Skialper 122

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I N S P I R E D

B Y

M O U N TA I N S

6 EU RO

N. 122 FEBBRAIO 2019 / BIMESTRALE

90122 9 771594 850005

IN EDICOLA DAL 12 FEBBRAIO AT TENZIONE: LEGGERE CON

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MODERAZIONE, CREA DIPENDENZA


THE FIRST SKI BOOT FOR TOURING

THE FIRST TOURING BOOT T H E F IR ST SK I B O O T F O R T O U RI N G FOR SKIING TH E F I R ST TO UR I N G B O O T F OR S KI I N ONE MOVE TO SWITCH


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ONE MOVE TO SWITCH


P O RTF O LI O

VIVA IL MONOSKI! Era il 1983 e in Francia veniva pubblicato Apocalypse Snow, il primo film francese di freeride in cui monoskier e snowboarder si inseguivano sul sottofondo del sintetizzatore. Il monosci è poi caduto in disuso pressoché ovunque, ma a Chamonix la fiamma arde ancora grazie a Pif Brun, un artigiano che imperterrito continua a produrli e ad usarli su qualsiasi terreno, compresi canali a 50 gradi come lo Spencer all’Aiguille de Blatière. Curiosità: oltre a quelli standard (ammesso che si possa chiamare standard un simile oggetto) Pif costruisce anche delle speciali mono-split, per gli scialpinisti più eccentrici. Info: www.snowgunz.com Foto: Arthur Ghillini



P O RTF O LI O

«Abbiamo lasciato Chamonix alle tre e mezza del mattino e, dopo cinque ore e mezza di auto, abbiamo aperto questa piccola stazione sciistica austriaca. Dopo avere sciato delle magnifiche run nel bosco fino a metà pomeriggio, abbiamo approfittato di una schiarita per raggiungere la parte alta della stazione, dove la neve non era stata rovinata dal vento. Una giornata benedetta da Dio. Quando hai passato così tanto tempo come me a cercare la neve, sai apprezzare il valore di questi istanti». Rider: Bruno Compagnet / Foto: Layla Kerley



P O RTF O LI O

THE GREEN CREEK CHUTEOUT Il rito si ripete in primavera, da oltre 30 anni. Da quando cioè Glen Poulsen, ora vicino alla sessantina, ha deciso, per festeggiare il compleanno, di organizzare una gita scialpinistica con una quindicina di amici nei dintorni di Bridgeport, nella High Sierra della California. Così da allora fino a un centinaio di persone, qualcuno ha scritto «dai 6 ai 76 anni di età», agghindate in maniera buffa, si ritrovano per salire al Dunderberg Peak e scendere a valle con gli sci. L’anno scorso c’era anche l’ex discesista Daron Rahlves. Si canta, si beve e si fa festa insieme. Molto old school! Foto: Ming Poon



R E YEA H T F ng O bindi REERIDE F

2019

TION A V O INN WARD A


FUTURE AT PLAY S/Lab esiste per creare il futuro. Questo era l’obiettivo di Benoit Sublet, Binding Engineer, quando ci siamo riuniti con l’atleta d’élite Cody Townsend per creare S/Lab Shift, un attacco con tecnologia Edge Amplifier per farvi sentire l’esplosione in ogni curva. Al Design Center Annecy, la formula è semplice: Gioco e progresso. Ma i risultati sono incredibili, i risultati sono S/Lab.


1 2 2 / FE B B RA IO- MA RZO 2 0 1 9 / S O MMA RIO

I N OLD SC HOOL WE TRUST

S UC A I 1951

OSCA R B E L E T T I L A P I Ù GR A N D E AV V E N TURA È CONOSCE R E SE ST E SS I

Il telemark è morto? No è vivo ed è un modo originale e autentico per avere a che fare con la neve, le montagne e la forza centrifuga

Una giornata sulla neve con istruttori e corsisti della più antica scuola di scialpinismo europea

Prima viaggiatore, poi alpinista, infine scialpinista. Bresciano ma innamorato delle Orobie, ai monti bergamaschi ha dedicato un libro di 400 pagine

di Emilio Previtali

di Federico Ravassard

di Claudio Primavesi

T H E P LAYE R S / I P ROTAG O N IS TI Sette scialpinisti, sei uomini e una donna da una gita ogni fine settimana. Con attrezzi da 85 al centro, salame al posto dei gel e tanta voglia di divertirsi di Tatiana Bertera e Claudio Primavesi


DISCOVER THE BACKLAND BACKLAND 107 + SHIFT MNC 13 EAR THEIDYE F O I K R S FREE

2019

R E YEA OF TH g n i bind REERIDE F

2019

ATION INNOVWARD A


SO M M A R I O

S ERPENTINA FOR A LIVIN ’

V I V E L A J E U NE F R A NCE

Cosa succede quando un istruttore nazionale, nell’epoca di Jérémie Heitz e dei drittoni, prova a fare una serpentina con dei vecchi grissini da 207 centimetri?

Il ritiro di Laetitia Roux dalla Coppa del Mondo e Bon Mardion a quota 35 anni segnano una fase di ricambio generazionale per la nazionale d’oltralpe

di Alberto Casaro

di Luca Giaccone

TÄSC HHORN 44 9 1

LUN GA V I TA A L L A R A SPA

L E GGE R E ZZ A SE NZ A COM P ROM E SSI

Diario della prima discesa conosciuta della diretta NordOvest del Täschhorn, uno dei 4.000 più isolati del Vallese

Un metodo antico, essenziale per contrastare la forza di gravità sulla neve, che fra gli anni ‘80 e ‘90 ha conosciuto un periodo di grande fulgore per poi spegnersi

Abbiamo provato in anteprima il nuovo Blizzard Zero G 95

di Davide Terraneo

di Enrico Marta

di Piergiorgio Vidi

4 M OD I D I D I R E S C IAL P I NI SM O

SP E E D + FREE + TOU R = MYTHIC

Quattro ambassador Dynafit, quattro declinazioni dello sci di montagna. Perché lo skialp è un’esperienza che può essere vissuta a 360°

YAK SUL MONTE RO SA Classe 1967, Fabio Iacchini era sciatore estremo, freerider, skyrunner e alpinista fast&light quando ancora queste definizioni erano in incubazione di Andrea Bormida

ADAM E L LO SKI R A I D DAL 20 0 6 I L GR A N D E SKI A L P L’edizione numero sette è in programma il 7 aprile e il percorso è già in buone condizioni. Tra le novità la diretta streaming

Abbiamo fatto provare un completo da skialp e il nuovo zaino FreeAlper 40 agli speedrider Luca Polo e Mattia Tresca



Š Federico Ravassard


E D ITO

di DAV I D E MARTA

Old school sono anche nevicate epiche, quelle che ormai non arrivano più. O forse sì, come è successo in Austria ad inizio 2019

Old school non è vintage. Non è revival. Non è nostalgia canaglia e non è nemmeno malinconia portami via. Nossignori, niente di tutto questo. Non si stava meglio quando si stava peggio e nemmeno ai miei tempi ci divertivamo di più perché non c’erano tutte queste menate. Old school è old school, è vecchia scuola, alla moda vecchia, come si faceva una volta. A la moda veja come si dice qui in Piemonte, dalle mie parti. È una presa di coscienza, non è un tuffo al cuore. Quando abbiamo buttato sul tavolo il tema di questo numero, la sfida era di focalizzarci su cosa è rimasto e che cosa no del modo di andare in montagna con gli sci di venti, trent’anni fa. Ci siamo resi conto che quello che una volta chiamavamo sci alpinismo (rigorosamente staccato, anche con il trattino, ci prendiamo le colpe del neologismo skialp, skialper e anche scialpinismo), o ancora lo sci in neve fresca (andare a fare fresca, avete presente?) è stato shakerato nell’ultimo lustro con tanti ingredienti inediti per il cocktail originario: un gigantesco afflusso di nuovi praticanti, impensabili innovazioni ad attrezzatura e abbigliamento, preparazione fisica e stile di vita differente, tecnica nemmeno parliamone. Cosa sarà venuto fuori dopo aver agitato ben bene il miscelatore? La bevanda avrà ancora qualcuno dei sapori a cui eravamo abituati, oppure è tutto diverso? Ci siamo domandati proprio questo. Così i nostri reporter e fotografi hanno viaggiato tra corsi CAI e serpentine, tra discese a raspa e scialpinisti che erano già così prima e sono rimasti tali, tra sci lunghi e dritti e altri rockerati e sbananati. Ci siamo sbizzarriti a riscoprire storie, attrezzi, aneddoti e situazioni, a far funzionare scanner per diapositive e a cercare negli archivi. Tante cose le abbiamo dovute scartare, quelle che ci piacevano di più le abbiamo assemblate in questo numero dedicato all’old school che ha anche uno stile grafico tutto suo e un flow davvero particolare. Noi ci siamo divertiti a immaginarlo e a farlo, speriamo che a voi piaccia altrettanto sfogliarlo e leggerlo! #inspiredbymountains

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Direttore editoriale DAVI D E MARTA davide.marta@mulatero.it MULATERO EDITORE | Via Giovanni Flecchia, 58 – 10010 Piverone tel 0125.72615 - mulatero@mulatero.it - www.mulatero.it

Photo © Christoph Oberschneider

Direttore responsabile CL AUD I O PRI MAVESI claudio.primavesi@mulatero.it

POLE TOUR STICK VARIO CARBON

Il nostro team Andrea Bormida, Luca Giaccone, Emilio Previtali, Federico Ravassard, Guido Valota Amministrazione Simona Righetti simona.righetti@mulatero.it Magazzino e logistica Federico Foglia Parrucin magazzino@mulatero.it Segretaria di redazione Elena Volpe elena.volpe@mulatero.it Art direction e impaginazione Heartfelt Studio greta@heartfelt.it

Collaboratori Luca Albrisi, Leonardo Bizzaro, Caio, Danilo Noro, Luca Parisse, Andrea Salini, Flavio Saltarelli, Davide Terraneo Webmaster skialper.it Silvano Camerlo Hanno collaborato a questo numero Tatiana Bertera, Alberto Casaro, Elena Casiraghi, Enrico Marta, Piergiorgio Vidi Hanno fotografato Marco Andreola, Alberto Ferretto, Arthur Grillini, Stefano Jeantet, Layla Kerley, Achille Mauri, Filippo Menardi, Daniele Molineris, Ming Poon, Alice Russolo, Paolo Sartori

Foto di copertina © Enrico Zenerino

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Distribuzione in edicola MEPE - Milano - tel 02 89 5921 Stampa STARPRINT Srl - Bergamo

Numero Registro Stampa 51 del 28/06/2018 (già autorizzazione del Tribunale di Torino n. 4855 del 05/12/1995). La Mulatero Editore srl è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697.

© copyright Mulatero Editore - tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa rivista potrà essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge


L’ENERGIA SEGRETA DI

FEDERICO PELLEGRINO

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PRIMA, DURANTE, DOPO LO SPORT

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L AYO U T

A cominciare da questo mese ogni numero di Skialper assume una veste grafica diversa, per rispecchiare, o rispecchiarsi, nell’argomento principale che collega come un sottile filo rosso gli articoli.

Old school in tipografia corrisponde a caratteri mobili. Quelli in legno hanno un fascino unico, ogni lettera stampa in modo diverso e la stessa lettera cambia a seconda del supporto su cui viene impressa. La composizione viene fatta a mano, lettera per lettera, aggiustando gli spazi con piccoli spessori. È un lavoro metodico e lento, di precisione. Così ci immaginiamo gli sciatori analogici. — Greta Heartfelt © Federico Ravassard



Emilio Previtali Ha cinquantuno anni e scrive storie di sport in cui di solito non succede quasi niente. Non va d’accordo con i puntini di sospensione e generalmente nemmeno con chi li adopera. Ha un forte accento bergamasco ed è fondatore e direttore editoriale della rivista Alvento, ha tre figli grandi, si rasa i peli delle gambe anche in inverno e gli piace da matti sciare a telemark. Quando gli chiedono di scrivere una sua mini-biografia scrive cose come questa, perché non sa mai cosa scrivere. Filippo Menardi

QUELLI BRAVI, PRIMA O POI, PASSANO TUT TI DA SKIALPER

Alberto Ferretto

Davide Terraneo

Videomaker e fotografo. Segni particolari: mountain addicted. Scialpinista, climber, alpinista e trail runner, è anche cofondatore e organizzatore della gara di trail Skylakes. Ha diretto il docu-film Running Essentials, girato sulle Ande e scattato foto e realizzato video per marchi del calibro di Giorgio Armani, Yamaha Motors, Dainese, Disney oltre che pubblicato servizi sul New York Times, Internazionale, Colors.

Davide Terraneo, di Cantù, laurea in ingegneria civile, è cresciuto sciisticamente tra le montagne di Madesimo. Ha il ripido nel sangue, ma anche altri hobby: con il compagno di scorribande Emiliano Liberatore ha appena creato il portale skiplace.it. Obiettivo? Farlo diventare il punto di riferimento per annunci, professionisti e rivenditori di sci e snowboard. Più facile la Nord-Ovest del Täschhorn? Daniele Molineris Classe 1980, cuneese di Boves, prima di ritagliarsi una professione dietro all’obiettivo di una macchina fotografica ha fatto il grafico. Ama la fotografia senza preconcetti, per questo non ha un soggetto preferito e passa dallo still life all’azione. Non mangia gorgonzola e, se volete andare a trovarlo in studio, portatevi dietro del buon cioccolato fondente. Lui vi offrirà caffè molto denso. E se sarete fortunati, il suo delizioso tiramisù.

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Ampezzano doc (si badi, non cortinese…), un passato tra i cento più forti discesisti al mondo, Maestro di sci e dal 2018 Guida alpina. What else? Fotografa e scia in giro per il mondo, dalle forcelle dolomitiche, dove sta curando il progetto web sullo sci ripido Linea, al Giappone, Canada, Kashmir, Stati Uniti, Norvegia. Semplicità e fluidità delle linee sono il suo mantra, anche quando si tratta di serpentina old school ;).



1. Raspa is the new school Sono stati in lizza fino all’ultimo anche altri scatti, alcuni davvero d’epoca, per la copertina di questo numero. Alla fine l’ha spuntata questa foto di Enrico Zenerino, ricercatore universitario e scialpinista. Anche perché parliamo di old school, mica di old style… È stata scattata tra Capanna Gnifetti e Rifugio Città di Mantova, durante il Mezzalama del 2013. Chi è lo skier? Vittorio Fosson!

S TO R IE DI E TRO A LLE STORIE

2. Diapo old school «Se il prossimo numero di Skialper deve essere a tema ‘old school’, allora #oldschool sia fino in fondo!» ha scritto il direttore editoriale di Mulatero Editore Davide Marta in un post su Facebook. Eh sì, per un numero sulla vecchia scuola non potevamo esimerci dal recuperare qualche diapositiva. E per scansionarla ci voleva uno scanner.

CHE L E G G E RETE SU SK IA LPER D I FEBBRAIO

3. Bergamaschi di Lanzo L’escursione con Ezio Sesia e Pier Luigi Mussa per realizzare le interviste dell’articolo The players ci ha dato l’opportunità di scoprire le bellissime borgate nella zona di Cornetti, non lontano dal Pian della Mussa, nelle Valli di Lanzo. Borgate che secoli fa erano popolate da bergamaschi, arrivati in zona perché erano esperti lavoratori nelle miniere. E anche i toponimi locali rispecchiano i cognomi dei bergamaschi…

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I N T RO

TELEMARK IS ALIVE AND KICKING Testo di Emilio Previtali

© Damiano Levati


I NT RO

ella primavera del 2017 un articolo comparso sulla pagina Facebook e sulla edizione on-line di Powder aveva mandato alle stelle eccitazione e risentimento di tutti i telemarker italiani ed europei. Lo sappiamo tutti: quando la gente scia poco le discussioni si fanno più oziose e più accese, eravamo in quel caso quasi a fine stagione. L’articolo era già apparso un mese prima sulla edizione cartacea dello stesso giornale ma nessuno fino a quel punto sembrava essersene accorto, questo significa in realtà soltanto due cose, interessanti peraltro: uno, che l’edizione cartacea di Powder in Europa e in Italia la gente la compra perché fa figo ma non la legge, al massimo guarda le figure; due, che oggi a quanto pare una notizia è rilevante soltanto quando eventualmente se ne discute sui social, non prima. Se non se ne parla su Facebook o nei suoi gruppi, se non ci si accapiglia, non è una notizia oppure è una notizia inutile (non è quello che penso io, ma questa è la cruda realtà).

© Damiano Levati

L’autore dell’articolo, Emilio Previtali, in stile telemark a Treble Cone, Nuova Zelanda (sopra) e a The Remarkables, sempre in Nuova Zelanda (in apertura)

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L’articolo in questione portava il titolo Telemark skiing is dead cioè il telemark è morto che è un titolo che sembra scritto apposta non per informare o per sostenere una tesi, ma per provocare. Provocare è esattamente quello che serve a un titolo per attirare l’attenzione e per accendere la discussione sui social. La tesi era semplice e ve la riassumo qui: le uniche attrezzature specifiche da telemark esistenti sono attacchi e scarponi (vero), siccome ci sono pochi produttori al mondo che se ne occupano (vero) e sostanzialmente non se ne occupano seriamente perché non arrivano sul mercato nuovi prodotti e nuove tecnologie da un decennio almeno (vero), il telemark è morto (falso, io penso). A sostegno della tesi una teoria basata sull’idea molto americana che il centro del mondo siano gli Stati Uniti e che il resto del mondo sia periferia. La ragione per cui il telemark negli Stati Uniti è morto (è quasi vero) e in Italia e in Europa è la stessa identica cosa di prima o anzi cresce leggermente nel numero dei praticanti, è che fino al 1998 i nostri amici oltreoceano avevano a disposizione come migliore attacco per fare scialpinismo soltanto un modello con telaio, che era un attacco che qui da noi era invendibile e già fuori mercato da dieci anni almeno. Il nostro mercato (e di pari passo l’evoluzione di tutti i prodotti dello scialpinismo) è basato su uno standard che negli Stati Uniti è arrivato stabilmente nei negozi soltanto nel 2010, sto parlando del sistema Dynafit e degli attacchi e scarponi compatibili. Gli attacchini, per intenderci. Noi in Italia e ovunque in Europa quel tipo di attacchi e scarponi iper-leggeri per lo scialpinismo li abbiamo avuti a disposizione dalla metà degli anni ’80, cioè una vita fa. Negli Stati Uniti, a causa di una differente legislazione, portare sul mercato un prodotto come un attacco da sci, vale a dire un congegno di sicurezza, richiede che il produttore o il distributore versino anticipatamente una cauzione utile eventualmente a risarcire i potenziali utilizzatori in caso di accertato malfunzionamento o difetto di produzione. Le leggi americane sono diverse da quelle europee e molto severe in questo campo, parliamo di cifre enormi, milioni di dollari da depositare, un investimento e un rischio insostenibile per produttori e prodotti che occupano soltanto una piccola nicchia di mercato. Fino al 2010, quando grossomodo Dynafit con l’acquisizione da parte del gruppo Oberalp è diventata una società davvero globale, gli attacchi basati sullo standard 2-pin di Dynafit non erano vendibili nei negozi degli Stati Uniti. Attacchi invece come quelli da telemark che non promettevano lo sgancio di sicurezza potevano essere tranquillamente venduti e distribuiti. A parte le solite balle che si raccontano in questi casi degli hippies del Colorado che avevano voglia di liberare mente e tallone, non è che gli sciatori americani amassero il telemark più di noi o che preferissero andare in salita con sci e attacchi che pesavano una tonnellata. È che quello è tutto ciò che il mercato offriva loro e che avevano a disposizione. Una volta arrivati in commercio gli attacchi a 2-pin Dynafit, il mercato dello scialpinismo è esploso. È stata una vera e propria


La Bridge Technology riduce il peso e garantisce la stabilitĂ torsionale e la trasmissione diretta degli impulsi alle lamine. Il Carbon Power Shell, uno strato in carbonio dalla punta alla coda, viene applicato sulla forma 3D del telaio dello sci dove dimostra la potenza naturale del carbonio per uno sci piĂš leggero e piĂš resistente. Gli inserti Vaport Tip nella parte anteriore riducono peso i vibrazioni, creando una forte, leggera e fluida performance.


© Federico Ravassard

Emilio Previtali in azione a Ovindoli

rivoluzione che si è resa visibile per i più attenti osservatori anche con un nuovo trend cavalcato dalle compagnie di produzione video: se fino al 2010 vedevamo nelle produzioni video immagini di freeride, Alaska e neve fresca, profonda e polverosa, da quel momento in avanti abbiamo cominciato a vedere sciatori americani in azione sulle Alpi. Il film The Ordinay Skier di Seth Morrison, una pietra miliare tra gli ski-movies e un punto di non ritorno nell’universo freeride, è guardacaso del 2011. Sciare a Chamonix o a La Grave o sulla neve a tratti crostosa dei canali delle Dolomiti anche per il mainstream era diventato a quel punto rilevante. Si è coniato in quegli anni il termine freeride-mountaineering e intere legioni di sciatori pistaioli o di freerider sono diventati automaticamente freeride-mountaineers. È stata una rivoluzione, la new school dello ski-mountaineering. E il telemark? È morto? Negli Stati Uniti quasi sì, perché sono venute a mancare le ragioni per essere telemarker, per molti non era questione di filosofia, di scelte e di liberare la mente ma casomai di opportunità, di praticità e di costi. Il telemark era quello che offriva il mercato. Con gli attacchi 2-pin Dynafit, più leggeri, performanti,

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sicuri, adatti anche agli sci larghi, venivano a mancare le buone ragioni per molti per continuare con il telemark. Aggiungiamo anche che una buona fetta dei telemarker sono persone non più giovanissime e che sciare a telemark in condizioni di neve difficile o su terreni impegnativi oltre che più difficile è anche più faticoso. I quadricipiti bruciano. I telemarker sono invecchiati e molti di questi si sono arresi o hanno abdicato. In Europa il telemark non è alternativo a niente, è una scelta. È un modo originale e autentico per avere a che fare con la neve, con le montagne, con la forza centrifuga e di gravità che ciascun telemarker tenta di governare e mettere al proprio servizio. Il telemark è gioia, non convenienza. È passione. Ecco perché non morirà mai. Ed ecco perché anche negli Stati Uniti sta vivendo una fase di ripresa: perché a praticarlo sono rimasti i veri appassionati, quello che lo hanno preferito. Speriamo che anche le aziende produttrici di scarponi (tutte italiane, nessuna esclusa) abbiano imparato la lezione e che abbiano capito che ora è l’Europa l’ombelico del mondo del telemark. Sono gli sciatori europei e italiani quelli a cui bisogna dare ascolto. Mica quelli che dicono che il telemark è morto. Sono loro e la loro passione - eventualmente - a essere morti.


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LO G I N

G I ANNI E FAB R I Z I O PRECURSORI DELLA PIERRA MENTA

Galeotto fu il ferramenta. Fu infatti un rappresentante dello sponsor Tivoly, azienda produttrice di utensili, a chiedere a un ferramenta di Ivrea se c’era qualche italiano disposto a iscriversi a una nuova gara di scialpinismo in Francia. Così il tam tam negli ambienti del CAI eporediese è arrivato fino a Gianni Predan, friulano trapiantato nella cittadina piemontese. «Era il 1988 - dice Gianni, ora Guida alpina - e cercai qualche compagno per quella gara a coppie: non fu facile, l’unico che rispose subito affermativamente fu Fabrizio Pistoni». La gara in questione era la mitica Pierra Menta, nata solo due anni prima, e Gianni e Fabrizio sono 1988, DUE ITALIANI AL VIA stati i primi italiani iscritti. «Ricordo ancora DELLA PIÙ FAMOSA GARA che non avevamo le idee molto chiare e per entrambi era la prima gara: siamo arrivati DI SCIALPINISMO: SONO STATI con sci da gita e attacchi Silvretta e in auto I PRIMI CONNAZIONALI discutevamo ancora su quale formula di gara scegliere» aggiunge Fabrizio. La Pierra infatti si poteva correre con la formula 4.000, 7.000 o 10.000 metri, sempre sui fatidici quattro giorni. «Alla fine quando abbiamo visto tutta quella neve ci siamo detti che non potevano esimerci dai 10.000 metri» ricorda sorridendo Gianni. La prima squadra italiana condivise la camera con gli unici altri due stranieri, i fratelli cecoslovacchi Filipsky che vinsero quella edizione. «Furono tutti molto gentili con noi e la Guida che organizzava i briefing pre-tappa alla fine spiegava anche in italiano». Ma come era la Pierra Menta delle origini? «Si dormiva tutti in

un grande centro vacanze e si mangiava insieme, il campione e l’ultimo dei populaire, e questo creava una grande convivialità, poi si passava già dal Grand Mont dove c’era un po’ di tifo, ma non come oggi, e si correva anche con gli sci in spalla in paese e soprattutto con semplice abbigliamento da gita». In quegli anni c’era anche il prete del paese, Jacques Plaissard, che si appostava in qualche angolo della montagna e rincuorava gli atleti con la sua fisarmonica: «a noi suonò Bella Ciao». Un’esperienza che è stata pietra miliare per Gianni e Fabrizio, che sono ritornati più volte alla Pierra, ma soprattutto l’occasione per conoscere persone che ancora oggi frequentano. «Siamo rimasti in contatto con Jacques, con il quale condivido la passione per i cristalli, ma anche con Edouard, una Guida che una volta, infortunatasi, ho sostituito in una escursione che aveva organizzato e poi è venuta in vacanza con me. Sono tornato non solo a gareggiare ma come volontario, perché la Pierra era una grande famiglia» conclude Gianni. Una grande famiglia che ha vissuto anche momenti difficili come quando nel 1989 una valanga uccise alcune persone che stavano predisponendo i percorsi. «La gara continuò per richiesta degli organizzatori e l’ultimo giorno fu una grande gita, senza rilevamento dei tempi». Nel 1989 Gianni e Fabrizio tornarono ad Arêches-Beaufort e condivisero la stanza con altri due italiani: Adriano Greco e Fabio Meraldi. Fu in quell’occasione che scoprirono attacchini e tutine. E condivisero per la seconda volta la camera con la squadra vincitrice…

© Gianni Predan

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Nello sci alpinismo gli istanti che precedono la salita sono i più appassionanti. Il gruppo si unisce per sostenere le emozioni di ciascuno e condividere l’adrenalina. Così, una volta infilati gli scarponi, si sincronizzano i dispositivi, i cuori e solo allora si parte. Abbiamo pensato e progettato l’F1 per sincronizzare la tua passione con la nostra. SCARPA, compagni di avventure. • recco reflector . • boa closure system: fit personalizzato. • estrema versatilità in ogni condizione . • comfort e leggerezza: per utilizzi prolungati.

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E PUNK HARD CORE, GARE CLANDESTINE, CONCERTI E… IL PRIVILEGIO DI DECIDERE A CHI SPEDIRLA

© Federico Ravassard

CONTRO IL LOGORIO DEL CONSUMISMO

«Stiamo diventando consumatori prima che persone, e ho voluto cercare di uscire - e di fare uscire gli altri - da questa logica». Come? Partendo da una fanzine, dalla manualità e dalla gratuità. «Se non hai nulla da vendere, non puoi comprarlo». Parola di Francesco Paco Gentilucci, che nell’ambiente del trail running lo conoscono tutti. O quasi. La fanzine si chiama Unghie Rotte Mani Aperte ed è un piacevole libriccino rilegato con un cordino, realizzato a partire da una prima copia fatta incollando ritagli su un foglio nero. Un po’ come i giornalini che - ammettiamolo - molti di noi hanno fabbricato nella loro infanzia. Solo che Unghie Rotte Mani Aperte è una cosa seria. E riceverla un privilegio. «Decido io a chi spedirla a mie spese e non avendo pagato, nessuno si può aspettare di riceverla» dice Francesco. Ma di cosa parla la fanzine? «Nasce nell’ambiente punk hardcore, con un blog, unisce musica e ultrarunning. E poi Unghie Rotte Mani Aperte è diventato anche gare clandestine, le uniche alle quali si può partecipare solo su invito». Qualche esempio? URMA 50k Invitational a giugno, in un posto segreto, dove tra gara 50 km e concerti

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di band provenienti anche dall’America c’erano più di 300 persone. Oppure il Cerimoniale dove, dopo la gara, ci si presenta in giacca e cravatta. «Scherzando - ma non troppo - abbiamo detto che a URMA c’era un livello più alto del campionato italiano e poi, se anche le persone fossero arrivate e non avessero trovato nulla, non si sarebbero lamentate, perché non c’è stata nessuna compravendita. A questi eventi non si accede per via del palmarès sportivo, non c’è pacco gara. Si corre per condividere un’esperienza, i pettorali sono di stoffa, i ristori improvvisati, ognuno può organizzare quello che vuole se ha voglia di farlo». Tutto questo, perché? «Perché gli organizzatori di gare pagano gli ingaggi agli atleti top, ogni tanto anche a persone già squalificate per doping e spesso non si dà importanza alla cultura che c’è dietro questo sport, che non è solo fatto di risultati. L’unico modo per uscire da questo circolo vizioso è organizzare eventi a invito». Unghie Rotte Mani Aperte è un rito che va avanti da #7 numeri, l’ultimo dei quali dedicato all’argomento della post race depression.


