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Speciale Giappone In viaggio con NEOS


Speciale Giappone 2025
© Neosnet.it
Piazza Castello 9 - 20121 MILANO
www.neosnet.it
Finito di stampare nel mese di settembre 2025
Direttore
Luisa Espanet
Progetto grafico e impaginazione
Fabrizio Lava
A questo numero hanno collaborato
Fabio Accorrà, Massimo Bisceglie, Cristina Corti, Giovanni Panella, Pietro Tarallo
In copertina
Kanazawa Museo d’Arte Contemporanea
“The Swimming Pool” di Leandro Erlich, fotografia di Massimo Bisceglie
Editoriale
Continua ad attirare visitatori da tutto il mondo, affascinati dalla cultura, la sicurezza, la cucina, l’efficienza dei trasporti. Nel 2025 si prevede che il Giappone accoglierà circa 47.693.800 turisti internazionali. Con un aumento del 29,3% rispetto al 2024, quando se ne erano registrati circa 36.869.885. In grande crescita anche i turisti italiani che nel 2024 sono stati 230.000. Un trend positivo che pare confermarsi nel 2025. Anche una delle mete più amate, però, può nascondere qualche disagio. Per questo, l’Agenzia del Turismo Giapponese ha intervistato oltre 4mila turisti stranieri, in partenza dai principali aeroporti del Paese tra luglio e dicembre 2024, per capirne le difficoltà incontrate.
Alcune riguardano aspetti pratici: il 6,1% dei viaggiatori ha avuto problemi a trovare Wi-Fi gratuito o servizi internet pubblici, mentre l’8,6% si è lamentato dei tempi di attesa all’arrivo in aeroporto, specie per i controlli doganali. Più in alto nella classifica, il 10,8% ha evidenziato problemi con la segnaletica multilingue, spesso poco chiara o con traduzioni inadeguate, mentre il 12,3% ha trovato complicato orientarsi con treni, autobus e relative coincidenze.
Una nuova voce introdotta nel sondaggio ha rivelato che il 13,1% dei turisti ha percepito alcune attrazioni e strutture turistiche eccessivamente affollate. Episodi di overtourism si registrano soprattutto a Kyoto, una delle città più visitate. Ancora più frequenti le lamentele sulla comunicazione: il 15,2% ha avuto difficoltà nell’ interagire con il personale di hotel, negozi e ristoranti, che parlava solo giapponese.
Una delle critiche più ricorrenti, quasi “un classico” è la mancanza di cestini pubblici, segnalata dal 21,9% dei partecipanti. Dovuta alla cultura giapponese, per cui i propri rifiuti si portano a casa o in hotel, anche perché è malvisto mangiare per strada. Tuttavia il 51,1% dei turisti ha dichiarato di non aver avuto problemi durante la permanenza e di aver trovato il Giappone sicuro e ben organizzato.
L’interesse per il Paese del Sol Levante ci ha convinto a dedicare questo numero di Odisseo ad aspetti particolari e inediti del Giappone, illustrati nei reportage di alcuni soci Neos, che ci sono stati di recente.
Pietro Tarallo
Il Giappone in Italia
• Ambasciata del Giappone
Via Quintino Sella 60, 00187 Roma, tel. 06487991, www.it.emb-japan.go.jp
• Consolato Generale del Giappone
Via Privata Cesare Mangili 2/4, 20121 Milano, tel. 06 62411 41, www.milano.it.emb-japan.go.jp/itprtop_it/index.html. Sezione culturale: culture@ml.mofa.go.jp
• Jinto Ente Nazionale del Turismo del Giappone
Via Barberini, 95, 00187 Roma, tel. 06 9444307
www.japan.travel/it/it/.
• Ufficio del turismo di Tokyo presso Ferdeghini Comunicazione S.r.l., Viale San Michele del Carso, 11, www.ferdeghinicomunicazione.it
• Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone
Villetta Di Negro, Piazzale Giuseppe Mazzini 4, 16122 Genova, tel. 010-5577950 www.museidigenova.it/it/museo-darte-orientale-e. Orari: da mercoledì a venerdì, 09:00 - 19:00; sabato e domenica, 10:00 - 19:30. Ingresso a pagamento.
• MAO Museo d’Arte Orientale
Via San Domenico, 11, Torino. tel. 011-443 6932
Orari: martedì - domenica: 10 - 18. Lunedì chiuso. Ingresso a pagamento.

Le mille sfumature di Tokyo
Testo e fotografie di Cristina Corti
Il grattacielo di
I quartieri di Tokyo sono dei microcosmi, ognuno con la propria identità. Insieme formano un mosaico urbano che racconta tutte le sfaccettature del Giappone contemporaneo.
Nel cuore pulsante della città, Shibuya rappresenta l’energia giovane e dinamica della capitale. L’incrocio più affollato del mondo, le luci al neon e i flussi incessanti di persone incarnano la frenesia e il ritmo veloce della vita metropolitana. A poca distanza, Harajuku offre un contrasto curioso. Alle strade colorate e vivaci, frequentate da adolescenti in abiti eccentrici, si affianca la quiete del santuario Meiji Jingu, immerso in una foresta urbana che invita alla riflessione.
Anche Shinjuku contribuisce al ritratto contemporaneo della città, con i grattacieli, i centri commerciali verticali e una delle stazioni ferroviarie più trafficate al mondo. Di notte, il quartiere si trasforma in un labirinto d’insegne luminose, locali notturni e bar nascosti nei vicoli di Golden Gai, dove si respira ancora l’atmosfera del dopoguerra.
A Roppongi, cosmopolita, sofisticata e attuale si contrappone l’atmosfera più inti-
ma e bohémien di Shimo-Kitazawa. Nei tranquilli vicoli caffetterie indipendenti, boutique vintage e piccoli teatri che rivelano l’atmosfera artistica e creativa di Tokyo.
Ginza è il quartiere dell’eleganza e del lusso, celebre per le boutique alla moda, i grandi magazzini storici e le vetrine dove il design incontra la raffinatezza giapponese. Akihabara, invece, è il regno dell’elettronica e della cultura otaku. Tra negozi di componenti, manga e videogiochi, si nasconde una Tokyo alternativa, pop e ipertecnologica, con l’ossessione per il futuro. Sul versante opposto, Asakusa mantiene viva la memoria del passato. Il tempio Sensō-ji, uno dei più antichi e venerati della capitale, accoglie pellegrini e turisti tra lanterne rosse, mercatini e tradizioni popolari. Poco distante, Yanaka resiste come uno degli ultimi quartieri a non essere stato stravolto dallo sviluppo urbano. Le stradine, i negozi a conduzione familiare





In questa pagina, il famoso
Crossing,
e i cimiteri storici raccontano la vita quotidiana di una Tokyo che sembra appartenere a un’altra epoca. Così come Kyojima, dove non s’incontra un turista.
In questa città stratificata, la modernità non cancella le radici, ma le accompagna.
Tokyo è un luogo dove ogni passo porta in un tempo diverso, dove l’antico e l’innovativo si osservano, si sfiorano e coesistono. E’ proprio questa convivenza a renderla un unicum affascinante nel panorama mondiale.









In questa e nella pagina accanto, vari scorci di Shinjuku. Nelle pagine precedenti, una delle 17 Tokyo Toilet del quartiere di Shibuya, costruite per le Olimpiadi del 2020.




Hakone: tra vapore e visioni
Testo e fotografie di Cristina Corti
A un’ora e mezza da Tokyo, Hakone offre un volto del Giappone profondamente diverso da quello iperconnesso della capitale, dove la frenesia lascia spazio al silenzio del vapore termale, a un lento trenino, ai riflessi di un torii vermiglio.
Hakone non è solo una cartolina. E’ un territorio dove natura, arte e spiritualità convivono con una discrezione tipicamente giapponese. Hakone non chiede fretta. Va attraversata con lentezza, respirando la nebbia che sale dalle vasche termali, osservando i riflessi sul lago Ashi e lasciandosi trasportare da un treno che non ha nessuna intenzione di arrivare presto. Qui ogni esperienza, anche la più semplice, è un piccolo rito quotidiano. Il vero rito di Hakone è l’immersione negli onsen, le sorgenti termali naturali che sgorgano dalla terra vulcanica della regione. Non è solo un momento di relax: entrare nudi in una vasca d’acqua bollente condivisa con sconosciuti è un’esperienza culturale, quasi meditativa. Dai ryokan tradizionali alle stazioni termali più moderne, l’acqua di Hakone, ricca di minerali, è celebrata per le proprietà benefiche e la capacità di rallentare il tempo.
Perdersi tra le curve strette dell’Hakone Tozan Railway è quasi un rito d’ingresso. Questo piccolo treno di montagna sale lentamente attraverso una foresta di cedri e aceri, tra ponti e tornanti, con cambi di direzione così stretti da sembrare manovre artigianali. Non è solo un mezzo di trasporto, è una transizione fisica e simbolica dal Giappone contemporaneo a quello più intimo e rituale.
Hakone è anche una destinazione per chi cerca arte contemporanea in dialogo con la natura. Il Museo all’aperto di Hakone (Hakone Open-Air Museum) propone sculture monumentali di Henry Moore, Picasso e altri grandi del Novecento, distribuite in un parco dove le stagioni modificano continuamente la percezione delle opere. Non è raro trovare famiglie giapponesi che passano ore qui, camminando piano, parlando poco, fotografando tanto.
Il Santuario di Hakone, fondato nell’VIII secolo, si affaccia sul lago Ashi con il suo iconico torii rosso che emerge dalle acque. E’ uno dei luoghi più fotografati della zona, da vivere con calma, magari arrivando a piedi attraverso il sentiero nel bosco. Quando l’aria è limpida, lo specchio d’acqua riflette il Monte Fuji, regalando una delle immagini più potenti del Giappone spirituale.
Il Monte Fuji, visibile solo nelle giornate più limpide, è la grande presenza-assenza di Hakone. Non sempre si lascia vedere, ma quando appare, magari all’alba o dopo un improvviso diradarsi delle nuvole, domina il paesaggio con la sua simmetria perfetta. È una visione che arriva senza annuncio, e proprio per questo resta impressa. Ma bisogna essere molto fortunati.

