Arte italiana nel mondo

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In questo libro e nel progetto che lo precede la bellezza famosa, sotto gli occhi di milioni di visitatori nei musei del mondo, rilancia la bellezza nascosta e innesca il desiderio di ritrovare in Umbria i luoghi di provenienza delle opere d’arte: città , paesi e piccoli borghi, ville, castelli e abbazie lungo le vie maggiori o immersi nell’atmosfera senza tempo dei parchi


ARTE ITALIANA NEL MONDO ITALIAN ART WORLDWIDE UMBRIA 1 Franco Ivan Nucciarelli

ITALGRAF EDIZIONI


Crediti / Credits Responsabile di progetto e curatore editoriale Project director and editor Marco Schippa Curatore scientifico e autore dei testi Scientific director and author of the texts Franco Ivan Nucciarelli Responsabile tecnologie Director of technology Gianluca Todini Amministrazione Administration Fabrizio Vignaroli Coordinamento tecnico Technical co-ordination Irene Gubbiotti Relazioni internazionali International relations Babel Language Projects Italy Traduzioni Translations Neville Taylor - Un libro e un progetto W. Patrick Raymer e Sheila Tabakoff - Patrimonio artistico umbro nel mondo Eric Ingaldson, Polyglot - Dati biografici degli artisti Direzione creativa Art direction Marco Schippa Progetto grafico e impaginazione Design and layout Italgraf design Pre-stampa Pre-printing Andrea Lupatelli - Grafox Stampa Printing Italgraf Edizioni Via Monteneri, 23 - 06129 Perugia - Italy Tel. +39 075 5280924 - www.italgraf.net

Prima edizione - Dicembre 2008 ISBN 88-89935-03-0 Š 2008 Italgraf snc - Perugia Tutti i diritti sono riservati


ARTE ITALIANA NEL MONDO ITALIAN ART WORLDWIDE

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Comitato d’Onore / Honorary Committee

Partner / Partners

Maria Rita Lorenzetti Presidente Regione Umbria

REGIONE UMBRIA

Renato Locchi Sindaco di Perugia Francesco Bistoni Rettore Università degli Studi di Perugia Stefania Giannini Rettore Università per Stranieri di Perugia Giuseppe Margaritelli Presidente Fondazione Guglielmo Giordano Carlo Colaiacovo Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia Gianfranco Imperatori † Segretario Generale Associazione Civita

Assessore all’Agricoltura, Aree Protette e Urbanistica Carlo Liviantoni Assessore alla Cultura Silvano Rometti PROVINCIA DI PERUGIA Assessore all’Ambiente Sauro Cristofani COMUNE DI PERUGIA Assessore alla Cultura Andrea Cernicchi

Alfredo De Poi Presidente Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

Comitato direttivo / Governing Committee

UNIVERSITÀ PER STRANIERI DI PERUGIA

Andrea Margaritelli Franco Ivan Nucciarelli Marco Schippa Neville Taylor Gianluca Todini

Facoltà di Lettere, Cattedra di Iconografia e Iconologia

APT - Agenzia di Promozione Turistica dell’Umbria FONDAZIONE GUGLIELMO GIORDANO FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA ASSOCIAZIONE CIVITA RIUNIONE ARTISTICA PERUGINA


Parco del Fiume Nera: Collestatte, Chiesa di San Liberatore, anonimo maestro del primo Cinquecento, Madonna con il Bambino in trono, i Santi Giovanni Battista, Elena, Pietro e Rocco th Park of the Nera River: Collestatte, Church of San Liberatore, early 16 century anonymous master, Madonna and Child Enthroned, Saints John the Baptist, Helen, Peter and Rocco


Ringraziamenti / Acknowledgements Regione Umbria Dirigente del Servizio Promozione e Valorizzazione Sistemi Naturalistici e Paesaggistici Paolo Papa Responsabile Sezione Aree Protette Eros Quagliarini Parco del Fiume Tevere Parco del Monte Cucco Amici della Musica, Perugia Biblioteca Comunale Augusta, Perugia Bibliotheca Hertziana, Roma Kunsthistorisches Institut, Firenze

Carlo Amadori Francesca Ambrosi Giampietro Angelini Furio Antonini Nilo Arcudi Riccardo Arena Alberto Batisti Vania Battistoni Marco Bencivenga Michele Bilancia Ania Biolato Luca Daniele Biolato Francesca Bon Valsassina Franco Buitoni Ilaria Buitoni Borletti Francesco Maria di Carpegna Falconieri † Giancarlo Cassano † Alessandro Campi Paolo Caucci von Saucken Camilla Cecchi Andrea Cernicchi Valeria Cenci Carmela Colaiacovo Alessio Conestabile della Staffa Cristiano Conestabile della Staffa Gianfranco Conestabile della Staffa Serena Costantini Maria Rita Cucchia Mantovani Ranieri degli Oddi di Laviano M’hammed Hassine Fantar Fabio Faustini

Giuliana Fida Conestabile della Staffa Stefano Fodra Justyna Guze Antonella Gigli Marco Grassi Luigi Gualaccini Anna Maria Gualaccini Spadolini Jean-Pierre Haldi Gianfranco Luzzetti Carla Mancini Eleonora Mancini Francesca Mariano Gabriella Mecucci Paolo Misciattelli Mocenigo Soranzo † Carlos Morenés del Borghetto Marco Nicoletti Jason Noza Eleonora Nucciarelli Rossano Pastura Carlo Pietrangeli † Uguccione Ranieri di Sorbello † Mario Scaloni Antonio Schippa Claudio Seccaroni Alessandro Serra Ornella Serra Benedetti Giovanna Severini Mario Teodori Paola Teodori Rambaldi Clara Tiacci Bartocci Aldo Vignaroli


Parco Nazionale dei Monti Sibillini: Preci, Abbazia di Sant’Eutizio National Park of the Sibillini Mountains: Preci, Abbey of St. Eutitius


L’idea originale, alla base di questo volume, di raccogliere in un sistema scientificamente accurato di schede le principali opere di artisti umbri, che si trovano oggi in collezioni e musei di tutto il mondo, ha il grande merito di offrire ai lettori ed agli appassionati un quadro unitario di ciò che l’Umbria è stata capace di produrre nel campo dell’arte e della cultura. Aggiungendo alle opere accessibili e visitabili in Umbria quelle che, per molteplici motivi e peripezie, hanno varcato i confini della regione e dell’Italia per far parte di importanti raccolte, pubbliche e private, gli autori mettono a disposizione, in un volume di agevole consultazione, un disegno complessivo che consente di collocare ciascuna opera in un contesto preciso e definito. La visione d’insieme che ne risulta, sostenuta da un pregevole corredo storico-critico, arricchisce la comprensione e il piacere delle opere. Quelle che sono esposte fuori regione o all’estero potranno così ricollegarsi idealmente con quelle che sono così bene inserite e godibili, radicate e diffuse nel nostro territorio, e accendere nel visitatore il desiderio di venire in Umbria, per ritrovare il contesto originario da cui sono nati quei piccoli e grandi capolavori. Grazie a questo volume, le opere potranno diventare “testimonial” e “ambasciatrici” dell’Umbria, non soltanto della sua arte e della sua cultura, che costituiscono una potente attrattiva turistica, ma dei suoi paesaggi, del suo ambiente, dei suoi borghi, dei suoi centri storici e della sua civiltà.

Maria Rita Lorenzetti Presidente Regione Umbria


Parco di Colfiorito: Foligno, Palazzo Trinci, volte e pareti affrescate, seconda metĂ del secolo XV Park of Colfiorito: Foligno, Palazzo Trinci, frescoed vaults and walls, second half of the 15th century


La perdita di una parte consistente del patrimonio d’arte della nostra regione è un dato di fatto ineliminabile, davanti al quale l’atteggiamento giusto non è il rimpianto, comprensibile, ma privo di effetti concreti, quanto la consapevolezza che questo danno porta con sé un risvolto altamente positivo. Si traduce nella presenza qualificata dell’Umbria, grazie alle sue testimonianze artistiche, in musei e collezioni di gran parte del mondo: uno smisurato patrimonio confluito in quello, già consistente, prodotto dagli artisti umbri e destinato intenzionalmente a luoghi fuori della regione in Italia e all’estero. Entrambi hanno contribuito nei secoli a conferire all’Umbria la fama internazionale di regione d’arte. Questa rinomanza diffusa e consolidata, unita alle invidiabili condizioni paesaggistiche e ambientali, di cui i sette parchi regionali, più l’ottavo nazionale condiviso con le Marche, sono testimoni, è a monte dei flussi turistici che la regione attraeva già in tempi lontani e continua ad attrarre. Se collocato in questa prospettiva fra natura e arte, il ‘patrimonio perduto’ può svolgere un ruolo fondamentale per la valorizzazione dell’Umbria ed è infatti l’asse portante attorno al quale ruotano il progetto e questo primo volume che lo illustra, sintetizzato nella frase “la bellezza famosa rilancia la bellezza nascosta”. Dato che la regione possiede un corredo artistico invidiabile a firma degli stessi autori, a cui si deve la presenza umbra all’estero, l’obiettivo del progetto è creare una mappa dell’Arte Italiana nel Mondo, partendo da Umbria 1, che non sia un puro repertorio, pur utile e importante, ma ricostruisca i percorsi che dall’Umbria hanno portato le opere d’arte nelle lontanissime sedi in cui sono sotto gli occhi di milioni di visitatori. L’effetto è il rilancio dei luoghi d’origine, che diventano capolinea di circuiti internazionali d’ampiezza smisurata. Del percorso di ogni singola opera d’arte, infatti, i poli sono, da un lato, le località umbre, dai centri urbani maggiori ai più piccoli, spesso immersi nelle selve dei parchi, in scenari in cui la natura domina sovrana, da cui gli oggetti d’arte sono partiti e, dall’altro, i musei, dai meno noti ai celeberrimi, in cui sono approdati. L’effetto finale è evidente: una realtà frammentaria, e non conosciuta come meriterebbe, viene ricondotta a un sistema di relazioni, che la valorizza e le conferisce la notorietà che solo le grandi istituzioni riescono a dare. Il nuovo quadro di riferimento d’ampio respiro permette di rileggere in una luce diversa dati già noti e di acquisirne altri nuovi, che trascendono il puro piano storico-artistico, per recuperare dimensioni fondamentali del nostro passato, come le motivazioni che portano tanti collezionisti a preferire le nostre opere d’arte e i mille rivoli della dispersione. Tutto questo è auspicabile produca una presa di coscienza del patrimonio artistico regionale più largamente condivisa possibile, perché la salvaguardia delle opere d’arte non può passare soltanto attraverso i pur necessari strumenti legislativi, ma è attuata nella sua pienezza solo da una società consapevole dei valori di cui è depositaria.

Carlo Liviantoni Vice Presidente della Giunta Regionale Assessore Agricoltura, Aree Protette e Urbanistica della Regione Umbria


Parco del Monte Subasio: Assisi, Basilica Superiore e Sacro Convento di San Francesco Park of Mount Subasio: Assisi, Upper Basilica and Sacred Convent of St. Francis


Da sempre, nel panorama internazionale, l’Italia è vista come una sorta di museo a cielo aperto. Se è vero che la nostra storia plurimillenaria ha permesso produzione, accumulo e conservazione di un numero incalcolabile di testimonianze artistiche disseminate in tutto il Paese, è altrettanto vero che molte, attraverso canali più o meno noti e purtroppo più o meno leciti, sono state immesse nel circuito antiquario e collezionistico, finendo all’estero. L’esportazione di oggetti d’arte, antica quanto la loro produzione, vede l’Umbria in primissima linea: l’apporto della regione al patrimonio di tantissimi musei stranieri è particolarmente consistente in assoluto, a maggior ragione se rapportato alle contenute dimensioni territoriali dell’Umbria. La perdita comporta due conseguenze indiscutibilmente negative: da un lato vanifica il legame dell’opera con il territorio e il contesto culturale originario; dall’altro il frequente approdo del prodotto artistico a raccolte private ne rende difficile, quando non impossibile, la visione al pubblico e agli studiosi. La riscoperta di questi ‘tesori’ e la ricostruzione dei legami con i luoghi e le civiltà che li hanno prodotti rappresentano senza dubbio gli aspetti più originali e interessanti della collana, Arte Italiana nel Mondo, di cui si celebra l’uscita del primo volume, Umbria 1, che vede la nostra regione pilota di una ricerca d’ampio respiro, progettata per essere condotta su scala nazionale, al cui interno la forma tradizionale e ineliminabile del libro d’arte affianca la costruzione di una banca dati on line, unica forma rigorosa nella cultura odierna per raccogliere, ordinare e rendere fruibile una massa ingente di dati a un pubblico più ampio possibile, che metta accanto allo studioso, l’appassionato e anche il frequentatore occasionale del mondo artistico. La banca dati, www.arteitaliananelmondo.org oltre alle preliminari e logiche fasi di elencazione e analisi delle opere in base alle attuali sedi di appartenenza, raccoglie elementi per la ricostruzione del percorso, che conferisce all’opera un valore aggiunto, in quanto testimone di significative vicende storiche e culturali. Mira infine al raccordo fra punto di arrivo e punto di partenza, in vista della valorizzazione di entrambi, riannodando una sorta di filo rosso, operazione fondamentale in quanto una parte considerevole del patrimonio artistico umbro emigrato all’estero è presentata dalle istituzioni proprietarie o come di origine sconosciuta o con percorsi descritti in forme erronee o incomplete. L’opera umbra nel museo lontano, infine, diventa un privilegiato elemento promozionale della regione e permette di ricostruirne l’eccezionale vicenda artistica dai secoli lontani ai giorni nostri. Il grande interesse della cultura internazionale per l’arte italiana e umbra si traduce in una massa di studi, affidati a monografie, cataloghi, articoli di riviste, comunicazioni e interventi a congressi, imponente, ma dispersa: il corredo bibliografico, che accompagna ogni opera nella banca dati on line, ne consente una presentazione coerente, facilmente consultabile e, quel che più conta, costantemente aggiornabile. Strumenti attraverso i quali l’Umbria può riappropriarsi, in modo consapevole, del suo ruolo privilegiato di Regione d’Arte.

Silvano Rometti

Assessore alla Cultura della Regione Umbria


S.T.I.N.A. - Sistema territoriale d’interesse naturalistico e ambientale Monte Peglia e Selva di Meana: Orvieto, Cattedrale, porte bronzee di Emilio Greco S.T.I.N.A. - Territorial system of natural and environmental interest Monte Peglia and Selva di Meana: Orvieto, Cathedral, bronze doors by Emilio Greco


“La Torre di Pisa simboleggia in modo esemplare l’impossibilità degli esseri umani di prevedere le implicazioni sociali delle loro opere. L’artista naturalmente non suppose che la debolezza delle fondamenta avrebbe dato alla torre un’inclinazione tale da attirare l’attenzione di tutta l’umanità. È forse quanto si verifica anche per le creazioni più astratte dell’uomo, nel senso che le loro effettive conseguenze sociali corrispondono solo in minima parte alle intenzioni del creatore”. Questa la singolare riflessione di Albert Einstein contenuta in una lettera del 1953. Per quanto la celebre torre pendente, in realtà, gli fornisse solo il pretesto per una sofferta considerazione esistenziale sulle imprevedibili ripercussioni delle scoperte nel campo della fisica nucleare, il geniale scienziato tedesco centrava una verità, evidente quanto spesso trascurata, nella critica artistica. A differenza delle ‘arti liberali’ - musica e letteratura - le arti figurative sono legate da un vincolo indissolubile alla loro materia costitutiva; così sono soggette a modellarsi, oltre che sui sentimenti originari dell’artista, anche sui successivi, e molte volte labirintici, percorsi tracciati dal caso. In particolare, sono esposte a modificare sotto più di un aspetto il loro significato originario in ragione sia del trascorrere del tempo che delle variazioni di luogo, così come accade per gli esseri viventi. Se la Torre di Pisa, nel corso degli anni, non avesse visto inclinarsi il suo asse, probabilmente non sarebbe oggi il simbolo turistico di notorietà planetaria che tutti conosciamo, ma un semplice campanile, se pur esteticamente ammirevole. È indubbio che il cambiamento di posizione ha modificato in modo radicale la lettura artistica dell’opera oltre che il corso della sua storia. Come è ugualmente innegabile che il movimento in questione, tra le massime libertà concesse in architettura, rappresenta ben poca cosa, se confrontato alla straordinaria mobilità cui, per loro natura, sono solitamente soggette le opere di scultura e pittura. Un esempio rivelatore è lo Studiolo di Federico di Montefeltro, proveniente dal Palazzo Ducale di Gubbio, che figura tra le opere presentate in questo libro. Nonostante le dimensioni e la delicatezza del materiale non ne incoraggiassero di certo lo spostamento, lo straordinario capolavoro di ebanisteria rinascimentale è stato protagonista di vicende degne del più movimentato romanzo. Quasi dimenticato per secoli in una sala dismessa del Palazzo Ducale eugubino, incredibilmente venduto a privati insieme a tutto lo storico edificio, finisce negli anni Settanta dell’Ottocento in mano a un patrizio romano, che lo rimonta nella sua villa di Frascati. A distanza di pochi anni lo Studiolo prende la via di Venezia al seguito di un antiquario ebreo, che per sfuggire alle persecuzioni antisemitiche nel 1939 lo porta con sé prima a Parigi e subito dopo a New York, mettendolo in salvo così dalle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver attraversato prima le Alpi e poi l’Atlantico con l’invidiabile disinvoltura di un bagaglio a mano, l’ingombrante e articolato complesso di arredi lignei approda infine nel 1941 in una delle sedi museali più celebri al mondo, il Metropolitan Museum di New York, dove a seguito di accurati studi, riceve l’attribuzione ai grandi intarsiatori Giuliano e Benedetto da Maiano su disegni di Francesco di Giorgio Martini. Restaurato e rimontato con regia ineccepibile in un ambiente appositamente costruito, è ammirato da milioni di visitatori provenienti da ogni parte del globo. Se è lecito domandarsi se un itinerario di questo tipo possa avere maggiormente giovato che nuociuto - come italiani, e umbri in particolare, la nostra risposta è scontata - è fuori discussione che l’opera esposta oggi al Met di New York non sia più la stessa che, a suo tempo, lasciò la sede originaria nel Palazzo Ducale di Gubbio, perché in più ha il percorso. Non tenere conto dei passaggi di proprietà, dei luoghi, degli studi, degli interventi di restauro che hanno accompagnato un’opera d’arte dopo la sua genesi, lungo il tragitto che congiunge il suo luogo di origine a quello di più recente conservazione, significherebbe trascurare, e quindi implicitamente dissipare, una parte non marginale del suo potere evocativo. Una capacità di trasmettere emozioni che si può anche definire casuale, se con ciò si intende il fatto che non traduce una volontà impressa dall’autore a priori, ma che pur tuttavia risulta sempre aggiuntiva e, in taluni casi, perfino di valenza superiore alla prima. Come nell’emblematico caso commentato da Einstein. Tra i tanti meriti che vanno riconosciuti alla straordinaria iniziativa editoriale che qui si presenta, e al suo autore, figura indiscutibilmente anche questo aspetto. Forse meno appariscente rispetto ad altri, ma di certo non meno rilevante: la capacità di aver saputo restituire il significato integrale di ciascuna opera proposta unendo, anziché separando dai valori stilistici, il complesso patrimonio di valori emotivi che derivano dalla ricostruzione, ricca e minuziosa, del suo itinerario storico. La penna di Franco Ivan Nucciarelli, contraddistinta come di regola da eleganza e scorrevolezza di tratto, offre la lettura di quaranta schede critiche che hanno la piacevolezza, in verità rara per un’opera comunque di divulgazione scientifica, di altrettante affascinanti narrazioni capaci di avvicinare, come poche altre, il grande pubblico alle meraviglie dell’arte. Ciascuna delle quali, è appena il caso di sottolinearlo, poggia le fondamenta su una poderosa opera di ricerca, la cui profondità e robustezza è testimoniata, molto più efficacemente di qualsiasi altra espressione elogiativa, da quattrocento riferimenti bibliografici. La Fondazione Guglielmo Giordano, lieta di aver preso parte all’iniziativa, auspicando che l’attuale pubblicazione rappresenti solo il primo passo di un progetto editoriale di ancor più ampio respiro, saluta la nascita di questa opera con la partecipazione e l’entusiasmo che si riserva solo ai grandi eventi.

Andrea Margaritelli Direttore Fondazione Guglielmo Giordano


Parco del Fiume Tevere: Baschi, Chiesa di San Nicola, vetrata con il santo patrono Park of the River Tiber: Baschi, Church of St. Nicholas, stained-glass window with the patron saint


Indice / Index 1.

Un libro e un progetto A book and a project

p. 19

2.

Patrimonio artistico umbro nel mondo Umbrian Artistic Heritage worldwide

p. 55

3.

Dati biografici degli artisti Biographical details of the artists

p. 217

4.

Bibliografia Bibliography

p. 229

5.

Indici analitici Analytical indexes

p. 261


Alla memoria di

Alba Buitoni

luminosa come il suo nome


1. UN LIBRO E UN PROGETTO A BOOK AND A PROJECT


Parco del Lago Trasimeno: Castiglione del Lago, Villa della Corgna, Niccolò Cercignani detto il Pomarancio e scuola, Gesta di Ascanio della Corgna Park of Lake Trasimeno: Castiglione del Lago, Villa della Corgna, Niccolò Cercignani known as Pomarancio and school, Feats of Ascanio della Corgna


1. Un libro e un progetto “Quelli che credono che le opere di pittura stiano raggiungendo ai nostri giorni prezzi mai eguagliati, errano. Il quadro venduto più caro al mondo rimane tuttora la ‘Madonna del Libro’ acquistata a Perugia nel 1871 dallo Zar di tutte le Russie. Intendo, valutato centimetro per centimetro di superficie dipinta che è certo un criterio banale, ma è il criterio che adottò Quintino Sella quando gli fu proposto di salvare l’opera dall’esilio perpetuo”1

A Varsavia nel Museo Nazionale, all’interno del nucleo delle opere di più antica acquisizione2, primeggia una tavoletta di contenute dimensioni, ma d’elevata qualità formale, che raffigura, sullo sfondo d’un paesaggio con rovine, la Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni, dipinto autografo del Pinturicchio, approdato all’attuale sede al termine di un percorso in parte ancora da ricostruire3. Nel giugno del 2001, su invito dell’Ambasciata d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura nella capitale polacca, sul quadro pinturicchiesco tenni una conferenza4. La signorile ospitalità delle due istituzioni mi permise di passare giornate piene d’incontri interessanti. Fra le esperienze più significative, destinate a lasciare tracce profonde, una ebbe inizio durante un pranzo a Palazzo

1. Ranieri 1969, p. 194. Sarebbe interessante verificare se l’affermazione di Uguccione Ranieri sia ancora valida alla luce degli sviluppi, in molti casi sconcertanti, del mercato dell’arte nei quasi quaranta anni, che ci separano dall’uscita del suo libro. Resta non di meno indiscutibile che la cifra corrisposta dalla corte russa per i tempi era astronomica e contribuì in misura determinante alla creazione della leggendaria fama, che tuttora accompagna il piccolo dipinto, le cui vicende sono riassunte alla scheda 2.35. 2. Sulla storia del museo e sull’arrivo del dipinto del Pinturicchio a Varsavia si è espresso Nucciarelli (2002) con riesame della bibliografia precedente. 3. L’ipotesi che il quadro provenga da Ferrara non è sorretta da documenti, ma si fonda sull’attribuzione a un primo pittore, poi a un secondo, entrambi ferraresi; se dimostrata, ricollegherebbe il dipinto alla vicenda di Lucrezia Borgia. L’opera è presentata alla scheda 2.29. 4. Il cui testo, riveduto e integrato da note e figure, è pubblicato nella rivista ufficiale del museo proprietario: cfr. Nucciarelli 2002. Un libro e un progetto

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Szlenkier, sede dell’Ambasciata d’Italia5, quando Luca e Ania Biolato, allora nostri ambasciatori in Polonia, mi proposero di tornare nell’autunno dello stesso anno, perché si prevedeva sarebbe rientrato un dipinto, fra gli arredi dell’ambasciata un tempo, scomparso durante la Seconda Guerra Mondiale e fortunatamente ritrovato. Preso da gran curiosità, volli conoscere meglio la storia e chiesi com’era stato possibile rintracciarlo. Venni così a sapere che, dopo non facili ricerche, il quadro era stato individuato in una collezione degli Stati Uniti6, alla quale furono spiegate le vicende dell’opera e contestualmente fu avanzata richiesta ufficiale di restituzione. L’ente americano rispose che non avrebbe avuto difficoltà a restituirlo, a condizione che dell’opera fosse esibita una prova, che ne testimoniasse l’effettiva provenienza dall’Ambasciata d’Italia a Varsavia. La provenienza era fuori discussione: il dipinto, appartenente al nucleo affidato all’ambasciata dalla Soprintendenza ai Beni Artistici di Firenze, era stato segnalato da Rodolfo Siviero, personaggio benemerito e noto a studiosi e gran pubblico per la ricerca e il reperimento di tanti oggetti d’arte usciti dall’Italia in forme più o meno illegali7. Non di meno nella volontà di ricostruire l’aspetto che la dimora aveva prima delle distruzioni e dei saccheggi della Seconda Guerra Mondiale, i nostri ambasciatori in Polonia diedero ampia circolazione al loro progetto di raccogliere informazioni su Palazzo Szlenkier e i suoi arredi prima del conflitto, per reperire il massimo numero di dati possibile. Decisero al contempo di prendere in esame le fonti più diverse, non ultimi giornali e riviste. Quest’ultima si rivelò la pista giusta. Non passò molto tempo che la loro attenzione fu attratta da un provvidenziale articolo di rivista. Nella lunga e dettagliata descrizione, pubblicata nel n° 17 del settimanale illustrato AS - ‘asso’ in italiano - dedicata a Palazzo Szlenkier e ai suoi arredi, un giornalista non identificato, che si firmava con la sigla H. L., in data 24 aprile 1938, quasi alla vigilia della guerra e della dispersione degli arredi, registrava fra i quadri più preziosi “… una tela del Bassano del XVI secolo che rappresenta Una famiglia di contadini”8, accompagnando la segnalazione con una fotografia9. Sebbene il giornalista avesse definito il soggetto in modo sfocato, trattandosi in realtà di una versione della Parabola del seminatore10, l’articolo apportava un’ulteriore testimonianza, per di più disinteressata, sulla provenienza del quadro. Il museo statunitense non ebbe obiezioni da sollevare e il dipinto, di fatto restituito, è rientrato in Italia e si spera torni finalmente a decorare una delle sale di rappresentanza di Palazzo Szlenkier11. Questa storia vera e vissuta da me, grazie agli amici Biolato, quasi in prima persona, mi portò a una riflessione spontanea. Se moltissimi oggetti d’arte italiani si trovano, fuori dai confini della nazione, in sedi conosciute, tanti altri hanno preso la via dell’estero in circostanze tali da far perdere ogni traccia. Se la restituzione del dipinto, un tempo nella nostra ambasciata a Varsavia, era un caso felice, fuori del comune e non facilmente ripetibile, non di meno sarebbe stato positivo conoscere i percorsi e i luoghi d’approdo di tante opere d’arte emigrate, che sistematicamente catalogate avrebbero potuto creare negli anni una mappa dell’arte italiana nel mondo. Le opere d’arte finite all’estero solo in qualche raro caso sarebbero ritornate in Italia, ma studiosi e appassionati avrebbero potuto valutare la consistenza di questo inestimabile tesoro alienato e ristudiarlo alla luce delle nuove acquisizioni e del progresso degli studi. Dalla conferenza in Polonia erano passati poco più di due anni, quando nell’estate del 2003 il Giornale dell’Umbria, nella persona di Gabriella Mecucci, allora direttrice responsabile, decise d’affidarmi una rubrica d’argomento storico-artistico, lasciandomi ampia libertà sul motivo conduttore. Non ebbi esitazioni: chiesi e ottenni di raccontare ogni lunedì la storia di un’opera d’arte un tempo appartenente al patrimonio artistico umbro, poi migrata fuori dai confini della regione, oppure eseguita già in origine da artisti umbri per sedi non umbre: in altri termini l’apporto dell’Umbria all’arte al di fuori dei suoi confini. Il primo articolo uscì il 15 settembre 2003 e d’allora la rubrica procede senza interruzioni con circa cinquanta articoli all’anno12. A distanza di cinque anni, 5. La prestigiosa dimora storica fu acquistata nel 1922, restaurata e arredata negli anni seguenti dal Regno d’Italia, in vista della sua funzione di rappresentanza. Sul palazzo e le sue vicende un documentato studio d’insieme si deve a Jaroszewski e Biolato (2001). 6. Springfield (Massachussets), Museum of Fine Arts: cfr. Jaroszewski e Biolato 2001, f. 101. 7. Jaroszewski e Biolato 2001, pp. 178, 180. 8. Jaroszewski e Biolato 2001, p. 182. 9. All’interno del lungo e dettagliato articolo (Jaroszewski e Biolato 2001, pp. 182, 184, 186, 188) il quadro è riprodotto alla f. 56. 10. In effetti la presenza di un uomo, una donna, un bambino e utensili domestici è compatibile con il titolo dato al quadro nell’articolo del giornale. Il soggetto evangelico, inserito in un ampio paesaggio accuratamente descritto, è tipico della pittura veneta e in particolare di Leandro Dal Ponte, detto Bassano (Bassano del Grappa 1557 - Venezia 1621), proveniente da una nota famiglia di pittori, attivo in fase adulta a Venezia, dove ottenne prestigiose commissioni e notevoli riconoscimenti sociali. Un sintetico, ma chiaro e completo profilo sull’artista si deve a Binotto (1988, p. 694). 11. Il dipinto, un olio su tela (49 x 62 cm) di proprietà della Soprintendenza ai Beni Artistici di Firenze, era in prestito presso l’ambasciata a Varsavia, secondo una prassi ufficiale, che permette di arricchire l’arredo delle sedi di rappresentanza italiane all’estero, attraverso l’istituto dell’esportazione temporanea, senza peraltro impoverire musei e gallerie, che notoriamente abbondano di opere inventariate e conservate con cura, ma non esposte per evidenti motivi di spazio. Per fatti contingenti, uniti alle deprecabili lentezze burocratiche, che continuano ad affliggere il nostro paese, l’opera, dopo il ritorno dagli Stati Uniti avvenuto già da anni, non è stata ancora rimandata a Varsavia, ma è trattenuta dalla soprintendenza di Firenze, che si spera vorrà presto effettuare l’ultimo doveroso tratto del percorso. 12. L’inflessibile regia, che guida il Giornale dell’Umbria, mi offre due lunedì liberi all’anno: di solito uno per Pasqua, l’altro a Ferragosto, ma non tutti gli anni. 22

Un libro e un progetto


il giorno in cui ho consegnato la versione definitiva di questo libro per la stampa, l’elenco era arrivato a duecentosessantuno titoli e ogni settimana immancabilmente aumenta di uno. Oltre alle duecentosessantuno schede già pubblicate, grazie alle indispensabili ricerche che la stesura degli articoli richiede, dispongo ormai di un archivio consistente e in continuo incremento. Sebbene lontanissimo da una completezza, peraltro irraggiungibile, l’archivio si presenta già come una mappa iniziale dell’arte umbra nel mondo: il primo capitolo, scelto per evidenti ragioni logistiche, della mappa dell’arte italiana nel mondo. Nel corso di studi e ricerche è facile imbattersi anche in opere italiane provenienti da tradizioni culturali diverse da quelle umbre, così la costruzione di mappe dedicate alle varie regioni procede spontaneamente, sia pure con ritmi molto diversi, in parallelo. Per mettere a fuoco il soggetto principale, è necessario notare che ‘arte umbra’ è un’espressione volutamente sintetica, convenzionale, che richiede indispensabili precisazioni. In primo luogo ‘Umbria’, termine che nei secoli ha indicato realtà etniche e geografiche diverse, in questo contesto coincide con gli attuali confini amministrativi della regione13. Il criterio può essere discusso, perché fondato su un parametro extra artistico, arbitrario quindi, chiaro e distinto però. Inoltre lunghi anni di esperienze comuni politiche, amministrative e culturali hanno conferito alle diverse aree umbre una patina unificante, che dà al termine ‘Regione Umbria’ una consistenza non solo burocratica. Del resto questa divisione in regioni in base all’assetto attuale, negli studi storici artistici ha precedenti autorevoli. Esattamente cento e uno anni fa, nel 1907 ebbe luogo la Mostra di Arte Antica Umbra, rimasta famosa e da ritenere forse la prima consacrazione ufficiale della denominazione. In tempi molto più vicini si ricorderà che la fondamentale collana La pittura in Italia, edita a Milano da Electa fra il 1985 e il 1994, in ognuno dei volumi, più volte citati nel corso di queste pagine, alla divisione per secoli fa corrispondere anche una divisione per regioni e la pittura in Umbria viene analizzata dall’Alto Medio Evo al Novecento compreso; di fatto solo per gli ultimi decenni del secolo XX la visione regionalistica, altrimenti funzionale, rivela i suoi limiti. È chiaro che, nel dominio della storia dell’arte, sia la divisione cronologica, sia la divisione geografica comportano un margine di forzatura, senza per questo essere erronee o immotivate. È di fondamentale importanza inoltre ricordare che l’espressione ‘arte umbra’, da un punto di vista strettamente storicoartistico, è una semplificazione, se non un’astrazione, perché nel patrimonio artistico umbro sono confluite componenti eterogenee, in parte veramente locali, in parte provenienti da fuori, che sono all’origine della sua varietà, quindi della sua ricchezza. Due esempi credo possano chiarire la situazione. La Fontana Maggiore appartiene incontestabilmente al patrimonio perugino e quindi umbro. Se perugina fu la committenza e la sede a cui l’opera era destinata e dove è miracolosamente rimasta, tutti i principali personaggi coinvolti nella progettazione e nell’esecuzione però erano di fuori: gli scultori Nicola e Giovanni Pisano svolgevano la loro attività soprattutto a Pisa, dove nacque Giovanni, ma Nicola forse era di provenienza pugliese o più generalmente meridionale, comunque nessuno dei due era umbro; l’ingegnere idraulico Boninsegna era veneziano e il regista dell’intera operazione, infine, fra’ Bevignate, solo per un filone minoritario di studiosi è di Perugia, mentre la maggioranza lo ritiene di Cingoli, quindi marchigiano. Il ricorso ad artisti di fuori non intacca minimamente la ‘peruginità’ della Fontana, che quindi fa parte optimo iure del patrimonio artistico umbro. Nell’eventualità d’una malaugurata alienazione, che la portasse via da Perugia e dall’Italia, diventerebbe automaticamente arte umbra nel mondo. Il pittore più rappresentativo, anzi paradigmatico, dell’arte umbra, Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, non si formò né a Perugia, né in Umbria, ma a Firenze, nella bottega di Andrea del Verrocchio, dove ebbe compagni Lorenzo di Credi e Leonardo da Vinci14. Al riguardo di certo da sottoscrivere senza riserve è la seguente presa di posizione: “E qui, nei confronti della dichiarata formazione fiorentina di Perugino, si leveranno le proteste campanilistiche umbre, ma sono proteste prive di fondamento, perché, come è facile dimostrare, Perugino - eccetto che per i meri dati anagrafici - non fu un artista umbro, bensì furono i pittori umbri a essere ben presto tutti perugineschi, generando un equivoco che in parte tuttora sussiste”15. Del resto, Perugino a parte, che una scuola umbra di pittura sia un mito nato nel primo Ottocento è ormai un dato acquisito16. La storia sociale dell’arte da tempo ha messo in chiaro che per una società il ricorso ad artisti di fuori non è debolezza, ma forza. Indica la ricerca del meglio e la capacità di scegliere: è prova quindi di gran vitalità culturale. Siccome, soprattutto nei momenti 13. A dare un’idea della confusione che regna all’estero, anche fra gli storici dell’arte e in tempi non lontani, sui confini dell’Umbria in campo artistico, valgano due esempi, presi volutamente da luoghi molto distanti. In Occidente nel catalogo dei dipinti a Yale, University Art Gallery, a firma di Katherine Neilson (1972, n° 8), a proposito di Gentile da Fabriano si legge “Born in the Umbrian town of Fabriano, he worked in Venice in the early 1400’s”, affermazione che trasforma il pittore marchigiano in umbro, almeno di nascita. In Oriente il catalogo dei dipinti italiani nell’Ermitage di San Pietroburgo, a firma di Tatyana Kustodieva (1994, pp. 77, 79), etichetta come pittore di “Umbrian school” Federico Barocci, notoriamente nato e vissuto a Urbino. La non infrequente assegnazione indebita all’Umbria, del resto, coinvolge anche Raffaello. È vero che tutti i tre gli artisti ricordati hanno lasciato testimonianze in Umbria, non di meno non appartengono alla regione e non per puri dati anagrafici. 14. Sul pittore e la sua formazione esiste una bibliografia fluviale; tutti i dati fondamentali però sono stati riproposti, alla luce delle più recenti b acquisizioni, da Baldini (2004, pp. 89-93), Henry (2004 , pp. 73-79), Mozzati (2004, pp. 95-103) e Natali (2004, pp. 81-87). 15. Marabottini 2004, p. 387. 16. Scarpellini 1991, p. 9. Un libro e un progetto

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migliori della sua lunga storia, la committenza umbra si attenne a questi principi vincenti, proprio a tale atteggiamento mentale, aperto e non provinciale, si deve la gran varietà delle manifestazioni artistiche nella regione. In secondo luogo le opere sono considerate ‘arte umbra nel mondo’, etichetta di comodo imposta da necessità di sintesi, a due titoli diversi, ma non conflittuali. Sotto il primo sono comprese opere di artisti umbri già in origine destinate a luoghi fuori della regione: per esempio il Polittico Albani Torlonia del Perugino, dipinto attorno al 1491 per un committente romano e rimasto a Roma in una collezione privata17. Analoga situazione si registra per la Madonna della Pace della Pinacoteca P. Tacchi Venturi di San Severino Marche18, eseguita dal Pinturicchio a Roma per un committente marchigiano, che morendo la lasciò in eredità alla città natale. Si tratta evidentemente di opere mai state in Umbria, ma preziose testimonianze del contributo degli artisti umbri all’arte fuori dai confini regionali già in epoche lontane. Sotto il secondo sono raccolti i prodotti di artisti umbri e non umbri, un tempo conservati nella regione e poi migrati in sedi più o meno distanti, dalle regioni confinanti, come il Lazio, le Marche e la Toscana - non compresi nella mappa dell’arte umbra nel mondo per motivazioni sulle quali ritornare - fino a paesi a remote distanze, come l’Ucraina19 e il Brasile20. Un esempio di questa situazione è offerto dalla cosiddetta Annunciazione Gardner di Pier Matteo d’Amelia, dipinta per un convento francescano della città natale del pittore, poi conservata a Santa Maria degli Angeli nella Porziuncola e infine approdata a Boston, Isabella Stewart Gardner Museum21. Un altro è l’Assunzione di Guido Reni; l’artista è notoriamente bolognese, ma l’opera, inviata alla chiesa perugina di San Filippo Neri, era entrata a far parte integrante del patrimonio umbro22. Il suo approdo a Lione, a seguito delle spoliazioni napoleoniche, la configura pertanto a pieno titolo come patrimonio artistico dell’Umbria fuori dai suoi confini23. Analoghe considerazioni valgono per il delizioso Volto femminile, a pastello su carta, a firma del fiorentino Benedetto Luti, segnalato da fonti settecentesche a Perugia nella Collezione Graziani24, quindi divenuto patrimonio artistico umbro, verso la metà del secolo XX migrato in collezione privata a Venezia e recentissimamente trasferito in Svizzera 25. Questa situazione ha una conseguenza evidente. Alcune opere catalogate come Arte italiana nel mondo - Umbria, nel progredire dell’operazione figureranno con la stessa scheda in più di un catalogo. Un esempio chiaro è offerto dal Polittico che il Perugino dipinse per la Certosa di Pavia: senz’altro presenza umbra nell’arte fuori dai suoi confini. Dal momento però che da Pavia è passato alla National Gallery di Londra 26, è anche patrimonio artistico della Lombardia fuori dai suoi confini. Che un’opera compaia in più cataloghi non è negativo, anzi permette un controllo incrociato a tutto vantaggio della facilità di reperimento e consultazione. Il minimo comune denominatore delle due classi - le opere prodotte da artisti umbri già in origine fuori dai confini regionali; le opere di artisti umbri e non umbri un tempo parte del patrimonio artistico regionale e poi emigrate - e motivo conduttore della mappa dell’Arte italiana nel mondo - Umbria, è l’attuale appartenenza a istituzioni pubbliche o private di stati esteri. Data 17. Una rilettura dell’opera, connessa alla sua esposizione nella recente mostra sul Perugino tenutasi a Perugia, si deve a Garibaldi (2004a, pp. 232-33). 18. Fra le analisi del capolavoro più vicine nel tempo si segnalano quelle di Innamorati (2001, pp. 222-23), Marcelli (2004, pp. 226-27) e Delpriori (2008, pp. 244-47). 19. A Kiev nel Museo d’Arte Orientale e Occidentale è conservato un trittico di Pietro di Nicola d’Orvieto: cfr. Todini 1989, I, p. 289; II, pp. 33536, ff. 752-53. 20. A San Paolo nel Museu de Arte è approdata una Resurrezione di Raffaello; molto pinturicchiesca, quindi appartenente al periodo umbro, è generalmente datata 1501-502: cfr. Plazzotta 2004a, pp. 108-11. 21. Il dipinto, a lungo assegnato a un artista dal nome convenzionale, il cosiddetto ‘Maestro dell’Annunciazione Gardner’ ha svolto un ruolo determinante nella definizione della personalità di Pier Matteo d’Amelia, figura sfuggente fino a tempi recenti, come ricorda Castrichini (1996, pp. 134-37). 22. Compare infatti, giustamente, sullo stesso piano delle opere di artisti umbri in Galassi (2004, p. 25, ff. 7 e 86). 23. È il criterio motivato e condivisibile, a monte del volume Pittura umbra dal ’200 al ’700 a cura di Flavio Caroli, che dopo il terremoto del 1997 ha raccolto una campionatura di cinquantacinque opere, appartenenti al patrimonio artistico regionale, in cui figurano dipinti di Francesco Appiani, Federico Barocci e Carlo Maratti, tutti e tre notoriamente marchigiani, ma anche del toscano Cristoforo Roncalli e del francese Noël Quillerier. 24. I dati essenziali sulla vita e l’attività del pittore fiorentino si leggono in Coccia (1990, pp. 773-74). La collezione Graziani era in mano ai discendenti, confluiti nei Monaldi, di un illustre committente rinascimentale, Amico Graziani, personalmente coinvolto nella decorazione del Nobile Collegio del Cambio, al quale ha dedicato un accurato articolo Sartore (2004, pp. 589-601). La collezione era ospitata nel palazzo in Corso Vannucci e conteneva, oltre ai dipinti, reperti etruschi d’eccezionale valore, a cui fa cenno Gurrieri (s.d.), che richiama le guide di Orsini (1784), Siepi (1822) e Rossi Scotti (1861), facendo emergere dal confronto fra i tre testi la vera e propria polverizzazione subita dal patrimonio artistico perugino nel giro di otto decenni scarsi. 25. Scheda 2.15. 26. Sul polittico pavese si leggano Camesasca (1969, p. 99, n° 60) e Scarpellini (1991, pp. 100-01, nn. 102-05). 24

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la progressiva labilità dei confini e la diminuzione delle distanze, non sembra più fondato considerare arte umbra nel mondo, un prodotto umbro attualmente in un’altra regione italiana, ma comunque sempre appartenente al patrimonio artistico nazionale. È il caso dello Sposalizio della Vergine, dipinto da Raffaello nel 1504 per la Cappella di San Giuseppe in giuspatronato degli Albizzini nella Chiesa di San Francesco a Città di Castello e ora a Milano nella Pinacoteca di Brera 27. Sono invece incluse nella mappa le opere umbre a Città del Vaticano e nella Repubblica di San Marino, stati stranieri a tutti gli effetti. La diversa situazione delle due classi impone però doverose riflessioni. Il primo gruppo è motivo d’indiscutibile vanto, in quanto testimonia il gran credito, di cui godevano e godono gli artisti umbri dai secoli passati fino ai tempi nostri; il secondo invece è motivo di più che giustificato rimpianto. La perdita infatti in molti casi è irreparabile per il numero e la qualità delle opere coinvolte: basti pensare alla consistente eredità di Raffaello28, ridotta, per usare un eufemismo, alle briciole29; in questo caso il danno è incalcolabile, oltre che sul piano culturale, anche sul piano dell’offerta turistica, perché “se tutti i capolavori che costui lasciò, o inviò, a Perugia vi fossero ancora, il mondo dovrebbe venire da noi in pellegrinaggio solo per quell’artista”30. La perdita delle opere però non è totalmente priva di aspetti positivi. La diffusa e consistente presenza del patrimonio artistico umbro nel mondo può diventare un elemento d’eccezionale efficacia per la promozione della regione in prima battuta, della nazione in seconda. Ogni prodotto artistico infatti è una sorta di ambasciatore del gran contributo dato nei secoli alla cultura nazionale e internazionale da una regione di contenute dimensioni. Crea inoltre un legame fra le sedi attuali e i luoghi d’origine, spesso piccoli centri urbani, poco noti già in Italia e a maggior ragione all’estero, ai quali la presenza di opere, un tempo in loro possesso, ora in sedi lontane, ma molto prestigiose, conferisce un’indiscutibile risonanza: la bellezza famosa, sotto gli occhi di milioni di visitatori nei musei del mondo, rilancia la bellezza nascosta e innesca il desiderio di vedere di persona i luoghi di provenienza. Un esempio appariscente, anche per la risonanza mediatica ottenuta, è offerto da Monteleone di Spoleto, la cui contesissima biga etrusca, finita al Metropolitan Museum di New York, al momento oggetto di una vertenza legale, ha dato al piccolo, ma gradevole, centro urbano una notorietà difficilmente raggiungibile con altri mezzi. Su un piano un po’ diverso si pone lo Studiolo di Federico da Montefeltro, fino agli anni Settanta dell’Ottocento nel Palazzo Ducale di Gubbio - dove ha lasciato un vuoto incolmabile ora rimontato con regia inappuntabile in un ambiente appositamente predisposto nel Metropolitan di New York 31. I due ultimi esempi mostrano la diversa entità del danno. Irrimediabile in entrambi i casi, in quanto indiscusso depauperamento della comunità proprietaria, nel primo caso il ritrovamento della biga fu dovuto a uno scavo fortuito e la sua asportazione compromise la possibilità di studiare i suoi rapporti con il contesto, ma non venne a sconvolgere un complesso artistico strutturato. Nel caso dello studiolo di Gubbio, oltre alla perdita del prezioso manufatto, c’è il vuoto evidente e insanabile lasciato nel Palazzo Ducale, una lacuna da cui il contesto artistico è fortemente compromesso. Inoltre allo Studiolo i ripetuti passaggi di proprietà e i trasporti eseguiti in modo improprio hanno provocato la perdita di alcune parti, che neppure l’accuratissimo restauro e l’eccellente ricomposizione promossi dal museo newyorkese hanno potuto reintegrare32. Vari anni di ricerche hanno prodotto risultati insperati: al di là delle previsioni. Non solo è stato possibile ricostruire i percorsi di molte opere, spesso conosciuti solo in parte o descritti in modo erroneo, ma sono riemersi manufatti creduti persi e in qualche caso inediti. Fra gli esempi più significativi, ricorderò i due scomparti con il Battesimo e la Guarigione di Costantino, appartenenti a un trittico del pittore fiorentino Andrea di Giusto Manzini, un tempo a Gubbio in Casa Ramelli. Il polittico era dato per scomparso in un importante repertorio sull’arte in Umbria degli inizi del Novecento33, in realtà invece, se è vero che una valva a 27. Sulle controverse circostanze dell’asportazione della pala da Città di Castello in età napoleonica è ritornata Galassi (2004, p. 65). L’opera è stata oggetto di una recente analisi a firma di Henry e Plazzotta (2004, pp. 26-28). 28. L’eredità raffaellesca in Umbria, stando alle sole opere documentate, era cospicua e così distribuita: a Città di Castello quattro opere: lo Stendardo della Trinità, l’Incoronazione di san Nicola da Tolentino, la Crocifissione Mond e lo Sposalizio della Vergine. A Perugia sei: la Pala degli Oddi, la Pala Colonna, la Madonna Conestabile, la Madonna Ansidei e la Deposizione Baglioni, più gli affreschi di San Severo. A questi dieci dipinti, subito dopo la morte di Raffaello, si era aggiunta l’Incoronazione di Monteluce, progettata dal maestro e portata a termine dagli allievi. Un po’ dopo la metà del Cinquecento, dalla basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli, era arrivata a Foligno la Madonna in gloria, santi e il committente, poi nota come Madonna di Foligno, che portò a dodici titoli il contributo raffaellesco al patrimonio umbro. La dispersione ebbe inizio nel 1608 con la Deposizione Baglioni e si concluse nel 1871 con la Madonna Conestabile. Se alle dodici opere certe, se ne aggiungono altre, non documentate, ma probabili, la perdita è veramente impressionante. Per l’attuale presenza di Raffaello in Umbria cfr. 3.30. 29. Wolk-Simon (2006, p. 43) usa un’espressione molto più negativa. 30. Ranieri 1969, p. 192. 31. Le vicende del prezioso ambiente ligneo sono richiamate alla scheda 2.13. 32. Lo studiolo eugubino è stato oggetto di approfondite analisi, condotte da varie angolazioni e affidate a due accurati volumi editi dall’istituzione proprietaria: cfr. Raggio 1999 e Wilmering 1999. 33. Come si legge in Gnoli (1923, pp. 22-23), quando, sulla base di tre fonti bibliografiche, riferisce che “Una tavola già in casa Ramelli a Gubbio, rappresentante la conversione di Costantino, recava la scritta HOC OPUS FECIT ANDREAS DE FLORENTIA. Forse opera di Andrea di Giusto Manzini; se ne ignora la sorte”. Un libro e un progetto

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Parco del Monte Subasio: Eremo delle Carceri Park of Mount Subasio: Hermitage of St. Francis

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tutt’oggi è irreperibile, le altre due si trovano all’Ermitage di San Pietroburgo, dove sono approdate alla fine del XIX secolo34. Una trecentesca croce sagomata dipinta 35, attribuita a un valido seguace di Giotto, un tempo in una dimora gentilizia nella campagna nei dintorni di Perugia, di cui ancora nel 1960 s’ignorava la sorte36, appartiene invece a una chiesa protestante di una città nel Sud Ovest degli Stati Uniti37. Da una collezione privata svizzera è emerso un disegno autografo del Pinturicchio, rimasto inedito fino alla pubblicazione avvenuta non prima di quattro anni fa 38: è un Ritratto di Pio III39, connesso alla preparazione degli affreschi della Libreria Piccolomini40, che consente qualche correttivo nell’impostazione dei rapporti fra il già affermato Pinturicchio e l’ancora esordiente Raffaello ai primissimi del Cinquecento, in uno dei più importanti cantieri del Rinascimento41. Da due collezioni private spagnole sono emersi due inediti. Il primo è una Presentazione al tempio42 attribuita alla prima maniera di Raffaello, ma da restituire a Pompeo d’Anselmo e Domenico Alfani, artisti già noti per opere prodotte in collaborazione, legata inoltre a un dipinto gemello nella Collezione Gazzola di Piacenza43, che insieme pongono il problema di una migliore definizione della produzione pittorica a Perugia ai primi del Cinquecento, dominata dal Perugino avviato verso il tramonto e dalla breve, ma incisiva, presenza di Raffaello, di cui Domenico Alfani era amico44. Il secondo è un’incantevole Madonna con il Bambino45 con tratti pinturicchieschi così evidenti, da porre il dilemma, al momento da lasciare irrisolto, se sia un prodotto del cosiddetto ‘Maestro del Tondo di Cortona’ o piuttosto una nuova opera autografa del Pinturicchio, ignorata da fonti antiche e bibliografia moderna. Il caso più eclatante di quali risultati possa sperare una ricerca capillare, ad ampio raggio e attenta ai minimi indizi, però è senz’altro rappresentato dall’ormai celebre Bambin Gesù delle mani del Pinturicchio, proveniente da una composizione affrescata su una parete degli Appartamenti Borgia, ritenuta dalla gran parte degli studiosi o inesistente o, nella migliore delle ipotesi, frutto di erronee interpretazioni di fonti antiche. Il delizioso Bambino, nella sua opulenta cornice della seconda metà del Seicento intagliata e dorata, non solo è riemerso nel 2004 in Italia settentrionale, in mano agli eredi d’una collezione principesca romana, ma grazie alla Fondazione Guglielmo Giordano, è rientrato stabilmente nella città natale del suo autore46. L’episodio è tutt’altro che secondario, anche perché l’opera pinturicchiesca riscoperta, al di là dell’alta qualità formale, ha un percorso alle spalle, a dir poco, avventuroso, ricco d’implicazioni storico-culturali; riportata in Umbria, infine, aumenta d’un titolo significativo la molto contenuta eredità d’un pittore nato a Perugia, ma attivo soprattutto a Roma e Siena, quindi nella regione natia rappresentato da un numero contenuto di dipinti, insufficiente a dare un’idea adeguata della qualità e della varietà della sua produzione47. A premiare gli studi e le ricerche sull’arte umbra fuori dai suoi confini, condotti da vari studiosi e da diverse angolazioni, 34. Il percorso e le vicende attributive della parte centrale del polittico e della valva destra sono descritte da Kustodieva (1994, pp. 51-53). 35. Scheda 2.2. 36. Come risulta da Gurrieri (s.d., n° 10), che in proposito afferma “Proprietà dei Conestabile della Staffa, fu immesso nel commercio antiquario qualche decennio fa; se ne ignora l’attuale destinazione. Eletta opera di un seguace di Giotto nel secolo XIV”. L’appartenenza ai conti Conestabile della Staffa e la sua presenza al Castello di Montemelino, peraltro nota e documentata, trova un’ulteriore indiscutibile conferma in una fotografia che riprende dieci componenti della famiglia e un ospite, ritratti nel salone principale del castello, su una delle cui pareti è visibile l’inconfondibile croce trecentesca, ora a Tucson. La fotografia, scattata nel 1931, non pubblicabile per motivi di riservatezza, appartiene a una componente della famiglia Conestabile della Staffa, che si ringrazia moltissimo per la preziosa segnalazione. 37. Il prezioso manufatto è registrato fra le proprietà di Samuel H. Kress da Shapley (1966, p. 22, f. 51) con esplicito riferimento a Perugia e ai Conestabile della Staffa. 38. Nucciarelli 2004. 39. Scheda 2.30. 40. Il disegno è importante, perché consente una datazione incredibilmente precisa all’ottobre del 1503 e getta un fascio di luce sui complessi rapporti fra Pinturicchio e Raffaello nella fase preparatoria della frescatura, come spiega Nucciarelli (2004, pp. 229-52). 41. L’importanza del cantiere senese, universalemente ammessa, viene riconfermata dall’ampio studio d’insieme di Toracca (1998, pp. 215-309) e anche da Angelini (2005, pp. 521-53). 42. Scheda 2.32. 43. Todini (I, p. 196; II, p. 568, f. 1320) l’assegna al ‘Maestro del Tondo di Cortona’, ma l’attribuzione, difficilmente sostenibile, è stata di nuovo messa in discussione da Ortenzi (2008b pp. 322-23), dopo essere già stata respinta dall’istituzione proprietaria, che lo ritiene di Giannicola di Paolo: cfr. Arisi 2000. 44. Il pittore è infatti uno dei candidati favoriti all’invidiabile ruolo di primo proprietario della Madonna Conestabile, segnalata ai primi del Seicento in proprietà degli Alfani, anche se è difficile stabilire con sicurezza per quale membro della famiglia fosse stata dipinta. Sull’argomento si sono espressi Nucciarelli e Severini (1999). 45. Scheda 2.16. 46. La complessa vicenda, già accuratamente ricostruita da Incisa della Rocchetta (1947, pp. 176-84), ma purtroppo senza effetti apprezzabili nella letteratura sull’argomento, è stata riscritta alla luce di nuove acquisizioni da Nucciarelli (2006, pp. 18-183) e sinteticamente richiamata da Mancini (2007, pp. 141-44). 47. Scheda 3.28. Un libro e un progetto

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contribuisce un altro dipinto del Pinturicchio, la Madonna con il Bambino in un paesaggio, un tempo a Roma nella Collezione Theodoli, poi migrata in Austria e dall’Austria rientrata a Perugia, grazie al concreto intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia48, che l’ha destinata ad arricchire la propria collezione esposta a Palazzo Baldeschi al Corso, dove è circondata da altri prodotti artistici umbri recuperati in sedi lontane. La possibilità di riesaminare in una luce nuova opere sia pure note e studiate rivela situazioni sorprendenti: un monastero femminile fra i più poveri di tutta Perugia, quello di Sant’Antonio da Padova in Porta Sant’Angelo, possedeva incredibilmente tre pale d’altare eccezionali, il Polittico49 di Piero della Francesca, fortunatamente rimasto in città e visibile nella Galleria Nazionale dell’Umbria, la cosiddetta Pala Colonna di Raffaello50, smembrata e dispersa in quattro diversi musei fra Boston, Londra e New York, infine le Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria51, capolavoro di Vincenzo Pellegrini, una delle figure di spicco nel panorama artistico a Perugia fra Cinquecento e Seicento, approdato al museo della Bob Jones University a Greenville (South Carolina)52. Una semisconosciuta Madonna con il Bambino in trono53, attribuita a Matteo da Gualdo ad Altenburg nel Lindenau Museum, chiama in causa un interessante rappresentante del cosiddetto ‘Rinascimento eccentrico’ umbro. Solo da poco tempo riproposto all’attenzione del gran pubblico, l’artista ha lasciato una ricca eredità a Gualdo e nelle zone contermini, sufficiente da sola a disegnare un itinerario artistico e naturalistico di gran suggestione54. L’Adorazione dei Magi55 di Ottaviano Nelli, conservata a Worcester (Massachusetts) invita a seguire le tracce del pittore eugubino fra Gubbio, Fossato di Vico e Foligno, dove è rappresentato da cicli d’affreschi, ricchi di rimandi a momenti di storia umbra fondamentali, come la signoria dei Trinci e il loro palazzo, un unicum per tipologia architettonica nell’intera regione56. Il fiabesco Arcangelo Michele57 del Museum of Fine Arts di Boston ripropone la necessità di studi approfonditi su Pellegrino di Giovanni, documentato a Perugia per un arco cronologico brevissimo, le cui opere note sono troppo poche e controverse, per non pensare che ne esistano altre in diversi musei, forse occultate da attribuzioni fuorvianti. Fra i pittori umbri attivi nel Seicento è rivelatore il confronto fra Andrea Camassei58 e Gian Domenico Cerrini da un lato59 e Ippolito Borghese dall’altro. Mentre ai primi due la prolungata attività romana e l’ingresso dei loro dipinti nel circuito del collezionismo privato, anche a motivo dei soggetti profani, hanno aperto la via dell’estero, Borghese, pur gratificato da una grande affermazione in varie località del Regno di Napoli, a motivo dei soggetti quasi esclusivamente religiosi, consegnati a polittici e grandi pale destinati a luoghi di culto, non è entrato nella circolazione collezionistica, se non in misura minima, e la stragrande maggioranza dei suoi dipinti è rimasta nelle sedi originarie o comunque in Italia60. La sua fama pertanto non è così diffusa, come quella dei due colleghi ricordati, noti da tempo al collezionismo estero, circostanza che porta a riflettere sui benefici che l’ingresso in collezioni straniere pubbliche o private e la dispersione possono comportare per la conoscenza e la valutazione di un artista. Si tratta in realtà di un processo circolare in cui il rapporto causa-effetto non è scontato. In alcuni casi è evidente che la notorietà di un artista sta all’origine della dispersione; 48. La Madonna con il Bambino, databile agli ultimi anni del Quattrocento, del tutto sconosciuta alle fonti antiche e alla letteratura pinturicchiesca, compresi gli studi di Ricci (1902, 1903, 1912), Carli (1960), Todini (1989), Nucciarelli (1998), Acidini Luchinat (1999), Scarpellini (2003) e Silvestrelli (2003), fu segnalata per la prima volta da von Lutterotti (1961, pp. 5-17), senza però echi nel dibattito sul Pinturicchio. Recentemente ne ha comunicato la ricomparsa nel circuito antiquario Nucciarelli (2007b, p. 40) e, dopo il rientro a Perugia, è stata esaminata da Mancini (2007, pp. 158-59). 49. L’importante polittico, fra le vette della Galleria Nazionale, nel 1993 è stato oggetto d’una mostra monotematica, preceduta da restauri, studi e ricerche, consegnati al volume Piero della Francesca. Il polittico di Sant’Antonio a cura di Vittoria Garibaldi. 50. Scheda 2.33. 51. Scheda 2.21. 52. La struttura monastica che ospitava i tre eccezionali dipinti è descritta da Lattaioli (1993, pp. 57-64) e Gardner von Teuffel (1993, pp. 89-92), che ne propongono due ricostruzioni un po’ diverse. 53. Scheda 2.19. 54. La mostra, realizzata a Gualdo nella splendida cornice della Rocca Flea, si è tenuta dal 21 marzo al 27 giugno 2004 e ne dà testimonianza il catalogo Matteo da Gualdo. Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche a cura di Eleonora Bairati e Patrizia Dragoni. 55. Scheda 2.20. 56. Sul vasto complesso architettonico, esempio unico di residenza principesca medievale in Umbria, esiste un’ampia monografia attenta a tutti i suoi aspetti storici, artistici, sociali e documentari, Il Palazzo Trinci di Foligno a cura di Giordana Benazzi e Francesco Federico Mancini, pubblicata nel 2001. 57. Scheda 2.22. 58. Scheda 2.9. 59. Scheda 2.10. 60. Sul pittore un profilo storico- artistico chiaro e documentato si deve a Leone De Castris (1988, p. 652). Sebbene il teatro principale della sua attività sia stato il Regno di Napoli, dove le testimonianze sono numerose e consistenti, Ippolito Borghese è rappresentato anche in Umbria: a Sigillo, la città natale, nella Chiesa di Sant’Agostino da un’Annunciazione con l’autoritratto firmata e datata 1617; a Perugia da un’ Assunzione nella cattedrale e, a Palazzo Baldeschi al Corso, dove è esposta la collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, da una Deposizione. 28

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in altri proprio alla dispersione e all’approdo in sedi museali estere si devono studi e ricerche approfonditi, che conferiscono fama all’artista. Le quaranta schede che seguono mirano a due obiettivi principali: il primo è analizzare le opere che attestano la gran vitalità artistica della regione nei secoli dal Medio Evo fino quasi ai giorni nostri; il secondo è ricostruirne, se possibile, i percorsi, spesso romanzeschi e non sempre noti in ogni passaggio, per riportarle idealmente, dalle sedi altamente prestigiose in cui si trovano, ai luoghi originari, a ricostruire una sorta di museo virtuale del patrimonio e della presenza artistici umbri fuori dai confini regionali e a rilanciare le città maggiori, ma soprattutto i piccoli centri urbani, in cui si conservano altre testimonianze di diversa, ma non minore importanza, a firma degli stessi autori o delle loro scuole, presenti nei maggiori musei del mondo. L’operazione è possibile, perché gli oggetti artistici sono gli unici prodotti dell’ingegno umano a presentare due caratteristiche in apparenza antitetiche, in realtà complementari: grazie al valore estetico, sono sganciati dal tempo e dallo spazio, ma allo stesso tempo consentono di evocare il tempo e lo spazio in cui nacquero, anche quando gli orizzonti culturali originari sono lontani o sembrerebbero irrimediabilmente perduti. La volontà di approdare negli anni a una banca dati sul patrimonio artistico italiano nel mondo, ordinato secondo la provenienza regionale, è giustificata sotto due aspetti. Colma una lacuna nel campo degli studi, perché se dei precedenti esistono, li supera per l’ampiezza dei dati e per l’ordine della presentazione dei materiali, che solo un adeguato uso dei supporti informatici può consentire. I precedenti ci sono ed è giusto ricordarne almeno alcuni particolarmente significativi. Già negli anni Venti del Novecento Umberto Gnoli61, in un’opera famosa, ristampata circa trenta anni fa62 e tuttora utilizzata con profitto, aveva prodotto dell’arte umbra una sistemazione allora valida, ma ormai lontana nel tempo e superata da quasi novanta anni di studi e ricerche. Al lavoro congiunto di Burton B. Fredericksen e Federico Zeri si deve un accurato censimento dei dipinti italiani, quindi anche umbri, precedenti il XIX secolo, nelle collezioni pubbliche dell’America settentrionale63. Verso la fine degli anni Ottanta del secolo passato Filippo Todini64 si è reso benemerito per una vera pietra miliare negli studi in materia. I due importanti volumi, che prendono in esame la pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, però non sono di facilissima consultazione, non hanno indici analitici e presentano rimandi bibliografici estremamente ridotti. Di ogni opera infine si dà poco più che la pura menzione e i dati s’allineano allo stato di studi e ricerche precedenti il 1989, ossia quasi vent’anni fa. In tempi più vicini Cristina Galassi65 ha ripreso in esame il problema per quanto concerne le spoliazioni napoleoniche, che rappresentano senz’altro un capitolo molto importante nella dispersione dell’arte umbra, ma non il solo, dimostrando che la rilettura attenta di fonti e documenti può far riemergere opere credute perse, come la Madonna con il Bambino fra i santi Lorenzo, Giovanni Battista, Gerolamo e Domenico di Mariano di Ser Austerio, dopo varie vicende data per scomparsa, ritrovata invece nella Pinacoteca Vaticana sotto un’attribuzione fuorviante66. Nell’anno in corso la mostra Maestri senesi e toscani nel Lindenau-Museum di Altenburg a cura di Miklós Boskovits è stata un’ottima occasione per presentare una cinquantina di opere e al contempo comunicare la schedatura in corso nel museo tedesco dei dipinti umbri e toscani67. La messa a fuoco della componente italiana nei musei esteri non si deve soltanto ai nostri storici dell’arte, attenti alle opere, per così dire, in uscita. Molti studiosi stranieri le hanno dedicato speciale attenzione, data l’importanza, non foss’altro, già al puro livello quantitativo. Fra gli innumerevoli esempi possibili, possono essere richiamati i seguenti. Oltre cent’anni fa Herbert Cook parlava dei tesori dell’arte italiana in Inghilterra68. Due anni dopo Osvald Sirén catalogava quadri e disegni del Rinascimento italiano in Svezia69. A Firenze nel 1949 uscì in inglese un panorama della pittura su tavola d’epoca romanica, divenuta ormai un classico70, tanto da meritare di essere riproposto in edizione riveduta, corretta e allineata alle ultime innovazioni informatiche71. 61. Gnoli 1923. 62. A Foligno da Ediclio nel 1981. 63. Fredericksen e Zeri 1972. 64. Todini 1989. 65. Galassi 2004. 66. Galassi 2004, p. 168, f. 30. 67. Boskovits 2008. È il catalogo di una mostra organizzata a Siena nei locali di Santa Maria della Scala con i soli dipinti senesi e comunque toscani nel museo tedesco: circa una cinquantina di opere. Nell’esporre il profilo biografico del fondatore barone Bernhard August von Lindenau (17791854), la direttrice del museo Jutta Penndorf informa che la schedatura dei dipinti toscani è stata affidata a una équipe sotto la guida di Boskovits, mentre i dipinti umbri sono in corso di studio da parte di Wiebke Fastenrath Vinattieri. 68. Cook 1900, pp. 177-90. 69. Sirén 1902. 70. Garrison 1949. 71. Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index by Edward B. Garrison, on CD-ROM. L’opera è stata oggetto di una accurata recensione nel 2000 da parte di Susan von Daum Tholl, pubblicata in “Visual Resources. An International Journal of Documentation”, XV, n° 4, pp. 475-76. Un libro e un progetto

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Nel 1994 è stato redatto un accurato catalogo dei disegni di scuola umbra e toscana a Chatsworth nella collezione del Duca di Devonshire72 e nello stesso anno è uscito un consistente volume sulla presenza italiana all’Ermitage di San Pietroburgo73. Nel 2004 uno storico dell’arte tedesco, già benemerito per innovativi approcci alla tecnica pittorica del Perugino74, ha dedicato uno studio ampio e documentato alle presenze umbre e toscane nel principale museo di Francoforte75. Fra questi poli, distanti più di cento anni, innumerevoli sono gli studi specifici dedicati alla presenza artistica italiana all’estero, tanto da costituire un filone autonomo e consistente degli studi storico-artistici del mondo occidentale. Del resto non potrebbe essere diversamente, visto l’apporto unico, inarrivabile e universalmente ammesso, dato nei secoli dalla cultura italiana alle arti figurative. Se i percorsi delle opere coinvolte nelle spoliazioni, per così dire ufficiali, come quelle napoleoniche, nella gran parte dei casi possono essere ricostruiti, quasi sconosciuti invece restano quelli dei mille rivoli del commercio antiquario e del collezionismo privato, ai quali si deve la componente numericamente maggiore degli oggetti dispersi. Il precedente più immediato delle ricerche condotte in questo campo resta il volume di Ottorino Gurrieri76, che si limitò purtroppo a poche opere e spesso le descrisse in maniera molto sintetica e non esente da imprecisioni77, peraltro comprensibili in un uomo di riconosciuta cultura, che non era però un addetto ai lavori; non di meno resta innegabilmente un benemerito precursore, mai ringraziato abbastanza, per avere individuato quasi cinquant’anni fa la pista meritevole d’essere seguita. Può meravigliare che un numero così elevato di oggetti d’arte abbia potuto lasciare la regione, quasi senza resistenze, almeno in apparenza, da parte dei privati e delle comunità proprietarie, ma a questa situazione hanno concorso vari fattori e le vicende sono quasi sempre più complicate del prevedibile. In molti casi, come nel corso delle guerre, si tratta d’imposizioni alle quali era impensabile resistere78, in molti altri, situazioni economiche insostenibili hanno visto nell’alienazione del patrimonio artistico l’unica via d’uscita79, ma in altri ancora, forse nella maggioranza, la perdita delle opere d’arte è legata all’ignoranza del reale valore delle cose possedute80. Illuminante al riguardo quanto avvenne a Montefalco, dove la municipalità, evidentemente mal consigliata, non esitò a cedere a Pio IX la preziosa Madonna della cintola di Benozzo Gozzoli, creduta allora oltretutto opera autografa del Beato Angelico81, in cambio del riconoscimento dello status di città82, prezzo decisamente elevato rispetto a un titolo puramente formale e privo di benefici concreti. Analoghe discutibili motivazioni stanno a monte del dono fatto in età napoleonica al barone de Gérando della Natività di Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, che partendo dalla chiesa perugina di Sant’Antonio abate, iniziò un percorso che la portò in Francia e infine al Louvre83. 72. Jaffé 1994. 73. Kustodieva 1994. 74. Hiller von Gaertringen 2004b, pp. 153-65. 75. Hiller von Gaertringen 2004a. 76. Gurrieri s.d. (ma 1960). 77. Come quando afferma che la pinturicchiesca Crocifissione fra i santi Gerolamo e Cristoforo a Roma nella Galleria Borghese era appartenuta ai Rotschild, citazione sfocata d’una vicenda parallela, ma del tutto distinta. Il vero percorso dell’opera è sinteticamente richiamato da Pietrangeli (1994, p. 7) e nei dettagli da Nucciarelli (1998, pp. 171-203). 78. È il caso dello Sposalizio della Madonna dipinto da Raffaello nel 1504 per la Cappella Albizzini della Chiesa di San Francesco a Città di Castello, estorto alla municipalità dal generale napoleonico Giuseppe Lechi. Ancora più vistosa la sopraffazione, neanche giustificata dallo stato di belligeranza, operata nel 1608 dal cardinale Scipione Borghese, nipote del papa allora regnante Paolo V, in danno alla Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, officiata dai Francescani Conventuali, costretti a cedere al potente e prepotente porporato il Trasporto di Cristo al sepolcro, commesso all’Urbinate da Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia. Il dipinto, universalmente noto come Deposizione Baglioni-Borghese, appartiene all’omonima galleria romana. 79. Come la dispersione della Pala Colonna, il polittico che Raffaello aveva eseguito per le Suore Terziarie Francescane, titolari del Monastero di Sant’Antonio da Padova a Perugia in Porta Sant’Angelo, dovuta alle poverissime condizioni della comunità monastica, polittico a cui è dedicata la scheda 2.33. Ancora un’insostenibile situazione economica fu all’origine della vendita della Madonna di Foligno, un tempo nel Monastero di Sant’Anna nella città umbra da cui aveva preso il nome, ora alla Pinacoteca Vaticana, descritta alla scheda 2.34. Alle vicende dell’inarrivabile dipinto di Raffaello hanno dedicato una monografia Nucciarelli e Severini (2007). 80. È quanto accadde all’Annunciazione di Pier Matteo d’Amelia, grazie a Bernard Berenson, passata da una parete della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli a Boston, Isabella Stewart Gardner Museum, sulla quale si è espressa Castrichini (1996, pp. 134-37). 81. Scheda 2.4. 82. La singolare vicenda è richiamata da Lunghi (1997, pp. 26-27) e Padoa Rizzo (1997, pp. 67-69). La descrizione più ampia e documentata della vicenda si legge in Nessi (1997, pp. 33-36), che parla del quadro come della più alta creazione del pittore a Montefalco, ne ricorda la generale attribuzione al Beato Angelico e la cessione fatta con estrema leggerezza a Pio IX con delibera del consiglio comunale del 28 novembre 1947. La risposta del papa è del 1 aprile 1948. In precedenza Nessi (1991, pp. 101-07) aveva dedicato un articolo dettagliato e documentato all’insieme dei dipinti provenienti da Montefalco conservati in Vaticano. 83. In Gualdi Sabatini (1984, pp. 121-28) si legge che “La tavola, ora nel Museo del Louvre, commissionata dalle ‘venerande donne’ della ‘Compagnia di Nostra Donna di S. Antonio’ per la Chiesa di S. Antonio a Perugia a Porta Sole, venne offerta nel 1811 dalla città di Perugia come attestato di 30

Un libro e un progetto


Atteggiamenti simili non possono non destare meraviglia, quando non destano ilarità, ma hanno precise motivazioni storiche. La cultura artistica non è mai stata ovvia, né largamente diffusa. Se le opere d’arte sono portatrici di valori universali, questo non significa che siano apprezzate universalmente. Soprattutto nelle epoche passate l’arte era prodotta per una élite: la gran massa della popolazione, ma purtroppo anche la parte meno illuminata delle classi emergenti, o sedicenti tali, ne ignorava completamente valori, funzioni e significati84. Questo libro vuole contribuire, in un’atmosfera di neoilluminismo, alla più ampia divulgazione dei valori artistici, nella convinzione del positivo effetto che possono esercitare su chiunque, se adeguatamente presentati, in misura non sempre direttamente proporzionale al grado di cultura e all’estrazione sociale: quest’ultima considerazione può sembrare strana, ma forse proprio in questo aspetto risiede il potere dell’arte. Nelle pagine che seguono il lettore trova analizzate quaranta opere, una campionatura minima se rapportata alla massa di quelle già censite e da censire: questo libro deve essere visto come la punta dell’iceberg, rappresentato da un catalogo on line, rispetto al quale il volume Umbria 1 sta nello stesso rapporto di una vetrina rispetto a un negozio di grandi dimensioni. La scelta delle opere contiene necessariamente una componente soggettiva: cerca però di presentare un ventaglio di artisti dai più celebri ai meno noti, ma, quel che più conta, distribuiti dal secolo XIV fino quasi ai giorni nostri, con una voluta restrizione preliminare: nessun autore è vivente, nella convinzione che, nel giudizio su un artista, la dimensione temporale giochi un ruolo ineliminabile. L’elenco include però anche artisti scomparsi da qualche decennio, per la deliberata volontà di combattere un’idea erronea, quanto diffusa, secondo la quale l’apporto dell’Umbria alla cultura internazionale sarebbe quasi del tutto confinato al Medio Evo e al Rinascimento e, peggio ancora, che arte umbra significhi necessariamente arte figurativa, mentre è un dato di fatto che la presenza della regione nel panorama artistico è rilevante anche per i secoli più vicini e per l’arte contemporanea. Un secolo soltanto mostra l’Umbria, un po’ defilata rispetto alla vita artistica nazionale e internazionale e il patrimonio artistico umbro messo insieme quasi soltanto con apporti esterni: il Settecento. Le motivazioni sono note: “Il secolo porta a compimento quel fenomeno di rarefazione delle forze locali che ancora nel Seicento aveva potuto ostacolare la totale conquista della regione da parte di artisti forestieri. Ora questi trovano la piazza completamente libera, o quasi, ed è soltanto il gioco delle loro presenze a determinare la configurazione del panorama artistico, rendendolo assai meno complesso che in precedenza per l’avvenuta monopolizzazione. Né il dissolversi delle presenze umbre risulta compensato dall’incremento delle immigrazioni, sicché, complessivamente il secolo segna un impoverimento quantitativo rispetto al precedente”85. Il secolo ‘povero’ comunque, grazie a una pregevole presenza, un tempo a Perugia nella Collezione Graziani Monaldi, può essere rappresentato già in questo primo volume86. La sezione maggioritaria è inevitabilmente formata da dipinti fra Medio Evo e Rinascimento per l’innegabile livello raggiunto dalla cultura figurativa umbra in quelle epoche grazie alla presenza, sia pur saltuaria, di maestri d’eccezione. Il cantiere di Assisi fra Duecento e Trecento richiama in zona i massimi artisti dell’Italia centrale, ma anche interessanti presenze straniere87. Fra Quattrocento e Cinquecento, Perugino88 e Pinturicchio89, personalità artistiche ampiamente affermate fuori di Perugia e dell’Umbria, creano una situazione talmente favorevole da attrarre il giovane Raffaello90. Nel Seicento è significativo osservare che due pittori, uno di Bevagna, Andrea Camassei, e uno di Perugia, Gian Domenico Cerrini, se vollero fare carriera, dovettero lasciare l’Umbria per Roma e Firenze91, per cui i loro dipinti entrarono subito nel circuito internazionale. Con Umberto Gualaccini92, appassionato poeta di Perugia della Bell’Epoca, si passa dall’Ottocento alla parte del Novecento che non dovette confrontarsi con la Seconda Guerra Mondiale. Il Novecento, dagli inizi fino quasi ai nostri giorni, è invece rappresentato da

gratitudine, durante il dominio francese, al barone di Gérando, incaricato della direzione degli affari civili negli Stati della Chiesa e venne fatta acquistare dai suoi eredi per la somma di 25.000 franchi da Luigi Filippo”. È evidente che mentre la municipalità perugina forse non era consapevole del vero valore dell’oggetto, ne avevano un’idea esatta il donato e i suoi eredi, tanto da riuscire a venderla per una cifra molto consistente. 84. Wescher (1988, pp. 21-34) fa un quadro chiaro dell’atteggiamento di totale incomprensione da parte della massa della popolazione di fronte alle opere d’arte. 85. Casale 1990, p. 351. 86. Scheda 2.15. 87. Dell’argomento un’impostazione ampia e accurata si deve a Todini (1986, pp. 375-413). 88. Schede 2.23, 2.24, 2.25 e 2.26. 89. Schede 2.28, 2.29, 2.30 e 2.31. 90. Schede 2.33, 2.34, 2.35 e 2.36. 91. Schede 2.9 e 2.10. 92. Scheda 2.14. Un libro e un progetto

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Parco di Colfiorito: Foligno, Palazzo Trinci, Ottaviano Nelli, Storie della Vergine Park of Colfiorito: Foligno, Palazzo Trinci, Ottaviano Nelli, Stories of the Virgin

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Un libro e un progetto


tre artisti, Gerardo Dottori93, Ugo Rambaldi94 e Alberto Burri95 a riconfermare la varietà delle espressioni artistiche del secolo XX e a combattere lo stereotipo ricordato, che vede la cultura umbra inesorabilmente agganciata alle sue testimonianze delle epoche lontane. La scelta delle opere è stata condotta anche in vista dell’ampliamento delle frontiere della ricerca: quindi accanto ad autentiche celebrità come la Madonna del libro a San Pietroburgo96, la Madonna di Foligno della Pinacoteca Vaticana97 o lo Studiolo di Federico da Montefeltro del Metropolitan di New York98 compaiono i ricordati dipinti inediti99, uno oggetto d’uno studio isolato100 e infine due ritenuti scomparsi, ma ritrovati101. Bernardino di Mariotto dello Stagno102 e Matteo da Gualdo103 deliberatamente sono entrambi rappresentati da opere poco note e di controversa attribuzione, nella convinzione che il rinnovato interesse manifestato nei loro confronti dagli studiosi e anche dal gran pubblico, grazie a due mostre recenti104, debba proseguire su terreni meno battuti, in cui la ricerca può ancora ripromettersi risultati significativi. Anche Berto di Giovanni e Andrea Camassei sono presenti con due opere che dalle istituzioni proprietarie sono assegnate rispettivamente a Giannicola di Paolo105 e Andrea Sacchi106, il che significa che una parte considerevole del patrimonio artistico umbro fuori dai suoi confini non è stata ancora adeguatamente messa a fuoco. Quaranta dipinti, rispetto alla massa di opere con tutte le carte in regola per entrare in Umbria 1, hanno imposto ovviamente una drastica scelta. Non si è trattato comunque d’una scelta dolorosa: quod differtur non aufertur, opere e artisti assenti dal primo volume saranno presenti nei prossimi e nel catalogo on line. È evidente che l’operazione è condotta nell’auspicio che questo libro, ora sotto gli occhi del lettore, sia il primo d’una lunga, lunghissima serie, tenuta insieme da una profonda convinzione: il messaggio artistico è la cosa più elevata che può produrre la mente umana, attraversa il tempo e lo spazio conservando intatta la propria validità e finisce con il riemergere anche quando parrebbe perduto. È il tacito, ma penetrante messaggio che continua a lanciare un minuscolo dipinto, non più grande di un piatto da frutta107. Era stato eseguito a Perugia o a Firenze da un pittore poco più che ventenne, non umbro, ma per un committente perugino; per secoli era stato parte integrante del patrimonio artistico della città.

93. Scheda 2.11. 94. Scheda 2.37. 95. Scheda 2.8. 96. Scheda 2.35. 97. Scheda 2.34. 98. Scheda 2.13. 99. Schede 2.14, 2.16, 2.15 e 2.32. 100. Scheda 2.30. 101. Schede 2.18 e 2.2. 102. Scheda 2.5 L’opera problematica, perché assente da tutti i cataloghi dell’artista, è un invito a ristudiare il dipinto e il potenziale autore. Le fisionomie particolarissime dei volti lunghi e aristocratici rinviano all’anonimo autore della cosiddetta Adorazione dei Magi Vitelli, detta così per la presenza dello stemma della storica dinastia di Città di Castello, conservata a Firenze nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Il dipinto è ricordato da Scarpellini (1991, p. 84, n° 42; p. 165, f. 63). 103. Scheda 2.19. Anche in questo caso si tratta di un’attribuzione senza seguito nella bibliografia sull’artista, che impone ricerche fra i pittori della sua cerchia. 104. Per la mostra di Gualdo cfr. nota 54. La seconda, tenutasi a San Severino Marche, ha permesso la pubblicazione di un catalogo con una serie di contributi, che affrontano l’artista da varie angolazioni, a firma di Delpriori (2006, pp. 43-75), Donnini (2006a, pp. 77-85), Paolucci (2006, pp. 15-21), Papetti (2006, pp. 87-93) e Teza (2006, pp. 23-41). 105. Scheda 2.6. È interessante osservare che oltre alle due attribuzioni a Giannicola di Paolo, da parte dell’istituzione proprietaria, a Berto di Giovanni da parte di Galassi (2004, p. 163, f. 25), nel catalogo della mostra dedicata al Perugino da Garibaldi (2004b, pp. 270-71) era assegnata a Perugino e collaboratori, segno evidente che il dipinto necessita di studi ulteriori. Forse la volontà di approdare a un autore certo a tutti i costi spinge a disporre erroneamente in secondo piano l’apporto collettivo della bottega all’opera, presente in varie epoche, ma soprattutto in età medievale e rinascimentale. 106. Scheda 2.9. 107. Ranieri (1969, p. 194) al riguardo osserva “Se avete mani grandi congiungete la punta di ciascun pollice e medio di una con le punte dell’altra formando un cerchio e avrete la grandezza della tavoletta tonda che un giovanotto di Urbino agli albori del Cinquecento regalò un giorno all’amico Domenico Alfani”. Un libro e un progetto

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Parco del Fiume Tevere: Todi, Chiesa della Consolazione, cupola vista dall’interno Park of the Tiber River: Todi, Chiesa della Consolazione, interior view of the dome

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Fu l’ultimo dipinto di Raffaello a lasciare l’Umbria108, la Madonna del libro o Madonna Conestabile, qui ricordata in un passo scritto quasi quarant’anni fa che, alla luce degli avvenimenti successivi, rivela gran lungimiranza e invita a domandarsi quali siano i valori veri. “La piccola madonna dal viso intento, quasi leggesse nel futuro del Bambino, ancora oggi gli porge il libro aperto sul muro di un salone dell’Hermitage. La città dove è finita, oggi si chiama Leningrado. Ai visitatori che le sfilano davanti viene accuratamente spiegato che si può ammirare l’artista sempre tenendo a mente che la Madonna con il Bambino è un mito inventato dai capitalisti per ingannare il popolo. Il libro che il bambino compita certo non è Marx. Forse è un libro in cui sta scritto che, più a lungo delle ideologie, vivranno la bontà e la bellezza”109

108. Ma non l’ultima opera di Raffaello. Agli anni Sessanta del Novecento infatti risale l’alienazione del cosiddetto Cartone Baldeschi, il disegno di Raffaello fino a quella data a Perugia, in mano all’omonima famiglia e, dopo vari passaggi, finito negli Stati Uniti, per fortuna in una sede più che degna. La vicenda qualche anno fa è stata ripresa in esame da Nucciarelli (2004). La vendita era già stata duramente criticata da Federico Zeri, che nell’articolo Chi ha paura di Raffaello? pubblicato su la Stampa il 27 febbraio 1983, in concomitanza con le celebrazioni del V centenario della nascita dell’artista, scriveva “I ludi oratori si potrebbero limitare a una sola seduta, in cui spiegare come mai, con tanta venerazione per il Sanzio, si è concesso ufficialmente il permesso di esportazione al rarissimo disegno per la Libreria Piccolomini, autografo, già in Casa Baldeschi a Perugia (dove era ‘notificato’ come cosa di somma importanza) e finito oggi nella Morgan Library di New York”. L’articolo di Zeri è stato ristampato nel volume L’inchiostro variopinto, a Milano da Longanesi nel 1985, alle pp. 67-70. 109. Ranieri 1969, pp. 196-97. Un libro e un progetto

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Parco del Fiume Nera: Ferentillo, Abbazia di San Pietro in Valle, sarcofago romano Park of the Nera River: Ferentillo, Abbey of St. Peter in the Valley, Roman sarcophagus

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Un libro e un progetto


Parco Nazionale dei Monti Sibillini: Norcia, Cortile della Castellina, statua romana e decorazioni, secoli XVI-XVIII National Park of the Sibillini Mountains: Norcia, Cortile della Castellina, Roman statue and decorations, 16th-18th centuries

Un libro e un progetto

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Parco del Monte Cucco: Scheggia-Pascelupo, Isola Fossara, Abbazia di Santa Maria di Sitria Park of Mount Cucco: Scheggia-Pascelupo, Isola Fossara, Abbey of St. Mary of Sitria


1. A book and a project “Those who believe, that at today’s prices, paintings are selling higher than ever before, are mistaken. The highest sold painting in the world is still, the ‘Madonna del Libro’ bought in Perugia in 1871 by the Czar of Russia. Meaning that its value, centimetre for centimetre of painted surface, is certainly a dull standard, but it was the standard adopted by Quintino Sella when they suggested he save the work from perpetual exile”1

In Warsaw, among the National Museum’s oldest acquired works2, one painting stands out. It is a painting of moderate proportions, but of great formal quality. It portrays the Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni/Madonna with Child and the Little St. John with ruins in the background, by Pinturicchio, it arrived at its current destination after a journey which, in part, has yet to be reconstructed3. In June 2001, at the invitation of the Italian Embassy and the Italian Cultural Institute in the Polish capital, I held a conference on the subject of Pinturicchio’s painting4. The refined hospitality of the two institutions allowed me the pleasure of 1. Ranieri 1969, p. 194. It would be interesting to verify if this statement made by Uguccione Ranieri is still valid in light of the often disconcerting developments that have taken place in the almost forty years that separate us from the publication of his book. It remains indisputable that the sum paid by the Russian Court at the time was astronomical and contributed in no small measure to establishing the legendary fame that still accompanies the small painting, the events of which are summarized in file 2.35. 2. Nucciarelli (2002), with a closer look at the previous bibliography, comments on the history of the museum and on the arrival of Pinturicchio’s painting in Warsaw. 3. The theory that the painting hails from Ferrara is not based on any documentary evidence, but on the simple fact that the piece was first attributed to one painter from Ferrara then another; if proven, it would reconnect the painting with Lucrezia Borgia. The work is presented in file 2.29. 4. The text, revised and supplemented with notes and images, is published in the museum’s official magazine: see Nucciarelli 2002. A book and a project

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spending several days full of interesting encounters. One of the most significant experiences, destined to leave a profound impression, occurred during lunch in the Palazzo Szlenkier, the office of the Italian Embassy5, when Luca and Ania Biolato, then our ambassadors in Poland, proposed that I return in the Autumn of the same year, when a particular painting that had been among the furnishings of the embassy and disappeared during the Second World War, had fortunately been found and was to be returned. My curiosity aroused, I wanted to find out more, and I asked how it had been possible to retrace the piece’s whereabouts. I discovered that, following thorough research, the painting had been spotted in a collection in The United States6. Once the painting’s history had been related, an official request of restitution was put forward. The American authority responded that returning the work would not be a problem, on condition that the embassy in Warsaw provide evidence that the piece had originally been in their possession. Proof of the painting’s true ownership was not an issue: among the pieces on loan to the embassy from the Office of Works of Art in Florence, it had already been mentioned by Rodolfo Siviero, a character celebrated by scholars and the public at large for his research and retrieval of many works of art that had left Italy in more or less illegal ways7. Our Polish ambassadors wished to recreate the image of the Embassy prior to the destruction and pillage of the Second World War, so they made their project common knowledge in order to gather as much information as possible on the Palazzo Szlenkier and its furnishings before the conflict. They decided to examine the most varied of sources, not least that of newspapers and magazines. The latter proved to be the right course of action. Shortly after their attention was drawn to a providential magazine article. In the long, detailed description, published in n° 17 of the illustrated weekly AS - ace in English - dedicated to Palazzo Szlenkier and its furnishings, an unidentified journalist, signing only with the initials H.L. on April the 24th 1938, almost on the eve of the war and the dispersal of the Palazzo’s furnishings, listed among the most valuable of the works “…a canvas by Bassano from the 16th century that represents Una famiglia di contadini/A family of peasants”8, the article was also accompanied by a photo9. Even though the journalist had defined the subject incorrectly, in reality a version of the Parabola del seminatore/the Parable of the Sower10, the article provided further unbiased evidence of the painting’s origins. The American Museum had no objections in accepting the validity and recognizing the rightful ownership of the piece. The painting was in fact returned to Italy and one hopes that it will find its way back to Palazzo Szlenkier, once again to decorate one of its reception rooms11. This true story which I practically found myself living in the first person, thanks to my friends the Biolato’s, provided food for thought. If it is true that the whereabouts of many Italian works of art can be accounted for beyond the nation’s borders, it must also be true that many others have left the country under different circumstances and cannot be traced. While the return of the painting, once housed in our embassy in Poland, had proven a story with a happy ending, even if somewhat unusual and not easily repeatable, it would nevertheless have been worthwhile to follow the journeys and re-emergence of other masterpieces that had emigrated. In time, once systematically catalogued, they would have helped to create a map of Italian art throughout the world. Only some of the works that ended up abroad would actually be returned to Italy, but scholars and enthusiasts would at least have the chance to evaluate the consistency of this inestimable missing treasure and re-examine it in light of new discoveries and further studies. Little more than two years had passed since the conference in Warsaw when, in the Summer of 2003, il Giornale dell’Umbria in the person of its editor at the time, Gabriella Mecucci, decided to entrust me with an art history column, giving me a free hand to choose the general theme. I didn’t hesitate. Every Monday I requested and was granted the possibility of recounting the story of a work of art that had once belonged to the Umbrian artistic heritage but that had drifted past the region’s borders or had been destined by Umbrian artists to places non Umbrian: in other words, Umbria’s contribution to art beyond its borders. The first article was published 5. The prestigious historic dwelling was purchased in 1922 and successively restored by the Kingdom of Italy, destined to become the seat of the Italian Embassy in Warsaw. A documented study of the building and related events has been conducted by Jaroszewski and Biolato (2001). 6. Springfield, Massachussets, Museum of Fine Arts: cf. Jaroszewski and Biolato 2001, fig.101.