U LT I M A T E C H A R G E D R I D E


LO G I N

SEI BUONI MOTIVI PER LEGGERE a cura di Leonardo Bizzaro

© Federico Ravassard

LA G RA NDE C ORDATA . LE T RIB OLA ZIONI DI M IC K E VIC di Mick Fowler e Victor Saunders (Alpine Studio, 306 pagine, 19,80 €) — Se incontri Mick Fowler al tavolo di un rifugio, lo scambi per un tranquillo escursionista. E invece hai di fronte uno dei più formidabili alpinisti britannici, vincitore di tre Piolets d’or, amante come ogni connazionale delle peggiori condizioni invernali, della birra e dallo humour tipico dei sudditi di sua maestà. Qui racconta con il compagno di cordata Victor Saunders quattro spedizioni e varie altre avventure. Da morire dal ridere.

IL C AVA L I E R E SE N ZA T E STA di Enrico Brizzi (Ponte alle Grazie, 226 pagine, 15 €) — Di Enrico Brizzi abbiamo amato tanti anni fa quel Jack Frusciante che è quasi un’icona della narrativa giovanile. Più di recente sono arrivati i suoi romanzi di cammino a farlo sentire dei nostri e a farci apprezzare l’andare a piedi come fosse un on the road d’altri tempi. Il cavaliere senza testa, suggerisce il sottotitolo, è il «viaggio a piedi di un padre e delle sue figliole da Bologna alle creste d’Appennino». È un racconto di famiglia e d’altro che appassiona.

BA M B OL E D I P I E T R A . L A L E GGE NDA D E L L E DO LO MIT I di Paolo Martini (Neri Pozza, 128 pagine, 12,50 €) — Il timbro dell’Unesco ha fatto benissimo alle Dolomiti, fin troppo. Per evitarne la banalizzazione occorrerà sempre più vigilare negli anni a venire. Paolo Martini, giornalista del Corriere appassionatissimo di montagna, parte da Dolomieu, lo scienziato settecentesco che ha concesso loro il cognome, per arrivare alla frequentazione di oggi, dallo sci a tutti i costi all’ecoturismo, forse l’unica via per salvarle. Forse.

FO R SE LASSÙ È MEGLIO. CRO NAC HE DA UN MO N D O S O S P E S O di Roberto Mantovani (Fusta Editore, 128 pagine, 13,90 €) — Roberto Mantovani non scrive solo di montagna, lui lassù ci vive davvero, oltre a conoscerla come pochi altri in Italia e nel resto del mondo. In questa antologia di racconti brevi non ci sono storie di alpinismo, ma personaggi e aneddoti di montanari, di quelli che le terre alte non le hanno abbandonate. Sedici racconti di gioventù e di maturità che sarebbe bello leggere in una baita davanti al fuoco.

4 8 1 0 . I L M ON T E B I A N CO, LE S U E STOR I E , I SU OI SE GR E T I di Paolo Paci (Corbaccio, 304 pagine, 19,90 €) — 4810 sono i metri del Monte Bianco, mai così d’attualità come nelle ultime stagioni, con le pretese di normare ogni salita e di negare la libertà che sta alla base dell’alpinismo. Paolo Paci ne racconta vita, morti e qualche miracolo - ma anche svariate follie - come fosse un reportage in quota, svariando sull’uno e l’altro versante, tutt’attorno e attraverso (nel tunnel e sopra, in télécabine).

LU P I NE L L A . L A V I TA DI UN A LUPA NE I B OSCHI D E L L E A L PI di Giuseppe Festa (Editoriale Scienza, 62 pagine, 11,90 €) — Giuseppe Festa non è solo un bravo scrittore per ragazzi. Le sue presentazioni sono uno spettacolo da non perdere, degne di un cantastorie. In Lupinella racconta due anni di vita di una lupa, una di quelle che dall’Abruzzo sono tornate a colonizzare le Alpi. La storia è affascinante per tutti, c’è la base scientifica di un’esperta lupologa come Francesca Marucco mentre le belle illustrazioni sono di Mariachiara Di Giorgio.

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Emelie Forsberg in una delle immagini del libro Sky Runner © Kilian Jornet

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di Emelie Forsberg foto di Kilian Jornet

Storie di donne, montagne e chitarre distorte di Simone Sarasso

(Va quasi sempre a finire che piove) di Emilio Previtali

Skyrunning e trail sono molto più che correre, sono uno stile di vita che coinvolge corsa e natura. Uno stile di vita che ti fa confrontare con la grandezza dell’infinito e la semplicità delle piccole cose, la fatica e il gioco, l’impegno. Impari che il viaggio è più importante della destinazione e che bisogna ascoltare se stessi e costruire la forza fisica, ma anche mentale, per affrontarlo. Emelie Forsberg condivide non solo le sue esperienze, i consigli pratici e gli esercizi per diventare una migliore skyrunner, ma anche la sua filosofia di vita. Non il solito libro autobiografico di una campionessa, ma un tomo che non può mancare sul comodino di chi come noi ama lo sport outdoor.

Immaginate una playlist di 18 brani su Spotify. E immaginate uno scrittore che fino a poco tempo fa della montagna si interessava poco o nulla e che all’improvviso ha una folgorazione per il trail running e i suoi protagonisti. Anzi, le sue protagoniste, perché Simone Sarasso dedica questa raccolta di racconti alle donne del trail running italiano, quelle che lo hanno colpito di più. Un’atleta, una protagonista, una canzone. Un libro unico nel suo genere, da divorare, da godere nella lettura brillante, da cui lasciarsi ispirare per le suggestioni musicali, da ascoltare sotto forma di playlist durante un lungo in preparazione alla prossima ultra.

La Meccanica delle Nuvole è il primo libro di narrativa di Emilio Previtali. Viaggia su due binari paralleli: da una parte c’è l’avventura personale, il tentativo di un ragazzino nato nelle case popolari alla periferia di Bergamo di fare dello sport, dello sci e dell’alpinismo una vera professione in una sorta di vacanza prolungata fino alla età adulta, o almeno fino a quando i suoi genitori non si incazzano. Sull’altro binario viaggiano gli episodi, le riflessioni, gli incontri importanti, le giornate memorabili che rappresentano i punti di svolta di una vita intera. Che  -  l’autore tiene a precisarlo  -  non vuole essere di esempio o di riferimento per nessuno.

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LO G I N

FAMOSI O MENO, HANNO FATTO COSE CHE NON PASSANO

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INOSSERVATE a cura di Tatiana Bertera

Colin O’Brady Sono bastati 54 giorni allo statunitense per attraversare l’Antartide in solitaria, dall’Atlantico fino al Pacifico, con l’ausilio delle sue sole forze. Il ventinovenne, che ha dimostrato di avere grinta e resistenza da vendere, ha percorso 1.500 chilometri in un ambiente assolutamente ostile e trainando una slitta di ben 135 chili.

© Facebook Colin O’Brady

© Max Romey / Wandering Fever

Rickey Gates Il trail runner statunitense è uno di quelli che una ne fa e cento ne pensa. L’ultima trovata è stata percorrere tutte le strade della sua città, San Francisco, collezionando, nell’arco di 46 giorni, oltre 2.000 chilometri. La sfida con se stesso, che Gates ha brillantemente vinto, è stata siglata con l’hashtag #everysinglestreet e pare stia diventando contagiosa, oltreoceano e non solo.

© Facebook Carlos Soria

© Instagram Paolo Venturini

Paolo Venturini Ci piace chiamarlo Monster Frozen, come ha deciso di battezzare la sua impresa. L’atleta delle Fiamme Oro e sovrintendente della Polizia di Stato ha corso quasi una maratona (39 km per la precisione) tra Tomtor e Oymyakon, il villaggio più freddo del mondo, in Siberia, a una temperatura di -52 gradi. Proprio Monster Frozen!

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Carlos Soria AAA sponsor cercasi. Carlos Soria, che a feb­ braio toccherà quota 80 anni, non vuole rinunciare al Dhaulagiri e, dopo il recentissimo intervento che gli ha regalato un nuovo ginocchio, spera di trovare i finanziamenti per partire in primavera. Sarebbe il tredicesimo ottomila, intanto però è l’unico essere umano a essere salito su dieci delle vette più alte dopo i 60 anni…


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APRE I L MUS E O D EL L A FOTOGR A FIA D I MONTAGNA

Un nuovo museo in montagna, meglio un museo dedicato alla fotografia di montagna: Lumen, aperto da inizio 2019, è stato realizzato nell’ex stazione a monte della funivia di Plan de Corones, in Alto Adige, a 2.265 metri, con il progetto firmato dell’architetto Gerhard Mahlknecht. Inaugurato a fine dicembre, offre 1.800 metri quadrati di spazi espositivi distribuiti su quattro piani con grandi vetrate, compreso un grande otturatore che può essere aperto e chiuso per diventare uno schermo di proiezione. Oltre agli spazi espositivi, Lumen ospita una sala per eventi e un ristorante. Un progetto reso possibile grazie alla collaborazione di diversi partner come l’Archivio tirolese per la documentazione fotografica e l’arte (TAP), Durst, National Geographic e Red Bull Illume.

LE ALTRE ESPOSIZION I ALP IN E Museo Nazionale della Montagna, Torino Sulla collina torinese, vicino alla chiesa e al convento del Monte dei Cappuccini: è il primo in Italia, nato dall’idea dei soci del Club Alpino Italiano nel 1874. Oggi è articolato su tre piani e un seminterrato dove si trovano le esposizioni temporanee, più una nuova terrazza panoramica. Oltre alle mostre, il museo ospita un centro documentazione con la biblioteca nazionale del CAI. www.museomontagna.org Messner Mountain Museum Sei sedi per scoprire la montagna e la gente di montagna: dalla sede storica di Castel Firmiano, a Plan de Corones, al Monte Rite, nel cuore delle Dolomiti tra Pieve di Cadore e Cortina d’Ampezzo, a Castel Juval in Val Venosta, a Solda fino al Castello di Brunico. www.messner-mountain-museum.it

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Museo delle Alpi, Bard (AO) All’interno del Forte uno spazio museale che racconta una montagna vissuta e trasformata dalla mano dell’uomo. C’è anche una sezione dedicata ai più piccoli, Le Alpi dei ragazzi, spazio ludico interattivo in cui i visitatori possono cimentarsi in un’ascensione simulata al Monte Bianco. www.fortedibard.it Museo Alpino Duca degli Abruzzi, Courmayeur (AO) Nella sede della Casa delle Guide Alpine di Courmayeur, è articolato su due piani dove si racconta la sviluppo dell’attività alpinistica in valle. www.guidecourmayeur.com Il museo della montagna e dell’alpinismo lecchese, Lecco Al secondo e terzo piano della Torre Viscontea, è stato promosso dalla sezione lecchese del Club Alpino Italiano. www.museilecco.org

Museo Alpino Svizzero, Berna (Svizzera) Nel cuore della città, è stato creato nel 1905 ma esiste nella forma attuale dal 1933: è l’unico museo alpino in Svizzera, il più grande del genere in Europa. www.alpinesmuseum.ch/it Musée alpin, Chamonix-Mont-Blanc (Francia) Per scoprire la storia della valle di Chamonix, tra alpinismo, avventure scientifiche e sport invernali. www.chamonix.com Skimuseet, Oslo (Norvegia) Sulla collina di Holmenkollen, il museo dello sci più antico del mondo. Con la possibilità di salire sulla torre del trampolino. www.skiforeningen.no/holmenkollen


Torna il Banff Mountain Film Festival Saranno 34 le serate della settima edizione del Banff Mountain Film Festival World Tour Italy, la rassegna cinematografica dedicata a montagna e outdoor che, dal 2013, porta in Italia le migliori produzioni presentate nel corso dell’omonima manifestazione canadese. Anche quest’anno la première, prevista per lunedì 11 febbraio, si terrà a Milano presso il Teatro Nazionale e il tour toccherà altre 28 città italiane. Tra i film in programma ricordiamo Ice & Palms, che racconta un viaggio tra sci e bicicletta: due ragazzi tedeschi partono dalla Germania per arrivare a Nizza in sella, sciando tutte le cime di 4000 metri che incontrano per strada: un’avventura che, in 40 giorni, li porterà a percorrere 1.800 km e oltre 30.000 metri di dislivello! In Notes from the Wall, gli alpinisti belgi Sean Villanueva O’Driscoll, Nicolas Favresse e Siebe Vanhee sfidano El Regalo de Mwono, una via di 1.200 metri sul lato est della Torre Centrale delle Torres del Paine, tra le più impegnative della Patagonia. È invece un bambino prodigio il protagonista di The Far Out: Kai Jones, che regala indimenticabili evoluzioni sugli sci e pensa come superare se stesso senza far spaventare troppo la mamma. Il programma completo dei film che saranno proiettati nel corso di ogni serata sarà presto disponibile sul sito www.banff.it

Lo Snow Leopard Day fa 10 Sugli sci per il leopardo delle nevi: il 2 marzo Dynafit organizza la decima edizione dell’International Snow Leopard Day, a sostegno dei leopardi delle nevi, a rischio di estinzione. Dopo il grande successo ottenuto lo scorso anno, con una raccolta totale di più di un milione di metri di dislivello, convertiti in 11.000 euro di donazione, anche quest’anno l’appuntamento si terrà contemporaneamente in nove diversi Paesi. Per ogni metro di dislivello percorso, Dynafit donerà infatti un centesimo di euro all’organizzazione no-profit che finanzierà il primo censimento mondiale della popolazione dei leopardi delle nevi. Il progetto farà tappa anche in Italia, a Misurina (BL), grazie al supporto del punto vendita Tuttosport Longarone e dell’Associazione Guide Alpine Tre Cime. Durante le manifestazioni ci sarà inoltre la possibilità di testare gratuitamente l’attrezzatura Dynafit, supportati dai consigli e dalla professionalità dei tecnici dell’azienda. www.dynafit.it


LO G I N

2018 SPLITBOARD MEETING

RITI PRIVATI E RITI COLLETTIVI DI UN INIZIO STAGIONE CON LA SPLIT AI PIEDI Testo di Luca Albrisi

© Luca Albrisi


i sa che quando l’inverno inizia a farsi sentire - anche se a dire il vero, a volte fa solo finta - iniziamo a provare quella voglia di andare e di scaldare le gambe e il fiato macinando i primi metri di dislivello. E poi, chissà che l’inizio stagione non regali anche qualche centimetro di powder inaspettato… Ma forse quello di cui abbiamo veramente voglia non è solo questo. Forse è anche la bramosia di riiniziare quei piccoli riti che negli anni, pochi o tanti che siano, abbiamo costruito intorno al nostro andare in montagna e al fare splitboarding. Quelle piccole usanze che, trascorsi i mesi estivi, ci sembrano ormai cose lontanissime e appannate dal ricordo. Sciolinare la split, cambiare le pile dell’ARTVA, ricontrollare che tutta l’attrezzatura sia in ordine. Accorgersi che all’ultima uscita le pelli erano state riposte senza i dovuti crismi. E poi controllare il meteo, sentire i propri soci di gita, scegliere un itinerario e fare un check del bollettino valanghe. Stringere le viti degli attacchi, scegliere il tè e preparare un bel thermos. Lanciare due barrette e un po’ di frutta secca nello zaino. Insomma, pian piano ricominciamo a prendere confidenza con tutte quelle piccole azioni che durante l’inverno diventeranno una consuetudine e che per noi rappresentano appunto dei veri e propri riti.

Parallelamente a questi nostre, personalissime, usanze si stanno anche sviluppando dei riti collettivi di splitboarder in cerca di inverno. Nati dalla voglia di pochi - scimmiatissimi - precursori di questa disciplina, questi appuntamenti sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni, parallelamente al sempre più intenso interesse nei confronti dello splitboarding. Ecco dunque che su tutto, o quasi, l’arco alpino abbiamo assistito allo svolgersi di meeting ricchi di partecipanti spinti dalla voglia di conoscere, imparare e incontrarsi. Già, forse il motivo scatenante di tutto questo è proprio la voglia di incontrarsi, di conoscere persone esperte come Maestri e Guide, ma anche persone più vicine al nostro livello per poter poi organizzare qualche gita insieme durante l’inverno. Da parte mia posso solo dire che è davvero emozionante assistere a tutto questo e vedere come un sacco di persone si stiano avvicinando alla split quando solo pochi anni fa la parola stessa splitboarding veniva compresa da davvero pochi rider. Vedere tutto questo entusiasmo mi riempie sicuramente di stimoli per cercare di fare sempre di più per questa disciplina e per la passione che sta riportando nell’ambiente snowboard, assopito da un po’. Ecco allora più nel dettaglio i meeting andati in scena a inizio stagione.


I LOV E SP L I T

© Prisma Films _ Andrea Allasia

I Love Split è uno dei raduni storici italiani, la cui prima edizione si è svolta nel 2010 e, da allora, ha luogo tutti gli anni sulle nevi di Sestriere. Nato dalla mente di Gigi Lozzi, Maestro e Istruttore di snowboard, e Gionata Craviotto, Maestro e titolare del negozio Surfshoppe, I Love Split è giunto quest’anno all’ottava edizione. Il 17 e 18 novembre sulle nevi piemontesi si sono incontrati 90 splitboarder per condividere gite di tutti i livelli in compagnia di Gigi, Gionata e dello staff di Surfshoppe composto da Stefano, Valentin e Lele.

SAFETY C AMP BY SPL ITB OAR D VALC AM O N IC A Sulle nevi del passo del Tonale c’è una delle crew più attive del panorama split: Splitboard Valcamonica. Anche quest’anno i ragazzi camuni hanno organizzato il consueto Safety Camp di inizio stagione tenutosi l’1 e 2 dicembre e reso possibile dall’impegno di Maurizio Garatti, Simone Foglia, Nicola Squassina, Massimo e Attilio Fontana, Max Sandri e Andrea Fusco e alla collaborazione con il negozio BurningBoards! e le Guide alpine capitanate da Renzo Zampatti. La vera sorpresa di questa terza edizione è stato il numero di partecipanti che sono schizzati a ben 104, obbligando gli organizzatori a sospendere le iscrizioni. Tra gli ospiti del meeting, che hanno condiviso suggerimenti e soprattutto momenti di fiatone e sudore con i partecipanti, sono stati Vanessa de Vignani, Luca Dalpez, Maurizio Davarda e il sottoscritto.

© Simone Foglia

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© Freeride Alliance

SPLIT DAY Anche lo Split Day è ormai un appuntamento fisso nel panorama dei meeting di inizio stagione. Giunto alla sua quinta edizione si è svolto, come sempre, sulle nevi valdostane e in particolare a Saint-Oyen nella valle del Gran San Bernardo, lo scorso 15 e 16 dicembre. Ettore Personnettaz, Maestro e Istruttore di Snowboard, ha supervisionato la ricca squadra di collaboratori composta da Patrick Raspo, Alfredo Canavari, Luca Bastia, Luca Spolare, Leonardo Patrucco, Emanuele e Christian. Circa 50 i partecipanti provenienti dalle più svariate località italiane in cerca non solo della rinomata polvere valdostana, ma anche di un momento di condivisione adatto a tutti i livelli.

INGLORIOUSPLITB OAR D E R Più che di un meeting si è trattato di un incontro quasi casuale, un collettivo di splitboarder con visione e intenti comuni. Una chiamata in tempi strettissimi che non è rimasta senza risposta. Un momento condiviso per il gusto di farlo. Non si hanno foto, non si hanno report, non si sa esattamente cosa sia successo. Si sa solo che di gloria, non se ne è vista.


LO G I N

OMAGGIA

© Federico Ravassard

LA SENTINELLE IL MONVISO

APPUNTAMENTO DAL 22 AL 26 MARZO AL RIFUGIO PIAN DELLA REGINA E SKIALPER SARÀ MEDIA PARTNER. I NOSTRI CONSIGLI PER L’ABBIGLIAMENTO


a Sentinelle torna in Italia, ai piedi del Monviso, dal 22 al 26 marzo. Il mitico evento organizzato da Bruno Compagnet e Minna Riihimaki, alla quarta tappa dopo quella della Gavarnie e le due dell’anno scorso in Valgrisenche e Norvegia, approda ai piedi della montagna simbolo delle Alpi piemontesi. «La Sentinelle è soprattutto condivisione e celebrazione dello sci di montagna, dell’autenticità e cosa c’era di meglio di quattro giorni su e giù per le valli occitane ai piedi di questa magnifica montagna?» dice Bruno. In effetti La Sentinelle è un evento davvero particolare. Non è una gara, ma piuttosto un raduno e per partecipare bisogna mandare una lettera motivazionale scritta a mano. Le tutine sono bandite, non esiste cronometro e gli sci devono essere di almeno 100 millimetri sotto il piede. Visto il nome dell’evento, se possibile la zona scelta si trova al confine tra due o più Paesi.

I percorsi sono lasciati vergini, per il piacere di lasciare la propria traccia nella polvere, però ci sono dei passaggi obbligati e dei ristori. E poi la sera ci si ritrova tutti attorno un tavolo, ospiti, Guide e local. «La base sarà al rifugio Pian della Regina e l’idea è di percorrere anche parte dello storico Giro del Monviso e probabilmente avremo l’opportunità di incontrare chi alla gara ha partecipato, ma saranno soprattutto quattro giorni all’insegna dello sci e della montagna» aggiunge il freerider pirenaico, tra i fondatori del marchio Black Crows. La partecipazione costa 320 euro tutto compreso e bisogna portare la propria attrezzatura di sicurezza. Sempre che si venga selezionati… ma Skialper è media partner dell’iniziativa e due partecipanti verranno scelti con la collaborazione dalla nostra redazione. Seguite i nostri canali social nelle prossime settimane per tutti i dettagli!

GORE -T E X PRO Gore-Tex è sponsor tecnico de La Sentinelle. Ma qual è l’abbigliamento ideale per la manifestazione? Difficile dirlo perché, non essendoci delle richieste specifiche come per le gare, tutti si vestono in modo diverso. Però si tratta di sci di montagna nella sua accezione più alta e resistenza agli elementi e durata nel tempo sono i must da ricercare. Tutte caratteristiche tipiche dei capi in GORE-TEX PRO. Si tratta infatti della tecnologia di prodotto Gore pensata per gli ambienti più estremi e i professionisti della montagna: impermeabile, traspirante, antivento, ma soprattutto ultra-resistente e antiabrasione. Costruiti con una membrana a tre strati, i capi in GORE-TEX PRO sono pensati per restare protetti il più a lungo possibile. Abbiamo scelto tre completi a prova di La Sentinelle.

Häglofs Spitz Jacket + Pant Un softshell molto resistente e leggero con cappuccio con tre diversi modi di regolazione e tasche posizionate per essere facili da raggiungere anche con indosso lo zaino. È rinforzato nelle aree più a rischio di usura e ha cerniere di ventilazione. Non mancano i riflettori Recco e un fit corto in vita, per potere indossare l’imbracatura senza problemi. Anche i pant, dal design minimal, hanno il riflettore Recco e c’è un pratico sistema a velcro di regolazione della vita. 550 euro la giacca e 450 euro i pant. www.haglofs.com

Mammut Alvier Hs Hooded Jacket + Bib Pants Una giacca perfetta per lo scialpinismo grazie al cursore della grande cerniera frontale a forma di U, facilmente impugnabile anche con i guanti. Taglio lungo e fondo schiena arrotondato per tenere lontano freddo e umidità, anche nella polvere più profonda, per la quale c’è la gonnellina interna, che può essere tolta. Pesa 730 grammi e ha una colonna d’acqua di 28.000 mm. Il pant abbinato è una pratica e robusta salopette con la parte superiore dotata di utili inserti interni in lana per scaldare il corpo in condizioni di umidità. 759 euro la giacca e 599 i pant. eu.mammut.com

Arc’teryx Rush LT Jacket + Stinger Bib Il fatto che pesi solo 430 grammi non significa che questa giacca sia essenziale e poco protettiva. L’utilizzo intelligente di due diversi GORE-TEX PRO, con il più robusto N80p-X nelle zone maggiormente soggette a usura delle spalle e delle anche, ne è la prova. Il design minimalista e pulito non trascura due grandi tasche frontali, molto pratiche, e un cappuccio ben regolabile. La salopette, sempre in GORE-TEX PRO, prevede anche ampie cerniere di ventilazione laterale, zip per permettere una seduta più comoda e rinforzi in Keprotec a prova di lamine. 650 euro la giacca e 600 euro la salopette. www.arcteryx.com

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LO G I N

ROSA SKI RAID SEGUENDO LE TRACCE LA GARA ORGANIZZATA

DI LENCE

DAL FANS CLUB DELL’AZZURRO È IN PROGRAMMA IL PROSSIMO 17 MARZO

© Stefano Jeantet

Una montagna mitica e spettacolare, una comunità fiera e unita, un campione amico e orgoglioso della sua terra. Questi gli ingredienti della Rosa Ski Raid. Tanto che tra gli organizzatori c’è anche il fans club di Damiano Lenzi, insieme allo sci club Valle Anzasca. La Farmacia dei Bandarai, un locale con ‘sottotitolo’ Recapito dello Spirito è il quartier generale dello staff organizzatore. «Lo ha preso in gestione un nostro amico - spiega Aldo De Gaudenzi, presidente del fans club di Damiano Lenzi - così ne abbiamo approfittato. La nostra gara è nata per essere una festa di fine stagione, per questo è stata proposta sempre in primavera inoltrata, ma quest’anno, visto il calendario, abbiamo deciso di anticiparla a marzo, in modo che Damiano possa essere al via, visto che capita proprio al termine del Mondiali. E dalle gare svizzere non siamo così lontani, la speranza è che Lence si porti con lui qualcuno dei suoi colleghi». La data del 2019 è allora il 17 marzo. Con una speranza «Quella di poter finalmente mettere in piedi la gara sul percorso che ci siamo immaginati da sempre - aggiunge Fabio Iacchini, direttore del

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percorso - Per tanti motivi, la sicurezza in primis, non siamo ancora riusciti ad arrivare fino al Colletto di Pizzo Bianco, a quasi 3.000 metri, per poi affrontare la lunga, spettacolare discesa di quasi 1.600 metri di dislivello fino in paese. Di solito si deve affrontare con una Guida alpina se non la si conosce bene, ma messa in sicurezza è davvero da adrenalina pura». Arrivo con gli sci o a piedi confermatissimo nel cuore di Macugnaga perché la Rosa Ski Raid è davvero la gara del paese, sentita e amata da tutti. E lui, Lence, che cosa dice della sua gara? «Correre a casa è sempre particolare, forse hai più pressione perché ci sono tante persone che vengono a vederti e fanno il tifo per te, ma è sempre bellissimo e poi ho un sogno, il Chiovenda: salire sul Pizzo Bianco e scenderlo sarebbe uno spettacolo, mille metri di canale con la polvere anche ad aprile, perché esposto a Nord». Però la soddisfazione più bella è un’altra: «all’inizio era solo un fan club, poi essere riuscito ad avvicinare tutti questi amici allo scialpinismo e addirittura a organizzare una gara è bellissimo». Parola di Lence. www.rosaskiraid.it



LO G I N © Federico Ravassard

INTEGRAZIONE 3 DRITTE PER AVERE MENO FREDDO

COME SI COMPORTA L’ORGANISMO, COME SI MODIFICA LA PRESTAZIONE E QUALI STRATEGIE NUTRIZIONALI ADOTTARE? Testo di Elena Casiraghi Equipe Enervit

Quando si tratta di tolleranza al freddo ognuno è diverso. L’acclimatazione gioca senza dubbio un ruolo importante: proprio com’è possibile acclimatarsi al caldo, è possibile farlo al freddo. Quando la temperatura si riduce, cioè scende al di sotto dei 36,4 gradi °C circa, l’organismo mette in atto dei meccanismi per mantenersi caldo e per produrre calore. Il primo è la vasocostrizione, il secondo è il brivido. Il brivido è un tipo di contrazione muscolare involontaria ripetitiva e ritmica. Lo scienziato Horvath nel 1981 lo definiva come uno stato di quasi esercizio. Con l’esposizione al freddo quindi non è possibile sottovalutare l’apporto energetico in quanto questo è differente rispetto a condizioni di temperatura mite. Quale strategia nutrizionale adottare? Alimento fonte di proteine nella prima colazione Anche se i carboidrati sono fondamentali per le prestazioni al freddo, ci potrebbero essere alcuni benefici nel consumare una colazione ad alto contenuto proteico prima della sessione di allenamento. Per la loro scelta vanno assunte le fonti magre al fine di favorire lo svuotamento gastrico. Gli studi mostrano che l’effetto termico è superiore a quello dell’ingestione dei grassi e dei carboidrati. Una colazione ad alto contenuto di proteine può comportare un aumento del calore corporeo fino a sei ore dopo l’ingestione. Integrazione di carboidrati durante l’esercizio in formato gel In caso di eventi prolungati in giornate di clima rigido, gli atleti sono a rischio di hiker’s hypothermia (ipotermia dell’escursionista). Non è chiaro il motivo per cui accade, ma questo evento mette in luce quanto

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un ampio apporto di carboidrati sia particolarmente importante durante l’esercizio condotto in queste condizioni. Inoltre, l’energia che si spende per rimanere caldi in condizioni estremamente fredde può aumentare di cinque volte rispetto a temperature più miti. L’ossidazione dei glucidi aumenta di sei volte mentre quella dei lipidi solo di due volte. Mantenere un’ampia disponibilità di carboidrati anche a temperature rigide è vitale. Il formato gel riduce i tempi di permanenza dei carboidrati all’interno dello stomaco (rispetto a carboidrati in formato solido come barrette energetiche) favorendo quindi sia la disponibilità di energia, sia un ottimale svuotamento gastrico, oltre a vincere in termini di basso peso e di praticità all’utilizzo. Integrazione a riposo di flavanoli del cacao Secondo esperienze sul campo con atleti alpinisti evoluti, queste sostanze di cui sono ricche le fave di cacao sembrano permettere una miglior tollerabilità alle temperature estremamente basse, oltre a favorire la prestazione sportiva e l’apporto di ossigeno a tutti i muscoli coinvolti nello sforzo. Sono da assumere nelle due settimane che precedono un impegno significativo.