Arte moderna e contemporanea nell’Hakone Open-Air Museum.






Nella pagina accanto, “Weeping woman” di FranÇoise Xavier e Claude Lalanne nell’Hakone OpenAir Museum, In basso “Symphonic Sculpture di Gabriel Loire nell’ Open-Air Museum e trenino e stazione dell’Hakone Tozan Railway.




Hanami e Sakura: il respiro della primavera
Testo e fotografie di Cristina Corti
Passeggiata lungo il fiume Meguro per ammirare i ciliegi in fiore.
Ogni primavera, Tokyo si trasforma in un incantevole spettacolo di colori per la fioritura dei sakura, i ciliegi giapponesi.
La sakura a Tokyo oltre a essere un evento naturale, è anche un momento di condivisione, festa, riflessione e celebrazione. I petali rosa e bianchi dei ciliegi creano un’atmosfera magica e fugace, simbolo della bellezza effimera della vita.
La fioritura dei sakura ha radici profonde nella cultura giapponese. Già durante il periodo Heian (794–1185), la nobiltà organizzava eleganti banchetti sotto gli alberi in fiore, celebrando la bellezza della natura e componendo poesie ispirate ai petali che cadono. Oggi questa tradizione continua con l’hanami, che coinvolge famiglie, amici e colleghi riuniti nei parchi per ammirare i ciliegi in fiore; sotto gli alberi in fiore si allestiscono banchetti e aree picnic mentre le serate s’illuminano con il yozakura, l’osservazione notturna dei fiori, spesso accompagnata da lanterne che creano un’atmosfera speciale.
A Tokyo, oltre ai luoghi iconici come il parco di Ueno o il fiume Meguro, anche templi e santuari si vestono di rosa, creando incredibili scenari. I sakura rappresentano anche il concetto buddista di impermanenza (mujo). Ricordano che ogni bellezza è destinata a svanire.










Il cheGiappone resiste al tempo
Testo e fotografie di Cristina Corti
Un Giappone che non corre, dove le insegne sono di legno, le porte scivolano su binari silenziosi, i passi risuonano sul tatami e il tempo ha il ritmo lento del tè che infonde: è Kyoto.
Capitale imperiale per oltre un millennio, Kyoto non è un archivio del passato, ma un laboratorio vivente della memoria. Qui la tradizione non è solo in scena per i visitatori, è un codice condiviso, un respiro collettivo, una forma mentis che filtra ogni gesto quotidiano. In nessun’altra città si percepisce così forte la continuità tra ciò che è stato e ciò che è. Mentre Tokyo cambia pelle ogni decennio, Kyoto rimane fedele a se stessa. I quartieri come Gion o Pontocho sembrano sospesi nel tempo, ma non sono musei. Le case a graticcio (machiya) dalle facciate discrete, ospitano botteghe, laboratori di artigiani, sale da tè e famiglie che portano avanti gesti tramandati da generazioni. C’è una pazienza ostinata, quella del ceramista che controlla la cottura dell’argilla, del fabbricante di kimono che tesse un motivo per settimane, della geisha che perfeziona un inchino per anni.

Spiritualità diffusa, mai ostentata.
A Kyoto la spiritualità è ovunque, ma non ha bisogno di proclami. S’insinua nei gesti, nella bellezza essenziale dei templi zen, nel rumore dell’acqua che scorre tra le pietre di un giardino. Luoghi come il Ryoan-ji, il Kinkaku-ji o il Fushimi Inari non sono solo attrazioni ma spazi di contemplazione e preghiera. Qui lo shintoismo e il buddhismo convivono senza



tensioni, come due fiumi che scorrono paralleli. Chi entra nei loro recinti sacri, anche senza credere, è invitato a rallentare, a sottrarre, a guardare con attenzione.
Tradizione come forma di resistenza. In un mondo che premia la velocità e la semplificazione, Kyoto è un’eccezione ostinata. La sua bellezza non è facile, non è pensata per essere consumata. Va conquistata con il rispetto, la pazienza, la capacità di osservare. Il turista frettoloso può perdersi in una serie infinita di templi
“da vedere”. Chi invece accetta il ritmo della città scopre un Giappone profondo, fatto di micro-esperienze: una ciotola di soba mangiata in silenzio, una calligrafia tracciata sotto la guida di un maestro, il suono delle campane che scandisce l’inizio di un rito. Non a caso, molti giovani giapponesi vi tornano attratti da una forma di autenticità che altrove sembra svanire. E chi ci passa, anche solo per pochi giorni, capisce che non è da attraversare, ma da decifrare. Con calma, con cura. Come un poema antico scritto a pennello.
Turiste giapponesi nel Tempio di Kiyomizu-dera. A destr: un monaco. Nelle pagine seguenti, attraversamento del fiume Kamu su pietre a forma di tartaruga e foresta di bambù a Inari.







Acciaio, fuoco e antiche mani
Testo e fotografie Cristina Corti
Troppo industriale per chi cerca templi, troppo silenziosa per chi vuole la frenesia di Tokyo, troppo anonima rispetto all’eleganza di Kyoto. Eppure Nagoya rivela un volto autentico del Giappone.
E’ quello che lavora, innova, plasma la modernità senza dimenticare le mani. Il primo impatto è netto: grattacieli in vetro e acciaio, stazioni ferroviarie che sembrano aeroporti, skyline che guarda in alto. Nagoya è un nodo vitale dell’economia giapponese e centro pulsante dell’automobile (qui è nata Toyota). E’ proprio questa efficienza a raccontare un lato poco visto del Giappone, dove il futuro si costruisce dietro le quinte, con precisione assoluta. La convivenza tra l’ipertecnologico e il fatto a mano non è un contrasto, ma una sovrapposizione. A Nagoya la modernità non ha cancellato la materia, l’ha integrata. Per questo qui si può parlare con un ingegnere aerospaziale al mattino e osservare un ceramista che impasta l’argilla al pomeriggio. Accanto alla modernità industriale resiste un sapere antico. Appena fuori dal centro urbano, nei sobborghi e nelle cittadine vicine come Seto e Tokoname, si conserva

un patrimonio artigianale che affonda le radici nei secoli, la ceramica. Non souvenir, ma arte funzionale, legata al tè, alla tavola, alla vita quotidiana. Il tempo si misura ancora in cotture lunghe giorni, in smalti che reagiscono all’imprevisto, in forni noborigama scavati nella collina. Qui la ceramica è una forma di pensiero materiale. Ogni tazza, ogni piatto è il risultato di una lotta controllata tra terra,



In queste pagine, i grattacieli della Sky Promenade. Nelle pagine seguenti, la Sky Promenade situata sul grattacielo Midland Square.


e
il
fuoco e tecnica. Gli artigiani, spesso silenziosi e anziani, non solo vendono oggetti, ma trasmettono un’arte. E’ una città dove il bello non è decorativo, ma funzionale, come nel design industriale giapponese che proprio qui, tra fabbriche e botteghe, trova una delle sue matrici più profonde.




Rotta verso le montagne centrali
Testo e fotografie di Cristina Corti
Più che un sentiero il Nakasendō Trail è una linea tra due epoche. Via di montagna tra Kyoto ed Edo (oggi Tokyo), attraversava il cuore del Giappone feudale. Ne restano frammenti da percorrere a piedi.
Le pietre sotto i piedi, le case di legno nero nei villaggi, i suoni ovattati della montagna, tutto invita a rallentare. Nessun tempio monumentale, nessuna grande attrazione: solo il ritmo antico del passo e la natura avvolgente.
Particolarmente attraente la sosta a Magome, Tsumago e Narai, villaggi che hanno conservato l’atmosfera del passato con case di legno, locande storiche (ryokan), botteghe e strade acciottolate. Gli juku, stazioni di posta dove i viaggiatori si fermavano per riposare, oggi offrono una splendida vista sulle montagne e un’atmosfera tranquilla e autentica. Questi paesi, immersi nella natura delle montagne, rappresentano una finestra autentica sul Giappone del periodo Edo, offrendo un perfetto equilibrio tra storia, cultura e paesaggi naturali. Un cammino breve, ma profondo che restituisce il senso di un Giappone più intimo. Quando cala il sole si entra in un altro tempo, quello
del ryokan. Dormire in una locanda tradizionale lungo il sentiero non è folklore, è continuità. Tatami, yukata, bagni caldi e pasti serviti con una cura rituale: ogni gesto è parte di un’ospitalità che si tramanda. Dopo una giornata a piedi, è come tornare a casa, anche se non è la tua.
Magome è un villaggio da cartolina, incastonato tra le colline della prefettura di Gifu. La sua strada in salita, pavimentata in pietra e fiancheggiata da case di legno, offre viste affascinanti e un assaggio dell’ospitalità rurale giapponese. Tsumago, qui il tempo si è davvero fermato. Niente insegne, niente fili elettrici visibili. Solo silenzio, legno antico e l’eco dei passi sul selciato. Dormire qui in un ryokan è un’esperienza indimenticabile.
Narai, detta “la città delle mille locande”, era una delle più importanti stazioni del Nakasend ō . Oggi affascina con la lunga strada di case tradizionali, le botteghe degli artigiani e un’atmosfera







autentica e raccolta.
Camminare su questo sentiero è molto più di un’escursione, è un viaggio indietro nel tempo, tra storia, natura e tradizione. Perfetto per chi cerca il Giappone vero, lontano dal rumore delle metropoli.
Torii-tōge è un antico passo montano che collega Narai alla stazione successiva del Nakasendō. Situato a circa 1.200
m.di altitudine, offre una camminata nei boschi, silenziosa e piacevole, con scorci panoramici sulla valle sottostante. Un tempo percorso da viandanti e mercanti, oggi il passo conserva l’atmosfera del Giappone feudale: lungo il sentiero si trovano piccoli santuari shintoisti, statue votive e iscrizioni antiche, testimonianze spirituali del cammino.


