V.I.A. Volutamente Insediati Altrove

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V.I.A.



VOLUTAMENTE INSEDIATI ALTROVE di Naima Faraò



indice 08 intro

DOCUMENTAZIONE 14 natura 16 comune / comunità 18 ecovillaggio VIAGGIO 22 1970.1 km 24 Damanhur

Comunità Esoterica

38 Olat

Ri-abitanti Neorurali

44 Granara

Ecovillaggio sperimentale

56 Amusa Quidesso La terra liberata

62 Zappatori senza padrone Piambaruccioli e Tra Fossi con un gallo nello zaino

72 Popolo degli Elfi La confederazione dei villaggi elfici

80 Rainbow Gathering

Anarchia tribale, ovunque nel mondo

82 Tribù delle Noci Sonanti La ricerca dell’autosufficienza

ALLEGATI 100 conclusioni

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V.I.A. (Volutamente Insediati Altrov alla scoperta di un’Italia alternati è un progetto artistico che docu di coloro che hanno scelto di v natura, fuori dalle dinamiche so dell’esistenza di gruppi di perso quotidiano originale e differe mentali ed economici imposti da V.I.A. è anche una piccola guida uno stile di vita diverso e hanno per un attimo, dai conformismi d

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ve), è un viaggio lungo 1970.1km iva, che si mimetizza tra i boschi. umenta i luoghi di insediamento vivere a stretto contatto con la ociali attuali; una testimonianza one capaci di immaginarsi un nte, libero dai condizionamenti al sistema dominante. a per coloro che sono attratti da o voglia di liberarsi, anche solo della società di oggi.

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intro

Esistono modelli alternativi a quello della società contemporanea? Realtà che cercano di sfuggire ai condizionamenti mentali ed economici che ci vengono imposti in un’epoca in cui si tende ad eliminare le diversità, mirando ad una falsa unità culturale? è possibile sfuggire al flusso narrativo del sistema sociale contemporaneo? Queste domande sono state il punto di partenza di un viaggio alla ricerca di coloro che hanno fatto una scelta: non sottostare alle dinamiche del sistema attuale. In un momento storico caratterizzato da anni di disimpegno e omogeneizzazione del pensiero, si fa sentire sempre più forte la necessità della ricostruzione di un senso civico, di un senso di responsabilità e di connessione tra coloro che stanno cercando di dare una risposta seria e coraggiosa al nostro mondo di sprechi. In una società sempre più individualistica, protagonista di una progressiva degenerazione del suo panorama politico, economico e sociale, vi è la presenza di alcune realtà che hanno optato per la creazione di modelli alternativi a quello dominante. In questa direzione si muovono coloro che stanno tentando di restituire agli individui la capacità di immaginare il futuro, rispondendo con azioni concrete alla crisi economica, culturale ed ambientale che caratterizza i nostri tempi. Si sta formando una nuova coscienza, una nuova visione del mondo dove prevale un senso di rispetto verso l’individuo, la vita, le relazioni e l’ambiente. La consapevolezza del fatto che le risorse sono limitate ed è necessario un cambiamento nel nostro stile di vita e nella pratica quotidiana di ogni singola persona. Alla società consumistica che spinge verso un benessere fittizio e irresponsabile, si oppone un forte senso di responsabilità verso tutto ciò che ci circonda. Se da un lato vi è la presenza di un modello di sviluppo che continua a trascinare incessantemente verso il progresso, dall’altro vi è un proliferare di realtà diverse, ognuna con le sue specificità e caratteristiche, che sperimentano stili di vita comunitari, sostenibili e cooperativi. Veri e propri laboratori

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di sobrietà attuale alla cui base vi è il pensiero secondo cui l’uomo sul pianeta è un ospite e quindi deve averne cura. In questo scenario esistono persone che hanno scelto la semplicità al posto del conformismo, decidendo di vivere in maniera collaborativa usando molto le mani e poco il denaro. Lontano dalla modernità ma vicino alla Terra. Secondo loro per “guarire” il pianeta è necessario partire da sé stessi e il primo passo è liberare il proprio tempo, la vera ricchezza che abbiamo a disposizione. Si tratta di realtà che mirano ad essere autonome, autosufficienti e che muovendosi in un’ottica libertaria, rispolverano e rendono attuali tutti quegli ideali per cui si era tanto lottato a partire dalla metà degli anni sessanta. Realtà che investono il proprio tempo nella ricerca di un presente autosufficiente e un futuro migliore per le nuove generazioni. Un vero e proprio esodo di persone, che si protrae dalla fine degli anni settanta, ma che oggi è presente più che mai. Veri e propri rivoluzionari che hanno scelto di ritornare alla terra raggiungendo quei luoghi abbandonati dal moderno e diventandone i ri-abitanti. Gruppi di persone che hanno scelto di vivere in libertà sottraendosi il più possibile dalle logiche di una società malata; di vivere sulla terra, con la terra e per la terra, senza padroni. Spostarsi lontano dalla città e seminare sogni. Superare dei confini mentali tracciati da una visione comune diffusa. Lasciare tutto (che poi effettivamente ci si chiede cosa sia questo “tutto”) per uno stile di vita allo stesso tempo nuovo e antico, perché per una volta l’avanguardia risiede nel passato. Un ritorno alle cose semplici tra cui mangiare sano, scambiarsi favori, barattare, dedicarsi all’orto e praticare vecchi mestieri, stando al di fuori di un sistema caotico, riappropriandosi della libertà di vivere sganciandosi dai fardelli esistenziali, alla ricerca di una maggior consapevolezza di sé stessi, grazie all’armonia con gli altri e con la natura. Queste sono alcune delle caratteristiche di quei progetti coraggiosi che hanno alla loro base la


sperimentazione di un quotidiano differente. La vera rivoluzione nei confronti di un sistema che ha bisogno di esercitare il suo dominio deve partire dal modo in cui si affronta il quotidiano, reagendo all’alienazione dell’individuo e all’emarginazione di coloro che non riescono a stare al passo con lo stile di vita imposto dal mainstream. Vivere al di fuori di schemi comuni autogestendo le proprie risorse è possibile. Esistono delle zone, dei buchi, delle falle, dei vuoti dove il potere non riesce ad imporsi e non ha alcuna percezione della sua assenza. Queste zone Hakim Bey le definiva TAZ, Zone Temporaneamente Autonome, aree liberate dal capitalismo globalista che mirano ad una continua ricerca di nuove e soddisfacenti possibilità di organizzazione umana. Luoghi in cui l’orizzontalità delle relazioni interpersonali sostituisce le gerarchie che caratterizzano la società nella quale viviamo, dichiarando l’allontanamento dalle necessità indotte dai condizionamenti del sistema. Oggi le TAZ sono permanenti, sono le nuove forme dell’abitare e le nuove maniere di aggregarsi che mirano alla creazione di realtà alternative per sfuggire ai condizionamenti mentali ed economici che ci vengono imposti in un’epoca in cui si tende ad eliminare le diversità, mirando ad una falsa unità culturale. Gli esperimenti di vita alternativa sono forme di sovversione che incarnano pratiche di organizzazione differenti. Comuni, Comunità, Ecovillaggi, insediamenti Neo-Rurali, sono la testimonianza del fatto che un’alternativa è possibile. Gruppi di persone, piccoli o grandi, che per scelta vivono fuori dagli schemi condividendo spazi e tempo. Un insieme di persone eterogenee che ricercano e concretizzano uno stile di vita diverso, più naturale e sostenibile dove tra gli ingredienti principali vi sono la determinazione, i sogni e l’essenzialità. In queste realtà si fondono tra loro diverse aspirazioni, stili di vita, motivazioni, esperienze, conoscenze pratiche ai fini di ridurre i consumi, di non dipendere dal mercato

ed essere autosufficienti. Sono veri e propri territori di sperimentazione diffusi a macchia d’olio su tutto il suolo Italiano. Un fenomeno straordinario che pone l’accento sulla relazione tra spazio e collettività, caratterizzata da un continuo scambio reciproco. I protagonisti di queste realtà sperimentano un fare comune partecipato basato sullo sviluppo sostenibile e sulla decrescita. Sono persone affiatate, entusiaste, piene di creatività ed energia. La loro non è assolutamente una fuga, è una scelta. Partono dal recupero di case e strutture, utilizzando tecniche ecosostenibili e materiali naturali o riciclati, per ristabilire una connessione sana con la natura. Alcuni mantengono un contatto con la città, altri cercano di allontanarsene il più possibile. Scelgono uno stile di vita condiviso, mostrando la possibilità di vivere felicemente e in maniera produttiva promuovendo valori come il rispetto, la sostenibilità, l’uguaglianza, la cooperazione, la compartecipazione, la fiducia, la creatività, la non violenza e l’ecologia. Uno stile di vita alternativo comporta prima di tutto prendere decisioni riguardanti la cura e l’educazione dei figli, la gestione dei consumi e delle risorse naturali e capire in che modo e in che misura far entrare la tecnologia nella pratica quotidiana. Nei confronti di quest’ultima vi sono infatti punti di vista differenti. Alcuni, con posizioni molto rigide, manifestano il loro totale dissenso nei confronti di questa disciplina, rifiutandola ed escludendola quasi totalmente; mentre altri ne vedono comunque i lati positivi e scelgono di adottare quelle forme che non incidono negativamente sull’ambiente e non comportano uno spreco di risorse umane. Tutte queste esperienze mirano al raggiungimento di un alto livello di autosufficienza, di libertà politica e solidarietà sociale attraverso l’agire collettivo e condiviso e l’eliminazione di ogni forma di gerarchia. Forse, più che domandarsi se al giorno d’oggi è fattibile vivere al di fuori del sistema, sarebbe meglio chiedersi se vale ancora la pena continuare a viverci dentro. 9




DOCUMENTAZION


L’esigenza di aggregarsi e creare un progetto di vita comune ha portato molte persone, nel corso della storia, ad allontanarsi dal contesto sociale e culturale d’origine, per dare vita a nuove comunità caratterizzate da un insieme di valori condivisi. A partire dalla metà degli anni sessanta nel mondo occidentale si è verificata un’ondata di movimenti sociali spontanei che ha spiazzato sin da subito le istituzioni, dando inizio ad un cambiamento sociale e culturale i cui effetti sono evidenti ancora oggi; un proliferare di movimenti nei quali erano coinvolti soggetti sociali differenti uniti tra loro da un grande obiettivo: contestare il presente. Accomunati dal rifiuto verso i modelli sociali esistenti sono riusciti ad apportare dei cambiamenti nella sfera familiare, sessuale, culturale e del potere, che sono ancora attuali. Questo tipo di clima sociale ha posto le basi per la nascita del movimento comunardo moderno. Movimento che in parte ha preso spunto dalle prime comunità utopistiche della metà del XIX secolo, vere e proprie forme di sperimentazione di nuovi modi di fare società. Le comuni, sviluppatesi prima in America e successivamente anche in Europa, erano dei luoghi in cui giovani rivoluzionari mettevano in atto modelli alternativi alla società, superando il concetto di famiglia tradizionale e quello di proprietà privata. Alcune agricole, altre urbane, le comuni erano realtà in cui confluivano singoli e coppie con o senza figli che si insediavano in uno stesso luogo, vivevano insieme condividendo spazi, tempo e ideologie; mettendo in comune le loro conoscenze, l’educazione dei loro bambini e i loro beni, autogestivano il loro vivere quotidiano secondo processi decisionali comuni privi di verticalità. Negli anni settanta cominciò a diffondersi la necessità di un ritorno alla natura. L’uomo era visto come parte integrante del mondo naturale e acquisiva sempre di più la coscienza del fatto che le risorse della terra fossero limitate. Per questi motivi in molti si trasferirono dalla città alla campagna, ricercando uno stile di vita semplice e rispettoso nei confronti della natura. Molto radicali nelle loro posizioni, coloro che facevano questo tipo di scelta, agivano in un’ottica di autoproduzione per raggiungere l’autosufficienza alimentare; volevano dipendere il meno possibile dal sistema dominante. Nel corso del tempo la geografia delle realtà comunitarie è stata soggetta a un’evidente evoluzione caratterizzata da molte trasformazioni; alcune realtà sono scomparse del tutto, altre sono nate, altre ancora continuano ad esistere anche oggi. L’esperienza comunitaria odierna si presenta come una realtà molto viva, in continua espansione e alla ricerca di nuove forme dell’abitare quotidiano. Alle esperienze più radicali e ideologiche si sono affiancati gli ecovillaggi; anch’essi manifestano una rottura nei confronti del sistema sociale ma con un orientamento prettamente ecologico/ambientale. Le comuni di oggi si presentano come tentativi di una nuova forma di vita collettiva concreta e alternativa. Rispetto a quelle del passato sono più aperte al confronto con la realtà che le circonda e uniscono tra loro individui e gruppi di estrazione sociale e politica diversa. Nascono dall’incontro di persone affini che cercano modi differenti di vivere la sfera quotidiana delle relazioni e si propongono obiettivi lontani da quelli della società consumistica, attuando un modello di vita nuovo e possibile.


natura “[…] vivevo da solo, nei boschi, a un miglio di distanza dal più prossimo vicino, in una casa che mi ero costruito da me sulle rive del lago Walden […] mi guadagnavo da vivere con il solo lavoro delle mie mani […] Non possiamo accettare nessuna maniera di pensare o di agire senza averla precedentemente sperimentata […] la vita è un esperimento […] Molti lussi e molte delle comodità della vita sono non solo inutili ma addirittura effettivi intralci alla elevazione morale dell’uomo […] i più saggi hanno sempre condotto una vita più semplice e grama di quella dei poveri […] Quando andai al lago Walden, il mio scopo era […] di condurvi una vita […] nella maniera più libera […] c’era abbastanza pascolo per la mia immaginazione […] Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita […] Semplicità, semplicità, semplicità! […] Agli occhi dei miei concittadini, questo mio modo di vivere appariva senza dubbio, estremamente ozioso […] il giorno naturale è molto calmo […] Vado e vengo nella Natura con una strana liberà e sono parte di essa […] Che dovrò imparare dai fagioli, o che cosa impareranno essi da me?”. H.D Thoreau, “Walden, ovvero vita nei boschi”,BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 1997

“Ormai avevo ben chiaro nella testa che ero un altro rispetto allo stato e alla società e non volevo averci a che fare, mi ero inselvatichito [...]”. Matteo Guarnaccia, Underground Italiana, Shake Edizioni, 2011 p.110

“Esiste sempre di più il pericolo che non ci si accorga della degradazione ambientale a cui stiamo volgendo e che si cerchino soluzioni tecniche o di gestione, o di semplice politica diversa delle risorse. Ci si chiede quanto disagio ecologico possiamo sopportare, ma la ricerca deve passare da ciò che profondamente desideriamo. L’ecologia deve essere nello stesso tempo mentale, sociale e ambientale o non sarà nulla, o comunque poco”. Felix Guattari “Le tre ecologie”, 1989

“Il tema del ritorno alla terra costituisce infatti il leit-motiv di molte delle comuni anni ’60,’70-negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa Occidentale. All’impossibilità di una vita urbana […] si risponde con la fuga nei boschi ispirata, ancora una volta, al Walden di Thoreau [...] Appare chiara [...] l’esigenza [...] di una vita più sana, che si esprime tramite l’invito ad un ritorno alla terra e a una dieta naturale [...] una vita diversa, più autentica [...]”. AAVV, “Vivere insieme! - il libro delle comuni”, Arcana editrice, Roma 1974

“La natura non sarà più ridotta a puro simbolo del naturale, ma parte integrante di ogni aspetto dell’esperienza umana”. Murray Bookchin, I limiti della città, ed. Feltrinelli, Milano 1975

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“Propongo di chiamare Terzo paesaggio [...] un territorio di rifugio per la diversità [...] un territorio per molte specie che non trovano spazio altrove [...] è perciò la somma dei residui - sia rurali sia urbani e dell’‘incolto’: comprende il ciglio delle strade e dei campi, i margini delle aree industriali e delle città, le torbiere [...] E si estende fino ad abbracciare le ‘riserve’, quelle aree in cui la diversità biologica è particolarmente forte [...] Il Terzo paesaggio acquista una dimensione politica [...] Il mantenimento della sua esistenza [...] dipende dalla coscienza collettiva [...] è il teatro di un’evoluzione globalmente incostante [...] Il disinteresse per il Terzo paesaggio da parte dell’istituzione [...] lo rende possibile”.

“[…] Per fare questo tipo di esperienza, molto bella ma molto difficile per persone abituate alla città, è vitale essere affiatati, avere entusiasmo, creatività energia e chiarezza del significato che vogliamo dare/trarre da questa che non è una fuga ma una scelta”. AAVV, Controcultura/24, comune agricola, un manuale d’uso per vivere in campagna, ed. Savelli, Roma 1978

Gilles Clement, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, 2004

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comune / comunità “La comunità è un rapporto reciproco sentito dai partecipanti, fondato su di una convivenza durevole, intima ed esclusiva”. Ferdinand Tonnies, Comunità e società, ed. Di Comunità, 1979

“La base comunitaria risale al primo delinearsi dell’underground come «cultura alternativa». [...] Si trattò all’inizio di iniziative sparse, che dovevano però ben presto confluire in una vera e propria filosofia sociale e sfociare in un «movimento comunitario».” Mario Maffi La cultura underground, ed. Laterza, Bari 1972

“Questo è il bello della comune, ognuno è libero e spontaneo, ma deve sentirsi di appartenere alla comunità e al luogo, dove impiegare parte della sua creatività ed energia per il benessere collettivo, per la crescita in tutti i sensi. Altrimenti non funziona. “Nella Valle degli Elfi, intervista a Mario Cecchi a cura di Giuseppe Moretti”, Lato Selvatico n°35, 2009

“Josiah Warren (padre dell’individualismo anarchico) era “convinto che il modo migliore di trasformare la società consisteva nell’insegnare a uomini e donne a vivere insieme in perfetta amicizia e comunità d’interessi (comunità cooperativa)” AAVV, “Vivere insieme! - il libro delle comuni”, Arcana editrice, Roma 1974

“[…] bisogna cominciare con l’eliminare la frammentazione dell’individualità, in questo senso la comune è un progetto nel quale si tenta di realizzare l’optimum delle relazioni interumane […] le comuni sono un mezzo per trasformare l’aspetto negativo dell’ego -frutto dell’educazione borghese- in coscienza collettiva.” Il progetto della «comune» nei suoi aspetti politico, economico, sessuale così come descritto dalla «stampa underground europea» da “Hit”, Milano n.3-maggio 1971 in AAVV, “Vivere insieme! - il libro delle comuni”, Arcana editrice, Roma 1974

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“Le associazioni del XIX secolo erano numericamente più rilevanti, avevano principi rigidi ed erano formate soprattutto da contadini e operai. Le comunità nuove sono più flessibili e aperte. Il movimento è un miscuglio […] di tendenze diverse […] Le nuove microsocietà […] si stabiliscono lontano dai centri abitati […]”. R. Creagh , Laboratori d’utopia, ed. Elèuthera, Milano 1987

“[...] i pianificatori di nuovo tipo cercano soprattutto di stabilire un rapporto fra il progetto e le possibilità di serenità personale, di relazioni sociali diversificate, di modi organizzativi non gerarchizzati, di soluzioni di vita in comune [...]”. Murray Bookchin, I limiti della città, ed. Feltrinelli, Milano 1975

