Ebook ita la pista di sabbia

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Non era cchiù fìmmina, ma squasi un cavaddro. Si era mittuta a quattro zampe, ma gli zoccoli alle mano e ai pedi erano chiaramente finti, fatti d'osso, tant'è vero che li tiniva 'nfilati ai pedi come se erano pantofole. Aviva sella e briglie. «Montami, dai» arripitì. Lui montò e quella partì al galoppo che parse un furgarone. Putupum, putupum putupum... «Ferma! Ferma!». Ma quella si misi a curriri cchiii forte. A un certo momento s'attrovò caduto 'n terra, col pedi mancino 'mpigliato nella staffa e la cavaddra che nitriva, no, arridiva arridiva arridi va... Po' la cavaddra-fìmmina di 11 colpo sgonocchiò supra le zampe anteriori con un nitrito e lui 'mprovisamente libero, sinni scappò. Non arriniscì ad arricordarisi altro, manco sforzannosi. Raprì l'occhi, si susì, anno alla finestra, spalancò le persiane. E la prima cosa che vitti fu un cavaddro, stinnicchiato di fianco supra la rina, immobile. Per un momento strammò. Pinsò di stari continuanno a sognare. Po' accapì che la vestia supra la rina era reale. Ma come mai quel cavaddro era vinuto a moriri davanti alla so casa? Sicuramente, quanno era caduto, doviva aviti fatto un debole nitrito, bastevole a fargli inventare, nel sonno, il sogno della fìmmina-cavaddro. Si sporgi dalla finestra per vidiri meglio. Non c'era anima criata, il piscatore che ogni marina dai paraggi si partiva con la varcuzza era oramà un puntino nlvuro al largo. Supra la parte dura della rina, quella cchiù vicina al mare, gli zoccoli del cavaddro avivano lassato 'na serie d'impronte delle quali non si vidiva il principio. Era vinuto da lontano, il cavaddro. S'infilò alla lesta i cazùna e 'na cammisa, raprì la porta-finestra e dalla verandina scinnì nella spiaggia. Quanno fu vicino all'armalo e lo taliò, vinni assugliato da una botta di raggia incontenibile. «Bastardi!». La vestia era tutta 'nsanguliata, gli avivano spaccato la testa con qualichi spranga di ferro, ma tutto il corpo portava i segni di una vastoniatura longa e feroci. 12 qua e là c'erano profunne ferite aperte, pezzi di carne che pinnuliavano. Era chiaro che a un certo momento il cavaddro, martoriato come s'attrovava, era arrinisciuto lo stisso a scappati e si era mittuto a curriri alla disperata fino a quanno non ce l'aviva fatta cchiù. Era accussì arraggiato e sdignato che se avesse avuto tra le mano uno di quelli che avivano ammazzato il cavaddro, gli avrebbe fatto fari la stissa fine. Si misi a seguire le orme. Ogni tanto s'interrompivano e al loro posto supra la rina c'erano i segni che la povira vestia era sgonocchiata, inginocchiandosi con le zampe di davanti. Camino per squasi tri quarti d'ora e finalmenti arrivò nel loco indove avivano massacrato il cavaddro. La superficie della rina qui, per il violento trippistio che c'era stato, aviva formato come 'na speci di pista da circo ed era segnata da orme di scarpe che si sovrapponevano e dai segni degli zoccoli. Sparsi torno torno c'erano macari 'na corda longa e spezzata, quella con la quale avivano tinuto la vestia, e tri spranghe di ferro macchiate di sangue asciucato. Accomenzò a contare le impronte delle scarpe e non fu 'na cosa facile. Arrivò alla conclusione che ad ammazzare il cavaddro erano state massimo quattro pirsone. Ma altre dia avivano presenziato allo spettacolo stannosene ferme ai bordi della pista e ogni tanto fumannosi qualichi sicaretta. Tornò narrè, trasì 'n casa e chiamò il commissariato. «Pronti? Questo è il... ». 13 «Catarella, Montalbano sono». «Ah dottori! Vossia è? Che fu, dottori?». «C'è il dottor Augello?». «Ancora manchevole è». «Se c'è Fazio, fammici parlare».


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