7. Jaroszewski and Biolato 2001, pg.178, 180. 8. Jaroszewski and Biolato 2001, pg. 182. 9. Excerpt from the long and detailed article in (Jaroszewski and Biolato 2001, pg. 182, 184, 186, 188) the painting is reproduced in fig. 56. 10. In effect, the presence of a man, a woman, a baby and household implements is compatible with the title given to the painting in the newspaper article. The evangelical subject, in a vast landscape described in detail, is typical of Venetian painting and in particular of Leandro Dal Ponte, known as Bassano (Bassano del Grappa 1557 - Venice 1621). He came from a well-known family of painters and was active in his adult years in Venice, where he received prestigious commissions and considerable social acknowledgments. A synthetic, yet clear and complete profile of the artist has been done by Binotto (1988, pg. 694). 11. The painting, an oil on canvas (49 x 62 cm) belonging to the Government Office for Works of Art in Florence, was on loan to the embassy in Warsaw following an official procedure that allows furnishings to be moved to embellish Italian representative seats abroad. This can be arranged through the institute of temporary exportation as long as it doesn’t detract from the museums and galleries that are notoriously full of works of art that have been inventoried and preserved with care, but that aren’t on display due to a lack of space. As a result of circumstance and the deplorable bureaucratic tardiness that continues to afflict our country, the work, many years after its return from the United States, has still not been returned to Warsaw, but is in the possession of the Government Office in Florence which, one hopes, will soon see it complete the last stage of its journey. 40

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on September 15th 2003. The column has continued without interruption with around 50 articles per year12. Five years later when I handed over the final version of this book to go to press, the list tallied at 261 articles, and every week, without fail, it gains one more. Apart from the 261 articles already published, thanks to the detailed research the compilation of articles demands, I now possess a consistent and ever growing archive. Although far from being complete, a nigh impossible task, the archive already provides a basic map of Umbrian art in the outside world: the first chapter, chosen for obvious logistical reasons, of a map of Italian art worldwide. While doing research one often comes across Italian works of art hailing from cultural traditions other than those Umbrian, as a result the creation of maps of the various regions is automatic, even if at varying rhythms and to different degrees. Focusing on the main subject, it is important to note how “Umbrian art” is a deliberately synthetic expression, it is rather conventional and requires clarification. In the first place the term ‘Umbria’, a term that has always indicated different ethnic and geographical realities, in this context coincides with the present administrative borders of the region13. The criterion is debatable because it is based on an extra-artistic parameter and thus an arbitrary one yet one that is clear and distinct. Furthermore, many years of shared political, administrative and cultural experiences have covered the different areas of Umbria with a bonding finish that lends the term ‘Region of Umbria’ a consistency which isn’t simply bureaucratic. Moreover, this regional division based on the present axis has authoritative precedents regarding the study of art history. Exactly one-hundred and one years ago in 1907, the Exhibition of Ancient Umbrian Art was held, it made its name and provided what could be considered the first official consecration of the name. In more recent times one will remember that the fundamental series, La Pittura in Italia/Painting in Italy, edited in Milan by Electa from 1985 to 1994, in every one of its volumes, regularly cited in these pages, provides a division according to region along with the division according to century and Umbrian painting is analyzed from the High Middle Ages to the close of the 20th century: effectively speaking, with regard to the final decades of the twentieth century the regional vision, albeit usually functional, does reveal its limits. It is clear that within the domain of the history of art there are limits when considering chronological and geographical divisions. This does not mean that these divisions are erroneous or without foundation. It is of prime importance to remember that the expression, ‘Umbrian art’, from a strictly historical-artistic point of view, is a simplification, if not an abstraction, heterogeneous components have merged in the Umbrian artistic heritage, in part they are truly local, in part they are foreign. They are the origin of the region’s variety, and therefore of its wealth. I believe two examples can help clarify the situation. La Fontana Maggiore unquestionably belongs to Perugia and is therefore Umbrian. Even if Perugia happened to be the city that commissioned the work and the place to which the work was destined and where it has miraculously remained, all the main characters involved in its planning and execution were from elsewhere. The sculptors Nicola and Giovanni Pisano were mostly active in Pisa where Giovanni was born but Nicola was perhaps from Puglia and in any case the South. So neither of the two were Umbrian. The hydraulic engineer Boninsegna was Venetian and the director of the entire operation, Friar Bevignate, who, even if a handful of scholars believe was from Perugia, is thought to be from Cingoli by the majority. This makes him native to The Marches. The use of external artists hardly dents the ‘Peruginity’ of the fountain and therefore makes part it of the artistic heritage of Umbria optimo iure. In the unlucky event of an exiling that would take the fountain away from Perugia and hence from Italy, the fountain would automatically become Umbrian art in the world. The most representative or even paradigmatic painter of Umbrian art, Pietro di Cristoforo Vannucci, “Il Perugino”, trained neither in Perugia nor in Umbria but in Florence in the workshop of Andrea del Verrocchio along with companions Lorenzo di Credi and Leonardo da Vinci14. It is hard to find fault with the following declaration on the subject: “And here, regarding Il Perugino’s supposed Florentine training, proud Umbrian objections will be raised, they are objections without foundation because, as can easily be shown - apart from being born there - he was not an Umbrian artist, rather it was the Umbrian painters who quickly became Peruginesque. This caused a 12. The inflexible management at the helm of the Giornale dell’Umbria concedes two Mondays off a year: usually one for Easter and the other for the 15th of August, but that doesn’t apply every year. 13. Two examples have been intentionally taken from distant lands to give some idea of the confusion surrounding Umbria’s artistic boundaries. Even art historians in recent times are not without blame. In the Western world, in the Yale University Art Gallery catalogue, Katherine Neilson writes of Gentile da Fabriano (1972, no. 8) “Born in the Umbrian town of Fabriano, he worked in Venice in the early 1400’s”. This statement transforms the painter from The Marches into an Umbrian one, at least by birth that is. To the East, in the catalogue of Italian paintings of The Hermitage of Saint Petersburg, Tatyana Kustodieva (1994, pg. 77, 79) labels the painter Federico Barocci of the “Umbrian School” whereas he was born and lived in Urbino. The frequent misappropriation of artists to Umbria also involves Rafael. As true as it is that all three of the artists mentioned left their mark in Umbria, it is just as true that none of them are Umbrian, at least by birth. 14. An extensive bibliography exists on the painter and his career. However, in light of recent developments all the fundamental information can be found in Baldini (2004, pg. 89-93), Henry (2004, pg. 73-79), Mozzati (2004, pg. 95-103) and Natali (2004, pg. 81-87). A book and a project

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misunderstanding which to some extent still exists15”. Furthermore, it is a fact that Il Perugino aside, an Umbrian school of painting is a myth that was created at the start of the 1800’s16. The social history of art has long made it clear that for a community to bring in artists from elsewhere is not a weakness but a strength. It indicates a search for betterment and the ability to choose: it is therefore proof of great cultural vitality. It is to this open and non provincial mental attitude that the region’s great variety of artistic events is owed. Umbrian commissioning has always applied these positive principles, especially during its greater moments. Secondly, the works of art are considered to be “Umbrian art worldwide”, a label of convenience with two different but non contradictory titles. The first category of works by Umbrian artists comprises those destined to leave the region from the start: for example the Polittico Albani Torlonia/Albani Torlonia Polyptych by Il Perugino, painted around 1491 and commissioned by a Roman, it remained in Rome in a private collection17. A similar situation regards the Madonna della Pace/Madonna of Peace in the Gallery of San Severino Marche18. The work was executed by Pinturicchio in Rome for a buyer from The Marches, who, on his death, donated the piece to his native city. It is obvious in these cases that although the pieces have never actually been within the Umbrian region, they are still precious testimony to the contribution that Umbrian artists made to art outside the region in bygone days. The second category is comprised of works of art by both Umbrian and non Umbrian artists which were at one time kept in Umbria and then migrated to more or less remote places. From the regions adjacent to Umbria such as Lazio, The Marches, and Tuscany - which are not present on the map of Umbrian art worldwide for reasons to be discussed forthwith - to places further afield such as the Ukraine19 and Brazil20. An example of this situation is offered by the so-called Annunciazione Gardner/Gardner Annunciation by Pier Matteo d’Amelia, painted for a Franciscan convent in the painter’s native city, then in the Portiuncola in Santa Maria degli Angeli, now to be found in Boston in the Isabella Stewart Gardner Museum21. Another example regards the Assunzione/ Assumption by Guido Reni; an artist known to have hailed from Bologna, the painting was sent to the church of San Filippo Neri in Perugia thus becoming an integral part of the Umbrian heritage22. Its arrival in Lyon, following the Napoleonic sackings, entitles it to the appellation artistic heritage of Umbria outside the region’s borders23. Similar consideration holds true for the lovely Volto femminile/Face of a Woman, pastel on paper, by Florentine artist, Benedetto Luti. The piece was listed by sources in the 1700’s in Perugia in the Graziani Collection24 therefore qualifying it as part of the artistic heritage of Umbria. In the middle of the 20th century it migrated to a private collection in Venice and was recently transferred to Switzerland25. This type of situation has obvious consequences. Some works catalogued as Italian Art Worldwide - Umbria will appear with the same file in more than one catalogue as the process moves forward. A clear example is offered by the Polyptych that Il Perugino painted for the Certosa of Pavia: certainly representing Umbrian art beyond its borders. However, the moment the piece passed from

15. Marabottini 2004, pg 387. 16. Scarpellini 1991, pg. 9. 17. A reappraisal of the work after its showing at the exhibition on Perugino held in Perugia can be found in Garibaldi (2004, pg. 232-33). 18. From more recent studies of the masterpiece, those of note are Innamorati (2001, pg. 222-23), Marcelli (2004, pg. 226-27) and Delpriori (2008, pg. 244-47). 19. A tryptych by Pietro di Nicola d’Orvieto is preserved in Kiev in the Museum of Eastern and Western Art: Todini 1989, I, pg. 289; II, pg. 33536, fig.752-53 20. In Sao Paolo at the Museum of Art, there is a very Pinturicchio-like, Resurrezione/Resurrection by Rafael, therefore belonging to the Umbrian period, it is generally dated 1501-1502: cf. Plazzotta 2004a, pg. 108-111. 21. For many years the painting was attributed to an artist with a conventional name, the so-called ‘Maestro dell’Annunciazione Gardner/Master of the Gardner Annunciation’ played an important role in defining the personality of Pier Matteo d’Amelia, an elusive character until recent times, as Castrichini recalls(1996, pg. 134-137). 22. It justifiably appears with some Umbrian artists’ works in Galassi (2004, pg. 25, fig. 7 and 86). 23. It is the generally accepted criterion behind the book, Pittura umbra dal ‘200 al ‘700/Painting in Umbria from the 13th to the 18th centuries by Flavio Caroli. After the earthquake of 1997 the author selected 55 pieces belonging to the region’s artistic heritage, paintings by Francesco Appiani, Federico Barocci, and Carlo Maratti, all three from The Marches, Cristoforo Roncalli from Tuscany, and French painter Noël Quillerier 24 . Details of the life and work of the Florentine painter can be found in Coccia (1990, pg. 773-74). The Graziani collection was in the hands of the descendents, later to become Monaldi, of Amico Graziani who commissioned many works during the Renaissance and was personally involved in the decoration of the Collegio del Cambio/the Money Exchange, to which Sartore dedicates a detailed article (2004, pg. 589-601). The collection was housed in the building on Corso Vanucci that in addition to paintings, also housed exceptionally valuable Etruscan artifacts mentioned by Gurrieri (s.d.), which recalls the guides by Orsini (1784), Siepi (1822) and Rossi Scotti (1861), whose texts, when compared, clearly show the pounding Perugia’s artistic heritage took in less than eight decades. 25 . File 2.15. 42

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Pavia to The National Gallery in London26 it became part of the artistic heritage of Lombardy beyond its borders. The fact that a work of art appears in different catalogues is not negative, on the contrary, it allows cross-checking and facilitates its localization and consultation. The leitmotif for the map of Italian Art Worldwide - Umbria is based on ownership of Umbrian works of art by public and private institutions in foreign states. It is also the lowest common denominator of the following two categories; works of art originally produced outside the region’s boundaries by Umbrian artists and works of art by Umbrian and non-Umbrian artists that were once a part of the regional artistic heritage and which then emigrated. Given the progressive instability of boundaries and the shrinking of distances, it doesn’t seem to make sense to consider an Umbrian work of art present in another Italian region as part of Umbrian art worldwide simply because it belongs to the national artistic heritage. This is the case of the Sposalizio della Vergine/Marriage of the Virgin, painted by Rafael in 1504 in the Chapel of San Giuseppe for the patronage of the Albizzini family in the church of San Francesco in Città di Castello, now in Milan in the Brera Gallery27. Included in the map of Umbrian works of art are, however, those present in the Vatican City and the Republic of San Marino, which, effectively speaking, are foreign states. The differences between the two classifications require careful consideration. The first group is undoubtedly something to be proud of, testifying to the great credit given to Umbrian artists throughout the ages, from centuries past to the present day. The second group on the other hand, gives more than justifiable cause for complaint. If we consider the quantity and quality of works of art involved, the damage is irreparable in most cases: suffice it to think of Rafael’s heirlooms28, reduced to a scattering of crumbs29 to be euphemistic. In this case the loss is incalculable, both culturally and from the point of view of tourism, simply because “if all the masterpieces he left or sent to Perugia were still here, the world ought to come to us on pilgrimage for that artist alone”30. The loss of works of art does however show a positive side. Firstly, the consistent and widespread presence of Umbrian art in the world can become an exceptionally effective vehicle for the promotion of both the region and consequently the nation. Every piece is a sort of ambassador of the great contribution a region of relatively small proportions has made to both national and international culture over the centuries. Moreover, it creates a bond between the piece’s current home and its place of origin, often a small town, perhaps unknown in Italy, certainly unheard of abroad. The presence of works of art once in their possession now housed in the most prestigious locations overseas is undeniably of benefit to these small towns: the famous beauty admired by millions of visitors in museums around the world stimulates the hidden beauty and the desire to see the piece’s place of origin in person. A prime example regards Monteleone di Spoleto. Its “Etruscan Chariot” which ended up in the Metropolitan Museum in New York (now the object of legal proceedings), brought a notoriety to the small but pretty town which might otherwise have been difficult to achieve especially because of the media coverage it generated. At a somewhat different level we find the Studiolo di Federico da Montefeltro/Study of Federico of Montefeltro which had been in the Palazzo Ducale in Gubbio until the 1870’s - and where, once removed, its absence left an empty void - it was remounted with unquestionable care in a purpose built unit in the Metropolitan Museum in New York31. The two examples show different entities of irreparable damage that undeniably impoverish the community from which the works are removed. In the first case the chariot was discovered because of an extremely fortunate excavation and its exportation compromised the possibility of studying it within its relative context, however it didn’t ruin a structured artistic area. In the case of the Studiolo in Gubbio, in addition to the loss of a precious work of art, there is the evident physical void left where the piece once stood, an empty space in which the artistic context is highly compromised. Moreover, the continued change in ownership and improper modes of transportation have led to the loss of some parts of the Studiolo that neither careful restoration nor superb reconstruction by the New

26. Facts about the polyptych from Pavia in Camesasca (1969, pg. 99, no. 60) and Scarpellini (1991, pg. 100-101, no. 102-105). 27. The controversial circumstances leading to the departure of the altarpiece from Città di Castello during the Napoleonic Era are once again discussed in Galassi (2004, pg.65). The work was also the subject of a recent study by Henry and Plazzotta (2004, pg.26-28) 28. Based on the works of art catalogued, Rafael’s legacy in Umbria was signifcant. It was distributed as follows: four pieces in Città di Castello: the Stendardo della Trinità/Standard of the Holy Trinity, the Incoronazione di San Nicola da Tolentino/Incoronation of San Nicola da Tolentino , the Crocifissione Mond/Mond Crucifixion, and the Sposalizio della Vergine/Marriage of the Virgin. Six in Perugia: the Pala degli Odd/Oddi Altarpiece, the Pala Colonna/Colonna Altarpiece, the Madonna Conestabile, the Madonna Ansidei, and the Deposizione Baglioni/the Baglioni Descent from the Cross, as well as the frescoes of San Severo. The Incoronazione di Monteluce/Coronation of Monteluce was added to these ten paintings just after Rafael’s th death. Designed by the master it was then completed by his pupils. Halfway through the 16 century, the Madonna in Gloria, santi e il committente later known as the Madonna di Foligno arrived in Foligno from the Roman Basilica of Santa Maria in Ara Coeli. This brought Rafael’s contribution to the Umbrian heritage to 12 pieces. Its dispersal commenced in 1608 with the Deposizione Baglioni, and concluded in 1871 with the Madonna Conestabile. If, in addition to the twelve registered pieces, probable but uncatalogued works are added, the list becomes quite impressive. Regarding the presence of Rafael’s works in Umbria today see 3.30. 29. Wolk-Simon (2006, pg. 43) uses a much more negative expression. 30. Ranieri 1969, pg.192. 31. The vicissitudes of the precious wooden structure are referred to in file 2.13. A book and a project

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S.T.I.N.A. Sistema territoriale d’interesse naturalistico e ambientale Monte Peglia e Selva di Meana: La Scarzuola, Città Buzziana, seconda metà del secolo XX S.T.I.N.A. Territorial system of natural and environmental interest Monte Peglia and Selva di Meana: La Scarzuola, Città Buzziana, second half of the 20th century

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York museum have been able to reintegrate32. Years of research have produced results that go beyond all expectations. Not only has it been possible to reconstruct the routes taken by many pieces, even those only partially known or wrongly catalogued, but those thought to be missing have re-emerged with others that were previously unknown. Among the most significant examples I recall the two panels, the Battesimo/Baptism and the Guarigione di Costantino/Healing of Constantine, belonging to a triptych by the Florentine painter Andrea di Giusto, once in Gubbio at the Casa Ramelli. In an important repertoire of Umbrian artists at the beginning of the 1900’s33 the polyptych was believed to have vanished, in reality, although it is true that a wing belonging to the triptych cannot be traced, the other two are to be found at the Hermitage Museum in Saint Petersburg where they arrived at the end of the 19th century34. A 14th century painted tabular cross35 attributed to one of Giotto’s reputable followers, once the property of a noble’s residence in the countryside near Perugia, was still untraced in 196036. It was later found to belong to a protestant church in a southwestern city of the United States37. A drawing signed Pinturicchio emerged from a private collection in Switzerland. Its existence had remained unlisted until its documentation just four years ago38: it is the Ritratto di Pio III/Portrait of Pius III39, associated with the preparation of the frescoes of the Libreria Piccolomini40, it gives us a better understanding of the relationship between the well established Pinturicchio and the novice Rafael at the start of the 1500’s, in one of the Renaissance’s most important projects41. Two more unlisted pieces have emerged from two private collections in Spain. The first is a Presentazione al tempio/Presentation at the Temple42, considered among the early work of Rafael but then correctly attributed to the artists Pompeo d’Anselmo and Domenico Alfani. They were already noted for having collaborated on certain pieces which links them to an identical painting in the Gazzola Collection in Piacenza43. Together, they raise the problem that calls for a better definition of pictorial production in Perugia in the early 1500’s, dominated by Il Perugino whose career was on the wane and for a brief but important time by Rafael, to whom Domenico Alfani was a friend44. The second piece coming from the Spanish collection is a lovely Madonna con il Bambino/Madonna with Child45 with Pinturiccho-like strokes that are so recognizable they raise the question, yet to be solved, as to whether it is a production of the so-called ‘Maestro del Tondo di Cortona’ or rather a new piece signed by Pinturicchio, unknown to classical sources and modern bibliography. The most sensational find one could hope for after a wide scale search has to be Pinturicchio’s now celebrated, Bambin Gesù delle mani/Baby Jesus of the Hands, from a frescoed composition on the walls of the Borgia Apartments. Once considered by the 32. The Studiolo from Gubbio has been the subject of extensive studies from various angles. Two volumes have been dedicated to the piece by the institution that currently owns it: cf. Raggio 1999 and Wilmering 1999. 33. As stated in Gnoli (1923, pg. 22-23), based on three bibliographical sources he refers, “A tablet, once in the Casa Ramelli in Gubbio, representing Constantine’s conversion bore the inscription HOC OPUS FECIT ANDREAS DE FLORENTIA. Perhaps a work by Andrea di Giusto Manzini, its fate is unknown”. 34. The route taken and relative vicissitudes of the central part of the triptych and its right wing are described by Kustodieva (1994, pg. 51-53). 35. File 2.2. 36. As stated by Gurrieri (s.d., no. 10), “Property of the Conestabile della Staffa, it was put on the market several decades ago; its current location is unknown. The work of one of Giotto’s followers in the 14th century”. The fact that it was owned by the counts Conestabile della Staffa and was present at the Castle of Montemelino, although noted and documented, is further confirmed by a photograph of ten members of the family and a guest portrayed in the main room of the Castle. The unmistakable 13th century cross, now in Tucson, can be seen hanging on one of the walls. The photograph taken in 1931, was confidential and couldn’t be published. It belongs to a member of the Conestabile della Staffa family, to whom many thanks are due for having reported these facts. 37. The precious work is registered in the property of Samuel H. Kress, noted in Shapely (1966, pg. 22, fig. 51) with specific reference to Perugia and the Conestabile della Staffa family. 38. Nucciarelli 2004. 39. File 2.30. 40. The drawing is important because it can be precisely dated to October of 1503 and throws light on the complex relationship between Pinturicchio and Rafael in the preparation of the frescoes, as Nucciarelli explains (2004, pg. 229-252). 41. The importance of the Sienese project is widely accepted and once again acknowledged by Toracca’s extensive studies on the subject (1999, pg. 215-309) and Angelini (2005, pg. 521-553) 42. File 2.32. 43. Todini (I, pg. 196; II, pg. 568, fig. 1320) attributes it to the ‘Maestro del Tondo di Cortona’, but this extremely debatable attribution was disputed once again in Ortenzi (2008b, pg. 322-323), having already been dismissed by the owners who deem it the work of Giannicola di Paolo: cf. Arisi 2001. 44. The painter is in fact one of the most probable candidates for the enviable title of first owner of the Madonna Conestabile, indicated in the first years of the 17th century as belonging to the Alfani, even if it is difficult to say with certainty which member of the family it was painted for. The topic is discussed in Nucciarelli and Severini (1999). 45. File 2.16. A book and a project

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majority of scholars to be inexistent or at best, the fruit of erroneous interpretations from classical sources, the wonderful Bambino in its opulent crafted gilt frame from the second half of the 1600’s, not only resurfaced in 2004 in Northern Italy in the hands of the heirs of a princely Roman collection but, thanks to the Guglielmo Giordano Foundation, it was returned permanently to its creator’s native city46. The episode is far from being of secondary note also because the rediscovered Pinturicchio piece, apart from its formal quality, had been on a journey which proved to be quite an adventure, rich in both historical and cultural implications. Eventually returned to Umbria, it added a significant title to the small heritage left by a painter born in Perugia yet active mostly in Rome and Siena, represented in his native region by a small number of paintings, hardly sufficient to give a satisfactory idea of the quality and variety of his works47. Another painting by Pinturicchio has contributed in honouring the study and research conducted from different angles by various scholars on Umbrian art outside the region’s boundaries. The Madonna con il Bambino in un paesaggio/Madonna and Child in a Landscape, once part of the Theodoli Collection in Rome, migrated to Austria and from Austria returned to Perugia, thanks to decisive intervention from the Cassa di Risparmio Foundation of Perugia48 which used it appropriately to embellish its collection exhibited in the Palazzo Baldeschi al Corso where it is surrounded by other Umbrian works of art brought home from far afield. The possibility of re-examining well known, previously studied pieces under a new light reveals surprising situations. Among the poorest female monasteries of Perugia, Saint Anthony of Padua in Porta Sant’Angelo had unbelievably been in possession of three exceptional altarpieces, the Polyptych49 by Piero della Francesca which fortunately remained in the city and is visible in the National Gallery of Umbria, the so-called Pala Colonna/Colonna Altarpiece by Rafael50 that was dismantled and divided among four different museums in Boston, London and New York and the Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria/The Mystical Wedding of Saint Catherine of Alexandria51, a masterpiece by Vincenzo Pellegrini, one of the leading figures of Perugia’s artistic scenario between the sixteenth and seventeenth centuries. It eventually landed in the museum of the Bob Jones University in Greenville, South Carolina52. A virtually unknown Madonna con il Bambino in trono/Madonna with Child Enthroned53, attributed to artist Matteo da Gualdo in Altenburg at the Lindenau Museum, is an interesting representation of the so-called Umbrian ‘Eccentric Renaissance’. The master was only recently reintroduced to the public. The artist left a rich legacy to Gualdo and the surrounding areas that alone would be sufficient to draw up an extremely suggestive artistic and naturalistic itinerary54. The Adorazione dei Magi/The Adoration of the Magi55 by Ottaviano Nelli, conserved in Worcester, Massachusetts, invites us to follow in the footsteps of the painter from Gubbio, through Gubbio, Fossato di Vico, and Foligno where a series of his frescoes are to be found. They are full of references to important moments in Umbrian history such as the noble family Trinci and their Palazzo, unique in its architectural genre in the region56. The fairy-tale like Arcangelo Michele/the Archangel Michael57 in the Museum of Fine Arts in Boston, is proof of the need to re-examine the work of Pellegrino di Giovanni, documented in Perugia for only a brief time and whose recognised works are too few and controversial 46. The complex story, already faithfully reconstructed by Incisa della Rochetta (1947, pg. 176-184) but without any impact on literature on the subject, was re-written in light of recent discoveries by Nucciarelli (2006, pg. 18-183) and briefly mentioned in Mancini (2007, pg. 141-144). 47. File 3.28. 48. The Madonna con il Bambino/Madonna with Child, dated towards the end of the 1400’s, completely unknown in classical sources and in literature on Pinturicchio, including studies by Ricci (1902, 1903, 1912), Carli (1960), Todini (1989), Nucciarelli (1998), Acidini Luchinat (1999), Scarpellini and Silvestrelli (2003), was mentioned for the first time by von Lutterotti (1961, pg. 5-17), without echoes in the debate on Pinturicchio. Its reappearance in the antiques’ circuit was commented on by Nucciarelli (2007b, pg. 40) and following its return to Perugia by Mancini (2007, pg. 158-59). 49. The important polyptych is among the highlights of the National Gallery. In 1993 it was dedicated an exhibition, having undergone restoration, study and research, described in the book, Piero della Francesca. Il Polittico di Sant’Antonio/Piero della Francesca. The Polyptych of St. Anthony by Vittoria Garibaldi. 50. File 2.33. 51. File 2.21. 52 . The monastic structure that housed the three exceptional paintings is described in Lattaioli (1993, pg. 57-64) and Gardner von Teuffel (1993, pg. 89-92). 53. File 2.19 54. The exhibiton was held from the 21st of March to the 27th of June 2004, illustrated in the catalogue Matteo da Gualdo. Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche, by Eleonora Bairati and Patrizia Dragoni 55. File 2.20. 56. An extensive study on the immense structure, a unique example of a princely medieval residence in Umbria was published in 2001. The book examines the historical, artistic, social and documentary aspects of the building. Il Palazzo Trinci di Foligno by Giordano Benazzi and Francesco Federico Mancini. 57. File 2.22. 46

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to not give rise to thoughts of others existing in different museums, perhaps concealed under mistaken identities. A comparison of Umbrian painters active in the 1600’s proves revealing: Andrea Camassei58 and Gian Domenico Cerrini59 on one side and Ippolito Borghese on the other. The work of the first two found fame abroad thanks to their continued activities in Rome, their subject matter being more profane, their paintings entered the circuit of private collections. Although greatly acknowledged in various parts of the Kingdom of Naples, Borghese worked almost exclusively on religious subjects destined for polyptychs and great altarpieces for places of worship. His work did not enter the circuit of private collectors but to a small degree and the vast majority of his paintings remained in the places they were originally destined for and in any case, in Italy60. Thus his fame did not spread like that of his two previously mentioned colleagues who were both well known among foreign collectors. It is a circumstance that affords reflection on how the introduction and consequent dispersal of artists’ work in public or private collections can benefit its recognition and appraisal. In reality it is a circular process in which cause and effect are not automatic. In certain cases it is obvious that it is the artist’s notoriety that causes removal of the piece; in others it is the removal and arrival of a piece in a foreign museum where research is conducted that lead to the artist becoming famous. The following forty files have two principal objectives: the first is to analyze the works of art that testify to the great artistic vitality of the region from the Middle Ages to the present day; the second is to reconstruct their journeys where possible. Journeys that often read like a novel, during which not every step is clear. To bring them back from their prestigious locations to their places of origin, thereby creating a sort of virtual museum of the Umbrian artistic heritage and its presence beyond the region’s boundaries. In so doing the spotlight will shine on the major cities but also on smaller towns where other lesser known but by no means less important art treasures are preserved. Treasures created by the same authors or their pupils whose work is to be found in the world’s most important museums. The whole operation is possible because works of art are the only products of the human genius that present two seemingly antithetical characteristics that are in reality complimentary: thanks to their aesthetic value they are detached from time and space but at the same time they agree to evoke the time and space in which they were born, even when their native cultural horizons are distant or would appear irreplaceably lost. The idea of creating a data base of the Italian artistic heritage worldwide according to regional origin, can be justified by two criteria. It would cover a gap in the field of study because even if there are precedents, they do not compare with the amount and order of information that only an appropriate computerized data base could provide. There are existing precedents and it is important to remember at least some that are particularly significant. Back in the 1920’s61, in a famous work reprinted around 30 years ago62 and still in current use, Umberto Gnoli produced a system for arranging Umbrian art. The work was valid at the time but now seems dated after almost 90 years of study and research. The combined work of Burton B. Fredericksen and Federico Zeri provides an accurate census of pre-19th century Italian and Umbrian painting in the public collections of North America63. By the end of the 1980’s, Filippo Todini64 truly reached a milestone in studies on the subject. However, the two important volumes that examine Umbrian painting from the thirteenth to the sixteenth centuries are not easy to consult, they do not contain analytical indexes and present limited bibliographical references. Not much information is given on each work other than its name and whatever information there is comes from research done up until 1989, almost twenty years ago. In more recent times Cristina Galassi65 re-examined the problem concerning the Napoleonic sackings which undoubtedly represented a very important chapter in the dispersal of Umbrian art, although not the only one. She demonstrated that the re-reading of documents can help works of art believed lost to resurface, as was the case with La Madonna con il Bambino fra i santi Lorenzo, Giovanni Battista, Gerolamo e Domenico/Madonna with Child and Saints Laurence, John the Baptist, Jerome and Dominic by Mariano di Ser Austerio. The piece had vanished following a succession of

58. File 2.9. 59. File 2.10 . 60. There is a clear and well documented historical-artistic profile of the painter by Leone de Castris (1988, pg. 652). Although Ippolito Borghese was mainly active in the Kingdom of Naples where there are many examples of his work, he was also represented in Umbria: in Sigillo, his birthplace, in the church of Sant’Agostino by an Annuciazione/Annunciation with a self portrait signed and dated 1617, by an Assunzione/Assumption in the cathedral in Perugia and by a Deposizione/Descent from the Cross in the Palazzo Baldeschi, seat of the collection of the Foundation of the Cassa di Risparmio of Perugia, . 61. Gnoli 1923. 62. In Foligno by Ediclio in 1981. 63. Fredericksen and Zeri 1972. . 64. Todini 1989. 65. Galassi 2004. A book and a project

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Parco del Lago Trasimeno: Isola Maggiore, Chiesa di San Michele Arcangelo, croce sagomata e dipinta, seconda metĂ del secolo XV Park of Lake Trasimeno: Isola Maggiore, Church of St. Michael Archangel, painted tabular cross, second half of the 15th century

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A book and a project


events, only to be found in the Vatican Gallery under an erroneous name66. The exhibition Sienese and Tuscan Masters in the Lindenau Museum of Altenburg by Miklós Boskovits proved the perfect occasion to present fifty or so pieces and inform everyone of the filing of Umbrian and Tuscan works of art which is under way67. Our own art historians’ observation of pieces “on the way out” so to speak is not the only reason for the spotlight being pointed at the Italian component in museums abroad. Many foreign scholars have dedicated special attention to it because of its significance, even in terms of quantity if nothing else. Among the numerous examples, the following can be mentioned. More than 100 years ago Herbert Cook spoke of Italian art treasures in England68. Two years later Osvald Sirén listed paintings and drawings of the Italian Renaissance in Sweden69. In Florence in 1949 a review in English on painting from the Romanesque Era was published. The review became such a classic70 that it was reissued in a revised edition71. In 1994 an accurate catalogue was compiled on drawings of the Umbrian and Tuscan schools present in the Duke of Devonshire’s collection in Chatsworth72. In the same year a considerable volume listing Italian works to be found in the Hermitage in Saint Petersburg was published73. In 2004 a German art historian, already credited for his innovative approach to the pictorial techniques of Il Perugino74, dedicated an extensive and detailed study to the Umbrian and Tuscan pieces present in Frankfurt’s main museum75. Between these two points in time, more than a century apart, specific studies on the presence of Italian works of art abroad are numerous. They constitute a consistent and independent category of study of the history of art throughout the Western world. This goes without saying, given, the unique unparalleled and unanimously accepted contribution Italian culture has given to figurative art over the centuries. If the routes taken by works of art that are the objects of pillage were, in a manner of speaking “official”, as in the case of the Napoleonic sackings, then in most cases they can be reconstructed. However, the thousand byways of the antiques’ business and private collecting that the majority of works of art travel along are almost unknown. The precedent that most immediately comes to mind in this area is the volume by Ottorino Gurrieri76 which is unfortunately limited to only a few pieces, often described in the most synthetic of manners and not without imprecision77. This can be justified by the fact that, although a man of great culture, he was not a specialist on the subject. It must be said however, that he is a worthy pioneer in the field, one who was never thanked sufficiently for having discovered the correct route to follow, almost fifty years ago. One can marvel at the vast number of works of art that the region has had to part with, almost without any opposition from private and public owners, at least so it seems. However, many factors contributed to this situation and events often prove more complicated than expected. In many cases, as in the course of war, impositions were made which could not be challenged78, in many others impossible financial situations caused the departure of the artistic heritage79, lastly, and this is probably true in the 66. Galassi 2004, pg. 168, fig. 30. 67. Boskovits 2008. It is the catalogue of an exhibition organized in Siena in the buildings of Santa Maria della Scala concerning the Sienese and Tuscan paintings housed in the German museum: about fifty pieces. While giving an account of the biography of the museum’s founder Baron Bernhard August von Lindenau (1779-1854), its curator Jutta Penndorf explains that filing of the Tuscan paintings is being carried out by a team under the guidance of Boskovits, while the Umbrian paintings are being studied by Wiebke Fastenrath Vinattieri. 68. Cook 1900, pg. 177-190. 69. Sirén 1902. 70.Garrison 1949. 71. Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index by Edward B. Garrison, on CD-ROM. The work was the subject of a detailed critical essay in 2000 by Susan von Daum Tholl published in “Visual Resources. An International Journal of Documentation”, XV, no. 4 pg. 475-476. 72. Jaffé 1994. 73. Kustodieva 1994. b

74. Hiller von Gaetringen 2004 , pg. 153-165. a

75. Hiller von Gaetringen 2004 . 76. Gurrieri s.d. (but 1960). 77. As when he states that the Pinturicchiesque Crocifissione fra i santi Gerolamo e Cristoforo/Crucifixion between Saints Jerome and Christopher in the Borghese Gallery in Rome belonged to the Rothschild family, a reference blurred by a parallel yet separate incident . The true journey of the piece is concisely related by Pietrangeli (1994, pg. 7) and in detail by Nucciarelli (1998, pg. 171-203). 78. It is the case of the Sposalizio della Madonna/The wedding of the Virgin, painted by Rafael in 1504 for the Albizzini chapel in the church of Saint Francis in Città di Castello, and extorted from the municipality by the Napoleonic general, Giuseppe Lechi. Worse again was the outrage, not even justified by a state of war, committed by the cardinal Scipione Borghese, nephew of the then reigning Pope Paul V, who forced the Franciscans of the church of San Francesco al Prato in Perugia to give up the Trasporto di Cristo al sepolcro/Removal of Christ to the Tomb, commissioned from the painter from Urbino by Atalanta Baglioni for the family chapel. The painting is generally known as the Deposizione Baglioni-Borghese/Baglioni-Borghese Descent from the Cross and is the property of the Roman gallery by the same name. 79. As in the case of the loss of the altarpiece Pala Colonna, the polyptych that Rafael executed for the Franciscan Tertiary Sisters of the Monastery of A book and a project

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majority of cases, the owner is unaware of the value of the work possessed80. In this regard the case of Montefalco is enlightening. The municipality, which had evidently been poorly counseled, did not hesitate in presenting Pius IX with the precious Madonna della cintola by Benozzo Gozzoli, then believed to be the work of Beato Angelico81, in exchange for the recognition of its status as a city82. A high price to pay considering the merely formal nature of a title with no concrete benefits. Similarly questionable motives are behind the donation made in the Napoleonic era to baron de Gérando of the Natività/Nativity by Giovanni di Pietro, also known as lo Spagna. Having left the church of St. Anthony the Abbot in Perugia, the piece took off on a journey that brought it to France and eventually to the Louvre83. Similar attitudes cannot but cause astonishment if not hilarity, but they have precise historical motives behind them. A culture of art has never been obvious, nor widespread. Even if works of art are carriers of universal values, this does not automatically mean that they are universally appreciated. In bygone days especially, art was produced for an élite class: the vast majority of the population, including the less illuminated of the emerging classes or those who called themselves so, were completely unaware of its values, functions and meaning84. This book hopes to contribute to the spread of artistic values in a new climate of enlightenment, convinced of the positive effect they have on everyone, if correctly presented, regardless of their level of culture or social extraction: this last observation might seem unusual, but it is perhaps in this very aspect that the power of art lies. In the following pages, the reader will find 40 works of art that have been analysed, they represent a minute sample compared to those already assessed as a whole and the others still to be so: this book must be seen as the tip of the iceberg, Umbria 1 should be to an online catalogue what a display window is to a large boutique. The choice of the works of art is obviously subjective: the list presents an array of artists from the most celebrated to the lesser known, from the 14th century to the present day, with an intentional preliminary restriction: none of the artists is still alive, simply because when criticizing an artist, the temporal dimension plays an inevitable role. The list also includes artists that passed away more recently so as to dispel the widespread myth that suggests Umbria’s contribution to international culture is confined to the Middle Ages and the Renaissance and worse again, that Umbrian art only means figurative art, whereas in reality the region’s presence is relevant in more recent centuries and in contemporary art aswell. One century alone shows Umbria somewhat at a loss when compared with the national and international art scene and the entire Umbrian artistic heritage relies almost exclusively on external contributions: it is the 18th century. The reasons are well known: “The local forces that had managed to prevent total conquest of the region by foreign artists in the 17th century steadily continued to decline in the 18th century. The foreigners practically find themselves on their own and it is their presence alone that determines the artistic scenario, making things much less complex than before because of this monopoly. The lack of Umbrians is not compensated for by the influx of foreigners and as a result the century shows an impoverishment in the quantity of art produced compared to the previous century”85. However, the “poor” century can be represented in this book thanks to an important collection once present in Perugia and that is the Graziani Monaldi Collection86. The largest section of the book is inevitably made up of paintings between the Medieval and Renaissance periods due to the undeniable figurative level attained at that time thanks to the presence, albeit temporary, of great masters. The construction of Assisi between the thirteenth and fourteenth centuries brought back the most important artists in central

Saint Anthony of Padua in Porta Sant’Angelo, Perugia, due to the extremely poor conditions of the monastic community, which file 2.33 is dedicated to. Another impossible financial situation was the cause of the sale of the Madonna di Foligno/Madonna of Foligno. At one time it was in the monastery of Sant’Anna in the Umbrian city from which its name is taken, now in the Vatican Gallery, described in file 2.34. The vicissitudes of the elusive painting by Rafael are related in Nucciarelli and Severini (2007). 80. The fate of the Annunciazione/Annunciation by Pier Matteo d’Amelia. Thanks to Bernard Berenson the work went from a wall of the Portiuncola in the church of Santa Maria degli Angeli to the Isabella Stewart Gardner Museum in Boston, commented on by Castrichini (1997, pg. 134-137). 81. File 2.4. 82. The unique episode is related in Lunghi (1997, pg. 26-27) and in Padoa Rizzo (1997, pg. 67-69). A more detailed description is given in Nessi (1997, pg. 33-36) who describes the painting as the greatest creation by the painter in Montefalco, he recalls it generally being attributed to Beato Angelico and its thoughtless transfer to Pius IX, approved by the communal council on November 28th, 1947. The date of the Pope’s reply is April 1st, 1948. Nessi (1991, pg. 101-107), had previously dedicated a detailed article to the paintings from Montefalco kept in the Vatican. 83. Gualdi Sabatini (1984, pg. 121-128) states that “The panel, now in The Louvre Museum, commissioned by the ‘venerable ladies’ of the ‘Company of Our Lady of St. Anthony’ for the Church of Saint Anthony in Porta Sole, Perugia was donated to Baron de Gérando by Perugia in 1811 as testimony of the city’s gratitude during the period of French dominion. The Baron had been appointed director of civil affairs for the States of the Church and the painting was bought from his heirs by Louis Philippe for the sum of 25,000 francs”. It is quite obvious that while the municipality of Perugia was perhaps unaware of the piece’s true value, its recipient and his heirs were, to such an extent that they managed to sell the piece for a considerable sum. 84. Wescher (1988) creates a clear picture of the total lack of understanding the majority of the population had for works of art at the time. 85. Casale 1990, pg. 351. 86. File 2.15. 50

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Italy along with some foreign artists87. From the fifteenth century to the sixteenth century, Il Perugino88 and Pinturicchio89, two artists well known beyond Perugia and Umbria, create such a pleasant environment that it attracts the young Rafael90. In the 1600’s it is important to observe that two painters, one from Bevagna, Andrea Camassei and one from Perugia, Gian Domenico Cerrini, left Umbria for Rome and Florence91 in order to establish a career for themselves. As a result their paintings immediately entered the international circuit. With Umberto Gualaccini92, a passionate poet from Perugia during the ‘Bell’Epoca’, one passes from the 1800’s to the part of the 1900’s that didn’t have the Second World War to contend with. The period from the beginning of the 1900’s almost up to the present day is represented by three artists, Gerardo Dottori93, Ugo Rambaldi94, and Alberto Burri95. This choice highlights the variety of artistic expression in the region during the 20th century and serves to contradict the previously mentioned stereotype that sees the Umbrian culture hopelessly married to its testimonies to ages long since past. The works selected were also the result of recent improvements made in the field of research: so, along with authentic celebrities like the Madonna del libro/Madonna of the Book in Saint Petersburg96, the Madonna di Foligno/Madonna of Foligno in the Vatican Gallery97 or the Studiolo di Federico da Montefeltro/Study of Federico of Montefeltro at the Metropolitan Museum in New York98, we find the aforementioned unlisted works99, one the subject of a single study100 and two that were thought to have vanished but were eventually recovered101. Bernardino di Mariotto dello Stagno102 and Matteo da Gualdo103 are both deliberately represented by lesser known works of which the authorship is disputed. The reason being that the recent interest shown by scholars and the general public, thanks to two recent exhibitions104, should be encouraged to move forward on new ground where research can come up with even more significant results. Even Berto di Giovanni and Andrea Camassei are represented by two works which are attributed to Giannicola di Paolo105 and Andrea Sacchi106 by the institutions that own them. This shows that a considerable amount of the Umbrian artistic heritage outside the region’s boundaries has yet to be correctly identified. In addition to the bulk of works of art that qualified for entry into Umbria 1, forty paintings imposed a drastic decision. Drastic but not painful: quod differtur non aufertur, works and artists that aren’t present in the first volume, will be in the next and in the online catalogue. 87. An in depth and accurate study of the subject is shown in Todini (1986, pg. 375-413). 88. Files 2.23, 2.24, 2.25 and 2.26. 89. Files 2.28, 2.29, 2.30 and 2.31. 90. Files 2.33, 2.34, 2.35 and 2.36. 91. Files 2.9 and 2.10. 92. File 2.14. 93. File 2.11. 94. File 2.37. 95. File 2.8 96. File 2.35 97. File 2.34. 98. File 2.13. 99. Files 2.14 , 2.16, 2.15, and 2.32. 100. File 2.30. 101. Files 2.18 and 2.2. 102. File 2.5. Seeing as it isn’t present in any of the artist’s catalogues, a re-examination of the painting and its potential author is called for. The particular features of the long aristocratic faces are reminiscent of the anonymous author of the Adorazione dei Magi Vitelli/Adoration of the Magi Vitelli so called because of the presence of the coat of arms of the historic dynasty from Città di Castello. It is preserved in Florence in the Palatine Gallery of the Palazzo Pitti and is recalled by Scarpellini (1991, pg. 84, no. 42; pg.165, fig.63). 103. File 2.19. This too is an attribution without any further mention in the bibliography on the artist which would suggest the study of painters in his circle. 104. For the exhibition in Gualdo cf. note 54. The second, held in San Severino Marche, gave rise to the publication of a catalogue with a series of contributions that deal with the artist from various viewpoints Delpriori (2006, pg. 43-75), Donnini (2006a, pg. 77-85), Paolucci (2006, pg. 15-21), Papetti (2006, pg. 87-93) and Teza (2006, pg. 23-41). 105. File 2.6. It is interesting to note that in addition to the two attributions to Giannicola di Paolo by the owners and to Berto di Giovanni by Galassi (2004, pg. 163, fig. 25), it was attributed to Perugino and his collaborators in the catalogue on the exhibition dedicated to him by Garibaldi (2004, pg. 270-271). The painting therefore warrants further study. The importance of the collective effort of an artist’s workshop on a piece, throughout the ages but especially in the Middle Ages and during the Renaissance, is relegated to second place perhaps because of the need to find an author at all costs. 106. File 2.9. A book and a project

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It is clear that the project has been undertaken in the hope that this book, now the object of the reader’s attentive eye, will be the first in a long, a very long series, held fast by a common belief: the artistic message is the most elevated form the human mind can produce, it preserves its worth through time and space to reappear when all is deemed lost. It is the silent but penetrating message that a miniscule painting, no larger than a fruit-plate, continues to send107. The work commissioned by a Perugian, had been executed in Perugia or Florence by a painter in his very early twenties who wasn’t Umbrian; for centuries it was an integral part of the city’s artistic heritage. It was the last painting by Rafael to leave the region108, the Madonna del libro/Madonna of the Book or Madonna Conestabile, is remembered here in a passage written almost forty years ago that, in light of the events that were to follow, shows great foresightedness and invites the question, which values are the true ones?

“The little madonna, her gaze intense, as if she foresaw the Infant’s future, still today holds out an open book to him on the wall of a room in the Hermitage. The city in which its journey came to a close, is today called Leningrad. The visitors that file past her are carefully reminded, that the artist can be admired while keeping in mind that the Virgin with Child is a myth invented by capitalists to deceive the people. The book that the child is pondering over certainly isn’t Marx. Perhaps it is a book that says that goodness and beauty will live longer than ideologies”109.

107. On this subject Ranieri noted (1969, pg. 194) “If you have big hands, join the tip of each thumb and middle finger with the tips of the other forming a circle and you will have the size of the round table that a young man from Urbino gave to his friend Domenico Alfani at the start of the 1500’s”. 108. Not Rafael’s last work. The loss of the so-called Cartone Baldeschi/Baldeschi Board goes back to the 1960’s, the drawing by Rafael had been in Perugia in the hands of the family of the same name up to then. After various exchanges, it ended up in the United States, luckily in a more worthy home. Some years ago the subject was re-examined by Nucciarelli (2004). The sale of the piece had already been harshly criticized by Federico Zeri in the article, Chi ha paura di Raffaello?/Who’s afraid of Rafael?, published in La Stampa on February 17th 1983, in conjunction with the quincentennial celebration of the artist’s birth. Zeri writes “The spectacle could be limited to one single sitting to explain why, with all due respect for the Sanzio, the exportation permit was officially granted for the extremely rare, signed drawing done for the Libreria Piccolomini once in the Casa Baldeschi in Perugia (where it was ‘noted’ as something of rare importance) and today in the Morgan Library in New York.” Zeri’s article was reprinted in the volume L’inchiostro variopinto/Multicoloured Ink in Milan by Longanesi in 1985, pg. 67-70. 109. Ranieri 1969, pg. 196-197. 52

A book and a project


Parco del Monte Cucco: Isola Fossara, Abbazia di Santa Maria di Sitria, San Michele Arcangelo, basso rilievo secoli VIII-IX Park of Mount Cucco: Isola Fossara, Abbey of St. Mary of Sitria, St. Michael Archangel, bas-relief 8th-9th centuries

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2. PATRIMONIO ARTISTICO UMBRO NEL MONDO UMBRIAN ARTISTIC HERITAGE WORLDWIDE


2.1 Alunno Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno: Foligno PG, documentato dal 1447 - 1502 Crocifissione fra i santi Venanzio, Pietro, Giovanni Battista e Porfirio o Trittico di Camerino Città del Vaticano, Pinacoteca © 1990. Foto Scala, Firenze Il trittico, di cui il solo scomparto centrale con la Crocifissione misura 250 x 117 cm, è un esempio paradigmatico dei livelli a cui sapevano arrivare Niccolò di Liberatore e la sua bottega nel perfetto accordo fra struttura lignea e superficie pittorica. Prova al contempo la perdurante vitalità del gusto tardo-gotico in Umbria ancora verso la fine degli anni Ottanta del Quattrocento e oltre. La forte carica espressiva dei personaggi infine è uno dei tratti distintivi della pittura religiosa umbra, dell’Alunno in particolare, che riflette l’esperienza devozionale vissuta con sentimentalità appassionata e drammatica, che si riscontra anche nel culto e nella letteratura. L’opera fu eseguita per la Chiesa Collegiata di San Venanzio a Camerino in un momento in cui i da Varano, duchi della città, dedicarono speciali attenzioni al tempio e l’affidamento all’Alunno si spiega con il gran favore dimostrato dai committenti marchigiani verso il pittore folignate, più volte attivo nelle Marche e apprezzato, oltre che per la qualità pittorica, anche per notevoli capacità organizzative che gli permisero di soddisfare le richieste di un’ampia committenza e di creare a Foligno una sorta di monopolio, rendendo la città a lungo impenetrabile all’ingresso di pittori forestieri. Del resto, Alunno a parte, gli scambi fra Foligno e le Marche erano frequenti e consolidati, già in tempi precedenti, quando era attivo Bartolomeo di Tommaso, l’iniziatore della migliore tradizione pittorica folignate. Fonti settecentesche affermano che la cornice portava l’iscrizione OPUS NICOLAI FULGINATIS 1480, ora scomparsa; però l’analisi stilistica non solo conferma la paternità dell’Alunno, sia pure con probabili interventi di aiuti, ma propone date non molto lontane da quella della scritta perduta. Il legame con la sede originaria è tuttora messo in evidenza dalla figura di san Venanzio, titolare della chiesa, che sostiene con la mano sinistra il modellino di Camerino. La rimozione dell’opera, prima dalla sede originaria, a seguito del terremoto del 1799, poi dalla città, comportò, come quasi sempre in queste circostanze, la dispersione delle storiette della predella, ora divise fra Camerino, Museo Diocesano, Avignon, Musée du Petit Palais e Boston, Museum of Fine Arts. L’oro distribuito a profusione, non solo sulle cornici, sulle colonnine tortili e sui pinnacoli, ma anche nello sfondo delle scene, dialoga con elementi naturalistici, come i prati fioriti nei due scomparti laterali con i santi a figura intera, ma anche in quello centrale con la Crocifissione, dove il paesaggio è accuratamente seguito fino a gran distanza e individuato nei minimi particolari. L’accostamento di fondo oro e paesaggio è tipico di molta pittura umbra del Quattrocento e si deve a due atteggiamenti mentali complementari: la fedeltà all’eredità tardo-gotica e l’apertura alle innovazioni rinascimentali. L’iconografia è particolarmente complessa: si devono quasi certamente ai desiderata della committenza la scelta dei santi e la presenza di figure rare nella pittura del tempo, come il profeta Isaia e il re Davide nei clipei circondati da tre serafini al di sopra degli scomparti laterali. L’opera 56

Patrimonio artistico umbro nel mondo

rivela la volontà di artista e bottega di non sfigurare davanti a un committente di gran riguardo, in un momento in cui la scena pittorica nelle Marche era dominata da un pittore del calibro di Carlo Crivelli, con il quale l’Alunno mostra molti punti di contatto. L’estrema finitezza dell’esecuzione emerge nel lussuoso piviale istoriato di san Pietro, nell’accurato abbigliamento all’ultima moda di san Venanzio, ma soprattutto in certe raffinatezze meno appariscenti, come i sei serafini quasi monocromi o il coro di angeli distribuiti in modo da assecondare la linea curva della cuspide al di sopra della Crocifissione. Il forte patetismo, già evidente nei gesti eccessivi e nelle espressioni caricate dei personaggi ai piedi della croce, la Madonna, san Giovanni Evangelista e la Maddalena, ricompare nel particolare insolito dell’angelo in alto a sinistra della croce, che si straccia le vesti per il dolore, mostrando il petto nudo. L’opera da sempre è attribuita all’Alunno per la perfetta riconoscibilità della sua cifra stilistica, anche se alcuni particolari vengono ritenuti di mano di collaboratori, situazione peraltro normale in un’opera di simili dimensioni. Il trittico di Camerino è comunque oggetto di giudizi sensibilmente diversi: per alcuni è evidente l’influsso di Crivelli, mentre per altri nel paesaggio ci sarebbero tracce della lezione del Perugino, circostanza che spinge a respingere la data del 1480 e a spostarsi verso la fine del nono decennio, quando la fama del pittore di Città della Pieve, dopo la prova della Cappella Sistina, si consolida e si diffonde in tutta l’Italia centrale. Il caso dell’Alunno è interessante anche in termini di storia sociale dell’arte: fu genero di un pittore, Pietro di Mazzaforte, per averne sposata la figlia Caterina, e padre di un altro pittore, Lattanzio di Niccolò, che ne proseguì l’attività. Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno, per l’erronea interpretazione di una scritta commessa da Giorgio Vasari, uno dei massimi pittori umbri, gestì una bottega fiorente per lunghi anni, che è stata di recente individuata in alcuni locali del monastero folignate di Sant’Anna o delle Contesse.



2.1 Alunno (Niccolò di Liberatore, known as Alunno) The Crucifixion with Saints Venanzio, Peter, John the Baptist and Porfirio or The Camerino Triptych Vatican City Pinacoteca

The triptych, the central panel of which measures 250 x 117 cm, perfectly exemplifies Niccolò di Liberatore and his workshop’s ability to brilliantly coordinate the relationship between the picture planes and their frames while demonstrating the ever present late-gothic taste in Umbria in the 1480’s and beyond. The expressive impact of the figures is a distinctive trait of Umbrian religious painting in general and of Alunno’s in particular, reflecting a devotional experience lived with passionate and dramatic sentimentality - a quality also found in the literature and religious ceremonies of the period. The triptych was done for the Collegiate Church of Saint Venanzio in Camerino at a time when the Varano, then dukes in the city, were particularly involved with it. Their entrusting Alunno with such an important commission underscores the great faith these patrons from the Marches had in the painter from Foligno, who often worked in that province, where he was admired not only for the quality of his work but for organizational abilities that allowed him to satisfy innumerable commissions and create in Foligno a kind of artistic monopoly which for years kept foreign artists out of the city. Even before Alunno, when Bartolomeo di Tommaso was active and established the traditions of the Foligno School, exchanges between the Marches and Foligno were frequent. Eighteenth century sources affirm that the triptych’s frame bore the inscription OPUS NICOLAI FULGINATIS 1480, which is no longer present; however, stylistic analysis not only confirms the authorship of Alunno, with probable contributions by his assistants, but also suggests a date of execution close to that on the now-missing inscription. The connection between the altarpiece and its original site is evidenced by the presence of Saint Venanzio, namesake of the Collegiate Church, who holds in his left hand a model of the city of Camerino. The removal of the altarpiece from this church following the earthquake of 1799 and its subsequent removal from the city altogether, brought with it, as is often the case, the dispersal of the predella panels, now widely distributed between the Diocesan Museum of Camerino, the Petit Palais Museum in Avignon, and the Boston Museum of Fine Arts. The profusion of gold, not only on the framing devices but also as background, contrasts with naturalistic details, like the flowering lawns on which the saints stand in the lateral panels and the carefully defined landscape leading to distant hills in the crucifixion scene. This juxtaposition of natural and surreal elements is typical of many 15th century Umbrian paintings and is due to two complimentary attitudes: faithfulness to the tenets of the late-gothic style and an openness to the innovations of the Renaissance. The iconography here is particularly complex: the work’s patron undoubtedly dictated the inclusion of particular saints and other figures rarely found in contemporary paintings, such as the prophet Isaiah and King David in the clypei surrounded by three Seraphim in the side panels. 58

Umbrian artistic heritage worldwide

The triptych reveals the Foligno artist and his assistants’ desire to acquit themselves well with such an important patron at a time when highcaliber artists like Carlo Crivelli, whose works share many things in common with those of Alunno, were working in the Marches. Alunno’s extreme refinement of execution is evident in the luxurious robe of Saint Peter and the contemporary garb of Saint Venanzio, and especially in the less noticeable and almost monochromatic six Seraphim in the lateral panels and the choir of angels above the Crucifixion, composed to fit beautifully within the arched frame. The powerful sense of pathos, already apparent in the facial expressions and poses of the Madonna, John the Baptist and Mary Magdalene, is reiterated by the kneeling angel to the upper left of the cross, who rips his garment in sorrow, revealing his bare breast. This work has always been attributed to Alunno as it embodies his signature style, despite the presence of several dissimilar elements owing to the participation of assistants and altogether characteristic of projects of this size. Nonetheless, the Camerino Triptych is the subject of divergent critical points of view: for some it shows the clear influence of Crivelli, while for others the central panel’s landscape has hints of Perugino, thus pushing the probable date of the work to the late 1480’s when the fame of the Città della Pieve artist, following his success in the Sistine Chapel project, was consolidated and expanded throughout Central Italy. Alunno is interesting as well in terms of the social history of art: he was son-inlaw to the painter Pietro di Mazzaforte, whose daughter Catherine he married, and father of another painter, Lattanzio di Niccolò, who carried on his father’s work. Niccolò di Liberatore, known as the Alunno [the student] due to the mistaken interpretation of a text by Giorgio Vasari, was one of Umbria’s most important painters. His workshop flourished for many years and has been found recently in various parts of the Foligno Monastery of Saint Anna or delle Contesse.


Bibliografia/Bibliography Lanzi 1783 (ed. 2003), pp. 57-58; 1795-96 (IV ed. 1822), p. 21; Rosini 1841, p. 161; Servanzi Collio 1859, pp. 296-99; Cavalcaselle e Crowe 1866, pp. 129; Frenfanelli Cibo 1872, p. 119; Rossi 1872a, p. 279; 1872b, p. 301; Berenson 1897, p. 157; 1909, p. 209; Venturi 1911, p. 160, n. 2; Ergas 1912, pp. 94-96; Gnoli 1912, p. 253; 1923, p. 213; Berenson 1932, p. 393; van Marle 1933, p. 32; Porcella 1934, p. 114; Gamba 1949, p. XXI; Galetti e Camesasca 1951, s.v. Mariano di Giacomo; Grassi 1952, pp. 49-50; Redig de Campos 1954, p. 347; Grassi 1956, p. 32; Francia 1960, p. 58; Berenson 1968, p. 298; Omelia 1975, p. 40; Mancinelli e Nahmad 1981, p. 30; Silvestrelli 1987e, pp. 718-19; Todini e Lunghi 1987, s.p.; Todini 1989, I, p. 245; II, p. 423, f. 972; Baldini et al. 1992, pp. 18, 22, 23; Cornini 1992, p. 228; Todini 1993, p. 38; Pietrangeli 1996, pp. 164-65; Zeri 2000, p. 176; Lunghi 2001, p. 205; Daffra 2002, p. 421, f. 2; De Marchi 2002a, pp. 76-77; 2002b, p. 62, f. 12; Paraventi 2002, pp. 118, 125, n. 37; De Marchi 2003, p. 376, n. 20; Todini 2004, pp. 571-74.

Provenienza/Provenance Camerino, Chiesa Collegiata di San Venanzio Camerino, Sacrestia della Chiesa dell’Annunziata Camerino, Sotterranei dell’Ospizio Camerino, Chiesa Collegiata di San Venanzio Città del Vaticano, Palazzi Apostolici Roma, Palazzo Apostolico Lateranense Città del Vaticano, Terza loggia Città del Vaticano, Sala Bologna Città del Vaticano, Pinacoteca

Foligno: Facciata laterale del duomo Foligno: Lateral exterior of the Cathedral © Archivio Fotografico Italgraf

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2.2 Anonimo giottesco Umbria, attivo attorno alla prima metà del secolo XIV Croce sagomata dipinta Tucson (Arizona), Episcopal Church of St. Philip’s in the Hills © Collection of St Philip’s In The Hills, Tucson, Gift of Samuel H. Kress Foundation Negli anni Venti del Novecento, l’opera, interessante e tuttora in attesa di studi approfonditi, è segnalata in proprietà dei conti Giancarlo e Alessio Conestabile della Staffa. Grazie ai ricordi dei discendenti, si può stabilire che era conservata non nel palazzo di città, ma nella residenza di campagna: il Castello di Montemelino, fra Perugia e il Lago Trasimeno, tuttora proprietà della famiglia. Qualche anno prima della Seconda Guerra Mondiale, orientativamente fra il 1936 e il 1937, fu immessa nel circuito antiquario e se ne persero le tracce, prova ne sia che la più volte ricordata monografia di Ottorino Gurrieri pubblicata senza data, ma uscita a Perugia nel 1960, dedicata al patrimonio artistico perugino in Italia e nel mondo, la dice scomparsa, ma al contempo ne parla in termini elogiativi, definendola “eletta opera di un seguace di Giotto del secolo XIV” e, quel che più conta, ne pubblica una fotografia di modestissima qualità, ma sufficiente a identificarla al di là di ogni ragionevole dubbio. Il crocefisso policromo, va osservato, non apparteneva alle collezioni storiche dei Conestabile della Staffa, di cui esiste un catalogo a stampa del 1872, poi vendute in gran parte a Firenze ai marchesi Budini Gattai. Dovette divenire proprietà della famiglia forse grazie a Giancarlo e Alessio, appassionati d’arte, sensibili ai valori religiosi e benemeriti per altre acquisizioni, fra cui il crocefisso quattrocentesco, proveniente da una chiesa perugina sconsacrata, che i due fratelli Conestabile acquistarono nel 1922 per donarlo alla chiesa del paese di Montemelino, dove tuttora si trova. La croce dipinta, ora negli Stati Uniti, è ragionevole supporre sia stata messa in vendita dai Conestabile tramite Alessandro e Vittoria Contini Bonacossi, i noti collezionisti e antiquari attivi a Firenze. Se non sono certi i contatti fra i Conestabile della Staffa e i Contini Bonacossi, è documentato invece il passaggio della croce in mano a questi ultimi. D’altra parte è noto che il principale acquirente dei Contini Bonacossi era il magnate americano Samuel H. Kress, nella cui collezione il crocefisso compare catalogato come acquisto del 1938 e la scheda registra espliciti riferimenti: Provenienza, Conestabile, Perugia. Dando prova di rara lungimiranza, Kress stabilì che, dopo la sua scomparsa, l’inarrivabile collezione, costituita da oltre tremila oggetti di ogni epoca e paese, ma nella stragrande maggioranza italiani, fosse divisa fra musei, collegi, università e chiese degli Stati Uniti, così che opere un tempo di sua proprietà si trovano in molte località statunitensi, da costa a costa fino a raggiungere le Hawaii, non esclusa Tucson, dove sono visibili in due istituzioni: il Museo dell’Università dell’Arizona e la Chiesa Episcopale di St. Philip’s in the Hills. L’attuale istituzione proprietaria, accanto al crocefisso, già Conestabile della Staffa, detiene altri oggetti ugualmente provenienti dalla Fondazione Kress. Va infine ricordato che il magnate statunitense si era già reso benemerito per una donazione d’eccezionale consistenza alla National Gallery di Washington. La tipologia della croce tabellare dipinta è tipica dell’arte medievale e soltanto in Umbria 60

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se ne trovano ancora numerose testimonianze. Se l’autore al momento è anonimo, è importante ricordare il profondo influsso esercitato da Giotto sugli artisti umbri, grazie al celebre ciclo di affreschi tuttora visibili nella Basilica Superiore del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi, influsso che durò ben oltre la presenza umbra e la vicenda terrena del maestro fiorentino. Fra gli allievi di Giotto, uno in particolare, Puccio Capanna, forse fiorentino, fu attivo ad Assisi ed ebbe il ruolo di prosecutore del linguaggio giottesco fino oltre la metà del secolo XIV. È noto un numero considerevole di croci sagomate dipinte simili a quella in esame, parte rimaste in Umbria, parte migrate in lontane sedi, molte delle quali anonime o assegnate a maestri dai nomi convenzionali. Ad attestare la solidità della tradizione, ben più antica dell’influsso giottesco, apre la serie delle croci dipinte, per l’alta qualità formale e l’antichità della data, lo splendido esemplare della Cattedrale di Spoleto, ma proveniente dalla Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo della stessa città: datato e firmato Alberto ‘Sotio’ 1187, da ricollegare a una cultura d’ascendenza bizantina, largamente diffusa nell’Italia meridionale, ma ben rappresentata in Umbria. L’esemplare della chiesa in Arizona, mai stato oggetto di uno studio approfondito, adeguatamente analizzato potrebbe essere ricondotto al catalogo di qualche personalità meno vaga, che non il non meglio identificato ‘anonimo giottesco’. Le menzioni che riguardano l’opera, poche, fugaci e ormai lontane nel tempo, sottolineano concordi l’accostamento a Giotto e in particolare alla croce tabellare di San Marco a Firenze, opera del grande maestro toscano, per cui sono stati avanzati i nomi di Niccolò di Pietro Gerini, Agnolo Gaddi e Jacopo di Cione, senza che si sia raggiunto un sostanziale accordo. Malgrado uno stato di conservazione non ottimale e numerosi interventi di restauro, la croce dipinta di Tucson si presenta come opera di un artista dotato. Le manomissioni principali riguardano la parte alta che probabilmente, al di sopra della targa rettangolare con la scena del pellicano, raffigurato nell’atto di nutrire i piccoli con la sua carne, terminava con il classico tondo con Gesù benedicente. Tale tipologia, largamente diffusa in area umbra, ricompare nell’esemplare a Trevi nella Raccolta d’Arte di San Francesco, attribuito al ‘Maestro del Dittico Poldi Pezzoli’, ma è talmente consolidata da riemergere addirittura a gran distanza di tempo nel nono decennio del Quattrocento in un esemplare, a firma di Matteo da Gualdo, tuttora visibile nella Chiesa di Santa Maria in Arce a Rocca Sant’Angelo nei pressi di Assisi: un vero arcaismo, quest’ultimo, che prima d’essere restituito al vero autore, era ritenuto addirittura un manufatto bizantino.



2.2 Follower of Giotto Painted Tabular Crucifix Tucson (Arizona), Episcopal Church of St. Philip’s in the Hills

In the 1920’s this interesting work, which still requires extensive research, was noted as belonging to the Counts Giancarlo and Alessio Conestabile della Staffa. Thanks to the records of their descendants, we know that it was not conserved in the Conestabile’s city palace but at their country residence, the Castello di Montemelino, between Perugia and Lake Trasimeno, which still belongs to the family. A few years before World War II, more specifically between 1936 and 1937, it was removed and all trace of it was temporarily lost. The work is noted as having disappeared in the undated monograph by Ottorino Gurrieri (published in Perugia in 1960), dedicated to the artistic patrimony of Perugia in both Italy and the world, where it is described in laudatory terms as an excellent 14th century work by a follower of Giotto. Even more importantly, the work is illustrated by a modest but significant photograph which allows its identification beyond any reasonable doubt. It should be noted that this polychrome crucifix did not belong to the historical collections of the Conestabile della Staffa, for which an 1871 printed catalogue exists and which were largely sold in Florence to the Marquises Budini Gattai. It is possible that this work was acquired by Giancarlo and Alessio, both impassioned art enthusiasts, who showed particular sensibility to value and quality in their acquisition of other religious works, including a 15th century crucifix, from a deconsecrated Perugia church, which the Conestabile brothers bought in 1922 to donate to the country church of Montemelino. It is still there today. It is reasonable to suppose that the painted cross, today in the United States, was introduced into the antique market through Alessandro and Vittoria Contini Bonacossi, the renowned Florentine collectors and antique dealers. If this connection between the Conestabile brothers and the Contini Bonacossi cannot be documented, we do know that the work passed through their hands. It should also be noted that one of the principal clients of the Contini Bonacossi was the American industrialist Samuel H. Kress, in whose collection this cross was catalogued as a 1938 acquisition with the provenance ‘Conestabile, Perugia’. Kress’s will, proving the magnate’s unusual far-sightedness, stipulated that his more-than-3000-piece collection, from various countries and eras but predominantly Italian, be divided among museums, colleges, universities and churches in the United States. For this reason works from the Kress Collection today are found nation-wide, including Hawaii, and in two Tucson sites: the Museum of the University of Arizona and the Episcopal Church of St. Philip’s in the Hills. Aside from the Conestabile della Staffa cross, this church also owns other Kress Collection pieces, the largest number of which were given to Washington’s National Gallery with the thanks of a grateful nation. The painted panel crucifix is typical in medieval art and is well 62

Umbrian artistic heritage worldwide

documented in Umbria. Although the author of this work remains anonymous, it shows the profound influence on Umbrian artists of Giotto, whose famous fresco cycle is still visible in the Upper Basilica of the Convent of Saint Francis of Assisi - influence felt far beyond Umbria and the Florentine artist’s own lifetime. Among Giotto’s pupils, was one in particular, Puccio Capanna, who was possibly Florentine, worked in Assisi, and was the main practitioner of the Giottesque style through the middle of the 14th century. A considerable number of shaped crucifixes painted similarly to the present one are known, some still in Umbria, some in distant locales, and most of which are either anonymous or attributed to conventionally-named masters. Attesting to the solidity of this tradition, which pre-dates Giotto and his influence, are the series of painted crosses of earlier date and very high quality, including the splendid example in the Cathedral of Spoleto, signed and dated Alberto ‘Sotio’ 1187, which was previously in the Church of Saints John and Paul in that same city. Such works demonstrated the strong Byzantine influence of the late medieval period which was diffused throughout Southern Italy and well-represented in Umbria too. The crucifix today in the Arizona church, which has never been extensively researched, might well, when adequately analyzed, be possible to attribute less vaguely than to ‘a follower of Giotto’. Records of this work, few in number, fleeting and distant in time, nonetheless underscore its relationship with Giotto and in particular to the tabular cross in San Marco in Florence by a great Tuscan master working in his style. Names advanced for this master include Niccolò di Pietro Gerini, Agnolo Gaddi and Jacopo di Cione, although there is no significant support for these attributions. Despite a less-than-ideal state of conservation and numerous restoration interventions, the Tucson crucifix is clearly the work of a gifted artist. Principal losses to the object include the upper section which probably comprised a classic roundel representing the blessing Jesus above a rectangular panel painted with a pelican piercing its own breast in order to feed its young. Such late medieval typology, largely diffused in Umbria, is seen in the example in the Art Collection of St. Francis in Trevi, attributed to the ‘Master of the Poldi Pezzoli Diptych’, but this typology was so entrenched that it re-emerged much later in the 1490’s in a copy signed by Matteo da Gualdo, still found in the church of Santa Maria in Arce at Rocca Sant’Angelo, near Assisi. Until it was correctly reattributed, this anachronism was considered to be a work of Byzantine manufacture.


Bibliografia/Bibliography Shapley 1966, p. 22, f. 51; Todini 1989, I, pp. 17, 129; II, pp. 10, 140, ff. 2, 298-99, XII; Parlato 1994, pp. 187-89; Benazzi 2002a, pp. 176-83; Bairati, Biocco e Simi 2004, p. 196; Gurrieri s. d., n° 10.

Provenienza/Provenance Montemelino PG, Collezione Conestabile della Staffa Firenze, Collezione Contini Bonacossi New York City (New York), Samuel H. Kress Collection Tucson (Arizona), Episcopal Church of St. Philip’s in the Hills

Assisi: Basilica Superiore, Interno Assisi: Upper Basilica, Interior © Archivio Fotografico Italgraf

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2.3 Barocci Federico Barocci: Urbino PU, 1535 - 1612 Riposo nella fuga in Egitto o Madonna delle ciliegie Città del Vaticano, Pinacoteca © 1990. Foto Scala, Firenze Nato a Urbino all’ombra della corte ancora in mano ai duchi della Rovere, ormai avviati al tramonto, e attivo in importanti imprese fra Marche e Lazio, Federico Barocci probabilmente non avrebbe avuto un’attività perugina, se il Nobile Collegio della Mercanzia non si fosse rivolto a lui per la pala d’altare della Cappella di San Bernardino da Siena, allora e tuttora in giuspatronato della storica istituzione, posta a destra entrando dall’ingresso principale nella Cattedrale di San Lorenzo. La pala d’altare, la celebre Deposizione dalla croce, si colloca al 1569 ed è un’opera talmente originale e complessa che, malgrado l’esposizione agli occhi di tutti nella massima chiesa di Perugia, restò quasi senza influsso sui pittori perugini del tempo, troppo legati a formule attardate per comprendere appieno la portata innovativa del capolavoro baroccesco e soprattutto per poterlo riprodurre. Di Barocci a Perugia, invece, da qualcuno dei migliori artisti fu imitata la maniera intimistica, dominante in dipinti dai soggetti meno ufficiali e di solito a destinazione privata. Uno degli esempi più significativi di questo fortunato filone della produzione di Barocci, per qualità pittorica e felice soluzione iconografica, è il Riposo nella fuga in Egitto databile fra il 1570 e il 1573, più comunemente conosciuto come Madonna delle ciliegie per il delizioso particolare del ramo di ciliegio carico di frutti, che Gesù Bambino prende dalle mani di san Giuseppe. Questa versione dell’opera fu realizzata per il collezionista perugino Simonetto Anastagi e per lascito fu trasferita nella sacrestia della Chiesa dei Gesuiti. Con la soppressione dell’ordine, avvenuta nel 1773, approdò a Roma e dal 1790 si trova alla Pinacoteca Vaticana. Si tratta di una chiara ripresa a distanza della Madonna della scodella del Correggio, datata quest’ultima generalmente fra il 1524 e il 1530. Accanto alle innegabili affinità fra i due dipinti, è evidente l’autonomia con la quale Federico Barocci rivisita il tema, perché a parte la postura della Vergine e il particolare della scodella, il resto del quadro è sensibilmente diverso, soprattutto per la forte accentuazione del carattere intimistico da parte del pittore marchigiano. L’aspetto che li accomuna, in effetti, non è tanto la soluzione iconografica, quanto l’impressione di garbo e letizia, che entrambi diffondono. L’altra fonte d’ispirazione a cui Barocci guarda, in questa e in moltissime delle sue opere, è l’acceso colorismo di matrice veneta. Il tema della fuga in Egitto è un’eccellente occasione per molte felici soluzioni iconografiche, che uniscono l’intimità familiare alla suggestione del paesaggio. Poche volte però un artista è riuscito a raggiungere un equilibrio fra le due componenti unico, per non dire irripetibile. La Sacra Famiglia si è fermata per riposarsi e l’asino libero dal carico, guarda pacifico i padroni: la Madonna, seduta a terra, con una scodella di metallo raccoglie l’acqua che sgorga limpida da un fonte, san Giuseppe in piedi ha staccato un ramoscello dal gran ciliegio alle sue spalle e lo porge al piccolo Gesù, che sorridente, s’affretta ad afferrarlo con la destra, mentre con la sinistra tiene già alcuni frutti, il cui rosso trova ricercate rispondenze cromatiche con 64

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l’abito della Madonna e soprattutto con il mantello di san Giuseppe, che ripropone lo stesso colore in una tonalità più squillante. Le varie sfumature di rosso riappaiono, fortemente smorzate, nelle fronde degli alberi, già accordate su toni autunnali e scaldate dal sole al tramonto. L’apparente dissimmetria del quadro in realtà osserva una complessa e molto studiata struttura basata su una serie di triangoli, il più evidente dei quali occupa il centro del campo pittorico. Del triangolo un lato è formato dal braccio destro di san Giuseppe, che prosegue in quello destro del Bambino. Un altro inizia con il braccio sinistro dal Bambino, che continua idealmente fino alla mano della Madonna. Il terzo è il braccio destro della Madonna, che idealmente si congiunge a quello di san Giuseppe. Il tono intimistico s’accompagna a un colore lussuoso e a due raffinate ‘nature morte’: una è l’elegante cuscino, su cui è seduto il Piccolo Signore del Mondo, l’altra è il cappello di paglia accanto ai panni nell’angolo in basso a sinistra, che introducono nello spazio figurativo note di vita vissuta. La genialità dell’artista si rivela già al puro livello iconografico, in quanto capace di declinare un soggetto indiscutibilmente religioso con la disinvoltura d’un tema laico. La difficoltà di far coesistere due dimensioni, almeno a prima vista, conflittuali, viene superata dalla concezione teatrale dello spazio e al contempo da un rigore d’ascendenza matematica, capaci di conferire ordine alla realtà più mossa e complessa. Il soggetto fu affrontato da Barocci in più occasioni e se ne conoscono vari disegni preparatori, ma quasi certamente fu messo a punto per la prima volta nel 1570 per Guidobaldo II, duca d’Urbino, suo principale committente. L’opera portata a termine fu consegnata dal duca poco prima o poco dopo le nozze a Lucrezia d’Este, sua nuora in quanto moglie del figlio Francesco Maria, ritratto costui nel famoso quadro sempre a firma di Federico Barocci, approdato a Firenze nella Galleria degli Uffizi. In seguito l’opera è segnalata a Roma, in mano ai principi Aldobrandini, che nel 1598 in occasione della Devoluzione di Ferrara alla Chiesa, s’impossessarono di una parte considerevole del patrimonio artistico della città, tuttora ben rappresentato a Roma nella due gallerie Borghese e Doria-Pamphilj, eredi entrambe della Collezione Aldobrandini. Nel 1772 ne venne dedotta un’incisione da Antonio Cappellano. Poi fu venduta a un collezionista inglese e nel 1824 era nella Day Collection, dopo di che se ne è persa ogni traccia. Ne esiste infine una terza versione eseguita per il conte Antonio Brancaleoni, tuttora visibile a Piobbico nella Chiesa di Santo Stefano. La versione un tempo a Perugia riveste un valore particolare dal punto di vista del coinvolgimento diretto di Federico Barocci, in quanto accompagnata da una lettera al committente datata 2 ottobre 1573, che la qualifica come un originale e non una replica di bottega. Un aspetto che salta all’occhio è lo sfaldarsi dei volumi sotto l’azione dalla luce, in forte anticipo su analoghe soluzioni proposte dalla pittura secentesca e settecentesca.



2.3 Federico Barocci Rest on the Flight into Egypt or the Madonna of the Cherries Vatican City Pinacoteca

Born in Urbino in the shadow of the final years of the della Rovere court and active in important artistic undertakings from the Marches to Lazio, Federico Barocci probably would not have worked in Perugia had he not been commissioned by the Nobile Collegio della Mercanzia (the Merchants’ Guild) to execute the altarpiece for the Chapel of Saint Bernardino of Siena - then and now that historic institution’s patron saint - located to the right of the main entrance in the Cathedral of Saint Lawrence. That altarpiece, the renowned Descent from the Cross, was executed in 1569, yet despite its’ originality, complexity and high visibility in Perugia’s main church, this masterpiece exerted little or no influence on local artists of the time who were so firmly rooted in established traditions that they failed to understand its innovative importance and refused to emulate it. On the other hand, Barocci’s Perugia altarpiece shows the influence of some of the period’s major artists, with its intimate manner generally reserved for less official works which were usually intended for private use. One of the most important examples of this tendency in Barocci’s production, particularly as regards pictorial quality and a felicitous iconographic solution, is the Rest on the Flight into Egypt, datable between 1570 and 1573, more commonly known as The Madonna of the Cherries because of the heavily laden cherry branch which the Baby Jesus is plucking from the hands of St. Joseph. This version of the subject was executed for the Perugia collector Simonetto Anastagi, who willed it to the local Jesuit Church for display in the sacristy. With the suppression of the order in 1773, the painting was moved to Rome, where it has been in the Vatican Pinacoteca since 1790. The work clearly recalls Correggio’s Madonna of the Bowl, dated between 1524 and 1530. Along with the undeniable similarities between the two paintings is the evident autonomy with which Barocci revisits the theme; aside from the pose of the Virgin and details of the bowl, the rest of the image is substantially different, particularly in regards to the painter from the Marches’ marked emphasis on domesticity. What connects the two artists, in fact, is not so much the iconographic solution as the shared impression of grace and joy. Another source of influence on this and many of Barocci’s works is the Venetian color palette. The theme of the flight into Egypt presents an excellent opportunity for numerous successful iconographic solutions in uniting familial intimacy with landscape. Seldom, if ever, has an artist succeeded in achieving a perfect balance between these two unique elements. The Holy Family has stopped to rest and the donkey, free of its load, gazes peacefully at its masters: the Madonna, seated on the ground, collects water in a metal bowl which gently issues from a spring; Saint Joseph, standing to her left has removed a cherry branch from the tree behind him and extends it to the smiling Christ Child who seizes it with his right hand while already clutching several cherries in his left; their color is repeated in the Virgin’s dress and Saint Joseph’s 66

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cloak, both in similar shades of red though his is more intense. These various tones of red reappear, though greatly toned down, in the tree leaves, already imbued with autumnal hues and warmed by the rays of the setting sun. What appears to be asymmetry in the composition is in fact a complex and carefully studied structure based on a series of triangles, the most obvious being the one at the center of the picture plane. In this triangle, one side is formed by Saint Joseph’s right arm, leading to the right arm of the Child; another begins with the left arm of the Child and continues to the hand of the Virgin; the third side is the right arm of the Madonna as it theoretically meets that of Saint Joseph. The intimate scene is realized in luxurious colors and enhanced by two refined still-life elements: one is the elegant cushion on which the Christ Child is seated, the other the straw hat next to the drapery in the lower left corner of the painting, both introducing elements of everyday life into this figural composition. The artist’s genius is revealed not only in his innovative iconography, but in his ability to present a clearly religious subject with the more casual atmosphere of a profane family scene. The difficulty in combining two dimensions which at first glance seem in conflict is overcome by a theatrical realization of the pictorial space and a rigorous mathematical system which imposes order on an otherwise complex and vague reality. The subject was addressed several times by Barocci, and various preparatory sketches are known. However, the earliest example was almost certainly the painting executed in 1570 for his main patron, Guidobaldo II, Duke of Urbino. The finished work was consigned to the Duke just before or immediately following the marriage of his son, Francesco Maria, to Lucrezia d’Este. Barocci’s famous portrait of the Duke is today in the Uffizi Gallery, Florence. The Rest on the Flight into Egypt subsequently found its way to Rome and into the hands of the Aldobrandini princes, who, in 1598 on the occasion of the transfer of Ferrara to the Church, took possession of a considerable part of that city’s artistic patrimony, well represented today in the Borghese and the Doria-Pamphilj Galleries in Rome, both of which were inheritors of the Aldobrandini collections. The painting was engraved by Antonio Cappellano in 1772 and subsequently sold to an English collector. In 1824 it was recorded in the Day Collection, and thereafter disappeared. Finally, a third version, executed for Count Antonio Brancaleoni, is found today at Piobbico in the Church of Saint Stephen. The version once in Perugia is particularly important for Federico Barocci scholarship in that a letter to the commissioner exists, dated October 2, 1573, stating that this is an original and not a workshop copy. One aspect of the work which demands attention is the way Barocci’s drapery is broken up by light - a pictorial concept which strongly anticipates seventeenth and eighteenth-century painting.


Bibliografia/Bibliography Morelli 1683, passim; Orsini 1784, pp. 260 e ss.; Olsen 1962, pp. 15455; Emiliani 1975, pp. 85-86; 1985, pp. 79-81; Arcangeli 1988a, pp. 635-36; Mancini 1988b, pp. 382-84; De Strobel e Serlupi Crescenzi 1996, p. 262; Turner 2000, pp. 52-53, f. 39; Arcangeli 2005, pp. 19-21; Emiliani 2005, pp. 9-17.

Provenienza/Provenance Perugia, Collezione Anastagi Perugia, Sacrestia della Chiesa dei Gesuiti Città del Vaticano, Pinacoteca

Perugia: Nobile Collegio della Mercanzia, Sala dell’Udienza, decorazione lignea, fine secolo XIV Perugia: Noble Guild of Merchants, Hall of Audience, wooden decoration, end of the 14th century © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.4 Benozzo Gozzoli Benozzo di Lese di Sandro: Firenze, circa 1421 - Pistoia, 1497 La Vergine dona la propria cintola a san Tommaso o Madonna della cintola Città del Vaticano, Pinacoteca © 1990. Foto Scala, Firenze

Benozzo di Lese di Sandro, noto nel mondo dell’arte come Benozzo Gozzoli, nacque a Firenze probabilmente nell’inverno fra il 1420 e il 1421. Alla non piccola fortuna di poter muovere i primi passi in uno dei maggiori centri d’arte a livello europeo, ne poté aggiungere un’altra non minore, l’alunnato sotto la guida di due maestri d’eccezione: Lorenzo Ghiberti e il Beato Angelico. È con quest’ultimo che arriverà a Roma al tempo di Eugenio IV, papa che aveva avuto modo di conoscere i due artisti grazie ai prolungati soggiorni fiorentini, per decorare varie cappelle in Vaticano. Alcune sono andate distrutte, ma resta conservata in ottime condizioni la Cappella Nicolina, dipinta per il successore di Eugenio IV, Nicola V. Nell’estate del 1447 l’Angelico e Benozzo, ormai non più allievo, ma consocio del maestro, per sfuggire alle torride temperature romane, si trasferiscono a Orvieto, dove ricevono l’incarico della decorazione ad affresco nella cattedrale della Cappella Nuova, detta poi di San Brizio. Quasi certamente, in questa circostanza va visto il primo contatto di Benozzo con l’Umbria. I lavori orvietani iniziano, ma senza concludersi, perché maestro e consocio vengono richiamati a Roma. Qualche tempo dopo, sebbene ormai artista abile e autonomo, Benozzo cercherà invano di ottenere dal capitolo della cattedrale orvietana l’incarico di portare a termine la cappella, che vedrà conclusa la sua decorazione soltanto mezzo secolo dopo, ai primissimi del Cinquecento, per mano di Luca Signorelli. Malgrado l’insuccesso orvietano, l’approdo in Umbria non doveva rivelarsi né effimero, né privo di commissioni importanti. Infatti verso il 1450, forse introdotto da Nicola V, particolarmente legato al mondo francescano, Benozzo approda a Montefalco, dove esegue i favolosi affreschi nella cappella absidale della Chiesa di San Francesco. La splendida decorazione murale, assieme al ciclo giottesco della Basilica Superiore di Assisi, rappresenta una delle testimonianze più importanti della vicenda umana di san Francesco tradotta in immagini pittoriche. Qualche anno fa gli affreschi di Montefalco, già noti e ammirati, hanno avuto un imprevedibile rilancio e sono stati riproposti all’attenzione del gran pubblico, prima perché colpiti dal terremoto dell’autunno 1997, poi per gli accurati impegnativi restauri immediatamente successivi al sisma, a cui hanno conferito gran risonanza la stampa e gli altri mezzi di comunicazione. Liberate dai segni del tempo, dalle ridipinture ottocentesche e dai danni del terremoto, le Storie di san Francesco di Montefalco hanno ripreso uno splendore, che permette di guardarle con occhi nuovi. Sempre nella stessa città e sempre per un ramo della famiglia francescana, s’impegna nella Chiesa di San Fortunato per altri affreschi, ma qui lascia anche una pala d’altare importante non solo per l’altissima qualità, ma per la struttura semplice e geometrica, fortemente innovativa rispetto alle macchine lignee prodotte al tempo in area umbra, molto elaborate e ancora di gusto tardo-gotico. La pala, chiaramente ispirata alle innovazioni del Beato Angelico, è rettangolare con la tavola centrale senza partizioni interne, i pilastri laterali corinzi e la predella anch’essa sostanzialmente continua. La soluzione innovativa 68

Patrimonio artistico umbro nel mondo

dovette piacere alla più avanzata committenza umbra, se qualche anno dopo, nel 1456, Benozzo riproponeva la stessa struttura nella Pala della Sapienza Nuova, un tempo nella cappella del collegio universitario voluta dal vescovo Guidalotti, ora sempre a Perugia, ma nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Nella pala di Montefalco la tavola centrale raffigura la Madonna, in gloria in una corona di angeli, nell’atto di consegnare la propria cintura a san Tommaso apostolo, incredulo che la Vergine sia stata assunta in cielo, in ginocchio vicino al sarcofago, in cui il corpo della Madonna è miracolosamente sostituito da fiori. Sui pilastri laterali compaiono incolonnate sei piccole figure di santi legati al mondo francescano e la predella presenta sei storie della Vergine nell’ordine: Natività, Sposalizio, Annunciazione, Adorazione del Bambino, Presentazione di Gesù al Tempio e Dormizione. La faccia anteriore del sarcofago in epoca imprecisata è stata tagliata, forse per esigenze di culto; nel complesso però la pala d’altare, databile fra il 1450 e il 1452, è ben conservata e attesta l’elevato livello tecnico e artistico raggiunto da Benozzo, a quel tempo sulla trentina. L’iconografia è interessante e destinata a un gran successo, come provano le numerose Madonne della cintola, sparse in tutta Italia. Va osservato che la preziosa reliquia esiste ed è tuttora conservata in un’apposita cappella nella Cattedrale di Prato. Dopo circa quattro secoli di permanenza in San Fortunato, nel 1848 il Comune di Montefalco decise di regalare a Pio IX la splendida opera, allora ritenuta del Beato Angelico, che entrò così nelle collezioni pontificie. Dal punto di vista stilistico la pala d’altare giustappone due registri ben distinti: la tavola centrale e i pilastri presentano il classico fondo oro della tradizione tardo-gotica, che nella pala centrale inizia a dialogare con un momento di paesaggio, più evocato che descritto: in altri termini uno spazio figurativo astratto e sostanzialmente bidimensionale. Le sei storiette della predella, invece, si segnalano per la rigorosa impostazione prospettica e il gran ruolo riservato alle architetture. Esemplare al riguardo è la quarta storietta da sinistra, quella che raffigura l’Adorazione del Bambino, in cui la tettoia di pali e paglia, messa a protezione della grotta e impalcata a un’altezza paradossale, secondo un principio costitutivo del linguaggio di Benozzo, diventa un elemento di definizione spaziale, su cui si fonda l’intera composizione. Analoghe considerazioni valgono per la scena precedente, l’Annunciazione ambientata in un giardino chiuso, su cui si affaccia un portico, allineato alle ultime innovazioni dell’architettura del tempo. È il segno del serrato dialogo che nel Rinascimento c’era fra le varie arti. Del resto Benozzo aveva iniziato il suo percorso artistico non come pittore in senso stretto, ma come orafo e scultore, collaborando alla rifinitura delle formelle di bronzo, che tuttora decorano le porte del Battistero di Firenze. Da questo stretto legame con l’oreficeria i pittori fra Medio Evo e Rinascimento derivavano eccezionali capacità tecniche, che approdavano a un’estrema finitezza d’esecuzione, difficilmente raggiunta nei secoli successivi.



2.4 Benozzo Gozzoli The Virgin giving her Belt to Saint Thomas or the Madonna of the Belt Vatican City Pinacoteca

Benozzo di Lese di Sandro, known in the art world as Benozzo Gozzoli, was born in Florence, probably during the winter months between 1420 and 1421. To his great good fortune in being a native of one of Europe’s most important art centers must be added the fact that Gozzoli was trained by two of its greatest masters: Lorenzo Ghiberti and Fra Angelico. It was with the latter that Gozzoli arrived in Rome to decorate various chapels in the Vatican. They were summoned by Pope Eugene IV, who had come to know the two artists during his lengthy sojourns in Florence. Some of their work there has been destroyed, but the Nicolina Chapel, painted for Eugene IV’s successor, Nicholas V, has survived in excellent condition. During the summer of 1447, in order to escape the sultry summer heat of Rome, Fra Angelico and Gozzoli - by now no longer an apprentice but a recognized master in his own right - moved to Orvieto where they were given a fresco commission for the New Chapel (also called the Chapel of Saint Brizio) in the town’s cathedral. This was undoubtedly Gozzoli’s first contact with Umbria. The frescoes Fra Angelico and Gozzoli began in Orvieto were not finished, as the artists were recalled to Rome. Some time later, when Gozzoli was working as a recognized and independent artist, he sought in vain to revive this commission, and works in the chapel were only completed more than half a century later, in the early years of the 16th century, by Luca Signorelli. Despite his lack of success in Orvieto, Gozzoli’s Umbrian experience was not without significant consequences and commissions. Around 1450, in fact, Gozzoli landed in Montefalco, perhaps introduced by Nicholas V who was particularly attached to the Franciscan Order, where he executed the fabulous frescoes in the apsidal chapel of the Church of Saint Francis. This splendid mural decoration, together with the Giottesque cycle in the Upper Basilica of the Church of Saint Francis in Assisi, represents one of the most important testaments in pictorial imagery to the daily events that defined the Saint’s life. Gozzoli’s already much-admired fresco cycle enjoyed renewed public attention a few years ago, first because of the effect on them of the 1997 earthquake and then due to the exceptional restoration effort that followed and the attention that effort received in the international press. Freed from the ravages of time, 19th century overpainting and the damage wrought by the earthquake, the Montefalco Story of Saint Francis frescoes have regained their original splendor, thus allowing us to consider the art of Benozzo Gozzoli in a new light. Also in Montefalco and for a branch of the same Franciscan family, Gozzoli took on a fresco commission in the church of San Fortunato, where he left an altarpiece important not only for its high quality but also for its simple and geometric structure - highly innovative for its time in an Umbrian artistic climate still steeped in the elaborate late-gothic style. The altarpiece, clearly inspired by those of Fra Angelico, is rectangular, with an undivided central panel, lateral Corinthian pilasters and a continuous predella. This forwardlooking solution was surely pleasing to Gozzoli’s highly sophisticated 70

Umbrian artistic heritage worldwide

Umbrian patrons, since a few years later, in 1456, he utilized the same formula in the alterpiece of the ‘Sapienza Nuova’, commissioned by Archbishop Guidalotti for the University Chapel in Perugia, and today in the National Gallery of Umbria. In the Montefalco alterpiece the central panel represents the Madonna in Glory surrounded by angles, in the act of giving her belt to Saint Thomas the Apostle. On his knees beside a sarcophagus where the body of Mary has been replaced with flowers, the kneeling saint marvels at her ascent into heaven. On the lateral pilasters are six small columnar figures of Franciscan saints and the predella comprises six scenes from the life of the Holy Mother: The Nativity, Her Marriage, The Annunciation, The Adoration of the Christ Child, The Presentation of Jesus in the Temple, and The Death of the Virgin. At an indeterminate date, the front of the sarcophagus was cut - possibly for reasons pertaining to a cult; on the whole, however, the altarpiece, datable between 1450 and 1452, is well preserved and attests to the high artistic and technical levels attained by Gozzoli in his thirties. The subject is interesting and was apparently popular, as proven by the numerous Madonna of the Belt paintings found throughout Italy. It should be noted that the precious relic exists and is conserved in the so-named chapel in Prato Cathedral. In 1848, after nearly four centuries in San Fortunato, this splendid work, then considered to be by Fra Angelico, was donated by the Municipality of Montefalco to Pope Pius IX. Thus it entered the papal collections where it remains today. From a stylistic point of view, the altarpiece juxtaposes two distinct registers: first is the central panel and flanking pilasters with their classic gold background typical of the late gothic tradition, which in the former interacts with a landscape that is more evoked rather than described - in other words, an abstract, substantially twodimensional space; then there are the six predella scenes, remarkable for their strict perspective and the important role played by architectural elements. A case in point is the fourth scene from the left, representing the Adoration of the Child: here the canopy of hay and straw, there to protect the grotto and positioned at a paradoxical height, becomes, according to an established principle in Benozzo’s artistic language, an element of special definition on which the entire composition is based. The same holds true for the previous scene, The Annunciation, which takes place under a portico defined by thoroughly contemporary architectural elements, facing a closed garden. This exemplifies the incisive dialogue which existed between the various arts during the Renaissance period. Benozzo, in fact, began his artistic career not as a painter but as a sculptor and goldsmith, collaborating on the finishing touches of the bronze panels which still decorate the doors of the Baptistery in Florence. From this direct connection with goldsmiths and their work, painters in the era between the Middle Ages and the Renaissance acquired exceptional technical abilities, resulting in a refinement of execution rarely achieved in succeeding centuries.


Bibliografia/Bibliography Padoa Rizzo 1972, pp. 117-18; Frulli 1987, pp. 651-52; Nessi 1991, pp. 101-07; Acidini Luchinat 1994, pp. 15-17; Cole Ahl 1996, pp. 41-47; Cornini 1996, p. 112, ff. 93-95; Lunghi 1997, pp. 26-28; Nessi 1997; Padoa Rizzo 1997, pp. 67-69; Garibaldi 1998, pp. 17-41; Lunghi 1998, pp. 81-91; Mencarelli 1998, pp. 63-79; Cole Ahl 2003, pp. 95-114.

Provenienza/Provenance Montefalco, Chiesa di San Fortunato CittĂ del Vaticano, Pinacoteca

Montefalco: Veduta aerea Montefalco: Aerial view Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.5 Bernardino di Mariotto Bernardino di Mariotto dello Stagno: Perugia, documentato dal 1497 - 1566 Adorazione dei Magi Città del Vaticano, Pinacoteca © 1990. Foto Scala, Firenze È uno fra gli artisti più singolari ed eccentrici, che siano apparsi fra Umbria e Marche, il quale anche grazie a una vita eccezionalmente lunga, mantenne viva la tradizione tardo-gotica incredibilmente fino al 1566, anno della scomparsa, o poco prima, se negli ultimissimi anni, stando alle carte d’archivio, smise di lavorare e cedette arnesi e bottega all’allievo, che gli era stato più vicino: Marino di Antonio Samminuzi. Pur essendo nato a Perugia, dove ritornò per chiudere i suoi giorni, la prima opera che gli si può assegnare, una Incoronazione della Vergine datata 1497 e purtroppo perduta, fu realizzata per il Duomo di Gualdo Tadino in collaborazione con Lorenzo d’Alessandro, il grande artista di San Severino Marche, di cui ai primi del Cinquecento Bernardino ereditò bottega e clientela. La nascita a Perugia è fuori discussione, perché nelle opere firmate la formula onomastica è spesso accompagnata dall’appellativo Perusinus. I motivi di questo inizio di carriera nell’orbita di un pittore di San Severino e poi la lunga attività nelle Marche non sono noti, ma si può immaginare che la situazione di Perugia, satura di pittori nel periodo fra Quattrocento e Cinquecento, per di più dominata dal monopolio del Perugino, che metteva in difficoltà anche artisti ben radicati nell’ambiente, lo convinsero a spostarsi in un centro urbano che aveva avuto in tempi precedenti una gran vitalità artistica, ma al momento del decollo di Bernardino era in declino e poteva offrirgli qualche spazio. Nelle Marche dopo una produzione ispirata ai linguaggi figurativi di Lorenzo d’Alessandro, Carlo Crivelli e Niccolò Alunno, non marchigiani notoriamente gli ultimi due, ma rappresentati in quella zona da un numero rilevante di opere, Bernardino viene attratto anche dalla moderna lezione di Luca Signorelli, della cui attività c’erano consistenti testimonianze a Loreto e a Fabriano. Il risultato è un linguaggio figurativo personale, antirinascimentale, capace di trasportare tutto in una dimensione onirica, fantastica, in cui ogni elemento del dipinto è frutto d’una grande elaborazione mentale, espressa con una cura formale tipica della miniatura o, forse meglio, dell’oreficeria. Mentre negli ambienti più evoluti questo stile poteva apparire superato, nei circuiti conservatori delle confraternite e dei monasteri la sua produzione non cessò mai di essere richiesta, come prova la sua attività protrattasi fin quasi all’anno della scomparsa. I legami con l’oreficeria meritano una riflessione. In primo luogo va osservato che la sequenza ‘dello Stagno’ contenuta nella formula onomastica pare alluda all’attività del padre, per cui Bernardino sarebbe stato fin da piccolo in mezzo alla lavorazione dei metalli. In secondo luogo fra Medio Evo e Rinascimento molti artisti praticano entrambe le attività. Prova ne sia che firmano aggiungendo aurifex, ossia ‘orefice’, personalità dei più disparati livelli: per esempio Francesco Raibolini, detto il Francia, indiscusso capo della scuola bolognese ai primi del secolo XVI e un suo contemporaneo, l’oscuro Alberto da Ferrara, pittore di cui è pervenuto un dipinto solo e modesto. Del resto Benozzo Gozzoli, che acquisterà gran prestigio come 72

Patrimonio artistico umbro nel mondo

pittore su tavola e su muro, iniziò la carriera rifinendo i bassorilievi in bronzo delle porte del battistero fiorentino. L’uso frequente di elementi metallici, pastiglie a rilievo dorate, pezzetti di specchio e pietre dure incastonati, come gioielli, sulla superficie pittorica, accentuato soprattutto dopo il ritorno a Perugia, in Bernardino di Mariotto può avere una motivazione personale: la volontà d’imitare il Pinturicchio, l’omonimo Bernardino di Betto, famoso per un’invidiabile e invidiata carriera, come pittore di vari papi e della più alta committenza. Solo che nel Pinturicchio il ricorso a tecniche polimateriche, che si protrarrà ben oltre il caso limite degli Appartamenti Borgia, per arrivare alla Cappella Baglioni di Spello e alla Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena, è regolato da un gusto impeccabile e da una solida cultura figurativa, che permette all’artista di usarlo come strategia per marcare diversi livelli d’irrealtà. Diversamente in Bernardino di Mariotto resta una pura prassi di bottega, sia pure eseguita con grandi capacità artigianali, non di meno tale da produrre dipinti di notevole effetto. La tempera su tavola (54,5 x 44 cm) della Pinacoteca Vaticana, forse proveniente dal Collegio De Propaganda Fide, si rivela di particolare interesse iconografico, data l’insolita soluzione, più vicina a una sacra conversazione, che a una vera Adorazione dei Magi. Scomparsi san Giuseppe, la capanna, l’asino e il bue e tutti gli altri elementi consueti, i tre re restano identificabili sono per la differenza d’età e per i tre calici con il coperchio. Quanto al re mago in secondo piano visto in posizione frontale, con lo sguardo rivolto fuori del campo figurativo, le accentuate particolarità fisionomiche consentono di supporre che sia un ritratto: del resto è noto che l’Adorazione dei Magi è uno dei temi delegati all’inserimento dei committenti o di altri contemporanei. Il dipinto è molto singolare anche dal punto di vista dell’impasto cromatico, perché contro un paesaggio tutto giocato su consonanti gradazioni di verde e di bruno, proietta il gruppo dei quattro personaggi, i cui abiti propongono una sostanziale bicromia: toni di bruno molto scuro interrotti da un unico rosso riproposto con minime variazioni tonali. L’opera, praticamente ignorata dagli studi dedicati a Bernardino di Mariotto, non si allinea facilmente al resto della sua produzione e pertanto non è di facile collocazione cronologica; è da ritenere però prodotta alla fine del Quattrocento o al massimo ai primissimi anni del Cinquecento per l’orizzonte altissimo, separato dal limite superiore dello spazio figurativo soltanto da un stretta striscia di cielo. Degli stretti legami del pittore con le botteghe in cui si lavoravano i metalli, è testimone il curatissimo originale copricapo del re mago nello sfondo: un vero pezzo di gioielleria per la consistenza metallica delle stoffe e per la rete d’oro. Queste non comuni capacità artigianali dell’artista si esprimevano anche nel campo delle arti applicate, pitture su cuoio, lampadari, crocifissi snodabili di legno e stucco, ora irreperibili, ma di cui resta ampia traccia nella documentazione d’archivio.



