Leggende della Dea Madre e altri miti di donne e divinità femminili dei popoli della Cina di Pedro Ceinos Arcones
Titolo originale: Leyendas de la Diosa Madre: Y otros mitos de diosas y mujeres de los pueblos de China Traduzione di Angelica Deluigi
Impaginazione e copertina: Daniela Annetta Foto di copertina: Testa femminile in pietra arenaria policroma. Cina, dinastia Tang, gentilmente concessa dalla casa d’aste Capitolium Art (www.capitoliumart.com)
Prima edizione: ottobre 2025
Collana: Altre storie
ISBN: 9791281546-783
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Introduzione
Chiunque si avvicini alla letteratura delle minoranze della Cina Meridionale scoprirà numerose opere in cui il ruolo principale
è ricoperto da una divinità femminile. Che si tratti di miti legati alla creazione del mondo e della specie umana (in cui la Dea è da sola o accompagnata da una divinità maschile), o relativi all’istruzione dell’umanità e dei suoi antenati sulle nozioni fondamentali della cultura neolitica (caccia, agricoltura, allevamento di bestiame), le divinità femminili svolgono sempre un ruolo centrale nell’origine e nello sviluppo dell’umanità.
In tempi recenti sono state pubblicate numerose opere a supporto del carattere matriarcale di buona parte delle società anticamente ubicate nei territori dell’Europa e del Vicino Oriente1, che si caratterizzavano per il culto della Dea nelle sue varie manifestazioni: come creatrice del cosmo e dell’umanità, come iniziatrice ai segreti dell’esistenza e come rinnovatrice del mondo nella continua alternanza dei cicli di vita e di morte. Si tratta di un argomento in merito al quale non è ancora stata raggiunta l’unanimità all’interno della comunità accademica, e che rimane dunque al centro di un aspro dibattito dalle evidenti connotazioni politiche.
Proprio perché si tratta di un dibattito tutt’ora in corso, e per le conseguenze che tale dibattito può avere sulla vita attuale, ho ritenuto necessario riportare alcuni fatti relativi ai popoli della Cina.
Il mio interesse per le culture delle minoranze cinesi mi ha portato a conoscere l’esistenza di società come quella dei Moso, in cui l’eredità viene trasmessa dalla parte femminile e la vita sociale è organizzata
1. Come le opere di Bachofen e Briffault per l’antichità classica o quelle di Gimbutas per il Neolitico dell’Europa Centrale e Orientale. Altri autori sostengono questa tesi nel Vicino Oriente e in Mesopotamia.
intorno a famiglie matrilineari; quella dei Jino, che hanno avuto capi donna fino a poche generazioni orsono; quella degli Yi, anch’essa con numerose autorità femminili; quella dei Lahu, la cui struttura sociale presenta un’evidente uguaglianza di genere. Questa serie di elementi mi ha portato a domandarmi se si potesse in effetti stabilire una relazione culturale, quantomeno ipotetica, tra le società matriarcali dell’antico Occidente, e quelle del presente o del passato più recente, documentato nelle fonti storiche, dell’Estremo Oriente, in cui le donne avevano un ruolo predominante.
Studiando in modo più approfondito la cultura di questi popoli indigeni della Cina, ho trovato numerosi miti, leggende, notizie storiche, rituali e costumi che suggeriscono che in un passato più o meno remoto, le donne occupassero una posizione sociale di rilievo. Tra i loro miti, mi hanno particolarmente colpito i molti racconti che enfatizzano il ruolo creatore o civilizzatore della donna, così come quelli che descrivono in modo dettagliato come la donna in seguito perse quel ruolo dominante all’interno della società.
Più scoprivo miti che rafforzavano il ruolo della donna nelle società indigene della Cina, più cresceva il mio desiderio di trovare miti simili presso altri popoli. Il risultato di questa ricerca, forse un po’ ossessiva, si è infine tradotto nella raccolta di un interessante tesoro di narrazioni che, coinvolgendo popoli che abitano in molte diverse regioni della Cina, collocano la donna al centro degli sviluppi storici di quest’area geografica. In questo modo, quello che inizialmente non costituiva che una parte di un lavoro finalizzato a documentare la presenza femminile nella vita delle minoranze, e che doveva includere anche rituali, costumi e descrizioni storiche, ha poi assunto un volume tale che mi è sembrato opportuno tradurre e presentare questi miti, già di enorme interesse in sé, mentre continuo a indagare le tracce di queste società matriarcali della Cina antica studiando la cultura delle minoranze della Cina moderna.