“il processo di formazione del movimento comunitario […] è scivolato dalla città alla campagna […] si espresse dapprima in un tentativo di creare all’interno della città stessa una realtà ad essa alternativa, nella forma della free city […] e poi nell’abbandono del territorio urbano per una appropriazione della diversa dimensione esistenziale dell’ambiente rurale tramite il ritorno alla terra: back to nature”. “ Si può affermare che il comunitarismo è [...] un fenomeno rurale”. AAVV, “Vivere insieme! - il libro delle comuni”, Arcana editrice, Roma 1974

“Una comunità è un aggregato territoriale di uomini”. Arthur Hillman, “Organizzazione e pianificazione delle comunità”, ed. di Comunità, Milano 1953

“La comune non può essere un punto di partenza, ma un obiettivo che si può raggiungere solo dopo aver sperimentato stadi intermedi […] La comune: un punto di arrivo”. op. cit. RE NUDO/18 in: Andrea Valcarenghi, Underground: a pugno chiuso, Arcana editrice, Roma 1973


“L’esigenza di aggregarsi sul criterio dell’affinità, collettivizzando i propri averi o più semplicemente investendo in un progetto di vita comune, per quanto minoritaria è molto antica ed oggi, nel tessuto sociale di metropoli inquinanti ed inquinate, sta affascinando un numero crescente di persone. Ha dato vita a […] comunità (chiamate spesso anche comuni) […] degli habitat prediletti per “aspiranti rivoluzionari”, “apprendisti mistici” e “poeti del quotidiano”. “Comunità alternative”, luoghi di sperimentazione

di una socialità altra da quella comunemente condivisa […] Cosa può aver spinto persone eterogenee, in periodi storici diversi, a fondare microsocietà autonome? […] motivazioni diverse […] un disagio a vivere nel mondo cosiddetto normale, un rifiuto, un desiderio di fuga. Ma non si tratta solo di questo […] è la ricerca di una migliore qualità della vita e la realizzazione di una pace interiore”. Manuel Olivares, Comuni, comunità ed eco villaggi in Italia, Malatempora, Roma 2003

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ecovillaggio

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“Il termine ecovillaggio è un neologismo mutuato dall’anglosassone “eco-village”, coniato per la prima volta da Robert e Diane Gilman che per primi utilizzarono tale termine nel volume Eco-villages and Susteinable Communities (edizioni The Gaia Trust, 1991). Qualche anno più tardi fu fondato il Global Ecovillages Network (GEN), una rete internazionale, cui aderiscono ecovillaggi presenti in tutti i continenti, e nel 1995, con il primo meeting ospitato nella storica comunità di Findhorn, in Scozia, il movimento degli ecovillaggi ricevette il suo battesimo ufficiale. La traduzione letterale del termine inglese non fa giustizia del significato più profondo del termine che forse sarebbe più corretto tradurre con “comunità intenzionale ecosostenibile”, questo perché quando si parla di ecovillaggio si intende una comunità caratterizzata da due elementi fondamentali: intenzionalità ed ecosostenibilità”. Mimmo Tringale, “Ecovillaggi: cantieri per un mondo migliore”, 2006 http://www.aamterranuova.it/article1371.html

“Per la Fellowship for Intentional Communities (FIC) […] una comunità intenzionale è: un gruppo di persone che hanno scelto di lavorare insieme con l’obiettivo di un ideale o una visione comune. La maggior parte delle comunità, anche se non tutte, condividono la terra o l’abitazione. Le comunità intenzionali possono essere di dimensioni e struttura organizzativa tra le più varie, così come i valori fondanti che possono essere: sociali, economici, spirituali, politici e/o ecologici. Possono essere rurali o urbane […] Alcune sono laiche, altre di tipo spiccatamente spirituale […]”. Mimmo Tringale, “Ecovillaggi: cantieri per un mondo migliore”, 2006 http://www.aamterranuova.it/article1371.html

“L’ecovillaggio è un tipo di comunità basata esplicitamente sulla sostenibilità ambientale. I principi di questo tipo di comunità secondo l’ecologo ed agronomo australiano David Holmgren (che ne è uno dei maggiori teorici) sono i seguenti: • adesione volontaria dei partecipanti e condivisione dei principi fondanti; • nuclei abitativi progettati per ridurre al minimo l’impatto ambientale; • uso di energie rinnovabili; • autosufficienza alimentare basata su permacultura o altre forme di agricoltura biologica”. Definizione ecovillaggio wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Ecovillaggio

“L’ecovillaggio rappresenta dunque un importante momento di sintesi di due istanze che, nei secoli, si sono affermate come antidoto all’alienazione urbana: il ritorno al materno grembo naturale e la vita in piccoli gruppi possibilmente affiatati, cioè la scelta, l’intenzione, di essere comunità”. Manuel Olivares, “Storia del fenomeno comunitario” http://www.viverealtrimenti.com/storia-del-fenomeno-comunitario-2/

“Un ecovillagio può essere considerato un centro abitato moderno dove l’uomo vive in armonia e cooperazione con la natura, sperimentando nuove tecnologie e nuove abilità per creare un modo di vivere più sostenibile, pacifico e diverso […] è un luogo ricco e diversificato dove le necessità della vita quotidiana possono essere soddisfatte recando benefici sia all’individuo sia alla comunità”. GEN (Global Ecovillage Network) http://www.mappaecovillaggi.it/article8465.html

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VIAGGI



1970.1km Prendendo spunto dal lavoro dei due attivisti francesi, John Jordan e Isabelle Fremeaux, intitolato Les Sentieres de L’Utopie, mi sono messa in viaggio alla ricerca di quelle realtà alternative di cui ho tanto sentito parlare ma che non ho mai avuto modo di esplorare di persona. Mi ha sempre affascinato l’idea dell’esistenza di luoghi altri, immersi nella natura, abitati da persone che hanno scelto la semplicità, la tranquillità e la lentezza al posto della frenesia cittadina; un modo di vivere il quotidiano organizzando il tempo collettivamente.

In seguito ad un intenso lavoro di documentazione ho pensato che la ricerca teorica necessitasse di un risvolto pratico: dovevo mettermi in viaggio per poter stabilire delle connessioni, anche se piccole, con queste realtà. Dopo aver contatto alcuni abitanti dei luoghi che ritenevo interessanti ai fini della mia ricerca, ho creato un primo itinerario che è stato oggetto sin da subito di alcune modifiche. Questo è accaduto perché nel corso della mia esperienza ho potuto notare come queste realtà fossero strettamente connesse tra loro. Tutti conoscono tutti, indipendentemente dal fatto che si trovino a centinaia di chilometri di distanza. Vi è una vera e propria rete, un’organizzazione informale di persone che stanno sperimentando, chi da più e chi da meno tempo, modalità alternative di vita. Alcuni di loro non si sono neanche mai incontrati di persona, ma si conoscono grazie al grande numero di “nomadi” che si spostano tra una realtà e l’altra trasportando notizie e scambiando conoscenze. Per questi motivi, insieme a mio fratello, compagno di viaggio, ci siamo spesso trovati a ricoprire il ruolo di “piccioni viaggiatori”, portando messaggi da una parte all’altra dell’Italia. Spesso erano gli abitanti stessi delle realtà che visitavamo a suggerirci quella che sarebbe stata la nostra meta successiva. Ogni luogo aveva il suo cicerone, o comunque vi era sempre qualcuno disposto a raccontarci storie e curiosità. Condivisione e ospitalità sono state le due costanti più importanti di quest’avventura in cui molto spesso ci siamo lasciati guidare dall’improvvisazione. Si sono alternati tra loro momenti di lunghe e intense chiacchierate, di profondo silenzio e riflessione, di festa, di musica e di contemplazione della natura. Senza mai essere stati abbandonati dalla pioggia siamo entrati in contatto con un mondo parallelo, altro, che si mimetizza tra i boschi. La prima tappa del viaggio è stata la Federazione di Damanhur, una realtà nata alla fine degli anni settanta in Valchiusella, a pochi chilometri di distanza da Ivrea. Questo esperimento comunitario, ormai consolidato, si distacca di netto rispetto a tutti quelli visitati in seguito. è una realtà esoterica fortemente inserita nel territorio 22

da un punto di vista sociale, culturale e commerciale che coltiva un forte dialogo con tutto ciò che ha intorno. è una sorta di “società nella società” che cerca di proporre valori basati sulla spiritualità, sull’ambiente, sulla solidarietà e si propone come modello alternativo, scegliendo comunque di continuare a confrontarsi con il sistema attuale. Il secondo luogo dove ci siamo diretti è stata la Comune di Olat, meta inizialmente non programmata ma senza dubbio una tappa importante per approfondire il concetto di neo-ruralità. Infatti il suo fondatore, Piero, sin da subito ha voluto precisare il fatto che questa comune si inserisce all’interno del movimento neo-rurale; dal suo punto di vista, il più grande movimento informale che attualmente sta lasciando un segno nell’evoluzione dell’uomo. Successivamente, spostandoci dal Piemonte all’Emilia Romagna, abbiamo fatto tappa presso l’Ecovillaggio Granara. Qui siamo stati ospitati da Rossana e Camillo, una coppia che ama definirsi rural-punk; due mosche bianche all’interno di questo ecovillaggio attorno al quale gravitano una moltitudine di persone e associazioni, ma che quotidianamente è vissuto solo da tre famiglie, tra cui loro appunto. Granara è un vero e proprio cantiere sperimentale dove ecologia, socialità e cultura si fondono tra loro dando origine a numerose attività mirate alla sensibilizzazione dell’individuo nell’ottica di un possibile futuro sostenibile. Poi ci siamo spostati ad Amusa Quidesso, un posto magico immerso nei boschi, raggiungibile solo a piedi. Qui vive una coppia di tedeschi, Kai e Tine, che dopo una lunga ricerca ha trovato il luogo perfetto dove poter crescere i propri figli e vivere in armonia con la natura; loro hanno sempre desiderato diventare una comunità più numerosa e pare che negli ultimi tempi ci siano riusciti. La tappa seguente ci ha portati in Toscana, in quella zona dell’Appennino dove il corso d’acqua dell’Acquacheta si trasforma nella cascata citata da Dante nella Divina Commedia. In questo luogo esiste, o forse è meglio dire resiste, la comune storica degli Zappatori senza padrone, quel gruppo di rivoluzionari che negli anni settanta si insediò sulle montagne occupando le case in pietra di Piambaruccioli e Tra Fossi. Sebbene vi sia rimasto solo uno dei fondatori, Jerry, l’arrivo di alcuni giovani fa sperare di poter un giorno rivedere questa realtà viva come ai vecchi tempi. Rimanendo sempre in Toscana ci siamo diretti verso un’altra comunità storica: il Popolo degli Elfi. Estesi su gran parte dell’Appennino pistoiese gli Elfi, seppur frammentati in una trentina di villaggi, sono uniti tra loro da una visione critica nei confronti della società dell’abbondanza, alla quale rispondono con l’autogestione del tempo, del lavoro e dell’educazione. Non appena arrivati ad Avalon, il villaggio di cui siamo stati ospiti, ci siamo subito resi disponibili contribuendo alla raccolta della legna e dando una mano alla preparazione del seitan.


m

Normalmente qui vi risiedono una trentina di abitanti ma durante l’estate si raggiungono picchi di sessanta persone. Nei giorni della nostra visita la maggior parte degli Elfi si trovava al Rainbow di primavera, tappa che non potevamo farci mancare ma che abbiamo vissuto solo in parte. Infine ci siamo spinti fino a Cupramontana, non molto lontano da Ancona. Qui risiede la Tribù delle Noci Sonanti, una realtà intima e raccolta dove purtroppo abbiamo trascorso poco tempo. Tempo prezioso e sufficiente però per cogliere l’essenza di questo posto dove, nel

tentativo del raggiungimento dell’autosufficienza, risiede la ricerca della crescita interiore per arrivare ad una maggior consapevolezza di sé stessi. Ciascuna con le sue peculiarità, queste sono alcune delle realtà italiane i cui protagonisti sono persone che hanno deciso volutamente di insediarsi altrove, lontano dalla città, collettivizzando le loro esperienze nella ricerca di uno stile di vita quieto e naturale. Luoghi in cui non c’è bisogno di suonare il campanello perché la porta è sempre aperta.

DAMANHUR

ZAPPATORI SENZA PADRONE

OLAT

TRIBù DELLE NOCI SONANTI

GRANARA AMUSA QUIDESSO POPOLO DEGLI ELFI RAINBOW GATHERING

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Damanhur



comunità esoterica Damanhur, “Città della luce”, è al giorno d’oggi la comunità più numerosa presente sul territorio italiano. In continua crescita, ormai è un’esperienza consolidata nel tempo. Il suo nome fa riferimento ad un’antica città egizia omonima e racchiude in sé una sorta di misticismo che avvolge questa realtà rendendola oggetto d’interesse di numerosi studi. è situata in Valchiusella, vicino ad Ivrea ed ha un’estensione di svariati chilometri. La scelta del territorio non è affatto casuale. Proprio in questa zona si incrociano quattro linee sincroniche, flussi di energia che circondano il nostro pianeta, trasportando idee, sogni, conoscenze, modi di pensare e forme di vita. Damanhur è un’esperienza spirituale, artistica, sociale, culturale, politica conosciuta in tutto il mondo. All’inizio degli anni ’70, Oberto Airaudi detto Falco, insieme a una quindicina di persone originarie di Torino, animati da una grande passione per la ricerca nel campo delle discipline “di confine”, diedero origine al Centro Horus. Successivamente avvertirono l’esigenza di fondare una vera e propria comunità dove poter vivere insieme dedicandosi ai propri studi. Fu così che nacque Damanhur, oggi definita Federazione di Damanhur. è una sorta di microsocietà autosufficiente in armonia con la natura. Dotata di una propria Costituzione, di una propria valuta complementare, di una propria scuola e di un proprio organo giudiziario è caratterizzata da un’insieme di piccole comunità sparse nel suo territorio con una struttura sociale e politica in continua evoluzione. Damanhur secondo i suoi fondatori è un vero e proprio “esperimento sociale volto a dimostrare che solo attraverso una vita, gioiosamente mistica e comunitaria, è possibile oggi salvare l’umanità dal disastro morale ed ecologico cui l’attuale società postindustriale sta portando al nostro mondo”. Un ruolo centrale è ricoperto dalla dimensione spirituale e magica che si concretizza in momenti di ritualità più complessi, ma anche in una ricca ritualità quotidiana che contribuisce allo sviluppo del percorso di crescita individuale e collettiva del cammino damanhuriano. Un altro punto fondamentale è la sacralizzazione della natura, che si manifesta con la salvaguardia dei ritmi e degli equilibri della stessa e che porta i cittadini di Damanhur ad acquisire il nome di un animale e di un vegetale al posto di quello anagrafico. Tutto questo è affiancato da una chiara e solida organizzazione del sistema interno che fa percepire l’esistenza di un’intricata burocrazia dietro la quale è possibile cogliere la dimensione spirituale solo in un secondo momento. La base su cui poggia Damanhur è il cittadino. Esso può essere residente e quindi vivere in comunità, oppure non residente e quindi avere casa propria; questo perché quando una persona decide di entrare a far parte di Damanhur sceglie quello che sarà il suo livello di partecipazione in essa. Le aggregazioni in gruppi dei cittadini residenti prendo il nome di “nuclei comunità”, ciascuno di essi con a capo un responsabile: il reggente. Ogni nucleo comunità cerca di essere autonomo dal punto di vista del proprio sviluppo e dei propri progetti. Rappresenta il primo punto della convivenza e della condivisione. L’insieme di tutti i nuclei comunità forma la Federazione di Damanhur al cui vertice si trovano i Re Guida, generalmente tre. Sono delle figure portanti, elette ogni sei mesi, con la possibilità di rinnovare il loro incarico. Il loro ruolo è fondamentale in quanto si occupano del coordinamento della crescita dei singoli nuclei comunità, delle iniziative culturali, della politica, delle attività di volontariato, sovrintendendo a tutte le scelte di carattere generale. Un altro organo che manifesta una forte strutturazione all’interno di questa realtà è il Collegio di Giustizia. Esso ha la funzione di rappresentare la concezione damanhuriana di giustizia ovvero il punto d’incontro tra le regole condivise, i punti di vista personali e le diverse esigenze. All’interno di Damanhur esistono leggi collettive, leggi individuali e leggi “a progetto”, elementi formativi considerati uno

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strumento per crescere. Poi vi è la presenza del Senato, costituito da otto cittadini che hanno il compito di monitorare complessivamente tutte le esigenze informative e la loro comprensione da parte della popolazione. All’interno di Damanhur si utilizza una moneta alternativa, il Credito. Questo perché c’è la volontà di avere una propria economia fondata sull’idea di beni e ricchezze comuni. Damanhur è pienamente integrata nell’economia di mercato. Vi sono aree produttive e aziende damanhuriane che contribuiscono allo sviluppo di attività economiche e di servizio, settori di produzione e distribuzione. Le attività spaziano in molti settori: laboratori d’arte, ristorazione, agriturismo, consulenze informatiche, bioedilizia, editoria e ricerca terapeutica. I damanhuriani considerano il pianeta come un essere vivente da rispettare e proteggere. Damanhur è un membro del GEN (Global Ecovillages Network e della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici). E’ una realtà che promuove uno stile di vita con un impatto ambientale molto contenuto. Premiata da un’agenzia delle Nazioni Unite come modello di società ecosostenibile ha quasi raggiunto l’autosufficienza energetica. Ogni casa è provvista di pannelli fotovoltaici e solari e si occupa della cura del territorio. L’agricoltura biologica e l’autosufficienza alimentare sono da sempre un obiettivo prioritario, tant’è vero che ogni nucleo comunità è provvisto di un orto. Damanhur è impegnata nella ricerca di nuove tecniche, soprattutto in campo alimentare, per il miglioramento della qualità della vita. Nella filosofia di vita damanhuriana rientra anche la necessità di realizzare cose concrete per onorare la propria esistenza. Da qui scaturisce una continua ricerca del cambiamento, del rinnovamento delle abitudini e della voglia di produrre e investire per conseguire obiettivi comuni. E’ un continuo e quotidiano mettersi in gioco. Vivere a Damanhur significa agire, progettare e realizzare. Sognare per poi concretizzare. Tutti contribuiscono alla crescita della ricchezza collettiva. Il macro obiettivo di Damanhur è quello di essere un esempio concreto ai fini di mostrare che vi è la possibilità di creare stili di vita originali che mirano al rispetto dell’ambiente e degli altri; realtà in cui i singoli vengano apprezzati e accettati in base alle loro diversità.