2.5 Bernardino di Mariotto dello Stagno Adoration of the Magi Vatican City Pinacoteca

One of the most unique and eccentric artists working between Umbria and the Marches in the sixteenth century, Bernardino di Mariotto dello Stagno lived an exceptionally long life and kept alive the late gothic tradition until or around 1566, the year of his death. According to archival documents, he ceased activity in his last years and turned over his tools and workshop to Marino di Antonio Samminuzi, his student and closest follower. Despite being born in Perugia, where he returned for his final days, Bernardino’s first attributable painting - a Coronation of the Virgin dated 1497 and unfortunately lost - was executed for the cathedral of Gualdo Tadino, in collaboration with Lorenzo d’Alessandro, a renowned artist from San Severino in the Marches who left Bernardino his workshop and clientele when he died in the early years of the sixteenth century. Bernardino’s origins in Perugia are indisputable, since on his signed works his signature is often accompanied by the epithet Perusinus (of Perugia). Why he chose to begin his career and to work in the circle of an artist from San Severino, followed by a prolonged period of activity in the Marches, is not known. One can imagine, however, that the situation in Perugia in the late fifteenth/early sixteenth century, with its plethora of artists and the dominance of Perugino - an ambiance difficult even for those well rooted in the city - encouraged Bernardino to relocate to another urban center which had once enjoyed considerable artistic vitality but at the time of his arrival was in decline, thus offering him an opportunity to flourish. In the Marches, after a period of production inspired by the work of Lorenzo d’Alessandro, Carlo Crivelli and Niccolò Alunno - the latter two artists not from the region but well represented there by a number of important commissions - Bernardino became attracted to the more modern approach of Luca Signorelli, active in both Loreto and Fabriano. In Bernardino’s art, the result was the creation of a personal, oneiric and fantastic anti-renaissance, figurative idiom, in which every element is the fruit of an elaborate mental exercise, expressed with an attention to detail typically found in miniatures, or, perhaps better, in a goldsmith’s work. Whereas this style might have appeared outdated in more elevated settings, such work was in great demand in confraternities and monasteries, as confirmed by Bernardino’s continuous commissions throughout his life. This connection with gold work bears examination. First of all it should be noted that the adjoined name ‘dello Stagno’ appears to allude to the livelihood of his father, in which case Bernardino would have spent his formative years surrounded by the crafting of metalwork. Secondly, at the end of the late Middle Ages and the beginning of the Renaissance, many artists practiced both activities, confirmed by the fact that some painters added aurifex (goldsmith) to their signatures, as was the case with Francesco Raibolini, known as il Francia, the undisputed head of the Bologna School in the early years of the sixteenth century, and with the obscure Alberto da Ferrara, an artist for whom only a single, 74

Umbrian artistic heritage worldwide

modest work remains. Then there was Benozzo Gozzoli, who achieved great renown as a panel and mural painter, but who began his career adding finishing touches to the bronze door reliefs created for the Baptistery in Florence. Bernardino’s frequent incorporation of metallic elements into the surface of his paintings - gilt gesso relief, inlaid pieces of mirrored glass and semi-precious stones - particularly prevalent after his return to Perugia, might have been personally motivated: a desire to imitate Pinturicchio, his homonym Bernardino di Betto, whose enviable and envied career included commissions from popes and the most elite among the aristocracy. With Pinturicchio, however, this use of multimedia, found in the decorations of the Borgia Apartments, the Baglioni Chapel in Spello and the Piccolomini Library in Siena Cathedral, is handled with impeccable taste and a formidable figural style that permitted the artist to strategically incorporate such elements as indicators of different levels of unreality. Conversely, in the case of Bernardino’s utilization of such elements, this was essentially standard workshop practice, though conceived with great craftsmanship and resulting in paintings of notable effect. The Vatican Pinacoteca tempera panel (54,5 x 44 cm), perhaps coming from the Collegio De Propaganda Fide, is particularly interesting iconographically, given its unusual format which resembles more a Holy Conversation than a true Adoration of the Magi. Missing are Saint Joseph, the stall, the donkey, ox and all the other commonly included elements, and the three wise men are identifiable solely by their age difference and the three covered chalices they carry. Regarding the wise man in the second row, positioned frontally and gazing outside the picture plane, his distinct and individual features suggest this is a portrait, and in fact the Adoration of the Magi was one of those subjects that lent itself to the inclusion of donors or other contemporary figures. The painting is chromatically remarkable as well: against a landscape in consonant tones of green and brown the group of four figures is portrayed with robes of essentially two colors - dark brown and a single, uniform red. Practically ignored in the studies dedicated to Bernardino di Mariotto, this painting does not fit easily into the body of his work as a whole and is therefore difficult to date. The high horizon line, with only a narrow band of sky, suggests a date at the end of the fifteenth century or, at the latest, the early years of the sixteenth century. The previously mentioned ties to a metalworking shop are apparent in the original, meticulously-rendered head covering on the wise man in the background: this metallic fabric with its net of gold is a real piece of jewelry. Bernardino demonstrated these uncommon artisan skills in areas of the decorative arts as well, including painting on leather, lighting fixtures, adjustable crucifixes in wood and in stucco - now all lost but amply recorded in archival documents.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 68-71; Gualdi 1967, pp. 205-07; Paciaroni 1981, pp. 5-27; Arcangeli 1988b, p. 643; Donnini 2001, pp. 234-35; Delpriori 2006, pp. 43-75; Donnini 2006a, pp. 77-85; Paolucci 2006, pp. 15-21; Papetti 2006, pp. 87-93; Teza 2006, pp. 23-41; Nucciarelli 2008, pp. 126-35.

Provenienza/Provenance Forse Roma, Collegio De Propaganda Fide CittĂ del Vaticano, Pinacoteca

Parco di Monte Cucco: Strada Arceviese Park of Mount Cucco: Strada Arceviese Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.6 Berto di Giovanni Berto o Alberto di Giovanni di Marco: Perugia, documentato dal 1488 - 1529 Ultima cena Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie © 2008. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin

Berto di Marco di Giovanni risulta iscritto all’arte dei pittori a Perugia per il Rione di Porta Sole. La documentazione d’archivio, dove il nome appare come Berto, Alberto o Roberto, secondo le labili norme grafiche dell’epoca, lo rivela un uomo intraprendente, forse dotato di maggiori capacità manageriali che non artistiche. Va d’altra parte riconosciuto che in alcune opere, come il San Giovanni a Patmos della Galleria Nazionale dell’Umbria, pala centrale del polittico un tempo nel monastero femminile cirstercense di Santa Giuliana a Perugia, raggiunge livelli elevati; ancora migliore è la tersa, cristallina Orazione nell’Orto, a Firenze, Collezione Gianfranco Luzzetti, fino a tempi recenti assegnata al Pinturicchio, attribuzione illuminante sulla qualità del dipinto. Il suo senso pratico lo spinge a frequentare i pittori più affermati, come il Perugino e poi Raffaello, a nome dei quali riscuote pagamenti, sbriga affari, stipula contratti, procurando loro commissioni, a cui prende parte. L’esempio più noto e documentato dell’attività a fianco del pittore di Urbino è l’Incoronazione di Monteluce, ora alla Pinacoteca Vaticana, ma in origine nella chiesa perugina di Santa Maria di Monteluce. Berto non solo fu presente alla stipula del contratto, ma fu incaricato di dipingere la predella con Storie della Vergine. Nel 1523, dopo la scomparsa di Raffaello, morto tre anni prima senza aver consegnato la gran pala d’altare, le Clarisse di Monteluce pretesero la conclusione della lunga vertenza iniziata nel lontano 1505; con nuovi patti affidarono il lavoro ai due migliori allievi di Raffaello, Giulio Romano e Gian Francesco Penni, senza però revocare a Berto l’incarico della predella, che di fatto l’artista eseguì e consegnò l’anno successivo. Alla collaborazione con il Perugino si deve forse l’Ultima cena del museo berlinese, la cui vicenda è tipica di quanto poteva accadere ai polittici. Il fatto di trovarli smembrati e divisi fra sedi lontanissime non dipende necessariamente dalle spoliazioni napoleoniche o da analoghi sconvolgimenti provocati da cause esterne. I mutamenti del gusto e la sostanziale eclissi del patrimonio artistico umbro, che non fosse a firma dei geni universalmente riconosciuti, portò molto spesso a sostituire le opere più antiche con altre ritenute di maggior valore o più alla moda; in altri casi il restauro o il completo rifacimento degli edifici religiosi alterò il contesto originario e i polittici, scomposti nelle singole parti, vennero spesso divisi fra luoghi diversi. È quanto accadde alla Chiesa di Sant’Agostino a Perugia, rimasta pressoché intatta nella sua struttura gotica, che alla fine del Settecento fu interessata da un rinnovamento così radicale d’alterarla completamente. Al corredo pittorico della chiesa apparteneva anche una Madonna con il Bambino in gloria fra i santi Nicola da Tolentino, Bernardino da Siena, Gerolamo e Sebastiano, detta anche, dal cognome dei committenti, Pala Tezi, una delle opere della fase centrale e più valida del percorso peruginesco. La tavola centinata principale, eseguita dal maestro forse con l’apporto di Eusebio da San Giorgio, rientrò nelle 76

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demaniazioni delle proprietà religiose e dal 1863 appartiene allo Stato Italiano: ora è esposta a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria. La predella con l’Ultima cena, passata per varie attribuzioni, ma probabile opera di Berto di Giovanni, sottratta alla chiesa in circostanze non chiare, forse durante le spoliazioni napoleoniche, prese una via diversa, per finire in Germania, prima a Francoforte sul Meno e poi a Berlino, nella cui Gemäldegalerie tuttora si trova. Pur non essendoci prove che la vicenda sia andata così, il fatto che la predella sia descritta nel 1784 nella Guida di Perugia di Baldassarre Orsini, ma non ricompaia nel 1822 nell’altra Guida a firma di Serafino Siepi, rende l’ipotesi altamente credibile. È evidente che il formato ridotto e la molto minore notorietà delle predelle rispetto alle parti principali dei dipinti, le rendeva meno riconoscibili e soprattutto molto più facilmente trasportabili, due elementi di forte attrazione per il mercato antiquario e il collezionismo privato; prova ne sia che dello sportello mobile della pala centrale, che raffigurava, sembra, il Redentore si è persa ogni traccia. La predella descrive l’episodio evangelico nella forma che il Perugino aveva già prodotto a Firenze nel Monastero di Sant’Onofrio, chiamato il ‘Cenacolo di Foligno’, perché officiato dalle Suore Terziarie Francescane della Beata Angelina da Montegiove dei conti di Marsciano, la cui casa madre era ed è tuttora il Monastero di Sant’Anna o delle Contesse a Foligno, custode e proprietario per oltre due secoli della Madonna di Raffaello, per sempre legata nel nome alla città umbra. Nella predella, ai lati della scena due targhe di gusto antichizzante, da cui pendono collane tipicamente umbre, riportano due scritte: a sinistra dell’osservatore HOC OPUS FIERI FECIT SER BERNARDINUS S. ANGELI; a destra ANNO SALUTIS MO DO, la stessa data che compare sul lembo del mantello della Vergine a sinistra in basso, nella ricordata pala centrale, scritta in questo caso MCCCCC: un anno d’oro per il maestro di Città del Pieve, il 1500, con due riconoscimenti eccezionali. Concluse la decorazione del Nobile del Cambio e ottenne di potervi apporre l’autoritratto, accompagnato da una scritta altamente elogiativa, che i committenti ritennero giusto far redigere. In una lettera famosa e ultra citata, Agostino Chigi, banchiere del papa e gran mecenate, lo definì il migliore maestro che ci fosse in Italia. La stima, la celebrità e il gran numero di commesse danno una più che logica motivazione al probabile, ma non certo, ricorso agli allievi: dubbio Eusebio da San Giorgio per la pala centrale, quasi certo Berto di Giovanni per la predella, che sotto il diretto controllo del maestro, approdò a un risultato notevole.



2.6 Berto di Giovanni The Last Supper Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie

Berto di Marco di Giovanni was registered as a painter in the Porta Sole quarter of Perugia. In archival documentation he appears as Berto, Alberto or Roberto, according to the shifting nomenclature of the period, and seems to have been an enterprising individual, perhaps acting more in a managerial capacity than as an artist. That being said, some of his work, like the Saint John at Patmos, today in the National Gallery of Umbria but at one time in the Cistercian convent of Santa Giuliana in Perugia, is of high quality: even more so, and attesting to his ability as an artist, is the crystalline Prayer in the Garden in the Gianfranco Luzzetti Collection, Florence, until recently attributed to Pinturicchio, a great compliment to Berto.Berto di Giovanni’s practical sense led him to associate with the most successful artists of his day, first Perugino and then Raphael, from whom he received payments and for whom he facilitated business affairs, negotiated contracts, and procured commissions. The most famous documented instance of his working relationship with Raphael concerns the Coronation of Monteluce, formerly in Perugia in the church of Santa Maria di Monteluce and today in the Vatican Pinacoteca. Not only was Berto present when the contract was finalized but he was also engaged to paint the altarpiece’s predella representing the Life of the Virgin. Raphael’s painting had still not been consigned at the time of his death, and three years later, in 1523, the Poor Clares of Monteluce demanded the completion of the 1505 commission; with new contracts they engaged the services of Raphael’s best students, Giulio Romano and Gian Francesco Penni, without, however, revoking Berto’s original contract for the predella. The artist executed and supplied the predella the following year. An example of Berto’s collaboration with Perugino is the Berlin Last Supper, the history of which is typical of what can happen to polyptychs. The fact that it was dismembered and its various sections widely distributed was not due necessarily to either the Napoleonic stripping of museums and churches or to other similarly devastating external causes. Changes in taste and the substantial disappearance of that part of Umbria’s artistic patrimony not attributable to universally accepted major artists often led to the replacement of older works with others considered to be of greater value or more in style. In other instances, renovation or the complete reconstruction of religious edifices changed the original context for which such works were created, and polyptychs, which were divisible, were taken apart and dispersed. This is what happened in the Perugia church of Saint Augustine, which remained intact in its Gothic configuration until the end of the eighteenth century, when it was altered completely by a total renovation. Among the paintings commissioned for Saint Augustine was the Madonna and Child in Glory among Saints Nicholas of Tolentino, Bernardino of Siena, Jerome and Sebastian, also referred to as the Tezi Altarpiece, after its patrons - a painting belonging to the middle and most important phase of 78

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Perugino’s artistic career. The main panel, executed by Perugino perhaps with the help of Eusebio da San Giorgio, was expropriated from the religious institution and, in 1863, became property of the Italian State; today it is exhibited in the National Gallery of Umbria. The predella which included the Last Supper, attributed to various artists but probably the work of Berto di Giovanni, was removed from the church under unclear circumstances - perhaps during the Napoleonic era - and ended up in Germany, first in Frankfurt and then in Berlin where it is found today. Although this supposition is not documented, the fact that the painting was described in 1784 by Baldasarre Orsini in his Guida di Perugia but does not appear in Serafino Siepi’s Guida of 1822 makes the hypothesis highly probable. It is evident that the painting’s small size, along with the lesser fame of the predella in relation to the altarpiece’s major sections, made it easy to transport and not readily recognizable - two elements which contributed to its particularly attraction for both the antique market and private collectors. Proof of this might be the fact that the altarpiece’s central panel, which apparently represented the Redeemer, has completely disappeared. The predella painting shows the evangelical episode, already addressed by Perugino in his Last Supper of Foligno in the Monastery of Saint Onofrio, Florence. This work is so named because it was commissioned by the Regular Third Order of Franciscan Sisters of the Blessed Angelina da Montegiove of the Marsciano Counts, whose principal residence was and is still the Monastery of Sant’Anna or of the Countesses of Foligno, owners for more than two centuries of the Raphael Madonna, which will be forever tied to the name of this Umbrian city. On either side of the predella are antique-style plaques from which hang typically Umbrian necklaces. These are inscribed on the left HOC OPUS FIERI FECIT SER BERNARDINUS S. ANGELI and on the right ANNO SALUTIS MO DO, the same date that appears on the lower left hem of the Virgin’s mantle in the central painting, in that case written MCCCCC or 1500, a golden year for the Città del Pieve master due to two exceptional successes. He completed the decoration of the Nobile del Cambio (the Perugia Exchange) and was allowed to install his self-portrait there, together with a highly complementary eulogy prepared by his patrons. In a famous and oft-cited letter, Agostino Chigi, wealthy merchant and banker for the Pope, proclaimed Perugino the greatest painter in Italy. The artist’s high esteem and large number of commissions probably, though not certainly, made him rely heavily on his students; although there is some doubt as to whether Eusebio da San Giorgio worked on the central panel, it is very likely that Berto di Giovanni executed the predella painting working under the direct control of his master, achiving remarkable results.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 73-76; Gualdi 1962, pp. 253-67; Camesasca 1969, p. 100, nn. 69-70; Silvestrelli 1988, p. 644; Todini 1989, I, pp. 38-39; II, pp. 582-83, ff. 1349-58; Scarpellini 1991, p. 102, 240, f. 194, 241, f. 195; Tartuferi 1991, p. 82; Sonego 1997, p. 69; Galassi 2004, p. 39, 163, f. 25; Garibaldi 2004b, pp. 270-73.

Provenienza/Provenance Perugia, Chiesa di Sant’Agostino Frankfurt am Main, Veit Sammlung Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie

Firenze: Collezione Gianfranco Luzzetti, Berto di Giovanni, Orazione nell’orto Florence: Gianfranco Luzzetti Collection, Berto di Giovanni, Prayer in the Garden © Archivio Fotografico Franco Ivan Nucciarelli

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2.7 Bonfigli Benedetto Bonfigli: Perugia, documentato dal 1445 - 1496 Annunciazione Madrid, Colección Thyssen-Bornemisza © Museo Thyssen-Bornemisza Benedetto Bonfigli nacque, visse e operò nel rione perugino di Porta San Pietro. Nei suoi dipinti, per evidenti motivazioni affettive, questa zona della città è molto spesso raffigurata con precisione, tale da consentire di riconoscere le emergenze architettoniche principali, come si verifica nella piccola, raffinatissima Annunciazione, appartenente alla Collezione Thyssen-Bornemisza, un tempo a Lugano, dalla fine degli anni Ottanta del secolo passato trasferita a Madrid. L’importante raccolta, ora approdata allo statuto di museo, possiede circa settecentocinquanta dipinti; il numero contenuto, neanche troppo però, trova ampia compensazione nell’altissima qualità delle opere, frutto delle scelte attente del suo fondatore il barone Heinrich von ThyssenBornemisza e di suo figlio Hans, il cui collezionismo è tuttora portato avanti dalla moglie di Heinrich, la baronessa Carmen. Le origini della Collezione Thyssen-Bornemisza risalgono agli anni Venti del Novecento e il trasferimento dei dipinti in Spagna, prima a titolo di prestito, poi di cessione definitiva, si deve all’intelligente politica culturale e turistica, a cui la Spagna si dedica da decenni con eccellenti risultati. Da anni i pezzi più importanti della collezione sono oggetto di esposizioni in prestigiose sedi di vari paesi del mondo, contribuendo in maniera determinante alla notorietà del museo e del paese. Fra le opere più significative c’è questa Annunciazione, a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento concordemente assegnata a Benedetto Bonfigli per l’evidente coincidenza con le opere note e documentate dell’artista, indiscusso caposcuola della pittura perugina, fino all’arrivo del Perugino e al decollo del Pinturicchio. A provare il prestigio di Bonfigli bastano da soli gli interventi nei Palazzi Apostolici Vaticani, non più esistenti, ma ricordati dalle fonti antiche e documentati e la non meno importante commessa ufficiale, che l’artista ricevette dalla municipalità perugina per gli affreschi tuttora visibili nella Cappella dei Priori nel Palazzo Comunale, ora inserita nel percorso museale della Galleria Nazionale dell’Umbria. L’attività in Vaticano lo mise a stretto contatto con le innovazioni diffuse dal Beato Angelico e da Benozzo Gozzoli, del cui influsso le opere di Bonfigli mostrano segni evidenti. Quanto al piccolo dipinto in Spagna, la sua storia antica non è nota. La prima segnalazione dell’Annunciazione bonfigliesca risale al Novecento, quando era nella collezione privata di Thomas Pelham Hood; dopo di che nel 1977 entra nella Collezione Thyssen-Bornemisza. Se la paternità e l’autografia bonfigliesca sono accettate senza contrasti, la data invece offre ancora spazio alla discussione e oscilla fra il 1440 e il 1455; attualmente la tendenza dominante è di collocarla non lontano dall’arco cronologico in cui Benedetto Bonfigli è impegnato nella prima serie dei ricordati affreschi nella Cappella dei Priori. La ravvicinata collocazione cronologica fra il quadretto di Madrid e gli affreschi di Perugia spiega il gran rilievo dato agli edifici in entrambe le opere e il modo sostanzialmente simile di 80

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rappresentarli. Il ruolo protagonista riservato all’architettura è senz’altro uno degli elementi fondamentali del linguaggio figurativo di Bonfigli e ne dichiara le notevoli doti d’originalità e autonomia espressiva. Da questa attenzione per l’architettura consegue che molto spesso i dipinti di Benedetto, al di là dell’accurata tecnica esecutiva e dell’alta qualità formale, presentano un gran valore documentario. Al riguardo è importante osservare che esiste una sezione importantissima dell’urbanistica perugina, irrimediabilmente distrutta negli anni Quaranta del Cinquecento per la costruzione della Rocca Paolina, che ormai sopravvive solo nei suoi dipinti. Nell’Annunciazione di Madrid tutti gli ingredienti del linguaggio bonfigliesco sono presenti. Il paesaggio nello sfondo con il Rione di Porta San Pietro, i suoi campanili e le sue torri mostra una Perugia dal profilo irto di strutture verticali, tipico delle città medievali, ma il senso dello spazio nel dipinto è già pienamente rinascimentale. Il cortile, in cui avviene l’incontro fra Maria e l’Arcangelo Gabriele, in parte è ancora legato a un decorativismo tardo-gotico, raffinato ed elegante, che accompagnerà Bonfigli per tutto l’arco della produzione. Sebbene il pittore non sia insensibile alle innovazioni diffuse da artisti toscani come Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, ma anche Domenico Veneziano, la cui presenza a Perugia è documentata, il fondo più autentico del suo linguaggio resterà l’eleganza cortese, calligrafica e preziosa della pittura tardo-gotica, che troverà un lontano erede nel Pinturicchio, con il quale questo atteggiamento conservatore, ma assolutamente non arretrato, arriverà in forme più evolute ed eleganti fino al secondo decennio del Cinquecento. Nell’Annunciazione di Madrid interessante al riguardo è il fondo oro che dialoga, senza contrasti con gli elementi del paesaggio reale, come gli alberi e gli edifici, un po’ stilizzati, ma accuratamente descritti. La tempera su tavola (51 x 36,5 cm), a parte una rifilatura del lato superiore, si presenta in buone condizioni di conservazione. L’attribuzione trova conferma indiscutibile soprattutto nella tipologia dei personaggi: esili, eleganti, aristocratici, come in tutto il resto della produzione del pittore perugino. Un altro tratto caratterizzante del linguaggio bonfigliesco è l’interesse alla resa accurata di piccoli dettagli decorativi, ininfluenti sul tema del dipinto, per esempio i piccoli codici nei ripiani dello stipo su cui poggia il leggio o l’elegante vaso di vetro lattescente pieno di rose, molto vicino ai vasi del Beato Angelico nel polittico, ora nella Galleria Nazionale dell’Umbria, ma allora nella Chiesa di San Domenico, all’ombra della quale si svolse la gran parte della vita e dell’attività di Benedetto Bonfigli.



2.7 Benedetto Bonfigli The Annunciation Madrid, Thyssen-Bornemisza Collection

Benedetto Bonfigli was born and worked in the Porta San Pietro (Gate of Saint Peter) district of Perugia. Due undoubtedly to his great affection for the area, it is often included in the artist’s paintings with sufficient detail to allow the recognition of specific buildings. Such is the case in the small, highly refined Annunciation, at one time in Lugano but transferred to Madrid in the 1980’s and now in the Thyssen-Bornemisza Collection. Now a museum, this important collection includes around 750 paintings, the limited number more than compensated for by their exceptionally high quality, thanks to the careful selection and taste of the collection’s founder, Baron Heinrich von Thyssen-Bornemisza and of his son Hans, whose astute acquisition activities are now carried on by Heinrich’s wife, the Baroness Carmen. The Thyssen-Bornemisza Collection was begun in the 1920’s, and its transfer to Spain, originally as a loan and then as a gift, owes a great deal to that country’s intelligent cultural and tourist policies, in effect for decades with great success. For years the most important pieces in the collection have been exhibited in prestigious museums worldwide, these loans greatly contributing to the renown of both the museum and of Spain. One such masterpiece is this Annunciation, attributed to Benedetto Bonfigli since the 1970’s on the basis of stylistic comparison with other known and documented works by the artist who was the undisputed head of the Perugia School until the arrival of Perugino and the success of Pinturicchio. For proof of Bonfigli’s exalted position one need look no further than his work in the Apostolic Palaces of the Vatican, no longer extant but recorded in period documents, and the no-less important official commissions like the one from the Perugia municipality for frescoes still visible in the Priori Chapel of the Palazzo Comunale (Town Hall), today part of the National Gallery of Umbria. Bonfigli’s work in the Vatican put him in contact with Fra Angelico and Benozzo Gozzoli, both of whose influence is apparent in his work. The early history of the small painting in Spain is unknown. The Annunciation first surfaced in the private collection of Thomas Pelham Hood in the 20th century and passed into the ThyssenBornemisza Collection in 1977. If its paternity and attribution are unquestioned, the painting’s date remains in doubt, oscillating between 1440 and 1455, though the consensus is that it was done around the time Bonfigli was working on the Priori frescoes. Such dating would explain the same structures appearing in both works and the similar way in which they are rendered. Architecture plays a dominant role in Bonfigli’s pictorial vocabulary, and in this fundamental element he shows great skill and originality. Aside from the artist’s remarkable technical abilities and the high quality of his paintings, the architectural elements he includes provide important documentary information for architectural historians. In the 1540’s a large section of Perugia’s urban landscape was destroyed to make way for the construction of 82

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the Rocca Paolina (the Papal Fort built for Paul III), and that area now exists only in Bonfigli’s paintings. In the Madrid Annunciation, everything characteristic of the artist is included: the landscape in the background and the Gate of Saint Peter, the bell and other towers that give Perugia a strongly vertical skyline so typical of medieval cities, but also a sense of space that is already fully Renaissance. The courtyard in which Mary and the Archangel Gabriel meet is still tied to the elegant and refined decorativism of the late Gothic style which remained part of Bonfigli’s art throughout his career. Although the artist was not unsusceptible to the innovations of Tuscan painters like Fra Angelico and Benozzo Gozzoli or even Domenico Veneziano, whose presence in Perugia is documented, the basis of his style would remain the courtly, calligraphic and precious elegance of late medieval painting which found a distant heir in Pinturicchio with whom this conservative but decidedly not retardant tendency continued to evolve into a highly developed form until 1513. What is interesting in that regard is the gold background of the Madrid Annunciation which comfortably coexists with the highly stylized but accurately depicted trees and buildings. The tempera on panel (51 x 36.5 cm), apart from a trimmed off upper edge, is in good condition. Its attribution is fully confirmed by the figure types: slender, elegant, aristocratic, like all those rendered by the Perugian artist. Also typically Bonfigli is the great attention paid to decorative details irrelevant to the painting’s subject, such as the reading stand resting on a cabinet with shelves containing small codices, or the elegant milk glass vase filled with roses, similar to the ones in Fra Angelico’s polyptych now in the National Gallery of Umbria but originally in the Church of Saint Dominic in whose shadow Bonfigli spent most of his life and career.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 58-62; Settis, Farinella e Agosti 1987, pp. 529-30; Silvestrelli 1987a, pp. 587-88; Toscano 1987a, pp. 366-69; Todini 1989, I, pp. 42-44; II, pp. 342-51, ff. 771-92; Mancini 1992a, pp. 46-47; De Marchi 2004, pp. 212-14; Silvestrelli 2008, pp. 172-73.

Provenienza/Provenance Springmount (Ireland), Thomas Pelham Hood Collection Lugano, Collezione Thyssen-Bornemisza Madrid, Colección Thyssen-Bornemisza

Perugia: Campanile dell’Abbazia di San Pietro Perugia: Bell Tower of the Abbey of St. Peter © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.8 Burri Alberto Burri: Città di Castello PG, 1915 - 1995 Grande Nero Cretto Paris, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou © Photo CNAC/MNAM, Dist. RMN - © Philippe Migeat - Réunion des Musées Nationaux/distr. Alinari Nella vita di molti personaggi destinati a diventare famosi la svolta decisiva, grazie alla quale sono riusciti a mettere perfettamente a fuoco la loro vocazione, è dovuta a situazioni al limite, realtà insopportabili o eventi fortemente traumatici, come la reclusione. Davanti al crollo delle certezze, alla perdita del centro, alla privazione della libertà sembra che l’uomo riesca a guardare dentro di sé finalmente senza schermi o ipocrisie. Alla prigione e alla malattia seguite alla guerra fra Assisi e Perugia si deve la conversione di san Francesco. Nelle carceri dei pirati barbareschi, dove finì Miguel de Cervantes, nacque la primitiva idea del Don Chisciotte. Le pagine più ispirate della Vita di Benvenuto Cellini infine furono scritte nelle segrete di Castel Sant’Angelo. Non sfuggì a questo destino nemmeno Alberto Burri: la sua conversione totale e irreversibile alla pittura ebbe quasi certamente inizio durante la reclusione in un campo di concentramento a Hereford nel Texas, dov’era finito, dopo essere stato fatto prigioniero dagli Inglesi in Tunisia e consegnato agli Americani, durante la Seconda Guerra Mondiale. Dell’esotico paese degli Stati Uniti, così diverso dal sereno paesaggio dell’Alta Valle Tiberina, l’artista si ricorderà in almeno un dipinto intitolato appunto Texas, olio su tela (47 x 60,5 cm) firmato e datato 1945, appartenente a una collezione privata romana e ritenuto il suo più antico dipinto pervenuto. Il Texas è presentato come una desolata sinfonia in rosso maggiore, desertico e riarso dal sole, visto dagli occhi di un prigioniero. In guerra era entrato come ufficiale medico, data la laurea in Medicina e Chirurgia, conseguita all’Università di Perugia, proprio in pieno periodo bellico, nel 1940. La prigionia durò diciotto mesi e in quella condizione innaturale Burri, che era nato a Città di Castello nel 1915, con l’energia di chi è nel fiore degli anni e guarda al futuro con fiducia, cominciò a dedicarsi a una pittura innegabilmente decorativa, ma al cui interno già sono chiare certe tendenze destinate a diventare dominanti nel suo linguaggio figurativo: l’estrema semplificazione della forma, la libertà della composizione e l’autonomia del colore. Una volta libero e rientrato in Italia, l’artista umbro, proprio per rendere irreversibile il suo sganciamento dal passato, non solo abbandonò la professione medica, ma si trasferì a Roma, facendo della pittura la principale, se non l’unica attività, che lo accompagnò per il resto della vita. Non molti anni dopo, fra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, Alberto Burri dà inizio alla sperimentazione materica, che gli varrà una posizione riconosciuta e consolidata nel panorama artistico nazionale e internazionale. Un aspetto dominante del suo linguaggio, comune a un numero considerevole di artisti contemporanei, è il rapporto con la materia, fortemente differenziato da quello degli artisti dei secoli passati. La materia per l’artista di Città di Castello ha un suo valore autonomo e non subalterno ai valori formali, che restano comunque l’obiettivo primario dell’arte. Inoltre, un oggetto, che sul piano dell’utile abbia perso la sua funzione, un rifiuto addirittura, per volontà dell’artista può recuperare valore sul piano dell’immaginario. Ecco che perfino i sacchi di plastica, bruciati con la 84

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fiamma ossidrica, possono rivelare insospettate possibilità espressive e forse proprio nell’intuizione delle possibilità estetiche di un oggetto o di un materiale risiede la prima dote degli artisti d’ogni tempo e paese. Per Burri queste potenzialità sono insite in materiali considerati comunemente vili, già da nuovi e totalmente privi del benché minimo valore una volta usati e gettati via. In altri casi invece è l’osservazione della natura, l’antica scuola degli artisti, a suggerire soluzioni formali innovative. L’armonica tessitura quasi geometrica dei cretti, prodotti dalla creta bagnata sulle sponde dei fiumi e poi prosciugata dal ritirarsi dell’acqua, suggerisce a Burri gli omonimi prodotti, di cui è pieno il suo catalogo. A questo filone tematico-formale appartiene una delle più azzardate e riuscite operazioni dell’artista: i Cretti di Gibellina, la località siciliana colpita da devastanti eventi sismici. La forza distruttrice della natura offre all’artista il destro per un intervento di smisurate dimensioni, una vera e propria opera di land art, che copre e trasforma un’ampia superficie all’aria aperta. Obbedendo alla sua logica di strutturazione primaria ed essenziale, Burri crea un moderno labirinto da secolo XX, le cui dimensioni da sole sono fuorvianti per la ricerca d’una direzione e d’una funzione. Il dominante rigore geometrico, che Burri condivide con Afro, fra i due esisteva una salda relazione d’amicizia e reciproca comprensione critica, rivela l’ineliminabile legame con la tradizione, ma anche la decisa opposizione a un’arte facile e mercificata. Svela infine la radicata convinzione nelle possibilità espressive insite nella materia, che il rigore formale non può che esaltare. Il complesso intervento a Gibellina ripropone gli spazi precedenti la distruzione del terremoto, dedicati alle varie funzioni urbane, in una sorta di raggelata visione apocalittica, come le città maledette della Bibbia e i loro fantomatici personaggi trasformati in statue di sale. Su scala molto più contenuta e restituita alla soluzione tradizionale della superficie dipinta e incorniciata, analoghe considerazioni valgono per Grande Nero Cretto eseguito nel 1977 e nell’anno seguente approdato all’importante museo parigino dedicato all’arte degli ultimi tempi, per donazione dell’autore. L’opera - acrovinilico su cellotex 151,5 x 251,4 cm - presenta un molto sorvegliato rigore formale, che le conferisce un inatteso classicismo; sul retro porta la scritta Burri 77. L’assoluto monocromo e la scelta del nero, quasi una deliberata rinuncia al colore in favore dei valori tattili, permette di leggere perfettamente la sottile trama dei cretti, più densi in alto e sempre più radi scendendo verso il basso, fino a proporre una superficie perfettamente levigata. Il progressivo diradamento dei cretti, fino alla scomparsa, introduce nell’opera il movimento, uno dei grandi e mitici obiettivi di molte tradizioni pittoriche, di fatto solo in casi speciali, come in questo, effettivamente raggiunto. Nel Grande Nero Cretto è contenuto un messaggio nascosto, ma percepibile: guardato dal basso verso l’altro crea l’impressione d’una simbolica marcia dalle tenebre verso la luce e di una progressiva liberazione dalla materia.



2.8 Alberto Burri Large Black ‘Cretto’ Paris, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou

In the life of many of those who are destined to become famous, the turning point that gives impetus to their future vocation is one of adversity, limitations, or traumatic and insufferable events like imprisonment. Faced with the collapse of certainty and the loss of one’s identity and freedom, it seems that man succeeds in an introspection stripped of defenses or hypocrisy. The conversion of Saint Francis followed the illness and incarceration he suffered in the war between Assisi and Perugia. In the dungeons of barbarous pirates, where Miguel de Cervantes ended up, was born the initial story line of Don Quixote. And finally, the most inspired pages of Benvenuto Cellini’s Autobiography were written in the bowls of Castel Sant’Angelo. Such was also the fate of Alberto Burri: his complete and irrevocable conversion as a painter transpired during his retention as a prisoner in World War II, first in Tunisia at the hands of the English and then in Hereford, Texas following his consignment to the Americans. The harsh landscape of the American State, so different from the serene countryside of the Upper Tiber Valley, was recorded by the artist in at least one painting entitled Texas (oil on canvas, 47 x 60.5 cm), signed and dated 1945, today in a private collection in Rome and believed to be Burri’s first artwork. The state of Texas is represented as a desolate symphony in red major, a desert dried by the sun, seen through the eyes of a prisoner. Burri, born in Città di Castello in 1915, entered the war as a doctor, having received his degrees in medicine and surgery from the University of Perugia in 1940, at the beginning of the war. His prisoner of war experience lasted 18 months and in this unnatural environment, removed from an energetic life full of hope for the future, Burri began to devote himself to an undeniably decorative approach to painting, but one in which certain tendencies were already clear that would become hallmarks of his style: an extreme simplification of forms, unstructured compositions and an autonomous use of color. Once freed and returned to Italy, the Umbrian artist broke entirely with his past, not only abandoning medicine forever but moving to Rome where painting became his principal if not sole activity - one to which he would remain true for the rest of his life. Between the late 1940’s and early 1950’s, Burri began experimenting with various media. the results of which would lead to his eventual recognition as an artist both nationally and internationally. A dominant aspect of his art, not uncommon with a number of contemporary artists, is his rapport with his materials, which strongly differentiates him from artists of the past. For this Città di Castello artist, the chosen medium has a value of its own, not subject to formal considerations which, nonetheless, remain the primary objective of art. He believed that an object of use that has lost its usefulness and thus become discardable, can, through artistic manipulation, recover its imaginative value. Thus we find plastic containers, burned with a blowtorch, revealing unexpected expressive possibilities, and the idea that perhaps the intuition of the aesthetic possibilities of an object or of particular materials is the true concern of artists of all places and times. For Burri, these possibilities were found 86

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in materials generally considered despicable even when new, and of no value whatsoever once they were used and thrown away. In other cases it is in his observations of nature, a traditional artistic concern, that Burri found innovative formal solutions. The harmonic, almost geometric woven pattern of the ‘cretti,’ produced when clay on river banks is wetted and then dries, cracking as the water in it evaporates, suggested to Burri namesake products, such as those that make up much of his oeuvre. Belonging to this particular thematic group is one of the artist’s most risky and successful ventures: the ‘Cretti’ of Gibellina, a Sicilian locality ravished by devastating seismic events in 1968. The destructive forces of nature offered the artist an opportunity of immeasurable proportions - a veritable work of ‘land art’ that covered and transformed an enormous outdoor surface. Following his belief in the primary and essential structure of matter, Burri created a modern 20th century labyrinth, the sole dimensions of which defy the search for direction and function. The dominant geometric rigor, which Burri shared with Afro, an artist with whom he had a solid friendship and enjoyed critical exchanges, reveals an undeniable tie to traditional art but also a decisive opposition to art that is ‘easy’ and marketable, along with a fundamental belief in the inherent expressive possibilities of materials themselves, which such formal rigor can only exalt. The complex artistic intervention at Gibellina suggested the urban landscape of the city and its various civic functions prior to its destruction by the earthquake in a kind of frozen apocalyptic vision, like the cursed city in the Bible with its citizens turned into statues of salt. The same considerations were applied on a much smaller scale and one more in line with the traditions of painted and framed surfaces in Burri’s Large Black Cretto, created in 1977 and donated by the artist the following year to the National Museum of Modern Art in Paris. This work (acrylic on cellotex and measuring 151.5 x 251.4 cm) is characterized by a strict formal rigor imbuing the painting with an unexpected classicism; on the back is the inscription Burri 77. The work is absolutely monochromatic, with the choice of black an apparently deliberate renunciation of color in favor of tactile values, thus permitting the viewer to focus on the subtle crack patterns of the surface - denser and deeper at the top and becoming fewer and less distinct towards the bottom, finishing in a perfectly smooth surface. This progressive diminution, and eventual disappearance of the cracks introduces movement into the work, one of the great and mythic objectives in much of traditional painting though rarely successfully achieved, as it is here. There is a message, hidden but perceptible, in Large Black ‘Cretto’: viewed from the bottom up, it creates the impression of a symbolic march from darkness towards the light and a progressive liberation from the material.


Bibliografia/Bibliography Villa 1959; Crispolti 1961; Sweeney 1963; Calvesi 1971; Sarteanesi 1990, p. 12, n° 1, p. 250, n° 1080; La Monica 1991; Pirovano 1991; Negri e Pirovano 1993, pp. 210-23; S. a. 1993, pp. 643-44; Crispolti 1994, pp. 34, 92, 99, 141; Pirovano 1994, pp. 13, 16.

Provenienza/Provenance Città di Castello, Collezione dell’autore Paris, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou

Città di Castello: Alberto Burri, Scultura en plein air Città di Castello: Alberto Burri, Sculpture en plein air © Archivio Fotografico Regione Umbria

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2.9 Camassei Andrea Camassei: Bevagna PG, 1602 - Roma, 1649 Giunone sul carro trainato dai pavoni Wien, Kunsthistorisches Museum © Kunsthistorisches Museum mit MVK und ÖTM Figura interessante Andrea Camassei, nato a Bevagna nel 1602 e scomparso a Roma nel 1649, sia per il ricco corredo di opere prodotte per alcune località umbre, in primo luogo la città natale, sia per la consistente attività romana, tuttora visibile in sedi più che prestigiose. Il percorso romano, malgrado non poche difficoltà e grossi dispiaceri, fu comunque coronato dal successo, se dell’Accademia di San Luca Camassei diventò principe e ottenne importanti commesse dai Barberini, nel momento della loro egemonia durante il pontificato di Urbano VIII, ma anche da altre grandi famiglie romane. La prima formazione artistica va senz’altro collocata nella bottega di Ascensidonio Spacca, detto il Fantino (1560 circa - 1646), suo concittadino, di cui però il giovane Andrea dovette subito intuire i limiti, tanto da convincere la famiglia a inviarlo a Roma, dove entrò nella bottega del Domenichino. Sebbene ben presto si sia distaccato dal maestro bolognese, il fondamentale classicismo di quell’ambiente, lo contrassegnerà per tutta la produzione, anche se la preponderante presenza negli stessi anni e, per di più negli stessi ambienti, di Pietro da Cortona, lo porterà a un’inevitabile collusione con la cultura barocca, di cui il cortonese, favorito dall’incondizionato appoggio dei marchesi Sacchetti, gli onnipotenti banchieri della corte pontificia, era il gran divulgatore. Del resto la generale tendenza dell’epoca a rivalutare il colore, secondo i principi della pittura veneta, il senso della scenografia e della magniloquenza in molti casi rendono il confine fra Classicismo e Barocco labile. Nella produzione di Camassei, fino a non molto tempo fa trascurato dagli storici dell’arte, ma ormai da tempo oggetto di una più che meritata rivalutazione, si registrano importanti dipinti di soggetto religioso e affreschi monumentali, destinati ad alcuni fra i principali palazzi e chiese di Roma. Accanto a questa produzione, per così dire, istituzionale, Camassei si dedicò anche a dipinti di piccolo formato, molto graditi alla committenza privata, fra le cui file ormai il collezionismo era diffuso e profondamente radicato. A questo filone appartiene il piccolo dipinto a olio su tela (34 x 50 cm), che raffigura un soggetto mitologico: Giunone sul carro trainato dai pavoni. È noto che sul piano dell’arte la vittoria del Cristianesimo sulle religioni pagane non fu totale: miti e leggende dell’antichità classica, sebbene a un’osservazione superficiale possano sembrare conflittuali con il mondo cristiano, in realtà costituirono un repertorio intramontabile, a cui gli artisti continuarono ad attingere, quali che fossero le loro forme del pensiero. L’esempio più celebre senza confronti è offerto dal romanzo di Apuleio, l’Asino d’oro e in particolare da quella sorta di inarrivabile romanzo nel romanzo, rappresentato dalla Favola di Amore e Psiche, che dal II secolo d.C. accompagna senza soluzione di continuità la cultura occidentale da sant’Agostino e altri pensatori cristiani, fino ad arrivare, attraverso le rivisitazioni settecentesche puramente edonistiche, alla ricomparsa nel 1990 in un inquietante dipinto di Enrico Baj e 88

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nell’ancora più recente libro d’uno scrittore arabo. A rilanciare i soggetti classici e in particolare i miti, contribuì indirettamente e suo malgrado anche la Controriforma. Imponendo rigidi dettami sui modi e sulle forme delle raffigurazioni religiose, fece sì che gli artisti cercassero altri terreni, dove la censura delle autorità poteva essere elusa. Al contempo non tutti i collezionisti erano disposti a vedersi circondati di sole opere sacre e così i soggetti profani, ritratti, paesaggi, nature morte, testi letterari e mitologici, incontrarono un sempre crescente favore. Il piccolo formato e la piacevolezza del tema trattato inoltre rendevano questi dipinti particolarmente apprezzati, come prova la loro gran mobilità nel circuito collezionistico. Di fatto la Giunone sul carro di Camassei è da sempre in questo circuito: risulta infatti segnalata già nel 1659, a soli dieci anni dalla morte dell’autore, in proprietà dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Austria, già con l’attribuzione al vero autore. La circostanza merita d’essere sottolineata: indica l’apprezzamento dell’alto collezionismo verso il pittore e attesta che Camassei già nel Seicento era figura nota al di fuori dell’Italia. Studi a noi più vicini la davano per perduta o nascosta in sede sconosciuta; quando è ricomparsa, è stata assegnata ad Andrea Sacchi, il pittore di tre anni più anziano, che di Camassei fu compagno d’arte e vita, tanto che fra i due esistono analogie, tali da giustificare la confusione attributiva. Recenti analisi più attente hanno restituito la Giunone, approdata al massimo museo austriaco, al pittore di Bevagna. Il soggetto è noto: Giunone, dopo che il suo fedele servitore Argo era stato ucciso da Mercurio, lo trasformò in pavone, che ha la coda disseminata di occhi, a ricordo del mitico guardiano dei buoi divini, famoso per la sua ineludibile vigilanza, resa possibile da un gran numero di occhi. La piccola tela è probabile facesse parte di una serie di quattro. Soprattutto fra Cinquecento e Seicento andavano di moda decorazioni ad affresco o dipinti su tela, che rappresentavano i quattro Dèi maggiori, che coincidevano con i quattro elementi: Giove-Zeus il fuoco, Giunone-Hera l’aria; Nettuno-Posidone l’acqua; Cerere-Demetra la terra, come si vede per esempio, sempre per restare a Roma, in due diversi saloni di Palazzo Borghese. Vista la gran dispersione delle opere di Camassei in vari paesi d’Europa, legata al suo successo nel mondo del collezionismo, non è escluso che le altre tre tele possano riaffiorare con il tempo. La Giunone, nel museo viennese tuttora attribuita ad Andrea Sacchi, presenta tutti i tratti del classicismo: l’aspetto maestoso e monumentale, l’abbigliamento all’antica, il carro decorato con motivi antichizzanti, i pavoni protocollari e in più l’arcobaleno, Iride, la messaggera di tutti gli Dèi, ma in particolare associata alla figura dell’antica regina dei cieli.



2.9 Andrea Camassei Juno on a Chariot Drawn by Peacocks Vienna, Kunsthistorisches Museum

Andrea Camassei, who was born in Bevagna in 1602 and died in Rome in 1649, is an interesting figure for the numerous works he produced in Umbria - primarily in the city of his birth - and in Rome, where his paintings may still be found in some of that city’s most prestigious locales. Despite many early hardships and disappointments, Camassei’s roman period culminated in great success: he was named Prince of the Academy of Saint Luke and received important commissions from the Barberini, at the time when one of their own ruled the Church as Urban VIII, and from other esteemed roman families. His early training and thus the earliest influence on his style was in the workshop of Bevagna’s Ascensidonio Spacca, known as il Fantino (ca 1560 - 1646), where Camassei was quick to realize the limitations of this relationship. He convinced his family to send him to Rome, where he entered the workshop of Domenichino. Although he shortly detached himself from the great Bolognese master, the classical precepts of that ambience remained with Camassei throughout his career, despite the inevitable collusion with baroque culture and the preponderant baroque style which coexisted with classicism in Rome during those same years, popularized by Pietro da Cortona, the favorite painter of the Marquises Sacchetti, the powerful bankers for the papal court. In fact, the general artistic tendency of the period to reevaluate color according to the principles of Venetian painting and the emphasis on the theatrical and grandiloquent render a distinction between Classicism and Baroque somewhat hazy. Camassei’s production, until recently overlooked by art historians but now the subject of much deserved attention, includes important religious paintings and monumental frescoes, destined for several of Rome’s more important churches and palaces. Along with such large-scale work, Camassei also produced smaller paintings for the private sector, where their collection was widespread and deeply rooted. To this group of works belongs the small oil on canvas (34 x 50 cm) representing the mythological subject Juno in a Carriage Drawn by Peacocks. It should be noted that in art the triumph of Christianity over paganism was never total: myths and legends from classical antiquity, which at first glance might appear in conflict with the Christian world, actually represent an enduring repertoire from which artists continued to draw when such subjects met their needs. The greatest example of this is found in Apuleio’s novel The Golden Ass and in the novel within that novel represented by the Fable of Love and Psyche, which endured from the 2nd century A.D., alongside the western culture of Saint Augustine and other Christian theologians, through its eighteenth-century hedonistic revival, down to its evocation in 1990 in a disturbing painting by Enrico Baj and more recently still in the writings of a renowned Arab author. Re-launching classical subjects and myths in particular was an indirect result of the Counter-Reformation. The Church’s imposition of strict dictates on the acceptable manner 90

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and form of religious representation led artists to seek other outlets for their work where such restrictions could be avoided. At the same time not all patrons were interested in surrounding themselves solely with religious subjects, and thus profane themes, portraits, landscapes, still lives, literary and mythological subjects gained increasing favor. The small format and pleasing subject matter made such works particularly popular, as confirmed by their marked mobility among collectors. Camassei’s Juno has always been part of this circuit: in 1659, just ten years after the artist’s death, it is recorded as belonging to Archduke William Leopold of Austria and by Camassei’s hand. This is important, in that it indicates the esteem with which this artist was held by such major collectors and that already in the 17th century he was known outside Italy. More recent scholarship failed to reveal the whereabouts of this painting, and when it did surface, it was attributed to Andrea Sacchi, three years Camassei’s senior, his art and life companion, and an artist whose work is similar enough to Camassei’s to justify the confusion. Recent thorough analyses, however, have restored the work, now in Austria’s premier museum, to the Bevagna artist. The subject is familiar: Juno, following the murder by Mercury of her faithful guardian, Argus, transformed him into a peacock; Argus had many eyes and never slept, so Juno put a great number of eyes on the peacock’s tail feathers, recalling her guardian. It is possible that this small painting was one of four. Between the 16th and 17th centuries, series depicting the four major gods as the four elements, were frequently executed in fresco or in oil on canvas: Jove-Zeus as Fire, Juno-Hera as Air, Neptune-Poseidon as Water, Ceres-Demeter as Earth, as exemplified by the decoration in two different halls in the Borghese Palace. Considering the great dispersion of Camassei’s work throughout Europe, thanks to his considerable success among collectors, it is not impossible that the other three canvases might reappear in time. The Juno, in Vienna’s Kunsthistorisches Museum where it remains attributed to Sacchi, is filled with hallmarks of Classicism: its majestic and monumental character, the antique style of the clothing and carriage decoration, the formal peacocks and finally the rainbow, Iris, messenger of the gods, but more specifically associated with the antique queen of the sky.


Bibliografia/Bibliography Noack 1911, col. 426; Di Domenico Cortese 1968, p. 298, nota 39; Sutherland Harris 1970, p. 68; 1988, pp. 52-53; Barroero 1989, p. 663; 2005, pp. 11-20; Nessi 2005, pp. 21-253.

Provenienza/Provenance Wien, Erzherzog Leopold Wilhelm von Absburg Sammlung Wien, Kunsthistorisches Museum

Bevagna: Teatro Comunale Francesco Torti Bevagna: Communal Theatre Francesco Torti Š Archivio Fotografico Regione Umbria

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2.10 Cerrini Gian Domenico Cerrini, detto il Cavalier Perugino: Perugia, 1606 - Roma, 1681 La Maddalena in preghiera Paris, Musée National du Louvre © RMN / Gérard Blot/distr. Alinari In un passo magistrale del Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa evoca con grande abilità quella sorta di segreta mutazione alchemica, che si ripete incredibilmente in casa del principe di Salina durante la recita quotidiana del rosario, quando nell’atmosfera d’intensa meditazione creata dalla preghiera le cose, pur non mutando il loro aspetto esteriore, assumono valenze del tutto diverse da quelle usuali. Così “perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente, anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre”. L’autore del Gattopardo, anche se difficilmente poteva avere davanti agli occhi la versione della Maddalena in preghiera del Louvre a firma di Gian Domenico Cerrini, doveva fare riferimento a una delle tante declinazioni del tema, che insistevano sull’aspetto sensuale, per non dire erotico, della donna, molto diffuse nella pittura italiana ed europea a partire dalla seconda metà del Cinquecento e particolarmente frequenti nel secolo successivo. A seguito della Controriforma, la Chiesa Romana aveva imposto regole rigide nelle raffigurazioni di carattere religioso; pertanto ogni elemento troppo umano era severamente proibito nei dipinti destinati ai luoghi di culto. Per i quadri a destinazione privata invece, le cose andavano in maniera molto diversa. Nel chiuso delle abitazioni, soprattutto quelle appartenenti alle alte sfere economiche e sociali, molte restrizioni non avevano corso legale e gli unici a decidere erano il committente e in seconda battuta l’artista che, nello spazio privato, non si sentivano vincolati all’osservanza dei dettami controriformati. Un esempio vistoso di questa radicale differenza, fra le opere esposte nelle chiese e le opere destinate ai privati, è offerto da uno dei saloni più importanti di Palazzo Farnese a Roma. Sotto la cappa della Controriforma durante il pontificato dell’intransigente Clemente VIII, Annibale Carracci per il cardinale Odoardo Farnese poteva dipingere in piena libertà gli amori degli Dèi pagani, soggetti, se non proprio lascivi, comunque non devozionali. Questo atteggiamento mentale libertario trova conferma anche nella riflessione teorica del tempo, per esempio il trattato d’iconologia di Cesare Ripa, pubblicato alla fine del Cinquecento e in gran voga per tutto il secolo successivo, ammetteva che la Maddalena fosse raffigurata seminuda o coperta di abiti succinti, come compare nelle opere di vari pittori. Sta di fatto che la santa ebrea è il soggetto di molti dipinti, soltanto nel catalogo di Gian Domenico Cerrini, oltre alla versione del Louvre, oggetto di questa scheda, se ne ricordano altre due, una ad Amsterdam nel Rijkmuseum e un’altra a Madrid nel Museo del Prado. A queste tre, ad attestare la popolarità del tema e il suo apprezzamento da parte dei collezionisti, va aggiunta almeno una copia conservata al Musée de Langes e forse un’altra ancora citata dalle fonti nell’abitazione romana di Cerrini, a meno che quest’ultima non coincida con quella oggi al Louvre, qui esaminata, come qualche studioso fondatamente suppone. Il momento dell’approdo in Francia 92

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non è documentato, ma si pensa sia avvenuto in età napoleonica, quando oltre alle asportazioni ufficiali, programmate dal governo francese e spesso registrate nei documenti, un numero imprecisato di opere private fu immesso più meno volontariamente nel circuito antiquario, dove i piccoli formati e i soggetti laici erano particolarmente apprezzati. Il dipinto in esame, un olio su tela (148 x 105 cm), prima di approdare al Louvre, fu ospitato nel castello di Maison-Lafitte dal 1912 al 1919 e poi ancora dal 1944 al 1967. All’arrivo in Francia il quadro era ritenuto di Annibale Carracci: l’attribuzione, difficilmente sostenibile, si spiega con il fatto che l’opera con gran probabilità era di provenienza sconosciuta e senza paternità, ma soprattutto per gli elementi vagamente bolognesi, non desunti dai Carracci però, quanto da Guido Reni, un vero e proprio punto di riferimento per Gian Domenico Cerrini, come dimostrano vari dipinti. L’assegnazione al catalogo del ‘Cavalier Perugino’ avvenne solo nel 1925 a opera di Roberto Longhi e d’allora non è più stata messa in discussione. Se l’autografia del pittore non è oggetto di dubbio, pareri diversi si registrano quanto alla sua collocazione cronologica. Si passa dal 1642 circa, proposto da chi vede Cerrini attratto dal linguaggio di Giovanni Francesco Romanelli, viterbese, ma fra i protagonisti della pittura romana a quei tempi, agli inizi degli anni Cinquanta, senza che nessuno abbia finora prodotto elementi dirimenti, per cui la questione resta aperta. Nel dipinto la santa è raffigurata un po’ più che a mezza figura, con lo sguardo rivolto verso la croce rudimentale appoggiata alla sua sinistra contro una parete di roccia, che sembra l’ingresso a una caverna. Accanto c’è il libro aperto, dalla cui lettura la Maddalena sembra essersi appena distolta. La linea dell’orizzonte piuttosto bassa fa sì che la figura della santa, colpita da una forte luce proveniente dall’alto a destra, domini completamente lo spazio figurativo. La cosa che salta agli occhi però è l’abbigliamento: al di sotto del mantello rosso spento, in pieno accordo con i colori bassi e polverosi dell’intero dipinto, la santa indossa un abito bianco rosato, che le lascia completamente scoperti i seni, non occultati neanche dai capelli, non abbastanza lunghi per coprirli. Una soluzione insolita che l’avvicina molto alle figure femminili profane largamente presenti nel catalogo di Cerrini, ad attestare la progressiva laicizzazione del tema, la perdita della connotazione religiosa e la sempre maggiore enfasi posta sui valori formali, in totale indifferenza del dettato iconografico.



2.10 Gian Domenico Cerrini The Praying Magdalene Paris, Musée National du Louvre

In a skillfully written passage in The Leopard, Giuseppe Tomasi di Lampedusa evokes the sort of secret alchemical changes that repeatedly transpired in the home of the Prince of Salina during the daily recitation of the rosary when, in an atmosphere of intense meditation created by prayer, things, while remaining unchanged physically, took on an unusual meaning. Thus “even the Magdalene, between the two windows, looked more like a penitent than a beautiful blond woman, lost in who knows what dreams, as she usually did”. Although it is hard to imagine that the author of The Leopard had before him Gian Domenico Cerrini’s painting of The Magdalene, today in the Louvre, he could easily have been referring to one of any number of variations on this theme in Italian and European painting, from the second half of the 16th century and particularly frequent in the following one, which emphasized the sensual if not erotic aspect of the woman. In the wake of the Counter-Reformation, the Roman Church had imposed rigid guidelines concerning the representation of religious subjects; in that regard, any elements that were too ‘human’ in nature were prohibited in works destined for ecclesiastical sites. With works produced for private use, however, things were quite different. In the privacy of one’s home, particularly those belonging to members of the elite, such restrictions did not apply, and such decisions were left to the artist and his patrons. A well-known example of this difference between artworks on view in churches and those created for private use is found in one of the most important rooms in Rome’s Palazzo Farnese. Under the cloak of the Counter-Reformation and during the pontificate of the intransigent Pope Clement VIII, Annibale Carracci was able with impunity to paint for Cardinal Odoardo Farnese the Loves of the Pagan Gods, subjects perhaps not actually lascivious but hardly devotional. This libertarian mental attitude was confirmed in theoretical writings of the time, such as the iconological treatise by Cesare Ripa published at the end of the 1500’s and popular throughout the entire following century wherein the Magdalene is represented as seminude or scantily clad, as she appears in the works of various artists. This Jewish saint was the subject of many paintings: in Cerrini’s work alone, three versions are known - the present example in the Louvre, another in Amsterdam’s Rijksmuseum, and a third in the Prado Museum, Madrid. To these three, and further testimony to the popularity of such an image, is a copy conserved in the Musee de Langes and possibly another that was cited as being in Cerrini’s Rome residence, and research suggest that this might be the present version today in the Louvre. The circumstances surrounding The Praying Magdalene’s arrival in France are unknown, but it is believed to have occurred during the Napoleonic era when innumerable works of art were officially imported and registered while others of a more private nature were more or less voluntarily put into the art market where their small format and 94

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profane subject matter made them particularly appealing. Before going to the Louvre, the present painting, oil on canvas and measuring 148 x 105 cm, was kept in the Maison-Lafitte Castle between 1912 and 1919, and again from 1944 until 1967. When it first reached France it was thought to be by Annibale Carracci: the unlikely attribution might be explained by the fact that the work’s ownership and provenance were unknown but more to the point for its vaguely Bolognese elements which, however, relate less to Carracci than to Guido Reni who actually was an influence on Gian Domenico Cerrini, as demonstrated in a number of his paintings. It wasn’t until Roberto Longhi’s 1925 catalogue that the ‘Cavalier Perugino’ was mentioned as the Magdalene’s creator, and this has remained unchallenged. But while Cerrini’s authorship is certain, there are diverse points of view concerning its date which range from around 1642, proposed by those who see in it Cerrini attracted to the style of Viterbo artist Giovanni Francesco Romanelli, among the central figures of Roman painting at that time, to the early 1650’s. Neither supposition is supported by documentation, and the question remains open. The saint is represented in three quarter figure, with her gaze directed towards a cross leaning against a rock wall on her left that appears to be a cave entrance. Next to her is an open book from which she seems to have just looked away. The rather low horizon line allows the figure of the saint, strongly illuminated by a light coming from the upper right, to completely dominate the picture plane. What commands attention, however, are her garments: beneath a dull red mantle which is in keeping with the soft, muted tones of the entire painting, the Magdalene wears a whitish-pink dress which leaves her breasts entirely exposed. Even her long tresses are insufficient to cover her nudity. This unusual depiction of a saint is nonetheless close to Cerrini’s handling of women in his profane paintings, indicating the growing secularization of the Magdalene theme, the loss of the figure’s religious connotations and the increasing emphasis on formal pictorial values over iconographic dictates.


Bibliografia/Bibliography Borea 1978, p. 9; Mancini 1980, p. 19; Brejon de Lavergnée e Thiébaut 1981, p. 166; Fischer Pace 1989, pp. 866-67; Sapori 1989, pp. 688-89; Bernardini 1991, p. 58; Mancini 1992b, p. 124; Aikema 1997, n. 48; Brejon de Lavergnée 2005, pp. 136-37.

Provenienza/Provenance Forse Roma, Collezione dell’autore Château de Maison-Lafitte Paris, Musée National du Louvre

Perugia: Palazzo Baldeschi al Corso Perugia: Palazzo Baldeschi al Corso © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.11 Dottori Gerardo Dottori: Perugia, 1884 - 1977 Esplosione di rosso su verde London, Tate Gallery © The estate of Gerardo Dottori/Tate, London 2008 Fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, la pittura a Perugia e in Umbria era dominata dall’Accademia di Belle Arti in mano a personalità tendenzialmente tradizionaliste: prova ne sia il mancato conferimento della cattedra ad Armando Spadini, ritenuto dalla cultura ufficiale perugina troppo all’avanguardia. A disperdere quest’atmosfera passatista, legata a concezioni dell’arte, che pur avendo avuto i loro momenti di poesia erano ormai superate, contribuirono in maniera determinante i soggiorni fuori dall’Umbria di alcuni giovani artisti, non ultimo Gerardo Dottori, nato a Perugia nel 1884 e scomparso nel 1977. I primi passi nel mondo della pittura Dottori tuttavia li mosse nell’Accademia di Belle Arti della città natale. Orfano di madre e di modeste condizioni economiche, allo studio dovette affiancare vari lavori. In uno a lui particolarmente congeniale, la decorazione di stanze, raggiunse ben presto una non comune abilità, che gli permise nel 1906 di trasferirsi a Milano, dove realizzò varie decorazioni murali in ville e palazzi. Fu proprio il soggiorno milanese, breve purtroppo perché interrotto dal diminuire delle commissioni, a mettere il giovane pittore in contatto con le tendenze artistiche innovative, che in Italia e in Europa si stavano affermando, con le quali anche dopo il ritorno a Perugia si mantenne collegato, prendendo decisa posizione contro il mondo accademico perugino, che comunque continuò a frequentare per perfezionare i suoi studi. Il salto grosso avvenne quando aderì al Futurismo, al quale restò fedele per sempre. Nel 1929 firmò il Manifesto dell’Aeropittura e continuò a essere un futurista, ben oltre la durata storica del movimento, fino alle ultime prove e come pittore futurista è ormai universalmente classificato. L’aeroplano aveva trasformato in realtà uno dei grandi sogni dell’uomo. Il desiderio di volare, inseguito nei millenni, da Icaro e Alessandro Magno agli esperimenti di Leonardo da Vinci, fino alle prime timide esperienze settecentesche, era attuabile grazie alla moderna tecnologia e diventò un simbolo delle possibilità umane, fino all’esaltazione sconfinata e deviante, che caratterizzò gran parte del Futurismo, soprattutto nelle interpretazioni estreme di Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele D’Annunzio. Agli occhi di Gerardo Dottori invece, il volo fu un modo per osservare il mondo e soprattutto la propria terra da una posizione privilegiata. L’artista verso la fine degli anni Venti riuscì a convincere un gruppo di pittori attivi in Umbria a seguirlo nello stile e nei contenuti, i quali sia pur alla ricerca d’una propria autonomia, non s’allontanarono molto dai suoi modelli. Dottori inoltre dal 1939 fu professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Perugia, ruolo che ne consolidò la posizione di caposcuola. Nella sua produzione compaiono dipinti molto diversi, perché un certo eclettismo e la volontà di accontentare una committenza non sempre culturalmente qualificata, lo portarono a ripercorrere esperienze giovanili, ormai fuori tempo, fino a produrre anche opere di qualità discutibile, per cui la sua migliore e più congeniale forma 96

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espressiva resta l’aeropittura. In questa concezione pittorica di regola lo spazio è fortemente incurvato, come osservato attraverso una lente convessa, la luce è divisa in fasce ben distinte, memori delle esperienze divisionistiche e la tavolozza è formata da colori primari usati a forti stacchi e in tonalità fredde e acide, irreali, ma quello che colpisce di più sono gli spazi paradossalmente dilatati, possibili solo guardando il mondo dal cielo. Gli interessi poliedrici di Dottori, artista longevo scomparso a novantatré anni, che si dedicò con pari impegno nella sua lunga vita a poesia, saggistica, giornalismo e pittura, stabiliscono una linea di ideale continuità fra di lui e i grandi artisti del Rinascimento nella concezione di un’arte totale che cerca di volta in volta di tradurre il proprio messaggio in linguaggi diversi. Di questa volontà di non lasciare niente di inesplorato, è prova il fatto che nell’esercizio della pittura, che fu la sua occupazione principale, cercò di valorizzare le vocazioni formali di molti materiali e tecniche diversi, producendo affreschi, pitture su carta, tela, tavola e perfino ceramiche. Già nella primissima fase del suo percorso, manifestò la propria insofferenza, non verso le tradizioni, ma verso la sclerosi accademica. Sembra risalga al 1910 il quadro con cui l’artista ventiseienne dichiara il suo distacco dalla pedissequa imitazione del sia pur nobile passato e introduce nello spazio figurativo astrazione e dinamismo. In realtà, sebbene l’opera sia firmata e datata 1910 in basso a destra, la vera collocazione cronologica è oggetto di discussione, tanto da essere presentata in alcune pubblicazioni con il punto interrogativo, da chi non crede possibile a quella data una simile precocità dell’artista, che avrebbe aggiunto l’indicazione dell’anno in un momento successivo. Non di meno Dottori in diversi scritti variamente distribuiti nel tempo, parlando della genesi dell’opera, la disse eseguita nel 1910. Il dipinto pervenne all’attuale sede nel 1972 per donazione dell’autore, ormai largamente affermato a livello internazionale: nell’occasione Dottori diede un’ulteriore conferma che era stato effettivamente eseguito nel 1910. L’opera, che marca la svolta, è Esplosione di rosso su verde, un olio su tela (75 x 94 cm), che segnala un deciso distacco dalla tradizione, introducendo astrazione e dinamismo nello spazio figurativo, soprattutto nei ritmi ottenuti mediante un uso speciale del colore. Di questa concezione innovativa fa fede il titolo del dipinto, che pur conservando un uso del colore ancora sotto certi aspetti legato al naturalismo, ne dichiara l’autonomia e il predominio rispetto al soggetto. Del resto proprio nel rivendicare l’assolutezza del colore, come unico elemento veramente pertinente alla pittura, vanno storicamente individuate le primissime avvisaglie dell’arte astratta.



2.11 Gerardo Dottori Explosion of Red on Green London, Tate Gallery

Between the end of the 19th and early years of the 20th century, painting in Perugia was dominated by the staunch traditionalists of the Academy of Fine Arts: proof of this is found in the fact that Armando Spadini was denied a chair there because the official culture of Perugia considered him too avant-garde. Dispelling this conservative atmosphere, which was tied to conceptions of art that had had their poetic moments but were long past, required experiences outside Umbria for a number of young artists, not the last of whom was Gerardo Dottori, who was born in Perugia in 1884 and died in 1977. Nonetheless, his first steps towards becoming a painter were taken at the Academy of Fine Arts. As an orphan whose mother had died and with only modest financial resources, Dottori was required to perform various jobs outside his studies. At one of these, room decoration, Dottori soon demonstrated an uncommon ability, allowing him to move to Milan in 1906 where he executed wall murals for various homes and palaces. It was this sojourn, unfortunately cut short by diminishing commissions, which put the young artist in contact with innovative artistic tendencies developing in Europe. Returning to Perugia, he remained inspired by what he had seen, and although he continued his studies at the Academy to perfect his techniques, Dottori decided to take a stand against Perugia’s stifling academicism. His major move came when he adopted Futurism, a style to which he remained committed throughout his career. In 1929 he signed the Manifesto dell’Aeropittura (the Manifesto of Aerial Painting), and continued to be a futurist long after the movement ended. Until his last work he remained a futurist painter, and that is how he is universally classified. With the creation of the airplane one of man’s great dreams had become reality. The ability to fly, pursued for centuries, from Icarus and Alexander the Great through the experiments of Leonardo da Vinci and the first timid attempts in the 18th century, was finally realized thanks to modern technology and the airplane became a symbol of all human possibilities. This concept, carried to a level of unrestrained and deviant exaltation, characterized much of Futurism, particularly the work of Filippo Tommaso Marinetti and Gabriele D’Annunzio. For Dottori, however, flight presented the possibility of viewing the world from a privileged position. In the late 1920’s, the artist convinced a number of other Umbrian painters to adopt Futurism’s style and content, and despite attempts to create their own individual voices, these artists didn’t stray far from Dottori’s example. From 1939 on, Dottori taught painting at Perugia’s Fine Arts Academy, eventually becoming head of the school. There is much variety in his work due to a certain eclecticism and his desire to please patrons who were not always culturally adept. This led him to either revisit his youthful style, by then long out of date, or to produce works of questionable merit. His best and most congenial expressive form 98

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remains aerial painting. In this pictorial approach, space is usually curved, as if seen through a convex lens, light is fractured into distinct bands, recalling the Divisionists, the image is comprised of strongly contrasting primary colors in cold and acid tones, and the effect is surreal; but what is most striking is the paradoxically extended space, only possible when seeing the world from the sky. Dottori, who died at the age of 93, was a man of numerous interests and pursuits, and his efforts were equally divided between poetry, essay writing, journalism and painting, thus establishing a continuity between him and the great artists of the Renaissance who viewed art as part of a larger whole and who sought to convey their messages by whatever means seemed most appropriate. This desire to leave nothing unexamined is evident in his paintings, which were his principal occupation; there he attempted to explore innumerable materials and techniques, producing frescoes, paintings on paper, canvas and panels, and even ceramics. Already in the earliest phase of his career, Dottori showed an intolerance, not for traditionalism but for academic atrophy. This painting, with which the artist declared his rejection of pedestrian imitation of an albeit noble tradition, seems to have been done in 1910, when Dottori was 26 years old. Even though the work is signed and dated 1910 on the lower right, the veracity of this date has been much discussed and even challenged by some critics who don’t believe Dottori was this precocious at that time and think it was done later. Nonetheless, the artist himself, writing about the origins of this work at various times in his career, stated that it was executed in 1910. Dottori gave the painting to the Tate Gallery in 1972, when he had already achieved international renown, and at that time reconfirmed that the work was created in 1910. Explosion of Red on Green, an oil on canvas measuring 75 x 94 cm marks a decisive break with tradition, introducing abstraction and dynamism, particularly in the rhythmic use of color. This innovative conception is echoed in the work’s title, which, while indicating a use of color still in some ways tied to naturalism, declares its autonomy and dominance in relation to the subject. In its assertion of the primary importance of color as a unique element in painting, such a work heralds the beginning of abstract art.


Bibliografia/Bibliography Ballo 1970, f. V; Duranti 1992, pp. 873-74; Zappia 1992, pp. 433, 435, 437-40, ff. 615-17; Duranti 2006, p. 438.

Provenienza/Provenance Perugia, Collezione dell’autore London, Tate Gallery

Perugia: Convento di San Francesco al Monte, Gerardo Dottori, Trittico Perugia: Convent of St. Francis on the Mount, Gerardo Dottori, Triptych Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.12 Fiorenzo di Lorenzo Fiorenzo di Lorenzo di Cecco: Perugia, 1440 circa - prima del 1525 San Gerolamo penitente New Haven (Connecticut), Yale University Art Gallery © 2007. Yale University Art Gallery/Art Resource, NY/Scala, Firenze L’autore, fratello di Bernardino di Lorenzo anche lui impegnato in pittura e miniatura, è una delle figure più problematiche del panorama artistico rinascimentale a Perugia, in cui dovette svolgere un ruolo fondamentale, come risulta dalle carte d’archivio, che lo vedono ricoprire cariche importanti e ricevere commesse di prestigio, non ultima il disegno degli elementi decorativi del palazzo perugino dell’Università Vecchia, in Piazza del Sopramuro, ora Giacomo Matteotti, tuttora visibili. Se si riflette, che il committente dell’elegante edificio era il papa Sisto IV, è chiaro il credito di cui godeva l’artista. Purtroppo, mentre un tempo Fiorenzo aveva un catalogo considerevole, le revisioni attributive, dovute agli studi degli ultimi trenta anni, hanno salvato solo un piccolo nucleo di opere certe, fra cui la Madonna dei raccomandati, affresco staccato dall’Ospedale di Sant’Egidio in Porta Sant’Angelo, ora nella Galleria Nazionale dell’Umbria, fortunatamente firmato, datato 1476 e con l’indicazione del committente. Le opere certe o attribuite con largo consenso sono però insufficienti a delineare con precisione una personalità artistica, che dovette operare per un periodo molto lungo, se negli anni Sessanta del Quattrocento risulta già iscritto alla Matricola dei Pittori per il rione perugino di Porta Santa Susanna; d’altra parte è noto che morì attorno alla metà degli anni Venti del Cinquecento. Varrebbero ricerche approfondite i legami con il giovane Pinturicchio, il massimo pittore veramente perugino, con il quale Fiorenzo si trova spesso in confusione attributiva, cosa che autorizza l’ipotesi che il Pinturicchio potrebbe aver mosso i primi passi come apprendista nella bottega di Fiorenzo. Al riguardo è di particolare interesse la Madonna con il Bambino in trono fra i santi Cristoforo e Sebastiano (Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut), probabile lavoro comune di maestro e allievo. Quanto al San Gerolamo in un paesaggio della Yale University Art Gallery, va osservato che il tema doveva essere particolarmente gradito al pittore o ai suoi committenti, se lo rielaborò approdando ad almeno tre varianti note: questa a New Haven, un’altra a New York in collezione privata e una terza a Bergamo nell’Accademia Carrara. Del resto, il padre della Chiesa è molto rappresentato nella pittura italiana ed europea; a Perugia infine, nei secoli passati godeva d’una venerazione particolare, perché patrono della cappella del collegio universitario, detta Sapienza Nuova. San Gerolamo, notoriamente, compare nei dipinti in due formule iconografiche distinte. Una lo rappresenta come Dottore della Chiesa, connotato dalla porpora cardinalizia, qualche volta con un modellino di chiesa in mano, a simboleggiare il sostegno dato al Cristianesimo con la sua eccezionale cultura e la sua opera di traduttore delle Scritture. L’altra lo raffigura penitente in un paesaggio disabitato, nudo e coperto soltanto da un drappo attorno ai fianchi, nell’atto di percuotersi il petto con una pietra, di regola con un leone vicino. Nel Rinascimento il rinnovato interesse per la raffigurazione della natura contribuì a diffondere 100

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questa seconda soluzione, che comunque continuò a convivere con la prima. L’opera del museo statunitense presenta innegabili elementi che permettono di attribuirla a Fiorenzo di Lorenzo. Uno è il fisico del santo, magro e asciutto, quasi metallico nella durezza dei profili, particolarità che richiama la pittura toscana e soprattutto lo stile di Andrea del Verrocchio, nella cui bottega sembra che Fiorenzo abbia soggiornato. È noto che il Verrocchio era anche scultore, circostanza che spiega l’impressione metallica provocata dalle sue figure. L’altro elemento è il paesaggio, strano e innaturale, con rocce elevate ad altezze paradossali, come a volere sottolineare la fragilità dell’uomo di fronte alle forze della natura. È un paesaggio chiaramente dedotto più da schemi mentali, che dall’osservazione diretta della realtà, convenzionale quindi e con precedenti individuabili. Le rocce soprattutto quelle in basso a sinistra regolari e allineate, fino a costruire una scansione geometrica, ricordano molto da vicino soluzioni analoghe del Beato Angelico. Il frate domenicano, attivo soprattutto a Firenze e a Roma, ebbe anche una produzione umbra, quando a Orvieto nella cattedrale affrescò la parte alta della Cappella di San Brizio. Anche a Perugia però c’erano e ci sono tuttora testimonianze della sua arte. Il polittico ora visibile nella Galleria Nazionale dell’Umbria in origine era nella Cappella Guidalotti o di San Nicola nella Chiesa di San Domenico, dove Fiorenzo di Lorenzo deve averlo guardato più volte con attenzione. Nelle storiette della predella, la scena della nave miracolosamente colma di grano, dopo l’atto di generosità del capitano, presenta lungo le coste rocce molto simili a quelle che circa venti anni dopo avrebbe dipinto Fiorenzo di Lorenzo. Il Beato Angelico era scomparso a Roma nel 1455, ma l’alone di eccezionale prestigio che lo aveva accompagnato in vita, esisteva ancora negli anni Settanta, quando Fiorenzo realizzò il suo San Gerolamo Penitente. Nel dipinto l’aspetto che colpisce maggiormente è l’esasperato verticalismo, riconducibile al gusto gotico fortemente radicato nella cultura figurativa umbra e soprattutto a Perugia, che porta l’artista a spezzare gli equilibri in favore della dimensione verticale: atteggiamento mentale destinato a ripresentarsi, anche se in forme leggermente attenuate, nei dipinti del Pinturicchio, che in Fiorenzo ebbe uno dei punti di riferimento nel suo percorso giovanile. Il dipinto con il Dottore della Chiesa in penitenza, eseguito a tempera su tavola (87,6 x 80,7 cm), risulta fino dal 1860 in proprietà di James Jackson Jarves, una singolare figura poliedrica di mecenate, da cui l’Università di Yale l’acquistò nel 1871. Qualche anno dopo nel 1876 gran parte della Collezione Jarves fu esposta alla galleria di Yale, di cui tuttora costituisce uno degli assi portanti, che divenne una delle prime grandi concentrazioni d’arte accessibili al pubblico negli Stati Uniti.



2.12 Fiorenzo di Lorenzo The Penitent Saint Jerome New Haven (Connecticut), Yale University Art Gallery

This Renaissance artist, whose brother Bernardino was also a painter and miniaturist, is one of the most problematic in Perugia’s art annals. According to archival documents, he seems to have played an important role in the city’s artistic community, receiving important commissions from prestigious patrons, not the least of which was the design of decorative elements for the old University Palace in Piazza del Sopramuro, now Giacomo Matteotti, which can still be seen in situ. The fact that the patron of this elegant building was Pope Sixtus IV attests to Fiorenzo di Lorenzo’s elevated reputation. Unfortunately, the artist’s once considerable catalogue of works has been radically diminished in the past thirty years through reattributions. The few that remain securely among his oeuvre include the Madonna dei raccomandati, a fresco signed and dated 1476 and with an indication of the patron, which was detached from its original site in the Hospital of Sant’Egidio in the Porta sant’Angelo district and is now in Perugia’s National Gallery of Umbria. The current secure or attributed works are insufficient in number to allow a full appraisal of this artist who must have been active for many years: in the 1470’s he is already listed in the Painters’ Guild of Perugia’s Porta Santa Susanna district, and it is known that he lived into the mid 1520’s. Further study is required to establish his ties to the young Pinturicchio, the most important painter who was a true native of Perugia and one with whom there has been sufficient attribution confusion to suggest that Pinturicchio might have actually apprenticed in Fiorenzo’s workshop. Of particular interest in this regard is the Madonna and Child Enthroned among Saints Christopher and Sebastian (Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut), in all likelihood a collaborative work of master and student. Concerning Yale’s Saint Jerome in a Landscape, the theme must have been of particular interest to the painter or his patrons as at least three variants are known: this one in New Haven, another in a New York private collection, and a third in Bergamo’s Accademia Carrara. The important Church Father is well represented in Italian and European painting, and he enjoyed a particular popularity in Perugia as patron saint of the University Chapel known as the Sapienza Nuova. Saint Jerome is invariably represented in one of two ways: as a Doctor of the Church, in his crimson Cardinal’s robes and holding a model of the Church, the latter symbolizing the support he gave to Christianity through his exceptional education and translations of the Scriptures; as a penitent in the desert or an otherwise uninhabited land, semi nude and covered solely with a loincloth, beating his chest with a stone and accompanied by a lion. With its penchant for landscapes, the Renaissance tended to favor this second approach, though Saint Jerome as a cardinal continued to be painted as well. Elements in the Yale panel allow for an irrefutable attribution to Fiorenzo di Lorenzo. One is the thin and shriveled physique of the saint and the almost metallic quality of his contours, clearly reminiscent 102

Umbrian artistic heritage worldwide

of Tuscan painting in general and particularly that of Andrea del Verrocchio in whose workshop Fiorenzo seems to have spent some time. Verrocchio was also a sculptor which might explain the metallic impression made by his painted figures. The other significant element in the Saint Jerome is the strange and unnatural landscape, with its peculiar high rock formations, emphasizing the fragility of man in relation to the power of nature. This is an interpretation of landscape based not on observation but on a mental construct, and for which there are known precedents. The lower rock formation to the left, with its step-like, geometric slabs, is analogous to others found in the work of Fra Angelico. This Dominican priest, who worked primarily in Florence and in Rome, was also active in Umbria, where he frescoed the upper part of the Chapel of San Brizio in Orvieto Cathedral. In Perugia, there were and still are remnants of his artistic presence, like the polyptych done for the Guidalotti or Saint Nicholas Chapel of the church of Saint Dominic, now in the National Gallery of Umbria, which Fiorenzo di Lorenzo must have known and carefully observed. One of the predella panels, representing a ship miraculously filled with grain after an act of generosity by its captain, shows rock formations along the coastline remarkably similar to those painted some twenty years later by Fiorenzo di Lorenzo. Fra Angelico died in Rome in 1455, but the great renown he enjoyed in his lifetime was still in force in the 1470’s, when Fiorenzo painted his Saint Jerome. What strikes one most in this painting is its pronounced verticality, a sign of the late Gothic taste that survived in Umbrian painting, particularly in Perugia, and led regional artists to break Renaissance spatial equilibrium with this vestige of an earlier era. This same tendency is apparent in Pinturicchio’s somewhat elongated figures, a mental construct found in Fiorenzo’s work which was certainly a point of reference for the younger artist. The Penitent Saint Jerome, tempera on panel measuring 87.6 x 80.7 cm, was known to belong to the versatile patron, James Jackson Jarves, in 1860, who sold it to Yale in 1871. In 1876, a large part of the Jarves Collection was exhibited at the Yale University Art Gallery and remains a cornerstone of that institution’s holdings. Yale became one of the first museums in America to make a considerable number or artworks accessible to the general public.


Bibliografia/Bibliography Berenson 1897, pp. 142, 198; Gnoli 1923, pp. 112-17; Steegmuller 1951, p. 298; Saarinen 1977, pp. 35, 62; Silvestrelli 1987b, p. 624; Todini 1989, I, pp. 67-69; II, pp. 478-87, ff. 1107-34; Scarpellini 1996, pp. 116-18; Teza 2003, pp. 9-44.

Provenienza/Provenance New Haven (Connecticut): James Jackson Jarves Collection New Haven (Connecticut): Yale University Art Gallery

Perugia: Palazzo dell’Università Vecchia, seconda metà del secolo XV Perugia: Palazzo dell’Università Vecchia, second half of the 15th century © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.13 Francesco di Giorgio Martini, Giuliano e Benedetto da Maiano Francesco di Giorgio Martini: Siena, 1439 - 1501 Giuliano di Leonardo di Antonio: Maiano, 1432 - Napoli 1490 Benedetto di Leonardo di Antonio: Maiano 1442? - Firenze 1497 Studiolo di Federico da Montefeltro New York City (New York), The Metropolitan Museum of Art © 2007. Image copyright The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze Nel pomeriggio di lunedì 20 gennaio 1941, mentre nel Vecchio Mondo infuriava la Seconda Guerra Mondiale, a New York in una delle sale di rappresentanza del Metropolitan Museum veniva presentato per la prima volta al comitato di amici e sostenitori dell’istituzione un manufatto artistico eccezionale: lo Studiolo di Federico II da Montefeltro, Duca d’Urbino, proveniente dal Palazzo Ducale di Gubbio. Lo stato feudale di Urbino, contea prima, poi ducato, comprendeva la parte alta delle Marche, grosso modo corrispondente all’attuale provincia di Pesaro-Urbino, senza Pesaro e la costa marina, e parte dell’Umbria a ridosso degli Appennini, fra cui Gubbio, Branca, Costacciaro, Fossato di Vico, Scheggia e Sigillo, centri urbani in parte ora compresi nel Parco del Monte Cucco. Come seconda capitale, anche Gubbio aveva una residenza ufficiale del duca, al cui interno c’era il suo Studiolo. In tutti e due i palazzi Federico per le stanze in cui studiare e meditare aveva voluto una raffinatissima decorazione a tarsie lignee, che copriva le pareti e lussuosi soffitti policromi, progettati ed eseguiti dai più grandi esperti in materia, un po’ prima quelli di Urbino, ai primi degli anni Ottanta quelli di Gubbio. Mentre lo Studiolo urbinate è tuttora sotto gli occhi dei visitatori dell’antica capitale dei Montefeltro, quello di Gubbio andò incontro a un destino diverso. La scomparsa del Ducato di Urbino, prima passato ad altre dinastie, nel 1633 annesso agli Stati della Chiesa, portò al progressivo degrado della residenza ducale eugubina, che finì in mano privata. Non solo gli arredi, ma gran parte degli impianti fissi a destinazione, come le cornici lapidee di porte e camini, le ante delle porte, gli stemmi furono asportati, immessi nel circuito antiquario e di proprietario in proprietario finirono nei luoghi più disparati. Al momento manufatti provenienti dal Palazzo Ducale di Gubbio sono conservati, per esempio, al Consolato Italiano di Berlino, in Svizzera nella Collezione Abbegg, a Londra nel Victoria and Albert Museum e ancora a Berlino nel Kunstgewerbe Museum: una vera e propria polverizzazione. In quest’atmosfera di saccheggio, agli inizi degli anni Settanta dell’Ottocento si aprì una trattativa fra l’allora proprietario del palazzo di Gubbio e un patrizio romano, il principe don Filippo Massimo Lancellotti, che nel 1874 riuscì a comprare la preziosa decorazione lignea dello Studiolo e a trasferirla in una delle sue residenze: la villa di Frascati, dove fu rimontata in un belvedere costruito alla sommità dell’edificio. La vendita non passò inosservata alle autorità preposte al patrimonio storico-artistico e, data l’eccezionale importanza del manufatto quattrocentesco, fu contestata, in quanto lo Stato Italiano avrebbe dovuto esercitare la prelazione. La controversia però si risolse a favore del principe Massimo Lancellotti, che restò in possesso dello Studiolo. Pervenuto a uno dei suoi nipoti, il principe don Filippo Giuseppe, da quest’ultimo fu venduto all’antiquario di Venezia Adolfo Loewi nel 1938. Il nuovo proprietario rimontò ed espose l’opera d’arte nel suo negozio, dove attrasse l’attenzione di vari collezionisti. Loewi però era ebreo, cominciò a essere perseguitato e ben 104

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presto vide compromessa la sua libertà d’azione. Quando la campagna antisemitica s’inasprì, decise di trasferirsi negli Stati Uniti, dove di fatto, dopo una breve sosta a Parigi, approdò nel 1939. Lo Studiolo lo seguì a New York, dove fu rimontato grazie all’attenta descrizione di uno storico dell’architettura tedesco, che lo aveva osservato a Gubbio nel 1873, l’anno precedente la vendita al principe Massimo Lancellotti. Accuratamente rimontato nel negozio newyorkese di Loewi, fu subito notato da vari studiosi e appassionati, finché uno di loro ne propose l’acquisto al Metropolitan Museum. Il prezzo richiesto era molto alto, ma l’oggetto unico e irrepetibile nel novembre del 1939 fu comprato dall’istituzione, che tuttora lo detiene. Dopo l’acquisto nacque il problema della corretta restituzione dello Studiolo al suo primitivo assetto, evidentemente compromesso da tanti spostamenti. La stretta collaborazione fra i dirigenti del museo newyorkese, Loewi e i suoi fiduciari in Italia permise una serie di sopralluoghi a Gubbio e Urbino, che fornirono indicazioni fondamentali e consentirono un’accurata campagna fotografica. Purtroppo si constatò che le due finestre che davano luce alla stanza erano state tamponate e le pareti, prive dal 1874 della splendida decorazione, erano state intonacate: l’antico prezioso Studiolo era ridotto uno squallido ufficio. Finalmente rimontato al Metropolitan, lo Studiolo diventò una delle maggiori attrazioni del museo fino al 1966, anno in cui fu smontato in vista d’una nuova e migliore ricomposizione, che però non fu realizzata se non nel 1996. La nuova esemplare sistemazione è stata accompagnata da studi documentati e approfonditi, consegnati a due volumi di gran rigore scientifico pubblicati nel 1999, che hanno permesso di attribuire progetto e disegno a Francesco di Giorgio Martini, l’architetto senese per anni attivo alla corte dei Montefeltro. Quanto all’esecuzione, tutto concorre a far credere che sia di Giuliano e Benedetto da Maiano, che dovettero realizzarla nella loro bottega fiorentina fra il 1480 e il 1483. Se destano meraviglia l’ideazione e il disegno del grande artista e teorico senese, non minore è l’impressione provocata dall’abilissima traduzione nel legno, che rivela eccezionali capacità d’esaltare le vocazioni formali della materia. Dal punto di vista tematico le tarsie dello Studiolo presentano un eccezionale interesse documentario sulle forme del pensiero del tempo, perché mostrano quali fossero le occupazioni favorite d’un principe rinascimentale: musica, letteratura, astronomia. Accanto alla cultura, non manca l’esibizione delle alte cariche ricoperte, come quella di Gonfaloniere della Chiesa, evocata dalle chiavi decussate sormontate dal triregno e la giarrettiera, insegna dell’omonimo ordine, concesso dal Re d’Inghilterra, rarissimo in Italia. Quello che colpisce di più nello Studiolo di Gubbio però sono i sorprendenti effetti illusionistici. I falsi banchi, in parte abbassati e in parte alzati, danno volume alle pareti e gli sportelli, chiusi, aperti e semiaperti, creano in poco spazio un mondo sconfinato in cui l’occhio e la fantasia si perdono.



2.13 Fancesco di Giorgio Martini, Giuliano e Benedetto da Maiano Studiolo of Federico da Montefeltro New York City (New York), The Metropolitan Museum of Art

On the Monday afternoon of January 20, 1941, while the Second World War raged on, an exceptional work of art from the ducal palace in Gubbio was presented for the first time to a group of friends and supporters of the Metropolitan Museum of Art: the Studiolo of Federico II da Montefeltro, Duke of Urbino. The feudal state of Urbino, which was initially a countship and then a duchy, comprised the northernmost part of the Marches, roughly corresponding today to the province of Pesaro-Urbino, without Pesaro and its costal area, and that part of Umbria behind the Apennines which includes the urban centers of Gubbio, Branca, Costacciaro, Fossato di Vico, Scheggia and Sigillo, today for the most part within the Park of Monte Cucco. As the duchy’s second capital city, Gubbio also had an official residence, and therein was created the Duke’s Studiolo. Rooms where the ruler could study and meditate, with highly refined decoration of luxurious polychrome ceilings and richly inlaid-wood walls, executed by the greatest masters of these materials, were installed in both ducal palaces, first in Urbino and then in the early 1480’s in Gubbio. While the Studiolo in Urbino has remained in the Montefeltro capital where it is enjoyed by the palace’s many visitors, the Gubbio Studiolo had a far different destiny. After first passing to other dynastic families, the Duchy of Urbino was dissolved and annexed to the Papal States in 1633. This led to the gradual degradation of Gubbio’s ducal residence, which ultimately fell into private hands. Over time, the palace was stripped of its tapestries, stone doorways, cornices and fireplaces, coats-of-arms and other furnishings made specifically for it, and these were widely disseminated as they passed through the antique market and into private and public collections. In fact, some of the spoils from Gubbio’s ducal palace can be found today in the Italian Consulate in Berlin, the Abbegg Collection in Switzerland, the Victoria and Albert Museum in London, and in Berlin’s Kunstgewerbe Museum. In the despoiling atmosphere of the 1870’s, a dialogue was initiated between the then-owners of the ducal palace and a Roman patrician, Prince Don Filippo Massimo Lancelloti, who, in 1874, purchased the precious decoration of the Studiolo and had it transferred to one of his residences, his villa at Frascati. There it was reinstalled in a turret built on the top of the building. This sale did not go unnoticed by those responsible for Italian historic-artistic preservation and, given the exceptional importance of the fifteenth-century masterpiece, it was contested that the Italian State should have had the right of first refusal. However, the controversy was resolved in the Prince’s favor, who retained possession of the Studiolo. It was willed to one of his nephews, Prince Don Filippo Giuseppe, who sold it to the Venetian antique dealer Adolfo Loewi in 1938. Loewi installed and exhibited it in his shop, where it attracted the attention of various collectors. The dealer was Jewish, and persecution began to limit his professional activities. When the anti-Semitic atmosphere worsened in Venice, Loewi decided to move to New York where, after a brief stay in Paris, he finally settled in 1939. The Studiolo followed him to New York where 106

Umbrian artistic heritage worldwide

it was remounted in its original configuration, thanks to the thorough and meticulous description made by a German architectural historian who had seen it in Gubbio in 1873, the year before its sale to Prince Massimo Lancellotti. Installed in Loewi’s New York store, it again drew the interest of scholars and art enthusiasts, including one who suggested that it be acquired by the Metropolitan Museum. The price was extremely high, but the work was unique and exceptional, and in November of 1939 it was formally purchased by the museum where it may still be found today. But there remained the problem of accurate restoration of the Studiolo to its original state, which had been compromised by its many relocations. Close collaboration between Met officials and Loewi and his colleagues in Italy resulted in a series of site investigations in Gubbio and Urbino which provided the groundwork for reconstruction and a comprehensive photographic survey of the site. It was noted that, unfortunately, the two windows which once allowed light into the room had been sealed up and the walls, devoid of their splendid inlaid wood decoration since 1874, had been plastered over: the once-splendid Studiolo had been reduced to a squalid office. Finally installed in the Metropolitan Museum, the Studiolo remained one of the museum’s main attractions until 1966, when it was disassembled in order to reconfigure it in a more historically accurate manner - a project that was not realized until 1996. The new systematization of the room was followed in 1999 by a scholarly, rigorously scientific two-volume publication wherein the design of the project is attributed to Francesco di Giorgio Martini, a Sienese architect active for years at the Montefeltro court. Furthermore, it was generally agreed that the inlaid panels were the work of Giuliano and Benedetto da Maiano, who executed them in their workshop in Florence between 1480 and 1483. If the idea for and overall design of the Studiolo by the renowned Sienese artist and theoretician makes us marvel, no less so does the impression made by the superb manipulation of materials by some of the period’s most skilled craftsmen. From a thematic point of view, the Studiolo’s inlaid decoration comprises a fascinating document of contemporary thought in that it shows the interests and favorite pastimes of an important Renaissance ruler: music, literature, and astronomy. Along with such cultural pursuits are references to the Duke’s princely responsibilities, such as being Standard Bearer of the Church. This is represented by the crossed keys surmounted by the Papal Tiara. The garter is the symbol of his membership in the Order of the same name, conferred by the King of England, an honor which is rarely found in Italy. In the end, however, it is the exceptional illusionistic effects in the Studiolo that have the greatest impact: the false benches - some raised and others lowered - give volume to the walls, and the shutters - open, closed or partially opened - create a world without limits in this small space, where the eye and the imagination lose themselves.


Bibliografia/Bibliography Marchini 1959; Brunetti 1966, pp. 433-37; De Carlo 1985, pp. 3-10; Koutsky 1985, pp. 91-104; Sikorsky 1985, pp. 67-90; Zampetti e Battistini 1985, pp. 51-66; Angelini 1987, pp. 702-03; Torriti 1993; Quinterio 1996; Raggio 1999, pp. 79-167; Kemp 1999, pp. 169-77; Wilmering 1999, pp. 3-195; Angelini 2005, pp. 333 e sgg.