TIPS & TRICKS Enervit Sport Just Flow da utilizzare prima dell’attività sportiva INTEGRATORE ALIMENTARE DI VITAMINE B1 E B2 A BASE DI ESTRATTO VEGETALE DI CACAO Una dose consigliata (due capsule al giorno) apporta 200 mg di flavanoli del cacao che aiutano a mantenere l’elasticità dei vasi sanguigni, contribuendo a un normale flusso sanguigno (l’effetto benefico si ottiene con un’assunzione giornaliera di 200 mg di flavanoli del cacao). Enervit Sport Gel - Lampone con Caffeina da utilizzare durante l’attività sportiva PRODOTTO ENERGETICO A BASE DI CARBOIDRATI CON CAFFEINA E VITAMINE Indicato in caso di sforzo intenso e prolungato nell’ambito della pratica sportiva, da assumere immediatamente prima o durante l’attività. La dose consigliata è di quattro minipacks.


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Caiano — Scivolatore aderente ai principi e valori del sodalizio CAI — da Il Nuovo Polverelli Minore, Mulatero Editore, 2018

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a un punto di vista esterno, con capacità di analisi basate su pregiudizi più (o meno) verificati, le scuole di scialpinismo del CAI possono assomigliare a un ibrido fra Scientology, Giovani Marmotte e Dopolavoro Ferroviario. I luoghi comuni sui caiani si sprecano, tanto in ambiente scialpinistico quanto arrampicatorio: zaini enormi, attrezzatura vetusta, abbigliamento fuori moda e chi più ne ha più ne metta. Rappresentano quella che per i più modaioli, pro, semi-pro e pro de’ noartri è la old school della montagna, fatta di austerità e regolamenti paramilitari. Facendo un bagno di umiltà, però, va dato loro il merito di aver contribuito enormemente alla diffusione dei nostri sport, grazie ai corsi in cui gli istruttori volontari mettono a disposizione le proprie conoscenze e il proprio tempo libero per formare nuove leve. Il boom dello scialpinismo degli ultimi anni è dovuto più a loro che ai video della Red Bull, bisogna dirlo. E, se da una parte i corsi CAI raccolgono nelle loro fila anziani nostalgici dell’alpinismo più accademico, dall’altra contano tantissimi giovani che vivono nel presente e magari sì,


si presentano alle gite con la medaglietta blu, ma appuntata su completi da freeride con sci fat a corredo. Insomma, i caiani sono davvero quegli esseri mitologici che non vorremmo mai incontrare durante una scialpinistica? Per scoprirlo mi sono unito a loro, più precisamente alla prima uscita della SA1 (la prima classe della Scuola di Scialpinismo) della scuola SUCAI di Torino. La SUCAI (acronimo di Sottosezione Universitaria CAI, qualsiasi battuta sul significato ambiguo è ormai troppo scontata per far ridere), oltre a essere una delle più grandi in Italia, è stata in assoluto la prima scuola di alpinismo in Europa a istituire un corso di scialpinismo, nell’inverno 1951-52. Sebbene la creazione ufficiale risalga al dopoguerra, le sue origini vanno ricercate nell’istituzione della Scuola Boccalatte, fondata nel 1939 e diretta da Giusto Gervasutti che, anche se più conosciuto per l’attività su roccia, prese parte al primo Trofeo Mezzalama nel 1933. Dopo vari scombussolamenti dovuti anche al riordino fascista delle associazioni ricreative, venne poi fondata la sottosezione attuale, che col tempo ha

acquisito nuovi membri e sempre maggior prestigio, grazie anche alla poliedricità: ad oggi vengono organizzate attività con le pelli, freeride, snowboard alpinismo, telemark, uscite estive a piedi e in bici e, da un paio d’anni, anche un corso di kite-skiing. Quella che comincia quest’anno è la sessantottesima edizione del corso di scialpinismo e i nuovi iscritti, che vanno a sommarsi a quelli che già lo frequentano, sono una quarantina: se uno volesse farsi due conti, verrebbe fuori che gli scialpinisti torinesi che sono passati di qua non sono proprio pochi. Dicono che quelli dei CAI partano sempre prestissimo, e in effetti (sigh) l’appuntamento per salire sui pullman è alle 5.45 del mattino. Siamo tantissimi e di ogni età, gli organizzatori - pardon, istruttori - parlano di 140 persone, con altrettanti zaini e sacche sparsi ovunque sul piazzale. L’atmosfera è quella di una gita con la scuola, e ci si spartisce i sedili allo stesso modo. Davanti i più anziani, qualcuno legge un quotidiano comprato chissà dove a quell’ora;

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dietro, i più casinisti, al netto di alcuni elementi che tra le braccia di Edipo stanno smaltendo i cocktail della sera prima. Dopo un paio di ore di viaggio arriviamo a Saint-Rhémy-en-Bosses, nella valle del Gran San Bernardo e alla luce del giorno mi guardo intorno per capire meglio la fauna di cui mi sono circondato. Ci sono vecchi vestiti da vecchi, giovani vestiti da giovani, vecchi vestiti da giovani e giovani vestiti da vecchi. Qualsiasi tipo di scialpinista potreste incontrare in montagna, insomma, lo trovate già qui: gli sci più stretti sono degli Ski Trab Piuma, i più larghi dei Black Crows Atris twin-tip; spuntano anche un paio di telemarker. Qualcuno ha i pantaloni stretti, altri la salopette e una camicia a quadri, come quei norvegesi che vediamo jibbare nei video su Instagram. Dopotutto, essere affezionati al proprio passato non significa esserci rimasti. Ci si infila gli scarponi mentre, defilati, alcuni ragazzi travasano qualcosa dentro una tanica. Vin brulé per il post-gita, dicono, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ci si divide a gruppetti, ogni istruttore oggi si farà carico di due o tre corsisti da seguire lungo la gita, e nello zaino infila una pochette contente i libretti su cui, al termine, andrà a segnare un voto sui progressi degli allievi. Si parte. Il serpentone si snoda lungo il bosco, ci sorpassano alcuni che sono lì per conto loro e guardano attoniti la massa variopinta che si è scaricata su quel pendio. Io sono libero di muovermi e scambio qualche parola con chi mi capita a tiro. È impossibile tirare fuori uno stereotipo del corsista caiano: c’è troppa varietà, conosco studenti fuorisede di facoltà umanistiche, impiegati, pensionati, pure un insospettabile, che si rivela essere un professore universitario di Meccatronica (non so voi, ma a me questa parola ricorda un cattivo della Marvel) e che oggi è alla sua seconda uscita assoluta con le pelli - la prima era stata la prova di ammissione della settimana precedente - dopo essersi iscritto praticamente a scatola chiusa. Quando la salita impenna si manifesta concreto lo spauracchio di ogni principiante, più temuto di qualsiasi valanga o crepaccio: le inversioni in salita. Sembra una scena di guerra, compaiono ovunque gambe aperte a compasso, spaccate degne della scuola russa di ginnastica artistica e attacchini che si aprono qua e là. Gli istruttori, pazienti, cercano di spiegare le manovre necessarie, mentre più su il gruppo di apertura semina bandierine indicanti la traccia da seguire. Arrivano in cima quando gli ultimi sono ancora a più di trecento metri dalla vetta, ma non c’è fretta.

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Qualcuno stappa bottiglie di barbaresco mentre i decani intonano cori degni degli scout in uscita. Ai puristi potrà sembrare strano, ma mi rendo conto che una gita con 140 persone può essere anche divertente. Ci si accalca sulla vetta facendo fatica a trovare un fazzoletto di neve libero per spellare e non pochi esibiscono sorrisoni entusiasti per quella che è la loro prima vera cima raggiunta con le pelli, dopo 1.100 metri di dislivello percorsi di salita, non pochi per dei debuttanti. Stefano De Benedetti diceva che non importano le pendenze sulle quali ci si trova, bensì le emozioni che si provano quando si è al limite. Beh, è vero. Qualcuno, quassù, probabilmente sta provando lo stesso brivido che il genovese aveva sentito in cima all’Aiguille Blanche, ed è una cosa bellissima. Scatto un paio di ritratti a Tarcisio e Pietro, rispettivamente il più anziano e il più giovane della comitiva, 71 anni il primo, 16 il secondo. Oltre ai corsisti, oggi ci sono anche i distintivati, quelli che, dopo tre anni di scuola, si sono guadagnati il distintivo che attesta la loro autonomia in montagna. C’è chi, dopo la SUCAI, ha spiccato il volo

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e ora nel curriculum può vantare discese di sci ripido, raid in quota e spedizioni al di fuori delle Alpi, mentre altri hanno continuato la carriera accademica e sono diventati prima aiuto-istruttori, poi istruttori. In discesa è difficile contenere l’entusiasmo per i venti centimetri di polvere caduti pochi giorni fa. Dicono che i caiani siano pessimi sciatori, ma da quello che vedo non è poi così vero, anzi. Fino agli anni scorsi per accedere alla SA1 bisognava partecipare a delle prove pratiche su pista, per verificare le proprie capacità discesistiche. Poi, però, ci si è resi conto che il livello tecnico dei principianti era sempre più alto ed era difficile bocciare, visto anche il maggiore afflusso dallo sci alpino, e da quest’anno le selezioni consistono di fatto in una gita di prova in ambiente. Magari le inversioni non sanno ancora farle, ma nell’orda colorata che cala verso valle ne vedo parecchi scendere a curvoni in stile freeride, mentre gli istruttori più attempati fanno cazziatoni a chi, in barba alle regole accademiche, cerca rocce da cui tirare cliff. Beh, dopotutto siamo pur sempre al CAI e, come si dice in giro, non siamo mica qui per divertirci… più o meno.

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Rientriamo ai pullman nel parcheggio dopo aver fatto prove di ricerche ARTVA e capisco che la gita non è ancora finita: qualcuno tira fuori la tanica di vin brulè mentre altri preparano il fornello a gas su cui scaldarlo. Se da una parte li si prende in giro per l’austerità, dall’altra è innegabile il loro spirito goliardico. Ci si beve shot di vino da uno sci forato per contenere i bicchierini e iniziano a spuntare qua e là salami, torte salate, bottiglie di birra e di amari. I giovani sono entusiasti, i vecchi pure. Il terzo tempo continua anche sul viaggio di ritorno in pullman, mentre qualcuno crolla vittima della sveglia antelucana, gli altri continuano a stappare bottiglie. Anche io mi sento provato, non riesco a capire se per la carenza di sonno o l’eccesso di vin brulé a stomaco vuoto. Arriviamo a Torino come eravamo partiti, al buio, in un parcheggio colmo di sci e zaini sparsi ovunque. Qualcuno mi chiede se parteciperò anche alla prossima uscita, io rispondo con un generico chissà. Devo ammettere a me stesso che in fondo i caiani sanno divertirsi più di altri, solitamente quelli che li sfottono per le loro tradizioni, nonostante la sveglia alle cinque in inverno rimanga un crimine contro l’umanità. E poi un’altra nota: nelle pagelle che gli istruttori devono compilare a fine gita, un voto va assegnato alla tecnica di discesa. Voto 1/5 per la curva a spazzaneve, 4/5 per quella a sci paralleli, mentre la serpentina, benedetta serpentina, si aggiudica 5/5. Old school never dies.

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Millet©Clément Hudry

Joris Perillat #MILLETRISEUP

E’ una forza che arriva dalle vette, un senso di pienezza, che ci permette di sentire la prossima chiamata.


O L D SC H O O L / L’ E S PLO R A ZIONE D IET RO C A SA

LA PIÙ GRANDE AVVENTURA È CONOSCERE SE STESSI

PRIMA VIAGGIATORE, POI ALPINISTA, INFINE SCI-ALPINISTA. BRESCIANO MA INNAMORATO DELLE OROBIE, AI MONTI BERGAMASCHI HA DEDICATO UN LIBRO DI 400 PAGINE CHE È AL TEMPO STESSO GUIDA CON 100 ITINERARI SULLA NEVE E MANUALE ESISTENZIALE Testo di Claudio Primavesi / Foto di Achille Mauri

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Oscar Beletti, metalmeccanico, disegnatore, volontario e avventuriero, carpentiere, ortolano, falegname e muratore, modello e calzolaio, sarto, pellettiere e velista, perito aziendale, cameriere e direttore d’azienda, subacqueo, rappresentante di commercio, judoka e apicoltore, vagabondo, fotografo, alpinista. Da Tracce sul Bianco, sci - alpinismo nelle valli bresciane Melograno Edizioni

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1 Il libro costa 39 € ed è in vendita richiedendolo a oscarcesareluigi@gmail.com

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utto è iniziato con una email di Alessandro Gogna, datata 21 settembre. «Caro Claudio, ti inoltro questo pdf. È un’opera ciclopica sullo scialpinismo nelle Alpi Orobie (versante bergamasco e valtellinese) del mio amico Oscar Beletti. Lui è un tipo un po’ strano, ma ha un’esperienza pazzesca. Per una gran parte si tratta di itinerari mai pubblicati». Do uno sguardo veloce, il materiale sembra interessante e l’aggettivo ciclopico per un libro di oltre 400 pagine con cento itinerari nel giardino segreto delle Orobie è quello più indicato. È un lavoro incredibile, frutto di anni e anni di esplorazioni. E Beletti il libro, dopo Tracce sul Bianco, pubblicato nel 1987 da Melograno, ai tempi la casa editrice di Gogna, se lo è auto-prodotto. Tracce sul Bianco è stato l’apripista verso lo scialpinismo per intere generazioni di bresciani, quasi un Vangelo, visto anche il formato pocket. L’ultimo tomo di Beletti è invece profetico, una Bibbia (pure nelle dimensioni) che viene dopo il Vangelo. Il titolo? La più grande avventura... è conoscere se stessi - 100 itinerari di scialpinismo nelle Orobie  1. 19 dicembre 2018. Nella casella della posta trovo l’avviso per ritirare una raccomandata. All’ufficio postale mi consegnano un plico voluminoso e soprattutto pesante. Dentro c’è La più grande avventura è... conoscere se stessi. Chiamo Oscar, che avevo incontrato qualche settimana dopo l’email di Gogna, incuriosito da quell’opera che si prospettava ciclopica e dal personaggio. «Complimenti, non si direbbe che è auto-prodotto e soprattutto c’è davvero tanto materiale interessante, dobbiamo scrivere un articolo, ci sentiamo a inizio gennaio e facciamo un salto sulle Orobie con il fotografo». 11 gennaio 2019, ore 7,30. Agrate Brianza, parcheggio Galbusera. Oscar scende da un van bianco, metà lamierato, metà con i finestrini. «Qui ci ho fatto anche delle vacanze con Ginevra, vedi quelle assi di legno? Sotto facciamo la cambusa e sopra ci dormiamo». Beletti è un vero interprete dell’hashtag #vanlife, tanto di moda sui social, se non fosse che all’anagrafe sono settanta tondi tondi e lo storytelling lo faceva quando i social non esistevano neppure. «Mi avreste potuto incontrare a pesca, lungo i fiumi dell’Amazzonia o a vagabondare nei deserti messicani; col dito fuori a Capo Nord, a Copenaghen o al Circolo Polare Artico a rincorrere amori impossibili e a cercare uomini e donne dagli occhi vispi e spavaldi con la serenità negli occhi» scrive nella prefazione al suo ultimo libro. Flashback, 8 gennaio 2019. Uno come Beletti va fotografato nel suo ambiente, la montagna, le Orobie possibilmente. Però in giro non c’è un filo di neve e con Achille Mauri, autore delle foto di questo articolo, si pensa di fare un salto sul Bernina. Apriti cielo. «Claudio permettimi di insistere… l’ambiente di Colere è bellissimo. Quattro foto le facciamo con tanta neve a 15 minuti dall’intermedio. Non capisco… qui fuori casa abbiamo tutto, perché il Bernina?». Perché al Bernina c’è più neve ma a Oscar è difficile dire di no e allora la nostra rotta è verso Colere, così sia.


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Oscar Beletti ha iniziato prima ad andare in montagna e, come naturale conseguenza, ha scoperto lo scialpinismo. A destra un’immagine artistica del nuovo libro di Oscar... con la poca neve che ha imbiancato le Orobie in questo inizio di stagione

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OSCAR, QUANTE GITE FACEVI ALL’ANNO?

«70-80, ricordo che un inverno abbiamo sciato 13 dei primi 15 giorni dell'anno. Ogni giorno una partenza, una meta diversa, uno star fuori totale. Anche quest’anno l’abbiamo interpretato al meglio. Se guardi su On-Ice pare che ci sia solo la Svizzera, dà un’occhiata ai report di Mario-bi e nel ricrederti scoprirai nuove maniere di andare nelle Orobie». GIÀ, LA NEVE: TU CHE FREQUENTI QUESTE MONTAGNE DA PIÙ DI 30 ANNI, COSA PENSI DEL CLIMATE CHANGE?

«Siamo diventati un deserto, di notte le temperature vanno sottozero, di giorno salgono anche a venti gradi. Nei deserti ho viaggiato e arrampicato: è così che funzionano. Non basta la denuncia, né l’indignazione; ci vorrebbe una ribellione e un nuovo stile di vita. Anche di questo scrivo in Eolia, la città invisibile, nelle prime pagine del libro: è una città possibile e anche un sogno realizzabile». PERCHÉ UN BRESCIANO SI È INNAMORATO DELLE OROBIE E HA SCRITTO UN LIBRO COSÌ DETTAGLIATO?

«Le ho scoperte all'inizio degli anni '80 leggendo un articolo sulla Rivista della Montagna che parlava della traversata di Zuanon 2 e dei francesi. Affascinato, mi sono detto che avrei dovuto andarci, su quelle montagne. Così, solo, sono partito con uno zaino da 25 chili sulle spalle e una tendina. E ho sbattuto il naso contro quel sogno e quelle montagne e, senza immaginarlo, me ne sono innamorato». CON CHI VAI IN GITA? Nel 1974 il francese Jean Paul Zuanon percorse le Orobie da Ovest a Est insieme ad Angelo Gherardi, che le aveva già percorse con Franco Maestrini e Giuliano Della Vite nel 1971.

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«Molti sono stati i compagni di viaggio. Il libro, se vuoi, è anche un lavoro corale. Ci sono anche loro e la loro storia. Negli anni poi, e questo è curioso, ho avuto modo di andare con più generazioni, di frequentare contemporaneamente ragazzi di vent'anni meno e di vent'anni di più, ma lo scialpinismo l'ho imparato

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La vita di Oscar è stata un continuo ricominciare: «ho sempre voluto mettermi alla prova e ripartire da zero»

con Tino Bini 3 che è la storia di questo modo di andare tra le nostre valli. Ho solo preso il testimone e a mio modo poi è stato facile continuare. Tino dalle nostre parti è una leggenda. Penso sia un extraterrestre. Con lui (88 anni) vado tutt'oggi. Se fossi in te non ci crederei, ma è vero». GIUSTO, COME SEI ARRIVATO ALLO SCIALPINISMO?

«Alla montagna ci sono arrivato che non avevo trent'anni ma già molto, passami la citazione, avevo vissuto. Con me portavo l'esperienza del viaggiatore e questo mi ha molto aiutato. Poi, pretesa l’amicizia del Tino, mi è stato tutto più facile. Con lui i primi passi, le prime grandi salite e quindi il vero alpinismo: la roccia, il ghiaccio. E ancora molti altri compagni e maestri che molto mi hanno insegnato senza sapere che ero io ad accompagnarmi a loro, io l’apprendista. Da qui allo scialpinismo il passo è stato breve». FORSE È PER QUESTA IDEA DI SCIALPINISMO E MONTAGNA CHE LE TUE GUIDE SONO VERI E PROPRI LIBRI? MI SPIEGO, GLI ITINERARI SONO PIÙ RACCONTI CHE SEMPLICI DESCRIZIONI DEI PERCORSI.

Forte alpinista bresciano, socio della Società Escursionisti Bresciani Ugolino Ugolini.

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«Non c’è itinerario, nelle Prealpi e nelle Alpi Orobiche, che si possa dir banale. Nella scala Blachère la A maiuscola sta a indicare che tutto ciò che si fa deve fare i conti con l’alpinismo vero. In questo mare quindi restiamo noi, le nostre conoscenze e il nostro conoscerci, le nostre capacità, le nostre consapevolezze. Tutte cose che una guida



non potrà mai dare. Quindi, prima di tutto, scuole e Maestri. Indispensabili. Poi con il testimone, come in una staffetta, si può andare… in libertà. I racconti sono tutto questo, ma parlano anche di noi. Di come trovare in tanta bellezza (quella fuori) la nostra, quella dentro. È là fuori che ci si misura, si paga, si cresce, si soffre, si sogna, si progetta, si diventa grandi, si cura il proprio stare nel mondo, con gli altri, in tanta bellezza, con la propria bellezza». L’IRONIA È UN ELEMENTO CHE FA CAPOLINO MOLTO SPESSO TRA LE PAGINE DI LA PIÙ GRANDE AVVENTURA È… CONOSCERE SE STESSI. O NO?

Le immagini di questo servizio sono state realizzate nei pressi del comprensorio sciistico di Colore, sul versante settentrionale della Presolana

«Ironia e auto-ironia. In Tracce su Bianco nel descrivere le mie attività prendevo in giro con i miei mestieri tutti quelli che si descrivono con la loro attività alpinistica. Come a dire che tutti noi che andiamo in montagna siamo altro rispetto a ciò che saliamo. Più che di loro, meglio sarebbe che parlassimo di noi. Della grande avventura della vita, delle montagne che sono dentro, difficili da affrontare se non sappiamo nulla di noi. Da dove veniamo innanzitutto e come viviamo. Soli non ce la faremo mai. La montagna pretende condivisione e lo scialpinismo per sua natura affratella. Il viaggio ci arricchirà». CHE RAPPORTO HAI CON LE VALANGHE E IL RISCHIO?

«Tra le tante tue domande, inevase in modo sintetico perché travolto (i) dall’entusiasmo per l’intervista, quella sul perché la psiche è lenta mi è tornata alla mente stamane e ti darò una risposta sintetica spero esauriente: dopo aver ragionato su di una questione si tratta di interiorizzarla e trasformare una sintesi in consapevolezza. Da qui dovremmo dar corso poi ai conseguenti comportamenti ma, come sai, tutto ciò non si fa con uno schiocco di dita... ci vuole tempo, ed il più delle volte molto tempo. In altre parole: a volte capire è abbastanza facile ma tradurlo nella pratica è sempre molto più complesso perché… perché la psiche è lenta, ha i suoi tempi e i suoi labirinti... te lo dovevo. Oscar». Whatsapp, 12 gennaio.

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Mario, spesso nominato nei racconti/itinerari di Oscar Beletti, è il suo secondo io, la sua coscienza o, come spesso si dice, l’inconscio.

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«Non ne ho mai viste staccarsi vicino a me. Dicono che i primi ad arrivare siano i sassi, ma quando li vedi è già troppo tardi per salvarsi. Il Tino mi ha insegnato come fare: bisogna imparare a schivarle. Quindi bisogna star lontano dai pericoli. Scegliere il terreno là dove è più facile e meno faticoso. Saper rinunciare. Tutto ciò sembra banale, ma non lo è. Agli esordi l’alpinismo lo si faceva così. La prima strada scelta era sempre la più facile e poco importava se fosse anche la più lunga. Conoscere era il verbo più usato. Io seguo questa regola tutt’ora e, con molta e molta fortuna (una delle doti più importanti, lo dice anche Messner) è così che continuo». QUAL È IL SENSO ULTIMO DI LA PIÙ GRANDE AVVENTURA… È CONOSCERE SE STESSI?

«La più grande avventura è una maniera per andare. La mia maniera. Voglio però credere che il libro, così come ho scritto nel retro della copertina, possa servire a tutti coloro che vorranno mettersi alla prova. L’ho scritto senza presunzioni, perché tutti possano trovare un’occasione per incontrarsi e far tesoro soprattutto di ciò che non sta scritto, di ciò che leggendo si scatenerà, di tutto ciò che ancora insieme potremo immaginare. Per il poi, vedremo». UNA MISSIONE NON FACILE, PERCHÉ LA PSICHE È LENTA  4,

LO SA ANCHE MARIO  5…

«Vero».


