanee da ogni tipologia di soggetto coinvolto nella costruzione dell’artefatto informatico: programmatore, traduttore, o anche semplice utente. Questo 52

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La Free Software Foundation in italiano: http://www.gnu.org/home.it.html


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