Provenienza/Provenance Gubbio, Palazzo Ducale Frascati, Collezione principe don Filippo Massimo Lancellotti Venezia, Collezione Adolfo Loewi New York City (New York), The Metropolitan Museum of Art

Gubbio: Palazzo del Bargello, prima metà del secolo XV Gubbio: Palazzo del Bargello, first half of the 15th century Š Archivio Fotografico Italgraf

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2.14 Gualaccini Umberto Gualaccini: Perugia, 1863 - 1937 Le educande France, Collection privée © Archivio fotografico Franco Ivan Nucciarelli Il tono intimistico e velatamente malinconico dei soggetti dell’artista, non lontanissimo dal mondo di Silvestro Lega, e i profondi legami affettivi con Perugia emergono con chiarezza in questo piccolo dipinto a olio su tela (38 x 33 cm). Sul rovescio in lettere maiuscole ordinate e regolari, scritte a inchiostro nero e distribuite con cura su linee tracciate con un righello, si legge Dalla finestra di ponente dalla mia abitazione Via tedesca n. 7 Corso Garibaldi - Perugia anno 1912 le educande Umberto Gualaccini pittore L’abitazione esiste tuttora e continua a essere contrassegnata dal numero civico 7; è in ottime condizioni e l’esterno non presenta grandi alterazioni rispetto ai tempi in cui apparteneva al pittore. È la tipica residenza padronale a tre piani, di contenute dimensioni, ma non priva d’un suo garbo semplice e gradevolmente bambinesco, comune alle migliori case del borgo; a Nord guarda su un giardino e a Sud finisce all’innesto di Via Tedesca su Via Lupattelli (già Vicolo Lungo) ad angolo fortemente acuto, ma a spigolo smussato, non raro nella mossa e articolata rete viaria perugina. L’interno, evidentemente molto caro al proprietario, con la tavola apparecchiata per il pranzo e le pareti piene di quadri e inondate di luce, è il soggetto del quadro È il tocco! l’ora classica del pasto principale per le famiglie d’una volta. I riferimenti a Perugia nei dipinti di Gualaccini sono frequenti e spesso sono rappresentati dai campanili, i segni forti del profilo spezzato e irsuto della città. Questo atteggiamento mentale ha precedenti illustri: l’urbinate Federico Barocci non perdeva occasione per introdurre nei suoi quadri, in totale indipendenza dal soggetto, l’amato Palazzo Ducale d’Urbino con i suoi inconfondibili torricini. Gualaccini in Nebbia, impressione dal vero del 1900 introduce il campanile aguzzo di Santa Giuliana; nello sfondo del Ritratto della figlia Maria del 1906 c’è la mozza torre campanaria del Palazzo dei Priori. Qui nelle Educande è il mosso campanile di San Benedetto visto dalla casa dell’artista. La scelta del tema non è casuale, anzi sottolinea un aspetto fondamentale di Porta Sant’Angelo, caratterizzato da una forte presenza di comunità religiose e quindi dominato dalle architetture di conventi e monasteri. Alcune di queste comunità fino a tempi recenti erano coinvolte nell’educazione della gioventù e il dipinto di Gualaccini coglie un momento di questa vita, tra famiglia e convento, della gioventù degli anni della Bell’Epoca ormai avviata al tramonto. Sotto l’occhio non molto vigile d’una suora, intenta nella lettura e connotata da un gran velo candido e protocollarmente inamidato, un gruppetto di ragazze vive una pausa di tempo libero: alcune conversano, una è alle prese con un ramo carico di fiori bianchi, che fa da perno ottico alla composizione. Suora e ragazze si muovono nello spazio angusto, ma rassicurante d’un cortiletto rinserrato fra le case, ma in alto contro il cielo la linea dei tetti è interrotta dallo slancio del campanile di San Benedetto, detto anche dei Condotti, perché la chiesa insiste sulla linea che, con un percorso di cinque chilometri da Monte Pacciano, portava l’acqua alla Fontana Maggiore, una delle imprese faraoniche della 108

Patrimonio artistico umbro nel mondo

Perugia Medievale. La linea dell’acqua, in campagna resa esplicita dai grandi arconi visibili anche a grandi distanze, in città, dopo un percorso sotterraneo esce allo scoperto nella via più singolare di tutto il centro storico, una sorta di strettissimo ponte con arcate di varie dimensioni, detta appunto Via dell’Acquedotto. La chiesa originaria trecentesca si chiamava Santa Maria Novella degli Agostiniani, ma nel Seicento cambiò proprietà e nome per diventare San Benedetto. All’interno la struttura gotica è ancora pienamente avvertibile e nel Quattrocento ospitava opere di artisti importanti, ora conservate nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Il campanile appartiene al rifacimento secentesco, porta lo stemma dei marchesi Guglielmi e la data 1676: è costruito in laterizio con inserti di travertino e s’ispira alle complesse forme di Francesco Borromini, ma la traduzione del linguaggio del gran lombardo a opera d’un architetto locale lo rende gradevolmente simile a certa architettura barocca coloniale dell’America Latina. È questa bellezza modesta, ma autentica, testimone di valori e tradizioni, ad attrarre Umberto Gualaccini, un artista rigorosamente fedele soprattutto a se stesso, come è giusto che sia. L’artista vero infatti non è chi si preoccupa d’allinearsi alle ultime correnti, ma chi ha un proprio mondo interiore e trova le forme giuste per esprimerlo, che possono coincidere o meno con le tendenze dominanti dell’arte del suo tempo: la marca del vero artista è la qualità. La produzione pittorica e grafica di Gualaccini è caratterizzata da una fondamentale omogeneità di linguaggio e da una gran varietà tematica. Se nel suo catalogo prevalgono i ritratti, è anche vero che uno spazio notevole è riservato ai paesaggi, sempre in serrato dialogo con le persone, ma una componente importante è rappresentata dalle nature morte, molto suggestive soprattutto quelle di notevoli dimensioni, in cui l’accuratissima resa dei fiori fortemente illuminati è presentata contro sfondi rigorosamente neri, che rinviano alle nature morte secentesche. Non mancano i soggetti storici, di cui uno molto noto Il patriota Francesco Guardabassi nella prigione di Civita Castellana riceve la visita della famiglia. Il dipinto, realizzato nel 1884-85, quando Umberto Gualaccini era poco più che ventenne, è rivelatore delle vere forme del pensiero dell’autore. È stato giustamente osservato infatti che nel soggetto storico, apparentemente allineato ai dettami della pittura ufficiale del tempo, si fa strada una sensibilità nuova e inattesa, che traspare in alcuni particolari rivelatori. La bambina, stupita e addolorata di dover vedere il padre in un luogo simile, è un capolavoro d’espressività, ma non è un caso isolato nel catalogo del pittore. Il delizioso volto infantile testimonia una delle doti che non lo abbandoneranno mai. Questa predisposizione innata in Gualaccini è la non comune capacità di cogliere atmosfere e sentimenti, come avviene anche per Le educande, dove al pittore più che il dato visivo esteriore, sebbene ritratto con attenzione, interessa quell’elemento impalpabile, ma ineludibile, perché il messaggio sia significativo, che è lo stato d’animo dei personaggi.



2.14 Umberto Gualaccini The Convent Girls France, Private Collection

The artist’s intimate tone and subjects steeped in melancholy, not unlike those of Silvestro Lega, as well as his deep emotional ties to Perugia are clearly evident in this small oil on canvas (38 x 33 cm). On the reverse, written in black ink in carefully scripted upper case letters on lines drawn with a ruler one reads From the west window of my home Via Tedesca n.7 Corso Garibaldi - Perugia 1912 the convent girls Umberto Gualaccini Painter His home still exists and still bears the civic number 7; it is in excellent condition and appears much the same as it did when Gualaccini lived there. The residence is a typical three story single family dwelling, of modest size but not without its own simple child-like charm; to the north it overlooks a garden and to the south is the intersection of Via Tedesca and Via Lupattelli (formerly Vicolo Lungo), meeting at a sharp angle but with a rounded corner, not unusual in Perugia’s complex street grid configuration. The home’s interior, evidently very dear to its owner, with a table set for lunch, the walls filled with paintings and the whole flooded with light, is the subject of E il tocco! (One o’clock), once the traditional hour for the Italian family’s principal meal of the day. References to Perugia are frequent in Gualaccini’s paintings, usually including bell towers which define and identify the city’s skyline. Such demonstration of civic pride has illustrious precedents in Italian painting: regardless of the subject, the Urbino artist Federico Barocci never missed an opportunity to introduce into his works his native city’s Ducal Palace with its distinct, recognizable turrets. In Gualaccini’s Fog, Impression from Life (Nebbia, Impressione dal Vero), painted in 1900, he included the pointed tower of Santa Giuliana; in the background of his Portrait of My Daughter Maria, 1906, we find the truncated bell tower of the Priori Palace. In The Convent Girls, the bell tower of Saint Benedict is depicted as seen from the artist’s house. The choice of subject is not casual as it underscores a fundamental aspect of the Porta Sant’Angelo district with its strong presence of religious communities and thus the dominance of the architecture of convents and monasteries. Several of these, until fairly recently, were involved in the education of the young, and Gualaccini’s painting captures a moment in the lives of such students, between family and convent, during the twilight years of the Belle Epoch. Under the eyes of a less-than vigilant nun, intent on her reading and wearing a large snow-white and well-starched veil, a group of girls enjoys a rare moment of freedom: several are conversing and one struggles with a branch laden with white flowers, which is the pivotal point in the composition. The nun and girls move in the small but reassuring space of a courtyard set among the houses above which, against the sky, are rooftops interrupted by the angled bell tower of Saint Benedict, also known as the Saint Benedict dei Condotti for its proximity to the five-kilometer long aqueduct that carried water from Monte Pacciano to the Fontana Maggiore, one of the principal 110

Umbrian artistic heritage worldwide

undertakings of medieval Perugia. This water conduit, immediately recognizable in the countryside by its high, arched supports and visible from great distances, passes underground in the city until it emerges as one of the most singular streets in Perugia’s historic center - a sort of narrow bridge with arched supports of varying dimensions and named accordingly Via dell’Acquedotto, or street of the aqueduct. The original 14th century church was named Santa Maria Novella degli Agostiniani, but in the17th century it changed hands and was renamed Saint Benedict’s. Its gothic interior, still intact, housed works by important artists in the 15th century, today conserved in the National Gallery of Umbria. The bell tower, rebuilt in the 17th century, bears the coat-of-arms of the Marquises Guglielmi and the date 1676: it is constructed in bricks with travertine inserts, inspired by the complex forms of Francesco Borromini, but the style of this great Lombard architect, in the hands of a regional builder, creates a certain effect that is pleasantly similar to the colonial baroque architecture of Latin America. It was this modest but authentic beauty, with its nod to traditional values, that attracted Umberto Gualaccini, an artist who was above all else true to himself, and rightly so. After all, a true artist is not one who simply follows current trends and fashion but rather has a personal vision and finds the appropriate means to express it, whether or not this coincides with the major movements of his age: what distinguishes a true artist is quality. The painting and graphic production of Gualaccini is characterized by a stylistic homogeneity and large range of subject matter. Though portraits prevail in his oeuvre, landscapes with figures were also of special interest; of particular importance are his highly suggestive still life paintings, especially the large-scale ones in which strongly illuminated and meticulously rendered floral arrangements are depicted against a black background, recalling those of the 17thcentury. Gualaccini also painted historical subjects, like the well-known The Patriot Francesco Guardabassi Visited by his Family in the Civita Castellana Prison. This painting, realized in 1884-85 when the artist was between twenty one and twenty two years old, reveals his true artistic temperament. In fact, it has been correctly observed that in his historical subjects, ostensibly in line with the approach to such material by his contemporaries, Gualaccini has taken a new direction, evident in some of the painting’s details. The young girl, distressed and saddened at seeing her father in such a place, is an expressive masterpiece, and as a type she is not alone in the artist’s oeuvre. The delightful young face of Guardabassi’s daughter demonstrates a skill never lost on this painter; his innate and unusual ability to combine atmosphere and sentiment is also evident in The Convent Girls, where, despite the faithful and competent rendering of the scene’s exterior details, what makes the work significant is its impalpable but unavoidable true message - the state of mind of its figures.


Bibliografia/Bibliography Bocci 1988, pp. 30, 33; Boco, Kirk e Muratore 1995, p. 22; Giordani e Zuliani 1999, II, p. 14; Boco 2003, pp. 222-23; Pottini 2006, p. 221.

Provenienza/Provenance Eredi dell’autore France, Collection privée

Montemelino: Chiesa Parrocchiale. Umberto Gualaccini, pitture murali, fine secolo XIX Montemelino: Parish Church. Umberto Gualaccini, murals, end of the 19th century © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.15 Luti Benedetto Luti: Firenze, 1666 - Roma, 1724 Volto femminile Svizzera, Collezione privata © Archivio fotografico Franco Ivan Nucciarelli Fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, proprio durante il trapasso dal Barocco al Rococò, il processo di laicizzazione dell’arte in generale e della pittura in particolare subisce un forte incremento. Soprattutto in Italia, ma con piccoli correttivi la situazione si ripropone nel resto d’Europa, la pittura dal IV al XIV secolo era stata quasi esclusivamente religiosa. Il Rinascimento comincia a incrinare questo monopolio e accanto ai soggetti religiosi compaiono i primi soggetti laici. L’affermazione dei nuovi temi pittorici fra Seicento e Settecento avanza a grandi passi, soprattutto grazie al collezionismo. Se nei luoghi di culto la situazione sostanzialmente resta quella medievale, nelle collezioni private non tutti sono disposti a tenere solo madonne, angeli e santi, sia pure d’altissima qualità formale. Anche se la Controriforma aveva tentato di riaffermare il primato del sacro sul profano in arte, i privati non si sentivano vincolati a questi rigidi dettami. I pittori ricevono sempre maggiori richieste di temi laici e nel Settecento i quadri di soggetto mitologico o letterario, i paesaggi, le nature morte e i ritratti sono i più vendibili. È questa la situazione che trova a Roma Benedetto Luti, il pittore fiorentino che, nato nel 1666, approda nella capitale pontificia in data imprecisata, ma verso la fine del secolo. Quando Benedetto arriva a Roma, la scena pittorica è dominata da Carlo Maratta, del quale il fiorentino segue un po’ gli schemi, ma senza un’adesione né totale, né eccessivamente convinta. Alla morte di Maratta, Benedetto è già fra i pittori più affermati e di questo successo è prova non tanto la sua ammissione all’Accademia di San Luca, ma la sua elezione a Principe, ossia alla carica massima, della prestigiosa istituzione, dove tuttora si trovano alcuni suoi dipinti, fra cui l’Autoritratto, donato subito dopo l’ammissione, secondo un rituale consolidato. Il dipinto è un felice esempio di introspezione psicologica e disinvolta osservazione di se stesso, veramente al passo con le più avanzate concezioni artistiche del tempo. Fra i soggetti più cari a Luti compaiono molti temi mitologici e letterari, qualche soggetto religioso, ma il genere in cui riesce a dare il meglio di sé sono innegabilmente i ritratti di piccolo formato, realizzati a pastello su carta: una tecnica estremamente congeniale al gusto settecentesco, amante dei colori spenti, polverosi e sfumati. I pastelli di Luti dovettero avere un gran successo, anche perché il formato contenuto e la relativa velocità d’esecuzione li rendevano meno costosi delle grandi tele, quindi accessibili a vari strati del collezionismo. Di fatto se ne conosce un numero notevole distribuito nelle sedi più lontane: se ne trovano infatti a Firenze sia a Palazzo Pitti, che agli Uffizi, a San Pietroburgo nell’Ermitage, a New York nella Held Collection, a Norfolk nella Holkham Hall, a Parigi al Louvre e ancora in Danimarca, Scozia e altre località degli Stati Uniti. La concentrazione maggiore però è a Roma nella Galleria Corsini, proprietaria di una serie di dodici pezzi. L’ampia area di diffusione e l’importanza delle istituzioni coinvolte 112

Patrimonio artistico umbro nel mondo

dimostra chiaramente l’apprezzamento dell’alto collezionismo verso il pittore fiorentino. Mentre era attivo a Roma, dove chiuse i suoi giorni nel 1724, gli richiedevano opere da varie città d’Italia. A Perugia, dove fra Seicento e Settecento esistevano numerose collezioni private, approdarono almeno due dipinti di Luti. Un primo, un tempo conservato nella Collezione Carattoli, oggi è visibile, accanto ad altre opere della stessa provenienza, nella Galleria Nazionale dell’Umbria: si tratta d’un bozzetto dal raffinato cromatismo, che raffigura Cristo in casa del fariseo. Un secondo colpì l’attenzione di Baldassarre Orsini che lo notò a Palazzo Graziani: è la classica testina femminile a pastello su carta, realizzata dal pittore in varie versioni, molto vicina a quelle della Galleria Corsini, ma in questo caso dipinta con particolare freschezza e spontaneità. È una donna nel fiore degli anni, alla quale la semplicità degli abiti conferisce un’essenzialità che esce dal Rococò e si avvia verso il Neoclassicismo. I contorni sfumati, che creano volumi immateriali ed evanescenti, sono il tratto saliente della pittura settecentesca, al cui interno non a caso la progressiva dissoluzione della forma introduce le primissime anticipazioni dell’arte astratta. Il delizioso dipinto (33 x 27 cm), in ottimo stato di conservazione, è racchiuso in un’elegante cornice settecentesca e protetto dal vetro, proprio come lo descrisse Baldassarre Orsini più di due secoli fa. Dai conti Graziani, già nel XV secolo nelle alte sfere della nobiltà perugina, per eredità passò ai marchesi Graziani Monaldi, quindi agli antenati dei proprietari con i quali lasciò Perugia per Venezia, per finire poi in Svizzera. L’autenticità del dipinto, oltre che dall’analisi stilistica, emerge dai sigilli di ceralacca dei Graziani, il cui stemma è inconfondibile, perché ripetutamente attestato in dipinti e documenti: sei monti disposti a piramide affiancati da due cipressi, applicati sul retro della tavola su cui poggia il pastello. Sempre sullo stesso supporto ligneo, a fugare ogni ragionevole dubbio, compare anche la scritta in corsivo a inchiostro nero in grafia dell’epoca ROMA 1708 BENEDETTO LUTI FECE. Il ricorso a pittori di altre località a Perugia e in Umbria nel Settecento è normale. Per tutto il secolo l’attività artistica segna il minimo storico nel plurisecolare percorso dell’arte umbra e tutte le grandi imprese, come i rifacimenti delle chiese o la decorazione delle dimore gentilizie, salve sporadiche e poco significative eccezioni, sono di regola affidate ad artisti provenienti da fuori, con una preferenza per quelli attivi a Roma, che resta il punto di riferimento ineludibile, anche per il suo ruolo di capitale. Non diversamente i dipinti da cavalletto, dalle grandi tele ai piccoli formati a destinazione privata, sono in parte considerevole opera di artisti non perugini, né umbri, come Benedetto Luti, apprezzato a Perugia, non tanto per la sua nascita fiorentina, quanto per la sua adesione al linguaggio figurativo dominante a Roma.



2.15 Benedetto Luti Face of a Woman Switzerland, Private Collection

Between the end of the seventeenth and the beginning of the eighteenth century, when the Baroque style began to give way to the Rococo, there was a marked increase in secular art in general and in painting in particular. Painting from the fourth to the fourteenth century, above all in Italy but also for the most part throughout Europe, had been exclusively religious. The Renaissance began to put cracks in this monopoly and secular subjects began to appear alongside religious subject matter. The success of new pictorial themes between the seventeenth and eighteenth centuries was due in large part to the demands of private collectors. Whereas religious institutions for the most part continued in the traditions of the Middle Ages, collectors in the private sector were not content to have only Madonnas, saints and angles, even those of the very highest quality. Although the Counter-Reformation tried to reaffirm the supremacy of the sacred over the profane in art, private patrons did not feel constrained by such rigid dictates. Painters received ever increasing requests for secular subjects, and in the eighteenth century mythological or literary themes, landscapes, still lifes and portraits brought the highest prices. This was the situation Benedetto Luti found in Rome when he moved to the papal capital from Florence in the late seventeenth century. Born in Florence in 1666, Luti discovered in Rome a painting scene dominated by Carlo Maratta, whose work Luti to some extent imitated, but with neither total adherence nor conviction. At the time of Maratta’s death, Luti was already very successful, as evidenced by his admission to the prestigious Academy of Saint Luke and subsequent election to the position of Prince, that institution’s highest post. The Academy still retains some of Luti’s paintings, including the Self Portrait he executed and consigned as required at the time of his admission. The painting is a perfect example of psychological introspection and objetive selfobservation, truly in step with the most advanced artistic concepts of the period. Luti’s favorite subjects were mythological and literary, occasionally religious, but where he truly excelled were in his small format compositions realized in pastel on paper: this technique was particularly congenial with eighteenth century taste, with its great love for soft, pale colors. The artist’s pastels certainly enjoyed great success, in part because their small format and rapid execution made them less expensive than large canvases and therefore more accessible to a wider audience of collectors. This is further confirmed by the wide distribution of Luti’s pastels, found today in the Pitti Palace and the Uffizi in Florence, the Hermitage in Saint Petersburg, the Held Collection in New York, in Holkam Hall in Norfolk, in the Louvre in Paris, and in Denmark, Scotland and various other collections in the United States. Rome, however, is the site of the largest concentration of Luti’s work, the Corsini Gallery alone owning some twelve pieces. The wide diffusion of his work and the importance of the institutions 114

Umbrian artistic heritage worldwide

where that work now resides attests to the high regard in which this Florentine artist has been held. During his years of activity in Rome, where he died in 1724, Luti also received commissions from other Italian cities. At least two of these came from Perugia, where there were numerous private collections amassed during the seventeenth and eighteenth centuries. One painting, formerly part of the Carattoli Collection, is exhibited today in the National Picture Gallery of Umbria, together with other works from that same collection. This refined sketch represents Christ in the House of the Pharisee. Another caught the eye of Baldassarre Orsini who came across it in the Graziani Palace: it is a classic female head, a subject frequently addressed by the artist, in pastel on paper, similar to the one in the Corsini Gallery but notably more spontaneous and fresh. Here is a woman in full flower, whose simple garment heralds a move away from the Rococo and towards Neoclassicism. The veiled contours, which create an immaterial and evanescent sense of volume, dominated in eighteenth century painting, and it is here that we see the first foreshadowing of twentieth-century abstract art. This perfectly conserved, delightful painting (33 x 27 cm) is surrounded by an elegant eighteenth-century frame and covered with protective glass, just as Baldassarre Orsini described it more than two centuries ago. From the Counts Graziani, already in the fifteenth century among Perugia’s highest nobility, the painting passed by heredity to the Marquises Graziani Monaldi and subsequently to their descendants, with whom it left Perugia for Venice, eventually ending up in private hands in Switzerland. The painting’s authenticity is supported by both stylistic analysis and the discovery of the unmistakable Graziani wax seal - six mountains arranged in a pyramid and flanked by two cypress trees, as seen in various paintings and documents - found on the back of the panel on which the pastel rests. On that same panel, and confirming the attribution beyond all reasonable doubt, is the cursive inscription in black ink of the period ROMA 1708 BENEDETTO LUTI FECE. Turning to artists outside the region was normal in eighteenth-century Perugia. During the entire century, indigenous art had little to contribute to the history of Umbrian art as a whole, and all major undertakings, like the re-facing of churches or the decoration of patrician residences, with few exception were entrusted to artists outside the region, particularly those active in Rome, since that capital city remained the undisputed center of art and culture. In the same way, easel paintings, from large format to small and destined for the private market, were sought from artists who were neither Perugian nor Umbrian, like Benedetto Luti, who was appreciated less for his Florentine heritage than for his adherence to the figural style that dominated in Rome.


Bibliografia/Bibliography Orsini 1784, pp. 15-17; Coccia 1990, pp. 773-74; Bowron 2002, pp. 45-51; Nucciarelli 2007a, p. 23.

Provenienza/Provenance Perugia, Collezione conti Graziani Perugia, Collezione marchesi Graziani-Monaldi Venezia, Collezione privata Svizzera, Collezione privata

Perugia, Palazzo Graziani Perugia, Palazzo Graziani ŠArchivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.16 Maestro del Tondo di Cortona o Pinturicchio Umbria, fine Quattrocento - primi Cinquecento Madonna con il Bambino in trono in un paesaggio España, Colección particular © Archivio fotografico Franco Ivan Nucciarelli

La piccola tavola, che per la raffinatezza s’avvicina a una miniatura, è inedita. Non compare in alcuno scritto, a eccezione di una sintetica expertise manoscritta di Giuseppe Fiocco, datata 5 luglio 1950, che i proprietari del dipinto tuttora detengono. Oltre mezzo secolo fa, il noto storico dell’arte scriveva: “Le piccole velature aggiunte a questo mirabile dipinto, specie nella vesticciola del Bimbo, anche perché intelligentemente condotte, non guastano affatto l’impressione complessiva che si ha di questa Madonna su tavola di cm 33 x 40, dovuta a Bernardino Pinturicchio. È il Pinturicchio più grazioso, grondante di oro, e di tinte sapide e sugose, dall’espressione smarrita e fanciullesca; tutta sua. L’opera s’inserisce a perfezione nel periodo dell’attività romana del Maestro umbro; e pare un frammento degli appartamenti Borgia”. La totale mancanza d’un itinerario critico, tolto il breve scritto di Fiocco, è del tutto spiegabile: prima nella collezione di don Vittorio Massimo, poi in quella del nobiluomo spagnolo, nonno dell’attuale proprietario, il quadretto non è mai uscito dal circuito privato e quindi gli sono mancate le occasioni per entrare nell’orbita degli studi pinturicchieschi. Se si deve pienamente concordare con Fiocco sul riferimento al Pinturicchio, va al contempo riconosciuto che, non la qualità pittorica, elevata e del tutto compatibile con l’autografia del maestro umbro, ma la caratterizzazione fisionomica della Vergine appare leggermente diversa da quella che si riscontra nelle opere certe del ‘piccolo pittore’. Il volto della Madonna d’una bellezza acerba, molto allungato e dall’espressione leggermente imbronciata, parrebbe più un ritratto che un normale soggetto religioso senza ulteriori connotazioni. Il riferimento di Fiocco agli Appartamenti Borgia è perfettamente a fuoco. Il volto della Madonna della tavoletta spagnola, se si pone un po’ a distanza dai normali volti femminili pinturicchieschi, presenta invece sorprendenti analogie con quello di santa Caterina d’Alessandria nella scena della Disputa con i filosofi, che occupa la lunetta principale nella Sala dei Santi dei richiamati Appartamenti Borgia. Siccome la Virgo Alexandrina da sempre, pur senza prove, è ritenuta un probabile ritratto di Lucrezia Borgia, figlia di Alessandro VI, per lunghi anni il principale committente del Pinturicchio, nasce spontanea la domanda se anche nella tavoletta in Spagna il pittore non abbia voluto fissare la mitica bellezza della figlia del pontefice spagnolo. La fastosa residenza di Alessandro VI comunque è chiamata in causa anche dall’insistito, ma raffinatissimo decorativismo, che s’esprime non solo nell’abbigliamento dei due personaggi, ma nel drappo dal gusto vagamente orientale alle spalle della Vergine, un vero pezzo di bravura, ulteriormente arricchito dai medaglioni che pendono dall’alto, molto vicini ad analoghe soluzioni pinturicchiesche, per esempio nella Cappella Baglioni in Santa Maria Maggiore a Spello. Ancora al maestro umbro rinviano altri piccoli particolari, come la stella ripetuta, sulla spalla destra e sulla parte in basso del mantello della Vergine, come si vede nella Madonna con il Bambino e san Gerolamo, approdata nel XIX secolo a Berlino e tuttora visibile nella Gemäldegalerie degli Staatliche Museen. Mentre però 116

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nella Madonna di Berlino le stelle sono due, una sulla spalla, una in basso, nella Madonna in esame le stelle sono tre: una sulla spalla e due in basso. Il particolare insolito per il Pinturicchio, ricompare nel tondo a Dublino nella National Gallery of Ireland, attribuito al cosiddetto ‘Maestro del Tondo di Cortona’. Caratteristico del linguaggio del Pinturicchio è invece il cuscino su cui siede il Piccolo Signore del Mondo, presente in tantissimi dipinti pinturicchieschi, per esempio nella pala centrale del Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi della Galleria Nazionale di Perugia, o nella Madonna della Pace della Pinacoteca Civica P. Tacchi Venturi a San Severino Marche. Dal punto di vista iconografico un aspetto merita di essere sottolineato: si tratta d’una Madonna del latte, soluzione rara nel catalogo del Pinturicchio, dove compare solo qualche altra volta, nella Madonna con il Bambino, ora a Houston (Texas), Sarah Blaffer Campbell Foundation, ma un tempo a Mombello in proprietà del principe Pio Falcò di Savoia e in un’altra di una località scozzese nella collezione di Lord Crawford and Balcarres. Una quarta Madonna del latte era segnalata a San Pietroburgo nella Collezione Botkin. La Madonna della fondazione texana è una delle non molte opere pinturicchiesche a essere datata e risale al 1492, non a caso l’anno d’inizio della decorazione degli Appartamenti Borgia. È possibile quindi che l’iconografia della Vergine nell’atto di allattare obbedisca a precisi desiderata della committenza borgiana. Un volto molto vicino alla Madonna in esame è quello del piccolo san Giovanni del Tondo di Cortona, in proprietà dell’Accademia Etrusca della città toscana. Il dipinto che raffigura la Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni in un paesaggio era attribuito al Pinturicchio, prima di diventare l’opera eponima di una personalità artistica dai contorni ancora sfuggenti, detto appunto ‘Maestro del Tondo di Cortona’. A questo ignoto pittore sono state attribuite otto opere, con sensibili differenze di cifra stilistica però, tanto che è difficile pensare siano veramente tutte della stessa mano. Le evidenti analogie fra il Tondo di Cortona e questa Madonna in collezione privata spagnola, almeno per quanto concerne i due volti della Vergine e del piccolo san Giovanni, nonché quelle con il Tondo di Dublino almeno per il particolare delle tre stelle, fanno pensare che l’ignoto artista sia un pittore umbro attivo accanto al Pinturicchio proprio negli Appartamenti Borgia. È noto peraltro che durante la frescatura della residenza pontificia, il Pinturicchio eseguì e fece eseguire ai collaboratori pitture su tavola, quasi tutte Madonne con il Bambino, accomunate da forti analogie stilistiche, riemergenti anche nell’inedita Madonna con il Bambino in questione, databile fra il 1492 e il 1494. A questo punto l’analisi è di fronte a un dilemma: o l’opera va assegnata al ‘Maestro del Tondo di Cortona’, in un momento di particolare vicinanza al Pinturicchio; o ascritta al Pinturicchio in persona e il leggero allontanamento dal suo tipo ideale femminile si motiva con la necessità di attenersi ai lineamenti di Lucrezia Borgia. Il fatto che il dipinto sia inedito e pertanto senza un percorso critico consiglia al momento di lasciare aperte ambedue le possibilità.



2.16 Master of the Cortona Tondo or Pinturicchio Madonna and Child Enthroned in a Landscape Spain, Private Collection

This small panel, which resembles a miniature, is unrecorded except for a handwritten appraisal signed by Giuseppe Fiocco and dated July 5, 1950, still in the possession of the present owners. More than half a century ago, the noted art historian wrote “The thin layers of color added to this admirable painting, such as those in the Christ child’s clothes, in no way detract from the overall impression that this Madonna on a 33 x 40 cm panel is by Bernardino Pinturicchio. Here is Pinturicchio at his most pleasing - oozing gold, and savory and succulent tones, the vague and childlike facial expression - all his. The work fits perfectly into the production of the Umbrian master’s roman period, and seems to be a fragment from the Borgia Apartments”. The complete lack of a critical provenance, except for the Fiocco note, is easily explained: first in the collection of Prince Vittorio Massimo and then in that of a Spanish nobleman, grandfather of the present owner, the small painting has never been out of private hands and therefore had no opportunity to be considered by Pinturicchio scholars and included in the literature. If one is to accept Fiocco’s attribution to Pinturicchio, one must also recognize that while the work’s high quality makes it completely compatible with signed works by the Umbrian master, the Virgin’s physiognomy is slightly different from what we characteristically encounter in autograph works by the so-called ‘little painter’. The Madonna, with her elongated face and slightly sulky expression, has an acerbic beauty, and this seems more a profane portrait than a religious subject. Fiocco’s reference to the Borgia apartments is on target. Although the Madonna’s face in the Spanish panel is somewhat at variance with what is considered a typical Pinturicchio female visage, it is surprisingly analogous to that of Saint Catherine of Alexandria in the scene representing The Debate with the Philosophers, which fills the main lunette of the Borgia Apartment’s Hall of Saints. Albeit without proof, the Alexandrian Virgin has always been considered a probable portrait of Lucrecia Borgia, daughter of Pinturicchio’s long-time leading patron, Alexander VI. This association naturally leads to the speculation that perhaps here, too, in the small panel in Spain, the artist has endowed the Madonna with the mythic beauty of the Spanish pontiff ’s daughter. In any event, Alexander VI’s sumptuous residence is called to mind by the insistent though highly refined decorativism, expressed not only in the garments of the two figures but in the skillfully wrought, vaguely oriental style of the tapestry panel behind the Virgin, enriched with hanging medallions - all reminiscent of Pinturicchio’s pictorial solutions in such works as those in the Baglioni Chapel of Santa Maria Maggiore in Spello. Other references to Pinturicchio include details like the star repeated on the right shoulder and lower mantle of the Madonna, as seen in the Madonna with Child and Saint Jerome which surfaced in Berlin in the 19th century and is today on view in 118

Umbrian artistic heritage worldwide

the Painting Gallery of the State Museum. In the Berlin Madonna, there are two stars - one on her shoulder and one below - while in the Spanish Madonna there are three: one on her shoulder and two below, an unusual detail which, however, we find again in a tondo painting in the National Gallery of Ireland, Dublin, where it is attributed to the so-called ‘Master of the Cortona Tondo’. Equally compelling analogies to Pinturicchio are found in the cushion on which the Christ Child sits, seen in numerous paintings by this artists like the central altar panel of the Polyptych of Santa Maria degli Angeli or dei Fossi in the National Gallery of Umbria, Perugia, or the Madonna of Peace in the P. Tacchi Venturi Civic Pinacoteca in San Severino, the Marches. From an iconographic point of view, one particular aspect should be underlined: the Lactating Madonna is an unusual work in Pinturicchio’s total oeuvre and a subject that is found again in the Madonna and Child currently owned by the Sarah Blaffer Campbell Foundation in Houston (Texas), but formerly in the collections of Prince Pio Falco of Savoy at Mombello, and of Lord Crawford and Balcarres, Scotland. A third Lactating Madonna was recorded in the Botkin Collection, St. Petersburg. The Texas Madonna is one of a handful Pinturrichios dated; it bears the date 1492, not coincidentally the year in which decoration of the Borgia Apartments began. It is therefore possible that the theme of the nursing Madonna was first suggested by the Borgia. A face remarkably similar to that of the Madonna under discussion here is that of the Little St. John in the Cortona Tondo, owned by that city’s Etruscan Academy. This Tondo, representing the Madonna and Child with the Little St. John in a Landscape, was previously given to Pinturicchio before being reattributed to an anonymous artist simply referred to as the ‘Master of the Cortona Tondo’. Eight works in all have been attributed to this unnamed artist, exhibiting a range of stylistic qualities that make it hard to believe they are all by the same hand. The obvious similarities between the faces of the Spanish Madonna and the Cortona Little St. John lead one to conclude that the anonymous artist might have been an Umbrian painter working alongside Pinturicchio in the Borgia Apartments. We know that during the frescoing of the papal residence Pinturicchio executed and had his assistants execute panel paintings, datable between 1492 and 1494, almost all of which represented the Madonna and Child and demonstrated a marked stylistic unity which we find in the unlisted Madonna and Child Enthroned under discussion. At this point we have a dilemma: the work may either be attributed to the ‘Master of the Cortona Tondo’, produced at the time of his collaboration with Pinturicchio; or to Pinturicchio himself, who diverged slightly from his usual pictorial idiom to incorporate the facial details of Lucrecia Borgia. For the moment, lack of a critical provenance makes it advisable to leave both possibilities open.


Bibliografia/Bibliography Ricci 1902, pp. 148-51; 1903, pp. 153-57; Todini 1989, I, pp. 196; II, pp. 567-68, ff. 1313-20; Nucciarelli 1998, pp. 283, 288, 298; Ortenzi 2008a, pp. 322-23; 2008b, pp. 320-21.

Provenienza/Provenance Roma, Collezione principe don Vittorio Massimo Roma, Collezione privata Spagna, Collezione privata

Spello: Veduta aerea Spello: Aerial view Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.17 Maestro di Fossa Umbria meridionale: attivo nella prima metà del Trecento Storie di Cristo Città del Vaticano, Appartamento Nobile Pontificio © Musei Vaticani L’approdo in Vaticano e, in particolare, la destinazione all’Appartamento Nobile Pontificio da soli dichiarano a gran voce, quali siano la qualità e l’impatto visivo di questo pentittico, i cui cinque scomparti con ulteriori divisioni interne, sormontati da ghimberghe, strutture largamente presenti nel Trecento in pittura, scultura e architettura, raffigurano Storie della Passione di Cristo, altri episodi evangelici e figure di santi. La lettura e l’apprezzamento dell’opera sono favoriti da eccellenti condizioni di conservazione, non comuni e tutt’altro che scontate per un manufatto che si data a poco prima della metà del secolo XIV, quindi con una storia di oltre sei secoli alle spalle. L’autore è indicato con la denominazione convenzionale di ‘Maestro di Fossa’, a motivo di un trittico conservato nell’omonima località abruzzese in provincia di L’Aquila, nella Chiesa di Santa Maria ad Cryptas e al momento la sua vicenda biografica e artistica è abbozzata solo nelle grandi linee. Anche da questo panorama nebuloso emerge però con chiarezza che fu attivo nell’Umbria sud-orientale, fino a sconfinare in Abruzzo, dove lasciò il dipinto eponimo. Il suo linguaggio figurativo, legato all’ambiente di Giotto e dei suoi allievi, esercitò un influsso profondo e duraturo sulla pittura spoletina fino quasi alla metà del secolo XV. Il legame con Giotto è talmente stretto, che non manca chi lo propone come aiuto principale del maestro fiorentino ad Assisi nella Basilica Superiore negli ultimi riquadri in cui sono affrescate le Storie di San Francesco. La prima segnalazione del pentittico risale agli anni Settanta del secolo XVIII ed è contenuta in un’attenta descrizione della Chiesa di San Francesco a Montefalco, che lo indica già diviso in tre parti, com’è tuttora, e collocato nella navatella minore della chiesa, accanto all’ingresso della sacrestia. L’opera, completa della carpenteria dorata, tipica delle macchine d’altare del tempo, immaginate come facciate di chiese a scala ridotta, è dipinta a tempera su tavola e le dimensioni sono 166 cm d’altezza x 280 cm di lunghezza. È documentata la sua provenienza dalla chiesa di Montefalco, dove decorava la parete in muratura, che separava l’altare maggiore dal coro. Dovette essere smembrata contestualmente ai lavori di ristrutturazione della zona, quando nella seconda metà del Cinquecento la parete in muratura fu abbattuta e il coro divenne visibile. Pur essendo i cinque elementi tutti della stessa mano e pensati come un’opera unitaria, i tre centrali sono solidali, i due laterali indipendenti; questa insolita divisione quasi certamente si deve alla risistemazione cinquecentesca. Assieme ad altri oggetti provenienti da Montefalco, il pentittico approdò in Vaticano e fu destinato a decorare la Biblioteca Apostolica, dove è documentato dal 1867. Nel 1909, a seguito di una radicale risistemazione della Pinacoteca, vi fu trasferito, per poi passare infine nel 1964 all’Appartamento Nobile Pontificio, dove tuttora si trova, senza minimamente sfigurare nella selva di capolavori in cui è immerso. L’attribuzione al ‘Maestro di Fossa’ si deve alle intuizioni di Roberto Longhi, che indicava una data fra il 1330 e il 1341; tale arco cronologico, sia pure in assenza di prove documentarie, è altamente probabile, ma può essere ulteriormente precisato, perché è logico 120

Patrimonio artistico umbro nel mondo

supporre che il pregiato polittico sia stato ordinato in previsione della consacrazione della nuova chiesa francescana, la terza a Montefalco, che si sa con esattezza costruita fra il 1336 e il 1340. Siamo di fronte al prodotto d’un artista di elevate capacità, abilissimo nel costruire uno spazio credibile, ordinato e curato nei minimi dettagli, in cui ogni piccolo particolare sta esattamente al posto giusto. Nell’opera l’aspetto che maggiormente colpisce è proprio l’abile distribuzione delle figure nello spazio, il cui risultato è un perfetto accordo fra la struttura lignea e le scene raffigurate. Le cinque lunette, iscritte nelle ghimberghe, separate dal resto dei campi figurativi, sono occupate dal Redentore benedicente al centro e dagli Evangelisti. Analogamente gli otto spazi trilobati nel registro inferiore ospitano altrettante figure di santi, anche loro come il Redentore e gli Evangelisti, sottratti al flusso corale della narrazione. Data la destinazione a una chiesa francescana sono presenti vari santi appartenenti a quest’ordine: oltre all’immancabile san Francesco, compaiono santa Chiara e san Ludovico di Tolosa o d’Angiò, molto frequente nell’arte umbra questi per essere il terzo santo francescano in ordine d’importanza, a Perugia assurto addirittura alla dignità di compatrono e protettore del Palazzo dei Priori. San Francesco occupa una posizione molto speciale: è inginocchiato ai piedi della croce, come a raccogliere, assieme al sangue, l’eredità di Gesù, nel suo ruolo di Alter Christus. I dieci spazi maggiori, unificati dalla struttura a rettangolo centinato, ospitano invece le parti più propriamente narrative, tutte ambientate all’aperto, eccetto tre, la Lavanda dei piedi, la Comunione degli Apostoli e la Pentecoste che sono all’interno di tre ambienti magistralmente descritti, perfino nelle piccole bifore, alle quali l’oro conferisce l’impressione d’una forte luce esterna. Difficile stabilire nella bottega di quali artisti possa essere avvenuta la formazione del ‘Maestro di Fossa’, ma si suppone una collusione con un altro artista anonimo, il ‘Maestro del Dittico Poldi Pezzoli’, come sono apprezzabili gli influssi da parte del ‘Maestro di Cesi’ e di Puccio Capanna, l’artista, fra quelli attivi in Umbria, più vicino e fedele alla lezione giottesca, che grazie a lui arriverà viva e vitale fino al secolo XV. È un’ulteriore prova dell’eccezionale importanza del grande ciclo d’affreschi di Assisi, che, per generazioni e generazioni di artisti, fu una fonte d’ispirazione inesauribile e un termine di riferimento ineludibile. Il pentittico del ‘Maestro di Fossa’ non ha un lungo percorso critico alle spalle, ma è interessante notare che i tratti salienti erano stati messi a fuoco già dal cronista settecentesco, che lo assegnava alla prima metà del Trecento e lo ricollegava alla croce sagomata e dipinta, tuttora visibile a Spello nella Chiesa di Sant’Andrea. L’analisi più approfondita resta quella di Longhi, che notava, accanto a tratti tipicamente umbri, tratti orientali, che spiegava con i legami con la cultura figurativa diffusa nel Regno di Napoli. Un dato interessante è la presenza di una figura estranea nella scena della Comunione degli Apostoli, forse il committente, purtroppo non identificato e molto probabilmente destinato a rimanere tale per sempre.



2.17 Master of Fossa Stories of the Passion Vatican City, Papal Apartment

Its collocation in the Vatican and particularly in the Papal Apartment testifies strongly to the quality and visual impact of this polyptych, the five sections of which are further subdivided and the whole surmounted by gothic pediments, a common element in 14th century painting, sculpture and architecture. It represents the Stories of the Passions of Christ, other evangelical episodes and figures of saints. Our understanding and appreciation of this masterpiece is facilitated by its excellent condition, rarely found in works dating from around the middle of the 14th century and thus in existence for more than 600 years. Its author is identified with the conventional title ‘Maestro di Fossa’ (Master from Fossa), because of a related triptych conserved in a locality of that name in the Aquila Province of the Abruzzi. That painting, in the Church of Saint Mary ad Cryptas, has to date enjoyed only minimal attention to its biographic and artistic circumstances. Nonetheless, what clearly emerges from this murky panorama is that this artist was active in southeast Umbria as far as its border with the Abruzzi, where he left his eponymous painting. His figurative style, tied to that of the circle of Giotto and his pupils, exercised a profound and lasting influence on painting in Spoleto until nearly the middle of the 15th century. This connection with Giotto is so marked that some have even suggested he was the Florentine master’s principal assistant in Assisi for the last images in the fresco cycle painted in the upper basilica of the Church of Saint Francis which represent the life of the saint. The first mention of the Vatican polyptych is in the 1770’s when it is described in great detail in the Church of Saint Francis in Montefalco, at which time it was already divided into three sections, as it is today, and housed in the aisle of the church, near the sacristy entrance. The work, complete with its gilt-wood framework, typical of altar accoutrements of the period and rendered like the façade decoration of a church but in reduced scale, is painted in tempera on panels and measures 166 cm high by 280 cm long. The painting’s provenance from the church in Montefalco is documented, and it was originally mounted on the wall that separated the major altar from the choir. It must have been dismembered pursuant to restructuring work in that part of the building in the second half of the 16th century, when its sustaining wall was removed to make the choir area visible. Despite being a single work and by one artist, the three central panels combined as a single unit while the other two panels are independent: this division of parts almost unquestionably dates from the time of the painting’s relocation in the 16th century. Together with other objects from Montefalco, the pentittico was sent to the Vatican where it was destined to adorn the Apostolic Library, and documented there in 1867. In 1909, following a radical re-systematization of the Pinacoteca, it was moved there, eventually passing to the Appartamento Nobile Pontificio in 1964, where it remains today, holding its own in the excellent company of the masterpieces that surround it. The attribution to the Master of Fossa was made by Roberto Longhi, who suggested a date between 1330 and 1341; this chronological span is altogether 122

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probable, despite the lack of documentary support, but can be made even more precise as it is logical to suppose that the polyptych was commissioned for the consecration of the new Franciscan church, the third in Montefalco, which we know was built between 1336 and 1340. We are dealing with a highly skilled artist, able to construct complex and believable space, well organized and precise down to the smallest details, each of which is exactly where it should be. What is most striking about the work is the able positioning of the figures in space, resulting in a perfect accord between those figures and their settings. The five lunettes in the crowning gothic pediments, and separate from the figural panels below, are occupied by Christ the Redeemer in the center flanked by the four Evangelists. Analogously, the eight trilobate spaces at the bottom show other saints, which, like Christ Redeemer and the Evangelists above, subtract from the choral flow of the narration. Due to its intended destination in a Franciscan church, the work contains various Franciscan saints: aside from the inevitable Saint Francis, we also find Saint Clare, and Saint Ludwig of Toulouse or of Anjou, the latter often found in Umbrian art since he was the third most important saint in the Order and in Perugia was further revered as patron and protector of the dei Priori Palace. Saint Francis occupies a special place in the altarpiece: he is on his knees at the foot of the cross, in order to collect, together with Christ’s blood, his legacy, in his role as Alter Christus. The ten major spaces of the polyptych, unified by ornate, rectangular framework, are filled with narrative scenes, all out of doors except for three: The Washing of the Feet, The Communion of the Apostles, and the Pentecost which take place in three clearly defined magisterial interiors, with gold in the windows openings and doorways suggesting a strong external light. It is difficult to establish in whose workshop the ‘Maestro di Fossa’ might have trained, but an association has been suggested with another anonymous painter, the so-called ‘Master of the Poldi Pezzoli Diptych’ and certain appreciable influences from the ‘Master of Cesi’ and of Puccio Capanna, an artist among those active in Umbria who stayed faithful to the lessons of Giotto which, thanks to him, remained current into the 15th century. Further proof of the exceptional importance of the great fresco cycle in Assisi is the remarkable influence it continued to exercise over generation after generation of artists. The polyptych of the ‘Master of Fossa’ has not been extensively studied, but it is worth noting that it was already mentioned in important 18th century chronicles when it was dated to the first half of the 14th century and related to a shaped crucifixion panel still found in the Church of Saint Andrew in Spello. The most extensive research on the work was done by Longhi who noticed, along with its typically Umbrian references, certain southern traits which he explained as the result of contact with the painting style of the Kingdom of Naples. One interesting point about this painting is the extra figure in the Communion of the Apostles scene - possibly the donor but unidentified and perhaps destined to remain so.


Bibliografia/Bibliography Longhi 1973b, pp. 3-44; Fratini 1986, p. 621; Todini 1986, pp. 375413; 1989, I, pp. 141-42; II, pp. 149-57, ff. 316-31; Nessi 1990, pp. 44-47; Cornini e De Strobel 1996, pp. 36-89; Galassi 2004, pp. 63-64.

Provenienza/Provenance Montefalco, Chiesa di San Francesco Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Città del Vaticano, Pinacoteca Città del Vaticano, Appartamento Nobile Pontificio

Castelluccio di Norcia: Fioritura in giugno nei Piani Castelluccio di Norcia: Flowers blossoming in June on the Plains © Archivio Fotografico Italgraf

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2.18 Mariano di Ser Austerio Mariano di Ser Austerio: Perugia, documentato dal 1493 - prima del 1547 Madonna con il Bambino fra i santi Lorenzo, Giovanni Battista, Gerolamo e Domenico Città del Vaticano, Pinacoteca © Musei Vaticani La presenza a Perugia fra i secoli XV e XVI di due pittori di livello stratosferico come Perugino e Pinturicchio, a cui va aggiunto il giovane Raffaello, ha finito per collocare in secondo piano agli occhi del gran pubblico, ma anche di vari studiosi, figure di artisti di notevole levatura, le cui opere molto spesso sono state assegnate ai tre nomi maggiori. La confusione attributiva ha logiche motivazioni, data l’irresistibile attrazione che i linguaggi figurativi di Perugino, Pinturicchio e Raffaello esercitavano sugli artisti contemporanei, che dei tre grandi in molti casi erano allievi e imitatori, come Mariano di Ser Austerio. L’artista è noto per un’attività perugina documentata fra il 1493 e il 1527, a cui s’affianca una presunta breve parentesi ferrarese, ricordata da vari studiosi, ma non confermata da opere certe. Dopo una fase peruginesca, Mariano mostra una progressiva evoluzione in senso raffaellesco, non del tutto esente però da collusioni con il decorativismo del Pinturicchio. La collaborazione con Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, infine introdurrà un’ulteriore componente nel polimorfo linguaggio di Mariano. Quale che sia il giudizio degli storici dell’arte moderni, ai suoi tempi il pittore godeva di un certo prestigio, come provano almeno due vicende significative, vissute a stretto contatto con due dei maggiori artisti attivi in Umbria all’epoca: la partecipazione alla decorazione del Nobile Collegio del Cambio, accanto a Giannicola di Paolo e la collaborazione con Giovanni di Pietro, detto lo Spagna per la pala d’altare in origine nella chiesa perugina di Sant’Antonio Abate, ora divisa fra Louvre e Galleria Nazionale dell’Umbria. Non di meno in tutti e due i casi, Mariano è coinvolto per parti minoritarie dell’incarico: il paliotto e non la pala d’altare al Cambio; le storiette della predella e non la tavola principale a Sant’Antonio Abate, chiari segnali di una posizione di rispetto, ma in leggero subordine nel panorama artistico della città ai primissimi del Cinquecento. Una commissione di particolare interesse, invece, che vede Mariano nel ruolo di protagonista, è la pala d’altare, destinata alla Cappella Belli o di San Lorenzo nella Chiesa di San Domenico. Come mecenati i Belli non erano secondi a nessuno, se per la propria cappella, verso la fine degli anni Cinquanta del Quattrocento, s’erano rivolti a un personaggio di primissimo piano, con un’affermazione alle spalle non solo a Perugia, ma in varie città d’Italia: Agostino di Duccio. Fu Piergentile di Lorenzo Belli ad affidare a Mariano di Ser Austerio la pala, da varie fonti antiche segnalata e descritta nella cappella di famiglia della chiesa domenicana, che raffigura la Madonna in gloria con il Bambino, ritratto nell’atto di sfogliare il libro in mano alla madre, circondati da una mandorla insolitamente piena di angeli disposti su due file. La cappella, in precedenza intitolata all’Annunziata, ma detta anche del Rosario, fu nell’occasione trasferita al titolo di san Lorenzo, compatrono di Perugia, in quanto titolare della cattedrale, ma soprattutto santo eponimo del padre del committente. Ai due protagonisti s’affiancano san Lorenzo 124

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e san Domenico, inginocchiati sulle nuvole, e alle loro spalle san Giovanni Battista e san Gerolamo in piedi. L’opera scomparve in epoca napoleonica, nel 1812 nel corso della seconda fase delle spoliazioni, quella programmata da Dominique-Vivant Denon, senza lasciare traccia, tanto da far dubitare che non fosse mai arrivata in Francia. Accurati studi recentissimi invece ne hanno ricostruito il percorso da Perugia a Parigi e da Parigi a Roma, fino all’attuale collocazione nella Pinacoteca Vaticana, dove era occultata sotto la fuorviante attribuzione a Girolamo Genga. La restituzione al vero autore è importante, perché il catalogo di Mariano di Ser Austerio attualmente comprende poco più d’una dozzina di titoli, numero troppo basso per non fare nascere il sospetto che altre opere sue siano ancora nascoste sotto erronee attribuzioni. Sulla sostanziale formazione peruginesca, arricchita da elementi raffaelleschi, nel linguaggio figurativo di Mariano di Ser Austerio s’innestano altre componenti di non immediata spiegazione, come i toni freddi e grigio-azzurri, dominanti nella sua tavolozza, forse indizio di contatti con un altro pittore perugino attivo fra Umbria e Marche, Bernardino di Mariotto dello Stagno. Un problema ancora aperto è la data della pala, spesso nelle fonti antiche indicata come 1493, anno difficilmente accettabile già al puro livello stilistico. Non essendo stati rintracciati né i documenti concernenti l’affidamento dei lavori, né quelli relativi ai pagamenti, la datazione dell’opera parrebbe affidata unicamente all’analisi stilistico-formale. Invece è possibile indicare un termine post quem e un termine ante quem per l’esecuzione dell’opera, che circoscrivono un arco cronologico di dieci anni. Il primo è il fatto che la dalmatica diaconale di san Lorenzo già agli storici settecenteschi ricordava quella dello stesso santo nella Madonna con il Bambino in trono, angeli, i santi Andrea, Ludovico di Tolosa, Francesco e Lorenzo, detta anche Pala di Sant’Andrea a firma di Pinturicchio e aiuti nella chiesa omonima di Spello, notoriamente datata 1508. Il secondo è il lodo arbitrale per la quantificazione del prezzo da corrispondere a Mariano, riscoperto soltanto qualche anno fa, che porta la data 18 maggio 1518. Il dipinto appartiene pertanto alla fase adulta del pittore: acquisita ormai una sua autonomia artistica, non doveva più collaborare a parti minori di opere di colleghi, già affermati, come Giannicola di Paolo o lo Spagna, ma poteva accettare in prima persona lavori da committenti di rilievo per chiese importanti.



2.18 Mariano di Ser Austerio Madonna and Child with Saints Lawrence, John the Baptist, Jerome and Dominic Vatican City Pinacoteca

The presence in Perugia between the 15th and 16th centuries of two painting giants, Perugino and Pinturicchio, to whom one must add the young Raphael, overshadowed in the eyes of the general public and of various scholars other artists of considerable talent whose work has often been attributed to their better-known counterparts. This confusion of attribution is understandable, given the irresistible attraction that the figural styles of Perugino, Pinturicchio and Raphael exercised on their contemporaries, many of whom, like Mariano di Ser Austerio, being both student and imitator. This artist is documented as having worked in Perugia between 1493 and 1527, during which time he was also supposedly briefly in Ferrara, a fact mentioned by a number of scholars but unsupported by attributable works there. After a Peruginesque phase, Mariano demonstrated a Raphaelesque evolution which did not, however, completely exclude the decorativism of Pinturicchio. Finally, his collaboration with Giovanni di Pietro, called ‘lo Spagna’, introduced still other components into his multifaceted artistic vocabulary. Regardless of the opinion of modern art historians, Mariano in his own day enjoyed a certain prestige, as proven by at least two instances in which he collaborated with two of the major artists working in Umbria at the time: participation in the decoration of the Nobile Collegio del Cambio alongside Giannicola di Paolo, and working with Giovanni di Pietro (lo Spagna) on the altar-piece for the Perugia church of Saint Anthony the Abbot, the latter divided today between the Louvre and the National Gallery of Umbria. Nonetheless, in both cases Mariano’s role was decidedly minor, working on the altar-frontal and not the altar-piece proper, on the predella panels and not the primary panel devoted to Saint Anthony the Abbot - clear indication of a position of respect though subordinated in Perugia’s early 16th century hierarchy. A commission of particular interest which showed Mariano in a leading role, however, was the altarpiece destined for the Cappella Belli or the Chapel of Saint Lawrence, in the church of Saint Dominic. As patrons, the Belli were second to none, and for the creation of their private chapel, dating from the late 1450s, they turned to a first-rate sculptor, as recognized not only in Perugia but in other Italian cities as well, Agostino di Duccio. According to various early writings about the family chapel in Saint Dominic, it was Piergentile di Lorenzo Belli who commissioned Mariano di ser Austerio to do the altar painting which represents the Madonna in Glory, with the Christ Child in the act of leafing through a book in his mother’s hands, surrounded by a mandorla filled with a double row of angels. The chapel, formerly called ‘of the Annunciation’, or ‘of the Rosary’, was renamed “of Saint Lawrence”, not only because Saint Lawrence was one of the patron saints of Perugia and the personage to whom the cathedral was dedicated, but also because Lawrence was the name of the donor’s father. Flanking the central figures in the painting are Saint 126

Umbrian artistic heritage worldwide

Lawrence and Saint Dominic, both kneeling on clouds, with Saints John the Baptist and Jerome standing behind them. The painting was removed from the chapel in 1812, during the second phase of pillaging by Napoleonic troops as orchestrated by Dominique-Vivant Denon, and disappeared. It was not even clear whether or not it ever reached France. Recent research, however, has traced the painting’s provenance from Perugia to Paris and from Paris to Rome, and finally into the Vatican collections where it was catalogued under the misleading attribution of Girolamo Genga. The restoration of the painting’s true authorship is important, since the catalogue of Mariano di Ser Austerio only comprises just over a dozen works - a number so small as to suggest that a large number of his paintings are still hidden under other erroneous attributions. Onto a Peruginesque foundation enriched with Raphaelesque elements were grafted in the figurative language of Mariano di ser Austerio, other elements more difficult to explain, such as the cold tones and grey-blues which dominate his panels, possibly indicators of contact with another local artists working between Umbria and the Marches, Bernardino di Mariotto dello Stagno. Still problematic is the date of the altarpiece, indicated as 1493 in early documents but difficult to accept as such on a purely stylistic level. Usually, in the absence of documents concerning both the commission and payment for the work, formal stylistic analysis remains the only basis for dating. In this case, however, it is possible to determine the date within the arc of a single decade. Many eighteenth scholars noticed similarities between the clothes of the Saint Lawrence by Mariano di Ser Austerio and those of the same saint painted by Pinturicchio in the Church of Saint Andrew at Spello. Therefore 1508 was the year in which Pinturicchio and his assistants executed the Madonna and Child Enthroned, with Angels and Saints Andrew, Ludwig of Toulouse, Francis and Lawrence, also called the Altar-piece of Saint Andrew. May 18, 1518, is the date on a recently-discovered judgment concerning the amount of money to be paid to Mariano. The work, therefore, belongs to the mature phase of the artist who, having achieved his artistic independence, no longer needed to collaborate in a minor role with already-successful colleagues like Giannicola di Paolo or lo Spagna, but could accept commissions in his own right from major patrons for important churches.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 190-91; Mancini 1988c, pp. 763-64; Todini I, p. 208; II, pp. 599-600, ff. 1389-93; Galassi 2004, pp. 75, 99-106, 168, f. 30.

Provenienza/Provenance Perugia, Chiesa di San Domenico, Cappella Belli o di San Lorenzo Paris, Musée Central des Arts/Musée Napoléon Città del Vaticano, Pinacoteca

Perugia: Chiesa di San Domenico, Primo Chiostro, secolo XV Perugia: Church of St. Dominic, First Cloister, 15th century © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.19 Matteo da Gualdo Matteo di Pietro di Giovanni: Gualdo Tadino PG, 1430/1435 - dopo il 1507 Madonna con il Bambino in trono Altenburg, Lindenau Museum © Bridgeman/Archivi Alinari Matteo da Gualdo è una personalità del tutto particolare nel panorama artistico umbro in primo luogo per l’estrazione sociale e l’attività professionale, che presentano qualche analogia con le vicende di Ottaviano Nelli. Diversamente dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi, che provengono dagli strati più modesti della popolazione e di conseguenza dispongono di uno scarso bagaglio di cultura, Matteo di Pietro da Gualdo, nato attorno al 1435, appartiene a una famiglia di livello e quasi certamente esercita la professione di notaio: anche se non sono conservati documenti in cui compare in questo ruolo, non di meno varie circostanze sorreggono l’ipotesi. Si dedica alla pittura quindi affiancandola con un’intensa attività politica e professionale, forte di un bagaglio culturale superiore alla media dei pittori quattrocenteschi. Il possesso di un certo grado d’istruzione si rivela nella molteplicità degli interessi e delle attrazioni, che l’artista subisce da parte di scuole pittoriche diverse, riuscendo a fonderle però in un linguaggio autonomo e originale. A una prima fase fortemente dipendente da Bartolomeo di Tommaso, ne segue una seconda che lo avvicina alla pittura dell’Italia settentrionale, in particolare a quella padovana dello Squarcione; poi ne segue una in cui è preponderante l’influsso dell’Alunno e in generale della pittura folignate; mentre nella fase più tarda, conclusasi nel 1507, anno della scomparsa, si registrano collusioni con Luca Signorelli e con le incisioni nordiche. Il risultato è un artista antirinascimentale o meglio appartenente a un filone speciale del Rinascimento, fantasioso e onirico fino all’alterazione surreale delle figure. L’opera presentata in queste pagine, dipinta su tavola di pioppo (43,2 x 35,2 cm), è chiaramente un frammento di un quadro di maggiori dimensioni, come dimostrano, non fosse altro, il taglio alla sommità e sul lato destro della nicchia, in cui è inserito il trono su cui siedono la Madonna e il Bambino, e dell’albero potato a palchi regolari in alto a sinistra, al di là del paramento marmoreo alle spalle dei protagonisti. Il quadretto apparteneva alle raccolte del barone August von Lindenau, che in età matura viaggiò a lungo in Italia con lo scopo dichiarato di comprare opere d’arte da esporre al pubblico, perché fossero motivo di piacere per gli adulti e di insegnamento per i giovani. Degli oggetti man mano raccolti però non sempre sono indicati i luoghi e i tempi d’acquisto, per cui non è possibile stabilire dove e quando la Madonna con il Bambino in trono pervenne in mano al mecenate tedesco. Non di meno compare già nel 1848 in una descrizione degli oggetti della collezione, ricompare in una monografia alla fine dell’Ottocento e in altri studi del primo Novecento, sempre con il rinvio al pittore di Gualdo o a un suo seguace non ulteriormente identificato. La tavoletta, a parte qualche ritocco verso il lato inferiore, è in buone condizioni di conservazione. La Madonna, dal collo insolitamente lungo, il profilo affilato e i capelli castani chiari coperti da un velo bianco, che con pieghe rigide e regolari le ricade sulle spalle, è ritratta di tre quarti con la testa leggermente 128

Patrimonio artistico umbro nel mondo

flessa. Indossa un abito rosso lampone e un mantello azzurro chiaro e rivolge lo sguardo dalla parte del Bambino, ma fuori dello spazio figurativo. Il piccolo Gesù, vestito di una sopravveste rosso fragola su una camicia rosa, guarda affettuosamente la madre e con la manina sinistra le carezza la guancia. Tutti e due hanno la pelle bianco avorio e le guance soffuse di rosa, colori sovrapposti a una preparazione verde chiaro, comune a tanta pittura umbra, volta a ottenere raffinati effetti di trasparenza alabastrina. La nicchia presenta una terminazione a conchiglia, sormontata da tre file di lacunari blu con un rosone dorato al centro e ricorda molto quella alle spalle della Madonna con il Bambino nell’Oratorio dei Pellegrini ad Assisi, decorazione a fresco notoriamente firmata da Matteo da Gualdo e datata 1468. Probabilmente fu proprio questa vicinanza all’opera certa di Assisi a indirizzare gli storici dell’arte, a cominciare da quelli attivi alla metà dell’Ottocento, verso un pittore umbro dell’ambito di Matteo da Gualdo, se non proprio verso il maestro in persona. È noto inoltre che l’artista lasciò dietro di sé vari seguaci, fra cui il figlio Girolamo di Matteo e il nipote Bernardo di Girolamo, creando una scuola minore, ma attiva, che andò avanti per tre generazioni, continuando ad alternare l’esercizio della pittura alla professione notarile. Al di fuori dell’area gualdese, dove tuttora è concentrata la gran parte della produzione di Matteo, del figlio e del nipote, con la punta massima a Gualdo Tadino, il suo influsso si registra anche a Foligno. Una dipendenza certa salta agli occhi nella Madonna con il Bambino in trono e angeli fra sant’Anna e la beata Angelina da Montegiove, affrescata come sovrapporta di uno degli ingressi al Monastero di Sant’Anna o delle Contesse, opera di Pierantonio Mezzastris. La trafila è interessante, perché i deliziosi angeli festanti di Mezzastris, ritratti nell’atto di lanciare rose, sono vicinissimi a quelli del ricordato Oratorio dei Pellegrini di Assisi a firma di Matteo, a loro volta dipendenti da quelli padovani dipinti dallo Squarcione. Alla luce di queste analogie è possibile avanzare l’ipotesi che la tavola di Altenburg sia stata eseguita a non grande distanza dagli affreschi assisiati, in un momento fra il 1470 e il 1480, datazione di fatto proposta nella bibliografia. L’opera del museo tedesco però non compare negli studi più recenti su Matteo da Gualdo e i suoi seguaci. La causa del silenzio non è chiara. Le numerose prese di posizione in favore del maestro gualdese o del suo ambito avrebbero meritato di essere prese in esame, sia pure per essere respinte.



2.19 Matteo da Gualdo Madonna and Child Enthroned Altenburg, Lindenau Museum

Matteo da Gualdo is a unique personality in the Umbrian artistic landscape primarily due to his social background and professional activities, which to some extent are analogous to those of Ottaviano Nelli. Unlike the overwhelming majority of his colleagues, who came from more modest beginnings and with minimal cultural background, Matteo di Pietro da Gualdo, born around 1435, belonged to an upper class family and almost certainly functioned as a notary. Although this assertion is not confirmed in existing documentation, there are other circumstances that support it. Matteo devoted himself to painting as well as intense political and professional activities, evidence of a cultural background above the norm for fifteenth-century painters. His greater knowledge is apparent in the way he assimilated aspects of various schools of painting while maintaining his own original style: during his earliest phase, Matteo demonstrates a strong dependence on the art of Bartolomeo di Tommaso; this was followed by a period of northern Italian influence, particularly the work of Paduan artist Squarcione; then it was Alunno of Foligno and other artists working there who held Matteo’s interest; and in his later work, ending with his death in 1507, one finds echoes of Luca Signorelli and of northern engravings. The result is anti-Renaissance, or, better yet, a special vein of Renaissance art in which the figures are rendered in an imaginative and dreamlike manner. The present painting, executed on a poplar panel (43.2 x 35.2 cm) is clearly part of a once-larger work, as evidenced by way the niche to the Virgin’s left in which the throne upon which she and the Child are seated has been cut off, and the tree behind a marble wall in the painting’s upper left corner has been truncated. The painting was formerly in the collection of Baron August von Lindenau, who travelled extensively in Italy during his later years with the specific intent of buying art for public display, to both delight adults and be instructive for the young. The German patron’s collection records, however, don’t always indicate where and when objects were acquired, and this is unfortunately the case with the Madonna and Child Enthroned. Nonetheless, the painting does appear in an 1848 description of the collection, again in a late nineteenth century monograph, and in various twentieth century studies, always attributed to Matteo da Gualdo or to an unidentified follower. The panel, despite some retouching towards the bottom, is in good condition. The Madonna, with her unusually long neck, outlined profile and pale chestnut hair covered by a white veil which falls to her shoulders in rigid, regular folds, is shown in three quarter profile, with her head slightly inclined. She wears a raspberry-red dress and a pale blue mantle and turns towards the Child while gazing outside the picture plane. The Christ Child wears a strawberry-red garment and looks affectionately at his mother while caressing her right cheek with his left hand. Both have ivory white skin and rosy cheeks, colors imposed over 130

Umbrian artistic heritage worldwide

a light green base in a typically Umbrian technique employed to create the effect of transparent alabaster. The niche terminates in a shell-shape surmounted by three rows of blue panels with gold rosettes, reminiscent of Matteo da Gualdo’s 1468 painting of the Madonna and Child in the Oratorio dei Pellegrini (Oratory of the Pilgrims) in Assisi. It was probably this connection with Matteo’s documented work in Assisi that led mid-nineteenth century art historians to suggest him or one of his followers as author of the present painting. We know he had followers, including his son Girolamo di Matteo and a nephew Bernardo di Girolamo, thus creating a minor but active ‘school’ that continued for three generations, always combining painting with notary activities. Outside the area of Gualdo and Gualdo Tadino in particular, where still today we find the majority of works by Matteo and his followers, Foligno also experienced the influence of his style. There is a clear connection, for instance, found in Pierantonio Mezzastri’s Madonna and Child Enthroned with Angels, Saint Anna and the Blessed Angelina of Montegiove, an overdoor fresco in Foligno’s Monastery of Saint Anna or of the Countesses. Here delightful angels, captured in the act of casting roses, are remarkably similar to those in the previously mentioned work signed by Matteo in the Oratorio dei Pellegrini in Assisi, in turn inspired by the angels painted by the Paduan painter Squarcione. In light of these analogies it is possible to hypothesize that the Altenburg panel was painted around the same time as the Assisi frescoes sometime between 1470 and 1480 - dating in fact proposed in the bibliography. However, this painting is not included in the most recent scholarship on Matteo da Gualdo and his followers, for reasons that are unclear. The numerous past attributions of the work to Matteo or one of his followers should have warranted keeping it under discussion, if only to be repudiated.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, p. 198, nota; van Marle 1933, p. 97, nota; von der Gabelentz 1962, p. 63, n° 108; Oertel 1966; Silvestrelli 1987c, p. 707; Todini 1989, I, pp. 211-14; II, pp. 383-86, ff. 877-88; Giuliani Spurny 1999; Bairati 2004, pp. 15-38; Bairati, Biocco e Simi 2004, pp. 177-98; Dragoni 2004, pp. 39-50; Merli 2004a, pp. 51-54; 2004b, pp. 55-56.

Provenienza/Provenance Italia, Circuito antiquario Altenburg, baron Bernhard August von Lindenau Sammlung Altenburg, Lindenau Museum

Gualdo Tadino: Rocca Flea, secolo XIV Gualdo Tadino: Rocca Flea, 14th century Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.20 Nelli Ottaviano di Martino Nelli: Gubbio PG, 1370 circa - 1444 Adorazione dei Magi Worcester (Massachussets), Worcester Art Museum © Worcester Art Museum, Worcester Massachussets Il primo mistero connesso alla fiabesca Adorazione dei Magi, dipinta da Ottaviano Nelli, quando era ormai artista esperto e affermato ben oltre la natia Gubbio e le immediate vicinanze, è per quali vie, da una località dell’Italia centrale in cui dovette essere eseguita, la tavola possa aver raggiunto il Worcester Art Museum dell’omonima città del Massachussets, nelle cui collezioni entrò nel 1920, dopo essere transitata sul mercato antiquario. Il secondo è se si tratta di un dipinto autonomo o dello scomparto d’un polittico, a cui riferire due elementi conservati in altri musei. Il filone minoritario della critica, che sostiene la plausibile ipotesi che l’Adorazione dei Magi facesse parte d’un complesso più articolato, alla tavola ne accosta altre due. La prima è San Gerolamo e il leone nel Musée du Petit Palais di Avignone; la seconda è lo Sposalizio di san Francesco con Madonna Povertà della Pinacoteca Vaticana. Certo, sarebbe interessante una ricerca in questa direzione, che verificasse o smentisse l’ipotesi, se all’origine veramente l’Adorazione di Ottaviano Nelli fosse compagna dei due dipinti ricordati. Per cercare di raggiungere l’obiettivo, la ricerca ha di fronte sostanzialmente due vie. Una è quella dei rapporti dimensionali: i polittici fra Medioevo e Rinascimento sono costruiti in vista d’un armonico accordo dei vari campi pittorici, che sono fra di loro in precise proporzioni, diverse nelle varie epoche e per i vari artisti, ma sempre comandate da un criterio aritmetico, che in molti casi è possibile individuare. L’altra è quella dell’analisi della materia, ossia le indagini diagnostiche strumentali sul legno, che fa da supporto ai tre dipinti. Questo tipo d’indagine riesce a ottenere risultati notevoli e, quel che più conta, oggettivi. Se veramente l’analisi delle tavole rivelasse che provengono dalla stessa essenza lignea e addirittura che fossero tagliate nello stesso blocco, l’ipotesi della loro comune origine, per ora affidata all’intuito degli storici dell’arte, diventerebbe una certezza indiscutibile. Il fatto che al momento l’idea debba restare allo stato d’ipotesi comunque non è un ostacolo che comprometta il valore del dipinto, dato che, anche da solo, ha una sua piena autonomia stilistica e semantica. Dopo l’approdo al museo americano, l’opera, senza alcun documento e con un percorso sconosciuto alle spalle, fu attribuita a Michele Giambono, il pittore veneziano attivo grosso modo negli stessi anni di Ottaviano e anche lui attratto nell’orbita di Gentile da Fabriano. Ben presto però cominciò a farsi strada l’assegnazione al pittore eugubino, subito accettata e al momento consolidata. Il primitivo riferimento al pittore veneziano ricordato si deve all’influsso di Gentile, evidente, ma non ridotto a una piatta ripresa dei modelli gentileschi, quanto alla tecnica pittorica del puntinato, ossia del colore applicato come nelle miniature, che diffonde luce su tutte le superfici. La scena, impostata su un vistoso verticalismo, secondo i più autentici codici stilistici gotici, è affollata, anzi gremita di personaggi, animali e oggetti, distribuiti però con ordine e ciascuno al suo posto, non solo, 132

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ma più affollati in basso, più radi in alto, in modo da alleggerire e ampliare progressivamente lo spazio figurativo. Dei personaggi colpisce la carica espressiva, tipica di Ottaviano Nelli e destinata ad accentuarsi con il procedere della sua arte, fino a raggiungere nella fase avanzata della sua produzione effetti addirittura grotteschi e caricaturali. Poi si nota la vivacità dei movimenti, evidente soprattutto in Gesù Bambino, pronto a slanciarsi verso il re mago anziano per afferrare la coppa d’oro. L’altro aspetto rilevante è il lusso dei vestiti e il gusto per i colori squillanti e dissonanti, accostati fra loro per forti stacchi, come in araldica, prassi comprensibile in un artista che, come molti suoi contemporanei, aveva al suo attivo una documentata familiarità con pennoni, stendardi, stemmi e insegne da torneo. Se il paesaggio, molto stilizzato, è tutto sommato più evocato che descritto, l’architettura rappresentata dai due castelli, uno visto di scorcio sulla destra, l’altro nello sfondo nella sua interezza a volo d’uccello, è trattata con gran cura. A proposito delle architetture non possono essere ignorati certi sorprendenti scarti dimensionali, come quello fra la capanna e i due castelli, che conferiscono al dipinto una connotazione piacevolmente ingenua. Una delle parti più riuscite è la sommità occupata da quattro angeli in posizione orante, sapientemente distribuiti attorno alla grande stella in accordo con il progressivo rastremarsi della tavola, contro un cielo in cui l’oro reintroduce l’irrealtà solo apparentemente annullata dai particolari realistici. La grotta è sostituita da una tettoia appoggiata alla parete rocciosa e sorretta da due mensole sagomate, sulla quale la paglia è accuratamente distribuita in quattro fasce regolari, che la trasformano in un elemento di definizione spaziale: un deciso segnale orizzontale in un dipinto dominato da un accentuato verticalismo. Si tratta di un’opera studiata ed equilibrata, forse prodotta in un momento in cui il ritorno di Gentile nelle Marche e la possibilità di osservarne da vicino lo stile spingevano gli artisti umbri a ripensare il proprio linguaggio figurativo alla luce delle novità che il pittore portava con sé dal Veneto e, prima ancora, dalla Lombardia. In effetti lo stile di Ottaviano, più che ai modesti predecessori eugubini, rinvia ai grandi maestri delle Marche soprattutto il grande di Fabriano e i fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni di Sanseverino. La sua formazione, avvenuta in parte considerevole al di fuori della città natia, trova rispondenza nelle varie cariche ricoperte, che lo portarono a viaggiare, gli permisero d’entrare in contatto con ambienti diversi e di ricevere commesse in un’area geografica piuttosto ampia, relativamente ai tempi, alcune di gran prestigio come a Foligno la Cappella di Palazzo Trinci, dove dipingendo le Storie della Vergine, lasciò una delle sue prove più alte.



2.20 Ottaviano Nelli Adoration of the Magi Worcester (Massachussets), Worcester Art Museum

Even though Ottaviano Nelli was well known outside his native Gubbio, one mystery surrounding his fairy-tale Adoration of the Magi is how this painting ended up in the antique market and, in 1920, the Worcester Art Museum, Worcester, Massachusetts. Another is whether or not the painting was created alone or as part of a polyptych for which there might be two other sections conserved in different museums. The latter and minority critical opinion offers as related works the Saint Jerome and the Lion in the Musée du Petit Palais in Avignon and the Marriage of Saint Francis to the Madonna of Poverty in the Vatican Pinacoteca. It would certainly be interesting to pursue this line of research in order to either confirm or deny the hypothesis of a polyptych through recorded evidence. Objectively, there are two things which must be considered: one has to do with proportional relationships; polyptychs created between the Middle Ages and the Renaissance were constructed with fairly precise dimensional relationships between the various parts, and although the exact measurements might vary from one to another, the arithmetic criteria remained the same; the second is the materials employed, and in particular the analysis of wooden supports. Such analysis yields notable results and removes subjective considerations. If scientific analysis were to show that the panel supports of the three works are of the same wood and cut from the same block, then their common origin would no longer rest solely on art historian intuition. The fact that at the moment such analysis is not possible in no way diminishes the artistic merit of the Adoration of the Magi which is a fully formed, autonomous work of art in its own right. When the painting arrived in Worcester without historical provenance, it was attributed to Michele Giambono, a Venetian painter active at the same time as Ottaviano Nelli and likewise influenced by Gentile da Fabriano. In a short time, however, it was reassigned to the Gubbio master, an attribution immediately accepted and remaining in force today. The earlier consideration of Giambono was undoubtedly due to the painting’s Fabrianesque references and to the application of color which, as in miniature painting, creates the impression of light distributed evenly across all surfaces. The scene, vertically arranged in an authentically Gothic manuscript manner, is filled with figures, animals and architectural elements, each of which occupies its own specific space. More crowded at the bottom and less so towards the top, the composition thereby suggests a spatial progression. What strikes one here is the facial expressions of the figures, a stylistic element that actually became grotesque and caricature-like in the artist’s later work. Also notable is the vivacity of the Christ Child who aggressively reaches towards the gold cup offered by the kneeling older wise man. Another relevant aspect of the painting is the luxuriousness of the garments, rendered in vivid, contrasting colors like those found on heraldic pennants, flags, coats-of-arms and tournament banners, the 134

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production of which Nelli, like many of his contemporaries, included in his artistic output. If the highly stylized landscape is more evocative than descriptive, with architecture represented by two castles and the view foreshortened on the right and handled with bird’s eye perspective on the left, it is nonetheless rendered with meticulous care. As regards the architecture, one can’t help but note certain inconsistencies of scale, like the hut roof and the two castles, which give the painting a pleasingly ingenuous character. One of the panel’s most successful areas is that occupied by two pairs of angels praying around a large star, in agreement with the progressive taper of the panel, against an unrealistic gold sky effectively contrasting with the figures’ realistic details. The grotto has been replaced by a large roof sustained by two shaped brackets and resting against a rock wall, thus spatially defining the area occupied by the Holy Family - a decidedly horizontal element in an otherwise vertical composition. This is a studied, balanced work, possibly executed at the time of Gentile’s return to the Marches, which offered Umbrian artists the opportunity to observe his innovative style, formed first in Lombardy and then in the Veneto. In fact, Nelli’s own style, more so than any of his more modest Gubbio predecessors, relates to those of the Marches great masters, particularly Gentile da Fabriano and the Lorenzo and Jacopo Salimbeni brothers of Sanseverino. His artistic development, evolving in great part outside his native Gubbio, is documented by commissioned works discovered in culturally and geographically diverse sites, evidencing a vast area of travel unusual for artists of the period. Among the most prestigious of these and one of Nelli’s finest works is his Life of the Virgin, executed for the Trinci Palace chapel in Foligno.


Bibliografia/Bibliography Gnoli1923, pp. 227-30; Berenson 1932, p. 385; Roli 1961, pp. 114-24; Casadio 1987, pp. 637-38; Silvestrelli 1987d, p. 715; Toscano 1987a, pp. 355-56; Todini 1989, I, pp. 234-37, II, pp. 284-92, ff. 629-57; De Marchi 1992, p. 132, nota 50; Benazzi 2001, pp. 488-92; Donnini 2006b, pp. 202-03.

Provenienza/Provenance Circuito antiquario Worcester (Massachussets), Worcester Art Museum

Parco del Monte Cucco: Monti e vallate Park of Mount Cucco: Mountains and valleys Š Archivio Fotografico Regione Umbria, Sezione Aree Protette

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2.21 Pellegrini Vincenzo Pellegrini, detto il Pittor Bello: Perugia, 1575 circa - 1612 Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria Greenville (South Carolina), Museum and Gallery at Bob Jones University © From the Bob Jones University Collection Un artista bohémien fra pennelli e coltellate. Lo chiamavano il ‘Pittor Bello’ e il soprannome sembra fosse pienamente meritato. Della sua prestanza fisica Vincenzo Pellegrini, nato a Perugia attorno al 1575, doveva essere consapevole e fiero, tanto da sbandierarla spavaldamente in faccia alle donne senza troppi riguardi al loro stato civile, né ai rischi a cui si esponeva. Anche come artista però aveva molte frecce al suo arco e in una vita tanto breve, quanto intensa riuscì a produrre opere di alto livello. Malgrado informazioni scarse dovute in gran parte a fonti settecentesche, sappiamo che ebbe una fase iniziale ispirata a Federico Barocci, forse conosciuto a Urbino, ma comunque ben rappresentato a Perugia, non foss’altro dalla scenografica Deposizione ancora visibile in duomo nella Cappella di San Bernardino da Siena, allora e tuttora in giuspatronato del Nobile Collegio della Mercanzia, nonché da vari dipinti in collezioni private. L’influsso di Barocci sul giovane Vincenzo si deve però anche alla frequentazione della cultura figurativa marchigiana più avanzata; infine il contatto con il linguaggio del pittore di Urbino avviene anche tramite il baroccismo senese, diffuso dagli artisti attivi a Perugia nell’Abbazia di San Pietro, dove anche Vincenzo si trovò a lavorare. Dopo questa prima fase - la lezione del pittore marchigiano è evidente nell’Immacolata Concezione fra i santi Michele arcangelo e Maddalena, databile agli ultimi anni del secolo XVI, tuttora visibile a Perugia nella Chiesa di San Filippo Neri - un viaggio a Roma fra la fine del 1607 e l’inizio del 1608 lo mise in contatto diretto con la gran pittura barocca di Pietro Paolo Rubens, dalla quale restò profondamente colpito. La lezione dell’artista fiammingo significò per Pellegrini una svolta irreversibile e un gran salto di qualità, che lo trasformarono nel maggiore pittore perugino del suo tempo, capace di soluzioni formali impensabili per i suoi contemporanei. Fra le commesse più significative è senz’altro da ricordare quella del monastero francescano femminile di Sant’Antonio da Padova a Perugia in Porta Sant’Angelo, per il quale nel 1608 dipinse le Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria. La gran pala centinata, rimasta nella sede originaria fino al 1816, passò al Monastero di Santa Lucia, dove restò fino al 1822. Dopo quella data, come tante altre opere perugine, lasciò la città e migrò lontano per approdare infine nelle collezioni della Bob Jones University a Greenville in South Carolina. Il tema delle Nozze mistiche, di cui si conoscono numerose versioni a firma dei pittori più diversi, sottolinea la posizione speciale di santa Caterina. Stando alla tradizione era una principessa di bellezza e sapienza eccezionali, cristiana in un mondo ancora dominato dai pagani, vissuta ad Alessandria d’Egitto ai primi del IV secolo, che subì il martirio sotto l’imperatore Massimino. La morte avvenne per decapitazione, ma prima era stata condannata a essere dilaniata da quattro ruote uncinate, che gli angeli provvidero a mandare in frantumi prima che potessero ferirla. Il suo attributo principale, pertanto, oltre alla corona regale, la bellezza nel fiore degli anni e gli abiti lussuosi, è una ruota uncinata. Grazie a questo strumento, nei secoli è divenuta protettrice di realtà sociali molto diverse, ma connotate dall’elemento comune della ruota: 136

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così è patrona dei vasai, che usano il tornio, ma anche dei bambini abbandonati, introdotti nei monasteri proprio mediante la ruota. Bellezza, gioventù regalità ne hanno fatto la santa favorita dei monasteri femminili, ma anche un’occasione privilegiata per ritrarre dame d’alto rango. Fra gli esempi più celebri si ricorderà che nel ruolo di santa Caterina d’Alessandria pare ritratta Lucrezia Borgia in un importante affresco del Pinturicchio; una dama fiorentina non identificata, a meno che non sia Bona o Caterina Sforza, in un quadro attribuito a Botticellli e nell’Ottocento inoltrato tornò a servirsi dell’iconografia della Virgo Alexandrina Giovanni Sanguinetti per ritrarre una celebre nobildonna perugina, la marchesa Marianna Florenzi. Nel quadro di Greenville in un ambiente lussuoso inondato da una luce intensa, l’elegantissima santa, inginocchiata su un cuscino purpureo posto su uno splendido pavimento a tarsie marmoree, bianche, rosse e nere, ha posato a terra la corona principesca in segno d’umiltà davanti alla Madonna e al Piccolo Signore del Mondo. La Vergine presenta il Bambino, in piedi sorretto da cherubini, nell’atto d’infilare al dito della santa l’anello nuziale. In alto l’Eterno benedicente e la colomba dello Spirito Santo sono attorniati da un semicerchio di santi saliti alla gloria del Paradiso. La disposizione della scena ricorda gli affreschi di Raffaello nella Chiesa di San Severo, tuttora visibili e già nel Seicento celebri e ammirati. Del resto il richiamo a Raffaello per Pellegrini era quasi inevitabile. Quando dipingeva la sua pala per le suore francescane di Sant’Antonio da Padova, nella chiesa monastica c’era ancora, completa di ogni sua parte, la Pala Colonna opera giovanile, ma eccelsa, del grande urbinate, la cui dispersione sarebbe iniziata circa mezzo secolo dopo. Fra la parte alta del dipinto e i protagonisti al centro due gruppi di angeli musicanti riempiono lo spazio. L’opera è di grande elaborazione formale e rivela un artista ormai pienamente padrone della sua arte, capace di esprimersi in un linguaggio raffinato e di grande effetto decorativo per l’ariosa luminosità delle figure e la ricchezza dell’impasto cromatico, chiaramente ispirato al colorismo barroccesco, ma acceso dal fulgore barocco, mediato dalla lezione di Rubens. La scena, pur presentando un gran numero di figure, non è affollata: ognuno sta al suo posto in una composizione armonica, dove i rapporti fra i volumi sono chiari e distinti. L’opera appartiene all’ultima fase dell’attività di Vincenzo Pellegrini, che non le sarebbe sopravvissuto a lungo. L’artista, ripetutamente coinvolto in avventurose passioni, finì con il tirarsi addosso l’odio di mariti e rivali, tanto da cadere vittima della gelosia. Barbaramente assassinato nel 1612, se è vero che era sui trentasette anni, scomparve alla stessa età del suo ammiratissimo Raffaello, lasciando bruscamente interrotta una carriera, che alla luce delle opere note, preannunciava sviluppi molto interessanti. Un notissimo proverbio sostiene che “genio e sregolatezza vanno insieme”: la vicenda di Vincenzo Pellegrini lo conferma.



2.21 Vincenzo Pellegrini The Mystic Marriage of Saint Catherine of Alexandria Greenville (South Carolina), Museum and Gallery at Bob Jones University

Between brushes and stab wounds, the artist Vincenzo Pellegrini was the bohemian of his era, apparently richly deserving his nickname, the ‘Pittor Bello’ (Beautiful Painter). Born in Perugia around 1575, Pellegrini must have been both aware and proud of his physical attributes as he seems to have flaunted them with women regardless of their marital status and with complete disregard for the consequences of his actions. As an artist, he also had many arrows in his quiver, and in a life that was as short as it was intense, he succeeded in producing works of very high quality. From what little information we have, most of it found in 18th century sources, Pellegrini was influenced in his early work by Federico Barocci who he might have known in Urbino but who in any event was well represented in Perugia by none other than the masterful Deposition in the Chapel of Saint Bernardino of Siena in Perugia Cathedral, then and now belonging to the Nobile Collegio della Mercanzia (Merchants’ Guild) as well as various works in private collections. However, Barocci’s influence on the young artist was also due to his familiarity with the higher level of figurative culture from the Marches, in short his contact with the language of the painter from Urbino, and to Barocci’s impact on Sienese painting, as practiced by artists active in Perugia’s Abby of Saint Peter, where Pellegrini also worked. Following this early phase, the impact of contemporary painting in the Marches is seen in such works as the Immaculate Conception with the Archangel Michael and Mary Magdalene, dating from the end of the 16th century, still on view in Perugia’s Church of Saint Philip Neri. During a trip to Rome between the end of 1607 and early 1608 Pellegrini encountered the Baroque art of the Flemish artist Peter Paul Rubens and was profoundly impressed. This event signaled a major change and huge leap in quality in Pellegrini’s painting, transforming him into Perugia’s leading artist of the day with the ability to create works far beyond the capabilities of his contemporaries. Among his most important commissions, and one worth remembering, was the 1608 Mystic Marriage of Saint Catherine of Alexandria, done for the Franciscan Convent of Saint Anthony of Padua in Perugia’s Porta Sant’Angelo district. The large arched altarpiece was there until 1816, when it was moved to the Monastery of Saint Lucy, where it remained until 1822. After that date, sharing the fate of many regional works of art, it travelled about, eventually ending up in the collections of Bob Jones University in Greenville, South Carolina. The painting’s theme, handled by numerous other artists, underscores the special position among the saints of Catherine of Alexandria. According to tradition, she was a princess of exceptional beauty and intelligence, a Christian in a world still dominated by pagans, who lived in Alexandria, Egypt, in the early years of the 4th century A.D. and was martyred under the Emperor Maximin. She was condemned to be torn to pieces on the breaking wheel, but angels disabled it before it could wound her and she was subsequently beheaded. Catherine’s principal attributes, aside from the royal crown, her exceptional beauty and luxurious dress, is 138

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a spiked wheel. Thanks to this particular instrument, Catherine has become through the centuries the protector of various professions related to it: for instance, she is protector of vase makers, who use a wheel in their work, but also of abandoned children who were introduced into the monasteries on a wheel. Her regal beauty and youth made her a favorite in convents and an attraction for women of high standing. Among the better-known examples of the latter is Pinturicchio’s fresco depicting perhaps Lucrezia Borgia in the role of Saint Catherine of Alexandria; then there is the unidentified Florentine lady, possibly Bona or Caterina Sforza, as Saint Catherine in a painting attributed to Botticelli and later, in 1827, Giovanni Sanguinetti returned to this iconography to portray a Perugian noblewoman, Marquise Marianna Florenzi. In the Greenville painting we find an interior illuminated by intense light in which the elegantly attired saint kneels on a crimson cushion on an inlaid white, red and black marble floor. She has placed her crown on the floor as a sign of humility before the Madonna and Christ Child. The Virgin presents the Child, held up by cherubs, who places a wedding ring on the saint’s finger. Above, God the Father blessing and the dove of the Holy Spirit appear surrounded by a semicircle of saints already risen to Heaven’s glory. The composition is reminiscent of Raphael’s frescoes in the Church of San Severo, much admired in the 17th century and still visible today. The recollection of Raphael when referring to Pellegrini is almost inevitable. When he painted his altarpiece for the Franciscan sisters of Saint Anthony of Padua there was still in that monastic church the intact Colonna Altarpiece, a youthful masterpiece by the great Urbino artist, which wasn’t dismantled for another half century when it began to be dispersed. That part of the painting between the top and the centrally-positioned protagonists is filled with two groups of angel musicians. The entire scene is realized with great formal elaboration, revealing an artist fully in control of his craft and capable of expressing himself in a highly refined manner and to enormous decorative effect, combining an airy luminosity in his figures with a rich chromatic impasto, clearly inspired by Barocci colorism but intensified by Baroque brightness, recalling the lessons of Rubens. Despite including a large number of figures, the scene is not crowded: each figure occupies his own space in a harmonic composition where the relationship between shapes is clear and distinct. This was one of Pellegrini’s last works. The artist, reportedly involved in various adventures of passion, attracted the hate of husbands and rivals, eventually falling victim to their jealousy. Brutally murdered in 1612, Pellegrini died at the same age as his much-admired Raphael, if he was indeed 37 at the time of his death. Based on known works, Pellegrini’s early demise cut short a promising and interesting career. A popular proverb maintains that “genius and excess go hand in hand”: Vincenzo Pellegrini’s life confirms it.


Bibliografia/Bibliography Pascoli 1732, pp. 175-77; Gnoli 1923, pp. 236-37; Volpe 1961, pp. 3237; Mandel 1968, p. 89, n° 36; Teodori 1981, pp. 286-89; Bon Valsassina 1987, pp. 19-20; Mancini 1988b, p. 384; 1988d, p. 796; Toscano 1989, pp. 366-67; Emiliani 2005, pp. 9-17; Galassi 2005, pp. 308-11; Boco 2006, pp. 110-11.

Provenienza/Provenance Perugia, Monastero di Sant’Antonio da Padova Perugia, Monastero di Santa Lucia Greenville (South Carolina), Museum and Gallery at Bob Jones University

Perugia: Veduta del Rione di Porta Sant’Angelo Perugia: View of the Rione di Porta Sant’Angelo © Archivio Fotografico Regione Umbria

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2.22 Pellegrino di Giovanni Pellegrino di Giovanni di Antonio: Perugia, 1395 circa - documentato fino al 1437 L’Arcangelo Michele Boston (Massachussets), Museum of Fine Arts © 2008 Museum of Fine Arts, Boston Nell’Alto Medio Evo l’Arcangelo Michele era uno dei santi più venerati, soprattutto dalle popolazioni germaniche. Una volta convertiti al Cristianesimo, i Germani, costantemente impegnati in attività belliche, videro nel giovane santo guerriero il loro ideale protettore. Di fatto anche i Bizantini tributavano a san Michele Arcangelo un culto speciale. Grazie a questo favore per secoli il generale in capo delle milizie celesti fu un protagonista indiscusso dell’arte cristiana, sia di committenza latino-bizantina, sia di committenza germanica, come prova il gran numero di santuari micaelici in tutta l’Europa, quasi sempre risalenti all’Alto Medio Evo e di regola collocati alla sommità delle alture. Giovane, bello, alato e armato di tutto punto, era difficile non attirasse l’attenzione dei pittori e infatti l’arcangelo compare, più raramente da solo, più spesso nei polittici e nelle pale d’altare, di regola in posizione di rilievo. A Perugia, per il fatto d’essere il titolare di una delle chiese più antiche, che dà il nome al Rione di Porta Sant’Angelo, è particolarmente frequente e si trova fra i pochissimi santi raffigurati in uno dei monumenti più rappresentativi della città, la Fontana Maggiore. Quasi certamente a un polittico, all’origine apparteneva il San Michele, attribuito a Pellegrino di Giovanni di Antonio, pittore su cui si hanno pochissime notizie, per di più concentrate in un arco cronologico di pochi anni. La tavola lignea (100 x 37,2 cm) dipinta a tempera è approdata con l’attribuzione a Gentile da Fabriano al museo di Boston nel 1968, per acquisto reso possibile dal Charles Potter Kling Fund. L’opera in precedenza era transitata in due collezioni private, a Parigi in quella del visconte Bernard d’Hendecourt, poi a Bruxelles, in quella famosa per reperti eccezionali di Adolphe Stoclet, dalla cui vedova fu immessa nel mercato antiquario e tramite una casa d’aste raggiunse l’attuale sede. La storia antica del dipinto non è nota e la prima segnalazione risale al 1914, circostanza che spiega come l’attribuzione a Pellegrino di Giovanni sia il punto d’arrivo d’una serie di progressivi avvicinamenti per arrivare a un autore plausibile, che spinsero vari studiosi a chiamare in causa all’inizio Antonio di Bartolo e poi Gentile da Fabriano. In seguito non mancò chi credeva che il dipinto fosse del Sassetta, ma c’era anche chi pensava ad Antonio Alberti, Jacopo Bellini e infine Bonifacio Bembo, pittori molto diversi, non di meno accomunati da una componente stilistica più o meno lontanamente derivata da Gentile da Fabriano, che caratterizza anche il linguaggio figurativo di Pellegrino di Giovanni. La sua posizione nella pittura perugina comunque è singolare per la presenza di apporti culturali di provenienza esterna, prova ne sia che è stato anche proposto quale autore di opere tradizionalmente assegnate al veneziano Michele Giambono, così come lo si è nominato fra i pittori presenti in uno dei più importanti cantieri umbri, il folignate Palazzo Trinci, circostanza che da sola indica quale doveva essere il credito di cui godeva l’artista. L’arcangelo di Boston soltanto agli inizi degli anni Ottanta del secolo passato viene riferito a Pellegrino di Giovanni. La proposta 140

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attributiva, ormai largamente condivisa, si fonda sulle analogie con l’unica opera sicura di Pellegrino, la Madonna con il Bambino e angeli, un tempo a Perugia e ora a Londra nel Victoria and Albert Museum, di fondamentale importanza in quanto firmata e datata 1428, alle cui figure rinviano soprattutto l’espressione e lo sguardo del giovane guerriero. La tavola di Boston, dipinta a tempera con gran profusione d’oro e d’argento, malgrado uno stato di conservazione non ottimale, parla d’una committenza esigente, raffinata e ricca, che chiese al pittore un’opera già lussuosa al puro livello materico. L’iconografia è interessante, anche perché la presenza di spada, lancia e corazza, peraltro previste dal dettato iconografico, non riesce a turbare l’aria serena da ragazzo di buona famiglia, conferita da Pellegrino all’arcangelo e spiegabile con il gusto cortese dominante ai primi del Quattrocento. San Michele nel dipinto di Boston rivela strette parentele con le figure principesche della pittura del tempo, soprattutto nel singolare copricapo, che non è un elmo, ma un’acconciatura che ricorda i fiori o gli occhi delle penne di pavone. Uno degli elementi più felici di questa raffigurazione è senz’altro da identificare con le molto singolari tre paia di ali, mosse, policrome e articolate, che costruiscono un ritmo avvolgente attorno al corpo del santo; al contempo richiamano i vessilli e i gonfaloni e conferiscono a tutto il dipinto un’intonazione araldica e favolosa. È interessante notare, dal punto di vista iconograficoiconologico, che si tratta di un caso interessante di contaminazione di temi e motivi paralleli, in quanto le tre paia di ali contrassegnano i cherubini e i serafini, ma non gli arcangeli, di cui esiste però un precedente nella lunetta dell’Adorazione dei Magi dipinta da Gentile da Fabriano per Palla Strozzi, ora a Firenze, Galleria degli Uffizi, nell’Arcangelo Gabriele in uno dei clipei della parte alta del polittico: un altro indizio della collusione fra i due artisti, messa in risalto dalla vicenda attributiva. Il tono di fiaba riemerge nel prato accuratamente descritto e impreziosito da inflorescenze azzurre e rosse, che lo rendono più simile a un tappeto, che a una vera superficie erbosa. I fiori sono descritti con una cura eccezionale, tanto che è possibile riconoscere nella piccola pannocchia blu a destra un esemplare di Muscari Armeniaca. È stata avanzata la plausibile ipotesi che l’opera all’origine potesse essere stata dipinta per la chiesa perugina di San Domenico. All’interno della chiesa domenicana la famiglia Bontempi, una delle più importanti della nobiltà cittadina, possedeva una cappella, comunemente indicata come ‘Cappella degli Angeli’, titolo che darebbe una motivazione in più alla presenza dell’Arcangelo Michele. Va osservato inoltre che nello stemma dei Bontempi, già illustri nel XIV secolo e ancora quando Pellegrino dipingeva, compaiono due paia di ali, un ulteriore elemento di raccordo con il guerriero alato e il suo insolito triplice paio di ali, il cui legame con i Bontempi resta comunque sul piano delle ipotesi.