Dove arte e natura si fondono
Testo e fotografie di Cristina Corti
Nella pagina accanto, la Haisha Art House, “la casa del dentista” trasformata integralmente da Shinro Ohtake.
Nel cuore del Mare Interno di Seto, dove le acque scorrono lente, c’è
Naoshima l’isola dove l’arte contemporanea ha trovato casa senza disturbare la natura, dialogando in un equilibrio profondo.
A Naoshima non ci si arriva per caso. Da Okayama, bisogna prendere un treno regionale, poi un traghetto. Già questo testimonia che Naoshima non è una meta turistica nel senso classico: è un’esperienza percettiva, una sosta mentale. Il cuore pulsante dell’isola è il progetto culturale guidato dalla Benesse Corporation, che dagli anni 90 ha trasformato Naoshima da comunità di pescatori in laboratorio di convivenza tra arte, architettura e paesaggio. Il nome che più di tutti ha dato forma a questa visione è quello di Tadao Ando. Le sue architetture, in calcestruzzo grezzo, scavate nella roccia, aperte alla luce e al vuoto, non celebrano l’arte, ma la mettono in discussione.
Nel Chichu Art Museum, costruito sotto il livello del suolo per non alterare la morfologia dell’isola, si cammina in silenzio tra le luci naturali che accarezzano le ninfee di Monet, i volumi geometrici di Walter De Maria, le stanze illusioni-
stiche di James Turrell. È una fruizione quasi mistica, che chiede lentezza, attenzione, sospensione. Una zucca e la soglia dell’assurdo. E poi c’è lei, la grande zucca gialla a pois neri di Yayoi Kusama, posata su un molo come una reliquia pop caduta dallo spazio. Icona ormai inevitabile, simbolo ambivalente di un’isola che cammina in bilico tra contemplazione e Instagram.
Naoshima è anche altro. E’ un’arte che non urla, che si nasconde tra le case, nelle ex scuole, nei vicoli di Honmura, dove l’Art House Project ha trasformato vecchi edifici in opere site-specific, lasciando che la polvere del tempo resti visibile. Naoshima non si consuma in fretta. Anche perché gran parte della sua forza è nell’intervallo tra un’opera e l’altra: nei silenzi, nei sentieri che attraversano pinete e spiagge deserte, nelle bici che scorrono senza fretta lungo strade vuote. Qui l’arte non è un evento, ma un pa-



esaggio mentale. E la natura non fa da sfondo, ma partecipa.
Naoshima è anche una domanda aperta: può l’arte contemporanea convivere davvero con un territorio piccolo, abitato da poco più di tremila persone? Può una visione curatoriale globale inserirsi in una comunità locale senza annullarla?
La risposta, forse, non è definitiva. Ma l’esperimento continua. Con rispetto, con discrezione. E con la consapevolezza che qui ogni installazione, ogni edificio, ogni scultura, anche la più monumentale, è solo un punto di sutura tra l’uomo e il paesaggio.


Nella pagina accanto la Yellow Pumpkin di Yahoi Kusama. In questa pagina, in alto, l’installazione Three squares di George Ricky al Benesse House Museum. In basso la Yellow Pumpkin di Yahoi Kusama


L’occidentale che si fece giapponese
Testo e fotografie di Giovanni Panella
opere di Hearn tradotte in
A Matsue, oltre il largo fossato che cinge l’antico castello di legno, in mezzo a un quartiere di abitazioni di samurai, ci s’imbatte nel “Lafcadio Hearn’s Memorial Museum”.
Dall’ altro lato della strada la sua presenza è sottolineata da un busto di bronzo, che riporta il nome Hearn in caratteri latini e giapponesi. Il museo consente di ripercorrere la sua vita e le sue opere e visitare la sua vecchia abitazione.
Nato nel 1850 nell’isola greca di Leucade, da cui prese il nome, Hearn crebbe tra Irlanda, Francia e Inghilterra, per approdare infine negli Stati Uniti, dove per un ventennio intraprese una movimentata carriera di scrittore e di reporter di vari quotidiani. Divenne celebre per i suoi pezzi di cronaca nera e per l’insolita, squisita erudizione. A 41 anni si trasferì in Giappone, come insegnante di letteratura inglese, e qui fu folgorato dalla cultura, dalla lingua e dalla ricchezza delle storie popolari del paese. In quel periodo il Giappone era ancora profondamente ancorato alla cultura tradizionale e non era stato
permeato dalle influenze occidentali. Esercitando un notevole sforzo di adattamento rispetto a un mondo così “diverso”, Hearn riuscì a far proprio questo ricco patrimonio di miti e leggende locali, con un approccio che poteva esser condiviso dai lettori giapponesi. La sua opera risultò meritoria anche





Nelle pagine precedenti, l’interno della casa. In questa pagina tavolo da lavoro di Hearn, rialzato, per avere i fogli all’altezza degli occhi. In basso: il castello di Matsue. perché riguardava contenuti trasmessi in forma orale: erano stati fino a quel momento trascurati dalla letteratura ufficiale ed erano quindi destinati a essere dimenticati. Come commentava Stefan Zweig:“Quel che rende i libri di Lafcadio Hearn tanto unici e rari è il fatto sconvolgente che essi sono opere di un occidentale, ma scritte da un autore dell’Estremo Oriente. Questo arcano mimetismo dell’artista sull’oggetto ha fatto sì che i suoi libri non si sentano più come scritti con la penna, ma come disegnati, dalla prospettiva di una tenera vicinanza, con un morbido pennello giapponese”. Lo scrittore si pose quindi su un altro livello rispetto ad autori di quel tempo, come Pierre Loti o Giacomo Puccini che del Paese del Sol Levante colsero soprattutto gli aspetti esotici.
Per portare avanti la sua opera Hearn
dovette superare delle limitazioni fisiche: era cieco da un occhio, mentre l’altro era affetto da una forte miopia. Riusciva così a lavorare solo avvicinando il più possibile il viso alla pagina, per cui si fece costruire una scrivania dalle alte gambe, che gli permetteva di mantenere questa posizione. A Matsue Hearn sposò la figlia di un samurai, un fatto che contribuì ulteriormente ad avvicinarsi alla cultura locale e infine optò per la cittadinanza giapponese, prendendo il nome di Koizumi Yakumo. Si spense a Tokyo nel 1904. Oggi le sue opere sono considerate parte della storia letteraria del paese e il museo a lui dedicato attrae numerosi visitatori giapponesi. Tra i suoi libri tradotti in italiano si ricordano “Ombre Giapponesi”, “La festa dei morti e altri racconti giapponesi di magia”, “Giappone” e “Kokoro”.

Quando la tecnologia è antica
Testo e fotografie di Giovanni Panella
Uno dei molti “fili rossi” per un viaggio in Giappone, oltre i manga e i treni Shinkansen, è la riscoperta di luoghi e paesaggi immortalati da grandi artisti giapponesi, come Hokusai e Hiroshige. Tra questi il ponte di Iwakuni.
La cosa non è semplicissima, perché nell’ultimo secolo il Giappone ha vissuto rivoluzioni epocali, dovute alla massiccia urbanizzazione e all’industrializzazione, senza parlare delle distruzioni della II Guerra Mondiale, che hanno cancellato gran parte di quei paesaggi e di quei monumenti.

Tra gli angoli del Paese che hanno mantenuto l’aspetto originale vale la pena segnalare l’imponente ponte di legno Kintai-kyo, a Iwakuni. Costruito nel 1673, presenta cinque campate, di cui le tre centrali sono caratterizzate da un arco accentuato. Nel corso del tempo questo elegante esempio di carpenteria lignea è stato ritratto da diversi artisti, tra cui Hokusai e Hiroshige. Sembra che l’opera sia stata costruita traendo ispirazione dall’illustrazione di un ponte Ming, presente in un testo portato in Giappone da un maestro zen cinese. Per questo nel 2004 a Iwakuni fu firmato un trattato di amicizia tra Cina e Giappone. Nonostante il suo aspetto imponente, nel 1950 il ponte fu spazzato via dal violentissimo tifone Kijiya, ma nel 1953, per volontà degli abitanti, fu ricostruito nelle forme originali. Sull’altra sponda ai visitatori viene offerto un piacevole parco arricchito da enormi aiuole fiorite, fontane,



In queste pagine le campate del ponte di Iwakuni. Nelle pagine precedenti, a destra la complessa struttura del ponte, a sinistra i gelati del parco di Iwakuni.

musei e si può utilizzare una funicolare che porta all’antico Castello.
Per molti, tuttavia, la principale attrazione del parco è rappresentata dai gelati, proposti in un gran numero di gusti.