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Costituzione della Federazione di Damanhur La Costituzione è la carta fondamentale che regola il Corpo Sociale formato dai cittadini di Damanhur. Il cittadino damanhuriano dedica la propria vita all’applicazione dei principi e delle finalità indicati nella costituzione che si impegna a rispettare e a osservare in tutte le sue norme. L’adesione alla cittadinanza avviene con modalità differenti, corrispondenti alle scelte e all’impegno dell’individuo. Le Comunità rappresentano la forma ideale di aggregazione e convivenza. Esse s’ispirano ai principi di solidarietà e condivisione. Le Comunità nel loro insieme si organizzano in Federazione. Alla Federazione possono aderire anche comunità o gruppi appartenenti ad altre Scuole di Pensiero purché animate dagli stessi fini. Dalla creazione di una tradizione, di una cultura, di una storia e di un’etica comuni nasce il Popolo. 1. I cittadini sono fra loro fratelli che si aiutano reciprocamente attraverso la fiducia, il rispetto, la chiarezza, l’accettazione, la solidarietà, la continua trasformazione interiore. Ognuno si impegna ad offrire agli altri ulteriori possibilità di rilancio. 2. Ogni cittadino s’impegna a diffondere pensieri positivi ed armonici e ad indirizzare ogni azione e pensiero alla crescita spirituale, anteponendo l’ideale all’interesse personale. Ciascuno è responsabile e consapevole di ogni proprio atto, socialmente e spiritualmente, sapendo che esso è moltiplicato e riflesso sul mondo tramite le Linee Sincroniche. 3. Attraverso la vita comunitaria si persegue la formazione di individui i cui rapporti reciproci siano regolati dalla Conoscenza e dalla Coscienza. Regole fondamentali di vita sono il buon senso, il pensare bene degli altri, la gentilezza, l’umorismo, l’ottimismo, l’accoglimento e la valorizzazione delle diversità. Ad ogni cittadino sono richieste capacità di autocontrollo, purezza, maturità nelle scelte. I cittadini che desiderano intraprendere una relazione affettiva riconosciuta ne fanno pubblico annuncio alla popolazione. 4. Il lavoro ha valore spirituale ed è inteso come donazione di sé agli altri. Attraverso di esso ciascuno partecipa alle attività spirituali e materiali della popolazione. Il cittadino offre parte del proprio tempo in opere di interesse comune e valorizza l’ambito del volontariato e della Terrazzatura. Ogni mansione è preziosa e dignitosa al pari di tutte le altre. 5. Damanhur promuove la ricerca, favorisce ed incoraggia la sperimentazione e il rinnovamento in ogni campo della conoscenza purché tutto sia espresso in forma armonica. I Cittadini migliorano la loro istruzione, ampliano e approfondiscono le proprie conoscenze nel campo dello studio, dell’arte, del lavoro e delle attività gradite. 6. Spiritualità, ricerca ed ecologia ispirano ogni rapporto con l’ambiente, anche attraverso l’impiego di tecnologie appropriate. Ogni cittadino vive in comunione con la natura e le forze sottili che la abitano, s’impegna al rispetto ed alla conservazione delle risorse ed evita il più possibile forme di inquinamento e di spreco. Il cittadino pratica regole di vita adatte ad un armonico sviluppo fisico, mentale e spirituale; rispetta il proprio corpo, lo cura e lo nutre correttamente e non abusa di alcuna sostanza; cura l’ordine e la pulizia dei luoghi in cui vive. 7. Il Popolo è una unica entità in evoluzione costante, risultante dalla somma organica di tutte le individualità: esso possiede e sintetizza le esperienze, i pensieri e i sentimenti espressi al proprio interno e ne fa patrimonio culturale, etico e spirituale comune.

tal fine privilegiano la programmazione delle nascite. Essi educano i figli per renderli individui autonomi e liberi, fornendo loro gli strumenti necessari ad esprimere e sviluppare le caratteristiche individuali, applicando le linee pedagogiche condivise. Tutti i Cittadini residenti partecipano alla formazione dei figli, alla loro cura e al loro mantenimento. 10. Coloro che desiderano divenire Cittadini damanhuriani presentano domanda scritta e motivata. Se i richiedenti possiedono i requisiti basilari per divenire Cittadini, vengono ammessi al periodo di prova, secondo modalità concordate. Da tale momento sono tenuti a osservare la presente Carta e le altre norme sociali. La “Concessione della Cittadinanza” può avvenire solo dopo che i richiedenti abbiano dimostrato la conoscenza dei principi e del patrimonio culturale della Popolazione. Si cessa di appartenere alla cittadinanza per recesso o per esclusione, allorché si verifichino gravi motivi o mancanze che rendano incompatibile la prosecuzione del rapporto. 11. Il massimo organo direttivo è rappresentato dai Re Guida. Essi coordinano i Corpi di Damanhur e garantiscono il perseguimento degli scopi ideali e delle finalità spirituali in ogni manifestazione della vita sociale. I Re Guida indirizzano le scelte ed emanano le leggi relative a materie che interessano tutta la cittadinanza. Il parere unanime da loro espresso ha carattere vincolante per qualsiasi individuo, gruppo od organo. Essi sono eletti periodicamente dagli appartenenti al Corpo di Meditazione secondo le regole determinate all’interno di esso. 12. Le funzioni inerenti al controllo sull’osservanza dell’ordinamento normativo sono esercitate dal Collegio di Giustizia. Ogni cittadino è tenuto a rispettarne le decisioni. Il Collegio di Giustizia può sospendere e annullare gli atti illegittimi emanati da altri organi. Istruisce e definisce i procedimenti disciplinari per violazione di norme costituzionali. Svolge funzioni di appello nel caso di sanzioni disciplinari emanate da altri organi nei modi e con le forme previste dalle leggi federali. Vigila sull’andamento sociale e suggerisce la elaborazione di normative adatte allo sviluppo collettivo e individuale. Le eventuali controversie tra i Cittadini e tra questi e Damanhur e i suoi Organi saranno sottoposte con esclusione di ogni altra giurisdizione alla competenza del Collegio di Giustizia, che giudicherà secondo equità, senza formalità di procedura e il cui giudizio sarà inappellabile. Il Collegio di Giustizia è eletto periodicamente dagli appartenenti al Corpo di Meditazione secondo le regole determinate all’interno di esso. 13. I cittadini si organizzano in Comunità secondo le modalità stabilite dalle leggi federali. Le Comunità hanno territorio, popolazione e autonomia propri. Ogni Comunità tende al raggiungimento della completa autosufficienza e la sua popolazione non può superare i 200/220 individui. Il governo comunitario è eletto periodicamente. La Comunità può istituire gli organismi ed emanare le norme che ritiene necessarie al proprio funzionamento, avendo riguardo alla Tradizione e ai superiori interessi dell’intera cittadinanza. Ogni cittadino si impegna, qualora si trovi sul territorio di una Comunità, a rispettarne le leggi. I cittadini residenti nelle Comunità e coloro che si trovano in territorio damanhuriano non fumano, non eccedono in alcolici e non usano stupefacenti. 14. Alla Federazione delle Comunità possono aderire comunità o gruppi animati da principi e finalità compatibili con quelli enunciati nella presente Carta. Sulle modalità di adesione deliberano i Re Guida.

8. Il Cittadino damanhuriano provvede al mantenimento personale e contribuisce con le proprie risorse e con il proprio lavoro a sostenere la Federazione delle Comunità, in armonia con il principio di condivisione. Chi lascia la cittadinanza non avanza alcuna pretesa di carattere economico nei confronti di essa e non ha diritto a quanto in essa versato.

15. Le norme di esecuzione della presente Carta non possono contenere disposizioni contrarie a essa. La disciplina delle materie riguardanti l’intera cittadinanza avviene mediante Leggi. La revisione di norme contenute in questa Carta è approvata dagli appartenenti al Corpo di Meditazione secondo le regole determinate all’interno di esso. In tutti i casi in cui sorgano questioni interpretative delle norme vigenti, la soluzione viene adottata dai Re Guida, su parere consultivo del Collegio di Giustizia, espresso secondo i principi della Tradizione.

9. I Cittadini damanhuriani predispongono al meglio sia socialmente sia spiritualmente l’ambiente per la nascita e la crescita dei figli ed a

Damanhur, 17 dicembre 2007 33°



LINEE BASE DEL PERCORSO DI CRESCITA INDIVIDUALE E COLLETTIVA • vita come cammino evolutivo • azione come scelta continua • ricerca di nuove logiche per intendere la realtà • integrazione tra il femminile e il maschile • creatività e continua trasformazione • ampliamento della sensibilità • capacità di affrontare l’incertezza • apertura agli altri • scoperta della propria natura divina NO SMOKING! Su tutto il territorio di Damanhur è vietato fumare, sia all’interno degli ambienti, sia all’esterno, come forma di rispetto di tutte le forme viventi, fisiche e sottili. TEMPLI DELL’UMANITA’ Considerati da alcuni come l’ottava meraviglia del mondo, sono una grande costruzione sotterranea che racchiude in sé l’espressione originaria del Popolo di Damanhur. 8.500 metri cubi disposti su cinque piani che scendono per un dislivello di 72 metri. Luogo di culto ricco di simboli si articola in sale, corridoi, laboratori e stanze interamente affrescate e mosaicate che si allungano nel cuore della montagna. Inizialmente costruiti in segreto e scavati a mano dai damanhuriani, in essi confluiscono le energie e le fatiche di ogni singolo individuo appartenete alla comunità. Sono articolati in sette sale principali: Sala dell’Acqua, Sala della Terra, Sala delle Sfere, Sala degli Specchi, Sala dei Metalli, Tempio Azzurro e Labirinto. Simbolicamente rappresentano le stanze interiori di ogni essere umano e il loro attraversamento è paragonabile ad un viaggio all’interno del sé.


DAMANHUR CREA Damanhur Crea è un centro dove confluiscono ricerca, arte, cultura e salute. E’ un vecchio stabilimento Olivetti di Vidracco che la Federazione di Damanhur ha rilevato realizzando al suo interno uno spazio polifunzionale, un luogo d’incontro e scambio di idee. E’ una struttura che ospita numerose attività tra cui un supermercato biologico, dei laboratori artistici, il laboratorio della Selfica, uno studio di medicina naturale, gli studi di bioedilizia e un bar/ristorante biologico. Al suo interno vi è anche il centro congressi Adriano Olivetti, una grande sala paragonabile ad un auditorium dove si svolgono i convegni e le riunioni.

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“è reale solo ciò che è spirituale” Stambecco Pesco


Intervista a stambecco pesco

1. DAMANHUR E’ UNA DELLE COMUNITA’ PIU’ NUMEROSE PRESENTI IN ITALIA. PRIMA DI ENTRARE NEL VIVO DELL’INTERVISTA MI PIACEREBBE SAPERE ESATTAMENTE DOVE CI TROVIAMO IN QUESTO MOMENTO. Ci troviamo a Damjl, il nucleo centrale di Damanhur, nella zona della Valchiusella. Damanhur è una realtà che esiste da metà degli anni ‘70 ma si cominciò a parlarne solo tra il ‘75 e il ‘77. I suoi fondatori, una quindicina di persone tutte torinesi, decisero di realizzare una comunità inizialmente situata non lontano da Torino. In un secondo momento si spostarono in una zona fuori dalla città, servita, pulita e tranquilla. Comprarono questo territorio. Ufficialmente fu inaugurata alla fine del 1979. Tutto quello che potete vedere qui a Damjl, eccetto tre case, l’abbiamo fatto noi. Le cose vogliamo farle noi, è parte dell’impostazione che abbiamo scelto dall’inizio che prevede l’allargarsi nella vita, il potersi dilatare in tutto. Abbiamo dipinto le case con temi naturalistici per ricordarci che qui abbiamo organizzato il territorio sulla nostra misura ma senza dimenticare che esistono anche altre forme che hanno gli stessi diritti che abbiamo noi. Al principio i damanhuriani erano una quarantina, poi iniziò il processo di crescita e allargamento che ci porta oggi a essere un po’ meno di mille, suddivisi in due fasce principali di popolazione: i cittadini residenti che fanno vita comunitaria e i cittadini non residenti che hanno preso casa in zona, partecipano alle attività artistiche, di ricerca e studio ma che poi vivono una loro realtà familiare o singola nella loro casa. In un primo tempo si era cittadini di Damanhur punto e basta. In seguito abbiamo ritenuto opportuno creare tante differenti possibilità e modalità di partecipazione, un po’ perché Damanhur come esperienza si stava evolvendo e articolando in tante cose diverse, un po’ perché via via si diversificavano le esigenze delle persone. 2. PER QUANTO SI ESTENDE ESATTAMENTE NEL TERRITORIO? Damanhur si estende a macchie di leopardo. Se puntiamo il compasso sulla carta facciamo un cerchio di una quindicina di chilometri. Damjl, dove ci troviamo adesso, è il punto dove è cominciato tutto. I due nuclei della comunità più lontani tra loro distano l’uno dall’altro venticinque chilometri circa. Il centro di Damanhur è situato nel paese di Vidracco, ma siamo estesi in tutta la valle comprendendo paesi come Foglizzo, Issiglio e Lugnacco. Via via che ci ingrandivamo avevamo la necessità di trovare nuove case, terreni o capannoni per le aziende. Oggi siamo presenti su sei comuni diversi, in tre di essi in una maniera particolarmente massiccia e in uno rappresentiamo anche la giunta. 3. COM’E’ STRUTTURATA LA COMUNITA’, COME VI ORGANIZZATE? Il primo gradino sociale in Damanhur è l’individuo, il successivo è la comunità che è caratterizzata da un gruppo di persone che varia da un minimo dieci a un massimo di venticinque in base alla grandezza delle case e dei terreni a disposizione. Quando parlo di comunità mi riferisco a gruppi di persone che vivono in una casa, mediamente diciotto. Ogni comunità è basata sulla condivisione economica, ciò significa 34

che i membri di ciascuna di esse stabiliscono insieme il prezzo della vita in quel posto. Tutti portano e tutti danno, generalmente più di quello che è il paniere che si stabilisce insieme. Ci si auto-amministra come gruppo e si portano avanti le attività della casa (turni di pulizia, di cucina, gestione dell’orto e degli animali). Ogni casa ha una sua missione, alcune si occupano della gestione delle relazioni con il paese, altre fanno ricerca nel campo dell’ecosostenibilità, altre ancora si occupano di sostenere le attività ai Templi. 4. ALL’INTERNO DELLA COMUNITA’ OGNUNO DI VOI HA UNA PROPRIA MANSIONE. CHI ASSEGNA I VARI COMPITI? Facciamo un passo indietro. E’ opportuno sottolineare che ognuno si mantiene. In Italia non esiste una struttura sociale che si chiami comunità, per cui formalmente non esiste la comunità di Damanhur. Tutto questo è un insieme di associazioni, di cooperative edilizie che detengono il patrimonio immobiliare e di aziende che rispondono alla camera di commercio che paga lo stipendio alle persone che lavorano nelle stesse. Il fatto di essere aziende o associazioni che fanno riferimento a cittadini di Damanhur significa che c’è un grosso coordinamento e che si va in sinergia con strategie comuni e condivise. Questa è la fascia di lavoro idealmente interna, perché si lavora all’interno di un gruppo damanhuriano ma ciò significa lavorare in un’azienda a tutti gli effetti. Ci sono anche damanhuriani che lavorano fuori, in banca, in posta, nella scuola ecc. Ogni sei mesi si eleggono i Re Guida, tre persone che vengono votate per ricoprire l’incarico di responsabili generali di Damanhur, brevissimo ma rinnovabile. Queste persone se hanno un lavoro che riescono comunque a gestirsi per far conciliare le due cose bene, altrimenti per il periodo dell’incarico sono sostenute all’interno della comunità. Non ricevono uno stipendio perché in quel periodo lavorano per la collettività e il gruppo nel quale vivono li sostiene a nome di tutti quanti. Regola che fa parte del patto sociale. Questo per quanto riguarda l’autosostentamento delle persone. Il lavoro che fai serve a mantenere te. Mantenere se stessi vuol dire mantenere tutto questo. Oltre a questo, all’interno delle comunità si decidono quali sono le mansioni di ognuno. Ogni casa ha una sua caratterizzazione particolare. Io per esempio mi occupo della collaborazione e della gestione delle iniziative con il comune di Vidracco. Ci sono case che hanno progetti completamente diversi, per esempio alcune seguono gli ospiti che vengono a Damanhur per lunghi periodi, mentre altre si occupano del mantenimento di aree boschive. Questo fa parte del funzionamento di ogni casa cioè di ogni comunità. 5. HO LETTO CHE A DAMANHUR ESISTE UNA COMUNITA’ DI SOLI RAGAZZI, MI PUOI ACCENNARE QUALCOSA A RIGUARDO? E’ UN TIPO DI ESPERIENZA CHE FUNZIONA? Qualche anno fa per iniziativa dei primi ragazzi che frequentavano le scuole superiori, è stata avanzata la proposta di creare una comunità di soli giovani. Dopo una lunga elaborazione da parte dei genitori si è deciso di accettare la richiesta. Non tutti i figli dei damanhuriani stanno in questa casa, alcuni preferiscono vivere con le famiglie.


La casa scelta per questa comunità si trova a Damjl, territorio protetto. In questo momento vi risiedono una dozzina di ragazzi dai quattordici anni in su. La regola per coloro che hanno deciso di stabilirsi in questa comunità è che alla seconda insufficienza di fila si torni con i genitori. A Damanhur cambiano tanto e continuamente le cose ma questa formula ci sembra indovinata ed è stabile da sette anni. I figli non sono considerati damanhuriani nel senso che da grandi faranno le loro scelte e decideranno se far parte di Damanhur o meno. Noi abbiamo un sistema scolastico fino alla terza media, quello che vogliamo evitare è di allevare piccoli damanhuriani. 6. ESSENDO MOLTO NUMEROSI VI CONOSCETE TUTTI TRA DAMANHURIANI? CHE TIPO DI RELAZIONI SI INSTAURANO TRA DI VOI? Ci conosciamo tutti per nome. Io sono qui dal 1981, a quei tempi eravamo una quarantina e sicuramente era un altro modo di conoscersi. Oggi siamo mille ed è più complicato, con metà della popolazione ci conosciamo bene, però è anche arricchente vedere tutti i giorni persone delle quali non sai poi tanto. Questo ti da un senso di profondità. Da tener presente che negli ultimi anni l’incremento della popolazione ha visto l’arrivo di molti stranieri e ciò ha creato dei problemi linguistici che stiamo cercando di risolvere con dei corsi d’inglese. 7. L’INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE E’ STATO COSTANTE NEGLI ANNI? L’incremento è stato fermo per molto tempo ma da un paio d’anni abbiamo creato un progetto che si chiama New Life che offre la possibilità di essere cittadini a Damanhur per tre mesi. Per tre mesi vieni qui, vivi nelle comunità, fai quello che fanno tutti quanti e poi decidi se tornare a casa tua oppure stabilirti a Damanhur. Prima questa possibilità non c’era, si poteva entrare a Damanhur solamente come ospiti. Il cittadino New Life è visto in un’ottica d’inserimento. Questo ha portato una buona ventata di aria fresca con il conseguente aumento delle richieste di cittadinanza. Damanhur non è una comunità della cosiddetta porta girevole, ma è una comunità di vita e quindi si entra per starci e non per venire solamente a trascorrere un periodo. 8.COM’E’ POSSIBILE ENTRARE A FAR PARTE DELLA COMUNITA’ DI DAMANHUR? BISOGNA AVERE DEI REQUISITI PARTICOLARI? Si può cominciare con il percorso propedeutico di tre mesi. Al di là di questo periodo se una persona decide di voler provare a vivere a Damanhur fa la domanda d’ingresso alla quale segue un periodo di prova (da sei mesi a un anno) che consiste nell’inserimento pieno e totale nella vita comunitaria. Dopo questo periodo di prova se la persona si sente pronta e la comunità che l’ha ospitata la ritiene idonea diventa cittadino di Damanhur scegliendo la propria collocazione (cittadino residente o non residente). La cittadinanza non residente ha dei canoni molto più semplici e l’aspetto comunitario diventa decisamente molto più sfumato. All’interno della cittadinanza residente abbiamo una valenza diversa rispetto alla gestione patrimoniale. Ci sono persone che sono entrate dando tutto, altre che hanno preferito mantenere alcuni dei propri beni e a quel punto si stabilisce qual è il tipo di partecipazione, di condivisione e di quota che rimane personale. A quel punto la persona è una damanhuriana finché lo vuole. L’idea è che Damanhur sia una scelta per la vita, un’adesione libera e spontanea. Ciò nonostante ci sono persone che a un certo punto scelgono di proseguire per cammini differenti uscendo dalla comunità. 9. AVETE DELLE CARTE D’IDENTITA’ DAMANHURIANE? In passato avevamo i passaporti ma poi li abbiamo eliminati. 10. UN ASPETTO CURIOSO DELLA VOSTRA COMUNITA’ E’ LA SCELTA DEL NOME. UTILIZZATE UN NOME DI ANIMALE SEGUITO DA QUELLO DI UN VEGETALE. COME VENGONO ASSEGNATI? Il nome è qualcosa che crea un’identità nuova, segna un punto di autodeterminazione. Dato che il nome anagrafico non lo scegliamo noi, almeno per quanto riguarda quello successivo è bene farlo! Non è obbligatorio avere un nome damanhuriano, ma a chi sceglie di averlo verrà assegnato un nome di animale seguito, in alcuni casi, da quello di un vegetale. Vi racconto come sono diventato Stambecco per spiegarvi la procedura dell’assegnazione del nome damanhuriano. Sono entrato in Damanhur per fare un’esperienza di trasformazione. Ciò nonostante continuo a rimanere Silvio senza rinnegare ciò che già sono, ma ho deciso di aggiungere un elemento in più legato all’esperienza che porto avanti nella comunità. Si suppone che la scelta del nome sia un arricchimento per tutti, non solo per me. Nel momento in cui ho individuato il nome che mi sarebbe piaciuto avere mi sono recato da qualche decina di damanhuriani dicendogli che mi sarebbe piaciuto chiamarmi Stambecco. Ho chiesto a ciascuno di loro che cosa avrebbe offerto affinché io mi chiamassi così. A quel punto, i damanhuriani che ritennero opportuno darmi una mano fecero delle offerte per cose di pubblica utilità in modo tale da creare un arricchimento collettivo attraverso il mio nome. Con tutte le offerte mi sono recato dai Re Guida e a quel punto ho riscattato il diritto di avere un nome. Successivamente durante lo svolgimento di uno degli incontri pubblici che teniamo