2.22 Pellegrino di Giovanni The Archangel Michael Boston (Massachussets), Museum of Fine Arts

In the early Middle Ages, the Archangel Michael was one of the most venerated saints, particularly by Germanic tribes. Once converted to Christianity, this bellicose population saw in the young warrior saint their ideal protector. Even the Byzantines created a special cult around Saint Michael. Thanks to this favor, the chief general of the heavenly armies was an undisputed protagonist in Christian art in both the Eastern and Western Empires as evidenced by the large number of shrines erected in his name, primarily during the early Middle Ages and usually on high ground. Young, handsome, winged and well armed, the Archangel posed an obvious attraction for painters and, though rarely found alone, was frequently included together with other saints prominently positioned in polyptychs and altarpieces. In Perugia, where the Church of Saint Michael was among the city’s oldest and from which the district of Porta Sant’Angelo got its name, images of the Archangel are particularly numerous. In fact, he is one of the few saints included on a major monument representative of Perugia: the Fontana Maggiore (the city’s main fountain). The Archangel Michael, attributed to the little-known artist Pellegrino di Giovanni di Antonio, was almost certainly part of a polyptych. Documents about the artist date from only a brief span of a few years. When this tempera on panel painting (100 x 37.2 cm) was acquired by the Boston Museum of Fine Arts in 1968, with monies from the Charles Potter Kling Fund, it was attributed to Gentile da Fabriano. Before coming to the United States, the painting was in two European private collections: first in the Viscount Bernard d’Hendecourt Collection, Paris, and then that of noted connoisseur Adolphe Stoclet in Brussels, whose widow put it up for sale in the art market where it was acquired at auction by the American museum. The panel’s early history is unknown, and the fact that it only appeared in 1914 lead scholars to a series of attributions, including Antonio di Bartolo and then Gentile da Fabriano, before arriving at the more plausible Pellegrino di Giovanni. Later, some art historians credited the painting to Sassetta while others considered Antonio Alberti, Jacopo Bellini and even Bonifacio Bembo. These artists are very different from each other but share a stylistic component remotely derived from Gentile da Fabriano, which also characterizes the figurative language of Pellegrino’s work. Pellegrino di Giovanni’s position among artists in Perugia is unique in that his work demonstrates cultural contacts outside his native city. By way of example, he has been considered the artist responsible for works more traditionally given to the Venetian painter Michele Giambono, and has been named among those who decorated one of Umbria’s most important edifices, the Trinci Palace in Foligno, an indication of the esteem the artist enjoyed. Only in the 1980’s was the Boston Archangel Michael finally formally attributed to Pellegrino di Giovanni. This proposal, which is widely 142

Umbrian artistic heritage worldwide

agreed upon, is based on comparison with the artist’s only documented work, the signed and dated (1428) Madonna and Child with Angels, formerly in Perugia and now in London’s Victoria and Albert Museum, where the figures show the same expressions and look as the young warrior saint. The Boston panel, painted in tempera with a great deal of gold and silver, though not in the best condition, suggests a refined, wealthy and demanding patron requiring of the artist a work of art of great luxury. The iconography here is interesting: the inclusion of a sword, lance and armor, traditional attributes of the saint, in no way dispels the impression of a young man of good family conferred on him by the artist and thoroughly in keeping with the courtly taste that dominated the early years of the 15th century. Saint Michael is related to other princely figures in paintings from this period, particularly in his hat which is not a helmet but rather a headdress reminding one of flowers or peacock feathers. Also notable are the three pair of well articulated polychrome wings which comprise a rhythmic design element framing the saint: recalling the standards and banners of the era, this element lends a heraldic and fantastic tone to the work as a whole. From an iconographic-iconological point of view, these wings represent a contamination of themes and parallel motifs, in that triple wings were used for Cherubim and Seraphim and not for archangels. However, there is a precedent in the figure of the Archangel Gabriel in the lunettes of Gentile da Fabriano’s Adoration of the Magi, done for the Strozzi Altarpiece now in the Uffizi Gallery, Florence. This further evidence of the connection between the two artists has been highlighted due to the quest for attribution. The fairy tale tone of the Saint Michael is reinforced by the field, carefully depicted with blue and pink flowers creating an effect more like a carpet than a grassy surface. The flowers are meticulously rendered, so much so that it is possible to identify the small blue blossom on the right as an example of Muscari Armeniaca. It has been hypothesized that the work was originally done for the Church of Saint Dominic in Perugia. There, one of the city’s leading families, the Bontempi, owned a chapel commonly known as ‘ the chapel of the angels’, a title that would suggest a reason for the presence of the archangel. It should also be noted that in the coat-of-arms of the Bontempi, a family already important in the 14th century and still so at the time Pellegrino was painting, two pairs of wings are represented, possibly a further connection with the winged warrior and his unusual triple pair of wings. In any event, at this time the Bontempi-Pellegrino connection remains pure speculation.


Bibliografia/Bibliography Perkins 1914, p. 100; Gnoli 1923, p. 237; Longhi 1928, pp. 71-75; Pope-Hennessy 1939, pp. 182-83; Grassi 1952, p. 69; Berenson 1968, p. 6; Faison 1970, pp. 23-27; Huter 1974, pp. 18-20; Witthoft 1974, pp. 43-50; Parronchi 1975, pp. 3-13; Micheletti 1976, p. 88, n° 25; Christiansen 1981, pp. 353-55; 1982, pp. 115-16; Murphy 1985, pp. 225, 314; Bistoni Colangeli 1987, pp. 183-91; Casadio 1987, pp. 637-38; Silvestrelli 1987f, pp. 729-30; Toscano 1987, pp. 358-60; Todini 1989, I, p. 261; II, pp. 272-77, ff. 602-09; De Marchi 1992, pp. 123, 125, 215 nota 108; Kanter 1994, pp. 209-11; Silvestrelli 2006, pp. 120-21.

Provenienza/Provenance Forse Perugia, Chiesa di San Domenico, Cappella Bontempi o degli Angeli Paris, Collection vicomte Bernard d’Hendecourt Bruxelles, Collection Adolphe Stoclet Boston (Massachussets), Museum of Fine Arts

Foligno: Palazzo Trinci, scala gotica e pozzo Foligno: Palazzo Trinci, gothic staircase and well © Archivio Fotografico Italgraf

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2.23 Perugino Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino: Città della Pieve PG, 1449-1451 - Fontignano PG, 1523 Apparizione della Madonna a san Bernardo München, Alte Pinakothek © 2008. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin Fra tutti i santi della Cristianità una posizione eccezionale è riservata a san Bernardo da Chiaravalle, identificato con il ramo dei Benedettini, noti come Cistercensi, già nel Medio Evo accompagnato da una poetica tradizione, secondo cui avrebbe avuto un privilegio più unico che raro e condiviso soltanto con Gesù Bambino: sarebbe stato allattato dalla Madonna. Circondato da un simile alone leggendario, non meraviglia che sia proprio lui nel Paradiso dantesco a presentare il Poeta alla Regina dei Cieli. I Cistercensi a Firenze detenevano la Chiesa di Santa Maria Maddalena di Castello, tuttora esistente con il nome di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, dalla celebre famiglia, legata all’ancor più celebre congiura, avvenuta nel 1478, che portò all’uccisione di Giuliano dei Medici. Per la loro cappella nella chiesa cistercense, i patrizi fiorentini Bernardo e Filippo di Lutozzo Nasi ordinarono al Perugino un dipinto in stretto raccordo tematico con l’ordine che officiava la chiesa e i committenti. L’opera dichiara a gran voce come un artista degno di questo nome, anche se apparentemente vincolato dalle imposizioni della committenza, riesca ad approdare a un risultato splendido per spontaneità ed armonia. San Bernardo, fondatore dell’ordine e omonimo del più anziano committente, seduto allo scrittoio e immerso nella lettura del codice aperto sul leggio, alza lo sguardo estatico verso la Madonna miracolosamente comparsa nel suo studio, accompagnata da due angeli. In piedi alle spalle del santo assistono all’apparizione con signorile distacco gli apostoli Bartolomeo e Filippo; il primo identificato dal coltello, il secondo omonimo del committente più giovane: tutti i personaggi hanno l’aria calma e composta del miglior Perugino e una bellezza immateriale, lontana, ma non fredda. La scena è ambientata in un armonioso porticato classicheggiante, che permette all’occhio di scorrere libero su un sereno paesaggio collinare; tutto è immerso in una morbida luce autunnale, proveniente da destra, che scolpisce le pieghe degli abiti, le modanature dei mobili e ogni altro particolare. Della magnifica tavola (173 x 160 cm), grazie a documenti d’archivio, è possibile ricostruire la genesi. Risulta, infatti, che la cappella in giuspatronato dei Nasi fu edificata nel 1488 e subito arredata; è probabile quindi che il quadro risalga a questa data o a un momento di non molto successivo, generalmente fatto ricadere fra il 1490 e il 1491. La situazione documentaria trova conferma nell’analisi stilistica che convince ad assegnare l’opera alla fine degli anni Ottanta o all’inizio degli anni Novanta, ossia al momento in cui il Perugino era all’apice della maturità espressiva; l’opera infatti è ritenuta autografa, o al massimo interessata da una modesta partecipazione di aiuti. Mentre sull’autografia si registra un consenso quasi totale, la situazione è diversa per la data, che conosce sensibili oscillazioni. Nel Seicento i Cistercensi abbandonarono la chiesa e il convento; così il dipinto fu di nuovo a disposizione dei proprietari, eredi dei committenti. A questo punto sul percorso si fronteggiano due ipotesi, senza che 144

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esistano elementi dirimenti in favore dell’una o dell’altra. Forse si pensava di collocarlo in un’altra Cappella Nasi, che si trovava nella Chiesa di Santo Spirito, ma il progetto non ebbe seguito e a Santo Spirito fu messa una copia, a firma di Felice Ficarelli, detto il Riposo, copia tuttora visibile nella sistemazione di allora. Secondo un’altra versione, invece, il quadro del Perugino dovette approdare a Santo Spirito e la copia venne eseguita, quando l’originale fu donato al cardinale Carlo de’ Medici. Poi ricomparve in mano ai Capponi, imparentati con i Nasi. Fra il 1829 e il 1830 il dipinto lasciò Palazzo Capponi per Monaco, perché acquistato dal Re di Baviera Ludovico I; qualche anno dopo dalle collezioni reali fu trasferito nell’Alte Pinakothek, dove tuttora si trova. Il sovrano bavaro, spessissimo presente in Italia e molto legato all’Umbria e a Perugia, come la gran parte dei collezionisti e appassionati d’arte del suo tempo, trovava nel Perugino il pittore ideale. Il sereno classicismo dell’artista di Città della Pieve, che nei suoi dipinti riesce a stabilire un intimo dialogo fra personaggi, architetture e paesaggio, veniva considerato uno degli apici dell’arte italiana già in età neoclassica e continuò a esserlo nella prima metà dell’Ottocento e oltre, quando varie correnti in letteratura e nelle arti figurative cercarono di riportare l’arte ai valori religiosi, o comunque spirituali. La spiritualità dei dipinti perugineschi, quali che fossero le sue vere convinzioni religiose, era stata già il motivo principale della sua affermazione a Firenze. Dopo la caduta dei Medici e l’instaurazione d’una repubblica a più ampia partecipazione sociale, l’arte paganeggiante favorita soprattutto da Lorenzo il Magnifico e dal suo entourage, cedette il passo a un’arte più attenta ai valori religiosi, di cui il Perugino fu l’interprete principale, circostanza che spiega la situazione di semimonopolio realizzata dal pittore umbro a Firenze e la sua affermazione in tantissime località d’Italia, ma anche il suo rinnovato successo con la Controriforma. Al di là delle interpretazioni religiose, più o meno fondate e più o meno condivisibili, il dipinto è una delle prove maggiori dell’intera produzione peruginesca soprattutto per due aspetti: la luce e il colore. La prima non proviene soltanto dalle aperture del portico sulla campagna, ma sembra originata anche da un punto fuori dello spazio figurativo, collocato sulla destra dello spettatore, come mostrano l’abito di san Bernardo e il volto della Madonna. Il secondo presenta toni smorzati e morbidi passaggi tonali con due eccezioni: il bianco intenso della tonaca del santo e il rosso deciso del vestito della Vergine, a sottolinearne il ruolo di protagonisti.



2.23 Perugino The Apparition of the Virgin to Saint Bernard München, Alte Pinakothek

According to a poetic tradition dating from the Middle Ages, Saint Bernard of Clairvaux, of the Benedictine sect known as the Cistercians, holds a unique position among Christian saints: he is said to have been suckled by the Virgin, a privilege shared only with the Christ Child. With such a legendary pedigree it is not surprising that in Dante’s Paradiso he was the one who introduced the poet to the Queen of the Heavens. The Cistercians in Florence owned the church of Santa Maria Maddalena di Castello, later named Santa Maria Maddalena dei Pazzi, after the famed Florentine family primarily remembered for its role in the murder of Giuliano dei Medici in 1478. For their family chapel in this Cistercian church, Florentine patricians Bernardo and Filippo di Lutozzo Nasi commissioned Perugino to produce a painting in strict thematic accord with the tenets of that order and its supporters. The work loudly proclaims how, despite being constrained by the requirements of his patrons, this artist so worthy of his name was able to create an artwork splendid for its spontaneity and harmony. Saint Bernard, founder of the order and namesake of his elder patron, is depicted seated at a desk where a codex lies open on a reading stand. His eyes gaze upward at the miraculous appearance in his study of the Virgin accompanied by two angels. Standing behind the saint and participating in this extraordinary event are Saints Bartholomew and Philip, the former identified by his knife and the latter representing the namesake of the painting’s younger donor. All of the figures have the calm, composed air and distant and immaterial though not cold beauty characteristic of Perugino. The scene takes place under a harmonious classical portico through which the viewer can easily discern a hilly landscape; the whole is bathed in soft, autumnal light coming from the right which accentuates the folds in the clothes, the shape of the furnishings and all the other details. Thanks to archival documents it is possible to reconstruct the genesis of this magnificent panel, which measures 173 x 160 cm. There we find that the Nasi chapel was constructed in 1488 and immediately outfitted: it is therefore probable that the painting was executed at this time or shortly thereafter, possibly between 1490 and 1491. Documentary evidence is confirmed by stylistic analyses which place the painting in the late 1480’s or early 1490’s, when Perugino was at the apex of his career. The work is considered to be autograph or possibly done with the aid of a small number of assistants. While the attribution is unquestioned, there is some disagreement about the painting’s date. In the 17th century the Cistercians abandoned the church and convent and thus ownership of the painting returned to the descendents of the original patrons. Here two hypotheses may be offered, neither of which clearly outweighs the other: perhaps the Nasi family decided to place the painting in another family chapel, specifically the one in Santo Spirito, but in the end opted instead for a copy which can still be found there 146

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today, signed by Felice Ficarelli, an artist known as Il Riposo; another suggestion is that the original Apparition was placed in Santo Spirito and the copy ordered when the Perugino was given to Cardinal Carlo de’Medici. From his hands, the work passed to the Capponi family, relatives of the Nasi. Between 1829 and 1830 the painting left the Capponi Palace for Munich, having been purchased by the King of Bavaria, Ludwig I, and eventually found its way from that royal collection to the Alte Pinakothek where it has remained. The Bavarian sovereign, often in Italy and particularly drawn to Umbria and its capital Perugia, found in Perugino the perfect painter, as did the majority of art collectors and enthusiasts of the period. This Città della Pieve artist, whose serene classicism and ability to establish an intimate dialogue between his figures and their architectural or landscape settings, already in the Neoclassical era was considered one of the major figures in the history of Italian art - an opinion which continued to be held throughout the early 19th century and beyond when literary and artistic currents sought to reintroduce religious or at least spiritual values. The spirituality in Perugino’s paintings, reflection of his personal religious convictions, was a primary reason for his success in Florence. After the fall of the Medici and the installation of a republic with greater social participation, the pagan themes favored by Lorenzo the Magnificent and his entourage gave way to subjects based on religious values, of which Perugino was the principal interpreter. This explains not only the near monopoly enjoyed by the Umbrian painter in Florence and his great success elsewhere in Italy, but also his renewed fame during the Counter Reformation. Beyond the religious interpretations of the Apparition, which vary, it is, because of the artist’s use of light and color, one of the towering masterpieces of Perugino’s entire production. Light comes not only from the open portico but from an unidentified source outside the painting and to the viewer’s right, as clearly indicated in Saint Bernard’s robes and the Virgin’s face. Color is primarily soft and muted, the tones flowing one to the other, with two exceptions: the intense white of the saint’s tunic and the strong red of the Virgin’s dress, underscoring the important roles of the painting’s protagonists.


Bibliografia/Bibliography Camesasca 1969, p. 93, n° 34; Scarpellini 1991, pp. 84-85, ff. 73, 75; Baldini 2004, p. 89.

Provenienza/Provenance Firenze, Chiesa di Santa Maria Maddalena, Cappella Nasi Firenze, Chiesa di Santo Spirito, Cappella Nasi Firenze, Collezione cardinale Carlo de’ Medici Firenze, Palazzo Capponi München, Königliche Sammlungen München, Alte Pinakothek

Città della Pieve: Oratorio di Santa Maria dei Bianchi, Perugino, Adorazione dei Magi Città della Pieve: Oratory of St. Mary dei Bianchi, Perugino, Adoration of the Magi © Archivio Fotografico Regione Umbria

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2.24 Perugino Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino: Città della Pieve PG, 1449-1451 - Fontignano PG, 1523 Battaglia tra Amore e Castità Paris, Musée National du Louvre © 1997. Foto Scala, Firenze L’opera, nata per soddisfare precisi desiderata della committenza, dal punto di vista tematico è un caso eccezionale nel catalogo del Perugino, autore, se non soltanto, principalmente di soggetti religiosi. Il suo percorso critico però non ebbe inizio favorevole, perché la committente, Isabella d’Este, figlia del duca di Ferrara e moglie del marchese di Mantova - i Gonzaga diverranno duchi solo anni dopo con suo figlio Federico II - accolse l’impegnativa tela di notevoli dimensioni (160 x 191 cm) con commenti poco lusinghieri, dicendo apertamente che dal pittore si sarebbe aspettata qualcosa di meglio. Non esitò ad aggiungere addirittura, che sarebbe certamente sfigurata vicino a quelle di Andrea Mantegna, esposte nello stesso ambiente, lo studiolo privato della marchesa, a cui era destinati dipinti di Costa, Correggio e altri pittori di primissimo ordine, compreso Giovanni Bellini, che però non soddisfece la richiesta. Il Perugino replicò dicendo che gli erano state d’ostacolo le asperità della tela e la tecnica pittorica, tempera a colla. Se invece avesse dipinto a olio su tavola, l’opera avrebbe certamente avuto una maggiore finitezza, ma si trattava evidentemente di argomenti di scarsa consistenza, che dimostrano, come l’artista fosse ferito dal giudizio della signora di Mantova, ma di fatto non avesse argomenti consistenti a sua discolpa. Il pittore a chiusura della missiva si augurava che la marchesa gli offrisse almeno un’altra occasione, in cui dimostrarle le sue capacità. La lettera a firma di Isabella è datata 30 giugno 1505. Non era un anno come un altro: il Perugino attraversava un momento difficilissimo. La pittura in Italia, soprattutto a Firenze, aveva fatto passi da gigante, a cui l’artista non aveva saputo o voluto adeguarsi. Se è vero che l’artista continuerà a dipingere per altri diciotto anni fino al 1523, anno della scomparsa, lo farà esclusivamente per una committenza tradizionale, non interessata alle innovazioni sempre più sconvolgenti, che modificavano radicalmente il modo di fare pittura. Visto a distanza di secoli, il giudizio d’Isabella d’Este, riconosciuta intenditrice d’arte, che si moveva fra Ferrara e Mantova, due indiscusse capitali artistiche, non intacca minimamente il valore complessivo della vicenda peruginesca, ma dichiara quanto l’apprezzamento in arte possa essere influenzato da mode e ideologie e quanto sia relativo il giudizio sugli artisti ancora in vita. È difficile dire alla luce di quali principi si possa dare un valore alle cose; non di meno uno dei parametri meno discutibili è il tempo. Quello che resiste nei secoli, evidentemente deve avere un valore. La presenza del dipinto peruginesco in uno dei maggiori musei del mondo dichiara a gran voce la soggettività del giudizio di Isabella Gonzaga, che si era rivolta al pittore di Città della Pieve, chiedendo un soggetto ben preciso di suo gusto, minutamente descritto e unito al contratto di allogagione, redatto a Firenze il 19 gennaio 1503. Il primo errore commesso dal pittore forse fu proprio accettare di eseguire un quadro, il cui programma iconografico, estraneo al suo mondo mentale, comportava un gran numero di figure concentrate in 148

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uno spazio relativamente ridotto. Il linguaggio sintetico ed essenziale di Pietro Vannucci con i suoi ritmi lenti e cadenzati era il meno adatto al soggetto, che sarebbe invece stato trattato più agevolmente da un pittore con un linguaggio analitico, come il Pinturicchio per esempio, capace d’immettere nello spazio figurativo un gran numero di figure, ognuna al suo posto e ognuna definita nei minimi dettagli. D’altra parte per Isabella d’Este il dipinto era parte d’un programma iconografico, concordato con i letterati di corte, che prevedeva opere dei pittori più celebri del momento e il soggetto affidato al Perugino non poteva essere modificato. La tela, arrivata a Mantova da Firenze senza danni, come dichiara Isabella nella lettera richiamata, fu a lungo nel suo studiolo, anche dopo la sua scomparsa, per poi passare altrove, ma sempre nel Palazzo Ducale. Il dipinto di soggetto mitologico, pertanto molto apprezzato dal collezionismo secentesco, lasciò la residenza dei Gonzaga negli anni Venti del Seicento, quando il cardinale di Richelieu, che aveva svolto un ruolo preponderante a favore delle mire espansionistiche della dinastia mantovana, ne divenne proprietario e lo trasportò in Francia, assieme agli altri dipinti della stessa serie e nel suo castello restò a lungo in mano ai discendenti. Ai primi del secolo XIX, nell’ottica illuministica della divulgazione della cultura, a monte della nascita dei musei moderni, anche le tele mantovane seguirono il destino di tante opere d’arte in proprietà privata e furono inviate a Parigi al Musée Central des Arts, poi ribattezzato Musée Napoléon, divenuto infine Musée National du Louvre. Per secoli la sfavorevole accoglienza di Isabella d’Este ha funzionato come un’ipoteca sul sereno giudizio sull’opera, tanto che alcuni studiosi sono arrivati a mettere in dubbio l’autografia peruginesca, che invece è altamente probabile, anche per il controllo esercitato dalla committente sull’operato del pittore, nella cui bottega in quel periodo era ospite un giovane artista mantovano, Lorenzo Leombruno. Inviato a Firenze con lo scopo dichiarato di raffinare la sua tecnica pittorica alla scuola del Perugino, in realtà forse doveva controllare il pittore, che comunque, in dispregio degli impegni contrattuali e dell’alto rango della committente, consegnò l’opera due anni e mezzo dopo la stipula dell’accordo. Al di là dei difficilmente sostenibili dubbi sull’autografia peruginesca, le critiche si sono concentrate in gran parte sulla difficoltà oggettiva per il Perugino ad affrontare un tema così lontano da quelli a lui abituali. La vicenda alle spalle dell’opera, è comunque di grande interesse sul piano della storia sociale dell’arte e del vissuto dell’artista. Da una parte indica che il Perugino godeva di una fama tale da giustificare le pressanti richieste di Isabella; dall’altra rivela l’ambizione e il senso degli affari del pittore, per cui era impensabile lasciar cadere la commissione d’un tale personaggio.



2.24 Perugino The Battle of Love and Chastity Paris, Musée National du Louvre The painting, created to satisfy the specific demands of its patron, is unusual for Perugino whose subjects were primarily religious. Its story did not have a felicitous beginning, since its commissioner, Isabella d’Este, daughter of the Duke of Ferrara and wife of the Marquis of Mantua - the Gonzagas became dukes only years later with her son Frederick II - required a large canvas (160 x 191 cm) and upon receipt informed the artist that she had expected better of him. She further mentioned that his efforts would no doubt pale in comparison to those of Andrea Mantegna, whose work would be displayed in the same room - her private study - alongside others requested of Costa, Correggio and other first rank painters including Giovanni Bellini, who declined the commission. Perugino replied, citing as obstacles the roughness of the canvas and the tempera medium, arguing that if the painting could have been realized in oil on panel, the result would have been more refined. The artist, clearly wounded by his patron’s criticism, unsuccessfully defended his position, and at the close of his response expressed his hope that the marquise would give him another chance to redeem himself. Isabella’s letter to Perugino is dated June 30, 1505. This was a difficult year for the artist: painting in Italy, especially in Florence, had experienced giant strides of which Perugino was unaware or chose to ignore. Although he continued to paint for eighteen more years, until his death in 1523, he worked exclusively for traditional patrons who were uninterested in the developments which were to forever change the art of painting. Seen with the distance of centuries, the judgment of Isabella, a recognized connoisseur who moved between the two undisputed art centers of Ferrara and Mantua, is less a relevant appraisal of Perugino’s work than a reflection of the effect changes of taste and ideology can have on living artists. In light of this concept it is difficult to evaluate the situation, save for the undeniable test of time: works of art that endure must certainly be of value. The presence of this painting today in one of the world’s premier museums gives voice to the subjectivity of Isabella’s judgment. She had commissioned the artist from Città della Pieve to execute a subject particular to her taste but minimally described in her contractual letter drawn up in Florence on January 19, 1503. Perugino’s first mistake was to accept the commission, the iconographic program of which was outside his comfort zone, and with numerous figures occupying a fairly limited pictorial space. The synthetic language, slow rhythms and cadences of Perugino were incompatible with the subject - one which would have been easily handled by an artist like Pinturicchio, who was more than capable of injecting large numbers of clearly defined and detailed figures into confined spaces. On the other hand, this painting was to be part of an iconographic program, decided on by Isabella and court intellectuals, with commissions from the most important painters of the day. Thus the subject assigned to Perugino could not be modified. The canvas, which arrived in Mantua from Florence in undamaged condition, according to Isabella’s letter cited above, remained in her 150

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study for years, even after her death, and was later relocated elsewhere in the Ducal Palace. Though much admired by 17th century collectors, the painting was removed from the palace in the 1620’s when Cardinal Richelieu, who played a large role in the expansionist goals of the Gonzaga Dynasty, took possession and had it and other works from the series shipped to his castle in France, where it remained for years in the hands of his descendants. In the early 19th century, due to the principles of the Enlightenment supporting the distribution throughout France of items of artistic and cultural interest - a concept which gave rise to modern museums - the Mantuan canvases were taken from private hands and sent to Paris to the Musée Central des Arts, later called the Musée Napoléon, and finally the Musée National du Louvre. For centuries the unkind words of Isabella d’Este resonated with scholars, and even induced some to doubt the painting’s authenticity. The attribution, however, is supported by the presence of a young artist from Mantua, Lorenzo Leombruno. Ostensibly sent to Florence to improve his technique in Perugino’s workshop, Leombruno instead might have been sent to keep an eye on the master who, regardless of his other commissions from major patrons, managed to consign the painting two and a half years after it was first contracted. Beyond the difficult-to-sustain doubts concerning Perugino’s authorship based on technical data, critics have concentrated largely on the presumed problems the artist would have encountered dealing with a subject so foreign to his norm. The circumstances surrounding this painting are particularly informative vis-à-vis the social history of art and the artist’s own history: on the one hand, Perugino enjoyed a reputation of sufficiently high regard to warrant Isabella’s commission, and on the other, it was unthinkable for the artist, who was ambitious and a keen businessman, to pass up a commission from a person of such high status.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 248-78; Camesasca 1969, p. 107, n° 94; Paccagnini 1969, pp. 89-124; Pignatti 1969, p. 95, n° 76; Verheyen 1971; Silvestrelli 1987g, p. 731; Scarpellini 1991, pp. 109-10, f. 221; Galassi 2004, p. 73; Mancini 2004, p. 129, f. 1; Campbell 2006.

Provenienza/Provenance Mantova, Palazzo Ducale, Studiolo d’Isabella d’Este Mantova, Palazzo Ducale, Appartamento del Paradiso Richelieu, Château du Plessis de Richelieu Paris, Musée Central des Arts/Musée Napoléon Paris, Musée National du Louvre

Corciano: Veduta aerea Corciano: Aerial view © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.25 Perugino Madonna che adora il Bambino fra i santi Giovanni evangelista e Maddalena Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino: Città della Pieve PG, 1449-1451 - Fontignano PG, 1523 New York City (New York), The J. Pierpont Morgan Library © 2004. Foto Pierpont Morgan Library/Art Resource/Scala, Firenze Secondo una tradizione consolidata, priva di supporti documentari, ma accolta favorevolmente da più d’uno studioso, l’elegante dipinto a tempera su tavola (87 x 72 cm) sarebbe stato a Perugia in proprietà di una monaca di nobile famiglia e da lei venduto segretamente a uno straniero in data imprecisata. Vera o no che sia la tradizione, comunque plausibile, è provato che nella seconda metà dell’Ottocento il quadro era entrato nel circuito antiquario e fu acquistato da G. Sitwell, non è chiaro se a Firenze o a Parigi. Il nuovo padrone lo conservò a Chesterfield fino al 1911, anno in cui passò a J. Pierpont Morgan; alla morte di questi rientrò nel lascito, che dava vita all’istituzione attuale proprietaria del dipinto. La Morgan Library, un tempo residenza privata del finanziere e collezionista J. Pierpont Morgan (1837-1913), ora è al contempo una biblioteca aperta al pubblico dedicata alla ricerca, un museo, un segno forte architettonico e un luogo storico fra i più celebri di New York. Il magnanimo obiettivo di Morgan era che la sua collezione fosse stabilmente a disposizione per l’istruzione e il piacere degli americani, in perfetto accordo con l’ideale di matrice illuministica della divulgazione della cultura, così profondamente radicato nelle forme del pensiero degli Stati Uniti. Si tratta di un museo molto particolare, celebre per un’eccezionale concentrazione di manoscritti di pittori, scrittori e musicisti dell’Ottocento e del Novecento, tale da rappresentare un polo d’attrazione non per i soli storici dell’arte, ma anche per linguisti, filologi e musicologi. Fu aperta al pubblico nel 1924 e la prima direttrice fu Belle da Costa Greene, che riuscì a portare avanti il progetto di Morgan con nuove acquisizioni, rese possibili dalle notevoli risorse messe a disposizione dal figlio del collezionista americano. Come un mecenate rinascimentale redivivo, J. Pierpont Morgan a quattordici anni scriveva al cugino, descrivendogli le belle legature di libri, che faceva eseguire secondo i suoi gusti raffinati. Questa passione non lo abbandonò mai e le sale del museo sono letteralmente tappezzate di libri antichi, rari e preziosi. Morgan era nato nel Connecticut a Hartford da una famiglia appartenente alle classi più elevate, che era arrivata in America prima della Rivoluzione. Uno degli antenati per parte di madre era stato fra i fondatori dell’Università di Yale. Il nostro aveva studiato a Londra, alla scuola svizzera di Vevey e all’Università di Göttingen. Del non comune bagaglio di cultura e della rara sensibilità ai valori estetici del suo fondatore, la Morgan Library è lo specchio fedele per la rarità e la qualità degli oggetti. Quanto al dipinto del Perugino, esposto su una delle pareti della Sala Rossa, si tratta di un’opera di elevata qualità e indiscussa autografia, databile fra il 1500 e il 1503 circa per le stringenti analogie con altri dipinti della stessa fase. La soluzione iconografica sviluppa il tema dell’Adorazione del Bambino, usuale nella pittura fiorentina e messo in circolo da Filippo Lippi molto tempo prima del Perugino, attraverso l’aggiunta di santi in questo caso san Giovanni 152

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evangelista e santa Maria Maddalena. È necessario precisare che l’identificazione non è del tutto certa, perché i due santi non hanno attributi distintivi. Al riguardo non manca chi sostiene che nelle aureole c’erano le didascalie con i nomi poi con il tempo scomparse, di cui resta qualche traccia nelle lettere sopravvissute, secondo una strategia alla quale il Perugino ricorre in più di un’opera. La presenza di scritte o di pseudoscritte è un aspetto che il Perugino condivide con vari pittori del Rinascimento e anche in questo dipinto una pseudoscritta corre lungo il bordo dorato del mantello della Madonna. La scelta di questi due santi, di regola associati in quanto entrambi fra i dolenti storici ai piedi della croce, potrebbe obbedire a precise richieste della committenza, che spesso li sceglieva per motivazioni personali come l’omonimia e quindi anche senza necessari collegamenti fra di loro. La struttura del dipinto riprende uno schema molto frequente nel Perugino, noto per un’abile riutilizzo dei cartoni, che con variazioni più o meno consistenti, gli consentiva di produrre nuovi quadri. Le figure sono disposte secondo un ritmo lento e semplice: la Madonna verso il primo piano, dove si trova il Bambino, i due santi leggermente più indietro verso lo sfondo, perfettamente equidistanti, a creare un triangolo isoscele con il vertice verso l’osservatore. I tre personaggi danno vita a una linea ondulata, a cui si contrappone la linea orizzontale della superficie d’acqua fra le basse colline nello sfondo. È il consueto paesaggio, che evoca i dintorni di Città della Pieve e del Lago Trasimeno, che il Perugino, anche dopo il trasferimento a Firenze in gioventù e la lunga residenza nella città toscana, continuò a ricordare con affetto e nostalgia. Va osservato che è un paesaggio, sereno e privo di qualsiasi elemento di disturbo, perfettamente in sintonia con l’espressione calma e assorta dei personaggi, remotamente lontani dal dramma: il mondo estatico del Perugino, che ispirerà per secoli tanta pittura devozionale, sulle cui vere convinzioni religiose avanzano dubbi già le fonti antiche, condivisi dalla più attenta critica moderna. Alcuni studiosi infatti ritengono che il tono distaccato dei personaggi perugineschi sia proprio dovuto alla sua miscredenza, che gli permetteva di raffigurare le scene religiose senza il minimo coinvolgimento.



2.25 Perugino Madonna with Saints John the Evangelist and Mary Magdalene adoring the Christ Child New York City (New York), The J. Pierpont Morgan Library

According to a longstanding tradition, undocumented but supported by a number of scholars, this elegant tempera on panel painting (87 x 72 cm) was once in Perugia and owned by a nun of aristocratic birth who sold it secretly, date unknown, to a foreign collector. Whether this plausible scenario is true or false, the work’s provenance does include its appearance in the art market in the second half of the 19th century and its acquisition either in Florence or Paris by G. Sitwell. Its new owner kept it in Chesterfield until 1911, when it passed to J. Pierpont Morgan. At Morgan’s death, the painting became part of his bequest which included the creation of the institution that currently houses the work. The Morgan Library, originally the private residence of the famous financier and collector J. Pierpont Morgan (1837-1913), is now a public museum dedicated to research and a major architectural landmark in New York City. Morgan’s magnanimous intent, in perfect accord with the illuminist tenet fundamental to American thought, was to make his collection available to the general public for its edification and pleasure. This is an unusual museum, famous for its exceptional concentration of manuscripts by painters, writers and composers of the 19th and 20th centuries, and as such is a magnet not only for art historians but for linguists, philologists and musicologists as well. It opened to the public in 1924 and its first director was Belle da Costa Greene. Thanks to the considerable resources provided for the institution by the son of the great American collector, she was able to carry on Morgan’s interests through an aggressive acquisition program. Like a reborn Renaissance patron, Morgan at age fourteen wrote to his cousin describing the beauty of the leather-book bindings he had had created according to his highly refined standards. He never outgrew this passion and the walls of the rooms of the museum that bears his name are literally blanketed with rare and precious antique texts. Morgan was born in Hartford Connecticut to an aristocratic family that had been in America since before the Revolution. An ancestor on his mother’s side of the family was one of the founders of Yale University. Morgan got his education in London, at the Swiss school of Vevey, and at the University of Göttingen in Germany. The rarity and exceptional quality of the objects in the Morgan Library perfectly reflect the aesthetic values and cultural acumen of its founder. In this environment we find the Perugino, displayed on one of the walls in the Red Room. Of high quality and irrefutable authorship, the work is datable between 1500 and 1503 based on stylistic comparison with other works from this period. Here the artist develops the theme of the Adoration of the Child, with the addition of saints, in this case John the Evangelist and Mary Magdalene. This theme was introduced by Filippo Lippi and became common in Florentine painting long before Perugino’s time. It should be noted that the identification of these figures in not certain as they are not accompanied by identifiable 154

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attributes. There are those who maintain that the saints’ halos once contained their now-illegible names, an element not uncommon in Perugino’s work. Incorporating writing or pseudo-writing is a practice Perugino shared with other Renaissance artists, and in the present painting a kind of pseudo-writing in gold runs along the hem of the Madonna’s cloak. The choice of these two saints, more commonly found among those at the foot of the cross in crucifixion scenes, might be due to a specific request by the work’s commissioner, chosen for personal reasons like a namesake. In such cases there may be no connection among the saints depicted. The structure of the painting repeats a composition frequently utilized by Perugino, who was known for his creative reuse of preparatory drawings that allowed the creation of new paintings by making more or less consistent variations in the principal figures. Here the figures are arranged according to a slow, simple rhythm: the Madonna and Child are in the foreground with the two saints symmetrically and equidistantly placed immediately behind the Virgin, their shapes creating an isosceles triangle with its vertex towards the observer. The contours of the three figures create an undulating line juxtaposed to the horizontal lines formed by the body of water that lies among low hills in the distance. This is a typical Umbrian landscape, evoking the area around Città della Pieve and Lake Trasimeno that Perugino continued to include in his paintings even after his early relocation to Florence. Despite his long residence in that Tuscan city, Perugino always remembered with affection and nostalgia the countryside of his youth. The serene and undisturbed landscape in this painting is in perfect harmony with the calm, pensive expressions and demeanor of the figures and it is this detached version of ecstasy in Perugino’s art that would inspire centuries of devotional paintings while calling into question the artist’s own religious beliefs. Early and contemporary critics have noted and disagreed about this aspect of the artist’s work, some maintaining that Perugino’s own lack of religious convictions allowed him to create images of this kind without a scintilla of emotional involvement.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, p. 48; Berenson 1932, p. 438; van Marle 1933, p. 362; 1969, p. 106, n° 88; Fredericksen e Zeri 1972, p. 161; Scarpellini 1991, p. 104, n° 118, p. 243, f. 201; Antenucci Becherer 1997, pp. 101-23; Pierce e Strouse 2000; Todini 2005, p. 66, f. 2; Gurrieri s.d. n° 36.

Provenienza/Provenance Perugia, Collezione privata Chesterfield, Sitwell Collection New York City (New York), J. Pierpont Morgan Collection New York City (New York), The J. Pierpont Morgan Library

Perugia: Cattedrale di San Lorenzo Perugia: Cathedral of St. Lawrence © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.26 Perugino Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino: Città della Pieve PG, 1449-1451 - Fontignano PG, 1523 Madonna con il Bambino, angeli, le sante Rosa e Caterina d’Alessandria Paris, Musée National du Louvre © 1997. Foto Scala, Firenze Il cerchio è un antichissimo simbolo della perfezione e dell’eternità, comune a moltissime culture lontane nel tempo e nello spazio: in quanto tale è utilizzato in molte tradizioni artistiche religiose. Nella pittura cristiana, invece, non è il formato più frequente; la sua destinazione inoltre non è quasi mai all’interno delle chiese, dove sarebbe raccordabile con difficoltà alla struttura degli altari. Di fatto prima del Quattrocento, come formato autonomo è quasi sconosciuto e i primi tondi concepiti come opere d’arte sono quelli dipinti da Domenico Veneziano e Filippo Lippi attorno agli anni Trenta del Quattrocento. Con alta probabilità il formato circolare arriva alla pittura partendo dal ‘desco da parto’, una sorta di vassoio circolare presentato in dono alle donne subito dopo la nascita del bambino, di cui si conoscono vari esemplari di maiolica, legno e altri materiali. Il passaggio nel campo della pittura marca il progressivo distacco dall’originario carattere funzionale e il prevalere dei valori formali, in altri termini più propriamente artistici; quasi sempre però si tratta di dipinti a destinazione privata e spesso il soggetto rappresentato è più o meno strettamente collegato alla maternità, a ricordo dell’antica origine. Nella seconda metà del Quattrocento il tondo, pur restando numericamente minoritario, è oramai un formato presente nel catalogo di vari pittori, non ultimo il Perugino, che vi ricorre, ma di rado, cosa che conferisce al dipinto al Louvre un interesse particolare. L’imponente esemplare in esame, dal diametro di un metro e mezzo, raffigura la Madonna con il Bambino, seduta su un basso trono con predella, fra angeli e due sante, identificabili forse con santa Rosa e santa Caterina d’Alessandria, ma l’ampolla di vetro con il coperchio in mano alla santa di sinistra potrebbe far pensare anche alla Maddalena, sullo sfondo d’un ampio paesaggio dai colori autunnali. A Roma a Palazzo Corsini fino al 1817, fu comprato da un funzionario dell’amministrazione francese, che otto anni dopo lo rivendette all’antiquario olandese Nieuwenhuys. Quest’ultimo lo cedette al re dei Paesi Bassi Guglielmo II. Questo passaggio è documentato dallo stemma e dal motto della famiglia reale olandese, gli Orange-Nassau, visibili sul retro della tavola. Nel 1850, dopo la morte di Guglielmo II, il tondo approdò al Louvre, dove tuttora si trova. Data l’assenza di documenti e segnalazioni a monte della Collezione Corsini, del dipinto sono state discusse sia la datazione sia l’attribuzione al Perugino. È un quadro d’altissima elaborazione formale, il cui formato circolare diventa criterio costruttivo dello spazio pittorico, a cui s’accordano con splendidi effetti compositivi le sei figure. L’orizzonte molto basso, anticipatore di soluzioni pienamente cinquecentesche, lascia i personaggi campeggiare contro il cielo, dilatando lo spazio al di là delle reali dimensioni del dipinto, costruito su una rigorosa griglia geometrica, sottolineata dalla panca, dalla pedana semplicissima, ma elegantemente decorata a meandri oro su blu, e dal muro che separa dal paesaggio la parte in cui insistono le figure. I personaggi di un’eleganza 156

Patrimonio artistico umbro nel mondo

misurata e spontanea sono raccordati dal rosso che con sottili variazioni tonali ricompare nel vestito della Madonna e di santa Rosa, nel mantello di santa Caterina e dell’angelo a destra dell’osservatore e in altri minori momenti decorativi sparsi nel dipinto, come le rose, i bordi degli abiti e le scarpe della Madonna, rosse secondo una consolidata tradizione, che risale, attraverso la corte bizantina, al mondo imperiale romano e richiama uno dei segni classici del potere, la porpora, poi ereditata dalla Chiesa Cattolica. L’altissima qualità è del tutto compatibile con i livelli del Perugino nell’ultimo quarto del secolo XV. Pietro Vannucci, se nei suoi anni avanzati diventò ripetitivo e privo di forza espressiva, fino ai primi del Cinquecento era considerato fra i maggiori pittori in un’area geografica molto maggiore di quella in cui effettivamente operava, come prova la classifica di “meglio maestro d’Italia” assegnatagli senza riserve da Agostino Chigi, uno dei massimi mecenati e intenditori del tempo. Il tondo del Louvre potrebbe collocarsi negli anni Ottanta, vicino agli affreschi della Cappella Sistina, o meglio negli anni Novanta, nel secondo soggiorno romano, in cui il pittore di Città della Pieve si accosta allo stile del Pinturicchio, in quegli anni incontrastato dominatore della scena artistica nella capitale pontificia. Non di meno il fare minuto e il decorativismo un po’ accentuati rispetto agli standard perugineschi e l’impaginazione un po’ diversa da quelle consuete nel pittore di Città della Pieve hanno spinto alcuni studiosi ad avanzare varie ipotesi. Una è che il tondo appartenga a un allievo del Perugino, al momento non identificabile; l’altra è che nell’opera possa essere intervenuto Andrea d’Assisi, detto l’Ingegno, artista la cui collaborazione con Pietro Vannucci è stata proposta in contesti diversi, ma importanti e significativi, come gli affreschi in Vaticano nella Cappella Sistina e quelli a Perugia al Nobile Collegio del Cambio. Andrea di Aloigi di Apollonio d’Assisi, detto l’Ingegno, resta tuttora una figura dai contorni sfuggenti e scarsamente documentata, ma la sua attività accanto al Perugino poggia su tradizioni antiche ed è uno degli aspetti della sua vicenda artistica meno discussi. Al momento gli viene assegnato un gruppo di opere esiguo, ma non è escluso che alcuni dipinti attribuiti al Perugino e al Pinturicchio possano in realtà essere suoi. Qualche anno fa un piccolo oratorio nella campagna perugina, a Gaiche, ha rivelato splendidi affreschi per i quali è stato avanzato il suo nome. Un’accurata revisione dei cataloghi dei maestri umbri e ricerche approfondite sul territorio potrebbero contribuire a delineare con maggiore chiarezza una figura ancora indefinita, ma di livello, visti il soprannome altamente elogiativo e la tradizione, che avendo perduto la vista ancora giovane, Sisto IV, che ne aveva apprezzato le doti eccezionali nella Cappella Sistina, gli avrebbe accordato un vitalizio. A rendere ancora più complessa e avventurosa la questione concorre una replica del tondo del Louvre, avvistata negli anni Trenta del secolo passato in una collezione di Washington, variamente attribuita a un seguace del Perugino o al Pinturicchio.



2.26 Perugino Madonna and Child with Angels, Saint Rose and Saint Catherine of Alexandria Paris, Musée National du Louvre

The circle is an ancient symbol of perfection and of eternity, common in numerous widely disparate cultures, and as such it is found in many artistic religious traditions. In Christian painting, however, it is infrequently seen and only rarely found in church interiors where the circle would be difficult to reconcile with the rectangular configuration of altars. Prior to the 15th century, in fact, tondo painting is virtually unknown, first appearing in the work of Domenico Veneziano and Filippo Lippi in the 1430’s. In all likelihood this format in painting derived from the ‘birth plate’, a circular dish presented to a new mother immediately following her child’s birth, numerous forms of which are found in maiolica, wood and other materials. Its utilization for painting marks a detachment from the round form’s original function in favor of formal, artistic considerations: it should be noted, however, that tondo paintings were almost always created for private use, with their subjects more or less related to maternity, thus harking back to the presumed source of this form. In the second half of the 15th century, the tondo, while remaining numerically in the minority, figures increasingly in the production of various artists, Perugino included. Its rare appearance in the Città della Pieve artist’s work makes the Louvre tondo especially interesting. This imposing example, which measures a meter and a half in diameter, represents the Madonna and Child, seated on a low throne with predella, flanked by angels and two female saints, perhaps identifiable as Saint Rose and Saint Catherine of Alexandria though the glass covered ampulla held by the saint on the left might refer to Mary Magdalene - all against a vast landscape painted in autumnal colors. The painting was in the Corsini Palace in Rome until 1817, when it was bought by a French government official who sold it eight years later to the Dutch antique dealer Nieuwenhuys. Nieuwenhuys gave the work to William II, King of the Low Countries, a part of its provenance confirmed by the coat-of-arms of the royal Dutch OrangeNassau family found on the back of the panel. In 1850, following the death of William II, the painting went to the Louvre, where it remains today. Given the lack of documents previous those referring to the Corsini Collection, both the dating of the tondo and its attribution to Perugino have been disputed. It is a painting characterized by a high level of formal elaboration, wherein the six figures are composed according to the circular criteria of the format, and with splendid results. The low horizon line, in full anticipation of 16th century spatial solutions, allows the figures to be shown against the sky, thus extending the space well beyond the picture plane. Constructed according to a rigorous geometric grid, the space occupied by the figures is defined by the bench, the simple footrest ornamented with gold meanders against a blue ground, and the wall that separates the figures from the landscape. They are united in their measured and spontaneous elegance by the variations of red found in the robes of the Madonna and of Saint 158

Umbrian artistic heritage worldwide

Rose, the mantle of Saint Catherine, the angel on the viewer’s right, and in other minor decorative details of the painting, like the roses, the borders of garments and the Madonna’s shoes. Red, according to a tradition that began with the world of Imperial Rome and continued through the Bizantyne court, is one of the classic symbols of power, later inherited by the Catholic Church as scarlet. The high quality of the painting is totally compatible with Perugino’s work in the last quarter of the 15th century. Pietro Vannucci might have become a bit repetitive and less powerfully expressive in his later years, but prior to 1500 he was considered one of the most important painters of his day, far beyond the immediate areas in which he worked, as indicated by his classification as the ‘best Italian painter’ according to Agostino Chigi, one of the era’s leading art patrons and connoisseurs. The Louvre tondo could date from the 1480’s, around the time of Perugino’s Sistine Chapel frescoes, but more probably the 1490’s, during his second Rome sojourn, at which time the Città della Pieve artist encountered the style of Pinturicchio, the artist then dominating the art scene in the papal capital. Other scholars, in consideration of the minute details and accentuated decorativism of the work in relation to other paintings by the artist, as well as its unusual format, have offered various hypotheses: one is that this is by a student of Perugino, as yet unidentified; the other is that it belongs to Andrea d’Assisi, known as l’Ingegno, who it has been suggested worked with Perugino on the Sistine Chapel frescoes and on those in Perugia’s Nobile Collegio del Cambio. Andrea di Aloigi di Apollonio remains a cloudy, largely undocumented figure, though there is a traditional association of this artist with Perugino which has not been thoroughly examined. At the present time, a meager group of paintings have been attributed to him, but it is not out of the question that some of the works currently ascribed to Perugino and Pinturicchio are actually his. His name was proposed a few years ago as the artist responsible for splendid frescoes discovered in a small oratory in Gaiche near Perugia. Careful reexamination of the works attributed to the Umbrian masters and more thorough research in the field might well reveal significant information on this relatively unknown figure who seems to have lost his sight at an early age but whose nickname, ‘l’Ingegno’(the genius) suggests that Sixtus IV, valuing his presumed contributions in the Sistine Chapel, might have granted him a life annuity. Adding to the complexity of this issue is the presence of a copy of the Louvre painting, which was seen in the 1930’s in a private Washington collection, and attributed to a follower of Perugino or to Pinturicchio.


Bibliografia/Bibliography Camesasca 1969, p. 92, n° 28; Todini 1989, I, pp. 91-92; II, pp. 512-19, ff. 1182-98; Scarpellini 1991, pp. 80-81, 162, f. 57; Teza 2004, p. 125, f. 16.

Provenienza/Provenance Roma, Palazzo Corsini Amsterdam, Koninglijken Verzamlingen Paris, Musée National du Louvre

Parco del Lago Trasimeno: Isola Maggiore e Isola Minore Park of Lake Trasimeno: Isola Maggiore and Isola Minore © Archivio Fotografico Regione Umbria, Sezione Aree Protette

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2.27 Pier Matteo d’Amelia Pier Matteo Lauro de’ Manfredi: Amelia PG, documentato 1467 - 1502 Madonna con il Bambino in trono Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie © 2008. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin Il mercante e finanziere Edward Solly, cittadino inglese, ma presente soprattutto sui mercati dell’Europa nord-orientale, vide aumentare vertiginosamente il suo giro d’affari durante le campagne napoleoniche, quando riuscì a realizzare una sorta di monopolio del commercio del legname sul Mar Baltico, materiale indispensabile alla costruzione delle navi. La colossale ricchezza, di cui in pochi anni il magnate inglese si trovò a disporre, venne in gran parte investita in opere d’arte e approdò a una collezione di oltre tremila dipinti di primissima qualità, fra cui un Pinturicchio e un Raffaello, classificandosi come una delle maggiori collezioni di tutti i tempi. Quando, tramontato l’astro di Napoleone e mutato l’orizzonte politico, la sua fortuna cominciò a declinare, Solly si vide costretto a vendere i dipinti, ma nel 1821 ottenne che li comprasse in blocco il re di Prussia Federico Guglielmo III. Così tuttora l’ex Collezione Solly forma un nucleo fondamentale della Gemäldegalerie dei Musei Statali di Berlino, eredi delle collezioni reali prussiane. Proveniente dalla Collezione Solly, a Berlino rivaleggia con altri capolavori una Madonna con il Bambino in trono contro un fondo oro (tempera su tavola, 144 x 66 cm), il cui incanto deriva dalla qualità eccezionale e dall’estro creativo del pittore, che introduce particolari preziosi, come le ciliegie posate sul basamento del trono e un ramoscello, le cui gemme sono un messaggio di rinascita e speranza, entrambi citazioni abilmente rielaborate da dipinti di Carlo Crivelli. Il ramoscello è un sommesso, ma significativo accenno all’Albero di Jesse, padre di Davide, a sua volta fondatore della dinastia che per secoli avrebbe regnato su Israele, da cui discendevano sia Maria che Giuseppe, fra loro lontani cugini. I profeti avevano affermato che il Messia sarebbe nato dalla casa e dalla famiglia di Davide. È interessante notare che il rametto ricompare in un’altra opera fondamentale del pittore amerino: il Polittico dei Francescani, datato 1485, un tempo a Terni nella Chiesa di San Francesco, ora nella Pinacoteca Orneore Metelli della stessa città. L’opera, che alla base del trono reca la data di conclusione dei lavori, 7 gennaio 1481, arrivata in mano a Edward Solly priva di documenti e dopo un percorso ignoto, in virtù degli innegabili riferimenti alla pittura umbra, fu attribuita prima a Fiorenzo di Lorenzo, poi a maestri della cerchia di Antoniazzo Romano e infine al cosiddetto ‘Maestro dell’Annunciazione Gardner’. Fino a non molti anni fa questa era la denominazione convenzionale con cui s’indicava l’autore di una splendida Annunciazione esposta a Boston, Isabella Stewart Gardner Museum, un tempo appesa a una parete della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli e acquistata ai primissimi del Novecento, tramite Bernard Berenson, dalla collezionista americana, creatrice del museo che porta il suo nome. Il non meglio identificato ‘Maestro dell’Annunciazione Gardner’ mostrava un linguaggio figurativo sostanzialmente umbro, ma vivacizzato da spiccati tratti toscani e, più precisamente, tipici di Filippo Lippi. D’altra parte era noto che l’unico 160

Patrimonio artistico umbro nel mondo

pittore umbro ad avere avuto stretti e prolungati rapporti di lavoro con Filippo Lippi era Pier Matteo d’Amelia, per cui sorse il sospetto che fosse proprio lui l’anonimo autore dell’Annunciazione di Boston. L’evoluzione degli studi e la scoperta di un documento d’archivio hanno permesso l’identificazione, che oggi fa parte dei dati acquisiti sulla pittura rinascimentale. Una volta individuato in Pier Matteo dei Manfredi il vero autore del gruppo di opere un tempo assegnate al ‘Maestro dell’Annunciazione Gardner’, gli studiosi non tardarono ad accorgersi che anche la pala berlinese doveva appartenere al catalogo dell’artista, ormai identificato con una figura storica documentata. La tavola berlinese, ristudiata alla luce delle nuove acquisizioni, si è rivelata la parte centrale di un polittico dipinto da Pier Matteo per la Chiesa di Sant’Agostino a Orvieto e in tempi recenti all’opera è stato possibile ricollegare documenti riemersi nell’Archivio Notarile della città umbra, da cui risulta confermata la paternità, già acclarata per via stilistica. Nella struttura originaria del polittico la pala centrale era affiancata da quattro scomparti laterali, che nella seconda metà del secolo XVIII erano a Roma in proprietà di don Agostino Mariotti, nota figura di collezionista, la cui raccolta, messa insieme in gran parte con opere di provenienza umbra, nell’Ottocento andò dispersa. I quattro scomparti raffigurano i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena, ora ad Altenburg, Lindenau Museum, san Nicola da Tolentino, ora a Philadelphia, Museum of Fine Arts, John G. Johnson Collection e infine sant’Agostino nell’atto di calpestare gli eretici, un tempo nella Oliver Watney Collection a Cornbury Park, Charlbury, Oxfordshire. Da quest’ultima sede il pannello con sant’Agostino passò alla nota casa d’aste londinese Christie’s. Messo in vendita nel 1967, scomparve senza lasciare traccia e al momento se ne ignora la collocazione. L’opera, anche se scomposta e divisa fra sedi lontane, consente un’analisi stilistica e rivela il forte influsso esercitato da Filippo Lippi su Pier Matteo, dovuto a una lunga collaborazione fra i due artisti, che culminò nella presenza del pittore amerino, nel ruolo di aiutante principale, nella squadra di Lippi, impegnata negli splendidi affreschi con Storie della Vergine nell’abside del Duomo di Spoleto, dove è ritratto poco più che ventenne, accanto ai compagni di lavoro. Dopo la gran prova di Spoleto la carriera di Pier Matteo d’Amelia lo vide coinvolto in incarichi di gran prestigio, fra i quali primeggiano nei Palazzi Apostolici Vaticani la decorazione della volta della Cappella Sistina, ora non più visibile, perché sostituita dall’intervento di Michelangelo e gli Appartamenti Borgia, tuttora sotto gli occhi dei visitatori contemporanei.



2.27 Pier Matteo d’Amelia Madonna and Child Enthroned Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie

Edward Solly, the English merchant and financier who operated primarily in the markets of northeastern Europe, saw his business expand enormously during the Napoleonic campaigns when he achieved a virtual monopoly in the wood trade on the Baltic Sea, wood being an essential material in the construction of ships. The huge fortune Solly amassed in a few short years was largely invested in works of art, resulting in a first class painting collection numbering more than three thousand and including a work by Pinturicchio and one by Raphael, making it one of the finest collections of all time. When Napoleon’s star waned and the political situation changed, Solly’s fortune began to decline and he was obliged to sell his paintings. In 1821 he successfully negotiated the sale of the collection en bloc to Frederick William III, King of Prussia, and thus the former Solly Collection today forms the nucleus of the Gemäldegalerie of the Berlin State Museums, heir of the royal Prussian collections. Included in this collection together with other masterpieces is a Madonna and Child Enthroned against a gold background (tempera on panel, 144 x 66 cm) the appeal of which is due to its extremely high quality and the creative inspiration of the artist, who introduced precious details such as the cherries resting on the base of the throne and a branch, whose buds symbolize rebirth and hope as in the works of Carlo Crivelli. The branch is a subtle but significant reference to the Tree of Jesse, father of David, who was founder of the dynasty that ruled Israel for centuries and from which both Mary and Joseph, distant cousins, descended. The prophets affirmed that the Messiah would come from the House of David. It is interesting to note that this same bough appears in another major work by the painter from Amelia: The Franciscans’ Polyptych, dated 1485, formerly in the Church of Saint Francis, Terni, and now in that city’s Pinacoteca Orneore Metelli. The present painting, which bears the date January 7, 1481, on the base of the throne, indicating when the work was completed, came into Solly’s hands undocumented and without provenance. Due to its undeniable Umbrian character it was first attributed to Fiorenzo di Lorenzo, then to masters in the circle of Antoniazzo Romano, and finally to the so-called ‘Master of the Gardner Annunciation’. Until a few years ago, it was thus associated with the artist responsible for the splendid Annunciation on exhibit in Boston’s Isabella Stewart Gardner Museum, acquired in the early 20th century by the museum’s namesake creator with the help of Bernard Berenson. The work, which at one time hung in the Porziuncola of Santa Maria degli Angeli near Assisi, demonstrates a figurative language that is decidedly Umbrian, but is enlivened with certain Tuscan elements typical of Filippo Lippi. The only Umbrian artist known to have had a long and continuous working relationship with Filippo Lippi was Pier Matteo d’Amelia, giving rise to the suggestion that he was in fact the artist responsible 162

Umbrian artistic heritage worldwide

for the Boston Annunciation. The evolution of research and the discovery of an archival document have permitted a positive attribution which today is part of Renaissance painting scholarship. Once it was determined that Pier Matteo d’Amelia was the true creator of the body of paintings formerly attributed to the ‘Master of the Gardner Annunciation’, scholars were quick to add the Berlin Madonna and Child to this group, finally able to associate it with a documented historical figure. The Berlin panel, reconsidered in the light of these new attributions, was revealed to be the central part of a polyptych painted by Pier Matteo for the church of Saint Augustine in Orvieto. Recently, thanks to the discovery of documents in Orvieto’s Archivio Notarile (Notary Archives), it has been possible to confirm this provenance, formerly based solely on stylistic analysis of the altarpiece’s various sections. In its original configuration, the central panel was flanked by four lateral panels which in the second half of the 18th century are recorded in Rome as being in the possession of the noted collector Don Agostino Mariotti. Mariotti’s collection, which was largely comprised of Umbrian paintings, was dispersed in the 19th century. The four ancillary panels represent Saint John the Baptist and Mary Magdalene, now in the Lindenau Museum, Altenburg; Saint Nicholas of Tolentino, today in the John G. Johnson Collection of the Museum of Art, Philadelphia; and Saint Augustine in the act of trampling the heretics, at one time in the Oliver Watney Collection of Cornbury Park, Charlbury, Oxfordshire. This latter panel was sold at auction by Christie’s in London in 1967, and has since disappeared. The polyptych, though widely dispersed, allows stylistic analysis and shows the marked influence of Filippo Lippi on Pier Matteo, result of their long collaboration and the role Pier Matteo played as principal assistant in the realization of the splendid Story of the Virgin frescoes in the apse of Spoleto Cathedral, where he is portrayed in his early twenties among his coworkers. After the success of the Spoleto project, Pier Matteo d’Amelia’s career took off, including such prestigious commissions as the decoration of the Sistine Chapel vault in the Vatican, later painted over by Michelangelo, and the Borgia Apartments, still visible to today’s visitors.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 243-47; Shearman 1986, pp. 42-43; Silvestrelli 1987h, pp. 733-34; Todini 1989, I, pp. 284-85; II, pp. 464-65, ff. 1069-72; Castrichini 1996, pp. 138-42; Mencarelli 1996, pp. 87-88; Marcelli 2008, pp. 236-37.

Provenienza/Provenance Berlin, Edward Solly Sammlung Berlin, Preussische Königliche Sammlungen Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie

Firenze: Galleria degli Uffizi, Pier Matteo d’Amelia, disegno della volta della Cappella Sistina Florence: Uffizi Gallery, Pier Matteo d’Amelia, drawing of the vault of the Sistine Chapel © 1990. Foto Scala - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali

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2.28 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, detto il Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 Madonna con il Bambino in un paesaggio Philadelphia (Pennsylvania), Museum of Art, John G. Johnson Collection © 2007. Foto The Philadelphia Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze Malgrado un’estrazione sociale molto modesta e un’infanzia vissuta fra notevoli difficoltà economiche nel popolare Rione di Porta Sant’Angelo, già allora una delle zone più povere di Perugia, il Pinturicchio - difficile stabilire per quale via - dovette riuscire a farsi un bagaglio culturale superiore alla media dei pittori dei suoi tempi. Il suo non basso livello d’istruzione traspare dagli scritti autografi, in cui la grafia è chiara e ordinata, l’uso della lingua è corretto e in qualche caso, come nell’istanza rivolta nel 1507 ai magistrati senesi per ottenere uno sgravio fiscale, sono presenti riferimenti culturali non di pubblico dominio. Questa familiarità con la cultura scritta si traduce, in moltissime opere pinturicchiesche distribuite lungo tutto l’arco della produzione, nella presenza di iscrizioni, cartigli, codici, lettere, penne, calamai, temperini e altri oggetti legati al mondo del leggere e dello scrivere, anche quando il dettato iconografico non li imporrebbe, segno d’una libera scelta dovuta a una predilezione personale. È quanto si può osservare nella Madonna con il Bambino, già in proprietà di uno dei più grandi consulenti legali del mondo di lingua inglese John Garver Johnson (Philadelphia 1841 - 1917), avvocato di re e capi di stato e infine ministro della Giustizia degli Stati Uniti, che decise di lasciare alla città natale, con munifica donazione, cinquecentosettantacinque dipinti, prima esposti in una dimora di sua proprietà e poi trasferiti al Museum of Art, dove tuttora si trovano. John G. Johnson era un collezionista eccentrico, a cui piaceva navigare contro corrente, spinto dal senso della sfida e da un intuito eccezionale a esplorare zone dell’arte ancora in ombra, come i primitivi fiamminghi, la pittura olandese del Seicento e anche i maestri italiani precedenti il pieno Rinascimento, di regola ignorati dai collezionisti suoi contemporanei. In questa prospettiva può trovare una logica motivazione l’acquisto effettuato a Londra nel 1915 del dipinto del Pinturicchio, artista che, con il suo gusto arcaizzante e le sue inflessioni tardo-gotiche, dovette attirare l’attenzione di Johnson in un’epoca in cui, salve rare eccezioni, l’ottimo pittore umbro non era conosciuto, né tanto meno apprezzato. Va osservato al riguardo che Johnson era attratto dai piccoli formati e dall’estrema cura dell’esecuzione, di cui il Pinturicchio è un campione riconosciuto, come prova l’acquisto da parte dell’avvocato statunitense del minuscolo San Francesco che riceve le stigmate, non più grande di una cartolina, autografo del grandissimo Jan van Eyck. Anche la Madonna del Pinturicchio è un quadro di contenute dimensioni (61 x 41,6 cm) realizzato a tempera su tavola e vicinissimo a una miniatura per il prezioso decorativismo, la sovrabbondanza di particolari eleganti e, infine, la concentrazione di un gran numero di figure e oggetti, sia pure giustapposti con ordine, fino a saturare tutto lo spazio figurativo. Al riguardo si notino gli alberi altissimi tagliati dal limite superiore del dipinto e l’insistita precisione con cui sono descritti gli elementi architettonici del paesaggio. La storia antica del 164

Patrimonio artistico umbro nel mondo

quadro non è nota, come prova la sua assenza dalle monografie uscite fra fine Ottocento e primi Novecento, e pertanto non ci sono dati oggettivi per ricollocarlo in un momento preciso della produzione pinturicchiesca; non di meno il riferimento al mondo del Pinturicchio è fuori discussione, mentre resta aperto il problema se lo spettatore sia di fronte a un dipinto completamente autografo e ci siano interventi di collaboratori, come suppone un filone minoritario della critica, senza seguito però negli studi più recenti. In realtà la qualità dell’opera è alta e tale da giustificare senza riserve il riferimento al maestro in persona, prima nell’ideazione, poi nell’esecuzione, confermato da tutta una serie di elementi caratteristici del suo linguaggio: l’organizzazione dello spazio figurativo con i due protagonisti in primo piano, ma avvolti dal paesaggio con le rocce verticali e i due alberi paradossalmente alti, identici, ma riproposti in controparte, a quelli della cappella Eroli del Duomo di Spoleto; la principesca eleganza dei vestiti, per cui il mantello della Madonna, già lussuosamente bordato d’oro, è arricchito dal pezzo di bravura del velo trasparente e quasi impalpabile; l’abito istoriato che trasforma il Bambino in un piccolo gran sacerdote; la presenza di episodi minori, come la Fuga in Egitto; l’uso del colore per forti stacchi con il motivo conduttore del rosso prezioso, che ricompare con lievi variazioni tonali nella veste della madonna, nel mantello del Bambino, nel piccolo codice che Gesù tiene in mano, nella panca su cui siede la Madonna e infine nei rami, come di corallo, che introducono nell’aureola del Piccolo Signore del Mondo un’anticipazione della croce e del sangue del sacrificio. Vanno sottolineate poi le analogie fra il Bambino, in piedi sullo sgabello nell’atto di reggere un codice, e il suo fedele pendant nella Madonna con il Bambino e il donatore nel Museo de Bellas Artes di Valenza, nonché con l’altra Madonna con il Bambino immerso nella lettura nel Museum of Art di Raleigh (North Carolina), ma proveniente dalla collezione del conte Grigorj Stroganov, che l’aveva a sua volta acquistata a Perugia dai Borgia Mandolini. Le stringenti analogie stilistiche e il riferimento più o meno diretto al mondo dei Borgia rinviano alla produzione del Pinturicchio degli ultimi anni del Quattrocento, ossia la migliore delle sue stagioni, quando era il pittore favorito di Alessandro VI e poteva esprimere liberamente la propria inesauribile fantasia nei grandi cicli di affreschi degli Appartamenti Borgia e di Castel Sant’Angelo, ma anche nei dipinti a destinazione privata. È a questo lusso favoloso e fuori di misura umana, trasferito dai saloni affrescati al piccolo formato, che rinvia anche la Madonna con il Bambino di Philadelphia, il cui sgabello vagamente tardo gotico ricompare in un’altra importante opera pinturicchiesca, la Pala di Sant’Andrea dell’omonima chiesa di Spello, in cui ancora una volta la cultura scritta è protagonista, grazie alla felice digressione del piccolo san Giovanni, circondato da una profusione di oggetti usati nella scrittura.



2.28 Pinturicchio Madonna and Child in a Landscape Philadelphia (Pennsylvania), Museum of Art, John G. Johnson Collection

Despite his humble beginnings and a youth spent in difficult financial straits in one of Perugia’s poorest districts - Porta Sant’Angelo Pinturicchio somehow managed to acquire a cultural background superior to that of many of his artist contemporaries. His not indifferent level of preparation is apparent in autographed documents, where his script is clear and orderly, his use of language correct, and on occasion, such as his 1507 letter to Sienese magistrates requesting tax relief, his writing included cultural references outside the public domain. Pinturicchio’s familiarity with literary culture is evidenced throughout his work by the inclusion of inscriptions, signs, codices, letters, pens, pen sharpeners, inkwells and other objects particular to the world of the reader, scribe or calligrapher, even when the subject didn’t necessitate the presence of such artifacts and thus indicating choices based on personal predilection. Such a choice is apparent in the Philadelphia Madonna and Child, previously belonging to John Garver Johnson (Philadelphia 1841-1917), one of the most important legal minds in the English-speaking world, lawyer to kings and heads of state and ultimately Minister of Justice (Head of the Justice Department) of the United States. Johnson munificently donated his collection of 575 paintings to his native city, where it was initially exhibited in his home and then transferred to the Museum of Art that still houses it. As a collector Johnson was eccentric, sometimes following current trends but more often led by a healthy skepticism and an exceptional intuition concerning less familiar artists who were generally ignored by his collecting contemporaries, like the Flemish primitives, Dutch 17th century painters, and Italian early-Renaissance artists. Given this propensity, it is not surprising that in London in 1915 Johnson purchased this panel by Pinturicchio, an artist whose archaizing taste and late-gothic inflections must have attracted the collector even though the Umbrian artist was neither known nor appreciated at the time. It should be noted that Johnson especially prized small-format, exquisitely detailed works, of which Pinturicchio was an undisputed master, explaining the American attorney’s acquisition of major artist Jan van Eyck’s tiny Saint Francis Receiving the Stigmata, which is no bigger than a postcard. Pinturicchio’s Madonna is also small in size, measuring only 61 x 41.6 cm, realized in tempera on panel and resembles a miniature in its decorative preciosity and profusion of figures and other elements contained in a limited but orderly, well-defined space. Note the tall trees in the middle ground cut off by the painting’s upper edge and the great precision with which the artist has rendered the landscape’s architectural elements. The early history of this painting is not known and it is not mentioned in late 19th and early 20th century monographs, the lack of objective data making the work difficult to place precisely in Pinturicchio’s production. We are certainly dealing here with a Pinturicchio, though a 166

Umbrian artistic heritage worldwide

minority of critics, without reference to the most recent research on the artist, have suggested the intervention of assistants. In reality, the exceptionally high quality of the painting leaves no doubt that this is an autograph work, first in the overall composition and then in its execution, replete with elements entirely characteristic of the artist’s style: his organization of space with the two principal figures in the foreground, their shapes echoed in reverse by the vertical rocks in the middle ground, and the two tall, miss-matched trees, identical though in reverse position in the artist’s Eroli Chapel rendition in Spoleto Cathedral; the elegant, princely clothing, such as the mantel of the Madonna, richly bordered in gold and further enhanced by a virtually transparent veil; the Child’s decorated clothes, transforming him into a small but great priest; the inclusion of minor episodes of the story, like the Flight into Egypt; the punctuating use of variations of the color red - on the dress of the Virgin, the robe of the Christ Child, the throne and the book held in the Madonna’s hand, and finally in the halo of coral branches introduced around the head of Christ to foreshadow his crucifixion and blood sacrifice. Of further note is the similarity between the figure of the Christ Child here and his counterpart in the Madonna and Child with a Donor in the Fine Arts Museum of Valenza and the Madonna and Reading Child, now in the Raleigh Museum of Art but formerly in the collection of Count Grigorj Stroganov, who bought it in Perugia from the Borgia Mandolini family. The close stylistic similarities in these works and the more or less direct connection with the world of the Borgias references Pinturicchio’s production at the end of the 15th century when he was at the height of his artistic powers, the favorite painter of Pope Alexander VI and able to let his imagination run freely in the great fresco cycles in the Borgia Apartments and in Castel Sant’Angelo but also in work done for private use. This out-of-the-ordinary luxury and fantasy has been transferred from frescoed salons to a miniature format in the Philadelphia Madonna and Child. Finally, the late-gothic style stool on which the Child stands is seen again in another important Pinturicchio work, the Sant’Andrea Altarpiece in the Spello church of the same name where literary culture again takes center stage in the figure of the Little Saint John, shown surrounded by a profusion of objects used for writing.


Bibliografia/Bibliography Berenson 1932, p. 460; van Marle 1933, XIV, p. 259; Marceau 1953, p. 13; Carli 1960, pp. 57, 245; Sweeney 1966, pp. xiii, 65; Saarinen 1977, pp. 80-101; Todini 1989, I, p. 292; Nucciarelli 1998, p. 294; Acidini Luchinat 1999, p. 27; Scarpellini 2003a, pp. 153-54; Wolk-Simon 2006, pp. 18-19, f. 28; Mancini 2007, pp. 155, 157, 159; Ortenzi 2008d, pp. 250-51.

Provenienza/Provenance London, Collection Earl of Northesk London, Collection R. Langton Douglass Philadelphia, John G. Johnson Collection Philadelphia (Pennsylvania), Museum of Art, John G. Johnson Collection

Spello: Chiesa di Sant’Andrea Spello: Church of St. Andrew © Archivio Fotografico Italgraf

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2.29 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, detto il Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni Warszawa, Muzeum Narodowe © Archivio fotografico Franco Ivan Nucciarelli Verso la metà del secolo XIX, riconquistate finalmente unità e autonomia, la Polonia programmò la ricostruzione delle sue istituzioni culturali e fondò a Varsavia il Muzeum Narodowe tuttora esistente. Al riordino e allo studio del patrimonio artistico già in possesso della nazione, il nuovo governo affiancò una sistematica campagna di acquisti, che vide gli inviati del museo nazionale polacco assiduamente presenti sui mercati d’arte. Nel 1862 a Colonia andò all’asta la collezione dell’architetto e urbanista tedesco Johann Peter Weyer e il rappresentante del museo di Varsavia riuscì ad assicurarsi una piccola, ma splendida Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni, attribuita ad Alberto da Ferrara. Lo storico dell’arte responsabile dell’acquisto, più che dall’oscuro pittore, quasi sconosciuto anche agli addetti ai lavori, dovette essere attratto dalla qualità del dipinto. L’arrivo a Varsavia della piccola tavola di pioppo (45,5 x 37 cm) mise sotto gli occhi degli storici dell’arte polacchi un’opera che presentava due aspetti conciliabili solo con gran difficoltà: un’altissima qualità formale e un autore sconosciuto al gran pubblico, ma semisconosciuto anche ad appassionati e studiosi. Pareva impossibile che Alberto da Ferrara, ricordato da pochissime fonti e noto per un’opera sola di qualità modesta, avesse potuto raggiungere un livello così alto. La primitiva attribuzione fu presto abbandonata in favore di una seconda a Ludovico Mazzolino, ferrarese anche lui, ma di ben altra levatura. Gli studi ulteriori però constatarono nella Madonna con il Bambino la sostanziale assenza di elementi ferraresi e così nel 1910 fu proposta l’attribuzione al Pinturicchio, fondata su solide considerazioni stilistico-formali e strette analogie della Madonna polacca con le opere certe del pittore umbro. Se da allora la paternità pinturicchiesca è fuori discussione, restano inspiegabili le precedenti attribuzioni ai due artisti ferraresi. La Madonna di Varsavia purtroppo è priva di corredo documentario e la sua storia a monte della Collezione Weyer è del tutto sconosciuta. Il rinvio ai due pittori ferraresi, insostenibile sul piano stilistico, troverebbe un appiglio accettabile ammettendo un’eventuale provenienza del dipinto da Ferrara. Se Ludovico Mazzolino già alla fine dell’Ottocento era un artista conosciuto anche fuori della città emiliana, Alberto da Ferrara poteva essere noto solo agli eruditi ferraresi, che davanti alla gran massa di opere anonime procedettero ad attribuzioni provvisorie, chiamando in causa pittori semisconosciuti, ma documentati o da opere presenti a Ferrara o registrati da carte d’archivio conservate in città. L’opera, approdata a Colonia senza documenti d’accompagno e con l’attribuzione a un artista sconosciuto, ma ferrarese, venne infatti in seconda battuta assegnata a Ludovico Mazzolino, ferrarese anche lui, solo in base alla provenienza geografica. Accertata ormai da tempo la paternità pinturicchiesca del quadretto di Varsavia, l’ipotesi della provenienza ferrarese pone un problema: allo stato attuale degli studi infatti un’attività del Pinturicchio nella capitale degli Estensi non è ipotizzabile. L’unico possibile raccordo fra l’artista perugino e la città emiliana sembra passare attraverso il matrimonio di Lucrezia Borgia con Alfonso d’Este, avvenuto ai 168

Patrimonio artistico umbro nel mondo

primissimi del Cinquecento. La sposa raggiunse la capitale estense con dote e corredo da Mille e una notte. Molto probabilmente ad abiti, gioielli, tappeti, mobili s’accompagnavano anche dipinti. In quegli anni il Pinturicchio era il pittore di corte di Alessandro VI, padre della sposa, che potrebbe aver regalato volentieri alla figlia un quadretto del proprio artista favorito. Una volta immaginato che la Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni abbia raggiunto Ferrara con la nuova duchessa, era normale che alla sua morte restasse nelle collezioni estensi. Nei secoli queste ultime andarono incontro a gravi spoliazioni e si dispersero per tutta l’Europa. Fra i quadri perduti poteva esserci anche la Madonna con il Bambino ora a Varsavia, che lasciata Ferrara in circostanze al momento sconosciute, sarebbe poi riemersa a Colonia, con l’attribuzione a un primo pittore ferrarese, poi a un secondo pittore ferrarese, entrambe insostenibili a livello stilistico-formale. Il percorso suggerito è del tutto ipotetico per ora, ma ricerche negli archivi di Colonia e Ferrara potrebbero confermarlo. Il raccordo con la vicenda di Lucrezia è favorito dalla presunta datazione del quadretto. In totale assenza di documenti e vista la comparsa nell’Ottocento inoltrato, la data può essere ipotizzata solo per via stilistica. La prima osservazione da fare al riguardo è che la disposizione delle figure dedotta dal Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi della Galleria Nazionale dell’Umbria, datato in forza del contratto di allogazione 1495-1497, indica che il quadretto del museo polacco va collocato dopo questi anni. Altre indicazioni emergono dal paesaggio. Analizzando la produzione del Pinturicchio nel suo insieme, in base ai dipinti di sicura collocazione cronologica, è possibile registrare due tendenze in rapporto d’inversa proporzionalità: la progressiva perdita del primato della figura umana nello spazio pittorico, accompagnata dal progressivo incremento del ruolo del paesaggio. Nel quadretto del museo polacco il paesaggio è ormai talmente dominante da portarsi quasi in primo piano fino ad avvolgere le figure; inoltre l’orizzonte decisamente basso, rispetto alle più antiche soluzioni pinturicchiesche, al di sotto delle spalle della Madonna, appartiene alla fase stilistica fra gli ultimissimi anni del Quattrocento e i primissimi del Cinquecento. Il piccolo san Giovanni, che ricompare molto simile nella cosiddetta Madonna della melagrana della Pinacoteca Nazionale di Siena, conferma una collocazione ai primissimi anni del Cinquecento, quando il Pinturicchio entra in contatto con la committenza senese. Tutto concorre a far credere che, alla data del matrimonio di Lucrezia Borgia con l’erede al ducato di Ferrara, la Madonna di Varsavia o era stata dipinta da poco o fu realizzata per l’occasione. Del resto, le dimensioni molto contenute ne fanno il classico quadretto a destinazione privata. L’insistito, ma raffinatissimo decorativismo, infine, che si rivela nella veste istoriata da piccolo gran sacerdote di Gesù, nel filo di perle arricchito da una pietra preziosa, che ferma il velo sul capo alla Madonna, rinviano all’atmosfera di lusso principesco, in cui si movevano i Borgia e il loro entourage.



2.29 Pinturicchio Madonna and Child with the Little Saint John Warsaw, National Museum

Poland, finally achieving unity and independence around the middle of the 19th century, decided to reconstruct its cultural institutions; thus the Warsaw National Museum was founded. To the subsequent reordering and study of the country’s existing artistic patrimony the new government added a systematic acquisition program which saw the assiduous participation of national museum representatives in the current art market. In 1862 in Cologne, the collection of German architect and urban planner Johann Peter Weyer went to auction, and a Warsaw museum envoy successfully bid on a small but splendid Madonna and Child with the Little Saint John attributed to Alberto da Ferrara. The art historian responsible for this purchase must have been attracted by the painting’s high quality, despite its attribution to an artist completely unknown to the general public and little known even among art scholars. This ambiguity was what confronted Polish art historians when the small poplar panel painting (45.5 x 37 cm) arrived in Warsaw. It seemed impossible that Alberto da Ferrara, rarely mentioned in the literature and known only for one painting of modest quality, could have been responsible for such a work. Thus, this attribution was immediately abandoned in favor of another, Ludovico Mazzolino, who was also from Ferrara but an artist of higher standing. Later studies noted the marked absence of Ferrarese pictorial elements in the Madonna and Child, and in 1910 the painting was given to Pinturicchio, based on careful stylistic analysis and thorough comparison of it with known works by the Umbrian master. Although this attribution has remained unchallenged, it is unclear why originally it would have been considered the production of two artists from Ferrara. Unfortunately, the Warsaw Madonna and Child is completely undocumented, and its history prior to becoming part of the Weyer Collection is unknown. Though Ludovico Mazzolino might have been an artist known outside his native town at the end of the 19th century, Alberto da Ferrara was most certainly known only to erudite Ferrarese. Among the large number of anonymous works of art or those with provisory attributions, some have been given to lesser-known Ferrara artists who appear infrequently in the documents or simply mentioned in the Emilian city’s archives. The painting in question arrived in Cologne without provenance but with the Ferrarese attribution, and its subsequent attribution further affirmed the same city of origin. With its long acceptance as a Pinturicchio, the panel’s earlier reference to Ferrara is problematic. Pinturicchio never worked there, and the only possible connection between the Umbrian artist and that Emilian center was the marriage of Lucrezia Borgia and Alfonso d’Este at the beginning of the 16th century. The bride arrived in the Estense capital with the dowry and gifts of A Thousand and One Nights. In all likelihood, the wealth of clothing, jewels, tapestries and furniture that accompanied her also included paintings. In those years, Pinturicchio was the court painter of Alexander VI, the bride’s father, who would 170

Umbrian artistic heritage worldwide

happily have given his daughter a work by his favorite artist. Once one accepts that the Madonna and Child could have come to Ferrara with the new Duchess, it can be concluded that it would have remained in the Estense collections after her death. In the centuries that followed, these collections were subjected to extensive pillaging, their contents dispersed throughout Europe. The Warsaw Madonna and Child might have been one of those works, leaving Ferrara at an unknown date and under unknown circumstances, only to re-emerge in Cologne with attributions to two different painters from Ferrara, neither of which are sustainable on a formal-stylistic level. For now, the provenance suggested above is hypothetical, but might later be confirmed by research in the Cologne and Ferrara archives. The painting’s connection with Lucrezia Borgia is reinforced by the presumed dating of the piece, based solely on stylistic comparison due to the complete absence of documents and the work’s unknown whereabouts prior to the 19th century. The first observation to make in this regard concerns the disposition of the figures, derived from the Polyptych of Santa Maria degli Angeli o dei Fossi, today in the National Gallery of Umbria, documented as having been created between 1495 and 1497. That would indicate the Warsaw Madonna and Child was painted in the years immediately following that commission. There are other clues in the painting’s landscape: looking at Pinturicchio’s work as a whole, and in light of those works that can be securely dated, it is possible to identify two inversely proportionate tendencies; a progressive diminishing of the importance of the human figure in the pictorial space, and a growing emphasis on the role of landscape. In the Warsaw panel the landscape dominates the foreground to the point of almost wrapping the figures; furthermore, the decidedly low horizon, lower than the Madonna’s shoulders, is typical of Pinturiccho’s very last solutions and belongs to the end of the 15th century and the beginnig of the 16th century. The young Saint John, similar to the artist’s treatment of the same figure in his Madonna of the Pomegranate in Siena’s National Picture Gallery, confirms a date at the beginning of the 16th century, when Pinturicchio began work for his Sienese patrons. All things considered, together with the date of Lucrezia Borgia’s marriage to the heir of the Duchy of Ferrara, suggests that the Warsaw Madonna and Child was painted around the time of or specifically for that occasion. Furthermore, the painting’s diminutive size suggests its creation for private use. And finally, the pervasive but highly refined decorativism of the work, exemplified by the elegant robe that transforms the Baby Jesus into a little great priest and the string of pearls, enriched by a precious stone, that holds the Madonna’s veil, recalls the princely luxury that surrounded the Borgia and their entourage.


Bibliografia/Bibliography Starzynski 1938; Carli 1960, pp. 56, 246, f. 97; Bialostocki 1962; Sambo 1988, p. 767; Todini 1989, p. 296; Nucciarelli 1998, pp. 19, f. 7, 231, tv. 107, 301; 2002, pp. 85-104; Acidini Luchinat 1999, p. 73; Benazzi 2002b, pp. 279-87; Nucciarelli 2002, pp. 85-104; Scarpellini 2003b, p. 213, f. 9; Ortenzi 2008c, pp. 274-75; 2008e, pp. 280, 307.

Provenienza/Provenance Forse Ferrara KĂśln, Johann Peter Weyer Sammlung Warszawa, Muzeum Narodowe

Spoleto: Cattedrale di Santa Maria Assunta Spoleto: Cathedral of St. Mary of the Assumption Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.30 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, detto il Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 Ritratto del pontefice Pio III Svizzera, Collezione privata © Archivio fotografico del proprietario

A Siena il 29 giugno 1502 venne stipulato un contratto fra il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, arcivescovo della città toscana, e il Pinturicchio. L’artista era incaricato di affrescare un gran locale all’interno del duomo senese, destinato all’esposizione di codici e manoscritti raccolti dal grande umanista Enea Silvio Piccolomini, poi papa dal 1458 al 1464 con il nome di Pio II, zio materno del committente. I temi previsti erano i momenti salienti della vita di Pio II; il Pinturicchio s’impegnava a tradurre in immagini figurative, di adeguato decoro e allineate alle ultime innovazioni artistiche, episodi scelti dai Piccolomini e consegnati a un memoriale, esplicitamente nominato nel contratto, a cui il pittore doveva attenersi. Prendeva l’avvio il più importante cantiere dell’Italia Centrale di quegli anni e il Pinturicchio, forte d’una lunga esperienza di caposquadra, dovette subito dedicarsi alla progettazione, come la spartizione dello spazio disponibile, in cui creò una lussuosa decorazione a grottesche sulla volta, ispirata ai modelli della Domus Aurea, e sulle pareti un porticato illusivo con dieci arcate, ognuna delle quali inquadra una scena. Nel 1503 l’inattesa elezione a pontefice di Francesco Todeschini Piccolomini, che in omaggio allo zio prese il nome di Pio III, e la sua altrettanto imprevista morte a pochi giorni di distanza dall’incoronazione, segnarono una battuta d’arresto nei lavori. Qualche tempo dopo l’incarico al Pinturicchio fu rilanciato dagli eredi di Pio III e il cantiere finalmente entrò in fase operativa. Fra i collaboratori del maestro umbro la tradizione, in totale silenzio documentario, da sempre ha visto anche Raffaello, poco più che ventenne, in quegli anni a Perugia e in contatto con il Pinturicchio, come provano alcune opere giovanili dell’urbinate, in cui gli elementi pinturicchieschi sono chiari e riconosciuti. La tradizione trova conferma nell’esistenza di disegni, se non universalmente, generalmente attribuiti a Raffaello, in evidente rapporto con alcune scene visibili sulle pareti di quella, che ormai è universalmente nota come Libreria Piccolomini. Un’ala della critica ha sopravvalutato la partecipazione raffaellesca, assegnando al pittore urbinate un ruolo superiore a quello realmente svolto, fino a sostenere che Raffaello avrebbe fatto tutti i disegni e avrebbe eseguito in parte considerevole anche la frescatura. Caduta definitivamente quest’ultima ipotesi davanti all’analisi stilisticoformale degli affreschi, dove della mano di Raffaello non c’è traccia, resta in alcuni studiosi la convinzione che il giovane urbinate sia stato il protagonista assoluto della fase preparatoria. Si oppongono a questa ipotesi in primo luogo considerazioni di buon senso, come la pluriennale esperienza del Pinturicchio, che già allora aveva al suo attivo importanti cicli di affreschi, non ultimi quelli delle due residenze pontificie in Vaticano e a Castel Sant’Angelo. In secondo luogo una prova è fornita da un disegno, riemerso qualche anno fa in una collezione privata svizzera, assente anche dai repertori più accurati e completi, preparatorio al ritratto di Pio III. Il disegno, di piccole dimensioni, realizzato in uno stile minuzioso e analitico fino all’iperrealismo, declama a gran voce l’autografia pinturicchiesca e indica che il maestro venne coinvolto personalmente nell’attività pittorica fin dalla fase preparatoria. Secondo una prassi consolidata già 172

Patrimonio artistico umbro nel mondo

allora, ma tuttora in vigore, i ritratti sono quasi sempre preceduti da un bozzetto, rispettoso non solo delle caratteristiche fisionomiche, ma anche dell’abbigliamento con il quale il personaggio tiene a comparire. A motivo degli impegni delle grandi personalità, è impensabile che l’effigiato dedichi tutto il tempo necessario, perché il pittore esegua il ritratto a regola d’arte. L’artista, anche ai nostri giorni, incontra una volta sola o poco più il personaggio, di cui abbozza a grandi linee fisionomia e costume, che poi con la cura necessaria trasferisce nell’opera definitiva. Data la provata abilità del Pinturicchio come ritrattista, il disegno che raffigura Pio III, al di là del valore artistico, è un’eloquente testimonianza delle povere condizioni di salute dell’anziano pontefice: prova ne sia che, incoronato l’8 ottobre 1503, il 18 dello stesso mese scomparve. Data la veste ufficiale, triregno e piviale, è certo che è stato realizzato proprio in quei pochi giorni fra l’elezione e la morte, dalla mano del Pinturicchio, che di fronte a un committente di quel rango era impensabile delegasse un allievo e dovette così intervenire in prima persona. Il piccolo disegno (214 x 168 mm), inedito fino al 2004, anno in cui fu pubblicato per la prima volta, è eseguito, su carta avorio leggermente tinteggiata in giallo-rosa, a mina di piombo e punta d’argento e presenta tracce di stilo. Sul recto si legge “n. 70” e sul verso c’è la dicitura “Ignoto (sec. XVI) Ritratto di Pio III (Piccolomini) eletto 1503 regnò 26 giorni”, dattiloscritta con le caratteristiche tecniche di una macchina da scrivere databile verso il 1930. Attualmente incollato su una carta sottile moderna, è stato probabilmente restaurato verso il 1930, prima dell’apposizione della didascalia dattiloscritta. Sul recto compaiono le cifre WB e in basso a sinistra H; sul verso si vedono stemmi non identificati. Dell’opera non è nota la provenienza, ma non è da escludere fosse in mano ai Piccolomini, perché è noto che i committenti in molti casi conservavano con cura disegni e cartoni preparatori, che costituivano una documentazione importante del lavoro da loro ordinato. L’ipotesi trova un sostegno nel fatto che la nota famiglia senese fino al 1588 era proprietaria d’un disegno di Raffaello, relativo a una scena della Libreria Piccolomini: L’Incontro dell’imperatore Federico III con Eleonora di Portogallo alle porte di Siena. Questo disegno arrivò a Perugia, perché portato in dote da Irene Piccolomini a Tiberio Baldeschi. Alienato dai loro discendenti nella seconda metà del Novecento, dopo vari passaggi è approdato a New York nella Pierpont Morgan Library. Nel caso del disegno della collezione svizzera, trattandosi del ritratto di un antenato di particolare importanza: Francesco Todeschini Piccolomini, secondo papa della famiglia, la probabilità che sia rimasto in mano ai discendenti è elevata. Il volto del pontefice nel disegno, illuminato da una forte luce proveniente dall’alto a sinistra, mostra strettissime somiglianze con quello realizzato a rilievo in stucco sopra la porta della Libreria Piccolomini, nella raffigurazione della sua incoronazione, che secondo gli usi del tempo venne replicata da una messa in scena a Siena, in cui il papa era sostituito da una controfigura. All’eccezionale avvenimento il Pinturicchio è altamente probabile abbia assistito, utilizzandolo poi come fonte iconografica della sua traduzione pittorica.