Koya-san, la montagna sacra
Testo e fotografie di Giovanni Panella
Più importante centro di scintoismo tantrico del Giappone, fondato nel nono secolo dal monaco Kûkai, che aveva studiato il buddismo in Cina, Koya-san si estende in una valletta a 900 metri, circondata da folti boschi.
Come succede spesso quando ci si accosta ai maggiori santuari di tutte le religioni, appena giunti, c’è poco che ricorda la santità del luogo. Si è, infatti, accolti da una manciata di negozi di souvenir e prodotti locali e di caffetterie. Ma se il paese è poca cosa, si scopre che tra le colline intorno si estendono numerosi monasteri storici e diverse strutture religiose. Molti sono provvisti di foresterie, dispongono di camere confortevoli e offrono pasti di cucina vegetariana monastica, basata su ingredienti di montagna. Gli ospiti possono poi partecipare alle preghiere delle sei del mattino, e più tardi in un tempio vicino, assistere a una complessa “cerimonia del fuoco”. Nel corso di questa ai fedeli viene chiesto di scrivere su un’assicella lignea il proprio nome, l’età e un desiderio. Nel rituale il sacerdote, le brucerà una dopo l’altra.
Tra i tanti monumenti, la visita di Koya-san permette di ammirare il tempio Kongôbuji, sede storica della setta Shingon con una
serie di pitture storiche raffinate, mentre il suo giardino zen, il Banryû-tei, è il più esteso del Giappone. Nella memoria dei visitatori è destinata a rimanere l’immagine della pagoda Konpon Daito, alta 48 metri, verniciata in uno splendente color vermiglio.
Una delle esperienze più coinvolgenti è quella di attraversare di primo mattino l’enorme cimitero, nella foresta di Okunoin, quando sotto i rami la visibilità è offuscata dalla nebbiolina di montagna. Qui la natura sembra mescolarsi con la storia: decine di migliaia di tombe, di lapidi, di stupa di personaggi famosi si stringono una all’altra, in una fitta stratificazione che conta 1200 anni. Gli spazi tra i manufatti di pietra, soffocati dal muschio, sono riempiti dai tronchi degli altissimi pini a ombrello giapponesi (Sciadopytis verticillata). Anche questi, come tutto quello che li circonda, appartengono a un altro tempo: 9mila anni fa erano diffusi in tutto





il mondo, oggi sopravvivono solo qui e in qualche bosco della Corea.
La meta finale del percorso è il Tôrô-dô, ovvero il Tempio delle Lanterne, le cui mille luci brillano fioche nella foresta.
Qui l’atmosfera assume toni di mistica magia durante la preghiera del mattino, quando i monaci scandiscono insieme il
ritmo dei mantra. Koya-san fino agli anni ’80 dell’Ottocento era interdetta alle donne, alle quali era proibito avvicinarsi all’area sacra, occupata dai monasteri. Oggi chi è dotato di calzature adatte può percorrere l’affascinante sentiero tra i boschi secolari intorno all’area dei templi.
Yokohama, Chinatown made in Japan
Testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
In basso: grande drago illuminato sospeso nel centro della via principale. A destra: Kanteibyo (Kuan Ti Miao Temple).
Yokohama, a 40 km a sud di Tokyo, è uno dei primi porti giapponesi che ha aperto il Paese al commercio internazionale nel 1859.
Nel 1854 il commodoro statunitense Matthew Perry entrò nella baia di Edo con la sua flotta di nove navi e i suoi cannoni. Il Giappone voltò pagina. Definitivamente. Lasciandosi alle spalle i mitici anni degli shogun, dei samurai e delle geisha. Perse così il suo splendido isolamento e fu costretto a fare i conti con la modernità e l’Occidente.
Subito dopo arrivarono numerosi cinesi che diedero vita alla Chinatown del Giappone, dove vivono oggi oltre 4mila discendenti degli immigrati cinesi. Un dedalo variopinto di centinaia di ristoranti, dove gustare dim sum, baozi, zuppe tradizionali, nikuman (le famose focacce di carne giapponesi cotte al vapore, gemelle dei baozi cinesi), le palline di sesamo fritte, gli shaomai (gnocchi cinesi ripieni di carne di maiale), l’anatra alla pechinese e dolci speciali come i tangyan. Ma anche di negozi dalle insegne scarlatte in mandarino, cartomanti e templi. Superata la

Porta di Zenrinmon, coloratissima, ci si immerge nella folla illuminata da rutilanti insegne. Poco lontano alcuni fedeli salgono la scalinata che porta al sancta sanctorum del Kantei-Byo Temple. Tempio fra i più frequentati dalla comunità cinese. Fitto di decorazioni oro e rosso fuoco, risale al 1990. Dedicato a Guan Yu, generale e guerriero cinese, divinizzato come dio


della guerra e delle arti marziali, vissuto nella Cina antica (160-220 d.C.), considerato un eroe, invincibile, le sue imprese sono state rese famose dal “Romanzo dei
Tre Regni”, scritto da Luo Guanzhong nel XIV secolo, uno dei quattro grandi romanzi classici della letteratura cinese. Nella sala di preghiera i fedeli sono avvol-
ti da una nube d’incenso che si diffonde nell’aria con il suo profumo persistente. Molti lanciano una moneta ai piedi del terrifico dio e tirano il cordone della campana di fronte a loro, il cui suono armonioso rende ancora più mistica la luce intensa del crepuscolo incendiata dal sole al tramonto.



Kanazawa città dell’oro
testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
Sulla costa settentrionale dell’isola di Honshu, Kanazawa fu progettata
attorno al Castello, cuore strategico e residenza del clan Maeda che, nonostante gli incendi subiti nei secoli, svetta superbo sulla sommità della collina sopra il Giardino Kenrokuen (XVII secolo), uno dei tre più famosi del paese.
La città ha saputo conservare le vestigia del suo fiorente passato, ma nello stesso tempo si è aperta alla modernità. A misura d’uomo, deve essere visitata con attenzione e a lungo per assaporarne tutte le bellezze e per farsi sedurre dal suo fascino.
Oro che passione.
A Kanazawa si realizzano circa il 99% degli oggetti decorati con la foglia d’oro prodotti nel paese. Tutta la storia di questa tecnica è raccontata nel Yasue Gold Leaf Museum fondato nel 1974. Sono molti i laboratori e i negozi specializzati dove si può provare ad applicare la foglia d’oro con diversi programmi seguiti da esperti tecnici. La foglia d’oro è utilizzata anche in cucina e in pasticceria. Ormai è un must il cono gelato avvolto in una intera foglia d’oro, specialità unica della città. I segreti della preparazione del tè.
Il quartiere di Nagamachi, dove vivevano i samurai e i tre quartieri abitati dalle geisha, con le loro numerose “chaya”, case da tè, hanno conservato intatto il fascino del passato. Perdersi nelle strade e nei vicoli vuole dire un viaggio in un tempo indimenticabile.
La Cerimonia del Tè, pratica tradizionale e rituale incentrata sulla preparazione e sul consumo di “matcha” (tè verde in polvere), non è solo un modo per gustare il tè, ma è una forma d’arte espressione dell’estetica, della cultura e della filosofia giapponese. Ancora oggi nelle case da tè si può assistere a questo complesso rituale spesso officiato, come un tempo, da geisha e da maiko (apprendiste geisha) che ne spiegano tutti i segreti.
L’eleganza del kimono.
Nel Kaga-Yuzen Kimono Center viene insegnata l’arte di creare disegni e di re-



alizzare la tintura su seta dei kimoni. La sua sala principale presenta il processo di fabbricazione della seta “Kaga Yuzen”: artigianato tipico della città, che si caratterizza per l’uso di colori quali indaco, nero, ocra, rosso, rosa, azzurro, blu e giallo, e di disegni di fiori, animali e paesaggi.
Creare con l’argilla.
E’ lo stesso Koichiro Toshioka, presidente della Kutani Kiln Pottery Kosen, che spiega in appositi laboratori l’importante attività dell’azienda aperta dalla sua famiglia nel 1870. Questa è l’unica fornace di ceramiche “Kutani” rimasta a Kanazawa.
Piccoli capolavori realizzati a mano mediante l’impasto dell’argilla, la modellazione al tornio, la cottura a 1300 gradi cel-
sius per cinque giorni e la smaltatura, che rende vetrosa e lucida la loro superficie, e l’applicazione del colore.
L’ultimo samurai.
Interessante è l’incontro con Masahisa Shijimaya, discendente da una famiglia di samurai, risalente al 1618. Maestro di “iaido”, arte marziale incentrata sulla scherma e sulla capacità di estrarre rapidamente la spada, ha aperto la sua casamuseo, tutta in legno, dei primi del Novecento, dall’armonioso giardino di alberi di prugne, situata nel quartiere di templi e shophouse che si trova al di là del fiume Saigawa. Qui conserva preziose “katane” e oggetti che risalgono al periodo Muromachi ed Edo, di cui racconta la storia.
A sinistra: il castello di Kanazawa, In basso:, Higashiyama Shitsurae. laboratorio per la decorazione in oro.
In questa pagina: il quartiere delle geisha.