il mercoledì e il giovedì ho presentato la mia proposta di nome: Stambecco. Mi sono fatto avanti davanti alla collettività chiedendo se fossero d’accordo o meno e alla fine lo furono. Nel caso in cui il nome proposto dal diretto interessato non fosse accettato dalla comunità, e nel caso in cui il nome proposto dalla comunità come seconda scelta venisse rifiutato dal candidato, lo stesso perderebbe il diritto al nome per quella volta e dovrebbe ripresentarsi in un secondo momento. I nomi sono unici e nessuno ha solo il nome di vegetale. 11. A DAMANHUR CI SI SPOSA? CELEBRATE MATRIMONI? Si, li celebriamo anche qui. C’è una formula di matrimonio Damanhuriano rinnovabile o come piace dire ai giornalisti “a scadenza” nel senso che ci si sposa per pochi anni (tre). La logica è quella di mantenere vivo il matrimonio, infatti dopo la scadenza generalmente ci si risposa. Considerando che cambiano le occasioni della vita e con essa anche gli stati di coscienza noi preferiamo celebrare il matrimonio rinnovabile affinché ci sia una costante verifica a periodi prestabiliti. Lo spirito è quello di dire “riempiamo al meglio un periodo e poi lo raddoppiamo”, piuttosto che fare il matrimonio per tutta la vita. Non è un obbligo per i damanhuriani contrarre matrimonio sia esso esterno o interno. Inizialmente quando Damanhur è nata tutti quanti ci sposavamo secondo il matrimonio interno, nel tempo è diventata un’opzione ideale che le persone possono utilizzare o meno. Damanhur ti offre una serie di possibilità che tu decidi se cogliere o non cogliere. Non ci sono diritti civili che acquisisci in più o in meno se sei sposato damanhurianamente. Damanhur si basa sull’individuo e sulla comunità. Non c’è un concetto di famiglia in senso stretto quindi il fatto che le persone decidano di sposarsi o no è semplicemente un dato ideale. 12. PARLIAMO ORA DI QUELLO CHE POSSIAMO DEFINIRE L’ELEMENTO PIù IMPORTANTE DELLA COMUNITA’ DI DAMANHUR: LA SPIRITUALITA’. IN CHE COSA CREDETE ESATTAMENTE? Damanhur è una realtà spirituale. Il punto centrale irrinunciabile è il percorso spirituale. Noi crediamo in una matrice comune che unisce tutte quante le forme di vita animali, vegetali, umane e tante altre forme che non hanno corpo fisico che noi definiamo l’ecosistema spirituale. La ricerca del dato comune che le unisce tutte prende il nome di “essenza divina” ovvero la matrice sacra dell’intero universo. La cerchiamo dentro di noi perché, dal nostro punto di vista, dentro ognuno di noi esiste una particella divina, una divinità addormentata (o meglio, come sempre diciamo, la divinità se è divina è sveglissima, è il resto di noi che deve svegliarsi e percepirla e Damanhur serve a questo). Scegliamo un percorso spirituale molto calato nella materia, molto vivo e fatto di vita quotidiana, perché secondo noi spiritualità è vita. La vita sul nostro pianeta e nell’universo stesso si esprime attraverso tante forme diverse e attraverso il continuo incontro, la contaminazione, la trasformazione e l’allargamento della vita stessa che origina sempre cose nuove e diverse. Per similitudine noi vogliamo che spiritualità non significhi solo stare in cima a una collina, respirare profondamente e percepire l’energia del tramonto, ma sia vivere e quindi essere attivi nel lavoro, nella socialità, nella cultura, nell’arte, scambiare intensamente col territorio, fare politica e produrre. Damanhur parte da un punto centrale spirituale ma in realtà è un mondo nel quale troviamo tantissime cose diverse. 13. ENTRANDO PIU’ NELLO SPECIFICO DI ALCUNI ASPETTI LEGATI ALL’AMBITO SPIRITUALE DI DAMANHUR, POTRESTI PARLARMI DEI CIRCUITI IN PIETRE E DEI TEMPLI PRESENTI QUI A DAMJL? Uno degli aspetti che noi indaghiamo da sempre riguarda la cosiddetta realtà paranormale, includendo tutti i fenomeni di confine ovvero tutto ciò che è legato alle energie vitali della persona, del territorio e dell’ambiente. A Damanhur sono presenti i circuiti in pietre ovvero dei campi energetici, delle zone circoscritte, dei percorsi in cui indirizzare e depositare l’energia. Ogni persona è l’attivatore di questo campo. Alcuni percorsi sono più generici mentre altri hanno caratteristiche più specifiche (per i sogni, per la digestione, per l’ottimismo e per il mal di testa). Le pietre sono l’elemento stabilizzatore perché il minerale di per sé ha la capacità di memorizzare, di fissare ciò con cui viene in contatto. Pietre di fiume perché sono rotonde e senza punte e perciò non disperdono ma contengono, mantenendo stabile questo campo energetico che la persona deve percorre raggiungendo il centro e di seguito tornando verso l’esterno. Questo per arrivare a un totale riequilibrio e ordine della propria parte energetica ampliando la sensibilità verso un’autoconsapevolezza. Percorso a spirale La spirale è uno dei disegni ricorrenti nell’universo, basta pensare alla forma delle galassie alle impronte digitali e persino alla rosa dei capelli. Questa spirale esiste da una dozzina d’anni, giorno dopo giorno le diverse persone che fanno questo percorso lasciano una traccia energetica di sé che si attiva ogni volta che la persona stessa fa l’esercizio. è una sorta di massaggio alla propria parte energetica, alla propria aurea, alla propria parte non fisica. 35


Cerchio dei solstizi e degli equinozi Ogni anno celebriamo i passaggi stagionali di solstizi ed equinozi all’interno di questo cerchio in cui si ritrovano i damanhuriani, con le loro vesti colorate scelte in base al grado di anzianità, e gli ospiti. Sono riti pubblici che durano intere giornate. La forma circolare rappresenta la terra e al suo interno sono presenti due triangoli perché solstizi ed equinozi giocano sui rapporti tra terra, sole e luna nella doppia configurazione di luce e di buio. In linea di massima durante queste celebrazioni sono presenti tutti i damanhuriani, però da qualche anno li celebriamo in sessioni diverse perché siamo tanti e non ci stiamo tutti all’interno del cerchio. Spirale attivata dalla self Le self sono oggetti in rame, strutture che a seconda della forma, dei materiali e dell’esposizione che hanno avuto a varie fasi lunari e solari ospitano e scambiano un’energia. La self accende un campo energetico che negli altri percorsi è sostenuto dalle pietre. Tempio Aperto è un tempio aperto all’identificazione che può dare ognuno di quello che è un principio spirituale. Noi nasciamo, ci sviluppiamo e siamo tuttora soprattutto un’esperienza di tipo spirituale. Ricerchiamo l’essenza divina delle cose a cominciare da dentro di noi. Secondo noi esiste istintivamente una sorta di senso del sacro, del divino che appartiene a ogni essere umano e che se lasciato libero porta in mille direzioni diverse. Porterà verso una religione storica oppure verso un’esperienza spirituale o ancora verso un laicismo eticamente vissuto come condizione che ti porta ad avere dei valori tuoi secondo i quali la vita non è qualcosa che avviene in maniera casuale, ma è qualcosa comunque da onorare. è un tempio aperto per rappresentare i valori di qualunque gruppo o religione. è capitato che ospiti di altri gruppi abbiano fatto piccole celebrazioni qui nel Tempio Aperto. L’abbiamo costruito interamente da soli. 14. AVETE ATTINTO DA ALTRI CULTI PER ARRIVARE AD ELABORARE IL VOSTRO? Tutte le idee sono importanti e vale la pena conoscerle perché l’apertura rappresenta sicuramente un arricchimento. Non siamo quel tipo di sincretisti che hanno un altarino con un Buddha, un crocefisso e che raccolgono simboli. Noi cerchiamo la nostra strada e per far ciò è bene conoscere anche la strada degli altri perché può darti delle indicazioni, degli spunti e conoscerla è un segno di rispetto e di ampliamento di noi stessi. Esploriamo esperienze diverse ma il nostro è un percorso prevalentemente individuale e comunque damanhuriano. 15. A DAMANHUR ESISTONO DELLE FESTIVITA’ CANONICHE OPPURE DEI RITUALI O DEI MOMENTI D’INCONTRO DELL’INTERA COMUNITA’? Sicuramente i solstizi e gli equinozi sono un’occasione d’incontro tra tutti i damanhuriani. Inoltre è molto importante la festa del primo settembre. E’ l’inizio di tutto. In quella data si celebra il primo atto ufficiale della nascita di Damanhur, avvenuta l’1 settembre 1975. Funge un po’ da capodanno e simbolicamente contiamo gli anni da quella data. Ora ci troviamo nell’anno 37. La notte del 31 dicembre e il giorno di ferragosto sono i giorni in cui organizziamo un coinvolgimento di tutti nei lavori devozionali ai Templi dell’Umanità. Un altro momento in cui ci riuniamo tutti insieme è la foto di gruppo che viene fatta l’ultimo lunedì di agosto, occasione in cui ci si ritrova tutti, includendo anche i membri appartenenti ai centri non comunitari ma di attività sparsi per l’Europa. Durante la foto di famiglia siamo sempre vestiti di bianco perché sin dai primi anni si è diffusa l’abitudine di fare questa foto con abiti autoprodotti che inizialmente erano tutti in lana e cotone grezzi non tinti. 16. AVETE CREATO UNA VOSTRA PROPRIA VALUTA COMPLEMENTARE, IL CREDITO. PERCHE’? è la nostra moneta e c’è da sempre. Damanhur sin dalla sua fondazione ha avuto una valuta complementare per due diverse motivazioni. La prima è che la moneta, dal nostro punto di vista, è qualcosa di molto identitario, un valore aggiunto che amplifica il senso di ciò che sei e di cosa vuoi fare insieme agli altri. La seconda è il tentativo di ridare al denaro un valore non così negativo come spesso ha. Purtroppo nella maggior parte dei casi è considerato come un veicolo di perdita di valori, però di per sé è un elemento di comunicazione e di scambio. Per ridare un valore diverso al denaro e per sottolineare la sua importanza come punto d’incontro e di esigenze, abbiamo deciso di fare una moneta che fosse nostra. C’è un piccolo circuito che si è creato in questa zona, anche al di fuori di Damanhur, dove è possibile utilizzare il credito.Al nostro interno dobbiamo tenere bloccato un corrispettivo per essere pronti a qualunque cambio. 17. DATO CHE HAI ACCENNATO AL FATTO CHE A DAMANHUR ESISTE UNA COSTITUZIONE, SAPRESTI DIRMI QUALI SONO I PUNTI CARDINE? La nostra costituzione è disponibile su internet ed è costituita da quindici articoli. I punti cardine sono essenzialmente tre. Per prima cosa il pensiero positivo. Ciò significa da un lato influenzare positivamente gli altri e le situazioni nelle quali ci troviamo coinvolti, e dall’altro il cercare sempre in ogni apparente 36

condizione di disagio l’aspetto positivo che questa può portare e quindi poi perseguirlo. Un altro punto cardine fondamentale è l’azione. Noi riteniamo che essere attivi significhi avere sempre un progetto in corso, essere sempre impegnati in qualcosa, anche quando si sta fermi. Riteniamo che sia giusto sfruttare anche le fasi del riposo e della riflessione, non come disimpegno dalle cose ma come dei momenti in cui migliorare noi stessi e gli altri. Infine rappresentare un esempio. Non nel senso che si sia migliori degli altri ma nel senso di ricordare sempre l’impatto che ha su ogni altra persona ciò che ogni singolo fa. 18. ASPIRATE AD ESSERE UN MODELLO SU UN SISTEMA DI LARGA SCALA? Riteniamo di poterlo essere, poi tocca agli altri stabilirlo. Noi abbiamo scelto di essere una comunità e ci consideriamo un piccolo popolo spirituale. Riuscire ad avere sempre dei cuori pulsanti laddove esiste gente che insieme condivide tempi, spazi, attività ed energia è fondamentale e da questo punto di vista potremmo essere un esempio. Il nostro approccio ecologico e la nostra economia oculata potrebbero colmare tanti vuoti che ci sono. 19. CHE TIPO DI RAPPORTI AVETE CON LA GENTE CHE VIVE AL DI FUORI DELLA COMUNITA’? CHE OPINIONE HANNO DI VOI I VICINI? PER QUALI MOTIVI IN MOLTI VI DEFINISCONO UNA SETTA? Damanhur è una realtà controversa per diversi aspetti. Qui in zona siamo stati abbastanza ostacolati perché è una valle che ha il destino scritto nel proprio nome, Valchiusella! è una valle colta, piena di tradizioni, tutt’altro che banale, però ciò che rompe con gli schemi e viene considerato diverso per forza di cose è visto male. Soprattutto se si tratta di gente bizzarra! Dopo trent’anni chi ha avuto voglia di scoprirci e di avere delle relazioni con noi, di vedere che abbiamo portato servizi, ricchezza, attenzione, gente e di superare delle barriere l’ha fatto. Da tre legislature il sindaco di Vidracco è un damanhuriano, sebbene non abbiamo la maggioranza delle residenze. Abbiamo vinto le elezioni perché abbiamo ottenuto voti da gente del paese. Ciò significa che in molti apprezzano quello che abbiamo portato e che stiamo facendo per questa zona. In generale entriamo nell’ambito di chi contatti con noi non ne ha e ha deciso che esistono le sette (cosa che per altro tutti i sociologi veri escludono). Il mondo della spiritualità obbedisce ad una serie di leggi e di regole che una volta che si è salvaguardato l’aspetto dell’individuo, che è fondamentale, segue una serie di suoi parametri. Noi negli ultimi anni abbiamo subito attacchi notevoli per diversi motivi. Uno legato al fatto che negli ultimi cinque anni è cominciato il fenomeno dei fuoriusciti arrabbiati, caratteristica comune a qualsiasi gruppo. Nel nostro caso ci stanno facendo una “guerra su scala industriale” con cause e denunce. L’altro aspetto riguarda l’uscita del libro presso Rizzoli intitolato “Occulto Italia” che tocca vari movimenti tra cui Damanhur invocando il ripristino di una legge sul plagio finalizzata all’eliminazione delle minoranze spirituali secondo un teorema in base al quale non è possibile aderire ad un gruppo se non sei stato plagiato. Damanhur ha un milione di difetti e ricordiamoci che è un posto dove la gente decide di entrare dopo un lungo periodo di prova, decidendo dove collocarsi e cosa fare dei propri denari. 20. ANCHE SE VIVERE IN ARMONIA CON VOI STESSI, CON GLI ALTRI E CON LA NATURA E’ UNA DELLE CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELLA VOSTRA COMUNITA’, IMMAGINO CHE CI SARANNO SICURAMENTE DEI MOMENTI DI CONTRASTO. COME SIETE SOLITI RISOLVERLI? Vivere in comunità significa anche seguire un ritmo che non è solo tuo ma è collettivo e alla lunga certe cose pesano. La vita in comunità obbedisce ad una serie di regole e consuetudini che per via naturale chiedono ad ognuno una sorta di adattamento e a volte può capitare che questo non succeda. Noi non temiamo il contrasto, certo non ci piace litigare ma è normale che ci siano delle discussioni. Una volta all’anno viene eletto un organismo che si chiama Collegio di Giustizia che interviene per sanare i contrasti nel momento in cui le persone non riescono a mettersi d’accordo. 21. PER QUANTO RIGUARDA LE DECISIONI CHE VENGONO PRESE A LIVELLO COMUNITARIO VIGE IL METODO DEL CONSENSO? Noi prendiamo decisioni comuni e collettive soprattutto a livello di comunità, però siccome cavalchiamo anche il fattore tempo, abbiamo deciso di stabilire il giorno entro cui questa scelta debba essere fatta o tale decisione debba essere presa. Ci diamo una scadenza. Se riusciamo ad arrivare ad una soluzione insieme bene, altrimenti si va ai voti. Il consenso non è l’obiettivo irrinunciabile, per noi è fondamentale la velocità della decisione. 22. DAMANHUR FA PARTE DELLA RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici). COME VI RAPPORTATE CON L’AMBIENTE? Una delle caratteristiche che negli ultimi anni è diventata molto evidente è la matrice di ecovillaggio. Per noi il rapporto con l’ambiente ha una base spirituale, energetica. Si tratta di percepire la natura, incontrarla e rispettarla e conseguentemente avere il più basso impatto possibile su di essa. Per questo motivo tutte le nostre attività si basano sul biologico. Una delle prime aziende che abbiamo sviluppato è quella del fotovoltaico, ne abbiamo due diverse che si occupano di energie rinnovabili. Inoltre quasi tutte le case hanno doppi impianti con pannelli solari e fotovoltaici.