2.30 Pinturicchio Portrait of Pope Pius III Switzerland, Private Collection

On June 29, 1502, a contract was drawn up in Siena between Cardinal Francesco Todeschini Piccolomini, Archbishop of that Tuscan city, and Pinturicchio. The Umbrian artist was commissioned to fresco a large space in Siena Cathedral, destined to house codices and manuscripts collected by the great humanist Enea Silvio Piccolomini, who was Pope from 1458 to 1464 and the Cardinal’s uncle on his mother’s side. The envisioned themes of the cycle were the major moments in the life of Pius II: Pinturicchio agreed to faithfully translate those episodes chosen by the Piccolomini into figural compositions, with appropriate décor and utilizing the latest artistic innovations, following the insctructions specifically mentioned in the contract. Thus began work on the most important construction site in Central Italy at the time, and Pinturicchio, already an experienced team leader, had to immediately apply himself to this project, beginning with the compartmentalization of the space in which he then created a vault decorated with luxurious grotesques, inspired by models of the Domus Aurea, and walls with an illusionary portico comprised of ten arches, each of which frames a separate scene. In 1503, the unexpected election of Francesco Todeschini Piccolomini as Pope, taking the name Pius III in honor of his uncle, and his equally unforeseen death just days after his coronation, signaled a cessation of work on the fresco cycle. Sometime later work was re-launched by the heirs of Pius III, and the work on the Library finally became operative. The young Raphael, then in his early twenties, is traditionally considered a collaborator on this project, though there is no documentation supporting the claim. Raphael was working in Perugia in this period and in contact with Pinturicchio as evidenced by clear and recognizable elements of the master’s style in his work. This presumed collaboration on what has come to be called the Piccolomini Library is confirmed by designs adopted for some of the scenes which are usually though not universally attributed to Raphael. One school of thought has overvalued Raphael’s participation, assigning to the artist a greater role than he actually played, even declaring that Raphael designed the entire cycle and executed a large number of the frescoes. Stylistic analysis, however, dispels the latter assumption, since no trace of Raphael’s hand is apparent in the painting itself, though some scholars continue to maintain that he was solely responsible for the project’s preparatory phase. Common sense makes this unlikely, considering the older Pinturicchio’s experience, which included major fresco cycles, not the least of which were those in the pontifical residences in the Vatican and in Castel Sant’Angelo. Secondly, further proof is offered by a previously unknown drawing which appeared several years ago in a private Swiss collection and is a preparatory sketch for the portrait of Pius III. The small drawing, realized in a style meticulous and analytical to the point of hyperrealism, clearly proclaims the hand of Pinturicchio, indicating that the master was personally involved in the pictorial activity for the Piccolomini Library from its ideation onwards. According to contemporary working methods still practiced 174

Umbrian artistic heritage worldwide

today, portraits were almost always preceded by a sketch, detailing the sitter’s physiognomy and the clothing in which he would be depicted. Because of the demands on important sitters, it is unthinkable that they would dedicate sufficient time to allow a painter to faithfully execute their portraits in situ. Even today, artists usually meet a sitter only once or twice, necessitating a highly finished sketch the details of which can then be transferred to the final work. Given Pinturicchio’s proven record as a portrait painter, the sketch of Pius III, aside from its artistic value, clearly shows the precarious state of the old pontiff ’s health - confirmed by the fact that he died ten days after his coronation on October 8, 1503. Wearing official clothing and a papal tiara confirms that the drawing was executed in those few days between his election and his death. Given the importance of this personage, it is certain that Pinturicchio would not have assigned such an important task to a student but rather handled it himself. The tiny drawing (214 x 168 mm), unknown and unpublished before 2004, is done in lead pencil and silverpoint with traces of ink on ivory paper lightly tinted a pinkish-yellow. On the front one reads “n. 70” and on the reverse “Ignoto (sec. XVI) Ritratto di Pio III (Piccolomini) eletto 1503 regno 26 giorni” (16th century Portrait of Pius III Piccolomini, elected in 1503 and reigning 26 days, by an unknown 16th century artist). This inscription was written on a typewriter and can be dated to around 1930. Glued on a thin modern piece of paper, the drawing was probably restored around 1930, before the addition of the typed inscription. On the front are found the initials WB and on the lower left the letter H; on the back are unidentified coats-of-arms. The provenance of the work is unknown but we cannot exclude that it might have once belonged to the Piccolomini, since it is known that patrons often carefully conserved preparatory drawings and cartoons which constituted important documentation of the work they commissioned. This hypothesis is given credence by the fact that until 1588 this noted Sienese family owned a drawing by Raphael relevant to the Piccolomini Library: The Encounter of Emperor Frederick III with Eleanor of Portugal at the Gates of Siena. The drawing ended up in Perugia, as a gift from Irene Piccolomini to Tiberio Baldeschi. Removed from Baldeschi descendants in the second half of the 20th century, it eventually found its way to the Pierpont Morgan Library in New York. In the case of the Swiss collection drawing, the identity of the sitter is particularly significant: given the importance of Francesco Todeschini Piccolomini as the second Pope in the family, it is highly probable that the drawing remained in family hands. The pontiff ’s face, illuminated by a strong light coming from the upper left, strongly resembles his image realized in fresco above the door in the Piccolomini Library, where he is shown at his coronation which, according to customs of the period, was re-enacted at a mass in Siena where a stand in represented the Pope. In all probability Pinturicchio attended this event, subsequently utilizing its pageantry in his iconographic repertoire.


Bibliografia/Bibliography Vasari 1550, III, p. 638; II, p. 525; 1568, II, p. 498-99; Scalvanti 1908; Misciattelli 1922; Carli 1960; Scarpellini 1968; Nucciarelli 1996, pp. 25-38; Toracca 1998; Nucciarelli 2004, pp. 229-51; Angelini 2005, pp. 307-85.

Provenienza/Provenance Circuito antiquario Svizzera, Collezione privata

Perugia: Fondazione Guglielmo Giordano, Pinturicchio, Bambin GesÚ delle mani Perugia: Guglielmo Giordano Foundation, Pinturicchio, Baby Jesus of the Hands Š Archivio Fotografico Fondazione Guglielmo Giordano

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2.31 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, detto il Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 San Bartolomeo Princeton (New Jersey), University Art Museum © Provided by Princeton University Art Museum Il destino delle opere d’arte in molti casi è strano e inspiegabile: ad alcune arride una celebrità immeritata, mentre veri capolavori restano in ombra. Il problema è legato ai superficiali interessi della gran massa, pronta a seguire mode e capricci, ma anche al fatto che un giudizio, una volta pronunciato e ripetuto, agli occhi di molti assume la parvenza della verità. È sufficiente che una persona in vista esprima una sua opinione, anche se inconsistente, che questa per la massa diventi indiscutibile. Per citare un esempio paradigmatico, la Gioconda è sicuramente il dipinto più noto di Leonardo da Vinci, mentre ne esistono altri di pari se non superiori qualità formali, come il Ritratto di Ginevra Benci nella National Gallery di Washington, praticamente noto a un pubblico appena un po’ più ampio di quello degli addetti ai lavori. Il Pinturicchio non sfugge a questo destino: fra le sue opere ci sono autentici capolavori, quasi sconosciuti, non solo al gran pubblico, ma trascurati anche dagli studiosi. È il caso del San Bartolomeo - Princeton, University Art Museum segnalato ai primi del Novecento, ma poi assente dalla quasi totalità degli studi sul pittore, compresi i più recenti e approfonditi. La cosa singolare è che non viene preso in esame neanche per contestarne la paternità pinturicchiesca, operazione peraltro impensabile, data l’evidente autografia del Pinturicchio, mentre avrebbe tutte le carte in regola per essere fatto conoscere anche al di fuori del mondo degli storici dell’arte, perché altamente rappresentativo delle grandi capacità del pittore. Il piccolo dipinto (tempera su tavola: 59,6 x 51 cm) quasi certamente deve la scarsissima notorietà anche alla sua storia collezionistica, che comincia solo verso la fine dell’Ottocento, quando, acquistato nel 1872 dal principe don Marc’Antonio Borghese, entra nell’omonima collezione romana. Nel 1891 viene alienato e va all’asta a Parigi, per poi entrare in un’altra collezione privata, quella del barone Éduard Aynard a Lione. Il passaggio successivo è una vendita ulteriore, che lo porta in mano a un collezionista americano, dal quale passa all’istituzione museale che tuttora lo detiene. San Bartolomeo fra gli apostoli è uno dei meno menzionati nelle Sacre Scritture, non di meno il suo culto si diffonde ed è titolare di un numero elevato di chiese già nei primi secoli del Cristianesimo e tuttora. Alla diffusione del suo culto forse contribuirono le vicende romanzesche, a cui andò incontro dopo la morte di Cristo e la divisione degli apostoli. La tradizione parla di viaggi in Armenia e in India, dove sarebbe andato incontro al martirio. Il supplizio, a cui venne condannato, fu particolarmente cruento: fu spellato vivo e infatti la sua configurazione iconografica prevede che abbia un coltello in una mano e qualche volta anche la pelle, che gli pende dall’altra. È quanto accade nella versione di Michelangelo nella Cappella Sistina, in cui la pelle, ridotta a un floscio involucro vuoto, in mano all’inarrivabile, quanto tormentato, genio fiorentino si trasforma in un’occasione per un inquietante autoritratto. In altri casi i dipinti mostrano il martirio in corso e si vedono i carnefici con i 176

Patrimonio artistico umbro nel mondo

coltelli in mano intenti a staccare dal corpo dell’apostolo la pelle, come a San Bartolomeo di Marano, l’insediamento francescano un po’ fuori Foligno, nel dipinto eseguito da Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno, coadiuvato dal figlio Lattanzio. Il sangue e la violenza non hanno corso legale nel mondo incantato del Pinturicchio, dove aleggia un’atmosfera favolosa e principesca, in cui il dramma non è che non esista, ma è completamente superato in una visione composta e idealizzata. Nella tavoletta di Princeton il santo è serenamente intento alla lettura e del martirio resta un’eco debole, ma sufficiente, nel coltello ricurvo, di foggia vagamente orientale, accuratamente descritto, la cui lama rossa è l’unico garbato accenno al sangue del martirio. Il volto dell’apostolo presenta strettissime somiglianze con quelli degli Evangelisti nella predella del Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi della Galleria Nazionale dell’Umbria e già per questa via si deduce una molto probabile datazione fra il 1495 e il 1500. A sorreggere l’ipotesi concorre anche il drappo alle spalle del santo: un tessuto verde alloro, tutto percorso da sottili meandri d’oro a formare spazi cruciformi, in cui sono inseriti rametti stilizzati ancora d’oro. Un particolare interessante è il fatto che il drappo si avvolge leggermente su se stesso, mostrando il rovescio rosso, una soluzione già presente negli Appartamenti Borgia e di grande effetto illusionistico, proprio perché suggerisce la realtà tridimensionale e materica della preziosa stoffa. La soluzione sarà destinata a gran fortuna: riemerge nel Cinquecento inoltrato nell’ultima delle Stanze di Raffaello, ma sarà riproposta innumerevoli volte dalla pittura del Manierismo, fino a consolidarsi nel Barocco. Il fondo modulare alle spalle del santo, in diverse variazioni presente in più di un dipinto pinturicchiesco, merita una riflessione. Il pittore umbro non lo chiama in causa per puri fini decorativi, quanto iconologici: il fondo modulare marca i diversi livelli dell’irrealtà, in particolare contrassegna la dimensione ultraterrena: una soluzione più propriamente pittorica del fondo oro e di maggiore elaborazione intellettuale. Già impiegato negli Appartamenti Borgia, il ricorso ai fondi modulari trova un intelligente utilizzo nel ricordato Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi, poi riemerge nello Stendardino di Sant’Agostino, databile in base a carte d’archivio fra il 1499 e il 1500 e nel San Bartolomeo di Princeton, da ritenere eseguito verso la fine degli anni Novanta del Quattrocento. Il fatto che l’apostolo sia raffigurato isolato e in un quadretto di contenute dimensioni indica che non era previsto per essere esposto in un edificio di culto, ma probabilmente per una destinazione privata. In questa eventualità si affacciano due ipotesi: o san Bartolomeo era il santo eponimo del committente oppure l’incarico al Pinturicchio venne conferito da qualcuno legato alla lavorazione della pelle. Per evidente associazione di idee san Bartolomeo, apostolo e martire, è il patrono di conciatori di pelli, macellai, rilegatori di libri, fabbricanti di guanti e di altre attività, che prevedono l’impiego dei pellami.



2.31 Pinturicchio Saint Bartholomew Princeton (New Jersey), University Art Museum

The destiny of works of art is, in many cases, strange and inexplicable: some achieve fame they don’t deserve while other true masterpieces remain in the shadows. The problem is linked to the superficial and fickle interests of a public ready to change its mind on a whim or with changes in fashion, but also to the fact that a critical judgment, once uttered and oft repeated, takes on the mantle of truth. It is sometimes sufficient that a well-known individual expresses his opinion, albeit inconsistent, to sway the masses towards that point of view. A typical example of this is Leonardo da Vinci’s Mona Lisa, indisputably the artist’s best-known work though others are of equal if not superior quality, like his Portrait of Ginevra Benci in Washington’s National Gallery, a painting virtually unknown to those outside the art history profession. Pinturicchio also failed to escape this fate: among his oeuvre are works of considerable merit which are unknown either to the general public or even to scholars. Such is the case with Saint Bartholomew in Princeton University’s Art Museum, identified in the early 20th century but then completely ignored by Pinturicchio experts, even those responsible for the most recent and most thorough scholarship. What is astonishing is that the painting wasn’t even considered in order to refute its Pinturicchio attribution, an unthinkable oversight considering not only the obvious authenticity of the work but the fact that all of its cards were in order to secure its place outside the field of art history as a prime example of Pinturicchio’s work. This small painting (tempera on panel, 59.6 x 51 cm) also owes its lack of notoriety to its collection history, which is unknown before the late 19th century when it was purchased in 1872 by Prince Marc’Antonio Borghese and entered the Borghese Collection in Rome. In 1891 it appeared in an art auction in Paris and was acquired by a private collector, Baron Éduard Aynard of Lyon. In a subsequent sale the painting passed to an American collector who donated it to the museum at Princeton. Among the Apostles, Saint Bartholomew is one of the least mentioned in the Scriptures, but his cult was widespread and large numbers of churches dating from the early Christian era onwards bear his name. A contributing factor to his popularity might have been the fantastic circumstances surrounding him after the death of Christ and the dispersion of the Apostles. According to tradition, he journeyed to Armenia and India, where he met his martyrdom. The torture to which he was condemned was particularly cruel: he was flayed alive and thus is typically represented with a knife in one hand and sometimes holding his skin in the other. This is the Saint Bartholomew we see in Michelangelo’s version in the Sistine Chapel, where the martyr’s skin is depicted as a soft, empty casing and, in the hands of the incomparable and tormented Florentine genius, transformed into a disturbing self-portrait. In other paintings of the saint, like the one by Niccolò di Liberatore (l’Alunno) and his son 178

Umbrian artistic heritage worldwide

Lattanzio in the church of San Bartolomeo di Marano near Foligno, he is seen running, chased by the butchers intent on removing his skin. Such blood and violence have no part in Pinturicchio’s fabulous and princely pictorial world, and this aspect of the story is completely ignored, replaced by a composed and idealized image. In the Princeton panel the saint is serenely intent on his reading, holding casually in his right hand a curved, vaguely oriental-style knife, the red blade of which is the only reference to his bloody martyrdom. His facial type resembles those of the Evangelists in the predella of the Santa Maria degli Angeli o dei Fossi Polyptych, now in the National Gallery of Umbria, suggesting a probable date between 1495 and 1500. This hypothesis is further supported by the drapery hanging behind the saint: the green silk is decorated with a gold cruciform pattern, each cross further detailed with gold branches, and fabric folds at the edges reveal a red reverse. This solution was previously employed in the Borgia Apartments with great illusionistic effect, as it suggests the three dimensionality of this precious material, and as a technique reemerged in the 16th century in the last of Raphael’s Stanze and again in numerous Mannerist paintings until that style ceded to the Baroque. This textile background is found repeatedly in Pinturicchio’s work, utilized not for decorative reasons but rather for iconological ones: it creates an other-worldly space, more pictorially and intellectually compelling than the gold ground of late medieval painting. First used by Pinturicchio in the Borgia Apartments, the background is found again in the Polyptych of Santa Maria degli Angeli or dei Fossi in the National Gallery of Umbria, in the Standard of Saint Augustine, according to archival documents datable between 1499 and 1500, and in the Princeton Saint Bartholomew, thus confirming a date for the latter of the last years of the 15th century. The fact that the saint is seen isolated and rendered in a small format indicates that the work was in all likelihood intended for private rather than public use. This in turn suggests two possibilities: either it was commissioned by a patron of the same name or by someone tied to the leather industry. It goes without saying that here is a logical connection between the idea of Saint Bartholomew, apostle and martyr, and the various trades that worked with skins: tanners, butchers, bookbinders and glove manufacturers, to name just a few.


Bibliografia/Bibliography Ricci 1902, p. 146; 1903, p. 152; 1912, pp. 221, 340; Gnoli 1923, p. 296; van Marle 1933, XIV, p. 259; Todini 1989, p. 291; Nucciarelli 1996, pp. 25-26; 1998, p. 290; 2008, pp. 126-35.

Provenienza/Provenance Roma, Collezione principe don Marc’Antonio Borghese Lyon, Collection baron Éduard Aynard Princeton (New Jersey), University Art Museum

Orvieto: Cattedrale di Santa Maria Assunta, facciata, il rosone Orvieto: Cathedral of St. Mary of the Assumption, façade, rose window © Archivio Fotografico Italgraf

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2.32 Pompeo di Anselmo e Domenico Alfani Pompeo di Anselmo di Giovanni: Perugia, documentato dal 1489 al 1517 Domenico di Paride Alfani: Perugia, 1480 circa - dopo il 1553 Presentazione al tempio Madrid, Colección particular © Archivio fotografico del proprietario Allo stato attuale delle ricerche, non facili data la completa assenza di qualsiasi studio sul dipinto, la prima segnalazione risale al 1861, quando l’opera è in proprietà dell’Infante di Spagna e Portogallo don Sebastián Gabriel de Borbón y Braganza (1811-1875), figlio dell’Infante don Pedro Carlos de Borbón e di Maria Teresa di Braganza, principessa di Beira, figlia del re di Portogallo, Giovanni VI. La segnalazione è contenuta in un documento di consegna al principe, a seguito dell’acquisto, redatto a Napoli, dove l’Infante risiedette stabilmente dal 1844 al 1859. L’opera ricompare registrata nell’inventario redatto nel 1875 in occasione della morte di don Sebastián Gabriel, e fu stimata 25.000 pesetas, la valutazione più alta di tutta la collezione, che comprendeva quadri di Goya, Rembrandt, Veronese, Rubens, Murillo, Giotto, Andrea del Sarto e altri importanti maestri. Quanto all’autore, il catalogo parla di “Primera manera de Rafael, La Circumcisión n° inv. 1396”. L’attribuzione è sfocata, ma accettabile per il rinvio alla pittura umbra e in particolare perugina fra la fine del Quattrocento e i primissimi anni del Cinquecento. Il quadro, a tempera su tavola: 93,5 x 76 cm, rapporto approssimativo 5:4, uno dei preferiti dai pittori rinascimentali, raffigura una Presentazione al Tempio/Circoncisione. La scena, come di regola nella pittura perugina ai primi del Cinquecento, avviene en plein air con il Bambino posato su di un’ara di gusto antichizzante, sulla cui faccia anteriore è raffigurata, a finto bassorilievo, l’Annunciazione. Ai lati dell’ara, inginocchiati sul prato coperto di piccole pianticelle, si vedono san Giuseppe a sinistra con le braccia incrociate sul petto, a destra la Madonna a mani giunte. Ai lati del sacerdote, in piedi dietro l’altare, che sostiene il bambino appoggiato a un cuscino, ci sono due santi francescani, in piedi anche loro, identificabili con sant’Antonio da Padova e santa Chiara, entrambi con un libro fra le mani. La ferrea e un po’ meccanica simmetria, leggermente incrinata solo dalle due colombe in basso spostate un po’ a sinistra, che rende rigorosamente coassiali il punto di raccordo fra le due montagne in declivio, il sacerdote e il finto bassorilievo, rinvia al composto classicismo del Perugino, modello inevitabile per i giovani pittori a Perugia fra Quattrocento e Cinquecento, compreso Raffaello, che però già nel 1504 nello Sposalizio della Vergine, in origine a Città di Castello, Chiesa di San Francesco, Cappella Albizzini, ora a Milano, Pinacoteca di Brera, riesce a svincolarsene. Al centro dell’ara una sigla di non facile lettura sembra rinviare al classico digramma SM dei Servi di Maria, elemento che contrasta con la presenza dei santi francescani. Una possibile spiegazione è che i santi francescani siano stati ridipinti su figure precedenti, dopo il cambio di destinazione del quadro. L’ipotesi di una ridipintura, a prima vista del tutto gratuita, trova invece un sostegno esterno al dipinto, ma pertinente nel fatto che la Presentazione della collezione spagnola sta in rapporto di strettissima analogia con un altro quadro d’identico soggetto e quasi uguale struttura a Piacenza nella Collezione Gazzola. Il dipinto piacentino, diversamente dal 180

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pendant spagnolo, è stato analizzato e si è visto che i due santi ora visibili, san Francesco e san Giorgio, sono una ridipintura, che occulta due sante, la cui identificazione sarebbe essenziale per approdare alla sede originaria, alla committenza e quindi all’autore. La Presentazione al Tempio a Piacenza nel tempo ha ricevuto due attribuzioni: una della fine degli anni Ottanta l’assegna al cosiddetto ‘Maestro del Tondo di Cortona’; un’altra a Giannicola di Paolo, più antica perché risale agli anni Quaranta. Gli studi più recenti mettono in crisi entrambe. Il catalogo del ‘Maestro del Tondo di Cortona’, sebbene molto ridotto, in realtà accorpa opere diverse, che molto difficilmente possono appartenere tutte alla stessa mano e le perplessità maggiori coinvolgono proprio la Presentazione di Piacenza. A Giannicola di Paolo d’altronde sono state assegnate opere che ad analisi più attente sembrano appartenere ad altri pittori perugini. L’ipotesi che qui si avanza è che sia la Presentazione a Madrid, sia l’omologo dipinto a Piacenza si debbano a Pompeo di Anselmo e Domenico Alfani, la cui collaborazione non è una congettura, in quanto documentata almeno da un dipinto: la Sacra Famiglia con i santi Anna, Gioacchino e Giovanni piccolo (Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria), proveniente dalla chiesa perugina di San Simone al Carmine. Il quadro perugino contiene la scritta ANSELMO E[T] MENCO, ossia [Pompeo di] Anselmo e Domenico [Alfani]; la data è variamente letta come 1520 o 1522. I volti molto caratterizzati del quadro della Galleria a Perugia, sovrapponibili a quelli della Presentazione a Madrid, sorreggono l’ipotesi della paternità dei due dipinti di Piacenza e di Madrid ai due artisti perugini, probabilmente coinvolti in più di una collaborazione. Dato che il percorso di entrambi i quadri è sconosciuto in date anteriori al XIX secolo, è possibile avanzare ipotesi soltanto sulla base dei luoghi di reperimento. Piacenza notoriamente era una delle due città principali del ducato dei Farnese, d’altra parte è noto il massiccio esodo di opere d’arte farnesiane a Napoli. In questa prospettiva non è escluso che i due dipinti, innegabilmente usciti dall’ambiente perugino, il che giustifica la scritta apocrifa con il nome del pittore di Città della Pieve sul dipinto di Piacenza e l’assegnazione alla prima maniera di Raffaello di quello di Napoli, dopo la conquista di Perugia da parte di Pierluigi Farnese abbiano raggiunto l’area di Parma e Piacenza, dove uno è restato, mentre l’altro ha raggiunto Napoli, dove venne acquistato dal principe spagnolo nella cui collezione è segnalato per la prima volta. Dal punto di vista cronologico va osservato che la conquista di Perugia da parte dei Farnese è degli anni Quaranta del Cinquecento, mentre i due dipinti sono più antichi, perché al massimo risalgono agli anni Venti dello stesso secolo. Il quadro, un tempo a Napoli, dall’eredità del principe don Sebastián Gabriel de Borbón y Braganza è pervenuto all’asse ereditario materno dell’attuale proprietario.



2.32 Pompeo di Anselmo and Domenico Alfani Presentation in the Temple Madrid, Private Collection

This painting has received no critical or analytical attention and its whereabouts prior to 1861 is unknown. At that time it is noted as belonging to Prince Sebastian Gabriel de Borbon y Braganza (1811-1875), son of Prince Pedro Carlos de Borbon and his wife Maria Teresa di Braganza, Princess of Beira and daughter of John VI, King of Portugal. The painting is recorded in a document of consignment to the prince following its acquisition in Naples where Sebastian Gabriel resided between 1844 and 1859. It is recorded again in the inventory compiled when the prince died in1875, and was then valued at 25,000 pesetas, making it the highest-valued object in a collection that contained works by Goya, Rembrandt, Veronese, Rubens, Murillo, Giotto, Andrea del Sarto and other important masters. As for its attribution, the catalogue describes the painting as “Primera manera de Rafael, La Circumcision n. inv. 1396” (Early manner of Raphael, The Circumcision. Inv. No. 1396). Though incorrect, the attribution rightly points to the artistic climate in Umbria in general and Perugia in particular at the end of the 15th and early years of the 16th century. The painting, done in tempera on panel and measuring 93.5 x 76 cm, exhibits the proportion 5:4 which was especially favored by Renaissance artists. It represents the Presentation in the Temple or The Circumcision and the scene, as was usually the case in paintings of this subject by early 16th-century artists from Perugia, takes place out of doors with the Child posed on an altar of classical design decorated with the Annunciation in pseudo bas relief. Flanking the altar and kneeling in a field covered in small plants are Saint Joseph on the left with his arms crossed over his breast, and the Madonna on the right with her hands clasped in prayer. Standing behind them and on either side of the altar on which the Christ Child, attended by a priest, lies on a cushion, are two Franciscan saints, identifiable as Saint Anthony of Padua and Saint Clare, both of whom hold books. The rigid and a bit mechanical symmetry of the figural composition, relieved solely by the pair of doves in front of the altar but slightly to the left, results in the mountains, the priest and the pseudo bas relief, being on the same axis. The whole recalls the classical compositions of Perugino, the inevitable role model for young artists working in Perugia at the turn of the 16th century including Raphael, who, however, in his 1504 Marriage of the Virgin, done for the Albizzini Chapel in Città di Castello’s Church of Saint Francis but now in the Brera Pinacoteca, Milan, had already freed himself from the Città della Pieve master’s style. At the center of the altar is an all but illegible monogram which appears to be SM for the Servants of Mary, an element at odds with the presence of Franciscan saints. One possible explanation is that the saints were repainted over earlier figures once the actual destination of the painting was determined. This seemingly fatuous hypothesis is nonetheless supported by external evidence: the Spanish Presentation is virtually 182

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identical in subject and structure to another in the Gazzola Collection in Piacenza. This latter exemplar, unlike the Madrid painting, has been thoroughly analyzed and it was discovered that the two saints visible today, Saint Francis and Saint George, conceal others whose identity might help establish the painting’s original commissioner and therefore its author. The Piacenza Presentation in the Temple was attributed in the 1940’s to Giannicola di Paolo, and in the 1980’s to the ‘Master of the Cortona Tondo’. The body of works given to this unnamed artist, though increasingly diminished, are by a number of hands too different to be the work of one painter. On the other hand, many works formerly given to Giannicola di Paolo have proven to be by other Perugia artists. The hypothesis advanced here is that both the Madrid and the Piacenza Presentations are by Pompeo di Anselmo and Domenico Alfani whose collaboration is documented in at least one work: the Holy Family with Saints Anne, Joachim and the little Saint John now in Perugia’s National Gallery of Umbria but done for the Church of Saint Simon al Carmine. This painting contains the inscription ANSELMO E[T] MENCO, or [Pompeo di] Anselmo and Domenico [Alfani] and the date 1520 or 1522. Comparison of the facial types in this work with those in the two panels in Madrid and Piacenza seems to confirm our hypothesis and suggests these two artists collaborated on a number of occasions. Given that both paintings are undocumented before the 19th century, suppositions about their origins can be made based only on their present whereabouts. Piacenza was one of the major cities of the Farnese Duchy, and the eventual relocation of a considerable part of Farnese holdings to Naples is well known. With this in mind it is not inconceivable that the two paintings, clearly associated with Perugia’s artistic milieu - for the presence of Perugino’s name, probably added later to the Piacenza painting and the attribution to the young Raphael of the Naples painting - were removed to the areas of Parma and Piacenza following the conquest of Perugia by Pierluigi Farnese, where one remained, the other eventually ending up in Naples where it was acquired by the Spanish prince in whose collection it first appears. From a chronological point of view, it should be noted that while the Farnese conquest transpired in the 1540’s, the two paintings must be placed certainly no later than the early 1520’s. The Madrid Presentation, once in Naples and belonging to Prince Sebastian Gabriel de Borbon y Braganza, came into the possession of its current owner via heredity through the maternal branch of the family.


Bibliografia/Bibliography Gnoli 1923, pp. 17- 19, 300-01; Magliani 1988, pp. 808-09; Mancini 1988a, p. 728; Todini 1989, I, pp. 196; II, p. 568, fig. 1320; Arisi 2000, p. 5; Ortenzi 2008a, p. 322.

Provenienza/Provenance Napoli, Collezione principe don Sebasti谩n Gabriel de Borb贸n y Braganza Madrid, Colecci贸n particular

Perugia: Palazzo Alfani Perugia: Palazzo Alfani 漏 Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.33 Raffaello Raffaello di Giovanni Santi: Urbino PU, 1483 - Roma, 1520 Madonna con il Bambino in trono e santi o Pala Colonna New York City (New York), The Metropolitan Museum of Art © 2008. Image copyright The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze Nel catalogo dell’urbinate è l’opera dalle vicende più avventurose. Per numero di passaggi e livello delle personalità coinvolte ciascun frammento della pala d’altare è protagonista d’un percorso che, partendo da un monastero di Perugia, dopo una marcia di quasi tre secoli, termina in quattro diversi musei a Boston, New York e Londra. Forse tra il 1501 e il 1502, le Monache Terziarie Francescane della Beata Angelina da Montegiove dei conti di Marsciano, titolari del Monastero di Sant’Antonio da Padova, commisero a Raffaello il polittico: datarlo non è facile, perché all’assenza di documenti si aggiungono indicazioni stilistiche divergenti, che fanno pensare a un’esecuzione fra il 1501/1502 e il 1505. Questa data, che secondo alcuni studiosi un tempo si leggeva sull’opera, sembra il punto d’arrivo di tre o quattro anni di lavoro: Raffaello avrebbe iniziato l’opera diciannovenne nel 1502, o diciottenne nel 1501, nella fase di stretti contatti con il Pinturicchio, e l’avrebbe conclusa nel 1505, dopo il trasferimento a Firenze, che non interruppe i contatti con i committenti perugini. I tratti pinturicchieschi, come le vesti di Gesù Bambino e del piccolo san Giovanni, certe minuzie decorative e il colore smaltato e squillante, convivono con le monumentali figure dei santi Pietro e Paolo, irriferibili sia al Perugino, sia al Pinturicchio, ma tipiche di fra’ Bartolomeo della Porta, guardato a Firenze da Raffaello con grande attenzione. Nello scomparto centrale la Madonna con il Bambino siede su un trono arricchito da un drappo decorato in oro in rispondenza formale con i meandri oro su blu degli scalini e posa affettuosamente la mano sinistra sulla testa del piccolo san Giovanni. I bambini sono vestiti, diversamente dalle normali soluzioni raffaellesche, forse per una precisa richiesta delle suore, ma anche per l’influsso d’una strategia tipica del Pinturicchio; ai lati del trono, disposti su due piani, quattro santi, in alto santa Caterina d’Alessandria e un’altra santa martire di discussa identificazione, in basso i ricordati apostoli. L’orizzonte piuttosto basso anticipa soluzioni pienamente cinquecentesche. La predella allinea da sinistra a destra, l’Orazione nell’orto, la Salita al Calvario e la Pietà: Raffaello destina ai due spazi piccoli le due scene statiche, mentre quella dinamica, il corteo che accompagna Gesù, occupa uno spazio più che doppio, a sottolineare l’idea del movimento. I due piccoli santi sui basamenti delle colonne, Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, di qualità inferiore suggeriscono l’intervento di aiuti. Nella lunetta l’Eterno benedicente fra cherubini e angeli, i cui nastri svolazzanti sono un tributo che Raffaello paga al gusto tardogotico umbro, nastri presenti anche nella Crocifissione Mond dipinta per un committente di Città di Castello nel 1503, quindi contemporanea alla Pala Colonna. Il polittico era ancora integro nel 1661, ma poco dopo iniziò il processo che nel giro di qualche decennio lo disperse in varie sedi. Nel 1663 fu Cristina di Svezia ad acquistare le tre storiette della predella e i due piccoli santi laterali. Le suore, cariche di debiti, ottennero il permesso dalle autorità ecclesiastiche, a condizione che le cinque tavolette fossero sostituite da copie. Quattordici anni dopo nel 1677 le suore, ancora in difficoltà finanziarie, ottennero un nuovo permesso per vendere la pala centrale e la lunetta, non facendo mai il nome di Raffaello e parlando genericamente d’un quadro antico. L’anno seguente l’opera fu venduta al conte Antonio Bigazzini, 184

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perugino, ma residente a Roma, sempre con l’obbligo di sostituirla con una copia. Bigazzini rivendette l’opera ai principi Colonna, al cui nome è associata per sempre. La presenza della pala nella Collezione Colonna è provata da documenti d’archivio, guide di Roma e un acquerello settecentesco, che raffigura una parete della Galleria, dove il dipinto è riconoscibile. Nel 1798, in piena tempesta napoleonica, gran parte della nobiltà romana fu costretta ad alienare opere d’arte per poter disporre di denaro liquido: è quanto accadde anche alla pala di Raffaelo, che nel 1802 fu comprata da Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Sotto il successore, Francesco I, l’opera, di cui non esiste un atto ufficiale di vendita, era nei suoi appartamenti privati. Quando apparteneva a Ferdinando II, fu oggetto di un’incisione e fu vista dall’ultimo storico dell’arte in grado di leggere la data 1505, poi scomparsa. Francesco II, ultimo re delle due Sicilie e ultimo proprietario della Pala Colonna, la portò con sé a Gaeta. Quando dovette fuggire in Spagna, la Pala Colonna lo seguì sulla stessa nave. Francesco II, privo del trono e in esilio, incaricò Bermudez de Castro, duca di Ripalda, di vendere il capolavoro. Messo in vendita nel 1867, suscitò subito un interesse internazionale. William Boxall, direttore della National Gallery di Londra, ne propose l’acquisto, ma il governo inglese decise di rinviare l’operazione a un momento economicamente più favorevole. Cadute le trattative con la Gran Bretagna, il duca di Ripalda venne a sapere che era interessata all’opera l’imperatrice Eugenia, consorte di Napoleone III, per destinarla al Louvre. La pala, nota anche come Madonna Borbonica o di Napoli, nel 1869 raggiunse Parigi e fu esposta al Louvre in modo da predisporre l’opinione pubblica all’acquisto. Il Raffaello da un milione suscitò grandi entusiasmi e uscirono vari articoli a firma di celebri storici dell’arte, che ne esaltavano l’eccezionale valore: inoltre il paventato acquisto da parte della National Gallery di Londra innescò polemiche nazionalistiche. Lo scoppio della Guerra Franco-Prussiana nel 1870 vanificò ogni possibilità d’acquisto da parte della Francia e nel giugno del 1871 la Pala Colonna fu inviata di nuovo a Londra, dove fu esposta alla National Gallery. L’intenzione era di comprarla, ma qualche tempo dopo il museo londinese mise gli occhi su un altro capolavoro raffaellesco la Madonna Ansidei di fatto acquistata nel 1885. L’anno seguente la Pala Colonna fu trasferita al South Kensington, poi noto come Victoria and Albert Museum. Dopo varie offerte a collezionisti americani, che risposero in maniera negativa, nel 1896 l’opera fu comprata dal celebre antiquario Martin Colnaghi, che provvide subito al restauro. Dopo qualche mese cedette metà della proprietà a un altro celebre conoscitore d’arte, Charles Sedelmeyer, che espose la Pala Colonna nel suo lussuoso negozio parigino e nel 1897 le dedicò una monografia. L’opera suscitò un rinnovato interesse nei protagonisti del gran collezionismo americano: a Philadelphia John G. Johnson, a Boston Isabella Stewart Gardner, finché la comprò J. Pierpont Morgan nel 1901, quando la vide nel negozio di Sedelmeyer, assicurandosi una delle opere fondamentali di Raffaello. Convinto divulgatore della cultura artistica, volle che il dipinto passasse al Metropolitan. Nel 1916 dopo la sua morte, la donazione ebbe luogo a opera del figlio. Nel 1932 una storietta della predella, l’Orazione nell’orto, separata dal 1663 dalla pala principale, la raggiunse al Metropolitan, come a chiudere il cerchio.



2.33 Raphael Madonna and Child Enthroned with Saints or The Colonna Altarpiece New York City (New York), The Metropolitan Museum of Art

For the number of relocations of its various parts and the prestige of those involved, the vicissitudes of the Colonna Altarpiece are among the most convoluted of the Urbino artist’s oeuvre. Beginning in a Perugia monastery and eventually ending up divided among museums in Boston, New York and London, this masterpiece has a story spanning nearly three centuries. Perhaps between 1501 and 1502, the Regular Third Order of Franciscan Nuns of the Blessed Angelina da Montegiove of the counts of Marsciano, resident owners of the Monastery of Saint Anthony of Padua, commissioned the altarpiece from Raphael. The dating is problematic due to the lack of documents and relies on stylistic considerations which suggest a date between 1501/1502 and 1505. This latter date, which some scholars maintain once was visible on the piece, seems to mark the conclusion of three or four years of work: Raphael would have commenced the project in 1501 at age eighteen or 1502 at age nineteen, during the time he was in close contact with Pinturicchio, and finished it in 1505, following his relocation to Florence but while still in touch with his Perugia patrons. Traces of Pinturicchio’s style, seen in the garments of the Christ Child and the little Saint John along with certain decorative nuances and a palette of brilliant enamel colors coexist with the monumental figure-types of Saints Peter and Paul, totally dissimilar to those of Perugino or Pinturicchio but typical of the figural style of Fra Bartolomeo della Porta whose art Raphael closely observed in Florence. In the central panel the Madonna sits on a throne hung with a drapery panel richly decorated in gold and in a design echoed in the gilt meander pattern on the throne’s steps, holding her son on her lap, and with her left hand resting on the head of the kneeling little Saint John. Unlike Raphael’s usual approach to such figures, the children here are dressed, possibly at the request of the nuns, but also reflecting the influence of Pinturicchio; flanking the throne are two pairs of saints, Peter and Paul in the foreground and Catherine of Alexandria and another, whose identity has not yet been determined, behind. The low horizon line foreshadows what would become the prevalent 16th century treatment of space. The predella panels, from left to right, represent The Prayer in the Garden, the Road to Calvary, and the Pietà. Raphael relegated the two static scenes to the smaller panels, and, to emphasize the idea of movement, the more dynamic presentation of Christ and his entourage to the central panel which was more than double the size of the others. At the base of the columns were two additional panels with small figures representing Saints Francis of Assisi and Anthony of Padua, of inferior quality and thus suggesting the work of assistants. In the lunette above the central panel is God the Father between Cherubim and angels; the flowing ribbons, seen as well in the contemporary Mond Crucifixion painted in 1503 for a patron from Città di Castello, are Raphael’s nod to Umbrian late-gothic taste. The polyptych was still intact in 1661, but its fragmentation began soon thereafter and within several decades it was dispersed. In 1663 Christina of Sweden bought the three predella paintings and the small lateral saints. The nuns, deep in debt, had obtained permission from ecclesiastical authorities to sell these objects on condition that the five panels be replaced with copies. Fourteen years later in 1677, the nuns, still in difficult financial straits, were allowed to sell the altarpiece’s central panel, never mentioning Raphael’s name in their request and referring to the work as simply an old painting. The following year the panel 186

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was sold to Count Antonio Bigazzini of Perugia but residing in Rome, again on the condition that he supply a replacement copy. Bigazzini resold the painting to the Colonna princes, whose name has remained associated with the artwork. The altarpiece’s presence in the Colonna Collection is proven by archival documents, guides to Rome and an 18th century watercolor which shows part of the family’s picture gallery where the Raphael is clearly recognizable. In 1798, at the height of the Napoleonic invasion, many of Rome’s aristocracy were forced to divest themselves of works of art in favor of more liquid assets; such was the fate of the Colonna Altarpiece, purchased in 1802 by Ferdinand I, King of the Two Sicilies. Under his successor, Francis I, the work, for which no official bill of sale exists, was recorded in his private apartments. While in the possession of Ferdinand II, an engraving of it was executed and the painting’s date, 1505, was noted by the last art historian to view it before its desappearance. Francis II, last King of the Two Sicilies and last owner of the Colonna Altarpiece, took it with him to Gaeta. When he was forced to flee to Spain, the artwork accompanied him on the same boat. Having lost his throne and in exile, the former king entrusted Bermudez de Castro, Duke of Ripalda, to sell the altarpiece for him, and when put up for sale in 1867 it immediately elicited international interest. William Boxall, director of the National Gallery in London, proposed to buy it but the English government decided to wait until a moment that was more economically favorable. When these negotiations fell through, the Duke of Ripalda learned Napoleon III’s consort, the Empress Eugenie, wanted to acquire the painting for the Louvre. The altarpiece, at that time known as the Bourbon or Naples Madonna, reached Paris in 1869 and was exhibited in the Louvre in order to create favorable public opinion for the purchase. The ‘one million Raphael’ was enthusiastically received and prompted various articles by well-known art historians attesting to its exceptional value: furthermore the interest in the work by London’s National Gallery fomented nationalistic fervor. The outbreak of the Franco-Prussian War in 1870 ended any possibility a French acquisition, and in June of 1871 the altarpiece was shipped to London and put on view in the National Gallery. With every intention of buying it, the National Gallery opted instead to acquire Raphael’s Ansidei Madonna and did so in 1885. The following year the Colonna Altarpiece was transferred to the Kensington Museum, later named the Victoria and Albert Museum. After offers to various American collectors, all of which were rejected, the panel was bought by the noted art dealer Martin Colnaghi, who had it restored. Several months later Colnaghi assigned half ownership of the piece to another art expert, Charles Sedelmeyer, who displayed it in his luxurious Parisian shop and published a monograph on it in 1897. This generated renewed interest in the altarpiece among American collectors, including John G. Johnson in Philadelphia, Isabella Stewart Gardner in Boston, and finally J. Pierpont Morgan who saw it in Sedelmeyer’s shop in 1901 and believed it to be a major work by Raphael. A strong supporter of art’s public accessibility, he wanted the painting to go to the Metropolitan Museum of Art, and following his death in 1916, the donation was effected by his son. In 1932, the predella panel representing the Prayer in the Garden, separated from the central section of the altarpiece since 1663, became the property of the Met, thus closing the circle after nearly two hundred and sixty years.


Bibliografia/Bibliography Sedelmeyer 1897; De Vecchi 1966, pp. 93, nn. 42-45; Mancini 1987, pp. 13-30; Oberhuber 1999, pp. 18-20, ff. 7-8; Plazzotta 2004b, pp. 150-55, ff. 40-42; de Montebello 2006, pp. 2-3; Wolk-Simon 2006; Franzese 2007, pp. 32-33.

Provenienza/Provenance Perugia, Monastero di Sant’Antonio da Padova Roma, Collezione conte Antonio Bigazzini Roma, Collezione principi Colonna Napoli, Palazzo Reale Madrid, Collezione Francesco II delle Due Sicilie London, Martin Colnaghi Collection Paris, Collection Charles Sedelmeyer New York, J. Pierpont Morgan Collection New York, The Metropolitan Museum of Art

Arrone: Chiesa di Santa Maria Assunta, Vincenzo Tamagni e Giovanni da Spoleto, Storie della Vergine Arrone: Church of St. Mary of the Assumption, Vincenzo Tamagni and Giovanni da Spoleto, Stories of the Virgin Š Archivio Fotografico Italgraf

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2.34 Raffaello Raffaello di Giovanni Santi: Urbino PU, 1483 - Roma, 1520 Madonna con il Bambino in gloria, angeli, i santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e il donatore Sigismondo de Comitibus o Madonna di Foligno Città del Vaticano, Pinacoteca © 1990. Foto Scala, Firenze La basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli al Campidoglio è legata a un singolare mito di fondazione: sorge sul luogo in cui la Sibilla Tiburtina avrebbe mostrato all’imperatore Ottaviano Augusto la Madonna con il Bambino. Officiata per secoli dai Benedettini, nel 1250 passò ai Francescani Minori che tuttora la detengono. Il legame dell’Ordine Francescano con l’Umbria esercitò una forte attrazione su molte famiglie di questa provenienza presenti a Roma. La nobiltà umbra vide nella prestigiosa chiesa la sede ideale per le proprie cappelle, non ultimi i folignati de Comitibus o de’ Conti. Verso il 1510 Sigismondo de Comitibus, per rendere grazie dello scampato pericolo in un avvenimento o bellico o meteorologico, avrebbe chiesto a Raffaello un ex voto, forse destinato alla cappella di famiglia o a un altro luogo in Santa Maria in Ara Coeli. È legittima la domanda perché Raffaello abbia accolto l’invito di Sigismondo de’ Conti, quando importanti commissioni lo rendevano l’artista più richiesto del momento. In favore del patrizio folignate può aver giocato il ruolo ricoperto alla corte di vari pontefici, mantenuto e consolidato al tempo di Giulio II, quest’ultimo, se non il primo, di certo fra i principali committenti di Raffaello, nonché la riconosciuta posizione di studioso, già nota al padre del pittore, Giovanni Santi che ne dà esplicita testimonianza nella Cronaca rimata. Nacque così la Madonna con il Bambino in gloria fra angeli, i santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e il donatore, per anni ammirata sull’altare maggiore di Santa Maria in Ara Coeli, come ricordano varie fonti cinquecentesche. Verso la metà del Cinquecento il dipinto fu tolto dall’altare e la famiglia de Comitibus ne poté disporre liberamente. Per eredità il quadro era passato a suor Anna de Comitibus, figlia di Giovanni Francesco, figlio di Sigismondo, il committente di Raffaello, allora badessa del monastero francescano di Sant’Anna a Foligno. Il dipinto mercoledì 23 maggio 1565 lasciò Roma per la città umbra e martedì 24 luglio fu sistemato sull’altare della chiesa monastica, alla quale era destinato a conferire una celebrità inattesa. Nell’occasione suor Anna, per cui il quadro aveva un grande valore affettivo quale ricordo tangibile del padre e del nonno, fiera d’aver dotato il convento d’un tale capolavoro, lo sistemò adeguatamente e fece eseguire una cornice con la seguente scritta: Questa tavola la fece dipingere Missere Gismondo Conti Secretario primo di Giulio Secondo, et è dipinta Per mano di Raphaele de Urbino et Sora Anna Conti Nepote del ditto Messere Gismondo la facta portare Da Roma et facta mettere a questo altare l’anno 1565 A dì 23 de Maggio 188

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D’allora la vita del monastero fu scandita dalle visite di personaggi d’altissimo rango italiani e stranieri: alcuni venuti per ammirare l’opera, altri per comprarla. La tenace resistenza delle suore però riuscì a conservarla, finché nel 1797 durante le campagne napoleoniche, fu requisita dai Francesi, trasferita in Francia ed esposta al grande museo centrale che si andava costituendo in quegli anni, proprio grazie alle prede belliche. Dopo la caduta di Napoleone la Madonna di Foligno ritornò in Italia per essere ricollocata nel Monastero di Sant’Anna, se le Religiose non avessero deciso di venderla al papa. Foligno perdeva un capolavoro inarrivabile, ma la comunità monastica poteva guardare al futuro con serenità e di fatto tuttora esiste e occupa ancora lo storico complesso conventuale. La Madonna di Raffaello, fra i segni forti della Pinacoteca Vaticana, tiene alta davanti a milioni di visitatori la bandiera di Foligno, dell’Umbria e delle loro grandi tradizioni. L’arrivo del dipinto a Foligno era stato un apporto decisivo all’eredità lasciata dal grande urbinate in Umbria: in primo luogo ampliava l’area geografica della presenza di Raffaello, che aveva lavorato soltanto a Città di Castello e Perugia; in secondo luogo introduceva un’opera della maturità dell’artista, mentre i dipinti nelle due città ricordate appartenevano tutti alla fase giovanile, distribuendosi fra il 1499-1500 e il 1507. In altri termini la Madonna di Foligno costituiva l’unica traccia di Raffaello adulto, dopo il decollo romano e il suo ingresso in uno degli ambienti culturali più avanzati del Rinascimento. Il dipinto infatti presenta soluzioni formali sconosciute alla produzione giovanile e anche dal punto di vista tematico è un unicum, in quanto Raffaello per la prima e l’ultima volta aveva accettato di dipingere un ex voto, con il committente in posizione orante. L’iconografia tradizionale poi era stata genialmente rinnovata dall’artista che, nel raffigurare Sigismondo de Comitibus, produsse uno dei ritratti più riusciti di tutto il Cinquecento. Tre aspetti infine meritano di essere sottolineati. Il primo è di carattere storico: quando Raffaello dipingeva nel coro di Santa Maria in Ara Coeli erano ancora visibili gli affreschi di Pietro Cavallini, che raffiguravano il mito di fondazione, per cui il dipinto raffaellesco riveste anche un prezioso valore testimoniale degli affreschi di Cavallini distrutti verso la metà del Cinquecento. Il secondo è di carattere tematico: si tratta della componente astronomica, poi presente in altri dipinti raffaelleschi, ma qui introdotta per la prima volta. Il terzo si dispone al livello stilistico: dopo l’arrivo a Roma di Sebastiano del Piombo nel 1511 Raffaello è fortemente attratto dalla pittura veneta, di cui la Madonna di Foligno, eseguita attorno al 1513 rivela i primissimi, ma decisivi influssi.



2.34 Raphael Madonna and Child in Glory, with Angles, Saints John the Baptist, Francis and Jerome, and the Donor Vatican City Pinacoteca

The Roman basilica of Santa Maria in Ara Coeli at the Campidoglio is significantly located on the site where purportedly the Sibyl Tiburtina revealed the Madonna and Child to the Emperor Octavian. Ruled for centuries by the Benedictines, the church passed in 1250 to the Minor Franciscans who remain its occupants today. The connection between the Franciscan Order and Umbria exercised a powerful influence on families from this region living in Rome, and members of the Umbrian nobility saw in this prestigious church the ideal location for their private chapels, not the least of whom were the de Comitibus or de’Conti family of Foligno. Around 1510, Sigismondo de Comitibus, to give thanks for escaping either military or meteorological dangers, commissioned Raphael to paint an ex voto, possibly destined for the family chapel or another location in Santa Maria in Ara Coeli. We may wonder why Raphael accepted this commission from Sigismondo de Comitibus, when he was one of the most sought-after artists of the moment. Two possible reasons may be found in Sigismondo role as secretary of Julius II, who was perhaps the greatest Raphael’s patron and in the fact that the artist’s father, Giovanni Santi, in his Cronaca rimata, praised Sigismondo very much for his humanistic culture. From this patronage relationship comes the Madonna and Child in Glory among Angels, the Saints John the Baptist, Francis and Jerome and the Donor, admired for years on the high altar of Santa Maria in Ara Coeli, as recorded in various 16th- century documents. Towards the middle of the century, the painting was moved from the high altar and thus returned to the free disposition of the Comitibus. By heredity, the painting passed to Sister Anna de Comitibus, the abbess of the Franciscan Monastery of Sant’Anna in Foligno. She was the daughter of Giovanni Francesco and grand-daughter of Sigismondo. On Wednesday, May 23, 1565, the painting left Rome for the Umbrian city and on Tuesday, July 24, was installed on the altar of the monastic church, where it was destined to have an unexpected celebrity. On this occasion, Sister Anna, for whom the painting had great personal significance in that it was a tangible souvenir of her father and grandfather, was proud to have this masterpiece donated to the convent and had it adorned with a special frame thus inscribed: This painting was commissioned by Lord Gismondo Conti, First Secretary to Julius II, and is painted by the hand of Raphael of Urbino. Sister Anna Conti, niece of Lord Gismondo, had it brought from Rome and installed on this altar on the 23rd of May 1565 From then on the monastery was visited regularly by important, high 190

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ranking Italians and foreigners, some who came to admire this painting, others who came to try to buy it. The tenacious resistance of the Sisters, however, kept the painting in place until 1797 when, during the Napoleonic campaign, it was requisitioned by the French, transferred to France and exhibited in the large central museum created in those years for just such spoils of war. After the fall of Napoleon, the Madonna of Foligno was returned to Italy where it would have been reinstalled at the Sant’Anna Monastery had the Sisters not decided to sell it to the Pope. Thus, Foligno irretrievably lost a masterpiece, though the monastic community could look to the future with a serenity which exists to the present day in this historic monastic complex. Raphael’s Madonna, among the major holdings of the Vatican Pinacoteca, proudly waves the banner of Foligno and Umbria and their grand traditions over the museum’s millions of visitors. The painting’s arrival in Foligno marked a decisive contribution to the artistic legacy of the great Urbino master in Umbria: first of all, it informed the region about this gifted artist, who had only worked previously in Città di Castello and Perugia; secondly, it introduced a mature work by Raphael, whereas the paintings executed between 1499-1500 and 1507 in these other two cities belonged to his youthful oeuvre. In other words, the Madonna of Foligno constitutes a unique example of the adult Raphael, after his Roman launch and his move into the apex of Renaissance culture. In fact, this painting presents formal solutions unknown in Raphael’s earlier work, and is thematically unique in that here the artist painted an ex voto with the donor in a worshiping pose. The more traditional iconography of such works was brilliantly renovated by Raphael, who, in his portrayal of Sigismondo de Comitibus, produced one of the most successful portraits of the 16th century. Three aspects of this work need to be underscored: first is the historic aspect of the work - when Raphael was painting in the choir of Santa Maria in Ara Coeli the frescoes of Pietro Cavallini were still visible - frescoes that represented the myth of the church’s foundation, for which Raphael’s painting comprises an important artistic reference, as Cavallini’s work was destroyed around the middle of the 16th century; second is the thematic character, with its astronomic component present in other works by the artist, but introduced here for the first time; and third, the stylistic level - after Sebastiano del Piombo arrived in Rome in 1511, Raphael was strongly influenced by Venetian painting, decisively revealed for the first time around 1513 in the Madonna of Foligno.


Bibliografia/Bibliography Faloci Pulignani 1890, pp. 150-60; Strzygowski 1898; Kritzinger 1912, pp. 420-25; Maarschalkweerd 1958, pp. 89-90; Redig de Campos 1961, pp. 184-97; Botley 1970a, pp. 304-05; 1970b, pp. 468-69; von Einem 1977, pp. 131-42; Tomei 1982, pp. 83-86; Verdier 1982, pp. 85-119; Jones e Penny 1983; Lindemann 1983, pp. 307-12; Pietrangeli 1983a, pp. 341-68; 1983b, pp. 3-5; Schumacher-Wolfgarten 1983, pp. 15-23; Spalletti 1984, pp. 173-74; Ames-Lewis 1986; Gardner von Teuffel 1987, pp. 1-45; Schröter 1987, pp. 47-87; Rossi Manaresi 1990, pp. 177-203; Faloci Pulignani 1991, pp. 160-61; Migliorati 1994, pp. 48889; De Strobel e Serlupi Crescenzi 1996, pp. 242-43; Petrillo 1997, p. 54, f. 27, p. 93; Stefaniak 2000a, pp. 65-98; 2000b, pp. 169-95; Cruciani 2001; Galassi 2004, p. 28; Zappia 2004, p. 517; Vicenzi 2005; Faloci Pulignani 2006, pp. 137-55; Migliorati 2006, pp. 137-39; Nucciarelli e Severini 2007.

Provenienza/Provenance Roma, Basilica di Santa Maria in Ara Coeli Foligno, Monastero di Sant’Anna o delle Contesse Paris, Musée Central des Arts/Musée Napoléon Città del Vaticano, Pinacoteca

Foligno: Monastero di Sant’Anna o delle Contesse, Chiostro Rinascimentale, Feliciano dei Muti, Storie della Vergine Foligno: Monastery of St. Anne or delle Contesse, Renaissance Cloister, Feliciano dei Muti, Stories of the Virgin © Archivio Fotografico Italgraf

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2.35 Raffaello Raffaello di Giovanni Santi: Urbino PU, 1483 - Roma, 1520 Madonna del libro o Madonna Conestabile Sankt-Peterburg, Ermitaž © 1990. Foto Scala, Firenze Dell’inarrivabile capolavoro non si hanno menzioni contemporanee a Raffaello e la motivazione è chiara; trattandosi del dipinto raffaellesco di minori dimensioni e di sicura destinazione privata, non fu mai esposto al pubblico e fu quindi sottratto alla vista di appassionati e studiosi fino alla seconda metà del secolo XIX. Non di meno la preziosa opera, quasi una miniatura incorniciata in una lussuosa cornice mistilinea blu e oro, a partire dal secolo XVII compare in vari documenti della famiglia perugina Alfani, con altissima probabilità primi proprietari dell’opera che, per via di eredità, adozioni, matrimoni, passò agli Alfani della Staffa e infine ai Conestabile della Staffa. Questi ultimi, al cui primo cognome ormai la Madonna con il Bambino è universalmente associata, la tenevano nel loro palazzo perugino di fronte alla cattedrale all’interno di una ricca collezione di opere d’arte, poi dispersa, ma della quale fu redatto un catalogo a stampa, pubblicato nel 1872. Fu il conte Scipione Conestabile della Staffa, diventato proprietario unico del prezioso dipinto, ad affidare l’incarico della vendita al fratello Giancarlo, in forza delle grandi relazioni internazionali e della consolidata fama di studioso di quest’ultimo. Giancarlo Conestabile, dopo contatti con vari musei europei, riuscì ad aprire una trattativa con un inviato di Marija Fëdorovna, moglie dello zar Alessandro II, che nell’aprile del 1871 si concluse con l’acquisto dell’opera da parte della sovrana russa per una cifra favolosa. Il prezzo, rapportato alle piccole dimensioni, diede al dipinto un triste primato: il quadro più costoso del mondo. Giancarlo Conestabile, prima di accedere alla via dell’Estero, si era adoperato in ogni modo perché la Madonna del libro restasse a Perugia o almeno in Italia. Le non facili condizioni della municipalità perugina e dell’appena costituito Regno d’Italia, però non consentirono il reperimento della cifra necessaria all’acquisto e l’opera passò in Russia, dove fu immediatamente restaurata e trasferita dal supporto originario, la tavola lignea, alla tela. Generalmente si ritiene che la piccola Madonna leggente con il Bambino in un paesaggio, sia stata dipinta verso il 1504, ossia nel periodo in cui Raffaello si muoveva fra Perugia e Firenze e, pur avendo vari committenti nella città toscana, continuava a soddisfare anche le richieste dei committenti perugini. Con rinnovata freschezza il dipinto riprende un tema caro alla pittura umbra: la Madonna o il Piccolo Gesù immersi nella lettura. L’aspetto più innovativo però è offerto dal paesaggio, individuato nella stagione e nell’ora: una fredda alba invernale con la natura non ancora richiamata a nuova vita dalla primavera, accuratamente descritto negli edifici sparsi nella campagna e nelle piccole figure che animano lo sfondo. Quest’ultimo presenta montagne alte e innevate, che non ricordano né Perugia, né Firenze, ma Urbino e l’Alto Montefeltro, guardati dall’artista fra i venti e i ventuno anni in terre lontane con una vena di nostalgia. La datazione, possibile solo per via stilistica, si fonda anche sulle analogie con altri dipinti di piccolo formato, sempre destinati a privati, tipici degli anni 192

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1503-1504, in cui Raffaello, nello spazio ridotto d’una miniatura, riesce incredibilmente a immettere mondi sconfinati. La celebrità della Madonna Conestabile è ampiamente provata dalle numerose stampe e incisioni che ne vennero tratte. Quanto alle copie, varie fonti ottocentesche ne segnalano diverse in mano a famiglie perugine, di cui alcune sono tuttora visibili a Perugia e negli immediati dintorni. Accanto a queste copie usuali per la mentalità del tempo, ne vanno ricordate due di valore particolare. Una a firma di Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato, artista fortemente attratto dai modelli raffaelleschi, poco tempo fa è stata messa in vendita da una nota casa d’aste. Un’altra su pergamena, completa di un lussuoso astuccio con lo stemma di Leone XIII, prima di essere papa per lunghi anni vescovo di Perugia, è di difficilissima valutazione: potrebbe trattarsi di una copia antica, eseguita a breve distanza dall’originale o di un lavoro ottocentesco, eseguito per il cardinale Gioacchino Pecci in occasione dell’elezione al soglio pontificio dalla città di cui per anni aveva amministrato la diocesi. Cosa possibile, perché è noto che a Perugia l’arte della miniatura ancora alla fine del secolo XIX vantava maestranze di capacità eccezionali, come dimostrano le matricole miniate della Società Operaia di Mutuo Soccorso. La volontà di riprodurre il piccolo capolavoro però non si è interrotta con la vendita dell’originale, ma è rimasta intatta fino ai nostri giorni, almeno a Perugia, dove il quadretto fu ammirato per secoli. La prova è l’eccellente copia eseguita per il conte Gianfranco Conestabile della Staffa, discendente degli antichi proprietari, nel 2006, condotta da Carla Mancini sul fotocolor fornito dall’Ermitaž per la superficie pittorica, per la cornice sui calchi tuttora a Perugia nella bottega artigiana in mano ai Mancini da generazioni.



2.35 Raphael Madonna of the Book or The Conestabile Madonna Saint Petersburg, Hermitage

Because of its small size and its creation for private use, this painting was not mentioned among Raphael’s acknowledged masterpieces in his own day. In fact, it was never on public view and thus escaped critical attention until the second half of the 19th century. Nonetheless at the beginning of the 17th century this precious, quasi miniature with its luxurious gilt and blue frame appears in various documents pertaining to Perugia’s Alfani family, in all probability the original owners of the work. Through heredity, donations and marriages it passed to the Alfani della Staffa family and finally to the Conestabile della Staffa. The Conestabile, whose name is universally associated with the painting, kept it in their palace across from the Perugia Cathedral, together with a rich collection of artworks since dispersed but for which a catalogue was published in 1872. It was Count Scipione Conestabile della Staffa, then owner of the painting, who assigned the responsibility for its sale to his brother, Giancarlo, due to his international connections and renown among contemporary scholars. Giancarlo Conestabile, after making contact with various European museums, succeeded in opening negotiations with an agent of Maria Federovna, wife of Tsar Alexander II of Russia, and in April of 1871 the painting was purchased by the Russian sovereign for an enormous sum. The price, considering the painting’s small dimensions, gave it a dubious honor: the most expensive painting in the world. Before finalizing this sale, Giancarlo Conestabile made every effort to keep the work of art in Perugia or at least in Italy, but the uneasy conditions in Perugia, and in the newly constituted Kingdom of Italy, made it impossible to compete with the Russian offer and the painting went to Saint Petersburg where it was immediately restored and transferred from its original wood panel support to canvas. It is generally held that the small Reading Madonna and Child in a Landscape was painted around 1504, in other words the period in which Raphael was working between Perugia and Florence, and when, despite various commissions in the Tuscan capital, he continued to satisfy demands of patrons in Perugia. With renewed freshness, the Umbrian artist approached again a theme dear to his heart: the Madonna or Christ Child engaged in the act of reading. However, what is innovative about this painting is the landscape, where both the season and time of day may be discerned: we see a cold winter’s dawn, the vegetation showing no sign of Spring’s new life, with the bleakness of the setting reinforced by the sparse buildings and figures that populate the background. In the distance are high, snow-covered mountains which recall neither Perugia nor Florence, but Urbino and the upper Montefeltro, remembered with nostalgia by the artist in his early twenties working far from home. The dating of this painting, bases on stylistic analysis, is supported by comparison with other works of similarly small dimensions and likewise destined for private use, typical of Raphael’s 194

Umbrian artistic heritage worldwide

production in 1503-1504 in which the artist succeeded in rendering the impression of limitless space in an extremely small format. The fame of the Conestabile Madonna is amply proven by the innumerable prints and engravings that were made of it. As for copies, various 19th century sources reveal a number of these in the hands of families in Perugia where some may still be found today. Among these, two deserve special mention: one signed by Giovanni Battista Salvi, known as il Sassoferrato, an artist strongly influenced by Raphael, was sold recently by a renowned auction house; another on parchment, complete with a luxurious case bearing the coat-of-arms of Leo XIII, bishop of Perugia before becoming Pope, is difficult to evaluate. It might be a period copy or else a work of the 19th century, executed for Cardinal Gioacchino Pecci on the occasion of his election as Pope and commissioned by the city whose diocese he administered for years. The latter explanation is possible, since it is known that in late 19th century Perugia the art of the miniature was widely practiced, as evidenced by the enrollment records of the Societa Operaia di Mutuo Soccorso. The interest in reproducing this small masterpiece did not end with its sale, and remained intact down to the present day, at least in Perugia where the painting was admired for centuries. Proof of this is the excellent copy made in 2006 for Count Gianfranco Conestabile della Staffa, descendant of the work’s previous owners, by Carla Mancini, based on color photos of the pictorial surface supplied by the Hermitage and plaster casts of the frame that can be found in the Mancini artisan workshop which has been in Perugia for generations.


Bibliografia/Bibliography Orsini 1784, p. 259; Siepi 1822, pp. 395-96; Quatremère de Quincy 1829, pp. 11, nota *; Passavant 1860, I, p. 57; II, pp. 15-16, n° 12; Conestabile della Staffa 1871; Rembadi 1873, pp. 3-4; Gherardi 1874, pp. 20-21; Müntz 1881, pp. 62-63; Cavalcaselle e Crowe 1884, I, pp. 171-75; Minghetti 1885, pp. 49-50; Müntz 1886, pp. 85, 88-89: Passavant 1889, I, pp. 54-55; II, pp. 18-20, n° 12; Knackfuss 1898, pp. 6-8; Carotti 1905, p. 340; Cartwright 1907, pp. 71-75; Strachey 1907, pp. 7, 136, 139; Ricci S. 1915, pp. 42-44, 51, 53-54; Venturi 1920, pp. 100-02; Gronau 1922, pp. 219, 253; Venturi 1926, IX, parte II, pp. 8990, f. 16; Lattanzi 1929, p. 40; Gamba 1932, pp. 32-33; Bertini Calosso 1935, pp. 132-33; Ojetti 1935, p. 22; Serra 1941, pp. 30-31; Ortolani 1945, p. 17; Fischel 1948, p. 45; Gamba 1949, p. XLVII; Carli 1951, p. 8, f. 15; Camesasca 1952, p. 38, f. 31; Longhi 1955, p. 22; Castelfranco 1962, p. 15; Fischel 1962, pp. 32, 39, 173; De Vecchi 1966, p. 91, n. 32; Ranieri 1969, pp. 192-96; Longhi 1973a, pp. 703-08; De Vecchi 1981, pp. 20, 240, n° 15, f. XIX; Beck 1982, p. 19, f. 14; Oberhuber 1982, pp. 28, 38, 187, n° 28; Carli 1983, p. 23; Knab 1983, pp. 67-70; Pazzagli 1983, p. 105: Pope-Hennessy 1983, pp. 105-06; Ullmann 1983, p. 21; Gualazzi 1984, p. 103; Mancini 1987, pp. 46-47; Cordellier e Py 1992, pp. 37-38; Kustodieva 1994, pp. 202-04; Nucciarelli e Severini 1999; Oberhuber 1999, p. 32, f. 26; Pantò 1999, pp. 189-253; Meyer zur Capellen 2001, pp. 141-44, n° 10; Henry 2004a, pp. 132-33, n° 32; Cartwright s.d, pp. 38-40; Gillet s.d., p. 26.

Provenienza/Provenance Perugia, Collezione Alfani Perugia, Collezione Alfani della Staffa Perugia, Collezione conte Scipione Conestabile della Staffa Sankt-Peterburg, Ermitaž

Perugia: Palazzo Conestabile della Staffa Perugia: Palazzo Conestabile della Staffa © Archivio Fotografico Regione Umbria

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2.36 Raffaello Raffaello di Giovanni Santi: Urbino PU, 1483 - Roma, 1520 Veduta di Porta Sant’Angelo a Perugia con san Gerolamo penitente Oxford, Ashmolean Museum © Ashmolean Museum, University of Oxford A testimoniare la presenza di Raffaello a Perugia, peraltro indiscutibile, anche in assenza di documenti sarebbe sufficiente un disegno conservato a Oxford, che mostra il giovane artista attento osservatore della città. Dal punto di vista iconografico è un unicum nel ricchissimo corredo grafico lasciato dall’urbinate in musei e collezioni di mezzo mondo. Raffigura san Gerolamo penitente, seminudo con un mantello gettato sulla spalla sinistra, che regge nella destra un sasso con cui si percuote il petto. Di regola l’anziano dottore della Chiesa, magro ed emaciato, è presentato sullo sfondo di un deserto, che nella pittura italiana cede quasi sempre il passo a una campagna verdeggiante. L’originalità del disegno del museo inglese consiste nello sfondo, né un deserto, né un paesaggio rigoglioso, ma la veduta del Rione di Porta Sant’Angelo, osservato dall’alto di Porta Sole. Il borgo, tuttora forse la parte meno alterata del centro storico perugino, malgrado differenze dall’aspetto attuale inevitabili dopo quattro secoli, è perfettamente riconoscibile per l’impianto urbanistico sostanzialmente immutato e i segni forti che lo connotano. In basso, visto di spalle, c’è l’Arco Etrusco, certamente il più antico e forse il più imponente monumento perugino, che non poteva lasciare indifferente il giovane pittore; salendo sulla destra, vista di fianco, si nota la gran Chiesa di Sant’Agostino, con il campanile poligonale e l’abside a strapiombo sul dirupo, oggi come allora il maggiore edificio religioso del borgo, poi sempre salendo è perfettamente leggibile la spina del borgo, intatta malgrado i rifacimenti degli edifici, costituita dall’asse principale, ora Corso Garibaldi, ma un tempo la Lungara a sottolinearne l’eccezionale estensione rispetto ai vicoli e le piazzette, che vi si affacciano; in alto alla fine dell’abitato altri due segni forti. A sinistra la Torre del Cassero, a difesa e coronamento delle mura trecentesche, a destra la copertura conica della Chiesa di San Michele Arcangelo, per i Perugini il Tempio, con alta probabilità la più antica chiesa della città, databile fra V e VII secolo, costruita con materiali archeologici di spoglio. Sono evidenti grandi spazi privi di costruzioni, perché le mura chiudevano un’area molto maggiore di quella edificata. Questo tessuto urbano del borgo, più rado rispetto alle aree del vero centro storico, favorì già ai tempi di Raffaello e nei secoli successivi l’insediamento di comunità monastiche, che vi trovavano le aree necessarie ai loro ampi complessi edilizi e finirono con l’imprimere al Borgo di Porta Sant’Angelo la fisionomia con cui è entrato nel secolo XXI, di cui l’architettura religiosa è la componente maggioritaria. In basso a destra, adiacente la Chiesa di Sant’Agostino, il gran convento agostiniano con due chiostri, ora utilizzato dal Ministero della Difesa, salendo a sinistra in un vicolo, che si apre in una piazzetta panoramica, San Benedetto dei Condotti, ora della Regione Umbria, con gli uffici per il Diritto allo Studio, più in alto a destra il Monastero di Santa Caterina d’Alessandria in mano alle Suore Benedettine, immediatamente dopo quello della Beata Colomba da Rieti delle Monache Domenicane, a sinistra nell’antico palazzo dei Conti di Marsciano le Suore Stimatine e subito dopo, defilato rispetto alla strada principale e nascosto fra le case, il Monastero di Sant’Agnese, tuttora abitato dalle Clarisse, per le quali il Perugino ai primi del Cinquecento affrescò una Madonna delle grazie, miracolosamente 196

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salva nel luogo esatto dove la dipinse il Divin Pittore. Raffaello doveva conoscere bene Porta Sant’Angelo, non foss’altro perché, quando le Suore Terziarie Francescane della Beata Angelina da Montegiove, che officiavano il Monastero di Sant’Antonio da Padova, ora Casa della Studentessa dell’Università di Perugia, gli ordinarono il polittico, in seguito noto come Pala Colonna, la cui parte centrale è al Metropolitan Museum di New York, sarà sicuramente andato a osservare la chiesa monastica alla quale l’opera era destinata per controllare luci e volumi, secondo prassi normali nelle botteghe del Rinascimento. Raffaello frequentava anche Porta Sole, perché nel Convento di San Severo produsse un affresco, che nel tempo avrebbe acquisito un’importanza eccezionale. Dopo vendite, ruberie, spoliazioni e dispersioni è la sola opera superstite a Perugia della ricca eredità raffaellesca letteralmente polverizzata. Il percorso della Veduta di Porta Sant’Angelo in gran parte può essere ricostruito. Non trattandosi di un disegno finito da presentare a un committente o da donare, con alta probabilità restò in mano a Raffaello, per passare a Timoteo Viti, il pittore concittadino, che scomparso tre anni dopo di lui, raccolse un numero consistente di disegni del collega più giovane e famoso. Da Timoteo Viti i disegni passarono agli Antaldi, la nobile famiglia marchigiana le cui collezioni conobbero purtroppo tre grandi dispersioni, nel Cinquecento, nel 1714 quando le opere d’arte finirono a Stoccolma e nel 1828, quando un rappresentante della famiglia andò in rovina, anche per il sostegno economico dato a Carolina di Brunswick, ex regina di Gran Bretagna, in quanto moglie divorziata di Giorgio IV. Se la Collezione Viti-Antaldi conserva tuttora qualche disegno di Raffaello e di altri importanti artisti, molto andò perduto nella vendita londinese. Così la Veduta, una volta in Inghilterra, prima fu proprietà di sir Thomas Lawrence, poi di Samuel Woodburn. Arrivò all’Ashmolean Museum nel 1846 a seguito d’una campagna di acquisti promossa da Henry Wellesley, uno dei maggiorenti dell’istituzione. Tutti questi passaggi avvennero quando la paternità di Raffaello non era ancora conosciuta, cosa che avvenne solo nel 1956. In precedenza il disegno era riferito all’ambito del Perugino. Ora l’autografia raffaellesca è universalmente ammessa e il disegno è stato oggetto di studi approfonditi, motivati dalla grande originalità. Si tratta infatti di una serie di studi giustapposti sull’una e sull’altra faccia del foglio, mai approdati a un dipinto, o quanto meno non riferibili a un dipinto noto. Non di meno sul rovescio un accenno di paesaggio è in relazione con quello dello sfondo della Pala Colonna, la cui data è discussa, ma comunque non posteriore al 1505, per cui il disegno che la precede dovrebbe risalire al 1503-1504. L’opera a Oxford (24,4 x 20,3 cm) è eseguita a penna e inchiostro ferrogallico su carta bianca, ma sono presenti tracce di stilo e gessetto nero. Sul rovescio c’è anche una Madonna del latte, tema assente dal catalogo raffaellesco e il san Gerolamo sul dritto è ritratto con cura solo limitatamente al volto e all’espressione, mentre il vero centro d’interesse per l’autore è il Rione di Porta Sant’Angelo, colto con bravura nei tratti essenziali, ma come accade in ogni opera d’arte, accompagnati da elementi di fantasia.



2.36 Raphael View of the Porta Sant’Angelo District in Perugia with the Penitent Saint Jerome Oxford, Ashmolean Museum

Despite the lack of supporting documents, the young Raphael’s presence in Perugia is confirmed by details in one of his drawings now conserved in the Ashmolean Museum, Oxford. Among the Urbino artist’s wealth of graphic work found in museums and collections around the world, this one from an iconographic point of view is unique. It shows the penitent Saint Jerome, seminude and with a mantle thrown over his left shoulder, beating his chest with a rock. The ancient Doctor of the Church, thin and emaciated, is typically depicted in a desert setting which, in Italian painting, generally cedes to a green countryside in the background. The Oxford drawing is original in that the saint appears neither in a desert nor in a verdant landscape but before a view of the Porta Sant’Angelo district in Perugia as seen from above Porta Sole. Possibly the least altered among neighborhoods in Perugia’s historic center, allowing of course for inevitable changes over the course of four centuries, the urban design of the district and some of its characteristic structures are perfectly recognizable in Raphael’s drawing. In the lower section, seen from behind, is the Etruscan Arch, certainly the oldest and perhaps the most important monument in Perugia and one which must have impressed the young artist; rising on the right is the large Church of Saint Augustine, seen from the side with its polygonal bell tower and apse just over the precipice, then and now the district’s principal ecclesiastical building; still higher on the right and perfectly recognizable, despite later architectural interventions, we see the spine of the district, the principal street today known as Corso Garibaldi but once called the Lungara due to its exceptional length in contrast to the numerous small streets and squares in the area. At the top of the inhabited area are two more Perugia landmarks: to the left is the Cassero Tower, defending and crowning the 14th century city wall; on the right is the conical roof of the Church of the Archangel Michael, a veritable temple for the people of Perugia and probably the city’s oldest church, datable between the 5th and 7th centuries A.D. and built with reclaimed archeological materials. The city walls also enclosed areas devoid of construction, and such spaces are also visible here. This particular urban configuration, with its rare inclusion of land outside the historic center which already in the time of Raphael and later easily accommodated monastic communities that required extensive space to house, supply and maintain their inhabitants. Thus, the Porta Sant’Angelo district became and remains today characterized by its preponderance of religious structures. In the lower right of the drawing, next to the Church of Saint Augustine, is the large Augustinian convent with its two cloisters, now utilized by the Ministry of Defense; rising on the left is a small street opening into a panoramic square housing the church of Saint Benedict dei Condotti (of the Water Pipes), today utilized by the Region of Umbria with offices for the Defense of Student Rights; higher up is the Monastery of Saint Catherine of Alexandria operated by Benedictine nuns, and beyond that the Dominican Monastery of the Blessed Colomba da Rieti; to the left the old palace of the Marsciano Counts now belonging to the Stimatine Sisters, beyond which, hidden among the houses and off the main street is the Monastery of Saint 198

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Agnes, still inhabited by Poor Clares for whom Perugino painted a Madonna delle Grazie fresco in the early 16th century, a painting which miraculously can still be found where it was executed by the ‘Divine Painter.’ Raphael must have known the Porta San’Angelo district well. When he was commissioned by the Regular Third Order of Franciscan Sisters of the Blessed Angelina da Montegiove, overseers of the Monastery of Saint Anthony of Padua, today home to the Living Center for Female Students at the University of Perugia, to produce a polyptych that became known as the Colonna Altarpiece, the central section of which is now in the Metropolitan Museum of Art, New York, he would certainly have visited the proposed site for the commission in order to observe its space and light, common practice for Renaissance workshops. He was also familiar with the Porta Sole area, where he produced a fresco for the San Severo Convent that would become extremely important in time. Among the numerous works of art that Perugia lost due to sales, thefts and appropriations, this is the only one that survived the pulverization of Perugia’s rich Raphaelesque heritage. The history of the View of Porta sant’Angelo drawing is largely known. Not a finished design of the type an artist would have executed and presented to a patron, this remained in Raphael’s hands and was perhaps passed to Urbino painter Timoteo Viti who collected a significant number of drawings by his younger and more famous colleague and survived him by three years. From Viti the drawings were inherited by the Antaldi, a noble family from the Marches whose collections unfortunately suffered three major dispersions: the first in the 16th century, the second in 1714 when more of their collection ended up in Stockholm, and the third in 1828 when the family went bankrupt, in part due to their support of Caroline of Brunswick, former queen of England and divorced wife of George IV. Though the Antaldi might still own some of Raphael’s drawings along with those of other important artists, most were sold in London. Thus the View, once in England, became the property first of Sir Thomas Lawrence and later Samuel Woodburn. Thanks to an acquisition campaign waged by Henry Wellesley, one of the Ashmolean Museum’s directors, it was acquired by that institution in 1846. The paternity of Raphael was not known during all those years, and until 1956 the drawing was considered to come from the Circle of Perugino. Today the work is universally accepted as a Raphael and its great originality has prompted extensive research. In fact, on both sides of the sheet are studies by the artist that were never translated into paintings. Nevertheless, on the reverse is a hint of landscape that relates to the background in the Colonna Altarpiece whose date, though undetermined, is certainly no later than 1505, suggesting 1503-1504 as the timeframe for the View. Also on the reverse is a Nursing Madonna, a theme absent in Raphael’s oeuvre. The Oxford drawing (24.4 x 20.3 cm) is executed in pen and ‘ferrogallico’ ink on white paper, with traces of pencil and black chalk. While Saint Jerome is portrayed with care, particularly his physiognomy and expression, the real focus of the image is the Porta Sant’Angelo district, where the artist mixes keen observation with purely imaginative elements.


Bibliografia/Bibliography Sedelmeyer 1897; Mancini 1987, pp. 13-29; Arcangeli 1988d, pp. 86465; Whistler 1990, p. 12; White, Whistler e Harrison 1991, p. XV; Henry e Plazzotta 2004, p. 33; Plazzotta 2004a, pp. 150-57; Wolk-Simon 2006; Cecchini 2007; Franzese 2007, p. 15.

Provenienza/Provenance Urbino, Collezione Viti-Antaldi London, Sir Thomas Lawrence Collection London, Samuel Woodburn Collection Oxford, Ashmolean Museum

Perugia: Chiesa di San Michele Arcangelo Perugia: Church of St. Michael Archangel Š Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.37 Rambaldi Ugo Rambaldi: Spoleto PG, 1910 - Roma, 1985 Senso terroso Buenos Aires, Colección Maria Elvira Iglesia © Archivio fotografico Franco Ivan Nucciarelli

Per ognuno di noi il luogo di nascita può essere casuale; determinanti invece sono i suoi effetti sulla formazione della personalità. Spoleto, grande in età romana, grandissima in età longobarda, in pittura nei secoli ha ospitato personaggi di livello stratosferico. È significativo osservare che, senza uscire dalla cattedrale, se ne incontrano almeno tre: il misterioso Alberto ‘Sotio’ che già nel XII secolo firma e data una splendida croce sagomata dipinta; uno dei più grandi pittori del Rinascimento, Filippo Lippi, che a Spoleto lasciò le spoglie mortali e il testamento spirituale, le Storie della Vergine affrescate nella cappella absidale; il Pinturicchio, infine, nella migliore delle sue stagioni, autore della Cappella Eroli o di San Leonardo, alla quale neanche i gravi danni del tempo e del degrado sono riusciti a togliere la meritata qualifica di uno degli ambienti più raffinati fra i moltissimi creati dall’artista. Tutto il circondario spoletino inoltre è l’antologia di un artista di misteriose origini spagnole: Giovanni di Pietro, detto appunto lo Spagna. Il pittore è noto per uno stile molto personale: tradusse infatti il linguaggio figurativo del Perugino in forme di distillata eleganza, tali da anticipare le soluzioni diffuse nell’Ottocento dal Purismo. Da Ugo Rambaldi, che insegnò per una vita storia dell’arte e fu quindi profondo conoscitore dei testi artistici dei secoli passati, questa eredità era assimilata già a livello inconscio, prima ancora della riflessione teorica e della rivisitazione consapevole dell’artista. Rambaldi ebbe al suo attivo un’impegnata militanza nel mondo dell’arte, sia pure connotata da un signorile distacco, che lo portava ad assumere spontaneamente posizioni sempre un po’ defilate: prima nel gruppo noto come ‘I Sei di Spoleto’, ossia Giuseppe De Gregorio, Filippo Marignoli, Gianni Orsini, lui stesso, Piero Raspi e Bruno Toscano, per rispettare con assoluta fedeltà l’elenco alfabetico da loro stessi stilato in un catalogo, un passaggio dell’arte italiana del Novecento con una sua riconosciuta autonomia. Poi, anche grazie al cugino Leoncillo Leonardi, nel mondo dell’arte semplicemente Leoncillo, a Roma entrò nell’orbita di Villa Massimo, il luogo d’incontro della più avanzata cultura artistica della capitale. Il linguaggio figurativo di Rambaldi, complesso perché frutto di innesti romani e siciliani su un tronco rigorosamente umbro, approda a registri linguistici diversi il figurativo e l’informale, ma intimamente correlati, per cui ciascuno dei due rinvia all’altro e in entrambi raggiunge livelli d’elevata qualità. L’artista infatti si esprimeva con piena disinvoltura in tutte e due le dimensioni, che non doveva ritenere alternative, ma considerava i due poli d’una stessa forma espressiva, con continui abili passaggi dall’uno all’altro. Alcuni dipinti offrono al riguardo indicazioni illuminanti. Donna sdraiata, una tempera (48 x 68 cm) del 1984, l’anno precedente la scomparsa dell’autore, è innegabilmente un’opera figurativa, il cui soggetto già annunciato dal titolo è perfettamente identificabile da chiunque. 200

Patrimonio artistico umbro nel mondo

Non di meno il ricorso al monocromo e a un colore incompatibile con il corpo umano, un freddo “azzurro color di lontananza”, per usare una riuscitissima espressione di Giovanni Pascoli, trasporta la realtà in una dimensione onirica e pertanto astratta. Senso terroso è un’opera informale di particolare rilievo. Si tratta di un piccolo quadro (34 x 46 cm) a tecnica mista, realizzato nel 1960, al cui interno la materia pittorica approda a una superficie ruvida, irregolare, nella quale il colore e quindi la componente visiva cedono senz’altro il passo ai valori plastici e quindi alla componente tattile, da cui il titolo. Quest’ultimo, che contiene due termini consolidati nel catalogo rambaldiano, dove s’incontrano anche Senso avvolgente (1982) e Senso di materia e luce (1978), così come Intensità terrosa (1959), infatti suggerisce l’impressione d’una superficie di terra, sottoposta a chi sa quali disastri, fino a presentarsi sconvolta e tormentata, ma fortemente espressiva. Se nel figurativo Rambaldi, anche per una lunga residenza in Sicilia, mostra lontane collusioni con Renato Guttuso, nell’informale rivela l’influsso di Alberto Burri, senza seguirlo però sul terreno dell’arte polimaterica. Senso terroso, più essenziale e scarna rispetto agli accurati e colti equilibri cromatici delle opere figurative, è un’opera che fornisce due indicazioni fondamentali: in primo luogo testimonia l’apertura mentale del pittore, che non si chiude davanti alle innovazioni e sa mettere costantemente in gioco se stesso, accettando la battaglia anche su terreni meno familiari; in secondo luogo dimostra la fondamentale unità del suo linguaggio, perfettamente riconoscibile sia nel registro figurativo, sia nel registro informale, per una inconfondibile omogeneità di fondo. Significativo al riguardo è l’uso del colore, personalissimo, dato a grandi macchie irregolari, del tutto autonome, ma rispettose della forma. È il predominio del colore, signore rispetto alla forma, la nota dominante della cifra stilistica di Ugo Rambaldi. Non di meno anche nelle soluzioni astratte, Rambaldi resta un vero pittore, in senso etimologico, il cui strumento unico e insostituibile è il pennello. Lo strumento però è utilizzato per tecniche pittoriche e su supporti molto diversi: olio su tela, olio su cartone, olio su masonite, acrilico su carta, acrilico su cartone, acrilico su tela, acrilico su tavola, tempera, tempera forte, tempera e olio magro, masonite girata e acrilico, guazzo, pastello e infine tecnica mista. La scelta delle tecniche è rivelatrice; non segue un’evoluzione cronologica, ma tutte le tecniche si ritrovano in ogni fase del percorso di Rambaldi, come se fosse convinto che ogni soggetto richiedesse il supporto e la tecnica più congeniale, diversa, ma sempre rigorosamente pittorica.



2.37 Ugo Rambaldi Earthy Sense Buenos Aires, Maria Elvira Iglesia Collection

Regardless of where we are born, the effects of that location on our personality are significant. Spoleto, a city of great importance during the Roman and Longobard eras, was host through the centuries to some of Italy’s greatest painters. In the cathedral alone we find testimony of at least three of these: the mysterious Alberto Sotio, who left a splendid 12th century signed and dated shaped and painted crucifix; Filippo Lippi, one of the Renaissance’s finest painters, whose Story of the Virgin frescoes adorn the apsidal chapel; and Pinturicchio, at the height of his career, decorator of the Eroli Chapel (also called the Chapel of Saint Leonard) the frescoes of which, despite damage and degradation suffered over time, remain one of the most refined of his many creations. Works of an artist of obscure Spanish origin, Giovanni di Pietro, known as ‘lo Spagna’, famous for a personal style combining a distilled version of Perugino’s figurative language, found throughout the environ of Spoleto, anticipated the Purism movement of the 19th century. As for Ugo Rambaldi, who taught art history his entire life and was therefore profoundly knowledgeable about these artistic traditions, we have an artist who assimilated Spoleto’s cultural heritage at a subconscious level long before approaching it consciously and theoretically. Rambaldi had, to his credit, a committed militancy in the art world, even if his behaviour was characterized by a refined detachment that led him to remain spontaneously in the background: first he took part in a group known as ‘The Six of Spoleto’ (Giuseppe De Gregorio, Filippo Marignoli, Gianni Orsini, Rambaldi, Piero Raspi and Bruno Toscano, whose names were written in alphabetical order according to the original list drawn up by the same painters in a catalogue), a movement in 20th century Italian art with its own recognized autonomy. Then, thanks to his cousin Leoncillo Leonardi, known to the art world simply as Leoncillo, he entered the circle of Villa Massimo in Rome, at the time the foremost cultural and artistic meeting place in the capital. Rambaldi’s figurative language, highly complex because he fit Roman and Sicilian elements into a rigorously Umbrian tradition, reached two distinct painting styles (figurative and non-figurative), which were, nevertheless, connected. In any case, the painter reached high quality levels in both styles. In fact, the painter expressed himself with equal facility in both figurative and abstract works, refusing to choose one over the other, moving back and forth between the two with ease, and considering both part of his particular mode of expression. Several of his works are especially illuminating. The tempera painting entitled The Reclining Woman, 1984, (48 x 68 cm), completed the year before the artist’s death, is undeniably figural and immediately recognized as the subject the title suggests. Nonetheless, his use of monochrome and choice of a color incompatible with that of human flesh - a cold “blue, the color of distance”, to use a phrase of the poet Giovanni Pascoli - transports the reality of the image 202

Umbrian artistic heritage worldwide

to an oneiric and abstract dimension. Earthy Sense is a particularly important non-figurative work. It is a small (34 x 46 cm) mixed media painting executed in 1960, whose centre is represented by a rough and irregular surface. Here color and, therefore, the visual component, gives way to a plastic sensation and so to a tactile component. The painting’s title comes from this sensation: Earthy Sense, two words already present in Rambaldi’s catalogue, where other similar titles can be read: Surrounding Sense (1982), Sense of Materials and Lights (1978), as well as Earthy Intensity (1959). Earthy Sense gives the impression that the surface of the Earth has been subjected to indefinite disasters, rendering it devastated and anguished but, at the same time, strongly expressive. Thanks to his long stay in Sicily, Rambaldi was slightly influenced by Renato Guttuso’s figurative style, while his non-figurative style is due to the influence of Alberto Burri, even if he detaches himself from this painter regarding polymateric art. More essential and spare than the careful and cultured chromatic equilibrium of his figurative works, Earthy Sense suggests two fundamental characteristics of the painter: firstly, it is proof of the painter’s open-mindedness, who does not refuse innovations but continually questions himself, taking on the battle also on unfamiliar terrains. Secondly, the painter demonstrates the fundamental unity of his language, perfectly recognizable in both his figurative and non-figurative styles, thanks to an underlying homogeneity. In this regard, the use of color is very significant and the way it is distributed in wide irregular spots completely independent of each other but at the same time respecting form, is very personal. Color predominates, prevailing over form: this is the main feature of Ugo Rambaldi’s style. Nevertheless, even in non-figurative painting, Rambaldi remains a remarkable painter (in the etymologic sense of this word), whose only and irreplaceable tool is his brush. But it is used for very different painting techniques and on different materials: oil on canvas, oil on cardboard, oil on masonite, acrylic on paper, acrylic on cardboard, acrylic on canvas, acrylic on wood, tempera, bright tempera, tempera and maigre oil, acrylic on the underside of masonite, gouache, pastel and finally mixed technique. His choice of techniques is revealing: it does not follow a diachronic evolution because all his techniques can be found in each phase of Rambaldi’s life, as if he was convinced that every subject demanded the most suitable material and technique, each time different but always rigorously pictorial.


Bibliografia/Bibliography Toscano 1987, pp. 7-10; Selvaggi 1991, pp. 27-29, p. 41, f. 23; Notari 1993, p. 839; Boco 2003, pp. 222-23; Pesola 2003, p. 229.

Provenienza/Provenance Roma, Collezione Fabio Faustini Buenos Aires, Colecci贸n Maria Elvira Iglesia

Spoleto: Rocca Albornoziana Spoleto: Fortress of Cardinal Albornoz 漏 Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.38 Reni Guido Reni: Bologna, 1575 - 1642 Assunzione della Vergine Lyon, Musée des Beaux Arts © 2008. White Images/Scala, Firenze

L’attività di Guido Reni, indiscusso protagonista della pittura italiana fra gli ultimi decenni del Cinquecento e i primissimi anni Quaranta del Seicento, si svolse quasi tutta fra Bologna, sua città natale, e Roma, dove conobbe una grande affermazione. Alla luce di questi dati la vicenda artistica reniana non avrebbe avuto agganci con il patrimonio artistico umbro, se attorno al 1637 il cardinale Capponi non avesse acquistato un suo dipinto, per poi regalarlo ai Padri Filippini, che officiavano la Chiesa di San Filippo Neri o Chiesa Nuova di Perugia, tuttora in mano loro. L’opera pertanto entrò a pieno titolo a far parte del patrimonio artistico umbro, anzi ovviò all’assenza di prodotti di una delle maggiori personalità dell’intera pittura italiana e divenne un punto di riferimento importante per vari artisti perugini nel Seicento e oltre. Guido Reni è un artista con una sua inconfondibile cifra stilistica, capace di coniugare la bellezza atemporale e idealizzata dell’arte classica con la carica espressiva della pittura cristiana, cosa importante per la cultura artistica dei suoi tempi, soprattutto dopo che la Controriforma aveva invitato i pittori ad accentuare l’espressione dei sentimenti nelle figure dei santi e più in generale nei soggetti religiosi. L’opera donata dal cardinale Capponi ai Filippini è un gran dipinto a olio su tela (242 x 161 cm) che raffigura l’Assunzione, un tema per le sue evidenti valenze pittoriche trattato tantissime volte in pittura, del quale l’artista bolognese riesce a dare una sua personale variante, caratterizzata da un’impaginazione dinamica e articolata. La Vergine al centro, con gli abiti mossi e increspati dal vento, le braccia aperte e lo sguardo rivolto al cielo, poggia su una massa di testine di cherubini ed è sorretta da due piccoli angeli. Alle sue spalle altre figure angeliche sfumano indistinte fra le nuvole con perdita progressiva di definizione formale. Il dipinto, connotato da intensi effetti dinamici, data l’elevata qualità e la celebrità dell’autore, difficilmente sarebbe potuto sfuggire all’attenzione degli inviati di Napoleone e nel 1797, anno in cui il prelievo delle opere d’arte avveniva sotto la supervisione di Jacques-Pierre Tinet, incappò nelle requisizioni napoleoniche e finì in Francia per non più tornare all’antica sede e neanche in Italia. È noto che la politica culturale della Francia napoleonica, in piena conformità con il principio illuministico della divulgazione della cultura, favoriva la distribuzione in un gran numero di musei francesi delle opere d’arte requisite nei vari paesi conquistati e così l’Assunzione di Guido Reni finì a Lione, dove si trova tuttora. Il dipinto pone alcuni problemi: è molto simile a un’altra Assunzione, all’origine dipinta da Reni per la Confraternita di Santa Maria degli Angeli di Spilamberto, interessante per il supporto, non la canapa usuale per i dipinti, ma la seta. Dal centro urbano nei pressi di Modena, in seguito alla vendita avvenuta nel 1661, l’opera pervenne a Monaco di Baviera, dove ora è visibile nell’Alte Pinakotek. Dello stesso soggetto esiste una terza 204

Patrimonio artistico umbro nel mondo

versione, molto vicina a quella di Lione, conservata in una collezione privata a Teramo, da vari studiosi ritenuta anch’essa opera di Guido Reni. Le varie versioni dell’Assunzione inoltre si presentano come varianti con differenze contenute dell’Immacolata Concezione, altro tema ben rappresentato nel catalogo reniano. La riproposizione d’uno stesso tema, o identico o con minime variazioni, non è un fatto eccezionale nella pittura dei secoli passati: è noto infatti che più d’un pittore replicava uno stesso soggetto personalmente o lo faceva replicare dalla bottega. Inoltre va aggiunto che la ripetuta presenza d’uno stesso soggetto, nel catalogo di Guido Reni, si registra con particolare frequenza. È noto che fra concezione artistica e vita privata spesso esistono differenze abissali: nel caso di Guido Reni alla composta solennità classica del linguaggio figurativo, nel privato corrispondeva una personalità tormentata da una morbosa attrazione per il gioco delle carte, che lo portava a dilapidare i consistenti guadagni d’una carriera artistica d’indubbio successo. Più d’una fonte contemporanea al pittore, che quanto al resto conduceva una vita irreprensibile, lo descrive uscire nottetempo per recarsi nelle bische, dove lasciava grandi quantità di denaro, quando non contraeva debiti. Questo continuo sconsiderato dispendio di soldi lo costringeva a produrre il massimo numero di dipinti possibile, cosa che realizzava grazie a eccellenti capacità manageriali, che gli consentirono di mettere in piedi una bottega efficientissima, in grado di replicare i dipinti, ai quali il maestro poi si limitava a dare una rifinitura di sua mano. Certi soggetti, come l’Ecce Homo per esempio, sono noti in decine di repliche uscite dalla scuola reniana, per le quali è molto difficile valutare la misura dell’autografia del maestro, che invece nell’Assunzione, un tempo a Perugia, ora a Lione, è generalmente accettata, eccettuato un isolato tentativo di assegnarla a un allievo di Reni: Francesco Gessi, la cui collaborazione con Guido è largamente documentata. La presenza del dipinto a Perugia indica la circolazione di cultura e di opere d’arte legata all’alto mecenatismo. La differenza vistosa fra il capolavoro reniano e la gran parte dei prodotti locali però segnala anche una situazione di tendenziale declino della pittura perugina e umbra, perché le opere di prima grandezza presenti nelle regione nel Seicento cominciano a essere prodotte da artisti forestieri. Il fenomeno, già consistente nel Seicento, si accentuerà nel Settecento, secolo in cui il ricorso ad artisti non umbri diverrà preponderante.



2.38 Guido Reni Assumption of the Virgin Lyon, Musée des Beaux Arts

Guido Reni, one of the most important Italian painters active between the last decades of the 16th century and the early 1640s, worked primarily in his native city Bologna, and in Rome, where he enjoyed considerable success. In light of this information there would seem to be no connection between Reni’s work and the artistic patrimony of Umbria. However, in 1637 Cardinal Capponi purchased one of his paintings and donated it to the Oratorian Fathers, officiates then and now of the Church of San Filippo Neri (or the New Church) in Perugia. Thus the work of one of the greatest painters in the history of Italian art was introduced in Umbria, where it became a significant reference point for Perugian artists from the 17th century on. Guido Reni’s style is unique in its blending of idealized and otherworldly beauty with the expressiveness of Christian painting, important aspects of the artistic culture of the Counter Reformation whereby in paintings of the saints and in other religious subjects an emphasis on emotional content was required. The oil on canvas gifted to the Fathers of Saint Philip Neri is quite large (242 x 161 cm), and represents the Assumption of the Virgin, an often recurring theme in Italian painting but one on which the Bolognese artist succeeds in putting his own personal stamp characterized by a dynamic and clearly articulated composition. The Virgin at the center, with her flowing robes creased by the wind, her arms spread and her gaze turned upwards, stands on mass of cherubs’ heads and is lifted up by a pair of small angels. Behind her and among the clouds appear the faintly suggested and progressively indistinct heads of other angels. This intensely dynamic painting by a major artist did not escape the attention of Napoleonic envoys, and in 1797, under the supervision of Jacques-Pierre Tinet, it was removed and shipped to France, never to be returned to Perugia or even to Italy. According to the policies of Napoleonic France and in full conformity with the principal of the Enlightenment supporting the popularization of culture, artworks acquired from conquered territories were distributed among a large number of French museums. Thus, Guido Reni’s Assumption of the Virgin was sent to Lyon, where it remains today. The painting poses several problems: it is very similar to another Assumption painted by Reni for the Confraternity of Santa Maria degli Angeli in Spilamberto which is not on the usual canvas support employed at that time but on silk. It was sold from this urban center near Modena in 1661 and removed to Munich, where it may be found today in that city’s Alte Pinakotek. There is a third version of the subject, quite similar to the one in Lyon and by many scholars considered to be the work of Reni, in a private collection in Teramo. The various versions of the Assumption differ slightly one from the other as do those representing The Immaculate Conception, another repeated theme in Reni’s repertoire. This working method is not unusual, and variations or repetitions of a particular subject were often produced 206

Umbrian artistic heritage worldwide

either by a master painter himself or by members of his workshop. This practice was particularly common with Reni, as evidenced by his catalogue. In the history of art, we often find a disconnection between an artist’s professional activities and his personal life: in Reni’s case, his figures are rendered with classical solemnity, while accounts of his private life reveal a man tormented by a strong addiction to gambling that resulted in the squandering of the considerable fortune gained from his success as an artist. The fact that he spent a great deal of time in gambling dens, where he either lost large amounts of money or incurred debt, forced Reni to produce as many paintings as possible. This was facilitated by his excellent managerial abilities which allowed the artist to establish a highly efficient workshop where he put the final touches on copies of his compositions executed by assistants. Certain subjects, like the Ecce Homo, are known in dozens of replicas produced by the Reni workshop, making it difficult to assess which or how much of them is autograph. However, the Assumption, formerly in Perugia and now in Lyon, is attributed to the master himself, despite an isolated instance in which it was given to Francesco Gessi, a follower whose collaboration with Reni is well documented. Whereas the Assumption’s presence in Perugia attests to the connection between the patronage system and the wide spread circulation of works of art and culture in the 17th century, the visible difference between Reni’s masterpiece and the majority of local production signals the decline of Umbrian painting in this era, when major commissions were increasingly given to foreigners. This phenomenon, already apparent in the 17th century, accelerated in the 18th century when non-Umbrian artists predominated.