MY helMet MY choice

© Marc Daviet

VIVIAN BRUCHEZ // Partire presto, esplorare, seguire le tracce degli animali, vivere avventure, contemplare: questa è la montagna e la vita che amo. Perché decidere il percorso più semplice quando puoi scegliere il più bello. // #helmetup

METEOR

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O L D SC H O O L / C O M PAG N I D I GITA


ARNO, DOMENICO, FABRIZIO, FEDORA, STEFANO. MA ANCHE EZIO E PIER LUIGI. SETTE SCIALPINISTI, SEI UOMINI E UNA DONNA DA UNA GITA OGNI FINE SETTIMANA. CON ATTREZZI DA 85 AL CENTRO, SALAME AL POSTO DEI GEL, UN CURRICULUM DI TUTTO RISPETTO ANCHE QUANDO I GRADI SALGONO E TANTA VOGLIA DI DIVERTIRSI. PERCHÉ QUESTO È LO SPIRITO DELLO SCIALPINISMO DELLE ORIGINI Testo di Tatiana Bertera e Claudio Primavesi Foto di Achille Mauri e Daniele Molineris


«ON ICE? UNA GRANDE FAMIGLIA»


È il papà di uno dei forum legati alla montagna più famosi d’Italia, anzi, forse il più famoso. Perché tra la gente di montagna, alpinisti o pseudo tali, se tu dici On Ice tutti sanno di cosa stai parlando. E, in maniera quasi sorprendente, è sopravvissuto alle grandi evoluzioni dell’epoca digitale senza necessità di cambiare forma o di diventare esteticamente accattivante o cool. Perché quello che conta, per i frequentatori di questo forum dall’aspetto scarno ed essenziale, è il contenuto. Luogo virtuale per scambiarsi informazioni circa luoghi, ascese e condizioni, ma anche il collante che ha fatto nascere amicizie reali, tutt’altro che eteree, e che nel corso degli anni sono andate ben oltre lo sport. «C’è persino chi, grazie a On Ice, si è conosciuto e sposato» - Racconta Domonice (il suo nickname, che sta semplicemente per Domenico on ice). «Fenio, come puoi intuire, non è un cognome molto nordico. Sono calabrese e sono qui, al Nord, da quando ho 16 anni. Come tutti i ragazzi che vengono via dalla mia terra

sono arrivato alla ricerca di tutto e di nulla. Le uniche montagne che conoscevo erano quelle dell’Aspromonte. Arrivato in quel di Milano mi sono avvicinato al CAI e mi sono accorto che, secondo la logica di questa organizzazione, per fare cose interessanti in montagna dovevi fare corsi su corsi, diventare istruttore. Ma io, e altri miei amici, eravamo convinti che ci fosse anche un alpinismo per tutti, possibile senza corsi e patacche. Abbiamo iniziato ad andare da soli, a farci le nostre esperienze, a organizzarci le uscite in montagna, a sbagliare e a imparare. L’idea del forum nasce verso la fine degli anni novanta e doveva chiamarsi L’alpinismo possibile, proprio per il motivo

che ho appena spiegato. Poi per una serie di motivi si è chiamato On Ice e tale è rimasto». Domenico non può non parlare, nel suo racconto, di Lorenzo Conserva (nickname Lorenzorobico), webmaster del forum da 12 anni e carissimo amico e compagno di avventure. «Un tempo per conoscere le condizioni meteo e della neve in Svizzera, per esempio, dovevi telefonare! Gli amanti della montagna hanno subito capito l’importanza di un luogo dove scambiarsi informazioni ed esperienze, e così, senza nessun obbligo o forzatura, in maniera naturale e spontanea, il forum è cresciuto, acquisendo sempre più i connotati della grande famiglia. Negli anni ci sono stati numerosi raduni organizzati, occasioni di incontro per chi, magari, si conosceva solo virtualmente. Sono nate amicizie, amori, relazioni che ancora continuano. La montagna è stata il collante, ma On Ice ci ha messo lo zampino per far incontrare persone che forse mai si sarebbero conosciute». Ed è così che un calabrese - a volte la vita prende risvolti originali e poco scontati - ha dato vita a un forum di alpinismo e montagna che ha sfondato le barriere dei tempi e delle mode, diventando un punto di riferimento imprescindibile per chiunque ami la montagna e l’avventura.

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«Fabri rallenta». «Fatelo parlare, quello che sta là davanti, oppure mettetegli qualche sasso nello zaino, chissà che magari vada un po’ più piano». Voci che arrivano da dietro, dai compagni di avventure di sempre, che il Righetti lo conoscono bene e che lo prendono in giro. Scherzosamente, con simpatia, perché in fondo a loro piace proprio perché è così: sorridente, iperattivo, performante, non necessariamente competitivo ma con dentro lo spirito dell’atleta, di quello che la salita se la vuole mangiare, così come la discesa. E che ha fiato a sufficienza e gambe buone per farlo. «Mi dicono che scendo già dalla macchina con gli scarponi ai piedi… e forse hanno ragione. Non sono uno che si ferma a fare colazione al bar, a perdere tempo. Sono fatto così. Però sono anche il primo che, a fine gita e una volta tornati alle macchine, tira fuori una bottiglia di vino, il salame, il pane e comincia ad

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affettare per tutti». Anche se poi di quel salame e di quel pane - abbiamo avuto modo di constatarlo sciando un sabato insieme a lui - non ne mangia molto. Gli altri dicono che è uno attento, un pignolo, che ama allenarsi e tenersi in forma, e a guardarlo non si stenta certo a crederlo. Occhio di ghiaccio e capello brizzolato, classe 1964, il milanese Fabrizio Righetti è anche un coinvolgente oratore. Ama chiacchierare, lo si capisce fin dal primo istante, e salta con disinvoltura da un argomento all’altro, mostrando una poliedricità davvero invidiabile. È attento anche all’attrezzatura ma non fa la corsa ad avere il materiale più leggero. Dice di essere un affezionato di Ski Trab e oggi sta provando un nuovo tipo di attacchino. Zaino non troppo cool e abbastanza ridotto e borraccia portata sullo spallaccio, per bere in corsa. Leggero ma non a tutti i costi, lui definisce così il suo modo di andare in montagna e fare scialpinismo. Professione geologo e attualmente impiegato all’ENI, per lavoro ha avuto occasione di vedere luoghi interessanti e ricchi di fascino. Ma il suo cuore rimane qui, sulle montagne di casa e più in generale sull’arco alpino, dove ogni anno compie innumerevoli gite con gli sci ai piedi e non solo. Quando la neve viene a mancare, infatti, si cimenta anche in gare di trail running, per esempio ha partecipato alle ultime due edizioni di Orobie Ultra Trail, riuscendo a tagliare l’ambito traguardo di Città Alta a Bergamo. Inoltre la scorsa estate ha preso parte alla mitica Monterosa Skymarathon, una gara che non si ripeteva più dagli anni ’90 e che prevede di correre in coppia (e in cordata su ghiacciaio) da Alagna a Punta Dufour e ritorno con un compagno, proprio come nelle competizioni di scialpinismo. «Vado in montagna da quando avevo 15 anni. Allora per raggiungere Lecco, da Milano, mi toccava prendere il treno. Della gita mi piace un po’ tutto, a partire dall’organizzazione dell’uscita fino alla discesa, meglio se in polvere naturalmente. La vetta è importante ma non fondamentale. Amo moltissimo il gesto atletico e lo sforzo durante la salita. Anche l’allenamento, quello che si fa in settimana, è finalizzato ad avere la giusta preparazione atletica per affrontare nel migliore dei modi (e godersi) l’ascesa a qualche montagna nel fine settimana».


«MI DICONO CHE SCENDO GIÀ DALLA MACCHINA CON GLI SCARPONI AI PIEDI… E FORSE HANNO RAGIONE»


«QUANDO C’È IL GUSTO DELLA SCOPERTA, QUANDO C’È UN PO’ DI AVVENTURA, LA SODDISFAZIONE È TRIPLA»


Bergamasca di Alzano Lombardo, Fedora ha un nome che sembra venire dalle favole e qualcuno, nel forum in cui è davvero super conosciuta, crede sia il suo nickname. «Invece è proprio il mio nome. Fedora, come l’opera lirica di Umberto Giordano, che tanto piaceva a mia madre». Insieme a Valentino Cividini ha recentemente pubblicato la guida Scialpinismo nelle Orobie Meridionali. Ama le Orobie, che sono le montagne di casa e quelle su cui ha fatto le prime esperienze, ma non ripetere le stesse salite e ormai va alla ricerca, nei fine settimana, delle vette che non ha ancora raggiunto. È un’altra che in salita va forte e che lascia indietro anche i maschietti. Zaino della Camp abbastanza oversize, quando prende il ritmo non la ferma più nessuno. Silenziosa, di poche parole, si mette davanti e non disdegna di battere traccia. «Tracciare mi piace tantissimo. Essere la prima a disegnare, a lasciare il mio segno sulla via di salita, decidere e valutare dove salire è una cosa che mi soddisfa moltissimo. Per me la salita, se fatta in questo modo, vale quasi più della discesa». Insieme ad Arno sembra essere il membro del gruppo che ha fatto le salite (ma soprattutto le discese con gli sci ai piedi) più impegnative ed esposte. Quelle, per farla breve, in cui non ti è permesso sbagliare. Tra queste la Nord del Fletschhorn e quella della Pigne d’Arolla.

Sposata e con due figli, è sempre riuscita a coniugare famiglia e montagna (scialpinismo, alpinismo e arrampicata) in modo da non dover quasi mai rinunciare a nulla. «La fortuna ha voluto che mamma capisse la mia grande passione e che mi abbia sempre aiutata. Ad esempio, quando la prima delle mie figlie era piccolissima, la portavo spesso con me in montagna. Mia madre ci seguiva e, arrivate a un certo punto, per esempio a un rifugio dove potevano fermarsi, loro mi aspettavano al caldo mentre io facevo la mia gita. Anche mio marito ha le stesse passioni, quindi vediamo di alternarci, compatibilmente con gli impegni familiari. La cosa più bella ovviamente è quando abbiamo l’opportunità di andare insieme». E siccome non ama ripetere le stesse gite, è sempre alla ricerca di nuove uscite. «Uso il forum per capire dove è stata la gente e quindi, più o meno, per valutare le condizioni di una determinata zona. Una volta deciso dove andare, scarto la gita che è già stata pubblicata, perché probabilmente saranno molte le persone che il fine settimana successivo andranno a ripeterla, e scelgo una montagna poco distante, magari con la stessa esposizione. Fatto ciò, cerco la relazione e programmo la mia gita. Quando c’è il gusto della scoperta, quando c’è un po’ di avventura, la soddisfazione è tripla». Fedora racconta come, quando c’è il fuoco sacro della passione, nemmeno la sveglia alle quattro del mattino sia un sacrificio. Esplorazione, avventura, vette sempre nuove e mai fatte prima… che abbia scoperto l’elisir di lunga vita?

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Su On Ice è presente con il nickname di Furbo. Il nome deriva dal mondo dell’arrampicata e ogni riferimento o allusione… non è puramente casuale. Lo racconta ridendo. «Nella vita ho anche arrampicato e possedevo quell’aggeggio, che da me si chiama appunto furbo. E sai come è tra amici, soprattutto quando sei nell’ambiente della falesia, ci si prende in giro. Così quando mi sono registrato sul forum ho pensato che Furbo fosse un nickname perfetto». Stefano Gregoratto, ingegnere civile di Milano, classe 1971, sa ridere di se stesso ed è uno che Quelli bravi, i fenomeni, i mostri, sono gli altri, non certo io. A vederlo scendere però, saltellando sugli sci e disegnando curve strette anche su terreni ripidi o su neve difficile, ci si toglie il cappello. Anche se ad ascoltare lui ormai l’obiettivo principale, la

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motivazione più importante del suo andare in montagna ora è (oltre all’amore per la natura e l’ambiente delle vette) la compagnia. «Gli altri hanno una marcia in più e li posso seguire solo quando non sono al top della loro forma atletica» racconta ridendo mentre, a fine gita, addenta una fetta di salame con del pane che la compagnia ha portato per concludere la giornata. Quello della merenda post-gita è un grande classico. Non manca neanche il vino. «Pensa te che questo è il momento della gita che amo di più - continua a ridere - Preferisco la discesa alla salita, soprattutto se c’è la possibilità di fare tante, anzi tantissime curvette, strette e regolari, lasciare il mio segno sulla neve vergine». Ha cominciato a sciare e a frequentare la montagna fin da piccolissimo, dall’età di cinque anni ed è scialpinista da quando ne ha 25. Lo sci non deve essere ultratecnico o super leggero, deve essere quello con cui si trova bene. «Ultimamente prediligo i lunghi giri in bicicletta, percorsi intorno ai 200 chilometri che faccio insieme a Domenico». Dalla mattina alla sera, sulle due ruote come con gli sci, come per dire che lo sport e l’amicizia non hanno frontiere. Oltre allo scialpinismo pratica moltissima bicicletta da strada, arrampicata, escursionismo, vie ferrate, alpinismo, e qualche vertical: «Sono il mio ultimo giocattolo».

Two gite is megl che uan

Lorenzo, il capogita

Stefano, Arno, Domenico, Fedora e Fabrizio, cinque dei protagonisti di questo articolo, si conoscono e vanno spesso a fare gite in compagnia, anche se, tra lavoro e famiglia, non è facile trovarsi tutti insieme. Sono tutti dell’area lombarda, tra Milano e Bergamo, mentre Ezio e Pier Luigi sono due piemontesi doc delle Valli di Lanzo, e non conoscono gli altri cinque. Per questo, per realizzare il servizio, abbiamo organizzato due diverse gite, una nella zona di Cornetti, vicino al Pian della Mussa, e una al passo del Sempione.

Alla gita al Sempione avrebbe dovuto partecipare anche Lorenzo Conserva, aka Lorenzorobico, webmaster del portale On Ice ma soprattutto vera anima del gruppo e, fino all’ultimo, organizzatore della gita. Purtroppo però Lorenzo è stato colpito da un lutto in famiglia e i ritmi incalzanti che portano alla stampa della rivista non hanno consentito tempi di recupero. Lorenzo, quando facciamo la prossima gita insieme?


«LA MERENDA POST-GITA È IL MOMENTO CHE PREFERISCO»


«IN SALITA, COSÌ COME IN DISCESA, CERCO L’ESTETICA»


L’accento altoatesino si sente ancora, anche se si è trasferito e vive a Milano da ormai 25 anni. Nativo di Brunico, Arno è, come lui stesso si definisce, l’immigrato del nord. A casa fa ritorno spesso, una volta ogni due settimane circa, per visitare i parenti e per sciare insieme agli amici. «Appena trasferito a Milano ho utilizzato il forum di On Ice per conoscere gente che amasse, come me, la montagna e a cui aggregarmi il fine settimana. Fabrizio però lo conoscevo già… ci siamo incontrati per la prima volta, virtualmente, sul sito Camp to Camp». A questo punto Domenico, che sta ascoltando il racconto di Arno, non si trattiene più e interviene nel discorso. «Sono stato contattato da questo tal Arno, su On Ice, che mi chiedeva se poteva unirsi a qualche nostra gita sugli sci, perché si era appena trasferito ed era solo. (Ride) Pensa che quando mi ha chiamato gli ho chiesto se sapeva sciare bene». Arno non scia bene, Arno scia benissimo e con una disinvoltura che pare nato davvero con gli sci attaccati ai piedi. Nel gruppo lo chiamano il cannibale, soprannome che la dice lunga e non necessita di ulteriori spiegazioni. Un altro che aggredisce la discesa, insomma. Mentre Domenico racconta in maniera animata, Arno sorride e tende a minimizzare. Di tanto in tanto tira fuori dalla tasca della giacca la sua macchinetta fotografica compatta e scatta qualche foto. Quando e finché c’è neve, Arno ha gli sci ai piedi. Le gite fatte, le vette raggiunte, sono talmente tante che ricordarsele tutte sarebbe impossibile, ma alcune gli sono rimaste nel cuore: in primis la parete nord del Fletschhorn, che ha sceso insieme a Fedora, altro membro importante del gruppo e super conosciuta nel forum per le sue relazioni puntuali e precise. Poi la Nord-Est dello Stecknadelhorn, il canale di Lourousa nelle Alpi Marittime, il couloir de Barre Noire. Non mancano neppure esperienze impegnative, di più giorni, delle vere e proprie piccole spedizioni, come lo scialpinismo estivo sulla punta Dufour e al Lyskamm in tenda, ad agosto, a quota 4.200 metri.

COSA CONTA DI PIÙ PER TE DURANTE UN’ASCESA?

«L’estetica. L’estetica è importantissima. Amo tracciare in salita e fare le classiche tracce da guida, non troppo ripide, precise e regolari, geometriche. Lo stesso vale per la discesa: una volta arrivato alla base della parete, mi piace girarmi e vedere una serpentina regolare, fatta di curve sinuose e tutte uguali. E poi, altra cosa fondamentale, da noi in Alto Adige esiste un’etica: non si invade o non si va a rovinare la serpentina altrui; ognuno, in discesa, segue una sua linea immaginaria su neve vergine. Poi mi piace anche ricercare vie di salita e discesa che non sono quelle scontate e tradizionali». Arno non va alla ricerca del materiale più leggero. «I miei sci ideali sono quelli con cui ho sempre sciato. Se mi trovo bene, perché cambiare? Per me il peso non è un problema». Lo dice sorridendo mentre, nel tempo delle barrette e dei gel per lo sport, tira fuori dalla tasca interna della giacca un sacchetto trasparente con due fette di pane e un po’ di speck tagliato al coltello.

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«Un tempo a Lanzo, 500 metri di quota, nevicava a inizio stagione e quei 20, 30 centimetri rimanevano per tre mesi, ora fa al massimo una spruzzata che si scioglie subito». Pier Luigi Mussa, classe 1956, vive da sempre a Lanzo, anche quando faceva il pendolare tutti i giorni per lavorare a Torino, in un’azienda del mondo delle telecomunicazioni. E in montagna ci va da fine anni ‘70. «La quota neve è salita di almeno 500 metri, ma non è l’unico effetto del cambiamento del clima: l’estate una volta finiva con i primi temporali dopo Ferragosto, oggi va avanti anche fino a ottobre e poi pioveva quasi tutti i pomeriggi, ora molto meno, ma quando arriva il temporale fa danni». Tutte osservazioni frutto di tanti giorni passati sulle sue montagne e di una passione per la meteorologia. Una delle tante, perché Pier Luigi non ama annoiarsi e anche lo scialpinismo era all’inizio solo uno dei tanti hobby. Più un modo per mantenersi in allenamento che una vera e propria passione. «Per un po’ di anni ho fatto un po’ di tutto: deltaplano, tanta montagna e alpinismo, bici e mountain bike, sci di pista e snowboard. Lo scialpinismo era un altro modo per andare in montagna anche in inverno, le prime uscite le ho fatte con gli scarponi da pista nello zaino e gli sci normali, poi ho comprato la prima attrezzatura vera da scialpinismo». Poi smette di fare deltaplano e quel modo di andare in montagna in inverno diventa davvero una passione. «Ho anche fatto parte del Soccorso Alpino e ho partecipato a tanti interventi, soprattutto per escursionisti e fungaioli che si erano persi». In anni di escursioni Pier Luigi non si è mai

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trovato a tu per tu con la valanga. «Ripensandoci, qualche rischio l’ho corso, ma soprattutto da giovane, poi ho cominciato a studiare la neve e con la conoscenza e con l’esperienza ho adottato un atteggiamento conservativo, la montagna è talmente grande per scegliere i posti più sicuri, se li conosci, e poi è importante soprattutto sapere uscire con le condizioni giuste». Ed ecco che si arriva al consumismo, quella voglia di macinare, di consumare metri e metri, di salire solo sulle vette più iconiche e vendibili sui social, di cambiare sempre meta e vallata. Mentre lo scialpinismo è tanto bello per quel senso di attesa, di profonda conoscenza dei luoghi, di studio e preparazione della gita giusta e nel posto giusto. E anche per la rinuncia. O per la ripetizione. «Incontro sempre più spesso scialpinisti che sono in valle per la prima volta e poi scappano via alla ricerca di altri posti oppure che vanno al Ciarm del Prete in pieno inverno perché lì bisogna esserci stati prima possibile e poi postano relazioni su una brutta sciata, ma le gite vanno fatte nel periodo giusto. Oggi se non scii oltre una certa quota o fai solo mille metri di dislivello non va bene». Posti giusti nei momenti giusti, e allora dove? «Per esempio nel vallone degli Ortetti che è proprio qui sopra: io amo soprattutto itinerari molto vari, dove il terreno è aspro e cambia continuamente e spesso sono posti che in estate sono più difficili da raggiungere, perché la montagna in inverno si trasforma. E poi se sei uno scialpinista, come dice la parola stessa, passi quasi dappertutto». Magari però dove non sono passate le orde da social…


«GLI ULTIMI SCI LI HO DA NOVE ANNI, QUANDO VANNO BENE LI TENGO PER UN PO’. LE GITE? SE UNA È BELLA E IN OTTIME CONDIZIONI LA FACCIO ANCHE PER TRE GIORNI CONSECUTIVI E NON DEVE PER FORZA AVERE PIÙ DI 1.500 METRI DI DISLIVELLO, NON SONO UN CONSUMISTA»


«QUESTE MONTAGNE SONO TANTO ASPRE E SCOSCESE CHE QUEL SCIVOLARE VIA LEGGERI SOPRA UNA SUPERFICE COSÌ RUDE È UN PO’ COME RIUSCIRE A PASSARE ELEGANTEMENTE SU TUTTE LE DIFFICOLTÀ DELLA VITA»


«La prima gita scialpinistica documentata di Adolfo Kind è stata proprio qui in valle, a fine dicembre 1896 e anche la prima ascensione di alpinismo invernale del CAI, il 24 dicembre del 1874 all’Uja di Mondrone» mi dice Ezio Sesia, classe 1955, mentre guida verso Cornetti, nell’alta valle di Ala, la centrale delle tre Valli di Lanzo. Non è facile trovare qualche fazzoletto di neve dopo settimane di alta pressione e vento e anche oggi il cielo è blu intenso e solo le vette delle montagne e i valloni in ombra conservano un po’ di oro bianco. E per parlare di scialpinismo vogliamo andare in ambiente, se poi riusciremo anche a fare una breve pellata, meglio. «Lo faccio per voi, dopo anni di gite e ora che ho il tempo a disposizione esco solo se ci sono le condizioni per divertirmi, se ne vale la pena». E di uscite con le pelli Ezio ne ha fatte tante visto che, insieme a Pier Luigi Mussa, nostro compagno di gita, ha scritto per i tipi di Mulatero editore Scialpinismo nelle Valli di Lanzo. Originario della valle, di Mezzenile, Ezio ha vissuto 45 anni a Torino, dove faceva il bancario, per poi ritornare in valle quando ha ottenuto il trasferimento lavorativo in zona. «Per me il primo gennaio del 2000 non è stato solo il passaggio del secolo, ma l’inizio di una nuova vita» scherza ricordando quella decisione. In montagna, con o senza sci, Ezio ci è sempre andato.

«In quegli anni tutti i bambini mettevano un paio di sci, si sciava nei prati, scalinando per salire». Ma lo scialpinismo è arrivato in un altro modo e quello spirito delle origini è rimasto dentro Ezio. «Era il 1973, avevo 18 anni e con una compagnia di amici con i quali ci ritrovavamo durante le vacanze estive decidemmo di salire per andare a vedere come erano con la neve quei posti tanto belli in estate, naturalmente con gli sci in spalla per tutta la salita». Fu amore a prima vista, però solo per Ezio. «Ancora oggi ci frequentiamo e qualcuno mi dice che vuole iniziare, ma non so se mai lo faranno». Questo non vuol dire che Ezio in montagna ci vada da solo. «Qualche volta sì, se la neve non è il massimo faccio anche fondo escursionistico, ma l’anno scorso sono caduto stupidamente, praticamente da fermo, e mi sono rotto la spalla: comunque mando sempre un sms a un’amica dicendo dove vado e poi al rientro». Spesso il compagno di gita è Pier Luigi, come oggi, ma in valle anche altri condividono la passione. «Ci siamo conosciuti a un torneo estivo di pallone e, ritrovandoci dopo alcuni anni, abbiamo iniziato a fare scialpinismo insieme». La valle non è il confine dei sogni di Ezio: «Se si organizza una macchinata con gli amici, andiamo anche altrove, ma la maggior parte delle volte rimaniamo nelle Valli di Lanzo, dove dopo anni comunque riusciamo ancora a trovare alcune varianti o addirittura qualche gita nuova». Ripetere gli stessi itinerari non a tutti piace, non è sempre così per Ezio. «Ce ne sono talmente tanti che non capita spesso, ma alcuni grandi classici vale la pena di rifarli, io vi consiglio sicuramente la Punta Rossa di Sea, un bell’itinerario in ambiente aperto; quando ci sono le condizioni merita davvero». Appunto, quando ci sono le condizioni, e per ora non ci sono, così, dopo qualche fotografia, torniamo all’auto e togliamo gli scarponi. «Segnatevi questa data: 24 febbraio, quel giorno nevicherà perché Ezio va a fare la settimana bianca in Val Venosta e quando esce dalla valle arriva sempre la neve» dice sorridendo Pier Luigi.

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O L D SC H O O L / T E C N I C A


COSA SUCCEDE QUANDO UN ISTRUTTORE NAZIONALE, NELL’EPOCA DI JÉRÉMIE HEITZ E DEI DRITTONI, PROVA A FARE UNA SERPENTINA CON DEI VECCHI GRISSINI DA 207 CENTIMETRI? Testo di Alberto Casaro Foto di Filippo Menardi

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uando penso alla serpentina, la prima immagine che mi viene in mente è quella della lavatrice nella pubblicità della Calfort degli anni ’80, una serie sinuosa di curve strette unite da un elegante diagonale; la stessa diagonale che permetteva a sciatori leggendari come Doug Coombs, Dean Cummings o Jean-Marc Boivin di ricalibrare i movimenti tra una curva e l’altra durante una ripida discesa. La serpentina è sempre stata una curva chiave nella tecnica dello sci, a prescindere dal materiale usato dagli anni ’70 a oggi. Certo, con l’evoluzione degli sci anch’essa ha subito una costante mutazione diventando sempre più condotta e scorrevole, adottando diverse sfumature in base appunto alla tipologia di sci usato e ovviamente ai tipi di neve e alla pendenza. Prima della rivoluzione dei fat ski e dei carving, lo sci era tutta un’altra storia, le aste che andavano dai due metri fino ai due e dieci non permettevano fluide planate in neve profonda, e nemmeno una gestione slideata della curva verso la massima pendenza, per perdere quota in neve crostosa o difficile. I casi erano due: o si eseguiva una curva saltata (sci ripido e neve dura) o una serpentina. Questo tipo di curva permetteva il massimo della fluidità possibile per scendere un pendio controllando la velocità in nevi la cui profondità non consentiva agli sci senza sciancratura di curvare rapidamente e tornare sotto il baricentro dello sciatore semplicemente ruotando i piedi. Per dare un’idea io prenderei: Doug Coombs in Alaska, dove effettuava serpentine dalla lunghezza eterna; Jean-Marc Boivin in una qualsiasi discesa di ripido e il grande Steve McKinney, che faceva dei veri propri drittoni giù per le Palisades a Squaw Valley con ai piedi gli sci da chilometro lanciato! Per vedere curve lunghe più fluide avremmo dovuto aspettare gli anni ’90, con Kent Kreitler e Shane McConckey, rivoluzionati poi dallo snowboard e dalla leggendaria discesa in tre curve di Jeremy Nobis.