23. PRIMA DI CHIEDERTI QUALI MOTIVAZIONI POTREBBERO SPINGERE QUALCUNO AD AVVICINARSI A DAMANHUR MI PIACEREBBE SAPERE COME NE SEI VENUTO A CONOSCENZA TU. Io sono di Grosseto. Falco ed altri fondatori di Damanhur partecipavano a vari congressi in tutta Italia e in molti casi erano ospitati da altri gruppi più consolidati dove svolgevano attività di pranoterapia, la cura con l’imposizione delle mani. Un gruppo di Grosseto ospitò persone di Damanhur e i miei genitori frequentavano quel gruppo. Andai a fare un corso di yoga tenuto da Orango, un damanhuriano, e questo fu il mio primo contatto con questa realtà. In seguito mi sono appassionato e sono venuto a vivere qui a 21 anni. Quindici anni dopo mi ha raggiunto mia sorella.

PANGOLINO La funzione dell’arte nella comunità di Damanhur

24. COSA SPINGE QUALCUNO AD INTERESSARSI A DAMANHUR? Damanhur ha varie sfaccettature e quindi ci si può arrivare perché si è interessati all’arte, alla spiritualità, ai pannelli solari o all’educazione. Si entra da una delle sue cento porte per poi scoprire l’intero edificio. Io credo che sia una di quelle realtà che attirano nel momento in cui si è in cerca di risposte. Questo presuppone che ci si stia ponendo delle domande che è un segno di forza e non di debolezza. Personalmente credo che ci si avvicina a questa realtà nel momento in cui si sta cercando come poter impiegare quello che si può offrire. 25. COSA VI ACCOMUNA AD ALTRE GRANDI ESPERIENZE COMUNITARIE INTERNAZIONALI COME POSSONO ESSERE AUROVILLE O ZEGG? Sicuramente le dimensioni, entrambe sono realtà molto numerose e noi in Italia siamo la comunità più grande. Io sono stato a Zegg ma non ad Auroville. In Europa esistono tanti movimenti comunitari che nel tempo sono cresciuti molto. Quelli che si sono consolidati sono stati quelli che sono riusciti a sposare l’ideale con la vita quotidiana, e che sono riusciti a dire “abbiamo un ideale, un punto di attenzione che deve essere calato nella vita quotidiana e che dobbiamo vivere ventiquattro ore al giorno”. Quando diventa un flusso continuo che va a toccare quello che fai allora la realtà diventa vera e duratura. 26. UNO DEI VOSTRI PUNTI FORZA SONO I TEMPLI DELL’UMANITA’. UNA STRUTTURA DI FORTE RICHIAMO. VUOI DIRMI QUALCOSA A RIGUARDO? I Templi sono arrivati prima della fondazione di Damanhur. Nel 1978 avendo già deciso di voler creare Damanhur inizia il lavoro sui Templi dell’Umanità. Si era già individuata questa zona e comprato il terreno e una cascina sulla collina. Le persone cominciavano a venire regolarmente perché tutto il lavoro che si è potuto fare senza rivolgersi ad un’impresa lo si è fatto durante il campo estivo del ‘78. Sono sette sale principali più vari corridoi. I primi anni i Templi sono stati realizzati in segreto e illegalmente, successivamente abbiamo ottenuto i permessi. I lavori sono ancora in corso per degli ampliamenti. A 400 metri di distanza dai Templi ci sono due cave di calce. L’idea per il futuro è esattamente l’opposto di quello che abbiamo fatto fin’ora. Essendoci già il buco vorremmo costruire prima una struttura e poi ripristinare il profilo originale della montagna. I Templi sono sotterranei per andare verso il cuore della terra, perché scavare nella materia significa scavare dentro di noi. 27. PERCHE’ FATE PAGARE UN INGRESSO PER ENTRARE NEI TEMPLI? I Templi costano tantissimo se consideriamo la loro manutenzione e pulizia. Noi riteniamo che essi siano una fonte di arricchimento per chi desidera visitarli e per questo rappresentano un viaggio in più all’interno di Damanhur. Quello che potete incontrare all’esterno è qualcosa che noi presentiamo molto volentieri mentre quello che è il cuore di questa condizione è qualcosa che richiede uno scambio che avviene con il pagamento di un ingresso. 28. COSA NE PENSI DEL SISTEMA SOCIALE CONTEMPORANEO? Credo che sia importante l’azione e non la reazione. Attualmente la situazione è difficile per tutti e non è che noi facciamo Damanhur perché l’Italia non va bene. Noi abbiamo una nostra personale difficoltà dovuta al fatto che in Italia non si capisce se sia possibile fare una comunità. Anche se non è vietato, qualunque strada si decida di imboccare ad un certo punto la si trova sbarrata. E’ un disastro. Da un altro punto di vista c’è da dire che è da trentacinque anni che in Italia stiamo portando avanti l’esperienza di Damanhur e probabilmente in un altro posto non sarebbe stato possibile. Noi viviamo comunque costantemente nell’incertezza. L’associazione Conacreis, che raccoglie tutte le entità di ricerca spirituale ed etica, ha elaborato un progetto di legge che ha poi presentato in parlamento, per il riconoscimento dello status di comunità. Questo per permettere a delle realtà come la nostra di poter esistere in quanto tali e non in quanto castelli di associazioni, cooperative e fondazioni. Una cosa che ci aiuterebbe a stimare maggiormente il nostro paese sarebbe quella di riuscire ad avere con chiarezza le regole in base alle quali possiamo esistere senza dover tutti i giorni spendere un patrimonio tra commercialisti, legali e notai per inventare una soluzione diversa. Non dimentichiamo che nel momento in cui una società chiude tutto quello che ha a che fare con la cultura, la formazione e l’educazione è una civiltà in decadenza. Se guardiamo il nostro Paese, l’immagine non è illuminante. Damanhur 3 aprile 2012

Considero questo momento non molto florido per tutti gli artisti in generale. In questi ultimi anni la crisi si è sentita e organizzare mostre in gallerie d’arte è diventato più difficile. Un po’ di paura mi ha portato a smettere di investire fuori e di concentrare le mie energie e le mie risorse in Damanhur. Per questo motivo ho deciso di organizzare mostre, corsi e laboratori direttamente qui. L’arte è una delle discipline a cui si dedicano tutti i cittadini di Damanhur, fa parte del percorso. Arte come espressione di sé, ma anche come realizzazione di qualcosa che rappresenta tutti. A volte capita che sia uno solo a canalizzare l’energia realizzando l’opera, ma lo fa in nome di tutti. Gli artisti damanhuriani lavorano spesso insieme ma seguono anche una ricerca personale, un proprio filone che sviluppano dedicandosi alla tecnica che preferiscono. Generalmente la fase creativa di gruppo, caratterizzata dalla condivisione della progettualità, viene svolta con una persona che coordina, un responsabile che ruota nel tempo. Quando si lavora in gruppo lo si fa per la realizzazione di lavori commissionati da privati oppure per la realizzazione dei lavori presso i Templi dell’Umanità. Abbiamo elaborato uno stile artistico condiviso che si è consolidato nel tempo e con gli anni. Gli artisti damanhuriani hanno a disposizione un open-space in cui convivono vari atelier, questo per sottolineare il fatto che non ci sono artisti che lavorano chiusi nel proprio ambito scatenando tutti i meccanismi tipici stereotipati dell’artista isolato e solitario. L’arte a Damanhur è vista come uno spazio di scambio, una via di crescita spirituale. I Templi sono l’espressione ampia e forte di questo concetto. Dietro ai nostri lavori ci sono sempre la ricerca di un significato e il tentativo di trasmettere un messaggio. L’arte è un linguaggio universale, è il mezzo forte di collegamento e contatto tra le persone. Nei Templi è difficile che si veda l’espressione di un singolo perché sono tante visioni, tante sfumature, tante sensibilità messe assieme, frutto del lavoro di tante mani differenti. Questa è la vera ricchezza. 37



Olat


ri-abitanti neorurali In Valchiusella nei pressi di Issiglio, non molto lontano da Damanhur, sorge la Comune di Olat. Olat, parola di origine aramaica, significa “antica luce dentro la terra”. Attualmente abitata da una decina di persone di diverse età, questa realtà è caratterizzata da un gruppo di tre casali in pietra che dominano una piccola valle e da alcune roulottes, posizionate ai piedi della salita che bisogna percorrere per raggiungere la comune. Si percepisce subito un’energia particolare, amplificata dal fatto che da un punto di vista naturalistico il luogo è splendido anche se visitato in un giorno di pioggia. Olat ad un primo approccio sembra essere una realtà molto riservata che non ama farsi troppa pubblicità. Anche i suoi abitanti in un primo momento sembrano essere di poche parole, limitandosi ad un saluto o a un sorriso fugace. In realtà questa è una sensazione passeggera perché non appena si comincia a parlare con Piero, il suo fondatore, ci si rende conto che si ha a che fare con una persona molto disponibile, aperta al dialogo, al confronto e soprattutto pronta a dare preziosi consigli a coloro i quali sono interessati ad un tipo di vita alternativo. Piero è un vero e proprio “profeta neorurale”, una personalità forte ed eclettica. Da sempre si è dedicato allo studio delle realtà emergenti che hanno come obiettivo la realizzazione della transizione dalla vecchia alla nuova era. è autodidatta in varie discipline che spaziano dalla politica all’antropologia, dalla statistica alla filosofia includendo anche la sociologia. Ha acquisito gran parte delle conoscenze pratiche in ambiti come l’agricoltura, l’allevamento e l’edilizia durante i suoi numerosi viaggi in giro per il mondo. Molto significativa è stata la sua lunga permanenza nella foresta amazzonica dove ha avuto modo di avvicinarsi alla pratica religiosa che prende il nome di Santo Daime. Dopo essersi creato un proprio bagaglio personale, grazie alle numerose esperienze in altre comuni, tra cui Damanhur e la storica Findhorn, ha scelto di condurre uno stile di vita libero dai meccanismi imposti dall’integrazione sociale ed ha fondato la Comune di Olat. Quando comprò il terreno, quattordici anni fa, le case quasi non avevano neanche il tetto. Per i primi quattro anni ha vissuto da solo in una tenda posizionata nel vecchio fienile. Poco a poco le case vennero sistemate utilizzando soprattutto materiali di recupero, si creò un orto e si comprarono gli animali. Tutto ciò fu possibile anche grazie all’aiuto di diverse persone che cominciarono a gravitare all’interno della comune. Piero ci tiene a ribadire più e più volte che Olat è una realtà facente parte del movimento neo-rurale che, secondo il suo punto di vista, è il più grande movimento informale diffuso al giorno d’oggi; movimento che sta lasciando un segno nell’evoluzione dell’uomo attuale. è simbolo di un massiccio ritorno alla campagna; una sorta di esodo all’inverso, che porta alcune persone a lasciare la città per ritornare alla terra, al campo. I protagonisti di questo movimento sono i “ri-abitanti”, coloro i quali condividono la ricerca di una qualità della vita migliore, tranquilla e con ritmi meno frenetici. Persone che hanno deciso di liberare il proprio tempo dedicandosi alla cura di orti e relazioni. Persone che fanno politica partendo dal basso. Persone che preferiscono lavori manuali improntati sullo scambio a una corsa continua e smaniante 40


verso l’arricchimento materiale. Persone che usano tanto le mani e poco il denaro. Persone che hanno scelto di vivere meglio nel rispetto della natura e degli altri individui. Piero sostiene che “Se una comunità produce in loco, per sé stessa e per i propri amici, riesce a vivere un rapporto di riconciliazione con la terra e di ottimizzazione delle risorse del luogo evitando sprechi inutili. Ciò permette di capire dove sei, perché non è sufficiente andare a vivere in mezzo alla natura per riuscire a deprogrammarsi dal tempo parallelo in cui noi viviamo normalmente. La nostra società sta cadendo perché vive in un tempo parallelo, fuori dall’ordine naturale e dal ritmo della terra. Uno degli elementi di studio fondamentali in un progetto di comunità è riappropriarsi di un “ritmo terreno” dove tu ti insedi, costruisci case, fai figli stando sempre in una dimensione diversa da quella ordinaria”. La vita nel campo nell’ottica di un ritorno alla terra in modo tale da raggiungere una maggior consapevolezza di noi stessi nel mondo. Il lavoro nel campo per distogliere da una serie di distrazioni futili che sono causa di insoddisfazioni. Prendere coscienza del fatto che noi siamo nati dalla terra e torneremo alla terra. Ad Olat si aspira ad una vita equilibrata sia sul piano pratico e relazionale, che su quello economico e tecnologico. Si vive nell’ottica del mutuo appoggio e si cerca di cooperare all’interno della comune ma anche all’esterno di essa, creando delle connessioni con le realtà neo-rurali circostanti al fine di mettere in rete tra loro saperi e idee. Scambiarsi conoscenze spirituali e tecniche di gestione del territorio. Per quanto riguarda l’ambito decisionale si utilizza il metodo del consenso ed il cerchio nella forma Lakota. Ci si posiziona in cerchio attorno ad una candela e dopo aver recitato una preghiera ciascuno può parlare nel momento in cui ha in mano il “bastone della parola”. Il risparmio economico e la sostenibilità ambientale sono due delle caratteristiche chiave di Olat. Per quanto riguarda la prima, nonostante la presenza di una cassa comune, ogni membro ha una propria dimensione economica. L’artigianato, molto vario, è la fonte principale di sostentamento. Saponette, oli essenziali, creme naturali, strumenti musicali, formaggi, marmellate e miele sono alcuni dei prodotti di Olat. Capita spesso che si scambi manodopera con altri abitanti della valle. L’idea di fondo è comunque quella di produrre principalmente ciò che serve all’autosostentamento degli abitanti della comune e tutto quello che è un di più cercare di venderlo. Inoltre ad Olat esiste un mercatino dell’usato dov’è possibile trovare di tutto: posters, mobili antichi, vestiti e stoviglie. Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale il riciclo gioca un ruolo molto importante in questa realtà. Gran parte di ciò che viene generalmente buttato Olat lo recupera. C’è una cascina dedicata allo stoccaggio di materiali di vario tipo che vengono recuperati e riutilizzati tra cui ferro, infissi, reti e gomme. Per la produzione di acqua calda utilizzano due pannelli solari e per quanto riguarda il riscaldamento usano stufe a legna. Legna caduta che raccolgono da terra senza dover ricorrere al taglio degli alberi se non per permettere al bosco di respirare meglio. La comune di Olat quattro anni fa ha fondato un’associazione con la finalità di gestire diverse attività tra cui laboratori di artigianato, incontri formativi sulla medicina naturale, sulle tecniche di agricoltura e sull’edilizia a partire dai materiali locali. Attualmente l’associazione sta organizzando le varie attività. 41



“C’è uno spirito nella terra che sta risvegliando gli uomini ad esserne i custodi, soprattutto persone semplici” Piero, fondatore di Olat


Granara



ecovillaggio Per raggiungere Granara, una volta presa l’uscita di Borgotaro, seguendo le indicazioni per Branzone, si attraversa il fiume Taro su un ponte molto stretto e si prosegue su una lunga serpentina di tornanti che si alternano uno dopo l’altro. Mantenendosi sulla strada principale asfaltata, circondati da fitti boschi e da immense distese di verde, si continua a salire accompagnati dai cartelli lignei che segnalano il percorso. Dopo un tratto di sterrato sul quale s’incontra il cartello di benvenuto, non appena svoltata la curva potrete esclamare “Eccola!”. La bellezza di questo luogo salta subito all’occhio, è una sua dote naturale. Granara è un vero e proprio cantiere sperimentale dove ecologia, socialità e cultura sono gli elementi chiave attorno ai quali si è sviluppato questo ecovillaggio. Situata nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano, in Val di Taro, è una realtà molto particolare, un’esperienza i cui spazi fungono da ispiratori per l’organizzazione di attività di vario tipo. Un luogo in cui ricerca e sperimentazione sono accolte a braccia aperte favorendo l’intrecciarsi tra loro di persone e associazioni. L’ecovillaggio sorge in un vecchio borgo abbandonato dopo la guerra, costruito in sasso locale, comprendente otto case suddivise in due nuclei, “Granara di sopra” e “Granara di sotto”. è un progetto frutto di un gruppo di ragazzi di Milano, che sul finire degli anni ‘80 decise di mettersi in gioco cercando un luogo dove poter sperimentare un tipo di vita alternativo rispetto a quello della città, optando per una vita rural-comunitaria. Mettendo insieme le loro energie e le loro competenze in campi diversi, nel 1992 diedero inizio alla lenta realizzazione di questo progetto nell’ottica di vivere un futuro migliore. Inizialmente la dimensione comunitaria era molto presente, si viveva insieme in maniera stabile, condividendo spazi, idee e quotidianità. Poco a poco quest’aspetto passò in secondo piano favorendo l’insidiarsi di piccoli nuclei familiari o di singoli che comprarono le case del borgo, alcuni per stabilirvisi a vivere,altri come rifugio per scappare ogni tanto dalla vita frenetica cittadina. Ogni membro vive Granara a modo suo. Ciascun nucleo familiare ha una propria casa e una propria economia. Anche se la maggior parte dei proprietari e dei soci vivono questa realtà nel tempo libero, vi è la presenza di uno zoccolo duro, formato veramente da poche persone (oggi sono tre nuclei familiari e un singolo), che Granara la vive quotidianamente e full time. La geografia umana di questo posto nel corso del tempo è stata soggetta a molti cambiamenti. Personalità diverse tra loro si sono alternate in questa realtà, ognuna con le proprie aspirazioni, il proprio lavoro e il proprio background. C’è chi ha deciso di fermarsi e chi invece ha proseguito per un’altra strada. Per molti degli abitanti di Granara è stato necessario mantenere il legame tra campagna e città. Senza manifestare alcuna posizione di netto rifiuto nei confronti di quest’ultima, vista come luogo dai molti stimoli culturali, tra la maggior parte dei suoi membri è diffusa la necessità di un’integrazione con la dimensione urbana. Nonostante la presenza di cellule indipendenti e di molti individui che vi gravitano attorno solo in maniera sporadica, i diversi soggetti dell’ecovillaggio sono riusciti a entrare in sinergia tra loro dando origine a numerose attività, festival e campi di lavoro. Dopo aver acquistato l’intero borgo, i granadini si organizzarono in un consorzio per gestire le strutture comuni e i cento ettari di


sperimentale terreno di Granara. Pur non essendo collettiva la proprietà, la progettazione cerca di esserlo il più possibile. E’ per questo che tutti furono protagonisti dei numerosi lavori di ristrutturazione che interessarono le case, ragionando in un’ottica di bioedilizia e soprattutto autocostruzione, sfruttando materiali offerti dal territorio. Il risparmio energetico come priorità ha portato all’installazione di pannelli solari e fotovoltaici per l’acqua calda, di impianti di riscaldamento prevalentemente a legna, di docce solari e di gabinetti a compostaggio a secco disseminati per tutto l’ecovillaggio in apposite strutture. L’autoapprendimento come base da cui partire per costruire insieme un nuovo stile di vita più sano. Il recupero e la riappropriazione di quelle conoscenze che spesso sono snobbate dall’uomo postmoderno, ma che sono essenziali ai fini di contribuire alla salvaguardia del pianeta. A Granara la tecnologia è concepita come una risorsa, nonostante vi sia qualcuno che la rifiuti completamente. Il tentativo dell’ecovillaggio è quello di mostrare la possibilità di vivere in maniera semplice nel rispetto della natura, senza denigrare la tecnologia e tentando di creare anche grazie ad essa una rete di relazioni solide. Questo ai fini di sensibilizzare le persone creando dei modelli che mostrino la possibilità di poter vivere a basso costo, creandosi una propria indipendenza energetica. Arrivare alla maggior indipendenza possibile agendo in un’ottica di autoproduzione ai fini di formare un’economia differente. Trovare il nuovo nel recupero del vecchio. Realtà attiva, sotto certi punti di vista molto ben organizzata e sotto altri un po’ confusionale nell’accezione positiva del termine, a Granara c’è sempre qualcosa da fare! C’è chi si dedica alla cura dell’orto, chi a spaccare la legna, c’è chi sta facendo il formaggio e chi macinando il grano per fare il pane; chi si dedica alle galline e chi sta cercando di riparare un guasto. C’è anche chi si riposa giocando a scacchi mentre i bambini corrono liberi e si creano dei nascondigli segreti tra la natura, arrampicandosi sulle loro case sugli alberi. L’aiuto reciproco, il lavoro pratico e la crescita culturale collettiva sono i principi fondamentali diffusi tra gli abitanti di questo villaggio ecologico. Grazie a questi motivi, Granara è in ottimi rapporti anche con i contadini locali e con le altre esperienze di vita alternativa che è possibile incontrare in questa zona, tra cui la Fattoria Macinarsi e Amusa Quidesso. Il dialogo con queste realtà vicine favorisce scambi e favori di varia natura. Essendo Granara un enorme contenitore di progetti e idee, è stata fondata un’associazione che comprende vari gruppi di lavoro, ciascuno con i propri obiettivi e le proprie attività che spaziano dal teatro all’educazione ambientale, dalla musica all’applicazione di tecnologie appropriate e dall’arte alle tecniche di autocostruzione. Tra essi il gruppo teatro (Associazione Teatro Granara), il gruppo di educazione ambientale (Associazione Centopassi), il gruppo ospitalità (Associazione Granaio di Granara), il museo d’arte contemporanea (MAGra) e il gruppo granara ecologia (G.ECO). Grazie a quest’ultimo è stato costruito il Centro di Documentazione, una casa in terra e paglia energicamente autonoma, con muri che assorbono calore per rilasciarlo all’interno, provvista di una piccola libreria dove è possibile consultare del materiale interessante legato all’ecologia sociale.