Bibliografia/Bibliography Baccheschi 1971, pp. 113-14, f. 200b; Mazza 1988, pp. 122-23; Benati 1989, pp. 860-61; Galassi 2004, pp. 25, 35, 149, f. 7, 217, f. 86.

Provenienza/Provenance Perugia, Chiesa di San Filippo Neri o Chiesa Nuova Paris, Musée Central des Arts/Musée Napoléon Lyon, Musée des Beaux Arts

Perugia: Abbazia di San Pietro, soffitto a lacunari Perugia: Abbey of St. Peter, panelled ceiling © Archivio Ars Color - Paolo Ficola

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2.39 Signorelli Luca Signorelli o Luca da Cortona: Cortona AR 1445/1450 - 1523 Adorazione dei pastori London, The National Gallery © Ullstein/Archivi Alinari Era nato a Cortona fra il 1445 e il 1450, Luca Signorelli, ma con l’Umbria ebbe legami stretti e duraturi. Formatosi nell’ambito di Piero della Francesca, venne poi attratto dal mondo artistico fiorentino, dove incontrò il Perugino, che attorno al 1482 lo volle con sé nella squadra attiva nella Cappella Sistina, al cui interno i recenti restauri hanno confermato l’indiscussa presenza di Signorelli, nel ruolo di coautore accanto al Perugino, nella scena della Consegna delle chiavi. In un momento successivo sono Urbino e la sua coltissima corte ad attrarlo, dove accanto ai grandi teorici, come Francesco di Giorgio Martini e il giovane Donato Bramante, conosce anche artisti d’origine o di cultura fiamminga. Questa gamma di frequentazioni spiega la ricchezza del suo linguaggio figurativo: sintesi personale di elementi di diversa estrazione. La prolungata attività in Umbria, comunque, non è dovuta, stando almeno alle vicende note e documentate, alla frequentazione del pittore di Città della Pieve o di altri artisti umbri, ma a circostanze diverse. La presenza della Pala di sant’Onofrio, un tempo nella cattedrale perugina, ora nel Museo Diocesano, per fare un esempio illuminante, si spiega più con la presenza a Perugia d’un vescovo cortonese, che non con motivazioni strettamente storico-artistiche. Così l’importante ciclo di affreschi con il Giudizio Universale, nella Cappella di San Brizio del Duomo di Orvieto, è legato a fatti contingenti e imprevedibili e non a rapporti stabili del pittore con quell’area dell’Umbria. A Città di Castello la situazione è diversa. Luca Signorelli qui fu un protagonista riconosciuto della scena artistica, favorito sia dalla vicinanza geografica con Cortona, sia dall’orientamento toscano, anche sul piano culturale, dell’alta committenza tifernate, soprattutto i Vitelli, signori della città, con cui ebbe stretti legami e di cui eseguì alcuni ritratti. Nella città, di diritto appartenente agli Stati della Chiesa, ma di fatto governata dai Vitelli, approdò nel 1486, poco dopo le grandi imprese di Roma e di Loreto, e nel 1488, a sancire l’alta considerazione in cui era tenuto, l’artista cortonese ottenne la cittadinanza. I ripetuti soggiorni tifernati gli diedero ampio modo di lasciare un numero consistente di opere nella città e nei dintorni, come Umbertide e Morra, purtroppo in parte migrate in altre sedi, ma in parte non trascurabile ancora conservate. Vale la pena di notare che la presenza, allora considerevole, di opere signorelliane esercitò un influsso chiaramente percepibile nell’attività del giovane Raffaello, che proprio nella città dell’Alta Valle del Tevere, a Città di Castello nel 1500, non ancora diciotenne, ma già definito magister, firma il primo contratto d’allogagione, che ci sia pervenuto. Per circostanze non ben note, ma probabilmente da ricondurre al cantiere della Cappella Sistina, Signorelli strinse profonda amicizia anche con il Pinturicchio, un’amicizia destinata a durare a lungo, se nel 1509 a Siena il Pinturicchio negli ultimi suoi anni volle Luca Signorelli come padrino del suo bambino Camillo Giuliano, segno d’un sodalizio che superava il quarto di secolo. Di questa prolungata 208

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familiarità restano tracce di reciproci influssi anche nell’attività artistica di entrambi. Per limitare i riferimenti a uno, ma fondamentale, ultimamente non sono mancati studiosi che riproposto un intervento diretto di Luca Signorelli negli Appartamenti Borgia, affrescati sotto la guida del Pinturicchio, ipotesi comunque già avanzata dagli studiosi più attenti ai primi del Novecento. Fra le opere tifernati, un posto di riguardo spettava all’Adorazione dei Magi, eseguita dal pittore cortonese nel 1496 su commessa della famiglia Tiberti, che la destinò alla propria cappella nella chiesa di San Francesco, la stessa chiesa alla quale, otto anni dopo, nel 1504 sarebbe approdato lo Sposalizio della Vergine di Raffaello. Il dipinto signorelliano, a olio su tavola, è una pala rettangolare di notevoli misure (215 x 170 cm), che raffigura nella parte bassa il Bambino, di dimensioni eccezionalmente ridotte, disteso sul suolo brullo, circondato da un piccolo gruppo disposto molto ordinatamente a semicerchio. In primissimo piano tre zolle erbose e piene di fiori, descritti con gran precisione, ricordano altri fiori, quelli della perugina Pala di sant’Onofrio del 1484, segno d’un gusto analitico e amante della flora, profondamente radicato nell’artista, ma comune a tanto pittura quattrocentesca italiana e fiamminga. Dietro la scena principale, il paesaggio s’allontana verso lo sfondo fra rocce con spigoli vivi, come fossero di metallo, del tutto in linea con l’intonazione scultorea della pittura di Signorelli; ma prima d’arrivare alle rocce l’occhio incontra il timpano di un grande edificio classico, forse un richiamo alla reggia di Erode, in cui una folla assiepata circonda una figura in posizione dominante, un re, come parrebbe, appunto. Si tratta del principale di alcuni episodi minori distribuiti nello spazio figurativo, come a destra il pastore seduto in un anfratto fra le rocce, intento a suonare uno strumento a corde, forse un liuto, o gli altri pastori un po’ più in basso a sinistra con gli occhi alzati verso il cielo a guardare l’angelo in arrivo, stranamente raffigurato contro un disco di luce, come in un’eclissi. Alla sommità delle rocce compare una città murata, che fra gli altri presenta un interessante edificio a pianta centrale. L’autografia signorelliana è fuori discussione: l’opera è identificabile infatti con una ben precisa commessa all’artista, ma anche se così non fosse, la caratterizzazione fisionomica dei personaggi, belli, alteri e pieni d’energia, così come le pieghe dei drappi nette e metalliche equivarrebbero a una firma, che di fatto c’è e compare nel fascione del tempio al di sopra del colonnato, resa più solenne e ufficiale dall’uso del latino LUCE DE CORTONA P[ICTORIS] O[PUS], dove in LUCE va letto il più corretto genitivo LUCAE. Più alto al centro del timpano poi LS intrecciate tornano a confermare la paternità dell’opera a Luca Signorelli, a queste date ormai artista consapevole della propria affermazione, tanto da apporre due volte la firma sul dipinto.



2.39 Luca Signorelli or Luca da Cortona Adoration of the Shepherds London, The National Gallery

Luca Signorelli was born in Cortona between 1445 and 1450 and had strong and lasting ties with Umbria. Educated in the circle of Piero della Francesca, he later was attracted to the artistic ambience of Florence where he met Perugino. Around 1482, the Umbrian master included Signorelli in his team of artists engaged to work in the Sistine Chapel in Rome where recent restorations have confirmed the Cortona artist’s hand as co-creator with Perugino of the Giving of the Keys scene. Later, Signorelli was attracted by Urbino and its illustrious court, where he met the great theoreticians Francesco di Giorgio Martini and the young Donato Bramante, as well as artists either Flemish by birth or working in the Flemish manner. This varied background explains Signorelli’s rich figural style in which he synthesized and personalized elements from a wide variety of sources. According to documentary information, Signorelli’s prolonged activities in Umbria were not due to his association with Perugino or other Umbrian artists, but to other circumstances. For example, the Saint Onofrio Altarpiece, once in Perugia Cathedral and now in the Diocesan Museum, owes more to the presence in the Umbrian capital of a bishop from Cortona than to art historical considerations. Equally so, the important fresco cycle of Universal Judgment in the San Brizio Chapel of Orvieto Cathedral is tied to contingent and unforeseeable facts, because the artist had no particular rapport with that part of Umbria. In Città di Castello it was a different story. There Signorelli was a known-entity, favored for many reasons including the geographical proximity of Cortona and Città di Castello, the shared culture of the two centers and Signorelli’s Tuscan tendencies. In Città di Castello he was patronized by that city’s important families, including the Vitelli for whom the artist executed numerous portraits. Part of the Papal States, the city was in fact controlled by the Vitelli and, following his great undertakings in Rome and Loreto, Signorelli arrived there in 1486. Two years later, in 1488, he was granted citizenship, testimony to the high regard in which he was held. His repeated visits to Città di Castello gave Signorelli ample opportunity to leave a significant number of works of art in the city itself and in its environs, including Umbertide and Morra, many of which unfortunately were subsequently moved to other locales or are no longer extant. It is worth noting that Signorelli’s once-considerable presence in the region had a marked influence on the young Raphael, who in 1500 at the age of 17 but already called a ‘master,’ signed in Città di Castello his first known commission contract. For unknown reasons, but probably related to his activities in the Sistine Chapel, Signorelli formed a strong friendship with Pinturicchio which was to last for years: evidence of a bond that lasted more than a quarter century is the fact that in 1509 in Siena, during Pinturicchio’s last years, he asked Signorelli to be godfather to his son, Camillo Giuliano. Reciprocal influences in the work of the two artists further attest to their enduring relationship. To cite just one example, but an important 210

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one, there are some scholars who maintain Signorelli worked on the fresco decoration of the Borgia Apartments, a project directed by Pinturicchio, a theory already advanced by early 20th century art historians. Among the works Signorelli did in Città di Castello, special mention should be made of his Adoration of the Shepherds, executed by the Cortona artist in 1496 on the behest of the Tiberti family and intended for their private chapel in the Church of Saint Francis - the same church for which Raphael produced his Marriage of the Virgin in 1504. Signorelli’s painting, in oil on panel, is large and rectangular, measuring 215 x 170 cm: in the foreground is the unusually small figure of the Christ Child, lying on the rough ground and surrounded by a group of figures positioned in a semi-circle around him. In the extreme foreground are three grassy patches filled with precisely rendered flowers recalling those of his 1484 Saint Onofrio Altarpiece in Perugia. This is a clear indication of Signorelli’s deeply rooted analytic taste and his love of flora, the latter a common element in much Italian and Flemish15th century painting. Behind the principal scene, the landscape recedes among metallike rock formations and vegetation, completely in line with the sculptural intonation that permeates Signorelli’s art. In the distance, but before arriving at the rocky mount, is a large, classical temple, perhaps a reference to the Herod’s palace, in which a crowd surrounds a central figure, possibly a king. What we have here is the inclusion of several minor episodes distributed throughout the picture, such as the shepherd seated in a clearing among the rocks, intent on playing a stringed instrument, perhaps a lute, and the group of shepherds on the left who gaze skyward at the arrival of the angel who is oddly represented against a circle of light as in an eclipse. Surmounting the rock mass in the distance is a walled city including an interesting circular building. Signorelli’s authorship is undisputed: the work is identifiable in a commission contract, but even without this documentation the proud and energetic figure types, with their precise and sharply-drawn drapery folds are altogether characteristic of the artist. Finally, on the entablature of the temple is the inscription in Latin LUCE DE CORTONA P[ICTORIS] O[PUS], which correctly read would be LUCAE, and in the pediment above are the interlaced initials LS, confirmation of the painting’s creator who at this time was well enough known to merit including his signature not once but twice.


Bibliografia/Bibliography Mancini 1988e, p. 838; Riess 1995; Paolucci 1996, pp. 135-49; Henry 1999; 2001, pp. 195-96; Kanter 2001, pp. 11-94; Henry 2006a, p. 27, f. 3; 2006b, pp. 10-80; Ricci Vitiani 2006, pp. 81-122; Soavi 2006, pp. 123-42; Caldari 2008.

Provenienza/Provenance CittĂ di Castello, Chiesa di San Francesco, Cappella Tiberti London, The National Gallery

Orvieto: Cattedrale di Santa Maria Assunta, veduta laterale Orvieto: Cathedral of St. Mary of the Assumption, lateral view Š Archivio Fotografico Italgraf

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2.40 Spagna Giovanni di Pietro, detto lo Spagna: documentato dal 1504 - Spoleto PG, 1528 Orazione nell’Orto London, The National Gallery © Ullstein/Archivi Alinari

Fra la fine del secolo XV e i primi del XVI l’Orazione nell’orto conosce un’indiscussa popolarità, fra gli artisti attivi in Umbria, dimostrata dall’esistenza di un numero notevole di variazioni sul tema a firma di Perugino, Berto di Giovanni, Giannicola di Paolo, Raffaello, Giovanni di Pietro detto lo Spagna e altri. Lo Spagna ebbe un legame piuttosto stretto con il Perugino: se non fu il discepolo più a lungo vicino al maestro, ne fu senz’altro il seguace più fedele. La lezione peruginesca lo accompagnerà per tutto l’arco della produzione, anche se lo Spagna poi approdò a un suo linguaggio autonomo, in cui quello del Perugino è tradotto in forme fredde e depurate, quasi anticipatrici del Purismo ottocentesco, ma di alta qualità formale. Per gli artisti fra Umbria e Toscana un probabile punto di partenza per la realizzazione del tema può essere stata l’Orazione nell’orto, realizzata da Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio nella Cappella Sistina, iscritta in una delle tre aperture della loggia, che s’apre in fondo alla sala in cui avviene l’Ultima Cena. L’impostazione della scena, realizzata fra il 1482 e il 1483, resta sostanzialmente la stessa fino alle soluzioni del primo Cinquecento. Il Perugino, che nella Cappella Sistina aveva svolto un ruolo fondamentale e aveva lavorato spalla a spalla con Cosimo Rosselli e i suoi allievi, riprese il tema fra il 1492 e il 1497 a Firenze nel Convento di San Giusto alle Mura, producendo il dipinto ora alla Galleria degli Uffizi. Proprio partendo da questo lavoro del maestro di Città della Pieve, lo Spagna approdò alla versione, oggi conservata a Londra, di cui poi ripropose una replica in forma ridotta, conservata sempre nella National Gallery londinese. Come nei due precedenti di Cosimo Rosselli in Vaticano e soprattutto del Perugino nel convento fiorentino, anche nella soluzione spagnesca l’orto diventa una modesta altura al centro d’uno spazio pianeggiante, iscritto fra due colline non molto elevate, ma aperto al centro su un orizzonte sconfinato chiuso da alte montagne azzurre per la distanza, ai cui piedi si vede un lago, sulle cui rive un centro abitato alza verso il cielo torri, cupole e campanili. Il paesaggio è costruito su dominanti ritmi orizzontali nel più puro stile del Perugino, ripreso puntualmente dall’allievo. Gesù al centro rivolto verso sinistra prega a mani giunte e alza gli occhi verso un angelo che in volo gli reca il calice, simbolo del martirio, che Gesù chiede al Padre di non dover subire. Ai piedi dell’altura addormentati in varie posture si vedono i tre apostoli, che hanno seguito il Maestro: Giacomo, Giovanni e Pietro. Nessuno dei tre è riuscito a obbedire all’ordine del Redentore di non dormire e il loro sonno, simboleggiando l’abbandono, rende la solitudine di Gesù ancora più dolorosa. A destra e a sinistra in secondo piano due gruppi di armati, ai quali Giuda, che tiene stretta nella mano sinistra la borsa dei denari, sta indicando l’uomo da catturare, inalberando vessilli, alabarde e torce astili, introducono una nota araldica e militaresca, ma stabiliscono anche rispondenze formali con gli esili alberelli, dai tronchi filiformi, che nel più puro gusto umbro del tempo, articolano il paesaggio, senza impedire la vista dei campi più lontani fino all’orizzonte. Fra i due dipinti la prima differenza da rilevare è la maggiore attenzione dello Spagna rispetto al Perugino a certi dettagli, ininfluenti sullo sviluppo narrativo del dipinto, come 212

Patrimonio artistico umbro nel mondo

i gigli, le rose e le peonie, tradizionali simboli di salvezza. Questa attenzione alla flora, sostanzialmente estranea al gusto peruginesco, forse è debitrice al gusto descrittivo del Pinturicchio, con il quale lo Spagna ebbe rapporti di collaborazione, come sembra, quanto meno a Roma negli affreschi del distrutto Chiostro Maggiore di Santa Maria del Popolo, ma forse anche in altri contesti. La differenza più vistosa rispetto al modello peruginesco però è nella tavolozza. Ai colori morbidi e caldi del Perugino lo Spagna sostituisce colori freddi, che conferiscono alle superfici un effetto metallico e presentano forti stacchi: in altri termini gli effetti tonali del Perugino cedono il passo agli effetti araldici dello Spagna, che contrappone tinte distanti e dissonanti. Illuminante al riguardo è la soluzione delle vesti dei tre apostoli addormentati. Mentre i colori caldi e terrosi nel dipinto del Perugino creano effetti di legato con le rocce e la terra, che sembrano avvolgere i corpi dei tre dormienti, nel dipinto dello Spagna, lo stacco delle tre figure dallo sfondo è totale e sottolineato dai forti effetti chiaroscurali. L’attribuzione a Giovanni di Pietro è l’approdo di un itinerario critico variegato. Appena avvistata, l’opera fu creduta quella dello stesso soggetto a firma di Raffaello, citata da Vasari, ma di cui si è persa ogni traccia. Nel 1866 Cavalcaselle la riferì allo Spagna, paternità non più messa in discussione e dal 1889 ufficializzata dal catalogo della National Gallery. L’opera a partire dal 1829 era a Roma nella collezione del principe Gabrielli. Rubata da un domestico e venduta a un certo Gigli, mercante d’arte, da quest’ultimo fu offerta a collezionisti tedeschi e russi, ma il principe Gabrielli riuscì a rintracciarla, provvide subito a ricomprarla, ma poi nel 1844 la rivendette al mercante inglese Woodburn. Nel 1849 andò all’asta e fu comprata da J. Coningham, poi passò nella collezione W. Fuller Maitland a Stanstead House nel Sussex. Nel 1857 fu esposta a Manchester e nel 1873 alla Royal Academy di Londra. Ai numerosi e frequenti cambi di padrone s’accompagnano le oscillanti attribuzioni a Raffaello, a un allievo imprecisato del Perugino e finalmente allo Spagna. L’opera ricorda la Resurrezione di Pietro Vannucci, un tempo a Perugia in San Francesco al Prato e ora nell’Appartamento Nobile Pontificio, la cui commessa è del 1499 e il cui completamento probabilmente è del 1500. L’Orazione nell’orto londinese trova strette analogie con una piccola tavola a Indianapolis, J. Herron Art Museum, proveniente dalla Collezione Kileny in Ungheria, probabile copia condotta da un modesto pittore su un’opera perduta del Perugino, modello di partenza anche per lo Spagna. Quanto alla tavoletta del museo di Indianapolis, mentre alcuni studiosi propongono l’autografia del Perugino, altri fanno il nome di Gerino da Pistoia. Al di là delle questioni attributive, la vicenda dimostra la vitalità del tema e il prestigio dell’artista di Città della Pieve, punto di riferimento ineludibile per vari pittori fra Umbria a Toscana.



40 Giovanni di Pietro detto lo Spagna Prayer in the Garden London, The National Gallery

This subject was extremely popular with Umbrian artists in the late 15th and early years of the 16th century, as evidenced by numerous variations on the theme by Perugino, Berto di Giovanni, Giannicola di Paolo, Raphael, Giovanni di Pietro (called lo Spagna) and others. Lo Spagna was linked closely to Perugino, if not for the longevity of their working relationship than certainly as the master’s most faithful follower. Despite the fact that he created his own personal style in which elements of Perugino’s art appear in a cold and distilled form, though realized with skillful formality, anticipating the Purism of the 19th century, lo Spagna heeded the lessons of his master throughout his entire artistic career. For painters working between Tuscany and Umbria, an early influence on the treatment of this theme might have been Cosimo Roselli and Biagio d’Antonio’s Prayer in the Garden in the Sistine Chapel, found over one of the three loggia doorways leading to the room in which The Last Supper is found. The composition of this painting, realized between 1482 and 1483, remained the standard until the early 16th century. Perugino, who played a major role in the decoration of the Sistine Chapel and who worked back to back with Cosimo Rosselli and his students, reintroduced the subject in Florence, between 1492 and 1497, in a painting he did for the Convent of San Giusto alle Mura but today in the Uffizi Gallery. Lo Spagna’s painting was directly inspired by that of the Città della Pieve master, as is his smaller version of the same subject similarly conserved in The National Gallery of London. Like Cosimo Roselli’s Vatican painting and Perugino’s Florentine convent variant, lo Spagna’s rendition shows the garden as a modest mound amidst flatlands framed by two low hills, with an open center area, high bluish mountains in the distance at the foot of which one sees a lake with habitations including towers, church domes and bell towers. The landscape is constructed according to a pure Perugino formula, faithfully reproduced here by lo Spagna. At the center, a kneeling Christ turns to the left, his hands clasped in prayer and his gaze directed skywards towards an angel holding a chalice, the symbol of martyrdom, as he asks God to spare his suffering. At the foot of the rise lie sleeping three of the Apostles - James, John and Peter - who have followed their master to the garden. None of them have succeeded in obeying Christ’s order not to fall asleep, or in other words not to abandon him. Their having done so makes the Savior’s solitude that much sadder. In the painting’s middle ground, to the right and left, are groups of soldiers, amidst one of which stands Judas clutching a bag of coins in his left hand and pointing with his right towards the figure of Christ. Raised standards, halberds and torches introduce a further militaristic and heraldic note and formally relate to the thin trunked trees with few branches which define the scene’s middle ground in a typically Umbrian manner while allowing an unimpeded 214

Umbrian artistic heritage worldwide

view of the distant landscape. The first notable difference between the two paintings is found not in the subject’s narrative development but in certain details such as the lilies, roses and peonies, traditional symbols of salvation. This attention to flora, not characteristically found Perugino’s paintings, is perhaps due to the descriptive taste of Pinturicchio, with whom lo Spagna collaborated, certainly in Rome on the frescoes of the now-destroyed major cloister of Santa Maria del Popolo, if not elsewhere. The main difference, however, is one of palette. Perugino’s soft, warm tones are replaced by lo Spagna’s cool colors, creating sharply articulated surfaces and an overall metallic effect: in other words, the muted use of color by Perugino becomes a dissonant juxtaposition of tones in the painting by lo Spagna. This difference is clearly illustrated in the robes of the three Apostles. While the warm earth tones in Perugino’s composition chromatically relate the apostle figures to the rocks and earth against which they recline, lo Spagna’s color choices completely detach those figures from their setting, an effect reinforced by the artist’s strong use of chiaroscuro. The painting’s attribution to Giovanni di Pietro is the result of a complex critical provenance. When first sighted, the painting was thought to be the one by Raphael described by Vasari in the 16th century but which had subsequently disappeared. In 1866 Cavalcaselle gave the work to lo Spagna, an attribution which was made official in the 1889 catalogue on the National Gallery and has remained unchallenged. In 1829 the painting was in Rome in the collection of Prince Gabrielli. It was stolen by a servant and sold to an art dealer named Gigli, who offered it to German and Russian collectors. Prince Gabrielli, however, managed to track it down, bought it back, and subsequently sold it to the English dealer Woodburn in 1844. The painting went to auction in 1849 and was purchased by J. Coningham, from whom it passed into the collection of W. Fuller Maitland at Stanstead House in Sussex. It was exhibited in 1857 in Manchester and in 1873 at the Royal Academy in London. Throughout these years, the work was variously attributed to Raphael, Perugino, and finally to lo Spagna. The painting is reminiscent of Pietro Vannucci’s Resurrection, commissioned in 1499 and probably completed in 1500, at one time in San Francesco al Prato in Perugia and now in the Papal Apartment. The National Gallery’s Prayer in the Garden is also analogous to a small panel in the J. Herron Art Museum, Indianapolis, which came from the Kileny Collection in Hungary. This is probably a copy by a minor artist of a lost Perugino which was also the source of inspiration for lo Spagna. Some scholars attribute the Indianapolis panel to Perugino himself, while others have suggested Gerino da Pistoia as its creator. This question of attribution aside, what is apparent here is the vitality of the theme and the artistic prestige of the painter from Città della Pieve who exercised an enormous influence on Umbrian and Tuscan artists alike.


Bibliografia/Bibliography Gualdi Sabatini 1984, pp. 113, 116; Scarpellini 1991, pp. 82-83, 167, f. 67; Nucciarelli 1998, pp. 265-79; Plazzotta 2004b, pp. 150-55.

Provenienza/Provenance Roma, Collezione principe Gabrielli Stanstead House (Sussex), W. Fuller Maitland Collection London, The National Gallery

Todi: Chiese di Santa Maria della Consolazione e di San Fortunato Todi: Churches of St. Mary of the Consolation and of St. Fortunato Š Archivio Fotografico Italgraf

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Patrimonio artistico umbro nel mondo


3. DATI BIOGRAFICI DEGLI ARTISTI BIOGRAPHICAL DETAILS OF THE ARTISTS


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Dati biografici degli artisti


3. Dati biografici degli artisti

3.1 Alfani Domenico di Paride Alfani: Perugia, 1480 circa - dopo il 1553 Figlio dell’orafo Paride e padre del pittore Orazio, la componente principale del suo linguaggio figurativo deriva da Raffaello, di cui era quasi coetaneo e amico, come provano carte d’archivio e lavori in collaborazione. Alla luce di questo legame, è stata avanzata l’ipotesi, non da tutti accettata, che proprio per Domenico, Raffaello abbia dipinto la Madonna Conestabile - oggetto della scheda 2.35 - la cui prima segnalazione, risalente al Seicento, la descrive in possesso del ramo principale degli Alfani. Mentre non si riesce a individuare una sua attività romana al seguito dell’amico urbinate, è certo un contatto non effimero con l’ambiente artistico fiorentino, soprattutto con fra’ Bartolomeo della Porta, di cui restano ampie tracce soprattutto nella produzione dei primi decenni del Cinquecento. La fase finale è dominata dalla ripresa del linguaggio raffaellesco complicato dall’apporto della pittura fiorentina, con risultati piuttosto freddi e accademici. Fra i dipinti più significativi si segnala la Sacra Famiglia, a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria, realizzata in collaborazione con Pompeo d’Anselmo, come l’inedita Presentazione al tempio a Madrid in collezione privata, presentata alla scheda 2.32. Oltre alla concentrazione di circa dieci dipinti distribuiti a Perugia fra la Galleria Nazionale e in altri contesti, come le Chiese di San Pietro e di Santo Stefano, nella regione è presente in una collezione privata nei dintorni di Gubbio, a Castel Rigone, Città della Pieve, Civitella Benazzone, Deruta e Terni. Dati biografici degli artisti

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3.2 Alunno Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno: Foligno PG, documentato dal 1447 - 1502 È uno degli artisti più rappresentativi della regione e fra i più fedeli prosecutori del linguaggio espressionistico e tardo-gotico, autenticamente umbro. Al contempo però si dimostra attento alla lezione di vari pittori di fuori, come i toscani Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, il veneziano, ma attivo nelle Marche, Carlo Crivelli e verso la fase tarda anche Luca Signorelli. Fu a capo di un’importante bottega attiva per decenni, portata poi avanti dal figlio Lattanzio di Niccolò. La sua diffusa presenza nei musei esteri - dalla Pinacoteca Vaticana, a cui appartiene il polittico analizzato alla scheda 2.1, a varie istituzioni austriache, francesi, inglesi, statunitensi, tedesche e ungheresi - da sola indica il grande apprezzamento, già consolidato quando l’artista era in vita, visto che riceveva importanti commissioni anche dalle Marche. La presenza in Umbria è consistente e diffusa, con la massima concentrazione a Foligno. Si riscontra ad Alviano, Assisi, Bastia, Cannara, Deruta, Gualdo Tadino, Lugnano in Teverina, Montefalco, Nocera, Perugia, Spello, Spoleto e Terni, tanto da consentire un itinerario articolato, che si estende quasi all’intera regione. Il suo continuo spostarsi fra Umbria e Marche lo collega idealmente al Parco di Colfiorito, l’emergenza naturalistica maggiore del percorso umbro-marchigiano. 3.3 Anonimo giottesco Umbria: attivo attorno alla metà del secolo XIV Probabilmente è da ricondurre al gruppo di pittori umbri due-trecenteschi formatisi direttamente nel cantiere di Assisi o a quelli delle generazioni successive influenzati dalle eccezionali testimonianze lasciate dagli artisti di gran rinomanza coinvolti nella decorazione del Sacro Convento di San Francesco. La croce sagomata e dipinta - ritenuta perduta e ricomparsa nella collezione statunitense - presentata alla scheda 2.2, non è stata oggetto di studi approfonditi e pertanto è impossibile al momento definire i contorni d’una personalità artistica ancora sfuggente, ma significativa, perché attiva in un momento di particolare importanza per la formazione di scuole figurative umbre autonome. L’artista mostra analogie con i prodotti di altri pittori distribuiti fra Assisi e Spello, poli del Parco del Monte Subasio. 3.4 Barocci Federico Barocci: Urbino PU, 1535 - 1612 Di certo è il pittore più importante delle Marche fra Cinquecento e Seicento. La sua formazione non è nota, ma senz’altro da spiegare con l’ambiente dei della Rovere, ricco di personalità artistiche di rilievo e di varia provenienza, tali da mettere in contatto il giovane Federico con un ampio ventaglio d’innovazioni. La prima immersione in un ambiente esterno di gran vitalità culturale è il viaggio a Roma, dove lavora accanto ad altri artisti per Pio IV. Nella capitale pontificia non si tratterrà a lungo, in quanto la sua atmosfera più congeniale era quella di Urbino, dove restò per tutta la vita, salvi sporadici e temporanei allontanamenti. Se il suo primo punto di riferimento fu il Correggio, ben presto Barocci raggiunse una propria cifra stilistica d’altissima qualità, che ne fece uno dei pittori più ricercati, al quale l’isolamento a Urbino non impedì di ricevere commesse prestigiose da varie parti d’Italia. A questa fama indiscussa e consolidata si deve l’invito a Perugia, dove dipinse la Deposizione dalla croce per il Nobile Collegio della Mercanzia, visibile nella cappella tuttora in giuspatronato dell’antica istituzione nella Cattedrale di San Lorenzo. L’approdo nella città umbra è a monte di varie opere destinate a collezioni private, a cui apparteneva anche il Riposo nella fuga in Egitto - poi pervenuto alla Pinacoteca Vaticana e discusso alla scheda 2.3 - e una serie di altri dipinti, anch’essi migrati, la cui traccia profonda però resta nelle numerose copie, tuttora visibili in collezioni private perugine, e nell’influsso esercitato sui pittori umbri anche dopo la sua scomparsa. 3.5 Benedetto da Maiano Benedetto di Leonardo di Antonio: Maiano FI, 1442? - Firenze, 1497 Fratello e collaboratore di Giuliano, fu in parte messo in ombra dalla maggiore personalità di quest’ultimo, di dieci anni più grande, che lo iniziò all’arte della tarsia lignea. La sua attività principale resta però la scultura, di cui lasciò ampie testimonianze in varie città d’Italia, non ultima Napoli, dove fu attivo per la famiglia reale, grazie alla quale ricevette commissioni anche dal ramo degli Angioini in Ungheria. In area umbra gli è tradizionalmente attribuita la statua di terracotta dorata della Giustizia nella nicchia in alto nella Sala dell’Udienza del Nobile Collegio del Cambio a Perugia, collocata in sede nel 1493. 3.6 Benozzo Gozzoli Benozzo di Lese di Sandro: Firenze, circa 1421 - Pistoia, 1497 Il soprannome Gozzoli, ormai consolidato, si deve a Giorgio Vasari, che non ne dà spiegazioni. La sua formazione, composita e debitrice nei confronti di vari artisti, vede comunque i due punti di riferimento principali in Beato Angelico e Lorenzo Ghiberti, con i quali collabora in più occasioni in cantieri fiorentini importanti, come il Convento di San Marco e le porte bronzee del Battistero. Il suo arrivo in Umbria è legato al ruolo di aiutante principale del Beato Angelico, chiamato a Orvieto per la frescatura della Cappella di San Brizio. Dopo il passaggio a Roma e un periodo di attività sempre accanto all’Angelico in Vaticano, il sodalizio si scioglie e Benozzo torna in Umbria, forse sperando di vedersi affidato il completamento della cappella orvietana, lasciata interrotta. Troverà invece terreno molto fertile a Montefalco, dove avrà occasione di produrre numerose opere su tavola e su muro, fra cui la magnifica Madonna della cintola - poi donata a Pio IX e ora alla Pinacoteca Vaticana - di cui si occupa la scheda 2.4. 220

Dati biografici degli artisti


Malgrado vendite, donazioni e spoliazioni, l’eredità gozzolesca in Umbria è consistente e diffusa, con la massima concentrazione a Montefalco, dove l’artista è ben rappresentato nelle Chiese di San Fortunato e di San Francesco, quest’ultima largamente nota per le inarrivabili Storie di san Francesco affrescate nella cappella absidale. Restano poi significative testimonianze ad Assisi, Foligno e Orvieto; poi la Pala della Sapienza Nuova a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Infine a Terni nella Pinacoteca Comunale Orneore Metelli lo Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria, proveniente dalla chiesa di Colle dell’Oro e a Narni l’Annunciazione nel Palazzo Comunale. 3.7 Bernardino di Mariotto Bernardino di Mariotto dello Stagno: Perugia, documentato dal 1497 - 1566 Non si hanno notizie sulla sua formazione, ma la prima opera destinata al Duomo di Gualdo Tadino, datata 1497, purtroppo perduta, fu realizzata in collaborazione con Lorenzo d’Alessandro, il pittore di San Severino Marche, di cui Bernardino nel 1502 ereditò casa e bottega. Quindi probabilmente l’artista marchigiano fu uno dei suoi primi maestri. Non di meno un’altra opera, datata 1498, è molto simile ai dipinti di Fiorenzo di Lorenzo, che potrebbe averlo iniziato per primo alla pittura a Perugia, dove risiedevano entrambi, mentre Lorenzo sarebbe subentrato in un secondo tempo. A San Severino, dove visse quasi venti anni, diede vita a un’abbondante produzione contrassegnata da un vistoso arcaismo e un calligrafismo decorativo ancora gotico, che rimarranno i tratti distintivi del suo linguaggio, anche quando nel secondo decennio del Cinquecento, cercò di accostarsi ai modi di Perugino e Pinturicchio. Dopo il ritorno a Perugia nel 1521, sarà Signorelli ad attrarre la sua attenzione senza peraltro allontanarlo troppo dal gusto tardo-gotico a cui era profondamente legato, che nella fase finale riemerge in primissimo piano, accentuato dal ricorso senza risparmio all’oro e all’argento in foglia, alle aureole e alle corone a rilievo in pastiglia, alle pietre semipreziose e ai vetri colorati incastonati nella materia pittorica. Dato il lungo soggiorno marchigiano, di cui restano ampie testimonianze, in Umbria non produsse molte opere; dell’artista non di meno resta un corredo apprezzabile, distribuito fra Bastia, Foligno, Perugia e Ponte Felcino, a cui va aggiunto almeno uno splendido Cristo risorto fra angeli in collezione privata. Sebbene sia stato oggetto in tempi recenti di studi approfonditi, una parte del suo catalogo offre ancora spazio a discussioni attributive, come la Madonna con il Bambino e i Magi della Pinacoteca Vaticana - esposta alla scheda 2.5 - di regola non registrata fra le sue opere. 3.8 Berto di Giovanni Berto o Alberto di Giovanni di Marco: Perugia, documentato dal 1488 - 1529 I primi passi forse li mosse nella bottega del Perugino, per poi diventare amico, collaboratore e fiduciario di Raffaello. I due artisti rimarranno i punti di riferimento costanti d’una produzione diseguale, non priva però di prodotti di qualità, che lo vede spesso utilizzare disegni di altri maestri. Gli stretti legami con pittori di maggiore livello probabilmente si devono alla sua abilità a muoversi nel campo delle committenze e alla sua efficienza nel disbrigo degli affari. Il suo catalogo al momento contiene solo una ventina di opere, ma è probabile che altre siano nascoste sotto erronee attribuzioni, come l’Ultima cena a Berlino - presentata alla scheda 2.6 - a giudizio dell’istituzione proprietaria da assegnare a un altro pittore perugino. In Umbria la sua produzione è presente ad Assisi, Orvieto, Perugia, Petrignano d’Assisi e Sant’Enea. Di alcune opere migrate all’estero o ancora in Italia, ma fuori dei confini umbri, si sa che provenivano dal perugino Palazzo Alfani, dove Berto aveva prodotto cicli di affreschi e da Montone, dove nella Chiesa di San Francesco c’era una pala ora divisa fra diverse istituzioni museali. 3.9 Bonfigli Benedetto Bonfigli: Perugia, documentato dal 1445 - 1496 Rappresenta un’autentica svolta nella pittura perugina, perché dopo un’iniziale formazione tardo-gotica comune agli artisti concittadini del suo tempo, la lezione di Domenico Veneziano e del Beato Angelico, apportatori in Umbria delle grandi innovazioni elaborate a Venezia e Firenze, gli permette di approdare a un linguaggio molto più articolato e complesso dei suoi colleghi, tanto da diventare il protagonista della pittura perugina. Il suo non comune livello viene ben presto apprezzato anche fuori della regione, come provano gli incarichi offertigli dalla corte pontificia. La sua produzione comprende piccole opere su tavola da devozione privata, gonfaloni processionali su tela e grandi cicli di affreschi. La sua eredità è ben distribuita in Umbria fra Castelleone di Deruta, Civitella Benazzone, Corciano, Fontignano, Montecolognola, Spina e infine Perugia, dove c’è la concentrazione maggiore, che culmina negli affreschi della Cappella dei Priori nel Palazzo Comunale, ora inserita nel percorso della Galleria Nazionale dell’Umbria. 3.10 Burri Alberto Burri: Città di Castello PG, 1915 - 1995 È uno degli artisti che, grazie alla dilagante presenza in musei e collezioni di tanti paesi esteri, ha contribuito in misura consistente a riportare l’Umbria alla ribalta internazionale. Le due maggiori concentrazioni delle sue opere a Città di Castello costituiscono due assi portanti del sistema museale dell’intera regione. Se gli ex Essiccatoi del tabacco sono un intelligente esempio di archeologia industriale, la composta lineare bellezza del quattrocentesco Palazzo Albizzini, un tempo dimora dei committenti del raffaellesco Sposalizio della Vergine, chiude il cerchio e salda la contemporaneità al Rinascimento. L’artista si caratterizza per un uso molto personale dei materiali, come avviene nei cretti, dei quali un esempio famoso è presentato alla scheda 2.8. Dati biografici degli artisti

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3.11 Camassei Andrea Camassei: Bevagna PG, 1602 - Roma, 1649 Di nobile famiglia mevanate, attorno al 1625 si trasferì a Roma, dove sembra abbia lavorato nella bottega del Domenichino. Ben presto riuscì a entrare nel giro dei pittori di Urbano VIII, a fianco di Pietro da Cortona e Andrea Sacchi. Del legame e della conseguente collusione stilistica con quest’ultimo, resta traccia nella confusione attributiva che emerge anche nel caso dell’opera - a cui è dedicata la scheda 2.9 - dal Kunsthistorisches Museum di Vienna assegnata, impropriamente, ma non senza motivo, a Sacchi. Oltre ai due maestri ricordati, Camassei risente anche dell’influsso di Nicolas Poussin, soprattutto nella resa dei paesaggi. Malgrado il successo romano, provato dalla presenza di suoi dipinti nelle chiese più importanti della città, non interruppe mai i contatti con Bevagna, dove si conservano tuttora alcune opere, che esercitarono un certo influsso sui pittori locali, introducendo in Umbria le ultime novità del filone classicista dominante nella capitale. Il suo legame con i Barberini fu un’arma a doppio taglio; infatti, dopo la morte di Urbano VIII e la momentanea eclissi della famiglia del pontefice, Camassei passò in secondo piano, pur riuscendo comunque a ottenere qualche commissione anche dagli oppositori dei Barberini, i Pamphilj. Oltre a Bevagna, Camassei è presente a Foligno con una Santa Caterina d’Alessandria nel monastero omonimo, a Perugia nella Fondazione Cassa di Risparmio con Caino che uccide Abele, infine a Spello con un Presepe nella Chiesa di San Lorenzo e una Crocifissione con i santi Bonaventura, Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova nella chiesa di Santa Caterina di Valcelli. Se però si aggiungono le opere di dubbia attribuzione, l’elenco si estende anche ad altre località umbre. 3.12 Cerrini Gian Domenico Cerrini, detto il Cavalier Perugino: Perugia, 1606 - Roma, 1681 Probabilmente allievo di Giovanni Antonio Scaramuccia, passò ben presto a Roma e nelle prime opere sono evidenti le difficoltà ad armonizzare il sostrato culturale perugino con le lezioni di Reni e Domenichino, emiliani, ma al momento dominatori della scena artistica romana. Già negli anni Quaranta però l’artista mostra un perfetto allineamento alla più aggiornata pittura romana, militando sul versante classicistico e non su quello barocco, con il quale avrà però non poche tangenze in momenti successivi. Ben radicato nell’ambiente romano, l’abbandonò temporaneamente per un soggiorno fiorentino, a cui si devono numerose opere, quasi tutte prodotte per i Medici o il loro entourage. La prolungata attività nelle due capitali, quella pontificia e quella granducale, spiega la scarsa presenza di suoi dipinti nella regione. Non di meno vanno ricordati a Perugia almeno i due conservati nella Chiesa di San Pietro: una Madonna del latte e un San Giovanni Battista; una Sacra Famiglia con sant’Anna e il piccolo san Giovanni nella Galleria Nazionale proveniente da una collezione privata e un Apollo e la Sibilla Cumana, battuto nel 2004 a un asta a New York, rientrato in Italia e infine acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, che possiede anche una Sacra Famiglia con due angeli e il piccolo san Giovanni, in più una versione della cosiddetta Carità Romana, un tempo a Todi a Palazzo Pongelli. A questo gruppo di dipinti ne vanno infine aggiunti altri in collezioni private, nonché alcuni disegni nel Gabinetto Disegni e Stampe dell’Accademia di Belle Arti di Perugia. 3.13 Dottori Gerardo Dottori: Perugia, 1884 - 1977 Il pittore è una figura fondamentale nel panorama umbro del Novecento, anche perché la docenza all’Accademia di Belle Arti gli permise di creare un certo numero di allievi e seguaci. È interessante anche la vicenda biografica, che lo vide strettamente legato al Fascismo, ispiratore di vari dipinti dell’artista, legame che provocò la sua temporanea eclissi nel dopoguerra e anche la parziale manomissione di qualche opera di più chiaro allineamento alla politica del regime passato. Fu l’araldo del Futurismo in Umbria e non approdò mai alla pittura informale. Sue testimonianze sono presenti nella regione in collezioni pubbliche e private, ma la maggiore concentrazione è a Perugia a Palazzo della Penna, dove il numero dei dipinti è tale da consentire una visione organica dell’intero percorso artistico. I dipinti murali, per la stragrande maggioranza ancora nelle destinazioni originarie, permettono di costruire un articolato itinerario umbro, che si snoda fra Bettona, Foligno, Magione, Marsciano, Monte Vibiano Vecchio, Montecolognola, Montesperello, Passignano sul Trasimeno, Perugia, Todi, Tuoro sul Trasimeno, Vasciano e altre località. Queste opere, distribuite in un arco cronologico molto lungo - dal primo decennio fin dopo la metà del Novecento - presentano interesse sia iconografico per la varietà e l’originalità dei temi, sia in termini di storia sociale dell’arte per la diversità della committenza, laica, religiosa, pubblica e privata. 3.14 Fiorenzo di Lorenzo Fiorenzo di Lorenzo di Cecco: Perugia, 1440 circa - prima del 1525 Il pittore, un tempo ritenuto un protagonista nella vita artistica perugina della seconda metà del Quattrocento, è stato oggetto di una grande revisione che ne ha contratto fortemente il catalogo. Non di meno fu attivo per molti decenni e nella sua bottega passarono vari artisti destinati a grandi carriere, come il Pinturicchio e forse Antoniazzo Romano. Attraverso la collaborazione con Sante di Apollonio del Celandro, entrò in contatto anche con il mondo figurativo di Andrea Mantegna. La sua attuale presenza in Umbria si concentra quasi tutta a Perugia nella Galleria Nazionale, dove è esposta una decina di dipinti di varia provenienza, fra cui primeggiano il Polittico di Santa Maria Nuova e il Trittico della Giustizia, ma è presente anche a Bettona, Fratticiola Umbra e Montelabate con affreschi eseguiti in qualche caso con l’aiuto del fratello Bernardino di Lorenzo.

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Dati biografici degli artisti


3.15 Francesco di Giorgio Francesco di Giorgio Martini: Siena, 1439 - 1501 Personalità eccezionale per gli interessi poliedrici e la solida formazione culturale, fu pittore, scultore, architetto e ingegnere militare, apprezzato ben oltre la città nativa. La sua presenza in Umbria è legata all’appartenenza di Gubbio e del territorio dell’attuale Parco del Monte Cucco al Ducato di Urbino, dove Francesco di Giorgio fu attivo in importanti imprese. I suoi disegni, poi tradotti in tarsie lignee nello Studiolo del Palazzo Ducale di Gubbio - di cui si occupa la scheda 2.13 - dai fratelli fiorentini Giuliano e Benedetto da Maiano, ebbero a lungo grande influenza sulla decorazione lignea dell’Italia centrale. Alla sua attività d’ingegnere militare si deve il rivellino di Costacciaro, avamposto fortificato di Gubbio, elemento fondamentale del sistema difensivo voluto dal Duca d’Urbino. A Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria si conserva uno splendido bassorilievo in bronzo, ritenuto per tradizione dono del conte russo Dmitrij Buturlin, cugino dei Conestabile della Staffa, quindi in stretto contatto con Perugia. La circostanza però, sebbene plausibile, non trova conferma nei documenti. L’opera è d’incerta datazione, ma d’indiscussa autografia e d’alta qualità formale. Un’ipotesi, di difficile verifica, ma storicamente fondata, vede in Francesco di Giorgio Martini il regista a capo della ‘Bottega del 1473’, che produsse le celebri e studiatissime Tavolette di San Bernardino a Perugia un tempo nella Chiesa di San Francesco al Prato e ora nella Galleria Nazionale dell’Umbria. 3.16 Giuliano da Maiano Giuliano di Leonardo di Antonio: Maiano FI, 1432 - Napoli, 1490 Il padre era falegname e scalpellino. Il suo primo lavoro risale al 1451 ed è l’incorniciatura lignea, a foggia di tabernacolo, per una Madonna da capoletto. La bottega di legnaiolo, che gestiva con i fratelli Benedetto e Giovanni, era in Via dei Servi e risulta menzionata per la prima volta nel 1469. Il lavoro dovette procurare agiatezza ai da Maiano, come dimostrano acquisti di case e terreni. È provato che utilizzavano i disegni di pittori affermati, fra cui Alesso Baldovinetti e Maso Finiguerra. L’attività di Giuliano, oltre che a Firenze, è attestata a Napoli, Loreto, Recanati e altre città. Dei fratelli attivi in bottega sono documentati i rapporti con Federico da Montefeltro. Giuliano, ritenuto il più grande intarsiatore in legno, assieme a Baccio Pontelli, a Firenze nella seconda metà del Quattrocento, fu coinvolto nello Studiolo del Palazzo Ducale di Gubbio su probabile suggerimento dello stesso Francesco di Giorgio Martini o di qualche altro artista della corte di Urbino, nella ricerca dell’eccellenza del prodotto finito. È anche l’autore del coro ligneo del Duomo di Perugia, concluso nel 1491 e tuttora visibile nella cattedrale. 3.17 Gualaccini Umberto Gualaccini: Perugia, 1863 - 1937 Dovette cominciare a dipingere giovanissimo, se a diciassette anni poteva firmare un Autoritratto, ammirevole per la qualità pittorica e la non comune resa psicologica, ma il decollo avvenne quando fu premiato per un quadro di soggetto storico, Il patriota Francesco Guardabassi visitato dalla famiglia nel carcere di Civita Castellana, conservato a Perugia nel Museo Civico di Palazzo della Penna. Nonostante l’inevitabile allineamento alla pittura ufficiale del tempo, nel dipinto trapela già la sensibilità che il pittore saprà donare sempre alle sue figure. Ben presto l’eleganza del suo linguaggio ne fece il favorito dell’alta committenza per la decorazione di ville, palazzi e chiese, tuttora visibili in varie località della regione. Lasciò pertanto testimonianze determinanti della cultura figurativa umbra fra Ottocento e Novecento a Perugia a Villa Fani e nei Palazzi Danzetta, Cesaroni e Servadio, nel circondario nelle ville Gallenga al Mandoleto, Valigi a San Mariano e Friggeri a Passignano. A quest’attività appartengono anche le pitture murali della chiesa parrocchiale di Montemelino, dove Gualaccini, su commissione dei Conestabile della Staffa, dipinse la Madonna di Lourdes, alla quale è dedicata la chiesa, al cui interno è stata ricostruita la grotta di Massabielle. La Vergine in gloria è circondata dai quattro santi patroni della chiesa e del paese: san Macario, san Pasquale Baylon, san Pietro Martire e sant’Antonio da Padova. La dedica ai quattro santi predetti è attestata prima del 1736, data che si legge su una tela proveniente dalla chiesa più antica, in cui un’iscrizione recita “Francesco di Evangelista e Andrea di Giulio fecero l’anno 1736”. Al di là della varietà dei soggetti, il suo interesse principale è la bellezza semplice e nascosta, che lo porta a donare ai dipinti una raffinata connotazione lirica, come provano Le educande, a cui è dedicata la scheda 2.14. 3.18 Luti Benedetto Luti: Firenze, 1666 - Roma, 1724 Dopo una prima formazione fiorentina, arricchita da evidenti richiami a Pietro da Cortona, passa a Roma ed entra nell’orbita di Carlo Maratta. Diventa ben presto un protagonista della pittura romana, elaborando un linguaggio personale, che lo affranca dal maestro marchigiano. L’affermazione incontrastata gli valse l’ingresso all’Accademia di San Luca, di cui nel 1720 è nominato principe. All’attività di pittore affiancò anche quella di collezionista e ben presto mise insieme una gran raccolta di stampe, disegni e quadri, meta delle visite di molti appassionati. La sua pittura immateriale e rarefatta, abilmente sospesa fra Rococò e Neoclassicismo, trovò un mezzo espressivo ideale nei pastelli su carta, il cui piccolo formato e la rapidità d’esecuzione gli assicurarono il favore dei collezionisti. Un esempio di questo genere, particolarmente riuscito è presentato alla scheda 2.15. A Perugia si segnala un suo bozzetto alla Galleria Nazionale dell’Umbria, che raffigura Gesù in casa del Fariseo, proveniente dalla Collezione Carattoli.

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3.19 Maestro del Tondo di Cortona Umbria, attivo fra fine Quattrocento e primo Cinquecento La formula onomastica indica un artista non identificato, attivo in Umbria e Toscana fra il Quattrocento e il Cinquecento con chiari influssi perugineschi e pinturicchieschi. Il suo catalogo è formato da appena otto dipinti, ai quali però va sottratto almeno un titolo, per l’evidente appartenenza a un’altra mano. Data l’esiguità della produzione riveste particolare importanza il reperimento della Madonna con il Bambino, inedita, presentata alla scheda 2.16. Allo stato attuale degli studi in Umbria sembra attestato da un’unica opera: la Madonna con il Bambino in trono fra le sante Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria nella Collezione Ranieri di Sorbello, in cui la stretta aderenza agli schemi compositivi del Perugino è evidente, così come il raffinato decorativismo pinturicchiesco. 3.20 Maestro di Fossa Umbria meridionale, attivo attorno alla prima metà del Trecento Etichetta convenzionale sotto la quale è raccolta una quindicina di opere assegnabili alla mano d’un artista di grandi capacità, operoso nell’Umbria meridionale fino a sconfinare nell’Alto Lazio e in Abruzzo. Forse formatosi nell’ambiente dei seguaci di Giotto, crea un linguaggio che influenza i pittori spoletini fino alla metà del secolo XV. In Umbria la concentrazione maggiore delle sue testimonianze è a Spoleto e in centri vicini come Trevi, Lenano e Campello Alto, dove si trovano affreschi riconducibili alla sua mano. Un tempo era presente anche a Montefalco, da dove proviene l’opera analizzata alla scheda 2.17. 3.21 Mariano di Ser Austerio Mariano di Ser Austerio: Perugia, documentato dal 1493 - prima del 1547 Comincia il suo apprendistato nella bottega del Perugino, a cui resta fedele a lungo, finché non si avvicina forse a Bernardino di Mariotto, ma soprattutto allo Spagna, con il quale la collaborazione è provata da opere eseguite parte dall’uno e parte dall’altro. Ai primi del Cinquecento è evidente una collusione con Raffaello e un indizio dei legami con l’entourage raffaellesco è offerto dal fatto che nel 1523 è procuratore a Perugia di Giulio Romano, il più noto e valido allievo dell’urbinate. Della sua produzione in Umbria, tutta concentrata a Perugia, con l’eccezione di Olmeto, la cui Chiesa della Madonna delle Grazie ospita una pala d’altare, restano il paliotto dell’altare della Cappella di San Giovanni Battista al Nobile Collegio del Cambio, affreschi nelle due Chiese di Sant’Agostino e della Madonna della Luce, infine tre opere nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Il dipinto - approdato alla Pinacoteca Vaticana e descritto alla scheda 2.18. - riveste particolare importanza, perché databile con precisione al 1493, anno in cui si registra la prima menzione certa del pittore. 3.22 Matteo da Gualdo Matteo di Pietro di Giovanni: Gualdo Tadino PG, 1430/1435 - dopo il 1507 L’artista, a cui l’esercizio d’incarichi politici e amministrativi non impedì di realizzare una consistente produzione pittorica, è largamente rappresentato in Umbria. La maggiore concentrazione a Gualdo Tadino con una dozzina di dipinti è affiancata da una nutrita presenza ad Assisi, Boschetto, Capraia, Casa Castalda, Grello, Nocera, Palazzo d’Assisi, Perugia, Pieve di Compresseto, Rocca Sant’Angelo, San Pellegrino e Sigillo, a costruire un itinerario suggestivo fra arte e natura in gran parte coincidente con i due Parchi del Monte Cucco e del Monte Subasio. L’opera - presentata alla scheda 2.19 e conservata ad Altenburg nel Lindenau Museum - è attribuita a Matteo da Gualdo solo dall’istituzione proprietaria; pone pertanto il problema di ulteriori ricerche sull’artista e sulla sua scuola. 3.23 Nelli Ottaviano di Martino Nelli: Gubbio PG, 1370 circa - 1444 All’interno della tradizione tardo-gotica riuscì a creare un suo linguaggio originale, destinato a gran fortuna, grazie a numerosi allievi e seguaci. La sua attività si svolse fra l’Umbria e le Marche, dove ebbe modo di entrare in contatto con Gentile da Fabriano e i fratelli Salimbeni. Le sue opere, diffuse anche in collezioni estere, sono conservate in gran numero nella regione e tuttora visibili ad Assisi, Città di Castello, Foligno, Fossato di Vico, Gubbio e Perugia. Da questo ricco corredo pittorico emergono per l’ampiezza e l’importanza tre cicli di affreschi: a Fossato di Vico le Storie evangeliche e santi di Santa Maria della Piaggiola, in cui un tempo si leggeva la firma del pittore, le Storie della Vergine a Foligno nella Cappella di Palazzo Trinci e le Storie di sant’Agostino nell’omonima chiesa di Gubbio. L’Adorazione dei Magi - discussa alla scheda 2.20, conservata nell’Art Museum di Worcester - è il probabile pannello di un polittico, di cui altri due sono approdati ad Avignone e in Vaticano. Il dipinto prova l’eleganza e la ricchezza di riferimenti che connotano il linguaggio del pittore eugubino. 3.24 Pellegrini Vincenzo Pellegrini, detto il Pittor Bello: Perugia, 1575 circa - 1612 Fu il principale pittore perugino fra la fine del Cinquecento e il primo Seicento, la cui carriera fu bruscamente interrotta, perché assassinato. Il suo 224

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apporto al patrimonio artistico umbro è tutto concentrato a Perugia e affidato generalmente a tele di notevoli dimensioni: l’Immacolata Concezione fra i santi Michele Arcangelo e Maria Maddalena nella Chiesa di San Filippo Neri, la Gloria di San Benedetto nella Galleria Nazionale dell’Umbria, l’Antiporta della matricola nel Nobile Collegio del Cambio, la Pala d’Ognissanti nella Chiesa della Compagnia della Buona Morte e la Natività della Vergine nella Cattedrale di San Lorenzo; creduta una volta di altri pittori perugini, fu invece commissionata a Pellegrini da Annibale Floramonti per la Chiesa Parrocchiale di Villa Pitignano. 3.25 Pellegrino di Giovanni Pellegrino di Giovanni di Antonio: Perugia, 1395 circa - documentato fino al 1437 Il gran pittore, certamente il massimo esponente dello stile tardo-gotico a Perugia, rappresenta un vero problema, in quanto documentato per pochi anni e al momento con un catalogo accettato di appena quattro titoli, a cui è possibile aggiungerne pochi altri. In Umbria restano a Perugia un trittico con la Madonna con il Bambino in trono, due angeli e i santi Francesco e Antonio Abate, proveniente dal convento francescano del Farneto e a Foligno gli affreschi di alcuni ambienti di Palazzo Trinci, di grande importanza per la prestigiosa committenza e, dal punto di vista iconografico, per i soggetti profani, non comuni nell’Umbria del tempo. La relativamente recente attribuzione al pittore del San Michele arcangelo - approdato a Boston nel Museum of Fine Arts e presentato alla scheda 2.22 - apporta un contributo non indifferente al ristrettissimo catalogo dell’artista, che l’attività a Palazzo Trinci da sola designa come una personalità di gran rilievo. 3.26 Perugino Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino: Città della Pieve PG, 1449/1451 - Fontignano PG, 1523 Sebbene di riconosciuta e indiscussa formazione fiorentina, è l’artista automaticamente associato alla migliore stagione della pittura umbra. Dotato di eccezionali capacità manageriali e gran senso degli affari, grazie a una bottega retta da un ferrea organizzazione, riuscì a produrre un numero molto elevato di dipinti, di cui in Umbria resta una parte considerevole, anche perché completamente nella regione si esercitò la fase finale della sua produzione. Malgrado ripetute vendite e spoliazioni, la sola Galleria Nazionale dell’Umbria offre un corredo eccezionale di opere dell’artista, dislocate a varie altezze cronologiche, a cui vanno aggiunti gli affreschi del Nobile Collegio del Cambio, del Monastero di Sant’Agnese, della Chiesa di San Severo, infine alcuni dipinti su tavola nella Chiesa di San Pietro, nella Collezione Ranieri e nella Fondazione Cassa di Risparmio. Al di fuori di Perugia le sue opere si trovano in località distribuite in quasi tutta la regione: Assisi, Bettona, Cerqueto, Città della Pieve, Corciano, Deruta, Foligno, Fontignano, Montefalco, Panicale, Spello e Trevi ad attestare un successo senza pari, ma anche una sorta di monopolio nella gestione delle commissioni. Della sua presenza in musei e collezioni di vari paesi, distribuiti in una vastissima area geografica, fanno fede le schede 2.23, 2.24, 2.25 e 2.26. 3.27 Pier Matteo d’Amelia Pier Matteo Lauro de’ Manfredi: Amelia TR, documentato dal 1467 al 1502 La prima formazione avviene nell’ambito di Filippo Lippi, con cui collabora in vari cantieri, ma soprattutto nelle Storie della Vergine, affrescate dal maestro fiorentino e squadra nell’abside del Duomo di Spoleto. Poi entra nell’orbita del Perugino con cui lavora nella Cappella Sistina, infine nel giro del Pinturicchio, che affianca negli Appartamenti Borgia. Dotato di un suo stile originale e facilmente riconoscibile, ha un catalogo consistente distribuito in varie sedi estere, di cui un esempio è la Madonna con il Bambino in trono - Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, discussa alla scheda 2.27 - parte centrale di un polittico proveniente dalla Chiesa di Sant’Agostino di Orvieto. In Umbria, oltre agli interventi accanto a Filippo Lippi nei ricordati affreschi nella cattedrale spoletina, si conservano opere ad Amelia, Cascia, Narni, Orvieto e Perugia. Un caso a parte è rappresentato dal grande Polittico, vera pietra miliare nel suo percorso, perché datato e documentato, un tempo a Terni nella Chiesa di San Francesco e ora nella Pinacoteca Comunale Orneore Metelli della stessa città. 3.28 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, detto il Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 Fu attivo per lunghi anni a Roma e Siena; nelle due città infatti è tuttora concentrata la gran parte della produzione, affidatagli dalla più alta committenza. In Umbria si conservano la Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni nel Museo Diocesano di Città di Castello. A Perugia in Galleria Nazionale l’inarrivabile Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi, lo Stendardino di sant’Agostino con partecipazione di aiuti e la discussa Madonna degli Alberelli; sono molto probabilmente di mano sua anche due o tre delle Tavolette di San Bernardino. A San Martino in Colle gli affreschi dell’Oratorio della Madonna del Feltro. A Spello gli affreschi della Cappella Baglioni in Santa Maria Maggiore, più altre opere minori e la Madonna con il Bambino e santi nella Chiesa di Sant’Andrea. A Trevi l’incompiuta Madonna con il Bambino, in stretto e misterioso rapporto con il dipinto d’identico soggetto a Londra nella National Gallery. A Spoleto gli affreschi della Cappella Eroli nel duomo. Infine a Orvieto un evangelista e un dottore della chiesa nell’abside della cattedrale, probabilmente affrescati con largo intervento di collaboratori. Infine in mano a privati la Madonna con il Bambino della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, il Bambin Gesù delle mani della Fondazione Guglielmo Giordano e la Madonna con il Bambino, cherubini e i santi Pietro e Paolo in collezione privata. Delle tantissime opere all’estero quattro sono presentate dalle schede 2.28, 2.29, 2.30 e 2.31. Dati biografici degli artisti

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3.29 Pompeo d’Anselmo Pompeo di Anselmo di Giovanni: Perugia, documentato dal 1489 al 1517 È figlio di un pittore, con cui collabora a lavori descritti da fonti antiche e documenti. Dopo un passaggio nell’orbita del Perugino, quasi d’obbligo per i giovani artisti del tempo, si avvicina a Giannicola di Paolo e infine, grazie al sodalizio con Domenico Alfani, assimila elementi raffaelleschi. Al momento il suo catalogo consta di soli sei dipinti, a cui va aggiunta l’inedita Presentazione al tempio - in collezione privata a Madrid, di cui tratta la scheda 2.32 - che ripropone la collaborazione con Domenico Alfani, già attestata dalla Sacra Famiglia con i santi Anna, Gioacchino e Giovanni piccolo, datata 1520 o 1522 a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Le altre opere conservate nella regione si trovano nella Chiesa e nel Monastero di San Pietro a Perugia: affreschi nell’abside e decorazioni dell’organo della cantoria destra. 3.30 Raffaello Raffaello di Giovanni Santi: Urbino PU, 1483 - Roma, 1520 Dal padre pittore, nonché apprezzato letterato alla corte del Duca di Urbino, probabilmente fa in tempo ad apprendere appena i primissimi rudimenti, perché resta orfano a nove anni. La bottega paterna però dovette continuare a funzionare grazie ai collaboratori di Giovanni Santi e Raffaello può avervi fatto le prime prove. Da ridimensionare è l’alunnato alla scuola del Perugino, perché la prima attività umbra di Raffaello si volge a Città di Castello, centro urbano con cui il Perugino non ebbe mai rapporti. Dal 1500 al 1504 è stabilmente in Umbria e saltuariamente anche dal 1504 al 1508, dove produce almeno quattro opere a Città di Castello e almeno sei a Perugia. Ai dieci lavori documentati se ne aggiungeranno dopo la morte dell’artista altri due: la cosiddetta Incoronazione di Monteluce e la Madonna di Foligno. Dell’imponente eredità raffaellesca in Umbria restano lo Stendardo della Trinità a Città di Castello nella Pinacoteca di Palazzo Vitelli alla Cannoniera e gli affreschi della Chiesa di San Severo a Perugia, più qualche prodotto di aiuti e collaboratori a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria. 3.31 Rambaldi Ugo Rambaldi: Spoleto PG, 1910 - Roma, 1985 Il pittore spoletino è particolarmente rappresentativo del Novecento umbro, perché passa attraverso tre maniere distinte: dalla tersa e cesellata Natura morta con fichi d’India del 1933, quasi un omaggio di molto alta qualità all’iperrealismo caravaggesco, rivisto alla luce del rigore di Giorgio Morandi; alla scomposizione della forma e all’autonomia del colore con effetti surreali di Donna con chitarra del 1968, fino alla collusione con Burri di Senso terroso del 1960 - dipinto approdato in una lontana collezione privata estera e descritto alla scheda 2.37 - poi superata in favore di un consapevole ritorno alle sue forme espressive più congeniali, attente al disegno e alla riconoscibilità della figura, sia pure nella piena libertà della composizione. In Umbria è rappresentato da un consistente numero di dipinti e disegni in mano agli eredi, in altre collezioni private e nella Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto. 3.32 Reni Guido Reni: Bologna, 1575 - 1642 L’artista, fra i più affermati della sua epoca, svolse la propria attività per la più alta committenza fra Bologna e Roma, con interventi sporadici anche in altre città, come Napoli e Fano. L’approdo dei suoi dipinti in Umbria si deve alla fama di cui godeva già in vita, che spingeva gli intenditori d’arte a ricercarne le opere, prodotte in gran numero anche grazie a una bottega molto organizzata, per cui di alcuni quadri esistono numerose repliche. 3.33 Signorelli Luca Signorelli o Luca da Cortona: Cortona AR, 1445/1450 - 1523 Dopo una fase iniziale, quando è allievo di Piero della Francesca, di cui però non restano tracce apprezzabili, entra in contatto con gli artisti che operano a Urbino e inizia una consistente attività nelle Marche. In seguito a Firenze stringe amicizia con il Perugino, che lo vuole collaboratore nella Cappella Sistina. Dopo un’intensa attività fra Marche, Umbria e Toscana, affidata a importanti cicli di affreschi, rientra nella città natale e nell’ultima produzione si dimostra sensibile alle recenti innovazioni diffuse da Michelangelo. In Umbria è rappresentato nell’Alta Valle del Tevere fra Città di Castello, Umbertide e Morra - area da cui proviene l’Adorazione dei pastori di Londra descritta alla scheda 2.39 - a Perugia dalla Pala di sant’Onofrio nel Museo Capitolare e altre opere in Galleria Nazionale; infine nel Duomo di Orvieto dai fondamentali affreschi della Cappella di San Brizio. Ad arricchire la componente signorelliana del patrimonio artistico umbro, apporta un contributo determinante la recentissima acquisizione da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia di un dipinto su tavola di contenute dimensioni (58 x 46 cm), un Santo Stefano a mezza figura, proveniente da una collezione privata, prodotto d’altissima qualità da assegnare alla fase avanzata dell’artista.

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3.34 Spagna Giovanni di Pietro, detto lo Spagna: documentato dal 1504 - Spoleto PG, 1528 I non chiari legami con la Spagna, a cui allude il nome d’arte, non trovano riscontro nel suo linguaggio figurativo, evidentemente fondato su quello del Perugino, di cui fu l’allievo più fedele, riuscendo però ad approdare a uno stile autonomo. Ben presto dovette lasciare Perugia per lavorare nelle Marche e a Spoleto, dove chiuse i suoi giorni; nell’area spoletina infatti si riscontra tuttora la massima concentrazione delle sue opere. La sua intensa attività è affidata a un catalogo cospicuo, di cui in Umbria rimane una componente molto consistente distribuita fra Assisi, Campello Alto, Campello sul Clitunno, Caso, Eggi, Gavelli, Montefalco, Perugia, Rocca Sant’Angelo, San Giacomo di Spoleto, Scheggino, Spoleto, Terni, Todi e Trevi. A Perugia la presenza dello Spagna è molto circoscritta, ma importante, perché il Cristo portacroce nel Monastero della Beata Colomba, la più antica opera che gli possa essere attribuita, è databile prima del 1497. Molto apprezzato dal collezionismo internazionale, è presente in musei di vari paesi con opere d’elevata qualità come l’Orazione nell’orto - conservata nella National Gallery di Londra e descritta alla scheda 2.40 - che affronta un tema ricorrente nella pittura umbra del primo Cinquecento, di cui esistono versioni di vari artisti.

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3. Biographical details of the artists

3.1 Alfani Domenico di Paride Alfani: Perugia, ca 1480 - after 1553 Son of the goldsmith Paride and father of the painter Orazio, the basic element of Alfani’s figurative style derives from Raphael, who was about the same age and was his friend, as is proved by archival records and the works done in collaboration. In light of this bond, some have put forth the hypothesis, rejected by others, that it was for Domenico that Raphael painted the Conestabile Madonna - section 2.35 - the first mention of which, from the 1600s, describes it as being in the possession of the main branch of the Alfanis. Although it has not been possible to find evidence of Alfani working in Rome along with his famous friend from Urbino, it is certain that he had more than a fleeting contact with the art circles of Florence, especially with Bartolomeo della Porta, of which ample traces remain, especially in the production of the first decades of the Cinquecento. The final stage is dominated by a return to the Raphaelesque style complicated by contributions from Florentine painting, with rather cold and academic results. Among his most significant works is the Holy Family in the National Gallery of Umbria in Perugia, done in collaboration with Pompeo d’Anselmo, as well as the previously unknown Presentation at the Temple in a private collection in Madrid, shown in section 2.32. Besides the ten or so paintings concentrated at the National Gallery and other locations in Perugia, such as the churches of San Pietro and Santo Stefano, other works by Alfani in the region are found in a private collection near Gubbio and in Castel Rigone, Città della Pieve, Civitella Benazzone, Deruta and Terni. Biographical Details of the Artists

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3.2 Alunno Niccolò di Liberatore, known as Alunno: Foligno (Perugia), documented from 1447 - 1502 Alunno is one of the artists most representative of the region, and is among the most faithful practitioners of the authentically Umbrian expressionistic and late Gothic style. At the same time, however, he shows to have paid attention to the lessons of various artists from outside the area, such as Fra Angelico and Benozzo Gozzoli from Tuscany, the Venetian Carlo Crivelli, who was working in the Marche, and, at a later stage, Luca Signorelli. Alunno headed an important workshop active for decades, later carried on by his son Lattanzio di Niccolò. The presence of his works in foreign museums - from the Vatican Pinacoteca, which holds the polyptych analyzed in section 2.1, to various institutions in Austria, France, England, the United States, Germany and Hungary - alone tells us how great his reputation was, already established during his lifetime, as can be seen by important commissions he received from the Marche. A large number of Alunno’s works are in Umbria, with the greatest concentration in Foligno. Other towns where they are found include Alviano, Assisi, Bastia, Cannara, Deruta, Gualdo Tadino, Lugnano in Teverina, Montefalco, Nocera, Perugia, Spello, Spoleto and Terni, forming an extensive itinerary that covers almost the entire region. His continuous traveling between Umbria and the Marche links him ideally with Colfiorito Park, the finest natural setting on the route connecting these regions. 3.3 Anonymous follower of Giotto Umbria: active in about the mid 14th century This artist can probably be traced to the group of 13th/14th-century Umbrian painters who received training directly in Assisi or to painters from later generations influenced by the exceptional works left by those artists of great renown involved in the decoration of the Sacred Convent of St. Francis. The painted cross presented in section 2.2 - considered lost and then reappearing in the American collection - has not been closely studied and therefore it is impossible at present to sketch a profile of an artistic personality that is evasive, but significant, because he was active at a moment of particular importance for the forming of independent Umbrian figurative schools. The artist shows similarities with the works of other painters found in Assisi and Spello, the poles of Mt. Subasio Park. 3.4 Barocci Federico Barocci: Urbino (Pesaro-Urbino), 1535 - 1612 Barocci is unquestionably the most important painter from the Marche in the 1500-1600s. It is not known where he learned to paint, but it definitely had to do with the circles of the della Rovere family, abounding in important art talents from various areas, putting the young Federico into contact with a wide range of artistic innovations. His first immersion into an outside environment of great cultural vitality occurred when he traveled to Rome, where he worked alongside other artists for Pius IV. He did not remain long at the papal capital, finding a more congenial atmosphere in Urbino, where he remained for the rest of his life, apart from occasional brief trips outside the area. Initially influenced by Correggio, the talented Barocci soon arrived at his own exquisite style, making him one of the most sought-after painters, whose isolation in Urbino didn’t prevent him from receiving prestigious commissions from many parts of Italy. This undisputed fame owed to his invitation to paint the Descent from the Cross for the Merchants’ Guild, now in the chapel still under the patronage of that ancient institution in the Cathedral of San Lorenzo in Perugia. Barocci’s arrival in this town led to many works for private collections, to which belonged also the Rest on the Flight into Egypt - which later ended up in the Vatican Pinacoteca and is discussed in section 2.3 - and a series of other paintings. Although these have also migrated, traces of them remain in the numerous copies made, still found today in private collections in Perugia, and in his influence on Umbrian painters after his death. 3.5 Benedetto da Maiano Benedetto di Leonardo di Antonio: Maiano (Florence), 1442? - Florence, 1497 The brother and collaborator of Giuliano, he was partly overshadowed by the stronger personality of his brother, who was ten years older and who started him in the art of wooden marquetry. He was mainly a sculptor, however, leaving many works in various towns in Italy, not the least of which was Naples, where he was employed by the royal family, through which he also received commissions from the Hungarian branch of the Angevins. In Umbria, he is traditionally attributed with the gilt terracotta statue of Justice placed in 1493 in the upper niche of the Sala dell’Udienza in the Nobile Collegio del Cambio in Perugia. 3.6 Benozzo Gozzoli Benozzo di Lese di Sandro: Florence, ca 1421 - Pistoia, 1497 His nickname Gozzoli, by which he is known, was bestowed on him by Giorgio Vasari, who gives no explanation for it. Benozzo owes his early training to a number of artists, the most influential of which were Fra Angelico and Ghiberti, with whom he worked on several occasions at important sites in Florence, such as the Convent of San Marco and the bronze doors of the Baptistery. His arrival in Umbria is connected mainly with his position as chief assistant to Fra Angelico, who had been called to Orvieto to fresco the San Brizio Chapel. After going to Rome for a period working alongside Fra Angelico in the Vatican, their association came to an end and Benozzo returned to Umbria, perhaps hoping to receive the commission to complete the chapel in Orvieto, which had been left unfinished. Instead he found fertile soil in Montefalco, where he had the opportunity to produce many 230

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panel and fresco paintings, including the magnificent Madonna of the Girdle - later donated to Pius IX and now in the Vatican Pinacoteca - described in section 2.4. Despite sales, donations and spoliations, Gozzoli’s legacy in Umbria is considerable and widespread, with the greatest concentration of works in Montefalco, where he is well represented in the churches of San Fortunato and San Francesco, the latter widely known for the unsurpassable Stories of St. Francis cycle frescoed in the apse. Other important works include those found in Assisi, Foligno and Orvieto, and the Sapienza Nuova altarpiece in the National Gallery of Umbria in Perugia. Lastly, in the Pinacoteca Comunale Orneore Metelli in Terni we find the Mystical Marriage of Saint Catherine of Alexandria, originally in the Colle dell’Oro church, and the Annunciation in the town hall of Narni. 3.7 Bernardino di Mariotto Bernardino di Mariotto dello Stagno: Perugia, documented from 1497 - 1566 Nothing is known about Bernardino’s training, but his first work made for the Cathedral of Gualdo Tadino, dated 1497 and unfortunately lost, was done together with Lorenzo d’Alessandro, the painter from San Severino Marche whose house and workshop Bernardino inherited in 1502 and who was probably one of his first masters. Nonetheless, another of his works, dated 1498, is very similar to the paintings of Fiorenzo di Lorenzo, who may have started him painting in Perugia, where both lived, while Lorenzo d’Alessandro would have taken over as his master later on. In San Severino, where he lived for almost twenty years, Bernardino began creating an abundant production that was overtly archaic and retained a Gothic decorative meticulousness, which remained the distinctive traits of his style, even after he tried to emulate the manner of Perugino and Pinturicchio in the 1510s. After returning to Perugia in 1521, Signorelli attracted his attention, though without removing him far from the late Gothic style with which he was intimately associated. This style reemerged in full force in his final period, accentuated by his lavish use of gold and silver leaf, of halos and crowns in stucco relief, and of semiprecious stones and colored glass set into the paint. Given his long period in the Marche, many works from which remain, he did not produce much in Umbria; nevertheless a significant number of works can be found in Bastia, Foligno, Perugia and Ponte Felcino, to which should be added at least one splendid Resurrection with Angels in a private collection. Although he has been the subject of recent in-depth studies, part of his catalog still offers room for discussion as regards attribution, such as the Madonna and Child with the Magi in the Vatican Pinacoteca - shown in section 2.5 - normally not included among his works. 3.8 Berto di Giovanni Berto or Alberto di Giovanni di Marco: Perugia, documented from 1488 - 1529 Berto di Giovanni’s first artistic steps may have been taken in Perugino’s studio, and later he became the friend, collaborator and trustee of Raphael. The two masters would remain the constant points of reference in Berto’s inconsistent production, not lacking however in quality works, which often saw him using drawings by other masters. His close ties with greater painters are probably due to his ability in moving amongst art patrons and his skills as a businessman. At present his catalog consists of only about twenty works, but it is probable that there are others hidden under erroneous attributions, such as the Last Supper in Berlin - presented in section 2.6 - which in the opinion of the owning institution is to be ascribed to another Perugian painter. Berto’s works in Umbria are found in Assisi, Orvieto, Perugia, Petrignano d’Assisi and Sant’Enea. Some of his works which are now abroad or are in Italy but outside Umbria are known to have come from Palazzo Alfani in Perugia, where Berto did a fresco cycle, and from the Church of San Francesco in Montone, which had an altarpiece that is now divided among various museums. 3.9 Bonfigli Benedetto Bonfigli: Perugia, documented from 1445 - 1496 Benedetto Bonfigli represents a turning point in Perugian painting, because after an initial late Gothic training common to artists of his time in Perugia, the lessons learned from Domenico Veneziano and Fra Angelico, who brought to Umbria the great innovations developed in Venice and Florence, allowed him to approach a style much more complex than that of his colleagues, making him the leading Perugian painter. His uncommon skill was soon noticed outside the region, as is proved by the commissions offered to him by the papal court. His production includes small private devotional panel paintings, processional gonfalons on canvas and large fresco cycles. His legacy is scattered across Umbria, with works in Castelleone di Deruta, Civitella Benazzone, Corciano, Fontignano, Montecolognola, Spina, and lastly Perugia, which has the greatest concentration, culminating in the frescoes in the Priors Chapel in the town hall, now incorporated into the exhibition space of the National Gallery of Umbria. 3.10 Burri Alberto Burri: Città di Castello (Perugia), 1915 - 1995 Burri is one of the artists whose widespread presence in the museums and collections of many foreign countries has contributed greatly to bringing Umbria back into the international limelight. The two largest concentrations of his works in Città di Castello are two mainstays of the entire region’s museum network. While the ex Essiccatoi del tabacco (former tobacco drying sheds) are an intelligent example of industrial archeology, the composed linear beauty of the 15th-century Palazzo Albizzini, once the residence of the family that commissioned Raphael’s Marriage of the Virgin, completes the circle and joins the contemporary to the Renaissance. Burri used materials in a very personal way, as can be seem in his cretti, a famous example of which is shown in section 2.8. Biographical Details of the Artists

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3.11 Camassei Andrea Camassei: Bevagna (Perugia), 1602 - Rome, 1649 Born into a noble family of Bevagna, in 1625 Camassei moved to Rome, where it appears that he worked in the studio of Domenichino. Soon he succeeded in entering the circle of Urban VIII’s painters, alongside Pietro da Cortona and Andrea Sacchi. An indication of the ties and subsequent stylistic affinities with Sacchi remains in the confusion surrounding the attribution of works such as the painting - discussed in section 2.9 - in the Kunsthistorisches Museum of Vienna incorrectly ascribed, though understandably, to Sacchi. Besides the two masters mentioned, Camassei’s work also shows the influence of Nicolas Poussin, especially in his rendering of landscapes. Although very successful in Rome, as is proved by the presence of his paintings in the city’s most important churches, he never broke his ties with Bevagna, where a number of his works can still be found. These had a certain influence on the local painters, introducing the latest developments of the classicist style dominant in the capital. His connection with the Barberini family was a double-edged sword; after the death of Urban VIII and the momentary eclipse of the pope’s family, Camassei was pushed into the background, although he was able to obtain a few commissions also from the Barberini rivals, the Pamphilj family. Besides Bevagna, Camassei’s works are also in Foligno, with a St. Catherine of Alexandria in the Santa Caterina monastery, in Perugia with Cain Killing Abel in the Fondazione Cassa di Risparmio, and lastly in Spello with a Nativity in the Church of San Lorenzo and a Crucifixion with Saints Bonaventure, Louis of Toulouse and Anthony of Padua in the Church of Santa Caterina di Valcelli. If works of uncertain attribution are added, however, the list extends also to other towns in Umbria. 3.12 Cerrini Gian Domenico Cerrini, also known as Il Cavalier Perugino: Perugia, 1606 - Rome, 1681 Probably a student of Giovanni Antonio Scaramuccia, Cerrini soon went to Rome, and his early works show his difficulties in harmonizing the Perugian cultural substratum with the lessons of Reni and Domenichino, who were from the Emilia region but were dominating the Roman art scene at the time. By the 1640s, however, Cerrini showed that he was perfectly in tune with the latest trends in Roman painting, working in the classicist vein and not the Baroque, which he would assimilate to a fair extent later on. Well-established in the Roman milieu, he left it temporarily for a period in Florence, where he produced numerous works, almost all of which for the Medici or their entourage. His prolonged activity in the two capitals, those of the pope and of the grand duke, explains the scarcity of his works in Umbria. Even so, at least a few paintings in Perugia deserve mention: the two in the Church of San Pietro, a Madonna of the Milk and a St. John the Baptist; a Holy Family with St. Ann and the Infant St. John in the National Gallery, originally from a private collection, and an Apollo and the Cumaean Sibyl, sold at auction in New York in 2004, brought back to Italy and acquired by the Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, which also possesses a Holy Family with two Angels and the Infant St. John, plus a version of the so-called Roman Charity, once in Palazzo Pongelli in Todi. Added to this group of paintings are others in private collections, as well as a few drawings in the Drawings and Prints Room at the Accademia di Belle Arti in Perugia. 3.13 Dottori Gerardo Dottori: Perugia, 1884 - 1977 Dottori was a key figure in the Umbrian panorama of the 20th century, in part because his post as an instructor at the Accademia di Belle Arti allowed him to collect a fair number of students and followers. He also has an interesting biography, from which emerges his close ties with Fascism, which inspired a number of his paintings. This connection brought about his temporary eclipse following the war, as well as the tampering with some of his works that were clearly aligned with the politics of the former regime. Dottori was the herald of Futurism in Umbria and never approached informal painting. His works in the region are found in both public and private collections, with the greatest concentration being in Perugia at Palazzo della Penna, where the collection of paintings is large enough to allow a comprehensive view of his entire oeuvre. Nearly all of his mural paintings are still in their original settings, allowing one to set up an extensive Umbrian itinerary that winds through Bettona, Foligno, Magione, Marsciano, Monte Vibiano Vecchio, Montecolognola, Montesperello, Passignano sul Trasimeno, Perugia, Todi, Tuoro sul Trasimeno, Vasciano and other localities. These works, which cover a very long time span - from the 1910s to beyond the 1950s, are of interest both iconographically for the variety and originality of the themes and in terms of the social history of art as regards the diversity - religious, secular, public and private - of the commissioners. 3.14 Fiorenzo di Lorenzo Fiorenzo di Lorenzo di Cecco: Perugia, ca 1440 - before 1525 Once considered one of the leading painters in Perugia in the latter half of the 15th century, Fiorenzo di Lorenzo has been subjected to an extensive revision which greatly diminished the catalog of his works. He was nonetheless active for many decades, and a number of artists destined to have great careers passed through his workshop, such as Pinturicchio and possibly Antoniazzo Romano. Through his collaboration with Sante di Apollonio del Celandro, he also came into contact with the figurative world of Andrea Mantegna. Almost all of his works now in Umbria are in the National Gallery in Perugia, which has a dozen-odd paintings of various provenance on display, the most outstanding of which are the Santa Maria Nuova Polyptych and the Triptych of Justice. Fiorenzo also has works in Bettona, Fratticiola Umbra and Montelabate, with frescoes painted in some cases with the assistance of his brother, Bernardino di Lorenzo. 232

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3.15 Francesco di Giorgio Francesco di Giorgio Martini: Siena, 1439 - 1501 Exceptional for his wide-ranging interests and his solid cultural background, Francesco di Giorgio was a painter, architect and military engineer, esteemed well outside his hometown of Siena. His presence in Umbria is connected with Gubbio and the territory of the present-day Mt. Cucco Park, then part of the Duchy of Urbino, where he worked on important enterprises. His drawings, later transformed into inlay work in wood - seen in section 2.13 - by the Florentine brothers Giuliano and Benedetto da Maiano, had a lasting influence on wooden decorative work in central Italy. His military engineering activities include the lunette in Costacciaro, a fortified outpost of Gubbio and a fundamental element in the Duke of Urbino’s defense system. There is a beautiful bronze bas-relief at the National Gallery of Umbria in Perugia, traditionally considered a gift from the Russian count Dmitrij Buturlin, a cousin of the Conestabile della Staffa family and thus in close contact with Perugia. Although plausible, the incident is not supported by documentary evidence. The dating of the work is uncertain, but not its authorship or its excellent quality. One theory, difficult to verify but well-founded historically, sees Francesco di Giorgio Martini as the head of the ‘1473 Workshop’ that produced the famous and widely studied St. Bernardine Tablets formerly in Perugia in the Church of San Francesco al Prato and now in the National Gallery of Umbria. 3.16 Giuliano da Maiano Giuliano di Leonardo di Antonio: Maiano (Florence), 1432 - Naples, 1490 The son of a woodworker and stonecutter, Giuliano da Maiano’s first work dates from 1451 and is the wooden frame, in the shape of a tabernacle, for a Madonna to be placed at the head of a bed. The woodworking shop he ran together with his brothers Benedetto and Giovanni was on Via dei Servi and was mentioned for the first time 1469. Their work must have brought prosperity to the da Maiano brothers, allowing them to buy buildings and land. It has been proved that they used drawings by established painters, including Alesso Baldovinetti and Maso Finiguerra. Giuliano worked in Florence, as well as in Naples, Loreto, Recanati and other cities. Documents attest to the da Maiano brothers’ relations with Federico da Montefeltro. Giuliano, considered the greatest inlayer in wood along with Baccio Pontelli, was in Florence in the latter half of the 1400s, and was involved in the creating of the Studiolo in the Ducal Palace in Gubbio, probably upon the recommendation of Francesco di Giorgio Martini or another artist at the court of Urbino, in the pursuit of the excellence of the finished product. He is also the author of wooden choir in Perugia’s Cathedral, completed in 1491 and still existing in the cathedral today. 3.17 Gualaccini Umberto Gualaccini: Perugia, 1863 - 1937 Gualaccini must have begun painting when very young, having painted a Self Portrait at the age of seventeen that is admirable for its quality and uncommon psychological rendering. His career took off, however, when he won honors for a painting of a historical theme, The Patriot Francesco Guardabassi Visited by his Family at the Civita Castellana Prison, now in Perugia at the Palazzo della Penna museum. Despite the inevitable conformity with the canons of official painting of the time, the painting reveals the sensitivity the artist was always able to give to his figures. Soon his elegant style made him the favorite of wealthy patrons for the decorating of villas, palazzi and churches, which can still be seen in various localities in the region. Thus he left important examples of 19th-20th-century Umbrian figurative culture in Perugia at Villa Fani and in Palazzo Danzetta, Palazzo Cesaroni and Palazzo Servadio, and in the surrounding area in the villas of the Gallenga family at Mandoleto, the Valigi family in San Mariano and the Friggeri family in Passignano. Also included among these are the fresco paintings in the parochial church of Montemelino, where Gualaccini was commissioned by the Conestabile della Staffa family to paint the Madonna of Lourdes, to whom the church is dedicated (inside the church there is also a reconstruction of the Massabielle cave). The Virgin in Glory is surrounded by the four patron saints of the church and the village: St. Macarius, St. Pasquale Baylon, St. Peter Martyr and St. Anthony of Padua. The dedication to the four saints is attested before 1736, the date that can be read on a canvas coming from the older church, which bears an inscription reading “Francesco di Evangelista e Andrea di Giulio fecero l’anno 1736” [“Done by Francesco di Evangelista and Andrea di Giulio in the year 1736”]. Apart from the variety of the subjects, his main interest is simple, hidden beauty, which led him to infuse his paintings with an elegant lyricism, as can be seen in the Boarding-School Girls, shown in section 2.14. 3.18 Luti Benedetto Luti: Florence, 1666 - Rome, 1724 After early training in Florence, enriched by evident references to Pietro da Cortona, Luti moved on to Rome and entered the circle of Carlo Maratta. He soon became a leading figure of painting in Rome, developing a personal style that freed him from the master from the Marche. His uncontested reputation earned him entrance in the Accademia di San Luca, and he was named prince of that institution in 1720. Along with painting, he was active as a collector, putting together a large collection of prints, drawings and paintings, which many art lovers came to see. His immaterial, rarified art, skillfully bridging the Rococo and Neoclassical styles, found its ideal expression in pastels on paper, the small size and rapid execution of which found favor among collectors. One particularly successful example of this genre is seen in section 2.15. A sketch of his portraying Jesus in the House of the Pharisee coming from the Carattoli Collection is now in the National Gallery of Umbria in Perugia.

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3.19 Master of the Cortona Tondo Umbria, active late 15th-early 16th century This is an unidentified artist who was working in Umbria and Tuscany in the late 1400s-early 1500s and clearly influenced by Perugino and Pinturicchio. His catalog consists of just eight paintings, at least one of which should be removed, however, as it is evident that it belongs to another hand. Given the scarcity of his production, the discovery of the hitherto unknown Madonna and Child takes on particular importance (presented in section 2.16). At the current state of art history studies in Umbria, it appears to be attested by a single work: the Enthroned Madonna and Child with Saints Mary Magdalene and Catherine of Alexandria in the Ranieri di Sorbello Collection, in which the close adherence to the compositional style of Perugino and the elegant decorative character of Pinturicchio are evident. 3.20 Fossa Master Southern Umbria, active in the first half of the 14th century This conventional label is applied to about fifteen works attributable to the hand of a skilled artist working in southern Umbria, upper Lazio and Abruzzo. Trained perhaps among the circles of Giotto’s followers, he created a style that influenced painters in Spoleto up until the mid 15th century. The greatest concentration of his works in Umbria is found in Spoleto and in nearby towns such as Trevi, Lenano and Campello Alto, where there are frescoes that can be traced to his hand. At one time he was working also in Montefalco, as seen in the painting analyzed in section 2.17. 3.21 Mariano di Ser Austerio Mariano di Ser Austerio: Perugia, documented from 1493 - before 1547 Mariano began his apprenticeship in the studio of Perugino, to whom he long remained faithful, until coming closer perhaps to Bernardino di Mariotto, but above all to Spagna, with whom he collaborated, as is proved by the works done partly by one and partly by the other. In the early 1500s it is evident that he worked with Raphael, and one clue of his ties with Raphael’s entourage is provided by the fact that in 1523 he acted as proxy in Perugia for Giulio Romano, Raphael’s best and most famous student. With the exception of Olmeto, which has an altarpiece in the Church of the Madonna delle Grazie, all of his work is concentrated in Perugia, where we find the altar frontal from the St. John the Baptist Chapel in the Nobile Collegio del Cambio, frescoes in the two churches of Sant’Agostino and the Madonna della Luce, and, lastly, three works in the National Gallery of Umbria. The painting in the Vatican Pinacoteca described in section 2.18 is of particular importance, as it can be dated precisely from 1493, the year in which the first certain mention of the painter is recorded. 3.22 Matteo da Gualdo Matteo di Pietro di Giovanni: Gualdo Tadino (Perugia), 1430/1435 - after 1507 This artist, whose holding of political and administrative offices did not prevent him from producing a considerable body of paintings, is widely represented in Umbria. The greatest concentration is in Gualdo Tadino, with a dozen paintings, but many of his works are also found in Assisi, Boschetto, Capraia, Casa Castalda, Grello, Nocera, Palazzo d’Assisi, Perugia, Pieve di Compresseto, Rocca Sant’Angelo, San Pellegrino and Sigillo, forming an enchanting itinerary amid art and nature, much of which coinciding with the two parks of Mt. Cucco and Mt. Subasio. The work presented in section 2.19 and preserved at the Lindenau Museum in Altenburg is attributed to Matteo da Gualdo only by the museum itself; thus it poses the problem of further research on the artist and his school. 3.23 Nelli Ottaviano di Martino Nelli: Gubbio (Perugia), ca 1370 - 1444 Working in the late Gothic tradition, Nelli succeeded in creating his own style, destined to be very fortunate, thanks to his numerous pupils and followers. He worked in Umbria and the Marche, where he came into contact with Gentile da Fabriano and the Salimbeni brothers. Many of his works are in foreign collections, but a large number have remained in the region and can still be seen in Assisi, Città di Castello, Foligno, Fossato di Vico, Gubbio and Perugia. Three fresco cycles emerge from this rich store for their breadth and importance: The Stories of the Gospel and Saints at Santa Maria della Piaggiola in Fossato di Vico, where the artist’s signature could once be read; the Stories of the Virgin in Foligno in the chapel at Palazzo Trinci; and the Stories of St. Augustine in the Church of Sant’Agostino in Gubbio. The Adoration of the Magi - discussed in section 2.20, and held in the Art Museum of Worcester - is probably a panel from a polyptych, with the other two panels in Avignon and at the Vatican. This painting is proof of the elegance and wealth of references that are characteristic of Nelli’s style. 3.24 Pellegrini Vincenzo Pellegrini, known as the Pittor Bello: Perugia, ca 1575 - 1612 The major painter in Perugia in the late 1500s-early 1600s, Pellegrini’s career was cut short abruptly when he was murdered. His contribution to Umbria’s art heritage is concentrated entirely in Perugia and generally consists of large canvases: the Immaculate Conception with the Archangel 234

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Michael and Saint Mary Magdalene in the Church of San Filippo Neri, the Glory of St. Benedict in the National Gallery of Umbria, the Antiporta of the Matricula in the Nobile Collegio del Cambio, the Ognissanti Altarpiece in the Church of the Compagnia della Buona Morte and the Birth of the Virgin Mary in the Cathedral of San Lorenzo; once believed to be by other Perugian painters, it was instead commissioned to Pellegrini by Annibale Floramonti for the parochial church of Villa Pitignano. 3.25 Pellegrino di Giovanni Pellegrino di Giovanni di Antonio: Perugia, ca 1395 - documented up to 1437 This master, certainly the greatest exponent of the late Gothic style in Perugia, poses a real problem, as his work is documented for a few years only, and at the moment his catalog consists of only four accepted titles, to which few others may be added. Remaining in Umbria are a triptych in Perugia of the Enthroned Madonna and Child, two Angels and Saints Francis and Anthony Abbot, from the Franciscan Farneto monastery and the frescoes in some rooms of Palazzo Trinci in Foligno, of great importance for the prestige of the commission and, from an iconographic perspective, for the nonreligious subjects, uncommon in Umbria at the time. The relatively recent attribution of the Archangel Michael - now in the Museum of Fine Arts in Boston and presented in section 2.22 - to Pellegrino di Giovanni makes a significant contribution to the extremely limited catalog of this artist, whose work in Palazzo Trinci alone establishes him as a great master. 3.26 Perugino Pietro di Cristoforo Vannucci, known as Perugino: Città della Pieve (Perugia), 1449/1451 - Fontignano (Perugia), 1523 Although known to have received his artistic training in Florence, Perugino is the artist who is automatically associated with the zenith of the Umbrian school. Endowed with exceptional managerial skills and an aptitude for business, he ran a tightly organized workshop that allowed him to produce a very large number of paintings, a large part of which have remained in Umbria, also because the final stage of his career was spent entirely within the region. Despite repeated sales and spoliations, the National Gallery of Umbria offers an exceptional store of Perugino’s work from various periods, to which should be added the frescoes in the Nobile Collegio del Cambio, the Monastery of Sant’Agnese, the Church of San Severo, and lastly a number of panel paintings in the Church of San Pietro, in the Ranieri Collection and in the Fondazione Cassa di Risparmio. Outside of Perugia, his works are found in towns all over the region: Assisi, Bettona, Cerqueto, Città della Pieve, Corciano, Deruta, Foligno, Fontignano, Montefalco, Panicale, Spello and Trevi, evidence not only of his unequalled success, but also of a kind of monopoly in managing commissions. Sections 2.23, 2.24, 2.25 and 2.26 bear witness to his presence in museums and collections in various countries, covering a vast geographic area. 3.27 Pier Matteo d’Amelia Pier Matteo Lauro de’ Manfredi: Amelia (Terni), documented 1467 - 1502 Pier Matteo’s earliest training was with Filippo Lippi, with whom he worked on several commissions, but especially on the Stories of the Virgin Mary frescoed by the Florentine master and crew in the apse of the Cathedral of Spoleto. Later he came within the orbit of Perugino, with whom he worked in the Sistine Chapel, and finally he entered the circles of Pinturicchio, his coworker in the Borgia Apartments. He possessed an original, easily recognizable style, and has a large catalog of works found in various locations outside Italy, one example of which is the Enthroned Madonna and Child - Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, discussed in section 2.27 - the central section of a polyptych coming from the Church of Sant’Agostino in Orvieto. In Umbria, along with the work done alongside Filippo Lippi on the frescoes in Spoleto’s cathedral, there are paintings by Pier Matteo in Amelia, Cascia, Narni, Orvieto and Perugia. One especially fine work is the large Polyptych, which serves as a milestone in his career because it is dated and documented, formerly in the Church of San Francesco in Terni and now in the Pinacoteca Comunale Orneore Metelli, also in Terni. 3.28 Pinturicchio Bernardino di Betto di Biagio, known as Pinturicchio: Perugia, 1456/1458 - Siena, 1513 Pinturicchio was active for many years in Rome and Siena; most of his production is in fact concentrated in these two cities. In Umbria there are the Madonna and Child with the Infant St. John in the Museo Diocesano in Città di Castello. In Perugia the National Gallery of Umbria has the unsurpassable Polyptych of St. Mary of the Angels, the Standard of St. Augustine done with the participation of assistants and the controversial Madonna of the Trees; two or three of the St. Bernardine Tablets are also very probably by his hand. In San Martino in Colle there are the frescoes in the Oratory of the Madonna del Feltro. Spello has the frescoes in the Baglioni Chapel in Santa Maria Maggiore, as well as other minor works, and the Madonna and Child with Saints in the Church of Sant’Andrea. An unfinished Madonna and Child is in Trevi, closely and mysteriously related to the painting of the same subject in the National Gallery in London. In Spoleto there are the frescoes in the Eroli Chapel in the cathedral, and in Orvieto an evangelist and a doctor of the Church in the apse of the cathedral, probably frescoed with considerable help from assistants. Lastly, works in private collections include the Madonna and Child owned by the Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, the Baby Jesus of the Hands at the Fondazione Guglielmo Giordano and the Madonna and Child with Cherubs and Saints Peter and Paul in a private collection. Four of the many works outside Italy are presented in sections 2.28, 2.29, 2.30 and 2.31.