WE T E ST ON HU M ANS Dopo avere pensato a tutti gli scenari passati è venuto il momento di tirare le somme; perché fare un articolo sulla serpentina nell’epoca dei drittoni e di film come La Liste, dove ognuno cerca la planata e la velocità più alta? Perché da sempre questa accomuna gli sciatori di ogni tipo. A seconda delle situazioni è la curva che viene eseguita sia dai freerider più veloci, sia dagli scialpinisti classici. Quindi che fare? Ci siamo armati di sci di 207 centimetri di lunghezza, oltre ai materiali soliti, e abbiamo sciato in condizioni variabili, cercando similitudini tra passato e presente e soprattutto di evidenziare le differenze nell’utilizzo di aste diverse. Tecnicamente lo sciatore ha a disposizione quattro movimenti fondamentali: alto-basso, inclinazione, antero-posteriore e rotazione. Questi movimenti si sono adattati nel tempo ai materiali, più sciancrati, più larghi e pre-deformati (rocker), riducendo via via l’alto basso, o meglio utilizzandolo come regolatore per ricercare il contatto col terreno; e rendendo le inclinazioni sempre più preponderanti ed accentuate, grazie al vincolo molto solido creato dai nuovi sci. Ma cosa accade quando sotto ai piedi mettiamo qualcosa di lungo, stretto e totalmente dritto, sci che solo dall’aspetto ti fanno capire che forse non è il caso di maledire gli snowboarder. ANCHE A M ONT E , BU STO A VA LLE Appena saliti in funivia mi accorgo degli sguardi della gente, il mio abbigliamento all’avanguardia dello stile e della tecnica stona totalmente rispetto agli sci che mi porto dietro: sono quasi mezzo metro più alti di tutto e continuo a sbatterli contro gli stipiti delle

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porte, ma il bello deve ancora venire… Calzo gli sci e l’effetto visivo è perfino più incredibile, sono la metà della pianta degli scarponi! Faccio le prime curve in pista, su neve dura coperta da dieci centimetri di polvere. Fino a qui tutto bene. Prime curve strette: accentuo leggermente i movimenti verticali e mi ricordo di non inclinarmi troppo, giro i piedi e gradualizzo il movimento, una meraviglia! Gli sci girano e sono veramente agili, tant’è che la mia arroganza mi spinge a prendere velocità per allungare le curve; inizio a inclinarmi e gli stecchini vanno per la tangente, quasi cado e metto la mano in terra, benissimo. Ritorno a curvare stretto e riprendo gradualmente ad aumentare la velocità, cerco la fluidità, anche a monte fino all’ultimo e con il busto bene verso valle. Eccola la serpentina! È veramente una soddisfazione e la sensazione non è niente male, sento la stabilità e chiudo bene le curve. Quindi qualche adattamento e in pista ci siamo, le curve lunghe le faremo un’altra volta, ora è il momento di uscire dal seminato… L’inverno per ora non ci ha dato granché, ma in alto qualche nevicata l’ha fatta e quindi usciamo fuoripista e vediamo com’è la situazione. Il manto è un mix di cartone, crosta e fondo inconsistente, insomma una meraviglia. Nelle prime curve è duro, azzardo due curve saltate su discreta pendenza e, a parte la lunghezza, gli sci sono solidissimi e mi danno sicurezza; due curve dopo la neve sfonda e fare girare le aste

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diventa un altro paio di maniche, devo quasi fermarmi tra una curva e l’altra per fare ritornare l’esterno sotto di me. I movimenti verticali diventano basilari per creare l’alleggerimento necessario a impostare la virata: niente slashate, niente scrub, qui il capitano va giù con la nave. Come primo giorno poteva anche andare, ma avevo bisogno di sciare ancora un po’ per trarre delle conclusioni, magari con condizioni più morbide e divertenti. Però nulla sarebbe cambiato in termini di neve nelle settimane successive, quindi sotto a chi tocca e via con la seconda parte dell’esperimento. Dopo avere scelto un bel pendio con fondo incerto, coperto da venti centimetri di neve nuova ventata, decidiamo per un approccio scientifico: prima una serie di curve con un 177 centimetri, 96 millimetri sotto il piede e poi con il famigerato 207. Non sapendo a cosa andare incontro parto cauto: curve profonde controllando la velocità per minimizzare i danni in caso di squali, cercando la leggerezza e la perdita di quota, dosando la pressione e la presa di spigolo. Questi sci li conosco bene, galleggiano e girano molto facilmente, non devo preoccuparmi di nulla se non rimanere centrale e inclinarmi il giusto. La neve non è male, portante il fondo, polveroso lo strato superiore; è il momento dei 207. Anche se so cosa mi aspetta in termini di neve, non mi fido e mi muovo con cautela: accentuo i movimenti verticali per impostare la curva e mi abbasso molto in piegamento per assorbire il carico che imprimo allo sci nella seconda parte. Fluidità e morbidezza, non ho un grande feeling, ma neppure pessimo, senza dubbio non sono a mio agio. Quando riguardiamo le sequenze l’effetto è sorprendente: due serpentine quasi uguali! Incredibile come sensazioni cosi contrastanti abbiano però prodotto lo stesso risultato. TAK E HOM E M E SSAGE Evidentemente quando non è possibile cavarsela mollando a tutta verso valle ed è quindi necessario controllare la velocità, la serpentina è davvero l’unica via. Gli sci nuovi ci fanno risparmiare molte energie rispetto agli sciatori del passato, ci fanno andare veloci: però quando è crosta o è ventata, quando non vediamo dove andare e sciamo sulle uova, o semplicemente quando vogliamo far durare più tempo la discesa dopo una salita dura, senza nemmeno accorgercene, sapete che curva faremo? Serpentina for a livin’!

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onsumare fa parte della quotidianità dell’essere umano. Alpinisti e sciatori, in quanto esseri umani, sono dei consumatori seriali di qualsiasi dimensione appartenente alla montagna: pareti di ghiaccio, roccia, neve, creste affilate, goulotte, cascate. Tutto, o quasi tutto, è già stato percorso nelle Alpi. Un occhio attento però riesce a scovare ancora qualcosa di vergine. Qualcosa sicuramente scomodo, incerto e lontano dai sentieri più battuti. Il Vallese è il mio posto preferito per sciare in tarda primavera. La lunghezza degli avvicinamenti e l’isolamento, su questi colossi dove ti devi guadagnare metro dopo metro, costano tanta fatica, ma sanno regalarti emozioni uniche. Il mio concetto di big mountain skiing è qui, tra queste montagne, su queste pareti e non di certo come intendono oltre Oceano su colline piatte con qualche cliff e un metro di neve fresca. L’idea di sciare il Täschhorn ha incominciato a frullarmi in testa durante un tentativo fallito alla Est del Weisshorn (4.506 m) a fine maggio 2014, accompagnato da Pietro Marzorati e Pablo Pianta quando, dopo essere saliti in cima al Brunegghorn (3.833 m), mi sono imbattuto nella maestosità delle cime che avevamo di fronte e che formano il famoso massiccio dei Mischabel. Tornato a casa mi sono subito messo a cercare informazioni su questa montagna, ma oltre a un paio di timide discese negli anni 2000 dalla Kinface, non ho trovato nulla, nemmeno consultando vari siti francesi e tedeschi. La Kinface è una proboscide glaciale composta da pendii e seracchi che va a morire in un ghiacciaio molto tormentato e con due imponenti seraccate in successione. Le difficoltà tecniche di questo versante sono medio basse, ma proprio a causa dei ghiacciai tormentati in pochi si avventurano qui. Un altro motivo è di sicuro l’isolamento: non c’è nessun bivacco né punto di appoggio lungo i 3.000 metri di dislivello che bisogna affrontare per raggiungere la cima del Täschhorn. La Kinhütte, a quota 2.500 metri, è un rifugio privato e viene aperto solo nel periodo estivo, come appoggio agli escursionisti che percorrono il famoso sentiero dell’Europaweg. Tutte queste problematiche, unite al dislivello, alla quota e alle condizioni della neve DIARIO DELLA PRIMA dovute all’esposizione a Nord-Ovest, rendono questo versante mitologico e DISCESA CONOSCIUTA molto poco frequentato. DELLA DIRETTA Durante le mie lunghe ricerche mi ero imbattuto in una foto su Wikipedia NORD-OVEST che mostrava in pieno la verticalità DEL TÄSCHHORN, della montagna e in particolar modo il UNO DEI 4.000 PIÙ versante Nord-Ovest che precipitava a destra della classica Kinface. Una ISOLATI DEL VALLESE parete enorme, sovrastata da seracchi e con un’uscita mille metri più in basso Testo e foto attraverso delle cenge rocciose con un’altezza di diverse decine di metri. di Davide Terraneo Osservando quella foto ho iniziato a skiplace.it fantasticare, tracciando una linea diretta dalla cima che percorresse tutta la parete a destra della Kinface, fino al sottostante ghiacciaio. Follia pura pensare di poter sciare una parete del genere abitando a 400 chilometri di distanza… Per riuscire in questi progetti è fondamentale poter monitorare le condizioni giornalmente, soprattutto

Camminando nei boschi sopra Täsch, in direzione dell’Europaweg, e guadando un torrente senza il ponte estivo (sopra). I ripidi pendii nei pressi del luogo del bivacco notturno, a quota 2.800 metri (sotto)


Cristian Botta supera, senza aggirarla, la prima fascia di seracchi nel Kingletscher; alba sul Kingletscher, sullo sfondo il Cervino; un ripido passaggio risalendo dalla Kinface (dall’alto in senso orario)

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su un pendio cosi dove, a 3.500 metri, rischi di trovare solo roccia e mille metri più in alto neve che non copre bene la base glaciale. Ecco perché ho subito accantonato la foto nel pc e il relativo progetto per diversi anni. Nel 2016, durante un’uscita autunnale insieme a Mattia Varchetti, ho conosciuto Riccardo Vairetti, forte scialpinista ossolano. Girovagando in canali alla ricerca di neve sotto i quasi 4.000 metri del Fletschhorn, ci siamo ritrovati a parlare del Täschhorn e della Kinface, la classica della montagna. Anche Riccardo era interessato a quella discesa, ma il progetto morì qualche mese dopo a causa delle scarse precipitazioni primaverili di quell’anno, inadatte a coprire i ghiacciai della parte bassa e la pala superiore. Nell’inverno 2018 le valli svizzere intorno a Zermatt e Saas-Fee sono state sommerse da enormi quantità di neve. Strade invase da valanghe e paesi isolati per diversi giorni. Subito la mia mente è andata a quel colosso e ho pensato che la neve caduta avrebbe potuto coprire in maniera sensata i ghiacciai tormentati sotto alla Kinface, rendendoli più agibili e sciabili. Dopo una primavera ricca di discese, il mese di giugno è iniziato con un doloroso but (slang francese che significa ritirata) su una nota parete Nord delle Alpi Centrali insieme a Cristian Botta e Pietro Marzorati. Non avevo assolutamente voglia di far finire così una stagione ricca di importanti discese. Mattia e Andrea erano off-limits per impegni e mi sono ritrovato ancora con Cristian per sparare quello che avrebbe potuto essere l’ultimo colpo della stagione. Anche a lui piaceva l’idea del Täschhorn ed essendo appena stato sciato sulla classica Kinface da un gruppo di local, eravamo abbastanza fiduciosi sulle condizioni. Volevamo andare su qualcosa di sicuro dopo la mazzata presa. La sera prima della partenza, facendo lo zaino, mi ritorna in mente quella foto salvata nel pc che ritrae la diretta Nord-Ovest. Il mio sesto senso mi dice di prendere su qualcosa in più


(cordini d’abbandono e chiodi da roccia) che nella classica Kinface non servirebbero a niente. Non faccio parola con Cristian della mia idea fino a quando arriviamo a Täsch e ci appare in maniera arrogante il Täschhorn, bianco come non mai. Le particolari condizioni climatiche di inizio giugno hanno fatto crollare tutte le pareti Nord-Est delle Alpi, mentre le Nord-Ovest sono incredibilmente stuccate di neve. Quella a destra della Kinface è tutta bianca, regolare ed è enorme. Non si vede purtroppo l’uscita in basso, sopra le cenge, e propongo a Cristian di tentare questa discesa diretta. Tuttavia ciò che può sembrare bianco da lontano non è detto che lo sia anche da vicino. Quindi senza troppe menate ci carichiamo gli zaini in spalla e partiamo con l’obiettivo di trovare un posto in cui passare la notte nei nostri sacchi a pelo e l’indomani pensare al da farsi. Sotto la Kinhütte un ponte non ancora posizionato sul fiume (rimosso in inverno per non essere spazzato via dalle valanghe) ci fa ravanare per traversare il torrente in piena e, una volta raggiunto il rifugio, constatiamo che è troppo spostato a sinistra per essere un posto comodo dove dormire. Saliamo quindi a quota 2.800 metri circa dove intuiamo esserci un piano o qualcosa di simile per sistemarci durante la notte. Verso sera veniamo raggiunti da altri tre sciatori diretti alla Kinface, ma non riveliamo le nostre intenzioni, un po’ per scaramanzia, un po’ perché non abbiamo idea veramente di cosa fare.

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TÄS CHHORN ( 4.4 9 1 M E TR I) DI R ET TA NORD-OVEST 1.000 m, 45°-50°, E4, una doppia di 5 metri alla base della parete. Prima discesa in sci conosciuta il 16 giugno 2018, ad opera di Davide Gerry Terraneo e Cristian Cribot Botta.

Sappiamo inoltre che in nottata arriveranno Diego Fiorito e Paolo Piumatti che tenteranno la one-push. Di comune accordo scegliamo di salire lungo la Kinface versione estiva e non invernale, guardare la diretta e, se ci sembra tutto ok, scendere en boucle, ovvero a vista dall’alto. Verso le 3.40 partiamo nel buio più totale, illuminati solo dalla luce delle nostre frontali, vagando tra seracchi e crepacci poco rassicuranti. Dopo tre ore di marcia, finalmente compare davanti a noi il nostro obiettivo e capiamo che nella parte bassa, rimasta nascosta fino ad ora, abbiamo la possibilità di uscire dalla parete. Alle 12 calziamo gli sci in cima e affrontiamo il primo pezzo di discesa in comune con la Kinface, prima di buttarci nell’abisso della diretta Nord-Ovest. Appena passiamo sotto ai seracchi, la musica cambia: neve dura come cemento e ancora gelata. Curviamo con attenzione e ottima tecnica per oltre 700 metri prima di trovare il punto di passaggio tra le barre rocciose in fondo alla parete. Una doppietta di cinque metri ci deposita sopra l’ultimo pendio prima della terminale. Passata la terminale non è finita, ci aspetta ancora un ghiacciaio totalmente inesplorato per raggiungere il posto in cui avevamo bivaccato e una lunga discesa per morene e prati senza sentiero per tornare nella civiltà, contenti di aver sciato una nuova parete glaciale su uno dei 4.000 metri più selvaggi dell’interno arco alpino.


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O L D SC H O O L / PE O PLE

CLASSE 1967, FABIO IACCHINI ERA SCIATORE ESTREMO, FREERIDER, SKYRUNNER E ALPINISTA FAST&LIGHT QUANDO ANCORA QUESTE DEFINIZIONI ERANO IN INCUBAZIONE Testo di Andrea Bormida Foto di Paolo Sartori



ennaio 2019, ore 7.30, termometro ben sotto allo zero. Anche questa volta ho peccato di troppa fiducia verso la capacità della riserva, così mi ritrovo ad avvicinare sconosciuti a Piedimulera per chiedere dove posso trovare un benzinaio aperto. I pochi con cui sono riuscito a comunicare abbassando il finestrino si sono dimostrati tutti molto disponibili e concordi nell’indicarmi la stessa direzione: «dopo il ponte, a destra, sempre dritto!». Nessun giro di parole inutile, gente di montagna. Al benzinaio, dove arrivo evitando gli ultimi singhiozzi del motore, il cassiere si stupisce un po’ nel vedermi vestito da sci vista la siccità di questo inizio inverno e l’assoluta mancanza di materia prima sul landscape circostante. Macugnaga? Mi domanda diretto. Alla mia risposta affermativa, scuote il capo in senso di approvazione e in modo molto consapevole: la cosa mi rincuora. Un po’ di neve ci sarà se il benzinaio che sembra saperne non si è troppo stupito. Rimonto sul mezzo. In realtà sono solo io a riferirmi al mio furgoncino con il termine mezzo. Dopotutto non è una macchina normale, ma una in cui riesci a dormirci dentro agile, che supera sterrati e fa a sportellate con i guard rail per risvegliarti quando magari decidi di assopirti un secondo alla guida. È un mezzo, innegabile! Da Piedimulera la strada inizia a salire decisa, tortuosa. Ed è dopo un non ben precisato numero di svolte che appare Lei, la parete Est del Monte Rosa. Enorme, occupa tutto l’orizzonte e la visuale concessa dagli scoscesi pendii ai lati della strada. L’ultima volta che sono stato da queste parti, la strada l’ho percorsa in senso contrario, a bordo di un bus di linea dove occupavamo le ultime sedute ed avevamo un certo agio di posti liberi intorno, probabilmente garantito da quell’odore di libertà che le lunghe giornate in montagna ti appiccicano addosso. Su quella parete ci eravamo appena stati con gli sci, canalone Marinelli en boucle da Gressoney. Era la primavera di qualche anno fa. Vederla così, risalendo la valle, è stato diverso. Una sensazione grandi paesaggi che ti aspetteresti di trovare magari alla vista di vallate d’oltreoceano e invece ecco che appena sopra Piedimulera… sbam! La Est, nel sole! Cercando un po’ in giro, credo di essermi ritrovato nella descrizione che il grande scrittore e regista italiano Mario Soldati aveva dato di questa parete: «Immane, alto fino a metà del cielo, ecco il massiccio del Rosa, con i suoi bianchissimi ghiacciai e le sue pareti di roccia nera. Non diverso è lo spettacolo dell’Himalaya. Lo guardiamo tra le lacrime. Che cosa c’è di più bello su questa terra? Il monte Rosa visto da Macugnaga è eroico». Eroico è il termine perfetto per descriverla: tre chilometri di larghezza, duemilacinquecento metri di altezza. Ghiacciai, seracchi che ne movimentano la continuità, a sinistra il profilo sinuoso della cresta

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Signal, a destra, meno vistosa, la Santa Caterina. Pochi scorci alle nostre latitudini sono paragonabili a quello che il Monte Rosa offre sul suo versante Est. Il Bianco da Courmayeur forse. Però la Est del Rosa ha qualcosa di diverso. Una bastionata che sa di classico, più in disparte rispetto alla cima principale delle Alpi. Meno ostentata nella sua grandiosità, eppure imponente. Più old school: una muraglia mitica dove occorre avere un gran fiato, una gran gamba, essere veloci per muoversi su terreni per lo più classici per migliaia di metri. Ai piedi di cotanta bellezza, in cima alla Valle Anzasca, Macugnaga: seicento anime che hanno deciso di vivere a 1.300 metri sotto la Est. Seicento anime di origini Walser che si tramandano miti e leggende spesso connessi alla grande montagna. Tra gli aneddoti più curiosi ricordo quello dei cosiddetti Gotwiarghini, in lingua walser buoni lavoratori. Sono baldanzosi gnomi alti circa due spanne. Quello che li rende speciali (oltre a essere gnomi, ben inteso) sono i piedi curiosamente palmati: non calzano scarpe, sono grandi camminatori, rapidissimi sui terreni scoscesi e i boschi della valle. Chi li ha incontrati giura che sul capo portino un inconfondibile cappello azzurro appuntito cosparso di campanelline, una per ogni anno d’età, e sono pure vecchissimi. A volte nei boschi capita di sentire uno strano tintinnio. Agili, veloci, operosi, ingegnosi, trafficoni e molto ricchi, hanno da sempre aiutato le popolazioni degli alti pascoli, insegnando mestieri e ricompensando chi stava ai loro scherzi. Mentre alla guida mi perdo nel ricordare queste leggende, quasi non mi accorgo che arrivo in questo posto magico e un po’ fuori dal tempo di Macugnaga, rallento e lo supero. Poca gente in giro. Proseguo fin dove la strada termina, a Pecetto, alla partenza del piccolo impianto del Belvedere. Ho appuntamento con Fabio. Sono qui per conoscere un vero local di questi posti. Uno che un po’ di questa leggenda e del carattere della sua terra se li porta a spasso per le montagne e con gli sci! Il Marinelli a 18 anni nel 1985, il Canalone della Solitudine 21 anni dopo, nel 2006. Fabio Iacchini arriva a tutto gas sul piazzale semideserto mentre sto fotografando le cime intorno illuminate da un sole ora più pallido. Non troppo alto di statura, capelli rasta, sguardo vispo, movenze agili, una stretta di mano e la voce che avevo sentito al telefono prende volto. Decidiamo che, visto che dobbiamo chiacchierare, tanto vale farlo nei suoi posti, una piccola salita con le pelli oltre il Belvedere verso la morena del Piccolo Fillar. Mi sono appena infilato uno scarpone che Yak è già pronto, eppure avrei giurato che un secondo prima era ancora in borghese. Primo tratto in funivia dove il sole lascia il posto a uno spesso velo che uniforma la luce e i profili del terreno. Si alza una bella arietta: caffè al bar e poi iniziamo a risalire una neve inox 18/10.


Chiacchieriamo, al grip delle pelli preferisco dopo poco quello dei coltelli mentre Fabio schizza su pattinando come un gatto. Presto lo recupero, ma il fiato per fargli delle domande è venuto decisamente meno. È rapidissimo: nella mia mente offuscata questa parola stamattina era già transitata, ma non riesco a connettere ora. Eppure… Il terreno spiana di nuovo, l’ipossia si allontana e torniamo a ciarlare: se gli spezzo il fiato con le parole magari mi salvo. YAK, INIZIAMO COME SI FACEVANO LE INTERVISTE UNA

anche lui ha partecipato per anni a gare di sci alpino. Insomma, in famiglia la montagna è sempre stata di casa: per il mestiere di mio papà ho sempre visto in giro moschettoni, corde, chiodi, scalette. Ho iniziato a fare sport sugli sci, poi sono arrivate le scarpette e la roccia e devo dire che quasi mi piaceva più scalare. In quegli anni uno vedeva Berhault ed Edlinger e provava a fare le stesse cose qui in valle, in Val Sesia o, appena avevamo una macchina, giù a Finale. Che stangate!».

VOLTA, PARLAMI DI TE, DELLA TUA STORIA, SEI UN

MI HAI SPIAZZATO. PENSAVO CHE MI PARLASSI DI SCI,

SUPERLOCAL?

INVECE ECCOCI SULLA ROCCIA…

«Assolutamente di Macugnaga dal 1967! Arrivo da una famiglia di Guide alpine, da generazioni. Lo erano mio padre e i miei due nonni, uno dei quali aveva partecipato pure ai Giochi Olimpici negli anni ’20. Anche le donne della mia famiglia sono sempre state molto legate alla montagna: mia mamma e mia zia erano maestre di sci, così come innumerevoli cugini. Ho un fratello che fa altro nella vita, però

«Infatti sono diventato prima Guida (nel 1987) che Maestro di sci! Qui a Macugnaga con alcuni amici tra cui Bardes, Morandi e Meynet avevamo formato un bel gruppetto, abbiamo anche iniziato a chiodare le prime falesie. Nel 1987 c’è stata una gara di arrampicata qui a Macugnaga: vennero personaggi da rivista come Gallo, Ballerini, Mariacher, la Iovane e Raboutou. A noi si è aperto un mondo!».

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ALLORA È VERO CIÒ CHE HO SENTITO DIRE, CHE IN MONTAGNA

È VERO, L’INNOVAZIONE DI UNA DISCIPLINA PASSA

TI PIACE FARE TUTTO: ALPINISTA A 360°?

ATTRAVERSO QUEI PERSONAGGI CHE SANNO ISPIRARE LE

«Sì, eccome! Non ho una preferenza: mi piace sciare, arrampicare, a volte anche in solitaria. Mi piace allenarmi, fare gare di sci, lo skyrunning (è stato quattordicesimo ai mondiali del 1998) e compiere concatenamenti in montagna. Ho iniziato cercando di imitare i grandi come Boivin e Profit: ero andato perfino a una sua serata ed era stato come vedere Cristiano Ronaldo per un adolescente di oggi! Quelli erano dei veri matti se si pensa a certi concatenamenti magari con decolli con il deltaplano dalle cime: altro che l’estremo di cui si parla adesso! Era pazzesco. E così ho iniziato a fare salite anche da solo: per quelle devi essere in bolla mentalmente. Come per lo sci estremo: devi farlo solo quando te lo senti, non sempre. Se non sei al cento per cento mentalmente, puoi fare un sacco di altre cose. Anche imparare a suonare uno strumento, perché no?».

NUOVE GENERAZIONI. ULTIMAMENTE RITENGO CHE LO SCI IN

PERÒ NON TENERMI SULLE SPINE, PARLAMI DI QUESTE

A PROPOSITO DI HIMALAYA, QUI C’È IL MONTE ROSA…

SALITE IN VELOCITÀ QUI SOPRA MACUGNAGA, SONO CURIOSO!

«Per la gente di qui è fondamentale questa montagna, anzi spesso è quasi ingombrante, ci limita un po’. È una montagna di fatica, non è il Bianco, è meno tecnica ma ha dislivello, gran misto, la Santa Caterina, la Brioschi, vie dove al giorno d’oggi devi essere veloce, uscirne in sei o sette ore. Con la mentalità di adesso questo versante del Rosa sa offrire molto anche per lo sci».

«Partendo da Pecetto di corsa e leggero sono salito al Triangolo della Jazzi per la via delle Guide (600 m, VI max), ho proseguito per cresta fino in punta (2.400 m di dislivello dalla partenza) e sono sceso a Pecetto dopo aver recuperato gli scarponi, che avevo preventivamente lasciato in cima: 4 ore e 15 minuti. Oppure un’altra volta ho salito la via Buscaini al Piccolo Fillar con qualche tiro di 6a, proseguendo per la cresta di Santa Caterina, una delle vie classiche più belle del Rosa per isolamento e posizione. Giunto in cima alla Nordend, ho proseguito per cresta calcando la cima della Dufour, della Zumstein e poi fino alla Capanna Margherita. Da lì sono rientrato a Macugnaga con un volo in parapendio biposto con il mio amico Ale Bardes. Forse è stato il primo decollo dal Rosa. Il tutto in poco più di otto ore». E POI C’È SEMPRE STATO LO SCI…

«Come ti dicevo è sempre stato di famiglia anche lo sci. Prima c’era lo spigolino, le gare. Poi lo skialp. Ho fatto anche la raspa, tutto ti aiuta ad aumentare il tuo bagaglio. Se ci pensi, le prime volte che vedevi gli svedesi qui sul Rosa scendere pendii in polvere con curvoni ad ampio raggio con quegli sci larghi, spesso pensavi ma butti via la discesa! Poi invece, se provi, capisci quanto è bello mollare gli sci nell’ovatta. Cresci ed evolvi solo se ti guardi in giro! Come per l’arrampicata, anche nello sci. Gente come Saudan o De Benedetti hanno spinto la disciplina proprio perché qualcuno li vedeva e allora decideva di imitarli. Di provarci. Sono fondamentali queste persone che ti stimolano e ci tengo a dire che per me è stato così anche nella famiglia delle Guide alpine».

MONTAGNA APERTA STIA FACENDO DEI BEI PASSI IN AVANTI. AD ESEMPIO QUEST’ANNO È STATO L’ANNO DELLO SCI A 8.000 METRI (K2, LHOTSE, CHO OYU). SO CHE HAI FATTO MOLTE SPEDIZIONI: SECONDO TE COSA CI RISERVERÀ IL FUTURO? L’ESTREMO PASSA DALLA QUOTA?

«Secondo me sì, almeno per una parte dell’elite. Si cercherà di spostare il terreno di gioco. Cavolo, un 8.000 con gli sci a chi non piacerebbe? Sullo Shisha Pangma siamo arrivati in vetta, ma abbiamo sciato da 7.300 metri. Sul Laila nel 1995 invece abbiamo fatto la prima salita di una via che culminava con il filo della pinna e quest’anno ho visto che è stata scesa per la prima volta. Altri invece cercheranno di portare in montagna aperta uno stile di sci a grande velocità come il FWT. Vedi Jérémie Heitz!».

LE DISCESE ESTREME SUL ROSA, TU HAI INIZIATO PRESTO: A 18 ANNI IL MARINELLI. RACCONTAMI DI QUEL GIORNO. CHE COSA RAPPRESENTA IL MARINELLI PER GLI SCIATORI LIBERI?

«1985. Altri anni, altre stagioni. Non so spiegarmelo: se uno guarda i grafici delle precipitazioni globali di un anno, sembra che cada sempre la stessa acqua ma lo fa in modo diverso ora, e in maniera meno regolare. A giugno avevo appena chiuso la discesa integrale del Canalone Tuckett riprendendo quella di Claudio Schranz del 1980. Mi sentivo pronto e avevo potuto risalire il Canalone a luglio. Ero con mio fratello e il nostro amico Vittoni. Saudan aveva tracciato la via nel ’69. Era di fronte a me e volevo farlo. Ci pensavo sempre. Così sono andato. Ho iniziato la discesa da quel colletto a destra del Colle del Papa guardando la parete. Il Marinelli è il massimo per lo sci: si scia davvero lì dentro». UN SACCO DI POSSIBILITÀ, DAL FREERIDE ALLO SCI ESTREMO. SEI UNA GUIDA ESPERTA, CONSIGLIACI UN ITINERARIO DI FREERIDE, UNA GITA CLASSICA CON LE PELLI, UN ITINERARIO PIÙ IMPEGNATIVO SU QUESTO LATO DEL MONTE ROSA.

«Il Monte Moro i giorni post nevicata offre bei pendii, ma bisogna sapere cogliere l’attimo e le giuste condizioni vista la sua esposizione. Con le pelli non posso che consigliare la Grober o il Pizzo Bianco per la primavera: due itinerari di respiro, di vero scialpinismo. Ambiente e dislivello. Alzando l’asticella

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poeta, poi scomparso, sempre sulla Est del Rosa. Lì a fianco infatti c’è la Cresta del Poeta, altro itinerario ormai poco ripreso. Nel gennaio del 1993 avevo fatto la prima salita invernale e capito che come terreno si sarebbe prestato allo sci. In quell’anno avevo sciato due o tre volte il Marinelli e mi sentivo pronto. Mi sono fatto portare dall’elicottero a 3.900 metri di quota e poi ho proseguito a piedi fin quasi a 4.300, sotto al seracco, per capire come erano le condizioni del pendio. Alle 9 sono sceso su neve perfetta, fredda sulle parti più ripide. In basso ho messo un mancorrente in una strettoia con neve più marcia, ma a posteriori lo avrei potuto evitare. È stato il momento giusto per me: non avevo neanche paura». MI SEMBRA DI CAPIRE CHE RITIENI CHE LA VELOCITÀ SIA SEMPRE PIÙ IMPORTANTE, QUAL È LO STILE CHE PREFERISCI? E IL TERRENO?

delle difficoltà, assolutamente il Marinelli. Consiglio però di approcciarlo preparati, magari iniziando a farsi la gamba con salita e discesa del Canalone Tyndall: 2.000 e più metri mettono in bolla».