“Non è una fuga, ma piuttosto una riconquista di luoghi e competenze appropriateâ€? abitante di Granara




SOGNO RICERCA SPERIMENTAZIONE

AUTOAPPRENDIMENTO AUTOCOSTRUZIONE

“Granara non è una grande comune, ma nel villaggio si crea comunità: a volte deliberatamente a volte inconsapevolmente le vite di ciascuno di noi si intrecciano. è piacevole stare assieme, mangiare tutti insieme, condividere il lavoro quando lo vogliamo veramente e nello stesso tempo avere il proprio spazio privato, la propria casa” abitante di Granara

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AUTOSUFFICIENZA INTERDIPENDENZA

risparmio energetico

fonti rinnovabili

risorse locali

circolazione del sapere

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Amusa Quidesso



la terra liberata

Amusa Quidesso rientra in quella cerchia di esperienze che se non fai e te le raccontano, stenti a crederci. Non ci arrivi perché la stai cercando, è lei che trova te. Amusa si raggiunge solo a piedi. Si tratta di scegliere il sentiero giusto e percorrerlo senza fretta, godendo del paesaggio circostante. Un percorso che vuole farti entrare sin da subito in contatto con la natura mettendoti alla prova. Si attraversa una pietraia e si guada un ruscello in mezzo al bosco, proseguendo sui passi di chi ci è passato prima. Improvvisamente s’intravede una casa in pietra e si nota del movimento attorno ad essa. Eccovi arrivati in uno di quei posti che può essere definito un piccolo grande tesoro. Una di quelle realtà che dopo averle viste si è portati a pensare “Meno male che esistono loro!”. Un luogo dove si vive ad un’altra velocità, da alcuni definito come “un luogo dove il tempo si è fermato”. Non molto lontano da Granara, in Val Cogena, una famiglia di tedeschi ha deciso di trapiantare i propri sogni in mezzo ai boschi, in un contesto naturale, selvaggio, scegliendo uno stile di vita che non definirei estremo, ma coraggioso. Questa esperienza cominciò quando Kai e Tine decisero

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di dare un taglio netto con la società, rinunciando a tutti i comfort che essa offre, in cambio di un arricchimento personale e una maggior consapevolezza di sé stessi. Hanno scelto un luogo raccolto e isolato che fosse lontano dall’inquinamento esistenziale. Un luogo dove poter sperimentare un’altra quotidianità. La ricerca è stata lenta, hanno girato a lungo prima di trovare il posto adatto in cui cominciare il loro progetto di vita. Cercavano un angolo di mondo immerso nella natura, con un bosco di castagni, un fiume incontaminato e soprattutto non raggiungibile dalle auto. Una volta trovato, dopo essersi lasciati alle spalle la città, hanno rifiutato qualsiasi forma di modernità. Molto radicali nelle loro scelte, per uscire dagli schemi i posti dal sistema, le prime cose a cui hanno rinunciato sono state l’elettricità e l’acqua corrente. Ad Amusa Quidesso ci si scalda con la stufa a legna, ci si lava nel fiume e quando cala la notte si accendono le candele. Si vive a stretto contatto con la natura, in un continuo scambio con essa. Si ricerca l’autosufficienza. Ci si dedica alla cura dell’orto, si accudiscono le mucche, si cucina, si suona, si medita, si legge, si è liberi di esprimersi, di pensare e di condividere con gli altri le proprie esperienze. Si rinuncia alle comodità e si ricercano cose semplici condividendo il lavoro e la quotidianità. La cucina è un luogo di ritrovo, quasi sempre affollato.


Una stufa in ghisa che dorme solo di notte, pentole fumanti e profumi speziati. Si mangia quando si ha fame. La sera si pratica “Ritmo e Voce”, occasione in cui si suonano i tamburi alternando ritmi vocali che lasciando molto spazio all’espressività di ognuno, soprattutto nei momenti d’improvvisazione collettiva. Ad Amusa Quidesso si annota tutto quello che si è fatto durante il giorno. Si scopre sempre qualcosa di nuovo e lo si mette in pratica cercando di migliorarsi. Uno stile di vita semplice e genuino accomuna persone che hanno fatto una stessa scelta: impegnarsi quotidianamente in una rivoluzione fatta di gesti e duro lavoro. La rinuncia come uno dei valori portanti, grazie alla quale è possibile conseguire un arricchimento spirituale. è bene mettersi alla prova e dover confrontarsi tutti i giorni con una serie di fatiche che permettono di ampliare le proprie capacità e raggiungere in profondità sé stessi; cosa che in città è più difficile fare perché si è soggetti a troppe distrazioni. Il raggiungimento della felicità come obiettivo di vita. Essere in armonia con sé stessi, con gli altri e soprattutto con la Grande Madre. L’arte in tutto ciò ricopre un ruolo fondamentale. Essa aiuta a pensare nutrendo lo spirito. Ad Amusa Quidesso si lavora molto sulla fiducia, sulla sincerità, sulla condivisione e sugli spazi di libertà personale. La scelta di uno stile di vita del genere non è di certo

semplice e neanche comoda. Richiede un impegno costante che non tutti riescono ad avere. Si tratta di una realtà densa, profonda e complessa che non è facile da d scrivere, bisogna esperirla mettendosi continuamente in gioco. Attualmente fanno parte del progetto una decina di persone. Il desiderio di Kai e Tine è sempre stato quello di ampliare la comunità e dopo tanti anni di vai e vieni sembra che Amusa Quidesso abbia finalmente raggiunto una certa stabilità. Kai, alla domanda “E’ possibile vivere al giorno d’oggi fuori dal sistema?” risponde con un esempio concreto. Mostra come da quando la comunità si è allargata, sul letto del fiume dove sciacquano i panni lavati con la cenere, si sia propagata un alga che prima non era così diffusa. Questo per spiegare che per stare fuori dal sistema non basta andare a vivere nei boschi e rinunciare ad alcune comodità. Vivere fuori dal sistema significa avere rispetto prima di tutto per il luogo in cui si sceglie di stare e cercare di capire, in base all’esperienza, come far fronte a dei cambiamenti di cui anche inconsapevolmente siamo causa. Una realtà come questa, avvolta da un enorme senso di pace, fa capire che per affrontare le cose non c’è fretta. Bisogna imparare ad ascoltare sé stessi. Silenzio.

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“Un progetto di vita impegnativo ma possibile, difficile ma pieno di gioia� Kai


Zappatori senza padrone



Piambaruccioli e Tra Fossi con un gallo nello zaino Tra i luoghi citati da Dante nella Divina Commedia, vi è una valle con un’incantevole cascata, l’Acquacheta; fonte d’ispirazione non solo del celebre autore, ma anche di un gruppo di giovani che a metà degli anni settanta, affascinati da questo luogo, decisero di fondare una comune nelle sue vicinanze. Cercavano un posto che fosse sinonimo di libertà. Volevano allontanarsi dalla città, lasciandosi alle spalle la modernità. Modernità che rifiutavano e per questo non volevano esserne schiavi. “Odiavamo le città piccole che uccidono mentalmente e le città grandi che uccidono materialmente” dichiarò uno dei suoi fondatori. Fu così che con gli zaini carichi di idee libertarie gli Zappatori senza padrone, è così che si chiamano, si avventurarono sull’Appennino tosco-romagnolo alla ricerca di un posto da occupare. Arrivarono a Piambaruccioli in un momento storico molto particolare in cui la proprietà, la famiglia e l’ordine erano dei principi morali diffusi e consolidati. Loro li volevano scardinare. Occuparono un gruppo di casolari in pietra con tre ettari di terreni agricoli annessi. Volevano ri-abitare i luoghi dell’abbandono. “Avevamo una vallata tutta per noi: dovevamo dare nomi nuovi a tutte le cose, e quelle erano le nostre Ande. Fieri delle nostre sderenatezze, dei nostri aspetti trasandati, selvaggi delle foreste appenniniche, esorcizzavamo con disprezzo ricorrente i nostri trascorsi cittadini”, disse uno di loro. Contestati dai locali e da alcuni proprietari delle case, dovettero lottare a lungo per essere accettati, anche perché quello era il periodo dell’eroina ed era facile che i bigotti tirassero conclusioni affrettate. Loro volevano lavorare la terra, sperimentare colture e salvaguardare un patrimonio naturale incontaminato, lontani dalle degradanti tentazioni del consumismo. Piambaruccioli, Tra Fossi, Le Cortecce e La Casa delle Streghe erano i quattro complessi di case in cui si erano insediati gli Zappatori senza padrone. Un porto di mare dove approdavano variopinti personaggi. Luoghi in cui chiunque poteva trovare rifugio. La porta era sempre aperta e gli ospiti benvenuti. C’era chi vi ci arrivava per scappare dalla città, chi per stare lontano dalla legge, chi per saziare la sua curiosità e chi per condividere un culto mistico. C’era sempre posto per tutti. Chi voleva arrivarci doveva passare per il cammino dell’Arrabbiata. Un nome, una garanzia. Un sentiero in salita lungo due chilometri, stretto e poco segnalato. Pieno di bivi che personalmente ho risolto dicendo tra me e me “devo raggiungere il crinale, proseguo verso l’alto!”. Percorso che gli Zappatori facevano carichi di cose da portare alla comune, tra cui stufe e materassi, impiegandoci intere giornate.

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Questa comune era una di quelle realtà animate da giovani sognatori. Personaggi che volevano vivere un “qui e ora” fuori dagli schemi, senza dover rendere conto a nessuno di quello che stavano facendo e senza dover ricevere


alcun tipo di approvazione. Volevano smettere di porsi troppe domande, concentrarsi nelle cose che stavano vivendo nel momento in cui le stavano facendo. Vivere distanti dalla società evitando di appiattirsi e omologarsi ad essa. Risvegliare il selvaggio lasciandosi guidare dall’istinto. Esprimere le proprie personalità. Creare una nuova quotidianità che fosse in armonia ed equilibrio con la terra. Il loro nome è un chiaro riferimento ai Diggers (Zappatori), un movimento che si sviluppò durante la Rivoluzione Inglese del XVII secolo. I diggers guidati da Gerrard Winstanley, considerato uno dei precursori dell’anarchismo, proclamarono la fine del denaro e si unirono per lavorare le terre comuni, secondo principi comunitari, in nome di una vita libera. Prendendo spunto da loro gli Zappatori senza padrone dedicavano molta cura ai campi e all’orto. Non volevano usare i trattori, non volevano nulla che fosse meccanico. Volevano che tutto provenisse dalla terra: alimentazione sana e medicine naturali. Ricercavano l’autosufficienza. In casa inizialmente non c’erano né acqua corrente né elettricità e la legna per scaldarsi andava raccolta da terra; non si tagliavano i boschi. Ci si spostava solo a piedi. Tutto questo perché il rispetto per la natura era uno dei principi fondamentali. All’epoca nella comune vi abitavano fisse una quindicina di persone, più tutti quelli di passaggio. Poco a poco molti decisero di rimettere piede nella civiltà, altri di metter su famiglia e trovarsi un lavoro. Erano ragazzi dalle idee ben chiare, forse in alcuni casi un po’ troppo rigidi nelle loro posizioni ideologiche. Ed è proprio questa rigidità che, secondo alcuni, li ha portati al fallimento. Oggi nella valle dell’Acquacheta sono rimasti in pochi. Nonostante abbiano segnato una pagina importante della storia del comunitarismo italiano e i tempi siano cambiati, Piambaruccioli e Tra Fossi restano comunque due realtà che, in forma ridotta, esistono ancora. Anzi resistono. Sembra quasi che la frase di Rousseau “Se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!” aleggi nell’aria come un mantra per non far perdere d’animo le poche persone che questa realtà continuano viverla. Anche se molte cose sono rimaste tali e quali, come la ricerca dell’autosufficienza, la cura dell’orto e degli animali, si è cercato di smussare alcuni angoli mentali. La tecnologia, anche se in forma limitata ha fatto irruzione anche in questa realtà. Vi è infatti la presenza di pannelli solari, di uno stereo e di un lettore dvd. Anche l’acqua corrente ha raggiunto le case. Tante cose rispetto agli anni settanta sono cambiate, tante persone si sono date il cambio ma nonostante ciò si continuano a seminare sogni aspettando che poco a poco crescano. Dei fondatori originari è rimasto solo Jerry, ma se si è fortunati è possibile incontrare anche altri due personaggi storici: Giambardo e Ulisse. Se si è ancora più fortunati, si scopre casualmente che uno dei propri parenti ha vissuto per molto tempo a Piambaruccioli, si chiama Claudio, ha un sacco di storie da raccontarvi e se andate a Tra Fossi con lui tornerete con un gallo nello zaino. Ma questo è il mio caso.

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“Con moderazione ma a dosi industriali� Ulisse





TISANA ALLUCINANTE Tisana allucinante, delirante tisana allucinante, con tante piante code di rospo, bave di rana semi di stramonio, marijuana un po’ di belladonna e giusquiamo qualche amante e via andiamo. Psilocibina e mescalina peyote un pochino, sballa un casino! L’aconito napello è tanto bello con segale cornuta è la cicuta Per terminare la sconvultura ci metteremo nella natura, ci immergeremo nella natura Ulisse



Popolo degli Elfi


la confederazione dei villaggi elfici

In Italia esiste una realtà che nel tempo ha riunito molte persone, ciascuna di esse protagonista della creazione di un modello di vita alternativo in cui oggi convivono numerose esperienze e numerose idee; una realtà grossa, estesa e presente sul territorio: il Popolo degli Elfi. Tutto cominciò negli anni ‘80 quando un gruppo di ragazzi decise di stabilirsi nella zona dell’Appennino Pistoiese, recuperando case e ristrutturando borghi abbandonati tra i boschi delle montagne toscane. Oggi sono una comunità riconosciuta che esiste ormai da trent’anni, ma l’inizio fu difficile e complesso. Spesso i proprietari delle case occupate ne reclamavano il diritto di proprietà; e fu solo dopo diverse battaglie legali che gli Elfi riuscirono ad ottenere i permessi per insidiarsi in questa zona senza problemi. Così, cominciò la loro storia. Volevano stare tranquilli, vivere una vita semplice in armonia con la natura, prendendosi cura di un territorio altrimenti prossimo all’abbandono e alla desolazione. Una volta fondato il primo villaggio, Gran Burrone, spuntarono immediatamente tutti i successivi. Uno dopo l’altro cominciarono a prendere vita Casa Sarti, Piccolo Burrone, Pastoraio, Casa Balli, Avalon e così via. Oggi sono circa una trentina, comprendendo anche le case familiari, e fanno tutti parte della Confederazione dei Villaggi Elfici. La maggior parte sono situati nella zona della Sambuca Pistoiese, eccetto Avalon che si trova a Montevettolini e dista da essi un giorno a piedi. La comunità degli Elfi è un mondo a parte. Un esperimento nato per dimostrare la possibilità di vivere in modo completamente diverso rispetto alla cultura dominante, che col tempo si è trasformato in un vero e proprio stile di vita. Uno stile di vita alternativo, spinto dalla volontà di creare un sistema di convivenza basato sul rispetto reciproco, l’assenza di pregiudizi e la condivisione di spazi e tempo. L’intento, sin dall’inizio, è stato quello di allontanarsi dal sistema e dalla logica repressiva del capitalismo per arrivare ad una maggiore semplicità del vivere quotidiano, facendo affidamento sulle proprie risorse. Un vero e proprio tentativo di autogestione per arrivare all’autosufficienza. La scelta di rinunciare ad un mondo pieno di comodità per vivere in un contesto liberato. Un allontanamento intenzionale dalla frenesia della società capitalista in cambio della tranquillità e dell’armonia con il pianeta. Gli Elfi hanno deciso di rigenerarsi; di vivere in una condizione di frugalità volontaria1 lontano da qualsiasi tipo di comfort, col fine di creare una valida alternativa di vita che fosse a misura d’uomo. Vivono a pieno ritmo la vita dei campi; hanno scelto di dedicarsi alla terra, vedendo nel ritorno ad essa la