A sinistra: kimono d’epoca nel Kaga-Yuzen Kimono Center.
In questa pagina da sinistra: statuine del XVII sec. in porcellana, Kutani Pottery Kosen. Lavorazione al tornio dell’argilla. In basso: Tea Ceremony, cerimonia tradizionale del tè e via tipica del centro storico con case d’epoca.




Introduce i suoi ospiti anche all’uso delle micidiali spade giapponesi, con combattimenti, solo accennati e sicuri. I musei tuffo nel passato.
Nel quartiere di Nishi Chaya, lungo la strada principale, vi sono due musei da non perdere. Il Giappone è il più grande paese al mondo dove si creano fin dai secoli passati raffinate bambole con metodi artigianali. Nel Dolls Museum ne sono esposte alcune molto rare. Il vicino Ninja Weapon Museum conserva armature, “katane”, armi e oggetti originali d’epoca che raccontano l’avventurosa storia dei samurai e dei ninja.
Dal passato al presente. Appena si arriva in città in treno si è accol-
In basso: festa dei pompieri della città.
ti da una stazione ferroviaria avveniristica che ha subito un’importante ristrutturazione nel 2005 basata su un design futuristico, con una cupola di vetro e acciaio e un enorme arco di legno rosso scuro simile a un “torii” (portale d’ingresso che si trova solitamente nei santuari giapponesi).
Il Museo d’Arte Contemporanea XXI Secolo, ultratecnologico, sorge su un ampio spazio verde. Simile a un grande disco volante, l’iconico edificio circolare, tutto vetri, cristalli e acciaio, è stato progettato nel 2004 dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryūe Nishizawa, in modo che possa essere visibile a tutti, sia dall’interno sia dall’esterno.
A destra: Ristorante Taichibo con bottiglie di sakè, Ristorante Tsutsumi Te con ramen special.



Osaka: non solo movida
Testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
In basso: lampione stradale di design, quartiere America-Mura. A destra: nuovi insediamenti vicino al Castello.
Edonista, gourmand, creativa, cosmopolita, tecnologica, libertina, Osaka è una città che non dorme mai. Piena di vita e polo commerciale e industriale si affaccia sul Mare Interno di Seto, con un grande e trafficato porto.
Di giorno e di notte, a qualsiasi ora le strade dei quartieri centrali sono affollate di persone affette da bulimia alimentare e da shopping mania. Le occasioni per mangiare e per comprare sono moltissime, ma anche per tirar mattina nei love hotel, nei night club, nei ristoranti, nelle discoteche.
Amerika-Mura, “Villaggio America”, è nato alla fine degli anni 60 e si è rapidamente trasformato in un centro per le nuove tendenze e la moda street style. Molto popolare tra i giovani amanti della cultura occidentale, si sviluppa intorno al famoso punto di ritrovo di Sankakukoen, un piccolo parco triangolare. Qui si trovano opere di street art, chioschi di cibo da asporto, gallerie indipendenti e caffè che danno all’area un’atmosfera informale e creativa. Ci sono negozi rétro che vendono abbigliamento vintage, libri e dischi. Mentre i locali notturni comprendono rock
bar e nightclub di musica hip-hop statunitense.
Dōtonbori è il quartiere dei divertimenti e della gastronomia grazie ai ristoranti e alle bancarelle di street food.
E’ situato lungo il canale Dōtomburigawa, costruito quattro secoli fa, dove è possibile fare un’escursione in barca.



Dōtonbori. Fantasmagorie di insegne luminose multicolori.






A fianco: Dōtonbori. La Ruota panoramica del Don Quijote.
In questa pagina: Dōtonbori. Glico Sing. Insegna luminosa che rappresenta un uomo che corre su una pista blu, uno dei simboli più iconici di Dōtonbori, punto di riferimento dei turisti che si fermano a fotografarlo.
Il quartiere America-Mura con la Statua della Libertà sul tetto di un edificio.
L’elegante pasticceria Moncher dove si gustano squisiti dolci (www.mon-cher.com).
Il quartiere America-Mura centro di ritrovo dei giovani e dei motociclisti on the road.

Dal ponte Ebisu-bashi si vedono le rutilanti insegne che ricoprono i palazzi attorno e quella notissima del Corridore Glico (alto 20 m e largo 10 m), che pubblicizza le omonime caramelle. Namba è il quartiere dello shopping e dell’intrattenimento ideale per buongustai e appassionati di “anime” (le opere commerciali di animazione di produzione giapponese). Una volta varcata la Sennichimae si entra in un mondo completamente diverso. È una via dello shopping chiamata con il vecchio nome Doguya Suji (Vicolo degli Utensili) ed è piena di negozi di articoli per la cucina tradizionali e chioschi di street food.
Ikayaki è un piatto imperdibile di Osaka. Mentre ikayaki significa “calamari alla griglia” nella maggior parte del Giappone, la versione locale di Osaka è una sottile frittella salata ripiena di calamari tritati e cipolle di primavera.
Il famoso mercato Kuromon Ichiba è un luogo ideale per provare l’ikayaki, dove molti venditori lo cucinano.
Il Kobe Wagyu è la carne famosa in tutto il mondo per la sua ricca marezzatura, la consistenza burrosa e il sapore imbattibile. Proviene da bovini neri della città di Kobe, a breve distanza da Osaka. Okonomiyaki è il piatto tipico della città, tipo pancake salato e fritto, cotto su una piastra, con diversi ripieni e guarnizioni (cavolo tritato, carne, uovo, gamberi). Nel ristorante Okonomiyaki Mizuno, segnalato dalla Miche-
lin, a Dōtonbori, da provare il famoso yamaimo-yaki, un okonomiyaki fatto con igname grattugiato. Takoyaki sono polpette fritte impanate di polpo con condimenti vari, servite tipicamente come street food. Dōtonbori è il posto migliore per provare il takoyaki, con innumerevoli venditori di questo popolare cibo di strada, tra cui il notissimo Takoyaki Wanaka.
Ancora una volta (la prima fu nel 1970) la città è sede dell’Esposizione Universale, dal 13 aprile al 13 ottobre sull’isola artificiale di Yumeshima. Il suo tema è “Delineare la società del futuro per le nostre vite”. Mentre “L’Arte Rigenera la Vita” è quello del Padiglione Italia disegnato dall’architetto Mario Cucinella, rivisitazione in chiave moderna della “Città Ideale del Rinascimento” con il teatro, la piazza e il giardino all’italiana, luoghi topici dell’identità urbanistica e sociale del nostro Paese.
Sui 1,55 kmq dell’Expo ci sono in totale otto zone con esposizioni tematiche diverse, racchiuse in un grande cerchio. L’allestimento prevede un grande padiglione centrale che ospita tre delle otto zone. Ai lati del padiglione vi sono una zona d’acqua e una zona verde, tutte circondate dalla baia di Osaka.
Il prezzo dei biglietti varia da un minimo di 4.000 yen (ingresso giornaliero) a un massimo di 30.000 yen (abbonamento valido per l’intera stagione). www.expo2025.or.jp.

Polpette di patate fritte.
Okonomiyaki, piatto tipico di Osaka.
A destra: noodles con carne di maiale in salsa di soia e piatto con anelli di totani fritti.


Hiroshima Olocausto nucleare
Testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
In basso: Parco del Memoriale della Pace.
Studenti attorno al Monumento alla Pace dei Bambini dedicato alle piccole vittime.
A destra: Parco del Memoriale della Pace. Monumento con l’Angelo della Pace.
Era il 6 agosto del 1945 di ottanta anni fa quando, alle ore 8.16, Hiroshima fu colpita dalla prima bomba atomica utilizzata in un conflitto militare, sganciata dal bombardiere statunitense Enola Gay.
La bomba, chiamata Little Bo, esplose a un’altitudine di 576 m, con una potenza pari a 12.500 tonnellate di tritolo. L’esplosione nucleare provocò immediatamente 60.175 morti, saliti poi a oltre 100 mila nei mesi immediatamente successivi, a causa del fallout radioattivo. Altre persone si ammalarono e morirono per i danni da esposizione radioattiva a breve-medio termine. Tre giorni dopo, il 9 agosto alle ore 11.02, fu sganciata un’altra bomba atomica, Fat Man, su Nakasaki, provocando oltre 74 mila morti. Fu il presidente statunitense Harry S. Truman a ordinare il bombardamento atomico per piegare la resistenza nipponica e arrivare così alla vittoria.
Secondo i dati ufficiali raccolti nel corso degli anni il numero degli hibakusha, ossia di coloro che sopravvissero all’esplosione ma si ammalarono negli anni successivi a causa della radioattività, furono, nelle due aree urbane andate quasi completamente

distrutte, circa 310 mila.
E’ stato allestito sull’isola circondata dai fiumi Honkawa e Motayasu-gatea, epicentro del bombardamento atomico, il Parco del Memoriale della Pace, patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1996, ideato dall’archistar Kenzō Tange. Proprio nel cuore di Hiroshima, è costituito da vari monumenti.
Il Museo della Pace è dedicato alle con-