IL TUO PENDIO PERFETTO, ANCHE SE FORSE CONOSCO

UN PO’ DI STORIA DELLO SCI NEL MONTEROSA, QUALI SONO

GIÀ LA RISPOSTA?

STATE SECONDO TE LE TAPPE PIÙ IMPORTANTI SUL

«Il Marinelli, specie dalla Silbersattel, fai tante di quelle curve!».

VERSANTE DI MACUGNAGA?

«In sintesi: Saudan e il Marinelli, la linea di Schranz, proprio sulla Est dello Jägerhorn, la via dei Francesi di De Benedetti e la mia discesa della Solitudine». A PROPOSITO DELLA FRANCESI: CHE MI DICI DI QUELLE VOCI

UNA LINEA CHE VORRESTI ANCORA SCIARE SUL ROSA?

«Preferirei non… però mi piacerebbe ripetere il Gervasutti al Tacul: è perfetto».

CHE NARRANO DI UN LEGGENDARIO CONCATENAMENTO

PER LO SCI CHE CERCHI, QUALI SONO I TUOI MATERIALI

DELLO SVIZZERO DOMINIQUE NEUENSCHWANDER, LA

PREFERITI.

FRANCESI E POI IL LENZUOLO SOSPESO DELLA BRIOSCHI?

«Ho sempre sciato con tutto. Inizialmente su terreno ripido preferivo attacchi più strutturati rispetto ai pin, ma era solo questione di mentalità. Per gli sci da qualche stagione uso dei Black Crows Orb Freebird, le ultime versioni le trovo nettamente migliorate e più equilibrate. Istintive e con un buon controllo anche su nevi dure. Lo uso come sci unico».

«Guarda non so dirti. In quegli anni la tenevo d’occhio anche io ma non mi è mai sembrato che ci fossero le giuste condizioni. È pazzesco, ma se lo si dice, deve averlo fatto. E forse la Francesi l’ha anche ripetuta il fortissimo Battistino Bonali della Val Camonica. Comunque la via dei Francesi rimane ancora un muro psicologico». SEMPRE PARLANDO DI STORIA DELLO SCI, CI SONO I MOSTRI SACRI COME STEFANO DE BENEDETTI, MA LA STORIA PASSA ANCHE ATTRAVERSO UN SACCO DI SCIATORI CHE HANNO SPINTO QUESTA DISCIPLINA IN AVANTI. SEI CERTAMENTE UNO DI QUESTI A NOSTRO MODO DI VEDERE: RACCONTACI LA DISCESA IN CUI HAI SENTITO CHE HAI FATTO UN PASSO IN AVANTI.

«Certamente è come hai detto. L’evoluzione passa da lì. Sul Rosa ci sono gli Enzio, Michele e Giuseppe, poi Gobbi, Gabbio, Schranz e altri. Ognuno nel suo periodo e alla sua maniera. Per quanto mi riguarda credo che la discesa più significativa sia stata il Canalone della Solitudine. Si chiama così perché l’aveva salito da solo Ettore Zapparoli, l’alpinista

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«È vero. Però non ho un terreno preferito. Mi piace tutto in montagna. Salire, scendere, preferisco i versanti aperti (così come le falesie non dietro alle piante), i canali e anche le gobbe. Mi piace perfino sciare con gli stretti da tutina».

UN VIAGGIO CHE VORRESTI FARE?

«Sono innamorato dell’Himalaya e del Pakistan. Sono stato anche sull’Ama Dablam, abbiamo tentato una via nuova sull’inviolata Ovest del Makalu, poi sono stato sullo Shisha Pangma e sul Broad Peak. Mi piace la quota. Cavolo, un 8.000 sugli sci se mi piacerebbe!». Negli occhi di Yak si accende una fiamma. Proprio in questo istante siamo tornati dalla nostra pellata e ci fermiamo davanti al Rifugio Ghiacciai del Rosa da Mirko e Stefania. Non mi sono slacciato il casco che Yak è sgattaiolato dentro per un toast piccante. Giuro di aver sentito uno strano tintinnio quando si è tolto il suo cappello azzurro…


Foto: Roberto Moiola


O L D SC H O O L / LA T E C N I C A D EL L E OR IGINI

UN METODO ANTICO, ESSENZIALE PER CONTRASTARE LA FORZA DI GRAVITÀ SULLA NEVE, CHE FRA GLI ANNI ‘80 E ‘90 HA CONOSCIUTO UN PERIODO DI GRANDE FULGORE PER POI SPEGNERSI, TRAVOLTO DAI MATERIALI MODERNI E DALLE NUOVE TECNICHE DI DISCESA Testo di Enrico Marta Foto di Stefano Jeantet



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n bastone per fare attrito e per appoggiarsi in discesa, sia con gli sci che a piedi: le immagini d’epoca sono piene di montanari e Guide che scendono ripidi pendii e ghiacciai esercitando pressione su un lungo bastone o alpenstock. Potremmo affermare che si tratti di una tecnica vecchia come il mondo. Per quanto riguarda il mondo dello sci i bastoni hanno sempre costituito un espediente fondamentale per controllare e rallentare la scivolata verso valle. Le gare della prima metà del secolo scorso proponevano un mix di salita e discesa su terreni non battuti in cui la traccia ospitava a malapena due sci. I talloni erano liberi e le possibilità di perdere il controllo e di cadere erano numerose, veniva dunque spontaneo adottare quella che noi chiamiamo la tecnica a raspa che consisteva nell’impugnare i due bastoncini insieme per esercitare una leva in grado di generare un forte attrito sul manto nevoso, solcandolo come con un aratro. I francesi la chiamano sorcière, la strega con la scopa fra le gambe. Raccontava lo zio di un mio caro amico, valligiano delle Valli di Lanzo, appassionato di fondo, che negli anni cinquanta partecipava a gare di sci pur non essendo un bravo sciatore. Il suo espediente era alquanto curioso e semplice allo stesso tempo: la sera prima della gara faceva il giro del percorso prescelto nascondendo in cima alle salite un bel bastone - lou brancougno come lo chiamava lui - e quando scollinava in gara non faceva altro che imbracciare il bastone e calarsi a raspa in tutta sicurezza. Ma la raspa non ha cessato di esistere con gli anni ’50, infatti anche fondisti provetti non esitavano a ricorrervi nelle situazioni estreme laddove la conformazione della pista impediva di frenare a spazzaneve o in qualsiasi altro modo. Ho visto molti fondisti accennare passaggi a raspa anche durante la Marcialonga moderna proprio per scongiurare rovinose cadute come nell’affollata discesa di Soraga.

Le immagini di questo servizio - quelle moderne intendiamo - sono state realizzate nel comprensorio di Pila, in Valle d’Aosta, e vedono in azione un interprete della tecnica a raspa, Gabriele Ghisafi, e un azzurro delle nuove generazioni, che la raspa in gara non l’ha mai utilizzata, come Nadir Maguet. Anche se le sue origini come fondista l’hanno aiutato. «Avevo provato qualche volta quando facevo fondo, però che fatica, per fortuna che hanno inventato l’attrezzatura moderna» ha commentato il Mago dopo la sessione fotografica.

Quella che interessa a noi è essenzialmente la raspa usata nello scialpinismo. Al riguardo bisogna aprire una breve parentesi per parlare della nostra rivista al fine di meglio comprendere quella che è stata la tecnica a raspa negli ultimi due decenni prima del 2000. Quando fondai la rivista Fondo e Telemark, mi avvalsi della collaborazione, preziosissima, di due fondisti: Davide Pellegrino e Gabriele Ghisafi, a loro va il merito di avermi introdotto all’ambiente dello sci di fondo. Allestimmo i test materiali e i servizi tecnici passando molto tempo sulla neve a parlare di scioline, di ponti e di attrezzatura. Fu proprio in occasione di questi raduni che mi accorsi che i miei collaboratori non appena era possibile iniziavano a parlare di gare di scialpinismo e che quando finiva la stagione invernale il loro interesse si trasferiva allo skialp. I temi erano legati ai grandi eventi, a gare come il Mezzalama e la Patrouille senza trascurare quelle più locali come il Trofeo Parravicini o il Fillietroz, per citarne alcune. Si correva in pattuglie da due o da tre e la tecnica prevedeva l’uso delle pelli per la salita e la raspa per la discesa. E fu proprio in occasione di un test allo Stelvio che ebbi modo di assaporare la raspa: terminati i test degli sci classic, nel tardo pomeriggio venni invitato dai miei due collaboratori a fare un giro con le pelli, e ovviamente con bastoni da raspa. Il terreno prescelto fu il ripido pendio di fronte all’Albergo Folgore. La salita non la ricordo particolarmente impegnativa nonostante la ripidità del terreno, ma il bello è venuto quando ci siamo trovati ben in alto… Sotto lo sguardo sornione

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© William Borrelli

Una pattuglia valdostana con attrezzatura mista (sci classici e raspa) al Trofeo Mezzalama (sopra). Paolo Rossi in allenamento con la raspa a Plateau Rosà (al centro) e Paolo Vairoli in uno spettacolare passaggio (a destra). L’ultima foto è anche la copertina di uno storico manuale di Mulatero Editore, Fondo Escursionismo

di Davide e Gabriele, che probabilmente si erano fatti cenni d’intesa, venni invitato a buttarmi in massima pendenza con i bastoni in mezzo alle gambe. A questo punto non potevo tirarmi indietro: dopo una vita sugli sci come avrei potuto sfigurare davanti a due fondisti? E allora giù! Stavo prendendoci gusto, era una bella sensazione, mi sembrava di essere un motoscafo. In quell’istante venni sfiorato e superato dai due che avevano atteso a monte per godersi un’eventuale mia caduta e piuttosto indispettiti mi avevano superato inondandomi di neve marcia. Questo il mio battesimo con la raspa. Da quel giorno e per quasi due anni non ho fatto altro che salire con le pelli, sci da fondo, mezzofondo o classici, per poi scendere a raspa fra il disappunto di quanti erano presenti sulla montagna intenti a inanellare scodinzoli in neve fresca. Il contenuto tecnico della raspa ebbe un sussulto non appena qualcuno iniziò a utilizzare i bastoncini della Leki - ideati peraltro per le figure del freestyle - che sapientemente imbottiti con tubi di polistirolo (quelli usati per isolare i tubi nella termotecnica) e dotati di papere a stella di alluminio diventavano attrezzi infernali che permettevano velocità folli e la possibilità di superare qualsiasi pendenza.

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© Enrico Marta

discesa fuori dal comune. Corre voce che in gara le altre pattuglie facessero un gran forcing per scollinare con il miglior vantaggio per arginare il ritorno di questo grande atleta e dei suoi fratelli, che in discesa avevano prestazioni stellari.

© Enrico Marta

Soprattutto in Valle d’Aosta, in Lombardia e Piemonte la raspa la faceva da padrona: nelle gare si usavano di norma sci da fondo da tecnica classica mentre in alcune classiche come il Mezzalama venivano preferiti sci laminati più larghi e pesanti. I grandi interpreti di quegli anni appartenevano ai gruppi sportivi militari: si trattava di grandi fondisti con un passato in squadra nazionale che portavano a termine la carriera dedicandosi quasi esclusivamente allo scialpinismo. Si racconta che Jordanney dell’Esercito fosse un grande raspista, stessa cosa per il forestale Mazzocchi, per il piemontese Darioli e per non parlare dei gressonari come Ghisafi, Angster, Chiò per citarne alcuni. Ed è proprio a proposito di Stefano Chiò che il mio collaboratore Ghisafi era solito scherzare sulla sua spericolatezza a raspa: «Ma era un po’ ripido quel tratto eh?». In effetti era passato a manetta lungo una cascata di ghiaccio durante uno degli allenamenti in valle. Ma aneddoti di questo tipo non si contavano: era una battaglia fra diverse vallate, fra gruppi sportivi e squadre di civili, fra Guide alpine e Maestri di sci. Su tutti brillava la stella di Stefano Ghisafi, uno dei tre fratelli di Gressoney, dotato di un motore eccezionale, di grande tecnica fondistica e di capacità in

Tutto stava andando per il meglio quando all’orizzonte si è delineata una nuova figura che avrebbe sconvolto il mondo delle gare: Fabio Meraldi, Guida alpina di Bormio che gareggiava con attrezzatura classica in pattuglia dapprima con Adriano Greco poi con Chicco Pedrini, tutti Guide alpine. Nel frattempo il numero 20 di Fondo e Telemark si arricchiva di una terza dicitura in copertina: Ski-alp, un termine da me battezzato e che ora è divenuto di dominio pubblico per indicare una nuova era dello scialpinismo fatto di materiali super leggeri e di tutine da gara. La copertina riportava la foto suggestiva di un passaggio del Mezzalama del 1999 con Ettore Champretavy attrezzato da mezzofondo e da raspa, in prospettiva legati a lui altri atleti con inconfondibili bastoni da raspa. Grazie a quella copertina il numero ebbe grande successo e fu allora che compresi l’importanza dello ski-alp fino a farlo diventare la parte preponderante della rivista per arrivare al definitivo abbandono dello sci di fondo, ma questa è un’altra storia… All’interno di quel numero c’era un altro servizio che aveva calamitato l’interesse di moltissimi lettori: «Ecco a voi Fabio Meraldi!». Ho passato molte giornate con lui per essere in grado di comprendere la sua tecnica, il saper modificare i materiali per renderli più leggeri e competitivi rispetto a quelli usati dai fondisti. Nessuna reticenza, nessun segreto: il grande Fabio si è dato in pasto alla curiosità degli appassionati e nel giro di una stagione le piste si sono

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popolate di atleti in tuta leggera, zainetto minimo e scarponi alleggeriti, che quando arrivavano in cima staccavano le pelli bloccando gli attacchi e gli scarponi in pochi secondi. Era fatta, avevamo costruito il mostro! Quando ho detto a Meraldi che avrei parlato di raspa e di gare ha voluto raccontarmi le incredibili vicende del Mezzalama 1997. Lui correva con Pedrini e Omar Oprandi, i loro fortissimi competitor erano i forestali con il terzetto eccezionale Follis, Mazzocchi e Fontana, l’Esercito metteva in campo Invernizzi, Conta e Holzner, la squadra dei civili più accreditata era composta da Stefano e Fabio Ghisafi con Stefano Chiò. Questa era la prima edizione che prevedeva la partenza dal Breuil, mi trovavo sul Ventina quando nella penombra sfilavano tutte le squadre in fila indiana. Ricordo che mi colpì, nella semioscurità, il gesto tecnico di Stefano Ghisafi che procedeva con una sorta di passo finlandese in salita: destro, sinistro e doppio appoggio con i suoi bei bastoni imbottiti. Ma l’epilogo avveniva fra il Naso e il Mantova. Racconta Meraldi: «Eravamo stati in testa fino al Castore poi erano passati avanti i forestali, da dietro si facevano minacciosi i tre dell’Esercito che, appena accodati, avevano detto a Oprandi di passare parola affinché ci spostassimo per dar loro strada. Io ero davanti e ho

incrementato il ritmo, da lì non li abbiamo più visti. Intanto nella discesa dal Naso i forestali si erano ulteriormente avvantaggiati: effettuando la discesa a raspa senza togliere le pelli, avevano potuto partire per una breve salita in perfetto assetto mentre noi da dietro avevamo dovuto arrabattarci con la scaletta e un po’ di pattinaggio. Sembrava fatta per loro, senonché nella discesa sopra il Mantova i tre, scendendo legati a raspa, avevano preso dentro una palina segnaletica che ha generato un grande groviglio di corde e scompiglio nella pattuglia, proprio quando noi siamo passati in testa per non essere più raggiunti». Il tramonto della raspa non è legato a questo avvenimento ma soprattutto alle limitazioni imposte dagli organizzatori delle diverse gare che hanno prima proibito l’uso degli sci stretti e poi l’utilizzo della tecnica a raspa. Così è stato per la Pierra Menta da subito, poi per il Tour du Rutor, per il Mezzalama per arrivare alla Patrouille, fino allora tempio della raspa e della grande pattuglia di guardie di frontiera ex fondisti Bucks, Farquet ed Elmer. Ma la raspa non è morta: se si vogliono provare delle sensazioni forti non c’è che salire in vetta al Gran Paradiso e raggiungere il Vittorio Emanuele senza fare una curva fra lo sbigottimento generale dei classici...

MEZ Z ALAMA : DA LLA R A S PA AG LI AT TAC C HIN I I N 1 4 DATE

19 3 3 / Il 28 maggio la prima edizione vinta da Luigi Carrel, Antonio Gaspard e Piero Maquignaz (interrotta per maltempo al rifugio Quintino Sella). 19 3 4 / Alberto e Francesco Chenoz e Bartolomeo Carrel si aggiudicano la gara sul tracciato originale con arrivo al Gabiet. 19 3 5 / Esce Maratona Bianca di Mario Craveri, un documentario eroico e romanzato della gara del ‘35, dove la cordata di Giusto Gervasutti insegue una forte squadra tedesca e viene soccorsa dalla campionessa Paula Wiesinger travestita da uomo (ma il trucco viene scoperto al controllo medico). 19 3 8 / Vinse il Dopolavoro Azienda Elettrica Municipale di Milano, composto dai valtellinesi Aristide e Severino Compagnoni e Silvio Confortola. Di quel trofeo, opera dello scultore Stefano Borrelli, se ne sono perse le tracce. 19 7 1 / L’11 settembre si torna a gareggiare dopo la lunga parentesi della guerra: successo del Centro Sportivo Esercito con Gianfranco, Aldo e Roberto Stella.

19 9 5 / Nasce la Fondazione Trofeo Mezzalama che include gli enti locali delle tre valli interessate e inizia a preparare il ritorno del Trofeo, che si concretizza poi due anni dopo. 19 9 7 / Il Mezzalama torna dopo 19 anni, grazie al lavoro di Adriano Favre e delle Guide del Monte Rosa. Nella prima edizione moderna, a segno Fabio Meraldi, Enrico Pedrini e Omar Oprandi. E c’è la prima classifica rosa con successo di Bice Bones, Brunella Parolini e Fabiana Battel. In quell’anno obbligatorio l’utilizzo di un apparecchio di ricerca in valanga, la prima gara al mondo che adottò questa regola. 20 0 1 / L’anno in cui è stato uniformato il materiale, togliendo la possibilità di gareggiare con gli sci da fondo e inserendo l’obbligo di scarponi in plastica. 20 0 3 / Sempre in chiave sicurezza: vietati gli elastici sulle cordate. 20 0 7 / Visti i casi di congelamento dell’edizione precedente, obbligatorio un quarto strato.

2 0 1 0 / Dopo le edizioni 2007 e 2009 sotto l’egida della FISI, il Trofeo Mezzalama entra nel circuito La Grande Course. 2 0 1 5 / Per celebrare i 150 anni dalla conquista del Cervino, invertito il percorso con partenza da Gressoney-La-Trinitè e arrivo a Cervinia (come nel 1937 dal Rifugio Gnifetti a Plan Maison). 2 0 1 7 / La novità è la partenza a piedi nel centro di Breuil-Cervinia, mentre la salita a Plateau Rosà non è lungo la pista Ventina, ma con una traccia verso il Colle del Theodulo, con la novità del passaggio del canale. Obbligatorio l’uso di ramponi di acciaio. 2 0 1 9 / Nel tracciato della gara in programma il prossimo 27 aprile entra un terzo quattromila: invece di iniziare la discesa verso Gressoney appena valicato il Naso, da quota 3.900 gli atleti risaliranno con gli sci verso il colle del Lys fino alla Roccia della Scoperta (4.177 metri). Il regolamento prescrive la piccozza in dotazione a ogni singolo atleta, mentre in passato ne bastava una per cordata.

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PORTFOLI O

86 ANNI DI MEZZALAMA Foto di Federico Ravassard, Stefano Jeantet e Marco Andreola Testi di Luca Giaccone

Per trovare l’attrezzatura degli anni Trenta ci siamo rivolti ad Amedeo Macagno: giornalista, esperto, ma soprattutto collezionista di sci. Di tutte le epoche, di ogni disciplina. Ne ha migliaia. E dal 1992 organizza anche una gara di sci d’epoca (che ha pure brevettato nel 1998) sulle piste della Via Lattea, in Piemonte, nelle ultime edizioni sulle nevi di Sauze d’Oulx. SCI / Sono di legno finlandese, tra i più ambiti. Negli anni Trenta si sceglievamo misure più corte per lo scialpinismo rispetto alla discesa, tra 180 e 200 centimetri, con un peso, lamine e attacco di alluminio compreso, intorno ai 3,5 chili. ATTACCHI / Dopo le chiusure in cuoio, una ri-

voluzione arrivò proprio nel 1933 con l’attacco Kandahar, inventato da Guido Reuge. Un paio di dettagli: sotto il piede c’è una fessura per fissare in modo più serrato lo scarpone con un laccetto, lo stesso schema anche nella parte posteriore per bloccare lo scarpone in modo da non sciare a telemark in discesa. PELLI / Erano davvero di foca. Anche se non

tutti erano d’accordo sull’utilizzo, ma non perché fossero di foca, ma perché ritenevano che ogni sciatore di livello dovesse salire senza ausili sotto gli sci! Tra questi puristi anche lo stesso Ottorino Mezzalama.

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Con i fratelli Aldo e Roberto, Gianfranco Stella ha vinto il primo Mezzalama del dopoguerra, nel 1971. Da Asiago si sono trasferiti in Valle d’Aosta, al Centro Sportivo Esercito, arruolati come fondisti. E tutti erano anche in Nazionale. Lo scialpinismo era lo sport di fine stagione dopo le classiche della Scandinavia. Gianfranco e Aldo con Palmiro Serafini hanno vinto il Mezzalama anche nell’edizione del 1973. SCI / Lo sci era quello da fondo: per lo scialpinismo veniva portato alla Tua di Biella per essere laminato. Per una maggiore sicurezza in discesa su fondo ghiacciato, ma soprattutto per strutturare di più lo sci viste le tante rotture. SCARPONI / Come quelli da fondo, ma con

una sporgenza nel tallone per poter agganciare i ramponi. Una curiosità: sopra la scarpa, per evitare il freddo, veniva aggiunta una calza di lana appositamente tagliata. Uno stratagemma rubato ai fondisti scandinavi. PICCOZZE / Nella foto ne vedete due. Nella prima edizione è stata usata quella più lunga poi, visto che non c’era una regola precisa sull’utilizzo, in quelle successive se ne sceglieva una più corta, alla fine anche di pochi centimetri, ancora più piccola della seconda che vedete nella foto.

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A Bormio per tutti Enrico Pedrini è il Chicco. Arriva dal fondo, dove ha vestito i colori della Nazionale ben otto anni. Con Fabio Meraldi e Omar Oprandi ha vinto il Trofeo Mezzalama nel 1997. E in coppia con Meraldi si è aggiudicato anche quattro edizioni della Pierra Menta, dal 1995 al 2000. Guida alpina, si occupa anche della sicurezza della pista Stelvio in occasione delle gare di Coppa del Mondo di sci alpino a Bormio. SCI / Il modello è della Ski Trab: lunghezza 180 cm, peso di circa 1,3 chili, 61 sotto il piede. I primi scarponi erano i Dynafit TLT, adattati con un velcro al posto del gancetto del gambetto. Poi sono arrivati i primi Gignoux in carbonio. ARTVA / L’apparecchio di ricerca in valanga

è diventato obbligatorio proprio nel 1997, ma in quella edizione era stato dato alle squadre anche un telefono portatile, visto che la Omnitel era tra gli sponsor e il telefonino era anche tra i premi per i vincitori… TUTA / Le tute dedicate solo allo scialpinismo

sarebbero arrivate dall’intuizione di Valeria Colturi. Si utilizzavano anche quelle da fondo della Nazionale, in lycra, passate in sartoria per inserire una cerniera centrale e due tasche per poter sistemare le pelli.

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Di Mezzalama Matteo Eydallin ne ha vinti quattro, il primo nel 2009, gli altri tre consecutivi nel 2013, 2015 e 2017. Classe 1985, di Sauze d’Oulx, portacolori dell’Esercito, nel palmarès anche le altre classiche della Grande Course: Pierra Menta, Patrouille des Glaciers, Tour du Rutor e Adamello Ski Raid. Ha vinto anche quattro ori ai Mondiali e la Coppa del mondo nell’individual. RAMPONI / Il nuovo modello Skimo Race della Camp ha un sistema di allacciatura privo del classico archetto frontale, sostituito da un fermo che una volta regolato per i propri scarponi rende ancora più veloci i cambi d’assetto. SCI / Il nuovo Dynastar Pierra Menta F-Team pesa 640 grammi nella misura da 160 cm. Anima ultra-leggera in Dynacell (materiale derivante dall’industria aerospaziale), tre volte più leggera del legno di Paulownia. Tecnologia Carbon Ply con fibre di carbonio appiattite e intrecciate per un maggiore ritorno elastico. OCCHIALI E MASCHERA / Sono firmati dallo

stesso Eyda nel nuovo progetto Steppen: occhiale (giallo trasparente con lente specchiata) e maschera (rosa e gialla) nel suo stile, per non passare inosservati. Info: sportiscrew.com

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P EO P L E

4 MODI DI DIRE SCIALPINISMO QUATTRO AMBASSADOR DYNAFIT, QUATTRO DECLINAZIONI DELLO SCI DI MONTAGNA. PERCHÉ LO SKIALP È UN’ESPERIENZA CHE PUÒ ESSERE VISSUTA A 360°

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Inutile negarlo, non esiste più solo lo sci alpinismo (lo scriviamo volutamente staccato), quello che richiede anche rudimenti alpinistici, sulle montagne con la m maiuscola. Ma esistono diversi modi di dire skialp, dalla risalita accanto alle piste, al freetouring, dalla semplice salita contro il tempo al piacere della discesa in neve fresca. E attrezzi, come ben sa chi legge la nostra Buyer’s Guide, perfetti per ogni declinazione dell’andare per monti con sci e pelli. Ecco perché abbiamo scelto quattro testimonial di uno dei marchi simbolo dello skialp, Dynafit, per spiegare meglio la poliedricità del nostro sport nei tempi moderni. Ogni storia può aiutarci a capire quale tipo di avventura scialpinistica preferiamo, qual è la più consona alle nostre inclinazioni, ma anche alle condizioni della neve e del territorio su cui ci muoviamo, al fine di comprendere inoltre a che tipo di attrezzatura dobbiamo affidarci. Possiamo riconoscerci anche in più di una categoria, ma i quattro racconti che seguono potrebbero aiutarci a definire degli obiettivi sportivi in modo più chiaro, a confrontarci con gli altri per trovare il perfetto compagno d’allenamento o d’uscita, ma anche spronarci a fare di meglio. Niente più scuse quindi, lo scialpinismo è ormai una disciplina aperta a ogni tipo di sportivo.



RACE

SPEED

Gli agonisti dello scialpinismo salgono in vetta con una rapidità incredibile e, dopo aver cambiato le pelli in pochi secondi, sono pronti a buttarsi in una velocissima discesa. In allenamento o in gara, lo scialpinismo è una corsa contro il tempo. Non è raro affrontare mille metri di dislivello in meno di 40 minuti. Gli agonisti dedicano una particolare attenzione al rapporto peso-prestazione dell’attrezzatura. Peso minimo, performance massima - Speed Up. Delle quattro categorie è quella che probabilmente era già ben definita, chi è agonista ce l’ha nel DNA…

Velocità, sfide alpinistiche e performance: questi sono gli ingredienti dello speed touring. L’agonismo trasportato sulle montagne ad alta quota. Lo scialpinismo interpretato in chiave fitness, come modo unico ed efficace per mantenersi in forma. I prodotti devono essere leggeri, ma consentire di dare il massimo su ogni terreno, in ogni condizione di neve. S P E E DF I T / Come sottocategoria della declinazione SPEED lo scialpinismo su pista permette a principianti, ma anche agli scialpinisti più esperti, di allenarsi agevolmente e in sicurezza.