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possibilità di concretizzare valori importanti come la collaborazione, la condivisione e la semplicità. Solidarietà e cooperazione. Non vi sono obblighi partecipativi e ognuno è libero di svolgere le attività secondo le proprie attitudini; di lavoro ce n’è per chiunque e tutti fanno qualcosa di utile per sé stessi e per gli altri. Organizzare una vita quotidiana al di fuori di leggi formali, governata dal rispetto ambientale e da un consumo controllato e consapevole, fatta di gesti semplici che agiscono nel completo rispetto della natura; per esempio lavando i piatti con una pastura di fondi di caffè misto cenere e stando molto attenti alla raccolta differenziata per il riciclaggio dei rifiuti. Piccole cose che arricchiscono l’individuo senza danneggiare la Madre Terra. Questo perché la natura è sacra e gli Elfi la considerano un essere vivente, pensante. L’elemento ecologico è una delle pietre fondanti della comune. L’uomo secondo gli Elfi è ospite del pianeta e per questo è tenuto ad averne il massimo rispetto. è importante tutelare il territorio riducendo l’impatto ambientale eliminando lo spreco e ragionando sul fatto che ogni materia è fonte di energia e va utilizzata fino alla fine del suo ciclo. Lavorare la terra con metodi poco invasivi per raggiungere l’autosufficienza alimentare. La comunità è fatta delle persone che la vivono, cambia la gente, cambia l’atmosfera. è caratterizzata da un nucleo originario attorno al quale vi è un ricambio continuo di persone. Una realtà in continuo mutamento. Gli abitanti della Valle degli Elfi sono tanti e diversi tra loro, ognuno con il proprio vissuto. Questo favorisce la presenza di una popolazione eterogenea in cui molte diversità si mescolano insieme. Momenti di scambio, di confronto e d’incontro si alternano a momenti di svago in cui si suona, si canta e si balla attorno al fuoco. Un ordine tacito consente di convivere pacificamente e armoniosamente. Parità, libertà di pensiero e uguaglianza tra le voci sono alcuni dei principi su cui si fonda la comunità elfica. Non esiste alcun tipo di gerarchia o potere politico al suo interno. Ciascun membro ha lo stesso peso ed è libero di esprimere quello che pensa e di rendere partecipi gli altri circa il suo punto di vista. Lo può fare all’interno del cerchio prendendo il “bastone sacro della parola”, la cui funzione non è quella di far emergere la maggioranza legata all’assunto messo in discussione. Le decisioni infatti, vengono prese con il metodo del consenso, il quale prevede che tutti debbano essere d’accordo, andando avanti nel confronto fino a che è necessario. Gli Elfi hanno sempre manifestato una certa diffidenza nei confronti del denaro sviluppando un’economia

interna che si fondasse sullo scambio, sul baratto e sul dono. Esiste una cassa comune, a cui tutti contribuiscono, necessaria all’acquisto di quei beni di prima necessità che non possono essere autoprodotti in ambito comunitario. Sono varie le attività svolte dagli Elfi; tra esse vi sono la coltivazione dei prodotti della terra, l’artigianato, la pizzeria ambulante nei periodi dei festival e la vendita di prodotti realizzati in valle. Nonostante ciò, a volte capita che qualcuno lavori anche all’esterno della comunità e chi lo ritiene opportuno è libero di avere una economia privata. Gli Elfi inoltre, sono molto ben visti dagli abitanti dei paesi limitrofi con i quali sono riusciti a instaurare dei ra porti di scambio. Per far fronte ad un notevole incremento della popolazione, soprattutto negli ultimi anni, si sono dovuti organizzare in modo tale da provvedere ad un adeguato regime alimentare per tutto il popolo. La cura dei campi e degli orti è diventata di vitale importanza e per facilitare ciò sono stati introdotti alcuni trattori. Inizialmente la comunità tendeva a rifiutare qualsiasi forma di tecnologia, però recentemente in alcuni villaggi si è scelto di introdurre l’uso dell’elettricità, con molta moderazione e senza sprechi, e i pannelli solari. Tutto ciò ragionando sempre in un’ottica di rispetto per l’ambiente. Nella Valle degli Elfi c’è una grande fetta di piccoli abitanti. Per quanto riguarda la loro istruzione, è bene citare ciò che Mario Cecchi, uno dei fondatori della comunità, ha dichiarato nel corso di un’intervista: “Noi non facciamo scuola da tal ora a tal ora, facciamo scuola sempre, da quando il bambino è nato a quando si confronta con l’istituzione scuola-società-lavoro fino a raggiungere l’autosufficienza sia materiale che psicologica. Ogni tanto capita di formalizzare il momento scuola, di sedere intorno ad un tavolo per scrivere, disegnare, fare laboratori d’arte, cartapesta, argilla… Ma lo si fa senza interrompere la vita quotidiana. Cerchiamo di dare loro le nostre conoscenze. Tutta la comunità è coinvolta, siamo padri e madri di tutti i bambini, la loro crescita e l’armonia dipendono da tutti.” L’ospitalità ha un ruolo centrale nella cultura del popolo elfico. Chiunque può raggiungerli e trascorrere un periodo con loro. Ci sarà sempre un piatto caldo e un materasso a disposizione di chi sarà disposto a collaborare, a dare una mano e a condividere esperienze con loro. La voglia di fare è senza dubbio la chiave per essere ben accetti. Ogni momento in comune è un’occasione per socializzare e per imparare qualcosa di nuovo. ______________________________________ 1

Mario Cardano, Lo specchio, la rosa e il loto, Edizioni Seam, 1997.

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POPOLO DEGLI ELFI

condivisione

partecipazione collaborazione rispetto per la natura autoproduzione

solidarietĂ

uguaglianza

cooperazione



“Un elfo è colui che si accontenta di quello che la Natura gli offre e vive gioiosamente, semplicemente con quello. Sta attento a non inquinare, a non depauperare la Natura, perchè sa che è un suo dovere preservarla per i suoi figli. Considera fratelli gli altri abitanti non umani della terra e agisce con rispetto verso ogni forma di vita. Sa che tutto è in relazione, un filo invisibile unisce tutte le cose del creato come un’immensa ragnatela. Quello che succede in un luogo si ripercuote su tutto il pianeta attraverso le particelle della materia trasportate dal vento. Basta essere attenti ed ascoltare per percepire il cambiamento” Mario Cecchi


Rainbow Gathering


anarchia tribale, ovunque nel mondo Il Rainbow Gathering è un raduno in cui comunità e nomadismo si fondono. Un’occasione che unisce persone di diverse nazionalità e con trascorsi differenti, che si ritrovano in uno stesso luogo condividendo, per la durata di circa un mese (seguendo i cicli lunari), momenti di ricerca comune. Un’esperienza dove le diversità possono convivere in armonia, un momento in cui si è tutti fratelli e sorelle di una stessa famiglia. Ispirati da ideali comunitari, ecologici e pacifisti, i protagonisti dei Rainbow si ritrovano in luoghi incontaminati immersi nella natura, generalmente nelle vicinanze di un fiume. Si dorme in tende, teepee o all’aria aperta e ci s’illumina col fuoco. Nei momenti dei pasti ci si riunisce tutti insieme in cerchio e al loro termine qualcuno passa con un “cappello magico” chiedendo un’offerta libera. Sono molte le persone che accorrono a questo evento paragonabile alle TAZ (Zone Temporaneamente Autonome) di Hakim Bey, in quanto propone deliberatamente un contesto liberato. Le notizie riguardo le date ed il luogo di un Rainbow girano attraverso internet o tramite il passaparola.

11 aprile 2012 Ad Avalon, villaggio elfico, ho trovato affisso in bacheca un biglietto scritto a matita con le indicazioni dettagliate per raggiungere il Rainbow di primavera. La frase conclusiva dice “vedrete i furgoni!!!!” e accanto ad essa un fiore ed un cuore in perfetto stile hippie. Nonostante il cattivo tempo io e mio fratello decidiamo di andarci ugualmente. Lui aveva già fatto questo tipo di esperienza, per me sarebbe stata la prima volta. La location scelta per questo evento temporaneo è un parco naturale nei pressi del torrente Farma, in Toscana. Seguendo le indicazioni che da Iesa portano al torrente, dopo una serie di tornanti incrociamo un gruppo di macchine e un cartone spappolato dalla pioggia che annuncia “Rainbow Parking”. Parcheggiamo e continuiamo a piedi. Un traveller ci informa che è appena arrivata la forestale e sta cominciando a far sgomberare la zona. Proseguiamo fino a raggiungere il campo. Mentre un trattore cerca di liberare dal fango un furgone, alcune persone si apprestano a smontare le tende. Un ragazzo ci racconta che è stato un Rainbow coinvolgente ma animato da tanti momenti di tensione causati dal mal tempo. Si sono alternati sgomberi, spostamenti e infine quando sembrava avessero trovato il luogo adatto, l’esondazione del torrente ha fatto scattare la chiamata alla protezione civile per aiutare tre ragazzi bloccati su un isolotto in mezzo al fiume. Momenti realmente critici. Un rainbow movimentato al quale siamo arrivati nel momento sbagliato, ma mai troppo tardi per dare una mano. La nuova destinazione è già decisa… Per quanto mi riguarda, sarà per la prossima!


Trib첫 delle Noci Sonanti



la ricerca dell’autosufficienza Nell’entroterra marchigiano, sulla strada che da Jesi porta a Cupramontana, esiste un posto speciale, raccolto e silenzioso. Non vi è nessun cartello che segnala la sua presenza, solo una grande quercia con una bandiera della pace che sventola appesa ad un ramo. Lì vicino si trova un sentiero, percorribile solo a piedi, che scende per una quindicina di minuti. Ad un certo punto s’intravede una vecchia casa di campagna, è la dimora della Tribù delle Noci Sonanti. Pensando al nome ci s’immagina di trovare molte persone quando si arriva in questo luogo, in realtà è esattamente l’opposto. Regna un grande silenzio che si propaga per tutta la valle, procurando un forte senso di pace interiore. Si ha come la sensazione di un tempo dilatato, si percepisce un’altra velocità. Fabrizio, il fondatore della Tribù delle Noci Sonanti, vive qui da ormai più di vent’anni. Il suo è un progetto di vita. A volte solo, a volte insieme a persone che si fermano per lunghi periodi o qualche giorno, ha deciso di vivere e condividere la sua vita in maniera semplice e sobria. In questo luogo si tocca con mano che per stare bene non c’è bisogno di avere tanto, ma giusto dell’essenziale. S’impara a vivere con poco, a ridurre i consumi e si sviluppa un forte senso di responsabilità verso tutto ciò che ci circonda. Al posto dell’elettricità si usano le lampade ad olio; olio di semi che molti amici di Fabrizio conservano per lui dopo averlo usato per friggere. In casa non c’è acqua corrente e i piatti si lavano con la cenere. Non c’è il telefono e ci si muove prevalentemente a piedi, a volte in bicicletta o nel caso di spostamenti lunghi sfruttando dei passaggi. La farina si macina a mano e non si usa la carta igienica. Ci si scalda e si cucina sulla stufa a legna e non si indossano le scarpe in casa. Queste sono alcune delle caratteristiche di uno stile di vita che si differenzia in maniera radicale dal classico modo di vivere occidentale, andando in una direzione totalmente opposta ad esso. Non si spreca nulla, si ottimizzano i consumi e si ricicla il più possibile. Ruolo fondamentale in questa scelta è la cura della terra. “Noi abbiamo scelto di ritornare a vivere sulla terra, a sporcarci di terra, ad odorare di terra, a dipendere dalla terra” dice Fabrizio nel corso di un’intervista. Lavorare la terra per essere autosufficienti. Produrre quello che serve per il proprio sostentamento e vendere o scambiare il di più, per avere quei soldi necessari a comprare ciò che non si riesce ad autoprodurre, come per esempio il sale. Riuscire ad essere liberi e lontani dalle logiche di mercato. Il terreno di proprietà della Tribù si estende per circa cinque ettari. Per scelta non viene utilizzato interamente in quanto per lavorare una terra così grande sarebbe necessario l’aiuto di più persone. Molta parte di esso si sta inselvatichendo, ma vi è una parte importante dedicata all’orto. Vi sono molti ulivi con cui si produce l’olio e anche molti alberi da frutta, ottimi per le marmellate. Per irrigare l’orto si usano secchi d’acqua. La dieta è vegetariana, comprende cereali, verdure dell’orto e anche erbe spontanee con cui vengono fatte anche delle ottime tisane. La fatica per arrivare ad una crescita interiore. Grazie ad essa si sviluppa una maggiore consapevolezza di sé stessi, arricchendosi nella pratica del quotidiano. Ci si rende conto realmente di chi si è, di cosa si fa e perché lo si sta facendo. Uno spazio di riflessione in cui imparare a conoscere sé stessi per cercare di migliorarsi e far si che anche gli altri migliorino. Come diceva una contadina locale “una noce da sola non fa rumore, ma se unite insieme diventano sonanti”, questo è un incentivo a far sentire la propria voce! 84




“Pensiamo che ognuno debba farsi carico di quello che usa, di quello che consuma, di quello che spreca, di quello che ricicla, della spazzatura che produce” Tribù delle Noci Sonanti



SEMINASOGNI Il Seminasogni è una fanzine autoprodotta, scritta a mano su carta riciclata. I collaboratori, tra cui la Tribù delle Noci Sonanti, raccontano la loro vita, scrivono poesie, storie o pubblicano articoli interessanti che riguardano tecniche di coltivazione o la produzione di particolari prodotti. La sezione “Per cambiare scambiamo” è dedicata agli annunci per barattare oggetti e attività. Il Seminasogni viene pubblicato con cadenza stagionale, quattro numeri all’anno. Gli abbonati lo ricevono a casa per posta. Per quanto riguarda la sua diffusione bisogna fotocopiarlo oppure richiedere le copie a Fabrizio delle Noci Sonanti pagando una somma simbolica. Un vero e proprio esempio di editoria alternativa. Il Seminasogni vuol’essere un invito a “piantare” altri mondi possibili.


ALLEGAT





RIVE La RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) è un organismo nato nel 1996 col fine di mettere in contatto tra loro i diversi ecovillaggi distribuiti sul territorio italiano. Uno dei suoi scopi è quello di far conoscere e divulgare l’esistenza di quelle che sono le esperienze comunitarie considerate degli interessanti laboratori di sperimentazione di stili di vita alternativi, improntati sulla solidarietà, sulla cooperazione e soprattutto sull’ecologia. Essa comprende un ventaglio eterogeneo di realtà (comunità, ecovillaggi, progetti di comunità e singole persone), ciascuna con il suo personale orientamento filosofico, organizzativo, economico e culturale; tutte molto attente alla salvaguardia dell’ambiente nell’ottica di migliorare le prospettive delle generazioni future. Aderisce al GEN (Global Ecovillage Network), rete che mette in comunicazione gli esperimenti comunitari improntati all’ecosostenibilità, diffusi su scala globale. “[...] acquisire coscienza di sé, conducendo un’esistenza ecosostenibile. Un mondo di comunità e di individui che si prendono cura l’uno dell’altro, che condividono le loro esistenze, certi che solo abbracciando varie culture, armonizzando i loro comportamenti con la natura possono porre le basi di un mondo diverso, per assumere un nuovo atteggiamento di fronte alla vita, al lavoro, alle relazioni, fondato sul vivere comunitario e solidale. La Rete Italiana dei Villaggi Ecologici ritiene che le esperienze di vita comunitaria, ciascuna con il proprio carisma, siano laboratori di forme genuine di esistenza che rifiutano ciò che è effimero e superficiale per inaugurare modi di vivere improntati alla cooperazione, condivisione, affetto tra I propri membri; che rifiutano il consumismo, per promuovere forme di autoproduzione di alimenti, beni ed energia sulla via della completa autosufficienza; che rifiutano il consumo incontrollato del territorio e delle risorse naturali per assumere comportamenti consapevoli tendenti alla riduzione dell’impronta ecologica, a partire dal proprio vivere quotidiano [...] promuove la diffusione di pratiche di vita

comunitaria ecosostenibili e sostiene progetti che se ne pongano l’obiettivo; coopera con chi promuove una cultura di pace, il mutuo aiuto, la solidarietà e considera valori le differenze; educa alla non violenza e ritiene che la decrescita sia il terreno concreto per promuovere la non violenza in relazione con la natura e per la salvaguardia delle varie forme di esistenza sulla terra; sostiene le pratiche che favoriscono la piena eguaglianza tra i generi. La RIVE svolge concretamente una funzione critica contro l’attuale modello di sviluppo, praticando stili di vita alternativa autentica e responsabile che si aprono al mondo [...] promuovere forme di lavoro partecipato, creativo e non alienato ove i ritmi dell’esistenza e la possibilità di conciliarli con le esigenze di ognuno vengono al primo posto. Nel contempo promuove forme di cooperazione e di elaborazione delle decisioni che includano i contributi di ognuno [...] l’ecovillaggio favorirà metodi decisionali partecipativi che incoraggino la responsabilizzazione e la libertà di ciascuno come condizioni per costruire la responsabilità collettiva e la libertà di tutti”. Manifesto RIVE http://www.mappaecovillaggi.it/detail___.asp

“[...] è un’associazione di promozione sociale, con una struttura verticistica, ma in pratica funzionante come organizzazione orizzontale, in cui ogni ecovillaggio partecipa attraverso una o più persone delegate [...] L’organo sovrano è l’assemblea dei soci, che si riunisce una volta all’anno [...] nel tempo si è consolidata l’amicizia tra i membri e grazie agli incontri si è raggiunto un ottimo livello nella comunicazione e nel prendere le decisioni [...] abbiamo scelto di fare le riunioni con un facilitatore esterno, il quale ha la capacità [...] di mantenere la discussione entro i tempi ed i binari prestabiliti, favorendo il confronto e la sintesi. Altrimenti, le decisioni vengono prese col metodo del consenso [...]”. “Nella Valle degli Elfi, intervista a Mario Cecchi a cura di Giuseppe Moretti”, Lato Selvatico n°35, 2009


GEN “The Global Ecovillage Network (GEN) is a growing network of sustainable communities and initiatives that bridge different cultures, countries, and continents. GEN serves as umbrella organization for ecovillages, transition town initiatives, intentional communities, and ecologically-minded individuals worldwide […] GEN’s main aim is to support and encourage the evolution of sustainable settlements across the world”. http://gen.ecovillage.org/about-gen.html

“l’orientamento del Gen è di promuovere una sostenibilità a 360 gradi”

Mimmo Tringale, “Ecovillaggi: cantieri per un mondo migliore”, 2006 http://www.aamterranuova.it/article1371.html

All’anno 2011, sono associati gli ecovillaggi: • La Comune di Bagnaia, Ancaiano-Sovicille (SI) • Torri Superiore,Ventimiglia (IM) • Damanhur, Baldissero Canavese • Basilico, Cantagallo (PO) • Il Popolo degli Elfi Avalon, Montevettolini, Pistoia • Modus Vivendi, Caramanico Terme • La Città della Luce, Passo Ripe (AN) • Il Vignale, Blera (VT) • Arcipelago Saragote, Diamante, (CS) • Hodos Fauglia (PI) • Campanara, Palazzuolo sul Senio (FI) • AAM Terra Nuova, Firenze • Noceto, Ville di Corsano (SI) • Pignano, Volterra (PI) Ecco!Upacchi, Anghiari (AR) • Lumen, San Pietro in Cerro (PC) • Associazione Rays, Gerfalco (GR) • Villaggio Verde, Cavallirio (NO) • Caimercati, Cagli (PU) • Ananda Assisi, Gaifana di Nocera Umbra (PG) • Cohousing Rio Selva, Preganziol (TV) • Ecovillaggio Ciricea, Loc. Pitecchio (PT) • EVA Ecovillaggio Autocostruito, Pescomaggiore (AQ) http://www.mappaecovillaggi.it/who_we_are.asp

“La rete delle reti degli ecovillaggi, il luogo d’incontro virtuale delle utopie reali! […] GEN vuole essere un supporto per lo scambio di conoscenze maturate all’interno di ogni singola realtà, vuole fornire gli strumenti a chi si affaccia a questo tipo di esperienza per la prima volta, vuole essere il filo che collega istituzioni e persone affinché insieme possano progettare e costruire un futuro rispettoso dell’ambiente e di tutti gli esseri che lo abitano”. http://www.mappaecovillaggi.it/article8779.html


CIR “[...] è nato [...] nel ’95. Un gruppo di rurali si è incontrato ed ha dato origine al bollettino che ha preso, appunto, il nome di CIR (Corrispondenze e Informazioni Rurali) [...] è lo strumento di divulgazione e di propagazione della rete creatasi intorno al progetto di mettere insieme ed organizzare un bagaglio di conoscenze, vissuti e produzioni del “popolo contadino” [...] Ogni anno si fanno un paio di incontri in posti sempre diversi [...] per dare il nostro apporto alle battaglie più importanti contro le biotecnologie o contro le multinazionali [...] che minacciano la preservazione dell’ambiente, la biodiversità, la salute umana e del pianeta [...] Il CIR è sempre due volte all’anno per un tempo breve, 3 o 4 giorni, ma con una finalità di intervento nelle battaglie politiche in difesa della ruralità ecologica”. “Nella Valle degli Elfi, intervista a Mario Cecchi a cura di Giuseppe Moretti”, Lato Selvatico n°35, 2009

RETE BIOREGIONALE ITALIANA “[…] nata nella primavera del 1996 è un insieme di gruppi, associazioni, comunità e singole persone che condividono l’idea bioregionale […] è un ‘terreno comune’ per condividere idee, informazioni, esperienze, progetti ma anche emozioni, al fine di sviluppare forme e pratiche -culturali, sociali, spirituali, politiche ed economiche- appropriate di vita in armonia con il proprio luogo, la propria bioregione, le altre bioregioni e l’intera terra […] L’idea bioregionale consiste essenzialmente nel riprendere il proprio ruolo all’interno della più ampia comunità di viventi e nell’agire come parte e non a parte di essa, correggendo i comportamenti indotti dall’affermarsi di un sistema economico e politico globale, che si è posto al di fuori delle leggi della natura e sta devastando, ad un tempo, la natura stessa e l’essere umano […] Il modo più appropriato per iniziare a ri-abitare non è attraverso leggi o regolamenti imposti, ma ponendosi in prima persona in relazione al luogo in cui si vive: scoprendone i significati, gli scambi, individuandone i contorni, dedicandosi ad attività sostenibili con la propria bioregione […] ciò che accomuna i bioregionalisti è la consapevolezza di essere parte interdipendente di un insieme senziente […]”. Manifesto della Rete Bioregionale Italiana http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/?r=28856 96


metodo del consenso

bastone della parola

Il metodo del consenso è un processo decisionale adottato da quei gruppi al cui interno non esiste alcun tipo di gerarchia o verticalità. è utilizzato per approvare un progetto, una visione o un’idea all’interno di una comunità. Ciascun membro, avendo lo stesso peso degli altri, è libero di esprimere quello che pensa. Questo tipo di metodo non prevede il raggiungimento di una maggioranza, ma ha come fine ultimo il consenso di tutti i partecipanti; è il raggiungimento di un accordo comune attraverso il confronto. Il cerchio e il bastone della parola sono strumenti che, in alcuni casi, vengono utilizzati quando si mette in atto questa pratica.