seguenze del bombardamento atomico della città e presenta in modo puntuale i tragici eventi. Ma anche le storie degli abitanti della città, con i racconti dei sopravvissuti. Infine l’ultima sezione riguarda i pericoli delle armi nucleari, lo sviluppo e i rischi del loro impiego. Info: www.hpmmuseum.jp.
Il Genbaku Domu Mae (Cupola della Bomba Atomica) è uno dei pochi edifici rimasti in parte in piedi vicino all’epicentro dell’esplosione. Era un centro espositivo costruito nel 1915 dall’architetto ceco Jan Letzel.
Il Cenotafio commemorativo costituito da un piccolo monumento rotondo, che copre una tomba vuota con i nomi di tutte le vittime. La tomba si trova all’estremità meridionale della Peace Pool, dalla parte opposta dove arde la Fiamma della Pace Eterna.
Il Monumento ai Bambini è al centro del parco dove si trova una statua dedicata alla memoria di tutti i bambini morti a causa del bombardamento. Il simbolo principale è la statua di Sadako Sasaki, una bambina con una gru di carta che morì di leucemia a causa delle radiazioni. Prima di morire Sadako Sasaki iniziò a fare gru di carta, uccelli che, secondo la leggenda giapponese, vivono per mille anni. Era convinta che se ne avesse realizzati mille sarebbe guarita. Purtroppo morì prima. La sua impresa fu portata a termine dai suoi compagni di classe. Una storia che ancora oggi commuove molti giovani che realizzano nel suo nome origami a forma di gru e dispongono nastri e corone colorate attorno al monumento.
Fotografie storiche del lancio della bomba atomica e dei suoi terribile effetti esposte nel Museo dalla Pace.



In questa pagina: parco del Memoriale della Pace. Visione d’insieme con il Cenotafio delle vittime della bomba atomica e con la fiamma eterna.
A destra: parco del Memoriale della Pace. Hiroshima National Peace Memorial Hall con i nomi, le fotografie, le lettere ed altri ricordi delle vittime.



I castelli al tempo di Shōgun e Samurai
Testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
Chiamati jiro o shijro, i castelli giapponesi, edificati tra il XVI e il XVII
secolo, sono un’importante testimonianza dell’era feudale e del medio evo del paese.
Oggi sono quindici, mentre nel passato erano oltre 5mila. Situati in posti strategici, i castelli avevano la funzione di controllare militarmente il territorio e accoglievano all’interno i signori locali con i loro armati. Realizzati prevalentemente in legno, molti sono andati distrutti dagli incendi e solo alcuni sono stati in parte ricostruiti nel periodo Edo (1603-1867).
La struttura
Al centro vi è l’honmaru (cerchio principale) che ospita il palazzo e la torre. Chiamata tenshu, è l’elemento più iconico e imponente del castello. Quasi sempre a base quadrangolare, si sviluppa su più piani. Infatti, è caratterizzata dall’altezza e dai tetti a più livelli, con piani di larghezza decrescente. Vi è una seconda area (ninomaru) che fungeva spesso da residenza secondaria o ulteriore linea di difesa. L’area esterna (sannomaru), terzo
cerchio, comprendeva edifici amministrativi, alloggiamenti per i soldati e strutture per difendersi dagli invasori. Ciascuno di questi cerchi era protetto da mura imponenti e fossati che assicuravano una difesa in caso di assedio. Le yagura sono le torri di guardia, alte fino a tre piani, posizionate strategicamente per offrire vedute panoramiche del terreno circostante. Le mura e i fossati (hori) erano fondamentali per la protezione e la difesa. Costruite con massicci blocchi di pietra, le mura ostacolavano gli invasori, mentre i fossati, colmi d’acqua, fornivano una barriera ulteriore contro gli attacchi.
Palazzo Imperiale di Tokyo
Residenza ufficiale principale dell’Imperatore del Giappone, nel centro della capitale, è all’interno di un vasto parco (115 kmq) situato nel quartiere di Chiyoda. Nel 1868, dopo la restaurazione Meiji, sia



A sinistra: Himeji. Esterno del Castello chiamato “L’airone bianco”. Il Castello con il fossato e l’ingresso. In questa pagina: esterno e base con grossi blocchi di pietre squadrate del Castello di Osaka.
la capitale sia il Palazzo Imperiale da Kyoto vennero spostati a Tokyo. Notevole il doppio ponte Nijubashi, che conduce alla sontuosa entrata del palazzo interno.
Castello di Kanazawa
Costruito nel 1583, quando il ricco clan
Maeda si trasferì a Kanazawa e vi risiedette per quattordici generazioni fino al 1869. Nel corso dei secoli è stato distrutto e ricostruito più volte. Ottimamente restaurato, seguendo le tecniche di costruzione originali, possiede ancora le tegole di piombo per resistere agli incendi.
Castello Nijō di Kyoto
Edificato nel 1601 per volere di Tokugawa Ieyasu, primo shōgun del periodo Edo. Residenza degli shōgun fino al 1867, è stato in seguito usato come residenza imperiale. Gli edifici, circondati da un fossato, si estendono su un’area complessiva di 275 mila mq. Caratteristica particolare degli interni i “pavimenti dell’usignolo” (uguisubari), chiamati così perché, ogni volta che vengono calpestati, i morsetti e i chiodi, posti sotto la superficie, sfregano tra loro producendo un suono che ricorda il verso dell’usignolo.


A sinistra: il Castello Himeji è ancora più suggestivo di notte.
In questa pagina: iIl Castello Nijō di Kyoto. Padiglioni interni, mura e fossato esterni.
Castello Nijō di Kyoto. Laghetto del parco, padiglione e rocce.




Castello di Osaka
Realizzato nel 1583 da Hideyoshi Toyotomi, soprannominato il “Napoleone del Giappone”, sorge su di una breve collina. Teatro di vari conflitti, fu incendiato e ricostruito più volte. La sua torre principale è stata rifatta nel 1931 e oggi ospita un museo, visitabile anche mediante un ascensore che consente di raggiungere i suoi sei piani.
Castello di Himeji
Patrimonio dell’UNESCO dal 1993, è forse il castello più famoso del paese. Noto anche come “Castello dell’Airone Bianco” per la sua aerea e maestosa struttura,
è considerato un’icona dell’architettura tradizionale giapponese, per le imponenti torri, i muri bianchi e gli intricati dettagli. La sua costruzione, iniziata nel 1400, è stata completata nel 1609 dal daimyo Ikeda Terumasa.
Castello di Hiroshima
Chiamato anche “Castello della carpa”, distrutto dalla bomba atomica il 6 agosto 1945, è stato ricostruito nel 1958. Costruito nel 1500 prima della fondazione della città, è una copia fedele dell’originale. Nell’interno è stato allestito un museo che racconta la storia della città prima dell’olocausto nucleare.
Hiroshima. Esterno del Castello chiamato anche “Castello della carpa”.




Più gatti e cani che umani
Testo di Pietro Tarallo, fotografie di Massimo Bisceglie
Il Giappone, noto per l’invecchiamento della popolazione e il basso tasso di natalità, ora ha più cani e gatti di bambini sotto i quindici anni.
Secondo i recenti dati del governo le stime rivelano circa sedici milioni di animali domestici rispetto a soli 14,3 milioni di bambini, evidenziando un cambiamento guidato dalle tendenze della società, come il matrimonio ritardato, il calo della fertilità e una crescente preferenza per gli animali da compagnia rispetto alle famiglie. Ma gli animali devono essere di piccola taglia visto le abitazioni quasi tutte minuscole. Così per le strade delle grandi città si vedono cani incredibilmente piccoli. Alcuni decisamente mostruosi. Tutti abbigliati come bambini con vestitini, cuffiette, scarpette, gonnelline e pantaloncini costosi.
Pet café, i caffè con animali Tokyo, ma non solo, è famosa per la sua ampia varietà di caffè con animali, dove i visitatori possono rilassarsi e interagire con gatti, gufi, cani, ricci e persino capibara, grosso roditore originario del Sud America. Sebbene possano sembrare in-
soliti, molti caffè sono ben regolamentati e danno priorità alla salute e al comfort degli animali. Il personale è formato per prendersi cura di loro in modo adeguato, garantire il riposo e limitare i tempi d’ interazione per prevenire lo stress. Questi caffè offrono sia un’esperienza turistica unica, sia un ambiente sicuro e stimolante per gli animali abituati all’interazione umana.
Gatti che passione
I gatti sono molto amati e considerati un simbolo di fortuna e benessere. Sono presenti in svariati luoghi di culto e nelle case giapponesi, spesso rappresentati dalla statuetta del “Maneki Neko” (gatto che saluta), che attira clienti e prosperità. I gatti sono anche protagonisti di leggende e credenze popolari, come i “Kaibyō” (gatti spettrali).
Il gatto nero portafortuna. In Occidente il gatto nero è spesso associato alla sfortuna e alle superstizioni negative, in Giappone