@ Alice Russolo

DAMI ANO LENZI Nazionale italiana di scialpinismo

OSWA L D SA NT I N Presidente comitato organizzatore Sellaronda Skimarathon

COS’È LO SKIMO PER TE?

COS’È LO SKIMO PER TE?

«Lo scialpinismo integra due realtà che conosco molto bene, visto il mio passato nel mondo dello sci di fondo: la necessità di far andare le gambe tipica del nordico e il divertimento della discesa fuoripista. Ma il mio sogno fin da piccolo era quello di diventare un campione, quindi ciò che amo di più di questa disciplina è la sua dimensione agonistica, alla ricerca del migliore tempo possibile».

«Per me lo skitouring è un’attività sportiva completa, in grado di allenare sia il sistema cardiocircolatorio che l’apparto muscolare, mi mette in contatto con la natura, regalandomi una sensazione di libertà che le sole ore di allenamento in palestra non potrebbero garantirmi».

COME TI ALLENI?

«Nelle gambe ho una media di 600.000 metri di dislivello per circa 900 ore di allenamento all’anno con gli sci. Seguo le linee guida dei nostri allenatori del Centro Sportivo Esercito. All’interno di queste specifiche mi gestisco in base alle sensazioni. Non sono un fan di programmazione e cardiofrequenzimetri. Quando la neve si scioglie mi piace pedalare, faccio 10.000 chilometri con la bici da strada e due o tremila con la mountain bike. In autunno mi dedico al trail running e allo skiroll». COSA PRETENDI DAL TUO MATERIALE?

«L’equipaggiamento per noi agonisti è fondamentale, al mio richiedo leggerezza innanzitutto, ma anche alto contenuto tecnico per ottenere il massimo in fatto di performance».

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COME TI ALLENI?

«Mi piacciono le gite in ambiente, ma non potrei pensare di andarci tutto l’inverno, quindi per l’inizio stagione o in periodi con poca neve, sfrutto molto lo Speedfit: l’allenamento al bordo delle piste battute. Sono ormai molti i comprensori che riservano dei percorsi alla disciplina, soprattutto la sera dopo la chiusura degli impianti. All’alba, o anche al termine di una giornata lavorativa, ci si può allenare in sicurezza, sfruttando le piste come una vera e propria palestra outdoor». COSA PRETENDI DAL TUO MATERIALE?

«Per vivere al meglio la dimensione speed della disciplina ho bisogno di prodotti affidabili e robusti, che pesino il meno possibile. Velocità vuol dire soprattutto sicurezza, per questo devo potermi fidare al cento per cento della mia attrezzatura. I prodotti devono consentire allo sciatore di dare il massimo su ogni terreno, in ogni condizione di neve e pendenza».


TOUR

FREETOURING

La collezione giusta per gli scialpinisti che amano muoversi in mezzo alla natura, in libertà, godendosi la salita e scatenandosi in discesa, lontani dalle piste affollate. L’attenzione di questi sciatori è focalizzata all’amore per la montagna, alla curiosità di scoprire nuovi itinerari, con un passo magari più lento degli agonisti, per concedersi il tempo di osservare il paesaggio in cui si muovono.

Il freetourer risale la montagna pensando alle emozioni che gli regalerà la discesa in neve fresca, ma vuole raggiungere la vetta con le proprie forze, godendosi la totale immersione nella natura che lo circonda. La ricompensa più grande per la fatica? Una discesa nella powder incontaminata.

@ Federico Ravassard

A LEX PIV IROT TO Guida alpina, socio dell’Associazione Guide Alpine Tre Cime

E R I C HJ OR L E I F SON Freerider canadese e sviluppatore di prodotti per il freetouring

COS’È LO SKIMO PER TE?

COS’È LO SKIMO PER TE?

«Come Guida alpina il mio scialpinismo si avvicina molto anche all’alpinismo, perché prediligo la parte della salita, la ricerca di nuove linee e territori poco battuti. La mia preferenza è sicuramente per le gite in ambiente, di più ore o giorni. L’avventura e la scoperta della natura sono quello che mi attira nello scialpinismo».

«Sono uno scialpinista orientato soprattutto alla discesa, il mio obiettivo è raggiungere pendii poco battuti che mi garantiscano una sciata tecnica, ma anche divertente. Questo gioco tra assenza di gravità e forza centrifuga durante la discesa è unico». COME TI ALLENI?

COME TI ALLENI?

«Mi alleno in ambiente, prediligo i lunghi e dislivelli importanti che raggiungono i 3.000 metri, su percorsi tecnici dove allenare anche le mie capacità di Guida. In questi ultimi anni ci stiamo concentrando su alcune zone delle nostre Dolomiti orientali ancora poco conosciute e valorizzate, a guidarmi anche nell’allenamento è la curiosità di scoprire nuove possibili gite». COSA PRETENDI DAL TUO MATERIALE?

«Il mio equipaggiamento deve offrirmi un giusto compromesso: lo voglio affidabile e che mi garantisca comfort… il giusto compromesso tra divertirsi in discesa e fare meno fatica in salita».

«Il mio pane sono le linee di pillow, salti in successione su terreno ripido. Ho sciato molto anche in stile big-mountain: grandi pendii, grandi curve e grandi salti. Magari faccio qualcosa di simile al ripido quando scio per me stesso o con amici». COSA PRETENDI DAL TUO MATERIALE?

«Per godersi la discesa senza pensieri noi freetourer siamo sempre alla ricerca di materiali che ottimizzino il peso, per risparmiare le energie in salita, ma garantiscano soprattutto controllo e performance per la discesa. Devono essere inoltre prodotti affidabili, che ci fanno muovere in sicurezza anche sui pendii più ripidi e tecnici».

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GARE

ADAMELLO SKI RAID DAL 2006 IL GRANDE SKIALP

L’EDIZIONE NUMERO SETTE È IN PROGRAMMA IL 7 APRILE E IL PERCORSO È GIÀ IN BUONE CONDIZIONI. TRA LE NOVITÀ LA DIRETTA STREAMING Foto di Alice Russolo



M

ancano meno di due mesi all’Adamello Ski Raid, gara che, in sole sette edizioni, è diventata una grande classica del circuito La Grande Course. «Ricordo ancora quando con Valerio Mondini e Mario Sterli andammo a fare il Mezzalama nel 1997 e abbiamo iniziato a pensare a una grande gara sull’Adamello: allora entrare nella Grande Course ci sembrava un sogno» ricorda Alessandro Mottinelli, presidente del comitato organizzatore. Ma l’Adamello, il grande nord dietro casa, meritava una grande gara e la velocità con la quale lo Ski Raid si è affermato a livello internazionale ne è la prova. «Allora c’era lo storico Rally dell’Adamello, su tre giorni, e all’inizio, grazie alla disponibilità della Società Escursionisti Bresciani Ugolini, Ski Raid e Rally si alternavano di anno» aggiunge Mottinelli. Ma il percorso come è cambiato nel tempo? Da un paio di edizioni, meteo permettendo, è quello collaudato che descriviamo nella prossima pagina, ma inizialmente si sono provati anche altri itinerari. Per esempio scendendo al rifugio Garibaldi, oppure passando dal Passo degli Inglesi e scendendo poi su quel versante. I cambiamenti climatici hanno reso quella discesa impraticabile e anche il tentativo di risalire il versante, invece di scenderlo, non ha avuto seguito. Si è aggiunto dunque il Passo degli Italiani e l’ultima modifica in ordine di tempo è stata quella del rientro dal Pisganino invece che dal Pisgana. «Cambiano salite e discese ma non cambia lo spirito della gara. Che è stata pensata per divertirsi anche e soprattutto in discesa e non solo con dure salite» conclude Mottinelli. PERC OR S O O K

A due mesi dal via le condizioni sul percorso sono già buone grazie alle nevicate di inizio stagione che hanno creato un buon fondo, ora si aspetta qualche altra precipitazione per rendere più soffice il manto in superficie. A riprova di quanto scriviamo ci sono le fotografie di questo servizio, con Davide Magnini con il padre Lodo impegnati nella zona sopra il Lago Mandrone. «In alcuni tratti la neve è un po’ dura, ma c’è un ottimo fondo, basta un po’ di fresca per creare le migliori condizioni» ha detto Davide. «Al Canalino Ski Raid ora c’è polvere, speriamo che rimanga così perché nell’ultima edizione è stato uno dei passaggi più delicati» ha detto Mottinelli al termine della prima ricognizione sul percorso.

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I SCR I ZI ON I E D I R E T TA ST R E A M I NG

Le iscrizioni hanno aperto il 30 gennaio, in modalità on line sul sito www.adamelloskiraid.com, collegato a www.grandecourse.com, ed è dunque ancora presto per conoscere i protagonisti che si sfideranno, ma certamente troveremo allo start gli skialper più forti e rappresentativi al mondo. A partire da Kilian Jornet che ha recentemente dichiarato al quotidiano francese L’Équipe che nel 2019 avrebbe affrontato esclusivamente le tappe del circuito La Grande Course. Qualche novità e tante conferme nel programma dell’edizione 2019. A partire dalla diretta streaming nei punti chiave del percorso. Confermata invece la tribuna ai 3.000 metri di Passo Presena, con accesso gratuito (dalle 5.30 alle 7.00) in quota usufruendo della nuova cabinovia Presena. Gli appassionati potranno tifare gli skialper in transito e impegnati nel cambio pelli proprio davanti al rifugio Panorama 3000 Glacier. L’A L B O D ’ORO

Le prime due edizioni dell’Adamello Ski Raid si sono disputate nella formula della triplice cordata. Nel 2006 si imposero il valtellinese Guido Giacomelli insieme al trentino Mirco Mezzanotte e all’altoatesino Hansjoerg Lünger, in campo femminile le due trentine Roberta Secco e Orietta Calliari, con la sudtirolese Astrid Renzler. Nel 2008 vinsero Martin Riz, Denis Trento e Alain Seletto, mentre in campo femminile dominarono Roberta Pedranzini con l’inseparabile compagna Francesca Martinelli e Gloriana Pellissier. Sfida a coppie a partire dall’edizione 2011, quando si impose ancora Guido Giacomelli insieme al conterraneo Lorenzo Holzknecht e la coppia franco-spagnola composta da Mireia Mirò e Laetitia Roux. Le stesse si ripeterono nel 2013 e pure nel 2015, mentre in campo maschile salirono per la prima volta sul gradino più alto del podio i due francesi William Bon Mardion e Mathéo Jacquemoud, mentre in campo maschile dalla quinta edizione è iniziato lo strapotere italiano con Matteo Eydallin e Damiano Lenzi, entrambi del Centro Sportivo Esercito, ad avere la meglio su tutti gli avversari. Nell’ultima gara proposta ad aprile 2017 fra le donne successo di altri due talenti, la svizzera Jennifer Fiechter e la francese Axelle Mollaret.


IL PERC O R S O

I L P ROGR A M M A

La gara maschile partirà alle 5.30 da località Tonalina (1.630 metri) con la prima salita verso i 2.585 metri di Passo Paradiso, quindi altra ascesa ai 2.996 metri di Passo Presena, dove è previsto il primo cambio pelli. Discesa poi verso i 2.403 metri del Lago Mandrone, per un ulteriore cambio assetto per giungere ai 3.250 metri del Canalino Ski Raid. Si prosegue quindi verso le Lobbie con un suggestivo passaggio proprio sulla terrazza del rifugio Ai Caduti dell’Adamello. Da lì, l’ascesa verso Cresta Croce e il cannone a quota 3.300 metri. L’immensa distesa del Pian di Neve porterà gli atleti sulla cima dell’Adamello, il punto più alto della gara con i suoi 3.539 metri. Seguirà lo scollinamento verso i 3.390 metri del Passo degli Italiani, quindi la discesa lungo il versante Nord del Corno Bianco, la risalita ai 3.230 metri di Passo Venezia, per poi scendere inizialmente lungo lo splendido itinerario del Pisgana, passando attraverso la Bocchetta di Bedole sul ghiacciaio del Pisgana orientale Pisganino, quindi gli ultimi 10 chilometri fino ai 1.250 metri del traguardo di Ponte di Legno. Per le donne stesso percorso, ma con partenza a quota più elevata, ai 2.585 metri di Passo Paradiso, alle ore 6.10. In queste settimane è possibile provare il percorso di gara e per l’occasione il rifugio Lobbia offre un interessante pacchetto per il pernottamento in quota.

— Sabato 6 aprile Palazzetto dello Sport di Ponte di Legno Dalle 14.30 alle 17.30: accreditamento, controllo e punzonatura materiale, distribuzione pacco gara Ore 18.00: briefing tecnico — Domenica 7 aprile Ore 04.30: apertura Cabinovia Pontedilegno - Tonale (riservata ai concorrenti - tempo di percorrenza fino alla stazione intermedia 8’) Ore 05.00: apertura griglie di partenza Località Tonalina (stazione intermedia Cabinovia Pontedilegno - Tonale). Ore 05.30: partenza in linea gara maschile Ore 06.10: partenza in linea gara femminile Passo Paradiso Ore 10.30: arrivo previsto prima squadra Ore 12.00: pranzo presso Palazzetto dello Sport di Ponte di Legno Ore 16.00: cerimonia di premiazione

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ADAMEL LO IN FAM IG LIA Davide & Lodo / Una questione di famiglia. L’Adamello Ski Raid è un po’ la gara di casa Magnini: papà Lodo era al via della prima edizione (e delle tre successive), Davide non vede l’ora di debuttare: «Speriamo, quest’anno arriva il giorno dopo le finali di Coppa del Mondo, ma vorrei proprio essere al via. L’ho fatta così tante volte come scialpinistica primaverile, adesso mi piacerebbe davvero provarci con il cronometro». Da Vermiglio a Ponte di Legno, i chilometri sono tanti. «Il percorso classico - ancora Davide - prevede subito il passaggio al Passo della Sgualdrina, scialpinistico dall’inizio alla fine, mentre la gara affronta la pista per salire al Presena. Resta il fatto che in pista hai la tentazione di forzare di più, ma se lo fai alla fine paghi dazio. Sicuro. Non è in quel punto che si fa

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selezione. Dalla Cresta Croce verso l’Adamello c’è tanto sviluppo, ma non hai così tanto dislivello: se non hai la gamba lì puoi perdere tantissimo. E non è finita: nella parte finale della discesa del Pisgana di solito la neve non è delle più belle, anzi: di nuovo, devi averne perché altrimenti non vai avanti. E poi ti aspetta la corsa finale verso il traguardo. Insomma se non ti gestisci al meglio dal primo all’ultimo metro non ce la fai». Non l’avrà mai fatta, Davide, ma la conosce davvero come le sue tasche. Papà Lodo sorride, l’aveva portato con lui quando aveva undici anni, adesso Davide nell’ultimo inverno avrà fatto il giro dell’Adamello quattro volte in allenamento. Da solo, perché «oggi ha un altro passo». Di sicuro l’emozione sarà tanta quando vedrà il pettorale con il nome Davide Magnini.


M AT E R I A L I Nel 2006 Lodovico Magnini ha preso parte alla prima edizione dell’Adamello Ski Raid con Loris Panizza e Luca Mengon, piazzandosi al settimo posto. La squadra era quella dei Sizeri, il nome trentino degli Schützen, le guardie di montagna dell’impero Austro-Ungarico.

Sci / Lodo ha utilizzato gli Ski Trab Piuma, quelli a doppia punta: «Erano già molto performanti e anche il peso era contenuto, intorno agli 820 grammi». Scarponi / «L’evoluzione maggiore è stata nello scarpone, c’erano i primi inserti in carbonio, ma la maggioranza usava scarponi solo in plastica e il peso arrivava quasi al chilo. Io avevo lo Scarpa F1». Attacco / «Anche sull’attacco i passi avanti sulla leggerezza sono stati tanti: io avevo un puntale tutto in ferro, per esempio, mentre la talloniera era stata modificata per renderlo un po’ meno pesante».

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AG O NI S M O

VIVE LA JEUNE FRANCE

IL RITIRO DI LAETITIA ROUX DALLA COPPA DEL MONDO E BON MARDION A QUOTA 35 ANNI SEGNANO UNA FASE DI RICAMBIO GENERAZIONALE PER LA NAZIONALE D’OLTRALPE CHE HA TROVATO NELLA MOLLARET LA LEADER ROSA. E IN LA SPORTIVA IL NUOVO PARTNER TECNICO PER L’ABBIGLIAMENTO Testo di Luca Giaccone



È

sempre stata una delle nazionali leader: la Francia rappresenta con l’Italia e la Svizzera l’essenza dello skialp race. Dalla Pierra Menta alla Coppa del Mondo le sfide tra francesi e italiani sono state sempre all’ordine del giorno. Adesso però in casa Francia c’è una sorta di ricambio generazionale. Laetitia Roux, che ha dominato la scena nell’ultimo decennio, vincitrice della coppa di cristallo dal 2012 e prima ancora nel 2009, ha deciso di limitare un po’ le presenze con sci e pelli, puntando per questo inverno solo a qualche prova de La Grande Course. Ma nel team il futuro è già presente con Axelle Mollaret, adesso signora Gachet, che si è aggiudicata l’ultima Coppa del Mondo e si sta proponendo candidata numero uno per la prossima stagione, visti i risultati delle prime gare che hanno confermato la sua leadership soprattutto nelle gare individuali. Non solo Axelle, però, nel ranking della ISMF le prime due Espoir sono francesi, Adèle Milloz e Lena Bonnel. E a livello Junior occhi puntati su Justine Tonso che ha già raccolto titoli su titoli. Uomini alla ricerca dei nuovi campioni

I capitani dell’équipe maschile sono ancora i due di Arêches, William Bon Mardion e Xavier Gachet. Con Alexis Sevennec e Valentin Favre sono lo zoccolo duro della squadra, ma anche qui da sotto i giovani non mancano: Samuel Equy e Thibault Anselmet i candidati a essere i leader dei transalpini del futuro, oggi tra i più promettenti Under 23. Poteva essere del gruppo anche un fuoriclasse come Mathéo Jacquemoud, che da tempo ha preferito altre strade alle competizioni. Rispetto alla squadra rosa, quella maschile dunque soffre un po’ di più in questo periodo, ma la classe non manca. Uno come William Bon Mardion non si discute. Avrà sì 35 anni, ma sugli sci resta uno spettacolo da vedere in discesa. Da giovane è arrivato fino alla Coppa Europa nello sci alpino, nello scialpinismo ha portato al massimo livello la ricerca del dettaglio dei materiali. Non a caso è stato per anni uomo scelto da La Sportiva per l’evoluzione dello scarpone. Così non è stata una sorpresa se da quest’anno il marchio italiano è apparso sulle divise della Nazionale francese. E oltre a Bon Mardion, anche Axelle Mollaret da tempo collabora con LaSpo. «Dal lancio del primo scarpone da scialpinismo nel 2008, La Sportiva ha lavorato attivamente con i migliori atleti del mondo, come appunto Bon Mardion,

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per sviluppare prodotti in grado di far evolvere il mercato dello scialpinismo: collaborare oggi con l’intero team francese, che è tra i migliori al mondo in questo sport, è un’eccellente opportunità per vedere un giorno i nostri atleti premiati da una medaglia olimpica» ha spiegato Teresa Dellagiacoma, French Marketing Coordinator per La Sportiva. Una partnership triennale, durante la quale il marchio italiano sosterrà anche tutte le attività della federazione diventando così Official Partner della FFME, visto che lo skialp oltralpe è inserito nella Fédération Française de la Montagne et de l’Escalade. Le squadre di scialpinismo junior e senior vestiranno LaSpo almeno fino alla fine della stagione 2021 e saranno il vertice di un movimento che vede oltre 50.000 praticanti. Part time pagato dalla federazione

Per gli atleti top funziona un po’ diversamente, rispetto per esempio all’Italia: non c’è un gruppo sportivo militare che li arruoli, la maggioranza continua con il proprio lavoro (le avete viste tutti le foto di Bon Mardion nel caseificio di Beaufort, anche se oggi ha deciso di gestire un rifugio in estate), spesso part-time, con le federazione che integra la parte restante dello stipendio. Allora tocca a Thierry Galindo e Patrick Rassat, lo staff tecnico della Nazionale, seguire la preparazione dei loro atleti e organizzare più raduni possibili, per allenarsi ovviamente, per controllare le condizioni di forma, ma anche per fare gruppo. Scialpinismo sport di nicchia ma comunque importante all’interno delle federazione, che ha trovato anche il modo di promuovere sci e pelli sui quotidiani sportivi: la FFME da quest’anno ha concluso un accordo con L’Equipe che prevede uno spazio fisso nella sezione adrenaline del sito internet, con news dedicate allo skialp ma anche all’arrampicata.


LE SQUADRE FRA NC ESI Donne Léna Bonnel Lorna Bonnel Laura Deplanche Axelle Gachet-Mollaret Adèle Milloz Célia Perillat Pessey Marie Pollet-Villard Uomini Thibault Anselmet Arthur Blanc William Bon Mardion Eddy Bouvet Baptiste Ellmenreich Samuel Equy Valentin Favre Xavier Gachet Titouan Huige Will Juillaguet Joris Perillat-Pessey Gédéon Pochat Alexis Sevennec Léo Viret

Sopra, da sinistra, gli allenatori Patrick Rassat e Thierry Galindo con Joris Perillat Pessey, Thibault Anselmet, Baptiste Ellmenreich, Lorna Bonnel, Léna Bonnel, Celia Perilla Pessey, Sophie Mollard, Marie Pollet Villard, Gedeon Pochat, Alexis Sevennec. Sotto in senso orario Alexis Sevennec, Axelle Gachet-Mollaret e William Bon Mardion

© ISMF

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SUUNTO 9 •

Durata della batteria fino a 120 ore in modalità Ultra

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Testato in condizioni estreme

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MATERIALI N O V I TÀ / AT T R E Z Z I / A B B I G L I A M E N T O #SKI P OR N

© Daniele Molineris

1 4 2 /1 4 3

T HI NSU L AT E , l’isolamento è green

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Non solo Stratos nel 2020 di L A SP ORT I VA

1 4 8 /1 4 9

DA L B E L LO punta sull’aria

1 8 0 /1 8 3

V E RT I CA L , quando il freetouring è M Y T H I C

1 8 4 /1 8 5

A M P L AT Z, il bastoncino è girevole


M ATER I A LI

83% DI MOTIVI PER USARE LA PLASTICA RICICLATA

L’

industria dell’abbigliamento è la seconda attività più inquinante dopo quella petrolifera. Ogni anno finiscono nei rifiuti oltre 80 miliardi di vestiti e per la produzione viene utilizzata l’acqua contenuta in 32 milioni di piscine olimpiche, come documentato dal film The True Cost. La maggior parte dell’acqua serve per coltivare il cotone, che rappresenta i due terzi delle fibre tessili utilizzate. Ecco perché la sfida per un mondo pulito passa dai materiali rinnovabili. Ed ecco perché oggi il profitto non è l’unico criterio per essere considerati un buon marchio e la sostenibilità gioca un ruolo sempre più importante, soprattutto per i colossi del settore. Alla 3M è un valore strettamente legato alla mission aziendale da decenni. Il programma Pollution Prevention Pays (3P) è iniziato nel 1975 e l’azienda è nell’indice Dow Jones Sustainability di Wall Strett da 18 anni. Fondata nel 1902, la multinazionale con sede nel Minnesota ha stabilimenti in oltre 70 Paesi e più di 90.000 dipendenti e ha già sviluppato

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diversi prodotti per trasformare la conversazione su come risolvere i problemi del mondo in fatti concreti. 3M™ Thinsulate™ Recycled Insulation è un interessante esempio di economia circolare che permette di ridurre l’inquinamento riutilizzando materiali esistenti in modo innovativo e viene utilizzata per la produzione di giacche. La rivoluzione nel mondo dello skiwear è iniziata con l’invenzione di un isolamento che era meno ingombrante ma altrettanto caldo, perfetto per gli atleti, che chiedevano meno peso e più velocità. Il segreto sta nella costruzione delle microfibre della 3M™ Thinsulate™ Insulation, molto più piccole di quelle di altri materiali e quindi più efficaci nel trattenere aria. Infatti, più fibre per centimetro quadrato ci sono, meglio lo strato isolante funziona nel trattenere il calore del corpo. Però, dopo anni di sviluppo, il 2018 ha segnato un passo importante per la tecnologia 3M e il miglioramento della funzionalità e sostenibilità. Ora 3M produce materiali con l’83% di prodotto riciclato e ha creato uno stabilimento in-


LA MULTINAZIONALE CON SEDE IN MINNESOTA REALIZZA TRE MATERIALI ISOLANTI PER CAPI TECNICI CON DIVERSE PERCENTUALI DI PRODOT TO RICICLATO

teramente dedicato alla trasformazione di rifiuti in plastica di alta qualità. Sono tre i nuovi materiali con materiale riciclato, dei quali quello al 78% pensato per ridurre rifiuti con un buon rapporto qualità/prezzo e quello all’83% come prodotto premium. Il portafoglio è stato pensato per offrire più possibilità ai produttori di abbigliamento tecnico senza compromessi sulla qualità o aumenti di prezzo che possono influire negativamente sulle vendite. Forse però uno dei materiali più interessanti è 3M™ Thinsulate™ 75% Recycled Featherless Insulation, che sostituisce la piuma naturale con fibre derivate da poliestere riciclato. Si tratta di un materiale dall’utilizzo molto versatile grazie alla possibilità di essere compresso per occupare meno spazio, all’impermeabilità e alla capacità di traspirare. Sia nelle strade chic del centro di Boston che durante un impegnativo trekking in Nepal. Questi tre prodotti sono certificati per un utilizzo intenso e per la resistenza nel tempo, tutto nel rispetto di madre natura. Oltre ad avere il marchio Global Recycled Standard (GRS), ga-

ranzia dell’utilizzo dei materiali riciclati, rispettano i severi Standar 100 sull’utilizzo di sostanze dannose di OEKOTEX® e hanno ricevuto il certificato OEKO-TEX® for Product Class 1 degli Hohenstein Institutes (rispetto dei requisiti per i prodotti riservati ai bebè). Inoltre sono approvati bluesign®, il che significa che rispettano rigidi criteri ambientali e di sicurezza. In partica bluesign® controlla che vengano impiegati prodotti chimici approvati e che gli stabilimenti abbiano il minore impatto sull’ambiente e sulle persone impiegate nella produzione. Dopo tutto, la produzione di abbigliamento tecnico sostenibile è un ciclo complesso che parte dai fornitori di materiali e si chiude con lo sciatore, ma grazie a marchi come 3M quando acquistiamo una giacca possiamo tirare un sospiro di sollievo, sapendo che c’è un’intera filiera produttiva che ha come obiettivo quello di rendere il mondo un posto meno inquinato.

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M ATER I A LI / PR E V I E W 2020

ST R ATOS V La quinta generazione dello scarpone full-carbon che utilizza, tra gli altri, Michele Boscacci. L’innovativa scarpetta interna permette di personalizzare la calzata grazie alla tecnologia Pillow-Tech: un cuscinetto ad aria gonfiabile per regolare i volumi all’interno dello scafo.

S KOR P I U S CR Scarpone da skialp con scafo rinforzato in carbonio, tripla compatibilità con attacchi Tech, AT e Trab TR2 e scafo e gambetto in Pebax Rnew Bio-based, polimero rinnovabile ottenuto dalle piante di ricino. Il nuovo meccanismo Ski / Walk brevettato Swing-Lock Closure System evita l’esposizione di parti meccaniche al consumo e urti.

IL FUTURO LA SPORTIVA IN 5 PRODOTTI IL MARCHIO DI ZIANO DI FIEMME PUNTA SEMPRE PIÙ SULLA TECNOLOGIA SOSTENIBILE ED ENTRA A FAR PARTE DELLE AZIENDE 1% FOR THE PLANET,

ARCT IC DOW N È la giacca in piuma più termica della collezione La Sportiva, perfetta per utilizzo a temperature molto basse. Il cappuccio integrato è dotato di un sistema di regolazione rapido e preciso. Camere per l’imbottitura a costruzione 3D per una extra termicità. Tessuto Eco Recycled realizzato utilizzando fibre ricavate da bottiglie in plastica riciclate.