Abbandonando temporaneamente il lavoro di ricerca a favore della traduzione, mi sono reso conto che la rilevanza di queste narrazioni è
quantomeno dimostrare che presso tutti questi popoli siano effettivamente esistite divinità femminili che, in un dato momento storico, hanno ricoperto un ruolo di primaria importanza nel loro immaginario. Questo si percepisce immediatamente leggendo la lista dei miti presentati in quest’opera, ordinati in base ai gruppi etno-linguistici e ai popoli a cui appartengono.
La Dea della Caccia dei Nu
In un tempo lontano, un giovane uomo uscì per andare a caccia. Non aveva ancora cacciato nulla quando cominciò a calare il buio. Non avendo tempo di tornare al villaggio si preparò a passare la notte in una grotta e posizionò una trappola su una collina vicina. Dopo poco tempo vide un cervo cadere nella trappola. Si avvicinò felice per prendere la sua preda, ma quando arrivò, non c’era nulla. Stupito, pensò che si fosse trattato dell’ombra di qualche foglia e tornò alla sua grotta.
La mattina seguente si appostò di nuovo in attesa della cattura di qualche animale. Quando vide un capriolo cadere nella sua trappola, si avvicinò per prenderlo, ma con sua sorpresa anche questa volta non c’era nulla. Pensò che fosse molto strano, e, deciso a scoprire il mistero, rimase ad aspettare nascosto non lontano dalla trappola. Quella stessa mattina cadde un altro cervo. Quando il cacciatore andò a prendere la sua preda vide una ragazza prenderla in braccio e fuggire con essa. Il cacciatore la seguì nella foresta, tra i bambù, finché non la vide sparire dentro a una grotta. Quando raggiunse l’ingresso, la ragazza, vedendo che non poteva scappare, smise di correre e rimase lì ad aspettarlo.
Il cacciatore la raggiunse e rimase immobile a fissarla, la ragazza a sua volta rimase immobile e fissava il cacciatore. Nessuno dei due sapeva cosa dire e continuarono a guardarsi a lungo. Così, a mano a mano che si guardavano, un dolce sentimento cominciò a nascere tra loro. Si avvicinarono, si dissero parole dolci e, tenendosi per mano, divennero sposo e sposa.
Rimasero nella grotta per un po’. In seguito, il cacciatore le chiese di andare con lui al villaggio, lei accettò, e cominciarono a vivere come una coppia di sposi.
Un giorno arrivò un ospite, ma visto che erano da poco andati a vivere in quella casa, non avevano ancora né polli né maiali con cui deliziarlo secondo l’usanza dei Nu. Il cacciatore, preoccupato, lo disse alla sposa, che lo rassicurò dicendogli che la mattina dopo avrebbe trovato una preda dietro la casa, e così fu. In un’altra occasione in cui ricevettero degli ospiti, lei stessa andò nel bosco e tornò con un cervo per deliziare l’invitato.
Per molto tempo vissero insieme in mezzo al popolo. Un giorno lei gli disse: «Ti ho già dato figli, e anche animali per deliziare i tuoi ospiti, ho insegnato alle donne a tessere e agli uomini a coltivare. Ora devo tornare nelle profondità della foresta, perché il mio compito è quello di governare gli animali e senza la mia guida essi perirebbero in breve tempo. Ogni anno tornerò a trovarti una volta. Prenditi cura dei bambini.» Dicendo queste parole scomparve.
Lo sposo sentiva in ogni momento la sua mancanza, e più guardava i suoi figli più desiderava rivedere la loro madre. «Anche lei sentirà il desiderio di vederli», sospirò, aspettando il suo ritorno, ma i mesi passavano senza che lei facesse ritorno. Quando furono trascorsi tre mesi, decise di andare a cercarla. La cercò ovunque fino a raggiungere la grotta dove si erano incontrati per la prima volta, ma non vide alcuna traccia di lei.
Il cacciatore non si arrese; ogni anno in estate e in autunno, nella stagione in cui la sua sposa aveva lasciato il villaggio, andava nel bosco a cercarla. Non riuscì mai a trovarla, ma ogni volta catturava i caprioli che si avvicinavano per bere alla sorgente e tornava così al villaggio con due prede.
Si dice che quella donna fosse la Dea della Caccia, che insegnò ai Nu numerosi trucchi per catturare bestie e uccelli, insegnò loro anche a domare gli animali domestici, e alle donne del villaggio a tessere i tessuti più morbidi e belli. Amava molto il suo sposo e, anche una volta divisi, continuò sempre a proteggerlo. Infatti, ogni volta che i cacciatori andavano nel bosco e catturavano un capriolo, lo lasciavano