A sinistra: il padrone a spasso con un mini barboncino nano abbigliato di tutto punto a Kyoto. Cane portato dentro un apposito zaino a Tokyo.
In questa pagina: un barboncino in un passeggino tutto suo con copertina per proteggerlo dal freddo.
rappresenta esattamente l’opposto. Una curiosa inversione culturale che risale a secoli fa. Nell’epoca feudale giapponese i temibili guerrieri samurai consideravano questi felini veri e propri portafortuna. Si credeva che avessero poteri protettivi, capaci di allontanare le sciagure e le disgrazie nei combattimenti. Un amuleto vivente per i guerrieri più rispettati del Giappone. Era comune vedere un samurai prendersi cura di un gatto nero prima di partire per il campo di battaglia, nella convinzione che la sua
presenza avrebbe garantito protezione contro ogni pericolo. Per i golosi amanti dei gatti. In Giappone c’è una pasticceria dove i gatti neri sono i protagonisti ed è la Caffetteria Chat Noir, catena che fonde la passione per i gatti con i dolci artigianali. Le sedi di Chat Noir sono riconoscibili per il logo di un gatto nero e una decorazione che spesso include sculture o illustrazioni di gatti. L’offerta di prodotti include una varietà di torte e dolci decorati principalmente con motivi di gatti. Chat Noir ha diver-

se filiali nella regione del Kansai, tra cui a Kyoto: https://chat-noir.net/shop/ Il tempio dei gatti. Lo shinkansen JR Tohoku porta dalla stazione di Tokyo alla stazione di Nasushiobara in 70 minuti. Da lì si prende un autobus locale per raggiungere la cittadina di Nasu dove sorge il tempio buddhista di Chourakuji-Tochigi, che sta guadagnando popolarità grazie ai gatti. Il prete residente vive con molti gatti e condivide su Twitter e YouTube la loro vita. I video mostrano i gatti che si radunano intorno a lui durante i pasti, si rannicchiano sulle sue ginocchia o gli si accoccolano vicino.
Aoshima, l’”Isola dei gatti”. Situata nella prefettura di Ehime, questa piccola isola ospita una popolazione felina che supera di gran lunga quella umana. I gatti sono arrivati originariamente per controllare il diffondersi dei topi sui pescherecci, ma oggi sono i protagonisti di questo tranquillo angolo giapponese.
Senza auto, senza hotel e con pochissimi abitanti, Aoshima è diventata un paradiso per gli amanti dei gatti. I visitatori possono percorrerla a piedi e vivere per qualche ora con decine di felini liberi, curiosi e amichevoli. Un luogo dove le fusa sono legge e il tempo sembra essersi fermato.

In questa pagina: ingresso del Mabeshiba Cafe a Kamakura.

I Colori del Giappone
Testo
e fotografie di Fabio Accorrà
Kyoto. Padiglione d’Oro.
Nel suo libro “The Colors of Japan” edito da Erga Edizioni, Fabio Accorrà racconta il Giappone in dodici luoghi, con dodici colori, dosando emozioni e sensualità.
In giapponese esiste una parola per indicare il colore: IRO, tre lettere che nascondono una sottile e potente energia sensuale. Iro, infatti, viene usata per spiegare anche l’erotismo di un gesto, di una persona. Essere colorato in giapponese vuol dire essere eccitante. E’ così ho voluto raccontare il mio viaggio in Giappone ricreando l’Iro e regalando non solo il Giappone, ma anche il segreto del viaggio.
BLU “ao”, il lago di Hakone
Su questo lago blu terso nasce Hakone, la località più bella fra quelle a breve distanza da Tokyo. Tre giganteschi velieri gestiti dalla compagnia Odakyu fanno la spola tra una sponda e l’altra del lago, portando i turisti ad ammirare l’imponenza del Monte Fuji. Stare seduti sul lago a guardare il suo blu nitido, fa ritrovare la giusta calma e la pace interiore. Infatti Hakone, con il lago e i suoi onsen, è meta indiscussa per chi vuole trovare armonia e quiete
lontane dal caos di Tokyo.
BIANCO “shiro”, il cappello del Monte
Fuji
La nostra avventura colorata in Giappone inizia dalla sua icona principale: il Monte Fuji. Guardandolo ci si accorge subito della sua imponenza. Quando il cappello nella sua cima è innevato, quel bianco candido dà un senso di lucentezza che pochi altri posti al mondo trasmettono. Il bianco, nonostante in Giappone rappresenti anche il lutto, con l’ assenza di colori, trasmette un messaggio profondo e intenso.
VERDE “midori”, dal pesto giapponese ai giardini di Kanazawa
Verde come il pesto che ho portato in Giappone con l’iniziativa #pastape-stoday in favore della mia città, Genova. Lo stesso colore invade il giardino Kenroku-en e lo rende uno dei tre più incantevoli di tutto il paese. A Kanazawa si possono ammi-





rare musei e borghi tradizionali di geishe e samurai. Il suo vero fascino è proprio questo: da città moderna, svoltando l’angolo si rivive l’epoca feudale del Giappone caratterizzata da dimore in legno, giardini e laghetti che custodiscono carpe incantate.
ROSSO “aka”, i cipressi di Hitachi
Il Seaside Park di Hitachi è qualcosa di
formidabile ai nostri occhi. I cipressi che invadono letteralmente questo parco, nella stagione autunnale s’infuocano di rosso e incendiano i prati e le colline. Camminare lungo le strette stradine avvolti in questo intenso rosso ci fa sentire come una piccola molecola di sangue che scorre lungo le vene.
ROSA “pinku momorio”, le foglie che contornano il Castello di Himeji
Non capita tutti i giorni di trovarsi in pieno autunno davanti al timido rosa dei ciliegi in fiore. Questo accade se a farla da padrone è un meteo pazzerello che non cede al freddo neanche in novembre e consente alla natura di sfogare colori primaverili. Il rosa delle foglie ancora appese sui ramoscelli, con dietro il secolare castello rimasto miracolosamente illeso durante il secondo conflitto mondiale, lascia a bocca aperta.
NERO “kuro”, la potenza e l’eleganza di Tokyo e Osaka Il nero, che comunemente associamo al potere, all’eleganza e alla formalità, contraddistingue Tokyo e Osaka. Tokyo, metropoli immensa, di notte come di giorno non conosce riposo ma allo stesso tempo negli angoli della città si sente ancora il cinguettio degli uccellini.
Percorrere con il battello il canale Dotonbori di Osaka, immersi tra grattacieli e pubblicità luminose, ci fa sentire parte di una superpotenza moderna e in continuo movimento. Le persone affollano le vie del centro come palline impazzite in un flipper anni Ottanta.
GRIGIO “guree haiiro”, l’atmosfera di Hiroshima
Sarà la storia che si trascina dietro, sarà il pregiudizio iniziale che ci si pone, ma non appena si arriva a Hiroshima si respira un’aria strana. Il grigiore dei palazzi nuovi ricostruiti dopo la bomba atomica
insieme a quello del cielo che ci accoglie, rende il luogo ricco di suggestioni malinconiche. Attraversare a piedi il parco del memoriale è emozionante, si riesce a immaginare solo lontanamente cosa questo luogo possa aver visto e sentito in quegli attimi successivi allo scoppio. Qualcosa di devastante e di terribile.
ORO “kiniro”, predomina a Kyoto Ritrovarsi di fronte al Padiglione d’oro, incorniciato dal foliage autunnale e riflesso nello stagno in una giornata di sole, lascia senza parole. Kyoto, una città antica e tranquilla, riesce ancora a trasmettere la vera anima giapponese con le viuzze e le botteghe che la animano. Facile perdersi nei tipici quartieri Gion e Pontocho alla ricerca di una geisha, introvabile e misteriosa come si narra. Infine la foresta di bamboo e il meraviglioso Fushimi Inari, un tunnel di Torii che porta al principale santuario Shintoista del Giappone.
GIALLO “kiro”, il foliage di Nikko Il giallo in Giappone è simbolo di coraggio e bellezza della nobiltà. Delle due, quella che più si addice a Nikko è sicuramente “bellezza”. La natura incontaminata, tinta di giallo intenso, circonda una miriade di templi e reperti storici integri nella loro originalità. Le foglie che cadono a terra, mixate a quelle sugli alberi, compongono un puzzle di colori unico.
MARRONE “chairo”, i cervi di Miyajima
Quando si sbarca in questa magnifica iso-

letta incastonata nella baia di Hiroshima, patrimonio dell’umanità UNESCO, si ha il benvenuto dei cervi incuriositi e affamati, che con il loro pelo marrone luccicante sono le prede più ricercate dai fotografi. Su quest’isola c’è anche il Torii più famoso del Giappone, simbolo di Miyajima, icona di molte guide turistiche e portale d’accesso a Jinja, santuario Shintoista.
ARANCIONE “orengi daidaiiro”, l’armonia di Nara
L’arancione simboleggia armonia e creatività, le stesse caratteristiche che suscita Nara, una delle città più antiche del Giappone di cui è stata capitale. Il tempio Todai-ji custodisce al suo interno una colossale statua in bronzo di Buddha, che diede un’enorme importanza a questo colore, scegliendolo per il suo abito, a simboleg-

giare una vita priva di piaceri. Come sfondo a così tanta sacralità, c’è il bellissimo parco, culla paesaggistica dei famosi cervi Sika di Nara.
BEIGE, i tetti in paglia di Shirakawa-go
Questo villaggio adagiato nel cuore delle montagne è costituito da casette ricostruite in stile gassho-zukuri, particolari costruzioni in legno con un caratteristico tetto di paglia beige, che rendono il paese patrimonio UNESCO. La resistenza della paglia, combinata con la forma del tetto, fa sì che possano resistere alle nevicate invernali. Questa valle incantata riempie gli occhi di bellezza con i magnifici colori della sua natura. Quando cala la sera, le stradine si svuotano, i negozietti di souvenir chiudono e il buio della notte con il suo cielo stellato rende l’atmosfera magica.