• Quando viene richiesta una sessione col Bastone della parola è inteso da tutti quelli che hanno accettato di utilizzare questo strumento che la richiesta verrà accolta. Un tempo e un posto vengono stabiliti per incontrarsi alla più breve scadenza. • La sessione comincia con una dichiarazione di intenti accordata dalle parti coinvolte nella sessione. • La persona che tiene il Bastone ha la parola e non viene interrotta mentre parla. • Chi parla tiene il Bastone in modo che una delle estremità tocchi il suolo. Questo lo ancora alla terra e attraverso ad essa lo collega a tutti gli esseri. • Le persone che ascoltano lo fanno col cuore aperto e la mente attenta, intenti a sentire la verità di chi parla. • Il Bastone non va passato finché l’oratore non si sente capito. Questo si verifica con il riscontro diretto da parte di uno o più ascoltatori che dicono ciò che hanno sentito. L’oratore potrà aver bisogno di ripetere o riformulare quello che vuole comunicare, anche più di una volta, prima che l’ascoltatore senta veramente ciò che voleva dire. • Quando si passa il Bastone al prossimo oratore o a chi vuole fare un riscontro, si tiene orizzontale e si incrocia lo sguardo con l’altra persona per mantenere viva la connessione. • Il Bastone non verrà mai usato per colpire qualcuno. • Niente di ciò che viene detto in una sessione potrà essere usato contro l’oratore in nessun modo o circostanza una volta finita la sessione. È importante onorarne il carattere confidenziale. • Qualche volta il bastone della parola ubbidisce a dei protocolli speciali. Questi verranno spiegati affinché tutti possano partecipare pienamente nel quadro del protocollo scelto. Accordi di base per l’uso del bastone della parola

il cerchio “Lo strumento del cerchio di condivisione o del consenso è un momento sacro: all’interno di questo ci si sente partecipi di qualcosa di più grande, che tiene stretta la comunità. Per questo motivo è necessario che ogni componente della comunità partecipi. L’andamento del cerchio è sempre dettato dalla vita concreta che in quel momento attraversa il gruppo, manifesta l’energia che governa il luogo e potenzia le relazioni tra gli individui. Accettando ogni sfumatura come parte del disegno generale apprendiamo la vera sfida della pazienza, sia per i tempi della condivisione, che si fanno molto lunghi, lasciando ad ogni anima l’opportunità di esprimersi e sia per lo sforzo continuo di comprensione reciproca che ci impegniamo a fare […] l’ascolto verso la parte più profonda di noi e l’ascolto degli altri sperimentiamo la fiducia, ci liberiamo dei condizionamenti e delle maschere, ritrovando noi stessi e il nostro equilibrio che ci permette davvero di sintonizzarci con gli altri […] Nel cerchio siamo chiamati a prenderci la responsabilità della nostra parola, che deve puntare alla verità […] Ogni volta che ci si incontra in un cerchio bisogna cercare di arrivarci preparati, abbandonando ciò che è stato la volta precedente, i conflitti passati o presenti […] Attraverso lo strumento del cerchio diamo ritualità a questo momento di condivisione e di confronto”.

http://www.mappaecovillaggi.it/article9223.html

http://www.fiorigialli.it/dossier/view/10_vivere-insieme/1804_lostrumento-del-cerchio 97


decrescita

“La decrescita dovrebbe essere organizzata non soltanto per preservare l’ambiente ma anche per ripristinare il minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all’esplosione [...] La decrescita non significa un immobilismo conservatore [...] significa, in altre parole, rinunciare all’immaginario economico, vale a dire alla credenza che di più è uguale a meglio. Il bene e la felicità possono realizzarsi con costi minori. Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire di rapporti sociali conviviali in un mondo sano può ottenersi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura con una certa austerità nel consumo materiale”. Serge Latouche http://www.decrescita.it

“Decrescita indica un sistema economico basato su principi ecologici, in contrapposizione con quelli che regolano i sistemi vincolati alla crescita economica […] è una corrente dipensiero politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l’obiettivo di stabilire una nuova relazione di equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi. http://it.wikipedia.org/wiki/Decrescita

Gli otto obiettivi per una decrescita serena: “rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare”. Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, ed.Bollati Boringhieri,To 2008

“Si deve passare “dalla crescita materiale alla crescita interiore”. Questo è il “punto di svolta”. (1982) Fritjof Capra http://www.multisensorialmente.it/autori/fritjof-capra.html

“Il culto del progresso economico, identificato con il progresso sociale, conduce ad una situazione paradossale dove non si tratta più di produrre per consumare, ma piuttosto di stimolare il consumo per evitare il crollo dell’apparato produttivo e mantenere un livello occupazionale costantemente rimesso in discussione dall’innovazione tecnologica. L’economia finisce per essere al servizio principalmente di se stessa”. ECOLOGIA E LIBERTA’.B. CHARBONNEAU PRECURSORE DELL’ECOLOGIA POLITICA http://www.filosofiatv.org/index.php?topic=decrescita

“Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica [...] un’economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di un’economia globale basata sulla giustizia, che consenta l’equa distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri.

“Una politica di bassi consumi di energia permette un’ampia scelta di stili di vita e di culture. Se invece una società opta per un elevato consumo di energia, le sue relazioni sociali non potranno che essere determinate dalla Manifesto per una economia umana Nicholas Georgescu-Roegen tecnocrazia e saranno degradanti comunque :: Kenneth Boulding :: Herman Daly a Nyach http://www.carta.org/campagne/decrescita/documenti/9616 vengano etichettate, capitaliste o socialiste”. Ivan Illich, Elogio della bicicletta, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2006

“la società, una volta raggiunto lo stadio avanzato della produzione di massa, produce la propria distruzione”. Ivan Illich

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“Il movimento per la decrescita […] mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo […] la corrente procede a una vera e propria “decostruzione” del pensiero economico […] al rinnovamento del pensiero e […] alla costruzione di una società veramente alternativa alla società di mercato […] Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici) […] Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l’umanità dalla miseria psichica e morale […] mettere al centro della vita umana altri significati e

altre ragioni d’essere che l’espansione della produzione e del consumo […] Resistenza e dissidenza come atteggiamento concreto mediante tutte le forme di autorganizzazione alternativa […] Si può definire lo sviluppo realmente esistente come una impresa che mira a trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la natura. La decrescita […] presuppone tutt’altra organizzazione in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove le relazioni sociali prevalgono sulla produzione e sul consumo dei prodotti inutili o nocivi […] Alcuni individui, rifiutando in tutto o in parte il mondo in cui vivono, tentano di mettere in atto qualcos’altro, di vivere altrimenti”. Manifesto della Decrescita – Serge Latouche

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conclusioni V.I.A. (Volutamente Insediati Altrove) è un progetto nato da un’esigenza personale: ricercare delle realtà alternative che fossero l’esempio concreto del fatto che altri stili di vita sono possibili. Ciò non significa che io non fossi già a conoscenza dell’esistenza di queste esperienze ma volevo averne la conferma e soprattutto avere un confronto diretto con coloro che queste realtà le abitano, le rendono possibili e provano a comunicarne l’esistenza e il senso. M’interessava capire cosa comportasse una scelta così coraggiosa e soprattutto quali fossero i suoi pro e contro.

In tutte le realtà da me visitate ho riscontrato una forte attenzione e un forte rispetto nei confronti dell’individuo e dell’ambiente. La compenetrazione di questi due elementi è fondamentale per ciascuna di queste esperienze in divenire. Sebbene ognuno di questi esperimenti comunitari abbia delle proprie peculiarità, vi sono degli elementi di fondo comuni, tra cui autogestire il proprio tempo, organizzare il lavoro collettivamente, autoprodursi il cibo, autocostruirsi una dimora, condividere gli spazi ed eliminare ogni forma di gerarchia lasciando spazio ad una rete di rapporti orizzontale. Una scelta del genere prevede anche dedicarsi alla cura dell’orto e degli animali, usare il fuoco al posto del gas, sostituire al sistema di riscaldamento una stufa, barattare o scambiare lavoro al posto di comprare e in alcuni casi non avere acqua corrente, non usare l’auto e spostarsi a piedi, avere un bagno all’aria aperta, lavare piatti e panni con la cenere e non utilizzare l’elettricità. Chiaramente ogni comunità ha le proprie abitudini e i propri modi di affrontare la vita di tutti i giorni, ben evidenziati nelle pagine che ho dedicato ad ognuna di queste realtà. Tutte comunque accomunate da una quotidianità tranquilla, dove non esiste la parola fretta e dove il tempo è molto dilatato rispetto agli schemi della società globale, ed ha una dimensione fondamentale in relazione al tempo della natura, del giorno e della notte e dell’avvicendarsi delle stagioni. Per quanto riguarda Damanhur e Granara è meglio fare un discorso a parte. La prima è una comunità in cui la componente esoterica è preponderante; una vera e propria “società nella società” con un sistema interno, una moneta complementare e una scuola. Si tratta di un microsistema caratterizzato da una struttura ben organizzata non troppo distante da quella dominante. Certo, anche qui vi è un forte rispetto per l’ambiente e si ragiona in un’ottica sostenibile ma, a mio avviso, dando troppa importanza al denaro, facendo si che tutti gli altri elementi passino in secondo piano. 100

Granara invece è un ecovillaggio che ha alle spalle il tentativo, inizialmente riuscito ma poi abbandonato, di fondare una comune che successivamente si è frammentata in tanti piccoli nuclei individuali o familiari. Attualmente la maggior parte dei membri vive l’ecovillaggio occasionalmente, nel senso che ciascuno ha una propria dimensione cittadina e non appena può fa tappa a Granara; per questo motivo agire in una prospettiva comunitaria risulta sempre più difficile. Nonostante ciò vi è comunque la presenza di una minoranza che questo posto lo vive stabilmente dedicandosi all’autoproduzione. Tutte le realtà in questione a vari livelli, chi più chi meno, hanno deciso di sganciarsi dal sistema, rinunciare a certe comodità, allontanarsi dalle logiche capitalistiche e staccarsi dal consumismo imperante. Obiettivi sicuramente non facili da raggiungere ma neanche impossibili, e queste esperienze ne sono la dimostrazione. Dalla moltitudine questo tipo di vita alternativa è vista come folle, estrema, un ritorno al passato, una perdita di tempo, oppure come soluzione straordinaria, utopica, quasi impossibile. Mentre per coloro che hanno fatto questa scelta è pura e semplice normalità.

Viviamo in una società in cui il mantra che ci accompagna quotidianamente recita “lavora, guadagna, spendi, consuma”. Siamo imprigionati, anzi incasellati, in schemi dai quali è difficile uscire. Progresso, dominio della natura e sviluppo. Ci conformiamo ad una serie di eventi di cui non abbiamo il controllo, ma al contrario sono loro che esercitano controllo su di noi. Siamo risucchiati dalle logiche del sistema. Come risposta a questa condizione c’è chi ha fatto una scelta ben precisa rinunciando alla complessità sociale e puntando all’autosufficienza alimentare, energetica ed economica, alla solidarietà sociale e alla libertà politica. Tutto questo attraverso l’agire collettivo. Certamente si tratta di un tipo di vita che non tutti potrebbero fare, perché essendo abituati ad una serie di comodità è difficile staccarsene. Nonostante ciò, in quest’ultimo periodo, sempre più persone stanno cercando nuove soluzioni per fare una vita meno alienata senza dover dipendere totalmente dal denaro. Mi sono messa in viaggio senza nessun tipo di aspettative, solo spinta dalla curiosità verso un mondo che mi ha sempre affascinato. Cos’ho trovato? Una forma di benessere sano, fatto di cose semplici e di sprechi ridotti al minimo. Se ne valga o meno la pena lo lascio giudicare a voi.





LIBRI

Bauman Z., Modernità liquida, Bari, Editori Laterza, 2009. Bey H., T.A.Z., The Temporary Autonomous Zone, Ontological Anarchy, Poetic Terrorism, New York, Autonomedia, 2003. Bey H., T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, Milano, Shake Edizioni, 2007. Calogero S., Terra – In campagna un’altra vita è possibile, Milano, Terre di Mezzo, 2005. Cardano M., Lo specchio, la rosa e il loto, Roma, Edizioni Seam, 1997. Careri. F., Walckscapes, Torino, Einaudi, 2006. Chatwin B., Anatomia dell’irrequietezza, Milano, Adelphi Edizioni, 1996. Clément G., Manifesto del Terzo Paesaggio, Macerata, Quodlibet, 2005. De Batté B.- Santinolli G., Utopia e comunità. Antologia, Busalla, Plug_in, 2009. Foglietta L., Quando gli ultimi figli dei fiori si accamparoono a Piambaruccioli, Forlì, “il Resto del Carlino”, giugno 2010. Foucault M., Utopie. Eterotopie, Napoli, Edizioni Cronopio, 2006. Giono J., L’uomo che piantava gli alberi, Milano, Salani Editore, 1996. Guarnaccia M., Ribelli con stile, Milano, Shake Edizioni, 2009. Guarnaccia M., Underground Italiana, Milano, Shake Edizioni, 2011. Jordan J.-Fremeaux I., Les Sentieres de l’Utopie, Paris, Zones, 2011. Krakauer J., Nelle terre estreme, Milano, Corbaccio, 2008. Lowe R.-Shaw W., Traveller e raver. Racconti orali dei nomadi della nuova era, Milano, Shake Edizioni, 2007. Multiplicity., Use - Uncertain State of Europe, Milano, Skira, 2003. Olivares M., Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, Roma, Malatempora, 2003. Pesco S., La mia Damanhur, Altriparaggi Edizioni, 2011. Semplici A., In viaggio con Kapuscinski. Dialogo sull’arte di partire, Milano, Terre di Mezzo Editore, 2011. Tönnies F., Comunità e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1963. Thoreau H.D., Walden ovvero vita nei boschi, Milano, Rizzoli Libri, 1988. Thoreau H.D., Disobbedienza civile, Aprilia, Ortica Editrice, 2011. Thoreau H.D., Camminare, Milano, Mondadori, 2009. Villani T., Il tempo della trasformazione. Corpi territori e tecnologie, Roma, Manifestolibri, 2006.

FANZINE AUTOPRODOTTE Lato Selvatico n°35, Equinozio d’Autunno 2009 Lato Selvatico n°40, Equinozio di Primavera 2012 Seminasogni n°46, Autunno 2011 Seminasogni n°47, Inverno 2012

DOCUMENTARI/FILM

Ecopolis, Michele Vaccari e Lucio Basadonne, 2009 Home, Yann Arthus-Bertrand, 2009 Il pianeta verde, Coline Serrau, 1996 Les sentieres de l’utopie, John Jordan e Isabelle Fremeaux, 2011 Operation Solstice: The Battle of the Beanfield, Neil Goodwin, 1996

SITI

future-nonstop.org editions-zones.fr lessentiersdelutopie.wordpress.com psiconautica.forumfree.it viverealtrimenti.com utopiaecomunita.blogspot.it dropcitydoc.com domevillage.tedhayes.us arcosanti.org earthship.com twinoaks.org acorncommunity.org thefec.org diggers.org rainbowguide.info auroville.org damanhur.info esalen.org

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granara.org gen.ecovillage.org mappaecovillaggi.it diggersanddreamers.org.uk inventati.org/cafavale crystalwaters.org.au earthaven.org selvatici.wordpress.com torri-superiore.org urupia.wordpress.com svanholm.dk zegg.de cohousing.it comunitaefamiglia.org plugin-lab.it decrescita.it guerrillagardening.it

ic.org gillesclement.com conacreis.it aamterranuova.it mogliazze.it naturopatia.org bordo.org villaggioverde.org valpisa.com calcata.info bholebaba.org welcomehome.org thoreau.it associazionebasilico.org paradisoritrovato.wordpress.com ecovillaggiosubbiano.blogspot.it ecovillaggiociricea.it

campanaraeco-village.it spiazziverdi.blogspot.it wwoof.org qualchicco.it fiorigialli.it


Ringrazio Lorenzo, mio fratello, per aver condiviso con me 1970.1 km; Gill, per il supporto tecnico; Chiara Figone ed Elvira Vannini. Stambecco Pesco e Pangolino della Federazione di Damanhur; Piero e tutta la Comune di Olat; Rossana, Camillo, Fedora e l’ecovillaggio Granara; Kai, Tine e tutti gli abitanti di Amusa Quidesso; Ulisse e Jerry di Piambaruccioli, Davide di Tra Fossi; Mario, Fumo, Fabrizio e tutti gli Elfi di Avalon; Fabrizio, Marco e Giovanni della Tribù delle Noci Sonanti. Grazie per l’ospitalità, per la disponibilità, per i sorrisi, gli abbracci stretti e per le infinite chiacchierate. Grazie per essere così “frugali”! Claudione, Ian e Teresa per l’ospitalità e per il vino; Il laboratorio LINKE. per il profumo d’inchiostro sulla carta fine art.

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Edizione n째


Testi e immagini di Naima Faraò Editing, grafiche e impaginazione di Naima Faraò e Marco Gill Cesaria Per info e acquisto naima.farao@gmail.com www.naimafarao.com 2012


© Naima Faraò 2012


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