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3.29 Pompeo d’Anselmo Pompeo di Anselmo di Giovanni: Perugia, documented from 1489 to 1517 Pompeo d’Anselmo was the son of a painter, with whom he worked on jobs described in old sources and documents. After a time within the orbit of Perugino, almost obligatory for young artists of the time, he moved closer to Giannicola di Paolo and then, thanks to his association with Domenico Alfani, he assimilated elements of Raphael’s style. At present his catalog consists of only six paintings, to which should be added the Presentation in the Temple - in a private collection in Madrid, discussed in section 2.32 - which proposes once again his collaboration with Domenico Alfani, already affirmed by the Holy Family with Saints Ann, Joachim and the Infant John, dated 1520 or 1522, in the National Gallery of Umbria in Perugia. Other works by Pompeo in the region are found in the Church and Monastery of San Pietro in Perugia: frescoes in the apse and decorations on the organ in the right chancel. 3.30 Raphael Raffaello di Giovanni Santi: Urbino (Pesaro-Urbino), 1483 - Rome, 1520 Raphael had only enough time to learn the rudiments of art from his father, a painter and poet at the court of the Duke of Urbino, who left him an orphan at the age of nine. Giovanni Santi’s studio continued to work thanks to his assistants, and Raphael may have taken his first artistic steps there. The story of his apprenticeship with Perugino needs to be revised, because Raphael’s first experience in Umbria was in Città di Castello, a town with which Perugino had no connections. He lived in Umbria full time from 1500 to 1504, and intermittently from 1504 to 1508, where he painted at least four works in Città di Castello and at least six in Perugia. After his death two other works would be added to the ten already documented: the painting known as the Monteluce Coronation and the Foligno Madonna. All that remains in Umbria of Raphael’s great legacy are the Standard of the Trinity in the Pinacoteca of Palazzo Vitelli alla Cannoniera in Città di Castello and the frescoes in the Church of San Severo in Perugia, along with a few works by assistants and collaborators at the National Gallery of Umbria in Perugia. 3.31 Rambaldi Ugo Rambaldi: Spoleto (Perugia), 1910 - Rome, 1985 This painter from Spoleto is especially representative of the 20th century in Umbria, because he passes through three distinct styles: from the terse and chiseled Still Life with Prickly Pears from 1933, almost a very high quality homage to Caravaggesque hyperrealism, revisited in light of the austerity of Giorgio Morandi; to the decomposing of form and the surreal autonomy of color of Woman with a guitar from 1968; up to his collusion with Burri in Senso terroso from 1960 - a painting that ended up in a faraway foreign collection that is described in section 2.37 - later abandoned in favor of a conscious return to more congenial expressive forms, attentive to drawing and the recognizability of the figure, though with complete freedom in the composition. Rambaldi is represented in Umbria by a considerable number of paintings and drawings in the possession of his heirs, in other private collections and in the Galleria Civica d’Arte Moderna in Spoleto. 3.32 Reni Guido Reni: Bologna, 1575 - 1642 One of the most renowned artists of his time, Reni worked for the most important patrons in Bologna and Rome, with sporadic commissions in other cities such as Naples and Fano. The presence of his paintings in Umbria is due to the fame he enjoyed even in his lifetime, which induced art connoisseurs to seek his works, which he produced in great numbers thanks in part to his well-organized workshop, with numerous replicas existing of some of his paintings. 3.33 Signorelli Luca Signorelli or Luca da Cortona: Cortona (Arezzo), 1445/1450 - 1523 After an initial period as a pupil of Piero della Francesca, of which no appreciable traces remain, Signorelli came into contact with the artists in Urbino, and he began working regularly in the Marche. Later in Florence he became friend with Perugino, who invited him to work in the Sistine Chapel. After an intense period of activity in the Marche, Umbria and Tuscany working on important fresco cycles, he returned to his hometown, and in the final stages of his career he showed to be sensitive to the recent innovations introduced by Michelangelo. In Umbria he is represented in Città di Castello, Umbertide and Morra in the Upper Tiber Valley - the area whence comes the Adoration of the Shepherds in London described in section 2.39 - in Perugia by the Sant’Onofrio Altarpiece in the Museo Capitolare and other works in the National Gallery; and, lastly, in the Cathedral of Orvieto by the major frescoes in the San Brizio Chapel. Umbria’s art heritage has been enriched by the Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia’s very recent acquisition from a private collection of another Signorelli work, a small panel (58 x 46 cm) with a half-length St. Stephen, a work of exceptional quality from the artist’s mature period.

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3.34 Spagna Giovanni di Pietro, known as Spagna: documented from 1504 - Spoleto (Perugia), 1528 The unclear connections with Spain (Spagna in Italian) alluded to in his pseudonym have no bearing on his figurative style, which is clearly based on that of Perugino. Although he was Perugino’s most faithful pupil, he succeeded in developing his own independent style. He soon left Perugia to work in the Marche and in Spoleto, where he ended his days; the greatest concentration of his work is in fact still found in the Spoleto area. His intense activity is seen in his considerable catalog, with a large number of works remaining in Umbria in the towns of Assisi, Campello Alto, Campello sul Clitunno, Caso, Eggi, Gavelli, Montefalco, Perugia, Rocca Sant’Angelo, San Giacomo di Spoleto, Scheggino, Spoleto, Terni, Todi and Trevi. Spagna’s presence in Perugia is limited but important, because the Christ Carrying the Cross in the Monastery of the Beata Colomba, the oldest work that can be attributed to him, dates before 1497. Greatly esteemed by international collectors, he is present in museums in many countries with works of high quality, such as the Prayer in the Garden - in the National Gallery of London and described in section 2.40 - which tackles a recurrent theme in Umbrian painting of the early 1500s, of which versions by various artists exist.

Biographical Details of the Artists

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Ricci Vitiani, Valentina La macchina d’altare, opera inedita di Giampietro Zuccari da Sant’Angelo in Vado “Amicizia e francescanesimo. Luca Signorelli, Umbertide e la pala di Santa Croce” a cura di Tom Henry Città di Castello Petruzzi, pp. 81-122. Silvestrelli, Maria Rita Pellegrino di Giovanni (Perugia 1397 circa - 1435), San Michele Arcangelo “Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento” a cura di Laura Laureati e Lorenza Mochi Onori Milano Electa, pp. 120-21. Soavi, Albertina Deposizione dalla Croce: tecniche esecutive e intervento di restauro “Amicizia e francescanesimo. Luca Signorelli, Umbertide e la pala di Santa Croce” a cura di Tom Henry Città di Castello Petruzzi, pp. 123-42. Teza, Laura La formazione di Bernardino di Mariotto e i suoi anni perugini “I pittori del Rinascimento a Sanseverino. Bernardino di Mariotto, Luca Signorelli, Pinturicchio” a cura di Vittorio Sgarbi Milano Federico Motta, pp. 23-41. Bibliografia / Bibliography

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Wolk-Simon, Linda Raphael at the Metropolitan. The Colonna Altarpiece New York - New Haven The Metropolitan Museum of Art - Yale University Press. 2007 Cecchini, Eleonora Oxford, Ashmolean Museum: Raffaello, Veduta di Porta Sant’Angelo a Perugia con san Gerolamo Perugia Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, tesi di laurea non pubblicata. Franzese, Paolo Raffaello Milano Electa. Mancini, Francesco Federico Pintoricchio Cinisello Balsamo Silvana Editoriale. Nucciarelli, Franco Ivan a Un ritratto femminile del ’700 ‘volato’ da Perugia a Venezia “il Giornale dell’Umbria”, 12 marzo 2007, p. 23. b Pinturicchio all’asta un’opera dell’artista umbro “il Giornale dell’Umbria”, 19 aprile 2007, p. 40. Nucciarelli, Franco Ivan e Severini, Giovanna Raffaello. La Madonna di Foligno Perugia Quattroemme. 2008 Boskovits, Miklós Maestri senesi e toscani nel Lindenau-Museum di Altenburg Siena Protagon. Caldari, Claudia (a cura di) Luca Signorelli. La Pala di Arcevia e i Capolavori di San Medardo Milano Skira. Delpriori, Alessandro Pintoricchio. Madonna della Pace “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 244-45. Marcelli, Fabio Piermatteo d’Amelia. Pala dei Francescani “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 236-37. Nucciarelli, Franco Ivan Il Pinturicchio, l’oro e i livelli dell’irrealtà “Economia della cultura. RESTAURO. Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali ed Ambientali” Ferrara, 2-5 aprile 2008 Bologna Acropoli, pp. 126-35.

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Ortenzi, Francesco a Maestro del Tondo di Cortona. Madonna in trono con il Bambino e san Giovannino tra santa Maria Maddalena e santa Lucia “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 320-21. b Maestro del Tondo di Cortona. Madonna con il Bambino e san Giovannino “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 322-23. c Pintoricchio. Madonna con il Bambino e san Giovannino “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 274-75. d Pintoricchio. Madonna che insegna a leggere al Bambino “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 250-51. e Pintoricchio. Madonna con il Bambino e san Giovannino “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 280, 307. Silvestrelli, Maria Rita Benedetto Bonfigli. Annunciazione “Pintoricchio” a cura di Vittoria Garibaldi e Francesco Federico Mancini Cinisello Balsamo Silvana Editoriale, pp. 172-73. S.d. Cartwright, Julia Raphael London - New York Duckworth and Co. - E. P. Dutton and Co. Gillet, Louis Raphael Paris Librairie de l’art ancien et moderne. Gurrieri, Ottorino I tesori artistici di Perugia in Italia e nel mondo Perugia Azienda Autonoma di Turismo (ma 1960).


Bibliografia / Bibliography

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Bibliografia / Bibliography


5. INDICI ANALITICI ANALYTICAL INDEXES

Bibliografia / Bibliography

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Indici analitici / Analytical indexes


Indice topografico Topographic index ARGENTINA Buenos Aires Colección Maria Elvira Iglesia Ugo Rambaldi Senso terroso 2.37 CITTÀ DEL VATICANO Appartamento Nobile Pontificio Maestro di Fossa Storie di Cristo 2.17 Pinacoteca Alunno Crocifissione fra i santi Venanzio, Pietro, Giovanni Battista e Porfirio/ Trittico di Camerino 2.1 Federico Barocci Riposo nella fuga in Egitto/Madonna delle ciliegie 2.3 Benozzo Gozzoli La Vergine dona la propria cintola a san Tommaso/Madonna della cintola 2.4 Bernardino di Mariotto Adorazione dei Magi 2.5 Mariano di Ser Austerio Madonna con il Bambino fra i santi Lorenzo, Giovanni Battista, Gerolamo e Domenico 2.18 Raffaello Madonna con il Bambino in gloria, angeli, i santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e il donatore Sigismondo de Comitibus/Madonna di Foligno 2.34 CONFEDERATIO HELVETICA Collezione privata 1 Benedetto Luti Volto femminile 2.15 Collezione privata 2 Pinturicchio Ritratto del pontefice Pio III 2.30 DEUTSCHLAND Altenburg Lindenau Museum Matteo da Gualdo Madonna con il Bambino in trono 2.19 Berlin Staatliche Museen, Gemäldegalerie Berto di Giovanni Ultima cena 2.6

Pier Matteo d’Amelia Madonna con il Bambino in trono 2.27 München Alte Pinakothek Perugino Apparizione della Madonna a san Bernardo 2.23 ESPAÑA Colección particular Maestro del Tondo di Cortona o Pinturicchio Madonna con il Bambino in trono in un paesaggio 2.16 Madrid Colección particular Pompeo di Anselmo e Domenico Alfani Presentazione al tempio 2.32 Colección Thyssen-Bornemisza Benedetto Bonfigli Annunciazione 2.7 FRANCE Collection privée Umberto Gualaccini Le educande 2.14 Lyon Musée des Beaux Arts Guido Reni Assunzione della Vergine 2.38 Paris Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou Alberto Burri Grande Nero Cretto 2.8 Musée National du Louvre Gian Domenico Cerrini Maddalena in preghiera 2.10 Perugino Battaglia tra Amore e Castità 2.24 Madonna con il Bambino, angeli, le sante Rosa e Caterina d’Alessandria 2.26 ÖSTERREICH Wien Kunsthistorisches Museum Andrea Camassei Giunone sul carro trainato dai pavoni 2.9

Indici analitici / Analytical indexes

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POLSKA Warszawa Muzeum Narodowe Pinturicchio Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni 2.29 ROSSIJA Sankt-Peterburg Ermitaž Raffaello Madonna del libro/Madonna Conestabile 2.35 UNITED KINGDOM London Tate Gallery Gerardo Dottori Esplosione di rosso su verde 2.11 The National Gallery Luca Signorelli Adorazione dei pastori 2.39 Spagna Orazione nell’orto 2.40 Oxford Ashmolean Museum Raffaello Veduta di Porta Sant’Angelo a Perugia con san Gerolamo penitente 2.36 UNITED STATES OF AMERICA Boston (Massachussets) Museum of Fine Arts Pellegrino di Giovanni L’arcangelo Michele 2.22 Greenville (South Carolina) Museum and Gallery at Bob Jones University Vincenzo Pellegrini Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria 2.21 New Haven (Connecticut) Yale University Art Gallery Fiorenzo di Lorenzo San Gerolamo penitente 2.12 New York City (New York) The Metropolitan Museum of Art Francesco di Giorgio Martini, Giuliano e Benedetto da Maiano Studiolo di Federico da Montefeltro 2.13 Raffaello Madonna con il Bambino in trono e santi/Pala Colonna 2.33

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Indici analitici / Analytical indexes

The J. Pierpont Morgan Library Madonna che adora il Bambino fra i santi Giovanni Evangelista e Maddalena 2.25 Philadelphia (Pennsylvania) Museum of Art, John G. Johnson Collection Pinturicchio Madonna con il Bambino 2.28 Princeton (New Jersey) University Art Museum Pinturicchio San Bartolomeo 2.31 Tucson (Arizona) Episcopal Church of St. Philip’s in the Hills Anonimo giottesco Croce sagomata dipinta 2.2 Worcester (Massachussets) Worcester Art Museum Ottaviano Nelli Adorazione dei Magi 2.20


Indici analitici / Analytical indexes

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Indici analitici / Analytical indexes


Autori citati Authors mentioned Acidini Luchinat, Cristina Agosti, Giovanni Aikema, Bernard Aikema Mijnlieff, Ewoud Ames-Lewis, Francis Angelini, Alessandro Antenucci Becherer, Joseph Arcangeli, Luciano Arisi, Ferdinando Baccheschi, Edi Bairati, Eleonora Baldini, Nicoletta Baldini, Umberto Ballo, Guido Barroero, Liliana Battistini, Rodolfo Beck, James Henry Benati, Daniele Benazzi, Giordana Berenson, Bernard Bernardini, Maria Grazia Bertini Calosso, Achille Bialostocki, Jan Binotto, Margaret Biocco, Sabina Biolato, Luca Daniele Bistoni Colangeli, Maria Grazia Bocci, Mauro Boco, Fedora Bon Valsassina, Caterina Borea, Evelina Boskovits, Mikl贸s Botley, Cecilia/Cecily Bowron, Edgar Peters Brejon de Lavergn茅e, Arnauld Brunetti, Giulia Caldari, Claudia Calvesi, Maurizio Camesasca, Ettore Campbell, Stephen J. Carli, Enzo Caroli, Flavio Carotti, Giulio Cartwright, Julia Casadio, Paolo Casale, Vittorio Castelfranco, Giorgio Castrichini, Monica Cavalcaselle, Giovanni Battista Cecchini, Eleonora Christiansen, Keith Coccia, Marina Cole Ahl, Diane Conestabile della Staffa, Giancarlo Cook, Herbert Cordellier, Dominique Cornini, Guido Crispolti, Enrico Crowe, Joseph Archer Cruciani, Vladimiro

pp. 28, 46, 71, 167 p. 83 p. 95 p. 95 p. 191 pp. 27, 45, 107, 175 p. 155 pp. 67, 75, 199 pp. 27, 45, 183 p. 207 pp. 28, 46, 63, 131 pp. 23, 41, 147 p. 59 p. 99 p. 91 p. 107 p. 195 p. 207 pp. 28, 46, 63, 135, 171 pp. 59, 103, 135, 143, 155, 167 p. 95 p. 195 p. 171 pp. 22, 40 pp. 63, 131 pp. 22, 40 p. 143 p. 111 pp. 111, 139, 203 p. 139 p. 95 pp. 29, 49 p. 191 p. 115 p. 95 p. 107 p. 211 p. 87 pp. 24, 43, 59, 79, 147, 151, 159, 195 p. 151 pp. 28, 46, 167, 171, 195 pp. 24, 42 p. 195 p. 195 pp. 135, 143 pp. 31, 50 p. 195 pp. 24, 30, 42, 50, 163 pp. 59, 195 p. 199 p. 143 pp. 24, 42, 115 p. 71 p. 195 pp. 29, 49 p. 195 pp. 59, 71, 123 p. 87 pp. 59, 195 p. 191

Daffra, Emanuela De Carlo, Giancarlo De Marchi, Andrea de Montebello, Philippe De Strobel, Anna Maria De Vecchi, Pier Luigi/Pierluigi Delpriori, Alessandro Di Domenico Cortese, Gemma Donnini, Giampiero Dragoni, Patrizia Duranti, Massimo Emiliani, Andrea Ergas, Rudolf Faison, Samuel Lane Faloci Pulignani, Michele Farinella, Vincenzo Fischel, Oskar Fischer Pace, Ursula V. Francia, Ennio Franzese, Paolo Fratini, Corrado Fredericksen, Burton B. Frenfanelli Cibo, Serafino Frulli, Cristina Galassi, Cristina Galetti, Ugo Gamba, Carlo Gardner von Teuffel, Christa Garibaldi, Vittoria Garrison, Edward B. Gherardi, Pompeo Gillet, Louis Giordani, Monaldo Giuliani Spurny, Sara Gnoli, Umberto

Grassi, Luigi Gronau, Georg Gualazzi, Enzo Gualdi Sabatini, Fausta Gurrieri, Ottorino Harrison, Colin Henry, Tom Hiller von Gaertringen, Rudolf Huter, Carl Incisa della Rocchetta, Giovanni

p. 59 p. 107 pp. 59, 83, 135, 143 p. 187 pp. 67, 123, 191 pp. 187, 195 pp. 24, 33, 42, 51, 75 p. 91 pp. 33, 51, 75, 135 pp. 28, 46, 131 p. 99 pp. 67, 139 p. 59 p. 143 p. 191 p. 83 p. 195 p. 95 p. 59 pp. 187, 199 p. 123 pp. 29, 47, 155 p. 59 p. 71 pp. 24, 25, 29, 33, 42, 43, 47, 49, 51, 79, 123, 127, 139, 151, 191, 207 p. 59 pp. 59, 195 pp. 28, 46, 191 pp. 24, 28, 33, 42, 46, 51, 71, 79 pp. 29, 49 p. 195 p. 195 p. 111 p. 131 pp. 25, 29, 45, 47, 59, 75, 79, 83, 103, 127, 131, 135, 139, 143, 151, 155, 163, 179, 183 pp. 59, 143 p. 195 p. 195 pp. 30, 50, 75, 79, 215 pp. 24, 27, 30, 42, 45, 49, 63, 155 p. 199 pp. 23, 25, 41, 43, 195, 199, 209, 211 pp. 30, 49 p. 143 pp. 27, 46

Indici analitici / Analytical indexes

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Innamorati, Serena Jaffé, Michael Jaroszewski, Tadeusz Jones, Roger Kanter, Laurence B. Kemp, Martin Kirk, Terry Knab, Eckhart Knackfuss, Hermann Koutsky, Jan Kritzinger, Hans Hermann Kustodieva, Tatyana La Monica, Giuseppe Lanzi, Luigi Lattaioli, Paolo Lattanzi, Giovanni Leone De Castris, Pierluigi Lindemann, Bernd Wolfgang Longhi, Roberto Lunghi, Elvio Maarschalkweerd, P. Magliani, Serena Mancinelli, Fabrizio Mancini, Francesco Federico Mandel, Giorgio Marabottini, Alessandro Marceau, Henri Marcelli, Fabio Marchini, Giuseppe Mazza, Angelo Mencarelli, Rosaria Merli, Sonia Meyer zur Capellen, Jürg Micheletti, Emma Migliorati, Alessandra Minghetti, Marco Misciattelli, Piero Morelli, Giovanni Francesco Mozzati, Tommaso Müntz, Eugène Muratore, Giorgio Murphy, Alexandra Nahmad, Ezra Natali, Antonio Negri, Antonello Neilson, Katherine Nessi, Silvestro Noack, Friedrich Notari, Eleopoldo Nucciarelli, Franco Ivan

Oberhuber, Konrad 268

Indici analitici / Analytical indexes

pp. 24, 42 pp. 30, 49 pp. 22, 40 p. 191 pp. 143, 211 p. 107 p. 111 p. 195 p. 195 p. 107 p. 191 pp. 23, 27, 30, 41, 45, 49, 195 pp. 87 p. 59 pp. 28, 46 195 pp. 28, 47 p. 191 pp. 123, 143, 195 pp. 30, 50, 59, 71 p. 191 p. 183 p. 59 pp. 27, 28, 46, 67, 83, 95, 127, 139, 151, 167, 183, 187, 195, 199, 211 p. 139 pp. 23, 42 p. 167 pp. 24, 42, 163 p. 107 p. 207 pp. 71, 163 p. 131 p. 195 p. 143 p. 191 p. 195 p. 175 p. 67 pp. 23, 41 p. 195 p. 111 p. 143 p. 59 pp. 23, 41 p. 87 pp. 23, 41 pp. 30, 50, 71, 91, 123 p. 91 p. 203 pp. 21, 27, 28, 30, 35, 39, 45, 46, 49, 50, 52, 75, 115, 119, 167, 171, 175, 179, 191, 195, 215 pp. 187, 195

Oertel, Robert p. 131 Ojetti, Ugo p. 195 Olsen, Harald p. 67 Omelia Ferrata, John p. 59 Orsini, Baldassarre pp. 24, 42, 67, 115, 195 Ortenzi, Francesco pp. 27, 45, 119, 167, 171, 184 Ortolani, Sergio p. 195 Paccagnini, Giovanni p. 151 Paciaroni, Raoul p. 75 Padoa Rizzo, Anna pp. 30, 50, 71 Pantò, Alessandra p. 195 Paolucci, Antonio pp. 33, 51, 75, 211 Papetti, Stefano pp. 33, 51 Paraventi, Marta p. 59 Parlato, Enrico p. 63 Parronchi, Alessandro p. 143 Pascoli, Lione p. 139 Passavant, Johann David p. 195 Pazzagli, Paola p. 195 Penny, Nicholas p. 191 Perkins, Frederick Mason p. 143 Pesola, Antonella p. 203 Petrillo, Stefania p. 191 Pierce, Charles E. jr. p. 155 Pietrangeli, Carlo pp. 30, 49, 59, 191 Pignatti, Terisio p. 151 Pirovano, Carlo p. 87 Plazzotta, Carol pp. 24, 25, 42, 43, 187, 199, 215 Pope-Hennessy, John pp. 143, 195 Porcella, Amadore p. 59 Pottini, Elena p. 111 Py, Bernadette p. 195 Quatremère de Quincy, Antoine Chrysostome p. 195 Quinterio, Francesco p. 107 Raggio, Olga pp. 25, 45, 107 Ranieri, Uguccione pp. 21, 25, 33, 35, 39, 43, 52, 195 Redig de Campos, Deoclecio pp. 59, 191 Rembadi, Domenico p. 195 Ricci, Corrado pp. 28, 46, 119, 179 Ricci, Serafino p. 195 Ricci Vitiani, Valentina p. 211 Riess, Jonathan B. p. 211 Roli, Renato p. 135 Rosini, Giovanni p. 59 Rossi, Adamo p. 59 Rossi Manaresi, Raffaella p. 191 Rossi Scotti, Lemmo pp. 24, 42 Saarinen, Aline B. pp. 103, 167 Sambo, Elisabetta p. 171 Sapori, Giovanna p. 95 Sarteanesi, Nemo p. 87 Sartore, Alberto Maria pp. 24, 42 Scalvanti, Oscar p. 175


Scarpellini, Pietro

Schröter, Elisabeth Schumacher-Wolfgarten, Renate Sedelmeyer, Charles Selvaggi, Giuseppe Serlupi Crescenzi, Maria Serra, Luigi Servanzi Collio, Severino Settis, Salvatore Severini, Giovanna Shapley, Fern Rusk Shearman, John Siepi, Serafino Sikorsky, Darius J. Silvestrelli, Maria Rita Simi, Lucia Sirén, Osvald Soavi, Albertina Sonego, Claudia Spalletti, Ettore Starzynski, Juliusz Steegmuller, Francis Stefaniak, Regina Strachey, Henry Strouse, Jean Strzygowski, Josef Sutherland Harris, Ann Sweeney, Barbara Sweeney, James Johnson Tartuferi, Angelo Teodori, Brunella Teza, Laura Thiébaut, Dominique Todini, Umberto

Tomei, Alessandro Toracca, Donatella Torriti, Pietro Toscano, Bruno Treffers, Bert Turner, Nicholas Ullmann, Ernst van Marle, Raimond Vasari, Giorgio Venturi, Adolfo

pp. 23, 24, 28, 33, 42, 43, 46, 51, 79, 103, 147, 151, 155, 159, 167, 171, 175, 215 p. 191 p. 191 pp. 187, 199 p. 203 pp. 67, 191 p. 195 p. 59 p. 83 pp. 27, 30, 45, 50, 191. 195 pp. 27, 63 p. 163 pp. 24, 42, 195 p. 107 pp. 28, 46, 59, 79, 83, 103, 131, 135, 143, 151, 163 pp. 63, 131 pp. 29, 49 p. 211 p. 79 p. 191 p. 171 p. 103 p. 191 p. 195 p. 155 p. 191 p. 91 p. 167 p. 87 p. 79 p. 139 pp. 33, 51, 75, 103, 159 p. 95 pp. 24, 27, 29, 31, 42, 45, 46, 47, 51, 59, 63, 79, 83, 103, 119, 123, 127, 131, 135, 143, 155, 159, 163, 167, 171, 179, 183 p. 191 pp. 27, 45, 175 p. 107 pp. 83, 135, 139, 143, 203 p. 95 p. 67 p. 195 pp. 59, 131, 155, 167, 179 p. 175 pp. 59, 195

Verdier, Philippe Verheyen, Egon Vicenzi, Nicoletta Villa, Emilio Volpe, Carlo von Daum Tholl, Susan von der Gabelentz, Hanns-Conon von Einem, Herbert von Lutterotti, Otto R. Wescher, Paul Whistler, Catherine White, Christopher Wilmering, Antoine M. Witthoft, Brucia Wolk-Simon, Linda Zampetti, Pietro Zappia, Caterina Zeri, Federico Zuliani, Giovanni

p. 191 p. 151 p. 191 p. 87 p. 139 pp. 29, 49 p. 131 p. 191 pp. 28, 46 pp. 31, 50 p. 199 p. 199 pp. 25, 45, 107 p. 143 pp. 25, 43, 167, 187, 199 p. 107 pp. 99, 191 pp. 29, 35, 47, 52, 59, 155 p. 111

Indici analitici / Analytical indexes

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Indici analitici / Analytical indexes


Luoghi Places Abruzzi/Abruzzo pp. 120, 122, 224 Alessandria d’Egitto/Alexandria pp. 136, 138 Alta Valle del Tevere/Alta Valle Tiberina/Upper Tiber Valley pp. 84, 86, 208, 227, 236 Altenburg pp. 28, 46, 128, 130, 131, 160, 162, 224, 228 Alto Lazio p. 224 Alto Montefeltro/upper Montefeltro pp. 192, 194 Alviano pp. 220, 230 Amelia pp. 160, 162, 225, 235 Amsterdam pp. 92, 94, 159 Aquila/L’Aquila pp. 120, 122 Arizona pp. 60, 62, 63 Arrone pp. 187 Assisi pp. 12, 31, 51, 60, 62, 63, 68, 70, 84, 86, 120, 122, 128, 130, 162, 220, 221, 224, pp. 225, 227, 230, 231, 234, 235, 237 Austria pp. 28, 46, 90, 230 Avignone/Avignon pp. 56, 58, 132, 134, 224, 234 Baschi p. 16 Bassano del Grappa pp. 22, 40 Bastia pp. 220, 221, 230, 231 Bergamo pp. 100, 102 Berlino/Berlin pp. 76, 78, 79, 104, 106, 116, 118, 144, 160, 162, 163, 221, 225, 231, 235 Bettona pp. 222, 225, 232, 235 Bevagna pp. 31, 51, 88, 90, 91, 222, 232 Bologna pp. 42, 59, 74, 204, 206, 226, 236 Boschetto pp. 224, 234 Boston (Massachussets) pp. 24, 28, 30, 42, 46, 50, 56, 58, 140, 142, 143, 160, 162, 184, 186, 225, 235 Branca pp. 104, 106 Brasile/Brazil pp. 24, 42 Brussels/Bruxelles pp. 140, 142, 143 Buenos Aires pp. 200, 202, 203 Camerino pp. 56, 58, 59 Campello Alto pp. 224, 227, 234, 237 Campello sul Clitunno pp. 227, 237 Cannara pp. 220, 230 Capraia pp. 224, 234 Casa Castalda pp. 224, 234 Cascia pp. 225, 235 Caso pp. 227, 237 Castel Rigone pp. 219, 229 Castelleone di Deruta pp. 221, 231 Castelluccio di Norcia p. 123 Castiglione del Lago p. 20 Cerqueto pp. 225, 235 Charlbury pp. 160, 162 Chatsworth pp. 30, 49 Chesterfield pp. 152, 154, 155 Cingoli pp. 23, 41 Città del Vaticano/Vatican City pp. 25, 43, 56, 58, 59, 64, 66, 67, 68, 70, 71, 72, 74, 75, 120, 122, 123, 124, 126, 127, 188, 190, 191 Città della Pieve pp. 56, 58, 76, 78, 144, 146, 147, 148, 150, 152, 154, 156, 158, 180, 182, 208, 212, 214, 219, 225, 229, 235

Città di Castello

Civitella Benazzone Collestatte Colonia/Cologne/Köln Corciano Cortona Costacciaro Danimarca/Denmark Deruta Dublino/Dublin Eggi Emilia Fabriano Fano Farneto Ferentillo Ferrara Firenze/Florence

Foligno

Fontignano Fossato di Vico Francia/France Francoforte/Frankfurt am Main Frascati Fratticiola Umbra Gaeta Gaiche Gavelli Germania/Germany Gibellina Göttingen Gran Bretagna Greenville (South Carolina) Grello Gualdo/Gualdo Tadino Gubbio Hartford (Connecticut) Hawaii

pp. 25, 30, 33, 43, 49, 51, 84, 86, 87, 180, 182, 184, 186, 188, 190, 208, 210, 211. 222, 224, 225, 226, 227, 231, 234, 235, 236, pp. 219, 221, 229, 231 p. 6 pp. 168, 170, 171 pp. 151, 221, 225, 231, 235 pp. 208, 210, 226, 236 pp. 104, 106, 223, 233 pp. 112, 114 pp. 219, 220, 221, 225, 229, 230, 231, 235 pp. 116, 118 pp. 227, 237 p. 232 pp. 23, 41, 72, 74, 132, 134, 140, 142, 224, 234 pp. 226, 236 pp. 225, 235 p. 36 pp. 21, 39, 64, 66, 126, 148, 150, 168, 170, 171 pp. 22, 23, 29, 31, 33, 40, 41, 49, 51, 52, 60, 62, 63, 64, 66, 68, 70, 74, 76, 78, 79, 100, 102, 104, 106, 112, 114, 140, 142, 144, 146, 147, 148, 150, 152, 154, 156, 160, 163, 164, 184, 186, 192, 194, 210, 212, 214, 220, 221, 223, 224, 226, 227, 229, 230, 231, 232, 233, 235 pp. 10, 25, 28, 29, 32, 43, 47, 56, 58, 59, 76, 78, 128, 130, 132, 134, 142, 143, 148, 176, 178, 188, 190, 191, 220, 221, 222, 224, 225, 226, 230, 231, 232, 234, 235, 236 pp. 144, 148, 152, 221, 225, 231, 235 pp. 28, 46, 104, 106, 224, 234 pp. 30, 59, 92, 94, 108, 110, 111, 124, 126, 148, 150, 184, 188, 190, 204 pp. 30, 49, 76, 78, 79, 100, 102 pp. 15, 104, 106, 107 pp. 222, 232 pp. 184, 186 pp. 156, 158 p. 227 pp. 76, 78, 154, 230 pp. 84, 86 pp. 152, 154 pp. 184, 196 pp. 28, 46, 136, 138, 139 p. 224 pp. 28, 33, 51, 72, 74, 128, 130, 131, 220, 221, 224, 230, 231, 234 pp. 15, 25, 28, 43, 45, 46, 104, 106, 107, 132, 134, 219, 223, 224, 225, 229, 233, 234 pp. 152, 154 pp. 60, 62 Indici analitici / Analytical indexes

271


Hereford (Texas) pp. 84, 86 Houston (Texas) pp. 116, 118 India pp. 176, 178 Indianapolis (Indiana) pp. 212, 214 Inghilterra/England pp. 29, 49, 106, 196, 198, 230 Ireland pp. 83, 116, 118 Isola Fossara pp. 38, 53 Isola Maggiore sul Trasimeno pp. 48, 159 Isola Minore sul Trasimeno p. 159 Italia/Italy pp. 22, 23, 27, 28, 31, 40, 41, 43, 46, 47, 50, 51, 59, 60, 62, 68, 70, 76, 78, 84, 86, 88, 90, 104, 106, 112, 114, 124, 128, 130, 131, 132, 144, 146, 148, 150, 156, 172, 174, 190, 192, 194, 202, 204, 206, 220, 221, 222, 223, 230, 231, 232, 233, 235 Kiev pp. 24, 42 Lazio pp. 24, 42, 64, 66 Lenano pp. 224, 234 Leningrado/San Pietroburgo/Leningrad/Saint Petersburg Sankt Peterburg/St. Petersburg pp. 23, 27, 30, 33, 35, 41, 45, 49, ​51, 52, 112, 114, 116, 118, 192, 194, 195 Lione/Lyon pp. 24, 42, 176, 178, 179, 204, 206, 207 Lombardia/Lombardy pp. 24, 43, 132, 134 Londra/London pp. 24, 28, 43, 46, 96, 97, 98, 99, 104, 106, 140, 142, 152, 154, 162, 164, 166, 167, 184, 186, 187, 192, 198, 199, 208, 210, 211, 212, 214, 215, 225, 226, 227, 235, 236, 237 Loreto pp. 72, 74, 208, 210, 223, 233 Lugano pp. 80, 82, 83 Lugnano in Teverina pp. 220, 230 Madrid pp. 80, 82, 83, 92, 94, 180, 182, 183, 187, 219, 226, 229, 236 Magione pp. 222, 232 Maiano pp. 15, 104, 106, 220, 223, 230, 233 Maison-Lafitte pp. 92, 94, 95 Manchester pp. 212, 214 Mandoleto pp. 223, 233 Mantova/Mantua pp. 148, 150, 151 Marche/Marches pp. 9, 11, 22, 24, 28, 29, 41, 42, 46, 51, 56, 58, 64, 66, 72, 74, 104, 106, 116, 118, 124, 126, 132, 133, 134, 135, 138, 198, 220, 221, 224, 226, 227, 230, 231, 233, 234, 236, 237 Marsciano pp. 222, 232 Massabielle pp. 223, 233 Milano/Milan pp. 23, 25, 35, 41, 43, 52, 96, 98, 180, 182 Modena pp. 204, 206 Mombello pp. 116, 118 Monaco/Mßnchen/Munich pp. 144, 146, 147, 204, 206 Monte Pacciano pp. 108, 110 Monte Peglia pp. 14, 44 Monte Vibiano Vecchio pp. 222, 232 Montecolognola pp. 221, 222, 231, 232 Montefalco pp. 30, 50, 68, 70, 71, 120, 122, 123, 220, 221, 224, 225, 227, 230, 231,234, 235, 237 Montelabate pp. 222, 232 Monteleone di Spoleto pp. 25, 43 Montemelino pp. 27, 45, 60, 62, 63, 111, 223, 233 272

Indici analitici / Analytical indexes

Montesperello pp. 222, 232 Montone pp. 221, 231 Morra pp. 208, 210, 226, 236 Napoli/Naples pp. 28, 47, 104, 120, 122, 180, 182, 183, 187, 220, 223, 226, 230, 233, 236 Narni pp. 221, 225, 231, 235 New Haven (Connecticut) pp. 100, 102, 103 New York City (New York) pp. 15, 25, 28, 33, 35, 43, 45, 46,51, 52, 63, 100, 102, 104, 106, 107, 112, 114, 152, 154, 155, 172, 174, 184, 186, 187, 196, 198, 222, 232 Nocera pp. 220, 224, 230, 234 Norcia pp. 37, 123 Norfolk pp. 112, 114 Olmeto pp. 224, 234 Orvieto pp. 14, 68, 70, 100, 102, 160, 162, 179, 208, 210, 211, 220, 221, 225, 226, 230, 231, 235 Oxford pp. 196, 198, 199 Paesi Bassi/Low Countries pp. 156, 158 Palazzo d’Assisi pp. 224, 234 Panicale pp. 225, 235 Parco del Lago Trasimeno/Park of Lake Trasimeno pp. 20, 46, 159 Parco del Monte Cucco/Park of Mt, Cucco pp. 38, 51, 104, 106, 135, 223, 224, 234 Parco del Monte Subasio/Park of Mount Subasio pp. 12, 24, 220, 224, 234 Parco del Fiume Nera/Park of Nera River p. 6 Parco di Colfiorito/Park of Colfiorito/Colfiorito Park pp. 10, 220, 230 Parco Nazionale dei Monti Sibillini National Park of the Sibillini Mountains p. 8 Parigi/Paris pp. 15, 82, 84, 85, 86, 87, 90, 92, 93, 94, 95, 104, 105, 106, 112, 114, 124, 125, 126, 127, 140, 142, 143, 146, 148, 149, 150, 151, 152, 154, 156, 157, 158, 159, 176, 178, 184, 186, 187, 191, 205, 207 Parma pp. 180, 182 Passignano sul Trasimeno pp. 222, 223, 232, 233 Pavia pp. 24, 42, 43 Perugia pp. 21, 22, 23, 24, 25, 27, 28, 30, 31, 33, 35, 39, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 49, 50, 51, 52, 60, 62, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 74, 76, 77, 78, 79, 80, 82, 83, 84, 86, 90, 92, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 102, 103, 108, 110, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 121, 124, 125, 126, 127, 136, 138, 139, 140, 142, 143, 144, 146, 152, 153, 154, 155, 156, 158, 164, 166, 172, 174, 175, 176, 180, 181, 182, 183, 184, 186, 187, 188, 190, 192, 194, 195, 196, 198, 199, 204, 205, 206, 207, 208, 210, 212, 214, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 237 Pesaro pp. 104, 106, 230, 236


Petrignano d’Assisi Philadelphia (Pennsylvania)

pp. 221, 231 pp. 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 184, 186 Piacenza pp. 27, 45, 180, 182 Pieve di Compresseto pp. 224, 234 Piobbico pp. 64, 66 Pisa pp. 15, 23, 41 Pistoia pp. 68, 212, 214, 220, 230 Polonia/Poland pp. 22, 40, 168, 170 Ponte Felcino pp. 221, 231 Prato pp. 68, 70, 230 Preci p. 8 Princeton (New Jersey) pp. 176, 177, 178, 179 Raleigh (North Carolina) pp. 164, 166 Recanati pp. 223, 233 Repubblica di San Marino/Republic of San Marino pp. 25, 43 Richelieu pp. 148, 150, 151 Rocca Sant’Angelo pp. 60, 62, 224, 227, 234, 237 Roma/Rome pp. 27, 28, 30, 31, 42, 51, 59, 64, 66, 68, 70, 75, 78, 84, 86, 88, 90, 92, 93, 94, 95, 100, 101, 112, 114, 117, 119, 124, 136, 138, 156, 157, 158, 159, 160, 162, 177, 178, 179, 182, 184, 186, 187, 188, 190, 191, 194, 200, 201, 202, 203, 204, 206, 208, 210, 212, 213, 214, 215, 220, 222, 223, 224, 225, 226 Russia/Russie pp. 21, 39, 192, 194, 233 San Bartolomeo di Marano pp. 176, 178 San Giacomo di Spoleto pp. 227, 237 San Mariano pp. 223, 233 San Martino in Colle pp. 225, 235 San Paolo del Brasile pp. 24, 42 San Pellegrino pp. 224, 234 San Severino Marche/Sanseverino pp. 24, 33, 42, 51, 72, 74, 116, 118, 132, 134, 221, 231 Sant’Enea pp. 221, 231 Santa Maria degli Angeli pp. 24, 30, 42, 50, 160, 162 Scheggia-Pascelupo pp. 38, 104, 106 Scheggino pp. 227, 237 Scozia/Scotland pp. 112, 114, 118 Selva di Meana pp. 14, 42 Siena pp. 27, 29, 46, 49, 64, 72, 74, 104, 164, 168, 170, 172, 174, 176, 208, 210, 223, 225, 226, 235 Sigillo pp. 28, 47, 104, 106, 224, 234 Spagna/España/Spain pp. 45, 80, 82, 116, 118, 119, 184, 186, 227, 237 Spello pp. 72, 74, 116, 118, 119, 120, 122, 124, 126, 164, 166, 167, 220, 222, 225, 230, 232, 235 Spilamberto pp. 204, 206 Spina pp. 221, 231 Spoleto pp. 25, 42, 60, 62, 122, 160, 162, 164, 166, 171, 187, 200, 202, 203, 210, 212, 220, 224, 225, 226, 227, 230, 234, 235, 236, 237 Springfield (Massachussets) pp. 22, 40 Springmount p. 83 Stanstead House pp. 212, 214, 215 Stati Uniti/United States pp. 22, 27, 35, 40, 45, 53, 60, 62, 142, 84, 100, 104, 112, 114, 152, 164, 166, 230

S.T.I.N.A. Sistema Territoriale d’interesse Naturalistico e ambientale Monte Peglia e Selva di Meana S.T.I.N.A. Territorial system of natural and environmental interest Monte Peglia and Selva di Meana p. 14 Stoccolma/Stockholm pp. 196, 198 Svezia/Sweden pp. 29, 49 Svizzera/Switzerland pp. 24, 42, 45, 104, 106, 112, 113, 114, 115, 152, 172, 173, 174, 175 Teramo pp. 204, 206 Terni pp. 160, 162, 218, 219, 220, 221, 225, 227, 229, 230, 235, 237 Texas pp. 84, 86, 116, 118 Todi pp. 34, 215, 222, 227, 232, 237 Toscana/Tuscany pp. 24, 30, 42, 100, 116, 152, 172, 192, 212, 214, 224, 227, 230, 234, 236 Trevi pp. 60, 62, 224, 225, 226, 227, 234, 235, 237 Tucson (Arizona) pp. 60, 62, 63 Tunisia pp. 84, 86 Tuoro sul Trasimeno p. 222 Ucraina/Ukraine pp. 24, 42 Umbertide pp. 208, 210, 226, 236 Umbria pp. 2, 9, 11, 13, 22, 23, 24, 25, 27, 28, 31, 33, 35, 40, 41, 42, 43, 45, 46, 50, 51, 58, 60, 62, 68, 70, 72, 74, 76, 78, 80, 82, 86, 90, 96, 98, 100, 102, 104, 106, 108, 110, 112, 114, 116, 120, 122, 124, 126, 144, 146, 168, 170, 176, 178, 180, 182, 188, 190, 196, 198, 206, 208, 210, 212, 214, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 229 Ungheria/Hungary pp. 212, 214, 220, 230 Urbino pp. 23, 33, 41, 49, 52, 64, 66, 65, 76, 110, 104, 106, 108, 136, 138, 184, 186, 188, 190, 192, 194, 196, 198, 199, 208, 210, 220, 223, 226, 229, 230, 233, 236 Valenza/Valencia pp. 164, 166 Varsavia/Warsaw/Warszawa pp. 21, 22, 39, 40, 168, 170, 171 Vasciano pp. 222, 232 Veneto pp. 132, 134 Venezia/Venice pp. 15, 22, 23, 24, 40, 41, 42, 104, 106, 107, 112, 114, 115, 221, 231 Vevey pp. 152, 154 Vienna/Wien pp. 88, 90, 91, 222, 232 Villa Pitignano pp. 225, 235 Viterbo p. 94 Washington (D.C.) pp. 60, 62, 156, 158, 176, 178 Worcester (Massachussets) pp. 28, 132, 134, 135, 224, 234

Indici analitici / Analytical indexes

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Indici analitici / Analytical indexes


Nomi Names Afro (Afro Basaldella) pp. 84, 86 Alberto da Ferrara pp. 72, 74, 168, 170 Alberto Sotio pp. 60, 62, 200, 202 Albizzini (famiglia) pp. 25, 30, 43, 49, 221, 231 Aldobrandini (famiglia) pp. 64, 66 Alessandro Magno/Alexander the Great pp. 96, 98 Alessandro/Alexander II (zar) pp. 192, 194 Alessandro/Alexander VI (Rodrigo de Borja y Doms, papa) pp. 116, 118, 168, 170 Alfani (famiglia) pp. 192, 194, 219, 229 Alfani, Domenico pp. 27, 33, 45, 52, 180, 182, 219, 229 Alfani della Staffa (famiglia) pp. 192, 194 Alfonso d’Este (duca di Ferrara) pp. 168, 170 Alunno (Niccolò di Liberatore) pp. 56, 58, 72, 74, 128, 130, 176, 178, 220, 230 Anastagi, Simonetto pp. 64, 66 Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo) pp. 180, 182 Andrea del Verrocchio pp. 23, 41, 100, 102 Andrea di Aloigi di Apollonio d’Assisi pp. 156, 158 Andrea di Giusto Manzini pp. 25, 45 Anonimo giottesco/Follower of Giotto pp. 60, 62, 220, 230 Antaldi (famiglia) pp. 196, 198, 199 Antoniazzo Romano (Antonio Aquili) pp. 160, 162 Antonio Alberti (Antonio di Guido da Ferrara) pp. 140, 142 Antonio di Bartolo pp. 140, 142 Appiani, Francesco pp. 24, 42 Apuleio (Lucio Apuleio) pp. 88, 90 Aynard, Éduard pp. 176, 178, 179 Baglioni, Atalanta pp. 30, 49 Baj, Enrico pp. 88, 90 Baldeschi, Pompeo pp. 172, 174 Barberini (famiglia) pp. 88, 90, 222, 232 Barocci, Federico pp. 23, 24, 41, 42, 64, 66, 108, 136, 138, 220, 230 Bartolomeo della Porta (fra’) pp. 184, 186, 219, 229 Bartolomeo di Tommaso pp. 56, 58, 128, 130 Bassano (Leandro dal Ponte) pp. 22, 40 Beato Angelico/fra’ Angelico pp. 30, 50, 68, 70, 80, 82, 100, 102, 220, 221 Belli (famiglia) pp. 124, 126, 127 Belli, Piergentile di Lorenzo pp. 124, 126 Bellini, Giovanni pp. 148, 150 Bellini, Jacopo pp. 140, 142 Bembo, Bonifacio pp. 140, 142 Benedetto da Maiano pp. 15, 104, 106, 220, 223, 230, 233 Bermudez de Castro/duca di Ripalta pp. 184, 186 Bernardino di Lorenzo pp. 100, 102, 222, 232 Bernardino di Mariotto dello Stagno pp. 33, 51, 72, 74, 124, 126, 221, 231 Bernardo di Girolamo pp. 128, 130 Berto di Giovanni di Marco pp. 33, 51, 76, 78, 79, 212, 214, 221, 231 Bevignate (fra’/friar) pp. 23, 41 Biagio d’Antonio pp. 212, 214 Bigazzini, Antonio pp. 184, 186, 187 Biolato, Ania pp. 22, 40 Biolato, Luca Daniele pp. 22, 40 Bonfigli, Benedetto pp. 80, 82, 221, 231 Boninsegna Veneziano pp. 23, 41 Bontempi (famiglia) pp. 140, 142, 143 Borghese, Ippolito pp. 28, 47 Borghese, Marc’Antonio pp. 176, 178, 179 Borghese, Scipione pp. 30, 49 Borromini, Francesco pp. 108, 110 Botticelli (Sandro/Alessandro Filipepi) pp. 136, 138 Boxall, William pp. 184, 186 Bramante, Donato (Donato d’Angelo) pp. 208, 210 Brancaleoni, Antonio pp. 64, 66 Indici analitici / Analytical indexes

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Budini Gattai (famiglia) pp. 60, 62 Burri, Alberto pp. 33, 51, 84, 86, 87, 200, 202, 221, 225, 231, 236 Buturlin, Dmitrij pp. 223, 233 Camassei, Andrea pp. 28, 31, 33, 47, 51, 88, 90, 222, 232 Camillo Giuliano (del Pinturicchio) pp. 208, 210 Cappellano, Antonio pp. 64, 66 Capponi (cardinale) pp. 204, 206 Capponi (famiglia) pp. 144, 146, 147 Carolina di/Caroline of Brunswick (regina di Gran Bretagna) pp. 196, 198 Carracci, Annibale pp. 92, 94 Caterina/Catherine (di Pietro di Mazzaforte) pp. 56, 58 Cavallini, Pietro pp. 188, 190 Cellini, Benvenuto pp. 84, 86 Cerrini, Gian Domenico (il Cavalier Perugino) pp. 28, 31, 47, 51, 92, 94, 222, 232 Chigi, Agostino pp. 76, 78, 156, 158 Clemente/Clement VIII (Ippolito Aldobrandini, papa) pp. 92, 94 Colnaghi, Martin pp. 184, 186, 187 Colonna (famiglia) pp. 184, 186, 187 Conestabile/Conestabile della Staffa (famiglia) pp. 27, 45, 60, 62, 192, 194 Conestabile della Staffa, Alessio pp. 60, 62, 63 Conestabile della Staffa, Giancarlo pp. 60, 62, 63, 192, 194 Conestabile della Staffa, Gianfranco pp. 192, 194 Conestabile della Staffa, Scipione pp. 192, 194 Coningham, J. pp. 212, 214 Contini Bonacossi, Alessandro pp. 60, 62, 63 Contini Bonacossi, Vittoria pp. 60, 62, 63 Correggio (Antonio Allegri) pp. 64, 66, 148, 150, 220, 230 Costa, Lorenzo il Giovane pp. 148, 150 Cristina di Svezia/Christina of Sweden pp. 184, 186 Crivelli, Carlo pp. 56, 58, 72, 74, 160, 162, 220, 230 D’Annunzio, Gabriele pp. 96, 98 d’Hendecourt, Bernard pp. 140, 142, 143 da Costa Greene, Belle pp. 152, 154 da Varano (famiglia) pp. 56, 58 Dante (Alighieri) pp. 144, 146 Davide/David pp. 56, 58, 160, 162 de Borbón, Pedro pp. 180, 182 de Borbón y Braganza, Sebastián Gabriel pp. 180, 182, 183 de Cervantes, Miguel pp. 84, 86 de Comitibus/Conti (famiglia) pp. 188, 190 de Comitibus/de’ Conti, Anna pp. 188, 190 de Comitibus/de’ Conti, Giovanni Francesco pp. 188, 190 de Comitibus/de’ Conti, Sigismondo/Gismondo pp. 188, 190 de Gérando (barone) pp. 30, 31, 50 De Gregorio, Giuseppe pp. 200, 202 de’ Medici, Carlo (cardinale) pp. 144, 146, 147 de’ Medici, Giuliano pp. 144, 146 della Rovere (famiglia) pp. 64, 66, 220 Denon, Dominique-Vivant pp. 124, 126 di Braganza, Maria Teresa pp. 180, 182 Domenichino (Domenico Zampieri) pp. 88, 90, 222, 232 Domenico Veneziano (Domenico di Bartolomeo) pp. 80, 82, 156, 158, 221, 231 Dottori, Gerardo pp. 33, 51, 96, 98, 99, 222, 232 Estensi/d’Este (famiglia) pp. 168, 170 Eugenia/Eugenie (imperatrice dei Francesi) pp. 184, 186 Eugenio/Eugene IV (Gabriele Condulmer, papa) pp. 68, 70 Eusebio da San Giorgio pp. 76, 78 Falcò di Savoia, Pio pp. 116, 118 Farnese, Odoardo (cardinale) pp. 92, 94 Farnese, Pierluigi (duca di Parma e Piacenza) pp. 180, 182 Fastenrath Vinattieri, Wiebke pp. 29, 49 Federico da Montefeltro (duca di Urbino) pp. 104, 106 Federico/Frederick II (duca di Mantova) pp. 148, 150 Federico Guglielmo/Frederick William III (re di Prussia) pp. 160, 162 276

Indici analitici / Analytical indexes


Feliciano dei Muti p. 191 Ferdinando/Ferdinand I (re delle Due Sicilie) pp. 184, 186 Ferdinando/Ferdinand II (re delle Due Sicilie) pp. 184, 186 Ficarelli, Felice(il Riposo) pp. 144, 146 Fiorenzo di Lorenzo pp. 100, 102, 160, 162, 221, 222, 231, 231 Florenzi, Marianna pp. 136, 138 Francesco di Giorgio Martini pp. 104, 106, 208, 210, 223, 233 Francesco Maria della Rovere (duca di Urbino) pp. 64, 66 Francesco/Francis I (re delle Due Sicilie) pp. 184, 186 Francesco/Francis II (re delle Due Sicilie) pp. 184, 186, 187 Francia (Francesco Raibolini) pp. 72, 74 Fuller Maitland, W. pp. 212, 214 Gabrielli (principe) pp. 212, 214, 215 Gaddi, Agnolo pp. 60, 62 Genga, Girolamo pp. 124, 126 Gentile da Fabriano pp. 23, 41, 132, 134, 140, 142, 224, 234 Ghiberti, Lorenzo pp. 68, 70, 220, 230 Giannicola di Paolo pp. 27, 33, 45, 51, 124, 126, 180, 182, 212, 214, 226, 236 Gigli pp. 212, 214 Giorgio/George IV (re di Gran Bretagna) pp. 196, 198 Giotto di Bondone pp. 27, 45, 60, 62, 120, 122, 180, 182, 224, 230, 234 Giovanni da Spoleto p. 185 Giovanni Pisano pp. 23, 41 Giovanni/John VI (re del Portogallo) pp. 180, 182 Girolamo di Matteo pp. 128, 130 Giuliano da Maiano pp. 104, 106, 223, 233 Giulio Romano (Giulio Pippi) pp. 76, 78 Giulio/Julius II (Giuliano della Rovere, papa) pp. 188, 190 Gonzaga (famiglia) pp. 148, 150 Goya, Francisco pp. 180, 182 Gozzoli, Benozzo (Benozzo di Lese di Sandro) pp. 30, 50, 68, 70, 72, 74, 80, 82, 220, 230, 231 Graziani (famiglia) pp. 24, 31, 42, 114, 114 Graziani, Amico pp. 24, 31, 42 Graziani Monaldi (famiglia) pp. 42, 50, 112, 114 Guidalotti (famiglia) pp. 68, 70 Gualaccini, Umberto pp. 31, 51, 108, 110, 111, 223, 233 Guidobaldo II della Rovere (duca di Urbino) pp. 64, 66, 230 Guglielmi (famiglia) pp. 108, 110 Guglielmo/William II (re dei Paesi Bassi) pp. 156, 158 Guttuso, Renato pp. 200, 202 Icaro/Icarus pp. 96, 98 Isabella d’Este pp. 148, 150, 151 Isaia/Isaiah pp. 56, 58 Jacopo di Cione pp. 60, 62 Jarves, James Jackson pp. 100, 102, 103 Jesse pp. 160, 162 Johnson, John G. pp. 164, 166 Kress, Samuel H. pp. 27, 45, 60, 62, 63 Lattanzio di Niccolò pp. 56, 58, 176, 178, 220, 230 Lawrence, Thomas pp. 196, 198, 199 Lechi, Giuseppe pp. 30, 49 Lega, Silvestro pp. 108, 110 Leombruno, Lorenzo pp. 148, 150 Leonardi, Leoncillo pp. 200, 202 Leonardo da Vinci pp. 23, 41, 96, 98, 176, 178 Leone/Leo XIII (Gioacchino Pecci, papa) pp. 192, 194 Leopoldo Guglielmo d’Austria/Leopold William of Austria p. 88 Lippi, Filippo pp. 152, 154, 156, 158, 160, 162, 200, 202, 225, 235 Loewi, Adolfo pp. 104, 106, 107 Lorenzo d’Alessandro pp. 72, 74, 221, 231 Lorenzo di Credi pp. 23, 41 Lorenzo il Magnifico/Lorenzo the Magnificent pp. 144, 146 Lucrezia/Lucrecia Borgia pp. 21, 39, 116, 118, 136, 138, 168, 170 Lucrezia d’Este pp. 64, 66 Ludovico/Ludwig I (re di Baviera) pp. 144, 146 Indici analitici / Analytical indexes

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Luigi Filippo/Louis Philippe (re dei Francesi) pp. 31, 50 Luti, Benedetto pp. 24, 42, 112, 114, 223, 233 Maestro del Dittico Poldi Pezzoli/Master of the Poldi Pezzoli Diptych pp. 60, 62, 120, 122 Maestro del Tondo di Cortona/Master of Cortona Tondo pp. 27, 45, 116, 118, 224 Maestro dell’Annunciazione Gardner/Master of the Gardner Annunciation pp. 24, 42, 160, 162 Maestro di Cesi/Master of Cesi pp. 120, 122 Maestro di Fossa/Fossa Master/Master of Fossa pp. 120, 122, 224, 234 Mancini, Carla pp. 192, 194 Mantegna, Andrea pp. 148, 150, 222, 232 Maratta/Maratti, Carlo pp. 24, 42, 112, 114, 223, 233 Mariano di Ser Austerio pp. 29, 47, 124, 126, 224, 234 Maria/Marija Aleksandrovna (zarina) pp. 192, 194 Marignoli, Filippo pp. 200, 202 Marinetti, Filippo Tommaso pp. 96, 98 Marino di Antonio Samminuzi pp. 72, 74 Mariotti, Agostino pp. 160,162 Marx, Karl pp. 35, 52 Massimino/Maximin (imperatore) pp. 136, 138 Massimo, Vittorio pp. 116, 118, 119 Massimo Lancellotti, Filippo pp. 104, 106, 107 Massimo Lancellotti, Filippo Giuseppe pp. 104, 106 Matteo da Gualdo pp. 28, 33, 46, 51, 60, 62, 128, 130, 224, 234 Mazzolino, Ludovico pp. 168, 170 Mecucci, Gabriella pp. 22, 40 Mezzastris, Pierantonio pp. 128, 130 Michelangelo (Buonarroti) pp. 160, 162, 176, 178, 226, 236 Michele Giambono pp. 132, 134, 140, 142 Monaldi (famiglia) pp. 24, 31, 42, 50, 112, 114, 115 Morgan, Pierpont J. pp. 31, 35, 50, 52, 152, 154, 155, 172, 174, 184, 186 Murillo, Bartolomé Ésteban pp. 180, 182 Napoleone I (imperatore dei Francesi) pp. 160, 162, 188, 190, 204, 206 Napoleone III (imperatore dei Francesi) pp. 184, 186 Nasi (famiglia) pp. 144, 146, 147 Nasi, Bernardo di Lutozzo pp. 144, 146 Nasi, Filippo di Lutozzo pp. 144, 146 Nelli, Ottaviano pp. 28, 32, 46, 128, 130, 132, 134, 224, 234 Niccolò di Pietro Gerini pp. 60, 62 Nicola Pisano pp. 23, 41 Nicola/Nicholas V (Tomaso Parentucelli, papa) pp. 68, 70 Nieuwenhuys pp. 156, 158 Orange-Nassau (famiglia) pp. 156, 158 Orsini, Gianni pp. 200, 202 Ottaviano Augusto (imperatore) pp. 188, 190 Paolo/Paul V (Camillo Borghese, papa) pp. 30, 49 Pascoli, Giovanni pp. 200, 202 Pelham Hood, Thomas pp. 80, 82, 83 Pellegrini, Vincenzo (il Pittor Bello) pp. 28, 46, 136, 138, 224, 234 Pellegrino di Giovanni pp. 28, 46, 140, 142, 225, 235 Penndorf, Jutta pp. 29, 49 Penni, Gian Francesco pp. 76, 78 Perugino (Pietro di Cristoforo Vannucci) pp. 23, 24, 27, 30, 31, 33, 41, 45, 42, 49, 51, 56, 58, 72, 74, 76, 78, 80, 82, 92, 94, 124, 126, 144, 146, 147, 148, 150, 152, 154, 156, 158, 180, 182, 184, 186, 196, 198, 200, 202, 208, 210, 212, 214, 224, 225, 226, 227, 231, 234, 235, 236, 237 Piccolomini, Enea Silvio (Pio II, papa) pp. 172, 174 Piccolomini, Irene pp. 172, 174 Pier Matteo d’Amelia pp. 24, 30, 42, 50, 160, 162, 163, 225, 235 Piero della Francesca pp. 28, 46, 208, 210, 226, 236 Pietro da Cortona (Pietro Berrettini) pp. 88, 90, 222, 223, 232, Pietro di Nicola d’Orvieto pp. 24, 42 Pietro di Mazzaforte pp. 56, 58 Pinturicchio (Bernardino di Betto) pp. 21, 24, 27, 28, 31, 39, 42, 45, 46, 51, 72, 74, 76, 78, 80, 82, 100, 102, 116, 118, 124, 126, 136, 138, 148, 150, 156, 158, 160, 162, 164, 166, 168, 170, 172, 174, 175, 176, 178, 184, 186, 200, 202, 208, 210, 212, 214, 221, 222, 225, 231, 232, 234, 235 278

Indici analitici / Analytical indexes


Pio/Pius III (Francesco Todeschini Piccolomini, papa) pp. 172, 174 Pio/Pius IV (Giovanni Angelo Medici, papa) pp. 220, 230 Pio/Pius IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, papa) pp. 30, 50, 68, 70, 220, 231 Pompeo d’Anselmo pp. 27, 45, 180, 182, 219 Poussin, Nicolas pp. 222, 232 Puccio Capanna pp. 60, 62, 120, 122 Quillerier, NoÍl pp. 24, 42 Raffaello/Rafael/Raphael (di Giovanni Santi) pp. 23, 24, 25, 27, 28, 30, 31, 35, 41, 42, 43, 45, 46, 49, 50, 51, 52, 76, 78, 124, 126, 136, 138, 160, 162, 172, 174, 176, 178, 180, 182, 184, 186, 188, 190, 192, 194, 196, 198, 208, 210, 212, 214, 219, 221, 224, 226, 229, 236 Rambaldi, Ugo pp. 33, 51, 200, 202, 226, 236 Raspi, Ugo pp. 200, 202 Rembrandt (van Rijn) pp. 180, 182 Reni, Guido pp. 24, 42, 92, 94, 204, 206, 226, 236 Richelieu (cardinale) pp. 148, 150, 151 Ripa, Cesare pp. 92, 94 Romanelli, Giovanni Francesco pp. 92, 94 Roncalli, Cristoforo pp. 24, 42 Rosselli, Cosimo pp. 212, 214 Rotschild (famiglia) pp. 30, 49 Rubens, Pietro Paolo pp. 136, 138, 180, 182 Sacchetti (famiglia) pp. 88, 80 Sacchi, Andrea pp. 33, 88, 90 Salimbeni, Jacopo pp. 132, 134, 224, 234 Salimbeni, Lorenzo pp. 132, 134, 224, 234 San Bernardo da Chiaravalle/Saint Bernard of Clairvaux pp. 144, 146 San Francesco/Saint Francis pp. 84, 86 Sanguinetti, Giovanni pp. 136, 138 Sassetta (Stefano di Giovanni di Consolo) pp. 140, 142 Sebastiano del Piombo (Sebastiano Luciani) pp. 188, 190 Sedelmeyer, Charles pp. 184, 186, 187 Sella, Quintino pp. 21, 39 Sforza, Bona pp. 136, 138 Sforza, Caterina pp. 136, 138 Signorelli, Luca (Luca da Cortona) pp. 68, 70, 72, 74, 128, 130, 208, 210, 220, 221, 226, 230, 231, 236 Sisto/Sixtus IV (Francesco della Rovere, papa) pp. 100, 102, 156, 158 Sitwell, G. pp. 152, 154, 155 Siviero, Rodolfo pp. 22, 40 Solly, Edward pp. 160, 162, 163 Spacca, Ascensidonio (il Fantino) pp. 88, 90 Spadini, Armando pp. 96, 98 Spagna (Giovanni di Pietro) pp. 30, 50, 124, 126, 200, 202, 212, 214, 227, 234, 237 Squarcione, Francesco pp. 128, 130 Stewart Gardner, Isabella pp. 184, 186 Stoclet, Adolphe pp. 140, 142 Stroganov, Grigorij pp. 164, 166 Tamagni, Vincenzo pp. 185 Tiberti (famiglia) pp. 208, 210 Tomasi di Lampedusa, Giuseppe pp. 92, 94 Toscano, Bruno pp. 200, 202 Urbano/Urban VIII (Maffeo Barberini, papa) pp. 88, 90 van Eyck, Jan pp. 164, 166 Vasari, Giorgio pp. 56, 58 Veronese (Paolo Caliari) pp. 180, 182 Vitelli (famiglia) pp. 208, 210 Viti, Timoteo pp. 196, 198 von Lindenau, August pp. 128, 130, 131 von Thyssen-Bornemisza, Hans pp. 80, 82 von Thyssen-Bornemisza, Heinrich pp. 80, 82 von Thyssen-Bornemisza, Carmen pp. 80, 82 Weyer, Johann Peter pp. 168, 170, 171 Woodburn, Samuel pp. 196, 198, 199, 212, 214

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Opere Works of art Adorazione dei Magi/Madonna con il Bambino e i Magi/Adoration of the Magi/Madonna and Child with the Magi (Bernardino di Mariotto: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 72, 74, 221, 231 Adorazione dei Magi/Adoration of the Magi (Gentile da Fabriano: Firenze, Galleria degli Uffizi) pp 140, 142 Adorazione dei Magi/Adoration of the Magi (Ottaviano Nelli: Worcester, Worcester Art Museum) pp 28, 46, 132, 134, 225, 234 Adorazione dei Magi/Adoration of the Magi (Perugino: Città della Pieve, Oratorio di Santa Maria dei Bianchi) p. 147 Adorazione dei Magi Vitelli/Adoration of the Magi Vitelli (Anonimo umbro: Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina) pp 33, 51 Adorazione dei pastori/Adoration of the Shepherds (Luca Signorelli: London, The National Gallery) pp. 208, 210, 227, 236 Annunciazione/The Annunciation (Benedetto Bonfigli: Madrid, Colección Thyssen-Bornemisza) pp. 80, 82 Annunciazione/Annunciation (Ippolito Borghese: Sigillo, Chiesa di Sant’Agostino) pp. 28, 47 Annunciazione/Annunciation (Benozzo Gozzoli: Narni, Palazzo Comunale) pp. 221, 231 Annunciazione/Annunciazione Gardner/Annunciation/Gardner Annunciation (Pier Matteo d’Amelia: Boston, Isabella Stewart Gardner Museum) pp. 24, 30, 42, 50, 160, 162 Antiporta della Matricola/Antiporta of the Matricula (Vincenzo Pellegrini: Perugia, Nobile Collegio del Cambio) pp. 225, 235 Apollo e la Sibilla Cumana/Apollo and the Cumaean Sibyl (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 222, 232 Apparizione della Madonna a san Bernardo/The Apparition of the Virgin to Saint Bernard (Perugino: München, Alte Pinakotek) pp. 144, 146 Arcangelo Michele/L’Arcangelo Michele/San Michele Arcangelo/ Archangel Michael/The Archangel Michael (Pellegrino di Giovanni: Boston, Museum of Fine Arts) pp. 28, 46, 140, 142, 225, 235 Assunzione/Assumption (Ippolito Borghese: Perugia, Cattedrale di San Lorenzo) pp. 28, 47 Assunzione/Assumption (Guido Reni: München, Alte Pinakotek) pp. 204, 206 Assunzione della Vergine/Assumption of the Virgin (Guido Reni: Lyon, Musée des Beaux Arts) pp. 24, 42, 204, 206 Autoritratto/Self Portrait (Benedetto Luti: Roma, Accademia di San Luca) pp. 112, 114 Autoritratto/Self Portrait (Umberto Gualaccini, collezione privata) pp. 223, 233 Bambin Gesù delle mani/Bambino/Baby Jesus of the Hands/Bambino (Pinturicchio: Perugia, Fondazione Guglielmo Giordano) pp. 27, 45, 46, 175, 226, 235 Battaglia tra Amore e Castità/The Battle of Love and Chastity (Perugino: Paris, Musée National du Louvre) pp. 148, 150 Battesimo di Costantino/Baptism of Constantine (Andrea di Giusto Manzini: Sankt-Peterburg, Ermitaž) pp. 25, 45 Biga etrusca/Etruscan Chariot (Anonimo bronzista etrusco: New York, Metropolitan Museum of Art) pp. 25, 43 Caino che uccide Abele/Cain Killing Abel (Andrea Camassei: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 222, 232 Carità Romana/Roman Charity (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 222, 232 Cartone Baldeschi/Baldeschi Board (Raffaello: New York, The J. Pierpont Morgan Library) pp. 35, 52 Consegna delle chiavi/Giving of the Keys (Perugino e aiuti: Città del Vaticano, Cappella Sistina) pp. 208, 210 Cretti (Alberto Burri: Gibellina) pp. 84, 86 Cristo in casa del fariseo/Gesù in casa del Fariseo/Christ in the House of the Pharisee/Jesus in the House of the Farisee (Benedetto Luti: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 112, 114, 223, 233 Cristo portacroce/Christ Carrying the Cross (Spagna: Perugia, Monastero della Beata Colomba) 227, 237 Indici analitici / Analytical indexes

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Cristo risorto fra angeli/Resurrection with Angels (Bernardino di Mariotto: Perugia, Collezione Spagnoli) pp. 221, 231 Croce sagomata dipinta/Painted Tabular Crucifix (Anonimo giottesco: Tucson, Episcopal Church of St. Philip’s In The Hills, Kress Collection) pp. 27, 45, 60, 62 Crocifissione con i santi Bonaventura, Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova/Crucifixion with Saints Bonaventure, Louis of Toulouse and Anthony of Padua (Andrea Camassei: Spello, Chiesa di Santa Caterina di Valcelli) pp. 222, 232 Crocifissione fra i santi Gerolamo e Cristoforo/Crucifixion between Saints Jerome and Christopher (Pinturicchio: Roma, Galleria Borghese) pp. 30, 49 Crocifissione fra i santi Venanzio, Pietro, Giovanni Battista e Porfirio/Trittico di Camerino/The Crucifixion with Saints Venanzio, Peter, John the Baptist and Porfirio/The Camerino Triptych (Alunno: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 56, 58 Crocifissione Mond/Mond Crucifixion (Raffaello: London, The National Gallery) pp. 25, 43, 184, 186 Deposizione/Descent from the Cross (Ippolito Borghese: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 28, 47 Deposizione Baglioni/Deposizione Baglioni-Borghese/Trasporto di Cristo al sepolcro/Removal of Christ to the Tomb/The Baglioni Descent from the Cross (Raffaello: Roma, Galleria Borghese) pp. 25, 30, 43, 49 Deposizione dalla croce/Deposition/Descent from the Cross (Federico Barocci: Perugia, Cattedrale di San Lorenzo, Cappella del Nobile Collegio della Mercanzia o di San Bernardino da Siena) pp. 64, 66, 136, 138, 220, 230 Disputa con i filosofi/The Debate with the Philosophers (Pinturicchio: Città del Vaticano, Appartamenti Borgia, Sala dei Santi) pp. 116, 118 Donna con chitarra/Woman with Guitar (Ugo Rambaldi: Collezione privata) 226, 236 È il tocco!/One o’clock (Umberto Gualaccini: Collezione privata) pp. 108, 110 Esplosione di rosso su verde/Explosion of Red on Green (Gerardo Dottori: London, Tate Gallery) pp. 96, 98 Gioconda/Mona Lisa (Leonardo da Vinci: Paris, Musée National du Louvre) pp. 176, 178 Giudizio Universale/Universal Judgement (Luca Signorelli: Orvieto, Cattedrale di Santa Maria Assunta, Cappella di San Brizio) pp. 208, 210 Giunone sul carro trainato dai pavoni/Juno in a Carriage Drawn by Peacocks/Juno on a Chariot drawn by Peacocks (Andrea Camassei: Wien, Kunsthistorisches Museum) pp. 88, 90 Giustizia/Justice (Benedetto da Maiano: Perugia, Nobile Collegio del Cambio, Sala dell’Udienza) pp. 220, 230 Gloria di San Benedetto/Glory of St. Benedict (Vincenzo Pellegrini: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 225, 235 Grande Nero Cretto/Large Black ‘Cretto’ (Alberto Burri: Paris, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou) pp. 84, 86 Guarigione di Costantino/Healing of Constantine (Andrea di Giusto Manzini: Sankt-Peterburg, Ermitaž) pp. 25, 45 Il patriota Francesco Guardabassi nella prigione di Civita Castellana riceve la visita della famiglia/Il patriota Francesco Guardabassi visitato dalla famiglia nel carcere di Civita Castellana/The Patriot Francesco Guardabassi Visited by his Family at the Civita Castellana Prison/The Patriot Francesco Guardabassi Visited by his Family in the Civita Castellana Prison (Umberto Gualaccini: Perugia, Museo Civico di Palazzo della Penna) pp.108, 110, 223, 233 Immacolata Concezione fra i santi Michele arcangelo e Maddalena/Immaculate Conception with the Archangel Michael and Mary Magdalene/ Immaculate Conception with the Archangel Michael and Saint Mary Magdalene (Vincenzo Pellegrini: Perugia, Chiesa di San Filippo Neri) pp. 136, 138, 225, 234-35 Incontro dell’imperatore Federico III con Eleonora di Portogallo alle porte di Siena/The Encounter of Emperor Frederick III with Eleanor of Portugal at the Gates of Siena (Pinturicchio e scuola: Siena, Libreria Piccolomini) pp. 172, 174 Incoronazione della Vergine/Coronation of the Virgin (Lorenzo d’Alessandro e Bernardino di Mariotto, già Gualdo Tadino, Duomo; in sede sconosciuta o perduta) pp. 72, 74 Incoronazione di Monteluce/Coronation of Monteluce/Monteluce Coronation (Raffaello e scuola: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 25, 43, 76, 78, 226, 236 Incoronazione di san Nicola da Tolentino/Coronation of San Nicola da Tolentino (Raffaello: Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte) pp. 25, 43 La Maddalena in preghiera/The Praying Magdalene (Gian Domenico Cerrini: Paris, Musée National du Louvre) pp. 92, 94 La Vergine dona la propria cintola a san Tommaso/Madonna della cintola/The Virgin giving her Belt to Saint Thomas/The Madonna of the Belt/ Madonna of the Girdle (Benozzo Gozzoli: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 30, 50, 68, 70, 220, 230 282

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Le educande/Boarding-School Girls/The Convent Girls (Umberto Gualaccini: Francia, Collezione privata) pp. 108, 110, 223, 233 Madonna Ansidei/Ansidei Madonna (Raffaello: London, The National Gallery) pp. 25, 43, 184, 186 Madonna che adora il Bambino fra i santi Giovanni Evangelista e Maddalena/Madonna with Saints John the Evangelist and Mary Magdalene adoring the Christ Child (Perugino: New York, The J. Pierpont Morgan Library) pp. 152, 154 Madonna con il Bambino/Lactating Madonna (Pinturicchio: già San Pietroburgo, Collezione Botkin, in sede sconosciuta o perduta) 116, 118 Madonna con il Bambino/Madonna and Child (Pinturicchio: Trevi, Raccolta d’Arte di San Francesco) pp. 225, 235 Madonna con il Bambino/Madonna and Child (Pinturicchio: Houston, Sarah Blaffer Campbell Foundation) pp. 116, 118 Madonna con il Bambino/Madonna and Reading Child (Pinturicchio: Raleigh, Museum of Art, Samuel H. Kress Collection) pp. 164, 166 Madonna con il Bambino/Madonna con il Bambino in un paesaggio/Madonna and Child/Madonna and Child in a Landscape (Pinturicchio: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 28, 46, 225, 235 Madonna con il Bambino/Madonna con il Bambino in trono in un paesaggio Madonna con il Bambino in un paesaggio/Madonna and Child Enthroned in a Landscape/Madonna and Child in a Landscape/Madonna with Child (Maestro del Tondo di Cortona o Pinturicchio: Spagna, Collezione privata) pp. 27, 45, 116, 118, 224, 234 Madonna con il Bambino, angeli, le sante Rosa e Caterina d’Alessandria/Madonna and Child with Angels, Saint Rose and Saint Catherine of Alexandria (Perugino: Paris, Musée National du Louvre) pp. 156, 158 Madonna con il Bambino, cherubini e i santi Pietro e Paolo/Madonna and Child with Cherubs and Saints Peter and Paul (Pinturicchio: Perugia, Collezione privata) pp. 225, 235 Madonna con il Bambino e angeli/Madonna and Child with Angels (Pellegrino di Giovanni: London, The National Gallery) pp. 140, 142 Madonna con il Bambino e il donatore/Madonna and Child with a Donor (Pinturicchio: Valencia, Museo de Bellas Artes) pp. 164, 166 Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni/Madonna and Child with the Infant St. John (Pinturicchio: Città di Castello, Museo Diocesano) 225, 235 Madonna con il Bambino e il piccolo san Giovanni/Madonna with Child and the Little St. John (Pinturicchio: Warszawa, Muzeum Narodowe) pp. 21, 39, 168, 170 Madonna con il Bambino e san Gerolamo/Madonna with Child and Saint Jerome (Pinturicchio: Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie) pp. 116, 118 Madonna con il Bambino e santi/Madonna con il Bambino in trono, angeli, i santi Andrea, Ludovico di Tolosa, Francesco e Lorenzo/Pala di Sant’Andrea/ Altar-piece of Saint Andrew/Madonna and Child Enthroned with Angels and Saints Andrew, Ludwig of Toulouse, Francis and Lawrence/Madonna and Child with Saints/Sant’Andrea Altarpiece (Pinturicchio: Spello, Chiesa di Sant’Andrea) pp. 124, 126, 164, 166, 225, 235 Madonna con il Bambino fra i santi Lorenzo, Giovanni Battista, Gerolamo e Domenico/Madonna and Child with Saints Laurence, John the Baptist, Jerome and Dominic/Madonna with Child and Saints Laurence, John the Baptist, Jerome and Dominic (Mariano di Ser Austerio: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 29, 47, 124, 126 Madonna con il Bambino in gloria fra i santi Nicola da Tolentino, Bernardino da Siena, Gerolamo e Sebastiano/Pala Tezi/Madonna and Child in Glory among Saints Nicholas of Tolentino, Bernardino of Siena, Jerome and Sebastian/Tezi Altarpiece (Perugino e scuola: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 76, 78 Madonna con il Bambino in gloria, angeli, i santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e il donatore/Madonna in gloria, santi e il committente/ Madonna di Foligno/Foligno Madonna/Madonna and Child in Glory among Angels, the Saints John the Baptist, Francis, Jerome and the Donor/ Madonna of Foligno (Raffaello: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 25, 30, 33, 43, 50, 51, 188, 190, 226, 236 Madonna con il Bambino in trono/Madonna and Child Enthroned (Matteo da Gualdo: Altenburg, Lindenau Museum) pp. 28, 46, 128, 130 Madonna con il Bambino in trono/Enthroned Madonna and Child/Madonna and Child Enthroned (Pier Matteo d’Amelia: Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie) pp. 160, 162, 225, 235 Madonna con il Bambino in trono, due angeli e i santi Francesco e Antonio Abate/Enthroned Madonna and Child, two Angels and Saints Francis and Anthony Abbot (Pellegrino di Giovanni: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 225, 235 Madonna con il Bambino in trono e angeli, fra sant’Anna e la beata Angelina da Montegiove/Madonna and Child Enthroned with Angels, Saint Anna and the Blessed Angelina of Montegiove (Pierantonio Mezzastris: Foligno, Monastero di Sant’Anna o delle Contesse) pp. 128, 130 Madonna con il Bambino in trono e santi/Madonna Borbonica/ Madonna di Napoli/ Pala Colonna/Raffaello da un milione/Bourbon Madonna/Colonna Altarpiece/Madonna and Child Enthroned with Saints/Naples Madonna/One million Raphael (Raffaello: New York, Metropolitan Museum of Art) pp. 25, 28, 30, 43, 46, 49, 136, 138, 184, 186, 196, 198

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Madonna con il Bambino in trono fra i santi Cristoforo e Sebastiano/Madonna and Child Enthroned between Saints Christopher and Sebastian (Fiorenzo di Lorenzo e Pinturicchio: Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut) pp. 100, 102 Madonna con il Bambino in trono fra le sante Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria/Enthroned Madonna and Child with Saints Mary Magdalene and Catherine of Alexandria (Maestro del Tondo di Cortona: Perugia, Collezione Ranieri di Sorbello) pp. 224, 234 Madonna con il Bambino in un paesaggio/Madonna and Child in a Landscape (Pinturicchio: Philadelphia, Museum of Art, John G. Johnson Collection) pp. 164, 166 Madonna Conestabile/Madonna del Libro/Madonna con il Bambino leggente in un paesaggio/Conestabile Madonna/Madonna of the Book/Reading Madonna and Child in a Landscape/The Conestabile Madonna (Raffaello: Sankt-Peterburg, Ermitaž) pp. 21, 25, 27, 33, 35, 39, 43, 45, 51, 52, 192, 194, 219, 229 Madonna degli Alberelli/Madonna of the Trees (Pinturicchio: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) 225, 235 Madonna dei Raccomandati (Fiorenzo di Lorenzo: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 100, 102 Madonna del latte/Madonna of the Milk (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Chiesa di San Pietro) pp. 222, 232 Madonna del latte/Nursing Madonna (Raffaello: Oxford, Ashmolean Museum) pp. 196, 198 Madonna della melagrana/Madonna of the Pomegranate (Pinturicchio: Siena, Pinacoteca Nazionale) pp. 168, 170 Madonna della Pace/Madonna of Peace (Pinturicchio: San Severino Marche, Pinacoteca Civica P. Tacchi Venturi) pp. 24, 42, 116, 118 Madonna della scodella/Madonna of the Bowl (Correggio: Parma, Galleria Nazionale) pp. 64, 66 Madonna delle ciliegie/Riposo nella fuga in Egitto/Madonna of the Cherries/Rest on the Flight into Egypt (Federico Barocci: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 64, 66, 220, 230 Madonna delle grazie (Perugino: Perugia, Monastero di Sant’Agnese) pp. 196, 198 Madonna di Lourdes/Madonna of Lourdes (Umberto Gualaccini: Montemelino, Chiesa parrocchiale) pp. 223, 233 Natività (Spagna: Paris, Musée National du Louvre) pp. 30, 50 Natività della Vergine/Birth of the Virgin (Vincenzo Pellegrini: Perugia, Cattedrale di San Lorenzo) pp. 225, 235 Natura morta con fichi d’India/Still Life with Prickly Pears (Ugo Rambaldi: collezione privata) 226, 236 Nebbia. Impressioni dal vero/Fog. Impression from Life (Umberto Gualaccini: collezione privata) pp. 108, 110 Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria/The Mystic Marriage of Saint Catherine of Alexandria/The Mystical Wedding of Saint Catherine of Alexandria (Vincenzo Pellegrini: Greenville, Museum and Gallery at Bob Jones University) pp. 28, 46, 136, 138 Orazione nell’orto/Prayer in the Garden (Anonimo umbro: Indianapolis, J. Herron Art Museum) pp. 212, 214 Orazione nell’orto/Prayer in the Garden (Berto di Giovanni: Firenze, Collezione Luzzetti) pp. 76, 78, 79 Orazione nell’orto/Prayer in the Garden (Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio: Città del Vaticano, Cappella Sistina) pp. 212, 214 Orazione nell’orto/Prayer in the Garden (Raffaello: New York, Metropolitan Museum of Art) 184, 186 Orazione nell’orto/Prayer in the Garden (Spagna: London, The National Gallery) pp. 212, 214, 227, 237 Pala d’Ognissanti/Ognissanti Altarpiece (Vincenzo Pellegrini: Perugia, Chiesa della Compagnia della Buona Morte) pp. 225, 235 Pala degli Oddi/Oddi Altarpiece (Raffaello: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 25, 43 Pala della Sapienza Nuova/Altarpiece of the Sapienza Nuova/Sapienza Nuova altarpiece (Benozzo Gozzoli: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 68, 70, 221, 231 Pala di Sant’Onofrio/Saint Onofrio Altarpiece (Luca Signorelli: Perugia, Museo Capitolare) pp. 208, 210, 226, 236 Parabola del Seminatore/Una famiglia di contadini/A family of peasants/Parable of the Sower (Bassano: Firenze, Soprintendenza ai Beni StoricoArtistici) pp. 22, 40 Pietà (Raffaello: Boston, Isabella Stewart Gardner Museum) pp. 184, 186 284

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Polittico/Polittico dei Francescani/Polyptych/The Franciscans’ Polyptych (Pier Matteo d’Amelia: Terni, Pinacoteca Civica Orneore Metelli) pp. 160, 162, 225, 235 Polittico/Polittico di Pavia/Polyptych (Perugino: London, The National Gallery) pp. 24, 42 Polittico/Polittico di Sant’Antonio/The Polyptych of St. Anthony (Piero della Francesca: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 28, 46 Polittico Albani Torlonia/Albani Torlonia Polyptych (Perugino: Roma, Collezione Albani Torlonia) pp. 24, 42 Polittico di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi/Polyptych of Santa Maria degli Angeli o dei Fossi Polyptych of St. Mary of the Angels/ (Pinturicchio: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 116, 118, 168, 170, 176, 178, 225, 235 Polittico di Santa Maria Nuova/Santa Maria Nuova Polyptych (Fiorenzo di Lorenzo: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 222, 232 Presentazione al tempio/Circoncisione/Presentation at the Temple/Circumcision (Pompeo d’Anselmo e Domenico Alfani: Madrid, Collezione privata) pp. 27, 45, 180, 182, 219, 229, 226, 236 Presentazione al tempio/Circoncisione/Presentation at the Temple/Circumcision (Pompeo d’Anselmo e Domenico Alfani: Piacenza, Collezione Gazzola) pp. 180, 182 Presepe/Nativity (Andrea Camassei: Spello, Chiesa di San Lorenzo) 222, 232 Resurrezione/Resurrection (Perugino: Città del Vaticano, Appartamento Nobile Pontificio) pp. 212, 214 Resurrezione/Resurrection (Raffaello: San Paolo del Brasile, Museu de Arte) pp. 24, 42 Ritratto della figlia Maria/Portrait of My Daughter Mary (Umberto Gualaccini: Collezione privata) pp. 108, 110 Ritratto di Ginevra Benci/Portrait of Ginevra Benci (Leonardo da Vinci: Washington, National Gallery) pp. 176, 178 Ritratto di Pio III/Portrait of Pius III (Pinturicchio: Svizzera, Collezione privata) pp. 27, 45, 172, 174 Sacra Famiglia/Sacra Famiglia con i santi Anna, Gioacchino e Giovanni piccolo/Holy Family/Holy Family with Saints Ann, Joachim and the Infant John/ Holy Family with Saints Anne, Joachim and the little Saint John (Pompeo di Anselmo e Domenico Alfani: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 180, 182, 219, 226, 229, 236 Sacra Famiglia con due angeli e il piccolo san Giovanni/Holy Family with two Angels and the Infant St. John (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 222, 232 Sacra Famiglia con sant’Anna e il piccolo san Giovanni/Holy Family with Saint Ann and the Infant St. John (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 222, 232 Salita al Calvario/Road to Calvary (Raffaello: London, The National Gallery) pp. 184, 186 San Bartolomeo//Saint Bartholomew (Pinturicchio: Princeton, University Art Museum) pp. 176, 178 San Francesco che riceve le stigmate/Saint Francis Receiving the Stigmata (Jan van Eyck: Philadelphia, Museum of Art, John G. Johnson Collection) pp. 164, 166 San Gerolamo e il leone/Saint Jerome and the Lion (Ottaviano Nelli: Avignon, Musée du Petit Palais) pp. 132, 134 San Gerolamo penitente/San Gerolamo in un paesaggio/The penitent Saint Jerome/Saint Jerome in a Landscape (Fiorenzo di Lorenzo: New Haven, Yale University Art Gallery) pp.100, 102 San Giovanni a Patmos/Saint John at Patmos (Berto di Giovanni: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 76, 78 San Giovanni Battista/St. John the Baptist (Gian Domenico Cerrini: Perugia, Chiesa di San Pietro) pp. 222, 232 Santa Caterina d’Alessandria/St. Catherine of Alexandria (Andrea Camassei: Foligno, Monastero di Santa Caterina) pp. 222, 232 Santo Stefano/St. Stephen (Luca Signorelli: Perugia, Palazzo Baldeschi, Fondazione Cassa di Risparmio) pp. 226, 236 Senso terroso/Earthy Sense (Ugo Rambaldi: Buenos Aires, Colección Maria Elvira Iglesia) pp. 200, 202, 226, 236 Sposalizio della Vergine/Marriage of the Virgin/The Wedding of the Virgin (Raffaello: Milano, Pinacoteca di Brera) pp. 25, 30, 43, 49, 180, 182, 208, 210, 221, 231 Sposalizio di san Francesco con Madonna Povertà/Marriage of Saint Francis to the Madonna of Poverty (Ottaviano Nelli: Città del Vaticano, Pinacoteca) pp. 132, 134 Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria/Mystical Marriage of Saint Catherine of Alexandria (Benozzo Gozzoli: Terni, Pinacoteca Comunale Orneore Metelli) pp. 221, 231

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Stendardino di Sant’Agostino/Standard of Saint Augustine/Standard of St. Augustine (Pinturicchio: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) pp. 176, 178, 225, 235 Stendardo della Trinità/Standard of the Holy Trinity (Raffaello: Città di Castello, Pinacoteca Civica) pp. 25, 43, 226, 236 Storie di Cristo/Storie della Passione di Cristo/Stories of the Passion/Stories of the Passion of Christ (Maestro di Fossa: Città del Vaticano, Appartamento Nobile Pontificio) pp. 120, 122 Storie della Vergine/Stories of the Virgin (Feliciano dei Muti: Foligno, Monastero di Sant’Anna o delle Contesse) 191 Storie della Vergine/Story of the Virgin (Filippo Lippi e aiuti: Spoleto, Cattedrale di Santa Maria Assunta) pp. 160, 162, 200, 202, 225, 235 Storie della Vergine/Life of the Virgin/Stories of the Virgin (Ottaviano Nelli: Foligno, Palazzo Trinci) pp. 132, 134, 224, 234 Storie della Vergine/Stories of the Virgin (Vincenzo Tamagni e Giovanni da Spoleto: Arrone, Chiesa di Santa Maria Assunta) pp. 187 Storie di san Francesco/Story of Saint Francis (Giotto e scuola: Assisi, Sacro Convento di San Francesco, Basilica Superiore) 120, 122 Storie di san Francesco/Story of Saint Francis (Benozzo Gozzoli: Montefalco, Chiesa di San Francesco) pp. 68, 70, 221, 231 Storie di sant’Agostino/Stories of St. Augustine (Ottaviano Nelli: Gubbio, Chiesa di Sant’Agostino) pp. 224, 234 Storie evangeliche e santi/Stories of the Gospel and Saints (Ottaviano Nelli: Fossato di Vico, Chiesa di Santa Maria della Piaggiola) pp. 224, 234 Studiolo di Federico da Montefeltro/Study of Federico of Montefeltro (Francesco di Giorgio Martini, Giuliano e Benedetto da Maiano: New York, Metropolitan Museum of Art) pp. 25, 33, 43, 45, 51, 104, 106, 223, 233 Tavolette di san Bernardino/St. Bernardine Tablets (Bottega del 1473: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) 223, 225, 233, 235 Texas (Alberto Burri: Roma, Collezione privata) pp. 84, 86 Tondo di Cortona/Madonna and Child with the Little Saint John in a Landscape (Maestro del Tondo di Cortona: Cortona, Accademia Etrusca) pp. 116, 118 Tondo di Dublino/Dublin Tondo (Maestro del Tondo di Cortona: Dublin, National Gallery of Ireland) pp. 116, 118 Trittico/Triptych (Gerardo Dottori: Perugia, Convento di San Francesco al Monte) p. 99 Trittico/Tryptych (Pietro di Nicola da Orvieto: Kiev, Museo d’Arte Orientale e Occidentale) pp. 24, 42 Trittico della Giustizia/Triptych of Justice (Fiorenzo di Lorenzo: Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) 223, 232 Ultima cena/The Last Supper (Berto di Giovanni: Berlin, Staatliche Museen, Gemäldegalerie) pp. 76, 78, 221, 231 Ultima cena/The Last Supper (Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio: Città del Vaticano, Cappella Sistina) pp. 212, 214 Veduta di Porta Sant’Angelo a Perugia con san Gerolano penitente/View of Porta Sant’Angelo District in Perugia with the penitent Saint Jerome (Raffaello: Oxford, Ashmolean Museum) pp. 196, 198 Volto femminile/Face of a Woman (Benedetto Luti: Svizzera, Collezione privata) pp. 24, 42, 112, 114

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REFERENZE FOTOGRAFICHE PHOTOGRAPHY REFERENCES Archivi Alinari - Firenze pp. 85, 93, 128, 209, 212 Archivio Ars Color Paolo Ficola - Perugia pp. 67, 71, 75, 83, 95, 99, 103, 111, 115, 119, 127, 131, 151, 155, 171, 183, 199, 203, 207 Archivio Fotografico Italgraf - Perugia pp. 6, 8, 10, 12, 14, 16, 20, 59, 63, 107, 123, 143, 167, 179, 187, 191, 211, 215 Archivio Fotografico Franco Ivan Nucciarelli - Perugia pp. 79, 109, 113, 117, 169, 200 Archivio Fotografico Regione Umbria - Perugia pp. 87, 91, 135, 139, 147, 159, 195 Ashmolean Museum, University of Oxford p. 197 Bob Jones University Collection - Greenville p. 137 Collection of St. Philip’s in The Hills -Tucson p. 61 Collezione privata, archivio fotografico del proprietario - Madrid p. 181 Collezione privata, archivio fotografico del proprietario - Svizzera p. 173 Fondazione Guglielmo Giordano - Perugia p. 175 Foto Scala - Firenze pp. 57, 65, 69, 73, 77, 101, 145, 149, 153, 157, 161, 163, 165, 185, 189, 193, 205 Kunsthistorisches Museum mit MVK und ÖTM - Wien p. 89 Musei Vaticani pp. 121, 125 Museo Thyssen-Bornemisza - Madrid p. 81 Museum of Fine Arts - Boston p. 141 Princeton University Art Museum p. 177 Tate Gallery - London p. 97 Worcester Art Museum p. 133

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