Per saperne di più
Giappone in generale
Come arrivare
Voli diretti da Milano e da Roma di ITA www.ita-airways.com); da Milano di Japan Airlines (www. jal.co.jp/it/it) e (All Nippon Airways (www.ana.co.jp/it/it) con scalo a Tokyo e a Osaka. Voli da Milano, con scalo a Pechino o a Shanghai, a prezzi competitivi, di Air China (www.airchina.it) e China Eastern Airlines (https:// it.ceair.com/it).
Dove dormire
Vi sono moltissimi alberghi, confortevoli e per tutte le tasche, quasi tutti con spazi contenuti. Il Ryokan è la tradizionale locanda giapponese che offre un’esperienza culturale unica, con caratteristiche come pavimenti di tatami, letti futon, bagni termali e cucina kaiseki.
Esistono diverse opzioni di livello internazionale, dai grandi resort ai rifugi in ville private, a prezzi medi e elevati.
Negli hotel a Capsule lo spazio per gli ospiti è ridotto alla dimensione di un blocco modulare in plastica di circa 2 m di lunghezza per 1 m di larghezza e 1,25 m di altezza, spesso includono un televisore e altre apparecchiature per l’intrattenimento elettronico. Economici. Per chi non soffre di claustrofobia.
E’ facile anche trovare su Airbnb una sistemazione accogliente a prezzi contenuti. Gli appartamenti sono quasi sempre minuscoli, ma dotati di ogni confort.
Come spostarsi
I treni sono il fiore all’occhiello del Giappone che possiede un’ottima, capillare e efficien-
te rete ferroviaria (JR-Japan Railways, https://global.jr-central.co.jp/en/) su tutto il suo territorio.
Super noti sono gli Shinkansen (treni proiettili) che possono raggiungere anche i 400 km orari. Questa è l’opzione più veloce (ma più costosa) sulle lunghe distanze, mentre per spostamenti locali e regionali sono disponibili treni locali, metropolitana e autobus.
Il Japan Rail Pass (www.jrailpass.com) dà l’accesso illimitato ai mezzi di trasporto e permette di viaggiare facilmente e rapidamente su lunghe distanze in tutto il paese ovunque con un unico biglietto. Consente di non andare in biglietteria e risparmiare tempo sullo Shinkansen. Vale la pena acquistare il JR Pass (che è abbastanza costoso) solo se si vuole visitare il più possibile le principali città e le maggiori attrazioni del Giappone.
Info pratiche
sulle località
Tokyo
Dove mangiare
L’offerta gastronomica della capitale è infinita, strepitosa e per tutte le tasche. Consigliabile scegliere i ristoranti degli yokocho, tipici vicoli di street food, come quello di Ameyoko, vicino alla fermata della metropolitana di Ueno, dove è stata girata la serie Netflix Tokyo Stories. Nella Tower Plaza de Azabudai Hill per chi ama la cucina giapponese d’autore ci sono i ristoranti Takao (https://tempura-takao. jp/), che prepara ottimi piatti di tempura, e Ramen Rage (www. tablecheck.com/it/menson-rageazabudai), considerato uno dei migliori ristoranti di ramen della città.
Info
Ufficio del turismo. A Tokyo: Jnto, www.japan.travel/en/plan/ tic-tokyo/.
A Milano: Ferdeghini Comunicazione S.r.l., Viale San Michele del Carso, 11, www.ferdeghinicomunicazione.it
Hakone
Come arrivare
Facilmente raggiungibile da Tokyo in treno (circa 2 ore) o in bus (2 ore e 20 minuti).
Info: www.hakone-japan.com.
Kyoto
Come arrivare: è perfettamente collegata con la capitale sia in treno (2,20 h) sia in autobus (7,26 h).
Info
Vi sono due uffici del turismo nella stazione centrale: www.japan. travel e www.tourist-informationcenter.jp/kansai/en/kyoto/
Nagoya
Come arrivare
In treno da Tokyo (da 1.40 h) e da Kyoto (da 37 minuti).
Info: Nagoya City Tourist Information Center, Kanayama, Oasis21, Nagoya Station, www. nagoya-info.jp.
Nakasend Trail
Come arrivare
Nakasendo si può raggiungere in treno o con l’autobus autostradale. Con lo Shinkansen si va a Nagoya poi si prende il treno espresso JR Shinano. La passeggiata tra Magome e Tsumago dura dalle 2 alle 2 ore e mezza. I cartelli sono in inglese e in giapponese, inoltre sono disponibili servizi di invio bagagli.
Info Magome Tourist Information Center, www-kiso-tajimaya-com.
Naoshima
Come arrivare
L’isola è accessibile da due porti: il porto di Miyanoura sul lato ovest dell’isola e il porto di Honmura sul lato est.
I traghetti per l’isola di Naoshima partono dal porto di Takamatsu a Kagawa e dal porto di Uno a Okayama.
Info
Naoshima Travel information, www.naoshima-net.
Matsue
Come arrivare
Sorge sulla costa del Mare del Giappone ed è ad un’ora di aereo e a 6 ore di treno da Tokyo.
Info
Visit Matsu, www.visit-matsue.com
Iwakuni
Come arrivare
Si raggiunge con un’ora di autobus da Hiroshima.
Info. Ufficio del turismo nella Iwakuni Train Station, vicino alla biglietteria, www.kankou-iwakuni-city-net.
Koya-san
Come arrivare
Si arriva in un paio d’ore di autobus da Kyoto. Partendo invece dalla stazione Namba di Osaka i tempi sono simili, ma ad Hashimoto si cambia treno e si prende quello per Gokurakubashi.
Di qui, per salire sulla montagna, si utilizza una funicolare.
Info
Visit Koyasan, www.koyansan.net.
Yokohama
Come arrivare
Da Tokyo con la metro e il treno in 49 minuti.
Dove mangiare: Manchinro, 153
Yamashitacho, www.manchinro. com, ottima cucina cantonese. Jukeihaten Shinka, 77 Yamashitacho, infuocati i piatti della sua cucina di Szechuan.
Info
Ufficio del turismo e dei congressi, www.businesswire.com
Kanazawa
Come arrivare
Il treno è il miglior mezzo di trasporto per raggiungere Kanazawa da Tokyo (2.30 h), Kyoto (2 h), Osaka (2.30 h).
Dove dormire
Hyatt Centric, 1-5-2 Hirooka, www.hyattcentrickanazawa.com. Hotel a 5 stelle, il più moderno e lussuoso albergo della città, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, dispone di ampie camere dotate di ogni confort. Laboratori
Kenrokuen Tea Ceremony Experience, Kenrokuen Park, www. kenrokutei.com/tea-ceremony-en Kinpakuya Sakuda Gold Leaf Shop and Workshop, 1-3-27 Higashiyama, www.goldleaf-sakuda.jp
Nosaku Lacquerware, 1-1-60 Hirosaka, www.nosaku1780-jp
Higashiyama Shitsurae, 1-13-24 Higashiyama, www.enkanazawa. hakuichi.co.jp
Kutani Pottery Kosen, 5-3-Nomachi, www.kutanikosen-com
Kaga-Yuzen Kimono Center, 8-8 Koshomachi, www.kagayuzen.or.jp
Masahisa Shijimaya, 1-17-28 Yayoi, www.kabura.jp/contents/en Musei. Yasue Gold Leaf Museum, 1-3-10 Higashiyama, www.kanazawa-museum.jp
Dolls Museum, 2-24-1 Nomachi, www.dollsmuseum.jp
Ninja Weapon Museum, 2-26-1 Nomachi, www.ninjaweaponmu-
seum.jp
Museo d’Arte Contemporanea XXI Secolo, 1-2-1 Hirosaka, www.kanazawa21.jp
Info
Centro di Informazioni Turistiche nella Stazione Ferroviaria, www.kggn.jp/en/services/. Visit Kanazawa, visitkanazawa.jp/en.
Osaka
Come arrivare
La città è servita dagli aeroporti internazionali di Osaka e da quello del Kansai. Con le due sue grandi stazioni ferroviarie, dove confluiscono anche le linee della estesa rete metropolitana, è un nodo ferroviario importante.
Info
Osaka Tourist Information Center, Kita Ward, Umeda, 3 Chome-1-1, nella Stazione ferroviaria principale della città, https:// osaka-info.jp/.
Hiroshima
Come arrivare
Voli quotidiani per le maggiori località del paese. L’aeroporto è a 40 km a est di Hiroshima ed è collegato alla stazione ferroviaria da un servizio di autobus. Treni giornalieri per Osaka, Kyoto e Tokyo.
Info
Ufficio Turistico nella stazione ferroviaria vicino all’uscita sud, www.pref.hiroshima.lg.jp. Cosa mangiare
Ottima cucina locale. Fornisce la maggior parte delle ostriche giganti del Giappone. L’okonomiyaki di Hiroshima è più leggero nella pastella rispetto a quello di Osaka. Include noodles yakisoba (spaghetti di grano fritti) ed è spesso condito con le famose ostriche.