CHE DEVOLVONO UNA PERCENTUALE DEL FAT TURATO PER LA CAUSA AMBIENTALE

OLY M P U S M ON S CU B E

BL I ZZA RD GTX Prima scarpa da trail Laspo con chiodi già integrati nella suola per correre in sicurezza su terreni nevosi e ghiacciati. Con ghetta idrorepellente ed elastica Sock-Shield Gaiter e costruzione Gore Flex che la rende, oltre che impermeabile, flessibile.

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Edizione aggiornata del più celebre modello da 8000 sul mercato: doppia chiusura Boa Fit System, soletta isolante Primaloft Gold Aerogel e doppia mescola Vibram Morflex e Vibram Litebase. Tra i più termici disponibili, ha anche l’inserto per l’attacco pin da scialpinismo che permette l’utilizzo con gli sci.


Grilamid «GreenLine» The new strong and lightweight biopolymer.

Monte Etna (Volcano) Foto © Martino Colonna Grilamid 2S PA610

A quantum leap for greener sports.

Your technical partner for the best performance polymers on the ski touring boots market.

Commerciale Isola Via Tiepolo 3 35010 Cadoneghe (PD) www.commercialeisolatrading.it


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SCARPA, DUE SCARPONI TUTTI NUOVI LA CASA DI ASOLO PRESENTA MAESTRALE XT E ALIEN, PER FREETOURING E SKIALP RACE O SPEED TOURING

MAESTRALE XT / Un Maestrale a dimensione freetouring. Nel 2019/20 Scarpa proporrà la versione XT, pensata per sci larghi e attacchi performanti. Il cuore del progetto è il nuovo gambetto bi-iniettato sviluppato per aumentare le prestazioni in sciata mantenendo inalterata l’agilità in camminata e la zeppa XT, che dà un’impostazione alpine oriented modificando l’angolo di inclinazione del piede di 2° in avanti rispetto al Maestrale RS tradizionale e aumentando la precisione nella trasmissione dell’impulso allo sci. Completano Maestrale XT la tecnologia Recco, la scarpetta termoformabile Intuition, il cinturino velcro Booster e la suola Vibram Cayman Pro, conforme alla normativa DIN ISO 9523

Il nuovo meccanismo ski/walk Speed Lock XT consente di bloccare e sbloccare il gambetto grazie alla levetta in plastica dotata del pull loop per facilitare la presa anche con i guanti.

Peso 1.490 gr (tg. 27)

Nuova tecnologia Bi-Injection shell. Grazie alla bi-iniezione di due materiali altamente performanti, il Carbon Grilamid LFT e il Grilamid, lo scafo ha un’alta rigidità torsionale in ogni punto.

Il design a raggiera nell’area del tallone alterna spessori diversi dello scafo e permette di contenere il peso.

www.scarpa.net

AL I EN / Arriva un nuovo scarpone pensato per tutti i giovani scialpinisti che si avvicinano al mondo delle gare e cercano un prodotto leggero e affidabile e per chi è attento al compromesso prestazioni e prezzo. Alien è il perfetto crossover tra skialp race e speed touring. Sistema di chiusura Boa, scarpetta termoformabile Intuition e suola Vibram esclusiva per Scarpa sviluppata sulla base degli standard internazionali ISMF

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Gambetto in Grilamid FG LFT, materiale rinforzato con fibra di vetro lunga con valori di resistenza e rigidità più elevati rispetto a una fibra corta.

Sistema di allacciatura composto dalla A-Light lever in lega leggera e resistente, da un cordino Dyneema e da due passanti e due ganci in metallo: permette, con un solo movimento, di liberare o bloccare il gambetto dallo scafo.

Peso 870 gr (tg. 27)

Scafo in Carbon Grilamid LFT, un poliammide caricato con fibre lunghe di carbonio che migliorano le proprietà di resistenza all’allungamento e la rigidità del Grilamid, senza aumentarne il peso.


Grilamid LD «Low Density» The new super-light next generation polymer.

Kamchatka Volcanoes Foto © Paolo Tassi Grilamid LD

Lighter than ever; as strong as always.

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DALBELLO LUPO AIR 130 LEGGERO COME L’ARIA UN’INNOVATIVA VARIANTE DEL GRILAMID E L’ASSENZA DELLA LINGUET TA FANNO SCENDERE IN BASSO LA LANCET TA DELLA BILANCIA


La versione fotografata ha un flex di 130. Gli altri Lupo sono: Factory, 130 C, AX 120 e AX 105 W oltre ai due modelli Heavy Duty (HD) per situazioni estreme, Lupo Pro HD e Lupo AX HD. La combo perfetta dell’Air è con sci Völkl BMT 90/Mantra v-werks e attacco Marker KingPin m-werks.

Pesa solo 1.299 grammi.

Un sistema sofisticato di chiusura a cavo sostituisce la linguetta e rende Lupo 130 Air semplice da indossare e togliere. Un meccanismo di blocco tra lo scafo e il gambetto inserisce quest’ultimo in modalità sci e dirige il Flex in avanti.

Nonostante la riduzione del peso, è sufficientemente rigido e stabile lateralmente.

Lo scafo è stato sviluppato in collaborazione con l’Università di Bologna ed è leggero grazie alla presenza di aria nella mescola di Grilamid in una quantità del 10%. L’aria contribuisce anche a garantire l’isolamento termico.

Suola leggera Vibram.

PERF O RM ANC E FACTORY Il top performance della gamma Lupo è il Factory. Grazie agli inserti in carbonio questo modello da freeride da 1.880 grammi alla bilancia è allo stesso tempo fluido nella trasmissione della potenza allo sci e immediato. La scarpetta ID Max Hike è cento per cento customizzabile, ben rigida e molto precisa. www.dalbello.it

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@ Daniele Molineris / Red Bull Content Pool

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Markus Eder, uno dei più forti freeskier al mondo, usa sci Völkl e ha vinto la prima tappa del Freeride World Tour 2019, ad Hakuba, in Giappone

VÖLKL SUONA IL MANTRA DELL’ALLMOUNTAIN FREERIDE RINNOVATO IL MODELLO CULT DEL MARCHIO DI STRAUBING CHE ORA È IL TOP DI GAMMA DI UN SEGMENTO CON ALTRI QUAT TRO SCI CON DIVERSE LARGHEZZE AL CENTRO

Divertimento in tutte le condizioni e carvate in stile gigante, nella migliore tradizione dell’azienda tedesca: sono queste le premesse che hanno reso mitico il Mantra di Völkl. Per la stagione 2019/20 lo sci cult si presenta rinnovato e l’azienda amplia l’offerta allmountain freeride con l’arrivo di Secret 102, Kendo 88 e 92 e Kenja 88. Quattro dei cinque modelli (escluso solo Kendo 92) sfruttano la nuova costruzione 3D Radius Sidecut che propone per la prima volta su un Völkl una geometria a tre raggi che si estendono per tutta la lunghezza dello sci. Il raggio maggiore nella punta e nella coda garantisce una sciata tranquilla in presenza di alta velocità e di condizioni difficili della neve e soprattutto nel fuoripista assicura una buona resistenza alle vibrazioni. Il raggio minore al centro dello sci fornisce sostegno in caso di sciata moderata e maggiore adattabilità nei passaggi stretti, nei quali sono essenziali rapidi cambi di direzione: boschi e canaloni. Le due tecnologie Titanal Frame e le Carbon Tips sono invece integrate su tutti gli sci. Il Titanal Frame ha la forma di un telaio in titanio dello spessore di 0,7 mm sui lati della punta e della coda, per garantire stabilità e assorbimento delle vibrazioni proprio nei punti maggiormente sollecitati. In prossimità dell’attacco la piastra di titanio è di soli 0,3 mm, per garantire la tenuta delle viti degli attacchi ma al tempo stesso avere uno sci più morbido al centro. Le Carbon Tips assicurano il comportamento preciso e diretto della punta, soprattutto nell’innesto della curva, con un peso minimo. www.volkl.com

VERSATI LI TÀ VTA 88 / Qual è il criterio più importante per uno sci da skialp? Il peso? La prestazione in salita? Le qualità in discesa? Il comportamento nelle condizioni meno ideali? La risposta degli ingegneri Völkl quando hanno progettato il VTA 88 è stata: tutte queste cose! Un modello con rocker in punta che non delude mai grazie al rivestimento superiore ICE.OFF posto sopra il Power Shell, all’anima in legno Tourlite e al rapporto molto equilibrato prestazioni-peso.

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Il Titanal Frame ha la forma di un telaio in titanio dello spessore di 0,7 mm sui lati della punta e della coda, per garantire stabilità e assorbimento delle vibrazioni

KENDO 88

M A NT R A 1 0 2

R AG G IO 129_88_111

R AGGI O 1 40 _10 2_1 23

LUN G H E Z Z A ( R AG G IO ) 1 6 3 ( 1 5 .0 ) 1 7 0 ( 1 6 .8 ) 1 7 7 ( 1 8 .6 ) 1 8 4 ( 1 9 .8 )

LU N GH E ZZ A ( R AGGI O) 1 70 (18 . 1) 1 77 (20 . 1) 1 84 (21 . 4) 1 91 (23 . 5)

TE C N O LO G IA T i t anal Frame 3 R ad i u s S i d e c u t Carb on T i p s Fu ll S i d e wall B ase : P-Tex 2 1 0 0

T E CNOLOGI A T i t a n a l Fra m e 3 R a d i u s S i d ec u t Carbon Tips Fu ll S i d ewa ll B a s e: P -Tex 2 10 0

AN IM A A n i ma i n le g n o mu lt i st rat o

ANIMA A n i m a i n l eg n o m u l t i s t ra t o

In prossimità dell’attacco la piastra di titanio è di soli 0,3 mm

Il raggio maggiore nella punta e nella coda garantisce una sciata tranquilla in presenza di alta velocità e di condizioni difficili della neve e soprattutto nel fuoripista assicura una buona resistenza alle vibrazioni.

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SALOMON QST 106 OBIETTIVO + MAGGIORE RIGIDITÀ , AMMORTIZZAZIONE E FACILITÀ DI MANOVRA : TRE OBIET TIVI NON SEMPLICI DA OT TENERE NELLO STESSO SCI Non è semplice migliorare un prodotto già buono. Ma quando come testatori hai Stan Rey, Chris Rubens o Cody Townsend il lavoro diventa meno difficile. Anche se le finalità del progetto per il nuovo sci QST 106 erano impegnative: rendere l’all mountain della casa di Annecy più rigido, ammortizzato e facile da manovrare. Presi singolarmente sono tre obiettivi relativamente facili da raggiungere, ma realizzarli contemporaneamente ha richiesto l’applicazione di una serie di nuove tecnologie. Per aumentare la rigidità, il nuovo QST si avvale di un rinforzo in carbonio con tecnologia C/FX, con il doppio del carbonio rispetto ai suoi predecessori. Per una migliore ammortizzazione, gli ingegneri Salomon hanno utilizzato un inserto in sughero che ha un livello di assorbimento delle vibrazioni superiore rispetto al Koroyd, l’inserto spesso utilizzato in molti sci e nelle precedenti versioni. In ultimo, la forma è stata rielaborata alle estremità (punta e coda) in modo che lo sci sia più sciancrato e quindi più manovrabile. Per equilibrare l’aggiunta di carbonio, lo sci presenta uno strato in basalto in grado di ammortizzare e assorbire le vibrazioni in modo incomparabile. L’integrazione dell’esclusiva tecnologia Cork Damplifier di Salomon, in punta e coda, conferisce stabilità per maggiore sicurezza durante la sciata. Il risultato? Attraversa la neve fresca, incide la neve ghiacciata e conquista i pendii più scoscesi senza esitazione. Oltre al 106 la gamma prevede 88, 92, 99 e il big fat 118. La sua morte? Con l’attacco S/LAB Shift MNC.

LO SCA RP ONE Il migliore abbinamento per QST è lo scarpone S/LAB MTN. La nuova scarpetta Freetouring avvolge perfettamente il piede, mentre una nuova costruzione in schiuma garantisce una calzata aderente. Per liberare potenza nella discesa, il sistema in carbonio Surelock permette di passare agilmente da salita a discesa mentre il perno oversize garantisce supporto laterale e trasmissione degli impulsi. Pesa meno di 1,6 kg e ha un raggio di inclinazione di 47°. Il Custom Shell HD consente di personalizzare in modo rapido la vestibilità: il processo dura solo 10 minuti.

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M ATER I AL I / P R EV I EW 2 0 2 0

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Sia sul modello Backland Carbon che sul Carbon Pro da donna lo snodo Frictionless Pivot è stato studiato per migliorare ancora le doti di mobilità in fase di camminata.

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ATOMIC REINVENTA IL BACKLAND TUT TO NUOVO LO SCARPONE DA SKIALP DEL MARCHIO AUSTRIACO, CHE ORA HA ANCHE IL SISTEMA BOA

Come una scarpa da hiking  (1) Il DNA discesistico di Atomic è sempre stato un marchio di fabbrica dei Backland, apprezzati però anche per praticità e rapporto peso-prestazioni in salita. Per il 2019/20 la casa di Altenmarkt punta su una ancora maggiore maneggevolezza e facilità d’uso e promette la sensazione di una pedula in salita.

Boa Fit System  (2) Il sistema di regolazione a manopola fa la sua comparsa anche sulle scarpe Atomic, con l’obiettivo di avvolgere uniformemente il piede e di rendere la regolazione veloce e pratica anche con i guanti.

Più alto  (4) Il gambetto è stato ampliato in altezza per supportare di più nella fase di trasmissione degli impulsi allo sci e la scarpetta Memory Fit 3D contribuisce ad aumentare quella sensazione di tutt’uno con lo sci.

Light  (3) La costruzione Prolite garantisce leggerezza e resistenza grazie alla struttura rinforzata nei punti più delicati.

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BLIZZARD ZERO G 95 LEGGEREZZA SENZA COMPROMESSI Testo di Piergiorgio Vidi Foto di Alberto Ferretto

LA CASA AUSTRI ACA HA RINNOVATO LA GAMMA DA SCIALPINISMO. ABBIAMO PROVATO IN ANTEPRIMA UNO DEI DUE MODELLI DA SKIALP TOURING

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Blizzard, la casa austrica controllata dal gruppo Tecnica, pur senza rinnegare il suo DNA votato alla fase di discesa con gli sci, crede sempre di più nello sci alpinismo, in tutte le sue sfaccettature, e ha investito molto nel progetto Zero G. La gamma di prodotti con questa sigla copre tutte le categorie dello skialp, dalla gara al touring, fino al freetouring, con quattro modelli e diverse larghezze a centro sci. Una linea che, se si esclude il collaudato Race, si presenta rinnovata nella stagione 2019/20. Pochi giorni prima di andare in stampa con questo numero della rivista abbiamo avuto la possibilità di provare in anteprima la linea rinnovata nella stagione 2019/2020, nello specifico lo Zero G 95, uno dei due modelli centrali (l’altro, votato allo skialp touring, misura 85 al centro) della collezione. Una volta messo ai piedi (in abbinata agli scarponi Tecnica Zero G Tour Pro) ci ha subito dato delle ottime impressioni sul terreno duro e compatto, dove tanti sci peccano di instabilità. Si può dire che è veramente piantato sulla neve come il suo predecessore, che ha avuto un buon successo negli ultimi quattro anni. Mantenendo alcune caratteristiche della serie precedente, i nuovi Zero G, sono stati alleggeriti ulteriormente di circa 50 grammi e resi molto più maneggevoli, adatti anche a sciatori meno esperti. Dopo averli utilizzati diversi giorni sulle nevi dure e compatte, lastroni ghiacciati e croste friabili, abbiamo voluto concludere il test cercando della bella neve fresca


e dei fuoripista. Arrivati a Ladurns in Valle di Fleres, abbiamo terminato i test con delle divertenti discese in fresca dove il Blizzard Zero G 95 testato si è comportato egregiamente, dimostrando carattere, ma rimanendo sempre facile nel farsi guidare, a velocità sia elevate che moderate. A conclusione di una gita impegnativa, quando la stanchezza nelle gambe si fa sentire, la struttura e le geometrie di Zero G permettono di scendere in sicurezza, senza senza affaticarsi troppo. Nelle salite anche tecniche come i classici canalini dolomitici, dove le inclinazioni del pendio superano i 30 gradi, lo sci testato, di lunghezza 178 cm, ha trasmesso impressioni positive sia sui lastroni compatti che in fresca. La maneggevolezza non è mai messa in discussione, sia in diagonale che nelle inversioni. Le pelli Blizzard, realizzate da Pomoca con l’abbinamento 70% sintetico e 30% Mohair, hanno garantito un ottimo compromesso di tenuta sulle nevi ghiacciate e di scorrevolezza su quelle abrasive. Il nuovo sistema di aggancio delle tessilfoca non ha mai dato problemi su nevi crostose, dove la punta spesso affonda, e con alcune pelli lo sgancio è particolarmente facile.

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A chi è rivolto Blizzard Zero G 95 è un modello da scialpinismo moderno, molto performante, adatto a tutti quegli sciatori che vogliono un buon compromesso tra peso in salita e performance degli sci in discesa, con una larghezza al centro che offre grandi vantaggi sia in fresca che su nevi crostose, favorendo il galleggiamento della spatola. È un attrezzo molto performante e permette un buon divertimento nelle più svariate condizioni di neve. Adatto a tutti gli sciatori che vogliono divertirsi nelle escursioni in montagna che spaziano da salite di poche centinaia di metri di dislivello fino ai classici 2.000 metri. Consigliato l’abbinamento con le pelli fornite dall’azienda per valorizzare l’apposita sede creata sulla punta dello sci.

Stefano Mantegazza di Blizzard con il nostro testatore Piergiorgio Vidi

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L E SSI CO CA R B ON D R I V E L’integrazione di una struttura in carbonio unidirezionale con un’anima ultraleggera in legno di Paulownia consente di ridurre il peso dello sci, garantendo struttura per la performance. La speciale geometria 3D assicura una rigidità torsionale e un flex ottimali. Il risultato è un livello di stabilità e controllo molto elevato. CA R B ON R E I NF ORCE M E NT Due strati di carbonio bidirezionale posizionati sotto gli attacchi per migliorare la tenuta e la rigidità torsionale. NU OVA COST R U ZI ON E ZE RO G Superficie di contatto prolungata che migliora la stabilità su ogni tipo di neve. Sidecut con raggio più ampio, più facile/ indulgente, specialmente in condizioni di neve variabile.

LA FAMIGLIA Z E RO G MODELLO

S C IAN C R ATURA R AGGI O P E SO

LU N GH E Z Z E

ZERO G 1 0 5

133-105-119 mm

23 m

1.530 gr

164-172-180-188 cm

ZERO G 9 5

127-95-111 mm

22 m

1.250 gr

164-171-178-185 cm

ZERO G 8 5

115-85-99 mm

21,5 m

1.100 gr

154-157-164-171-178 cm

ZERO G RAC E

98-65-78 mm

24 m

690 gr

161 cm

CA R LO SA M M A RT I NI / Product manager Blizzard «Abbiamo rinnovato Zero G 85, 95 e 105 con l’obiettivo di mantenere le ottime doti in discesa, in rapporto a un peso contenuto, soprattutto pensando al fine gita impegnativa, quando la stanchezza inizia a farsi sentire. L’obiettivo è stato raggiunto con l’evoluzione della tecnologia Carbon Drive, che prevede uno strato di carbonio unidirezionale sagomato 3D in punta e in coda e con l’utilizzo di legno leggero di Paulownia. I due inserti in carbonio bi-direzionale sotto puntale e talloniera dell’attacco garantiscono sicurezza e presa di spigolo. Gli Zero G sono leggeri in salita e ottimi in discesa, quello che mancava nello scialpinismo».

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M ATER I A LI / PR E V I E W 2020

MOVEMENT A PROVA DI TRIBE IL MARCHIO SVIZZERO È UNO DI QUELLI CHE HA SEGNATO LO SCIALPINISMO E IL FREETOURING MODERNO E PER LA PROSSIMA STAGIONE PROPONE UNA COLLEZIONE MOLTO AMPIA . APPROVATA DA ALCUNI DEI PIÙ FORTI SKIALPER, FREERIDER, FREESTYLER E ALPINISTI

© Movement / Eric Gachet


In Movement la chiamano tribe ed è l’insieme degli atleti e professionisti che contribuiscono a sviluppare e testare i prodotti del marchio svizzero della mela. Ed è una vera e propria top tribe. A partire dal freerider Aurélien Ducroz, passando per gli skialper Yannick Ecoeur, Valentin Favre, Severine Pont-Combe, Filippo Barazzuol, Christophe Sauser, per gli alpinisti Hervé Barmasse, Denis Trento, Caroline Gleich, Mathieu Maynadier e per i freestyler Sampo Vallotton e Thibault Magnin. Ecco perché, in ognuno dei tanti segmenti del mondo della neve, Movement propone sci approvati dai migliori interpreti della disciplina. Per il 2019/20 a catalogo ci sono ben 9 linee: Revo, Icon, Go, Fly Two, Apple, Vertex, Session, Race Pro e Alp Tracks. Tralasciando Revo, che propone attrezzi all mountain piste, lontano dai temi trattati da Skialper, con la gamma Icon si entra nel mondo all mountain puro, mentre Go e Fly Two sono attrezzi da big mountain, con Go più orientato a uno stile tradizionale e Fly Two alle nuove scuole stile freestyle. Il mondo del touring classico è presidiato da ben quattro gamme: Apple, Vertex, Session, Alp Tracks, mentre gli attrezzi più larghi di Vertex, Session e Alp Tracks sono spendibili in chiave freetouring. Non manca il segmento performance (allenamento e gare) che vede nei leggerissimi Race Pro i migliori interpreti.

Go È lo sci di Aurélien Ducroz e ora tutti gli attrezzi di questa gamma hanno una nuova costruzione leggera con lastre di titanal. Parole chiave: stabilità, comfort, precisione. Si parte da una larghezza al centro di 100 mm (anche in versione donna) per salire fino a 106, 109 e 115.

Fly Two Salti, backflip, discese giocose nella powder: sono il pane di questi attrezzi pensati per divertimento e polivalenza. Solida costruzione CTS Performance che combina sandwich con fibre di vetro e carbonio. Tre larghezze al centro: 95, 105 e 115 mm.


Apple Lo sci facile da manovrare in ogni situazione, polivalente, solido e leggero allo stesso tempo, grazie anche all’inserto ABS Sidewall della costruzione CTS Light. Due larghezze al centro: 80 (anche junior e donna) e 65 (anche donna), più votato allo speed touring. Pesi da 200 a 400 grammi circa sopra il chilo nella versione 80 da uomo, 770 grammi per il 65.

Vertex Per chi cerca la progressione e la polivalenza in alta montagna, grazie anche alla costruzione a due strati di carbonio. Due larghezze al centro: 84 (anche donna) e 94 mm. Peso da 1.250 a 1.400 grammi per il più stretto e da 1.400 a 1.550 per il più largo.

Session La gamma più polivalente, ideale per lo skialp tradizionale e il freetouring. Sfrutta la tecnologia costruttiva a cinque strati di carbonio per ottenere allo stesso tempo leggerezza, robustezza e potenza. Tre larghezze 85, 89 (entrambe anche in versione femminile) e 98 mm. Peso da 1.090 da 1.170 grammi del più corto degli 85 da uomo a 1.600 grammi del più lungo dei 98.

Race Pro La gamma destinata esclusivamente all’agonismo, con materiali che puntano su leggerezza e stabilità. La costruzione Full Carbon è top secret. Larghezze al centro 66 (anche donne), 71, 77 e 85 e pesi che vanno da 650 grammi (66 da uomo) a 990 grammi (85 al centro nella misura più lunga, 177 cm).

Alp Tracks Sono gli sci premium, che uniscono il meglio del know-how Movement. Costruiti in gran parte a mano, sono attrezzi molto sofisticati, per veri intenditori. Disponibili nelle larghezze 85 (anche donna), 89, 94, 100 e 106 mm. I pesi vanno da 950 grammi del più corto 85 a 1.400 del più lungo 106.

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N ON SOLO SCI Movement propone anche una gamma completa di scarponi. Si parte dal top di gamma Carbon Pro, con gambetto in carbonio e scafo in Grilamid (899 gr), per competizioni e speed touring. Ci sono poi i Performance (anche da donna, Grilamid, 1.200 gr) indicati per lo ski touring classico, i Freetour (uomo e donna, Grilamid caricato carbonio, gambetto solo Grilamid versione femminile, 1.290 gr), gli Explorer (uomo e donna, Grilamid con gambetto in PU Tech, 1.300 gr), per uno scialpinismo che bada maggiormente al comfort che alla prestazione.

www.movementskis.com


M AT E R I A LI / PREVIEW 2020

ATK BINDINGS IL TOURING SI CHIAMA RT 10 E RT 8 DUE NUOVI AT TACCHI PER LO SKIALP TRADIZIONALE FIRMATI DALLA CASA DI FIORANO MODENESE

ELASTIC RESPONSE SYSTEM® ––Garantisce il flex naturale dello sci, anche in caso di grandi salti/compressioni. ––Prestazioni di sgancio migliorate in caso di forti sollecitazioni del sistema. ––Carichi ridotti sul sistema sci-scarpone-attacco.

NUOVO ALZATACCO MAGNETICO 3 Posizioni di camminata

Il celebre attacco touring RT di ATK si rinnova per rimanere leader del segmento. Gli obiettivi progettuali erano la leggerezza (260 gr), la performance in sciata, il comfort di utilizzo e il design esclusivo. Le principali novità di RT10 riguardano la talloniera, con l’introduzione di uno ski-brake posteriore (75, 86, 91, 97, 102, 108, 120 mm) che segue la linea tracciata da Crest, e un nuovo alzatacco magnetico. RT8 ha un differente range di sgancio regolabile sulla talloniera con valori 3-8 invece di 5-10 e una colorazione alternativa. Quest’ultimo è indicato per scialpinisti avanzati con un peso totale (attrezzatura inclusa) inferiore ai 70 kg. I materiali utilizzati per entrambi sono Alu 7075, acciaio inossidabile e lega POM. www.atkbindings.com

CAM RELEASE SYSTEM® ––Garantisce la migliore performance di discesa sul mercato con una consistente riduzione della torsione dello scarpone in rapporto a qualsiasi altra talloniera tech. ––Performance di sgancio estremamente precisa. ––Garantisce lo step-in della talloniera più morbido del settore. ––Dimensioni estremamente contenute che garantiscono una leggerezza strabiliante.

SLITTA DI REGOLAZIONE: 20 mm

NUOVO SKI-BRAKE POSTERIORE Gamma di misure disponibili più ampia: 75, 86, 91, 97, 102, 108, 120 mm

U.H.V.® SYSTEM ––Compensa l’usura negli anni dell’inserto anteriore dello scarpone. ––Fornisce una forza di chiusura adeguata ad ogni utente (più morbido per gli utenti più leggeri, più rigido per quelli potenti). ––Riduce le pressioni inutili sul meccanismo di blocco.

EASY ENTRY SYSTEM® Uno step-in estremamente semplice, immediato e sicuro, disponibile con tutti gli scarponi tech di ultima generazione, anche in caso di suole usurate.

MONOLINK® TECHNOLOGY Riduce il peso di circa 2,5 grammi per ogni puntale e incrementa la rigidità: minor pressione sul sistema di bloccaggio con miglioramento di performance e comfort.

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M ATER I A LI


SALEWA PROGRESSIVE MOUNTAINEERING IL MARCHIO DELLE DOLOMITI GUARDA ALL’ALPINISMO DEI MILLENNIALS CON DUE CAPI INNOVATIVI E L’AMBIZIONE DI RIDEFINIRE IL CONCET TO DI SPORT IN MONTAGNA «Mi vesto a strati da sempre, anche arrampicando sulle grandi pareti dolomitiche come le Nord delle Tre Cime di Lavaredo. In realtà, va sempre a finire che mi devo fermare per togliere o aggiungere qualche strato, perché il meteo e la temperatura variano parecchio durante una giornata in parete. Questa operazione non è comoda né facile quando sei legato e indossi un imbraco. Ma è anche peggio quando arrampichi in free solo. Oltre a questo, ogni strato in più è tutto peso e volume che devo portarmi nello zaino». Parola di Simon Gietl. Dalla primavera 2019 però Salewa ha ridefinito il concetto di arrampicata e alpinismo con due capi che vengono incontro all’esigenza di avere tutto in uno. La nuova Agner Durastretch Dry Jacket è una giacca versatile che da sola svolge e rimpiazza le funzioni di più di due strati - intimo tecnico, strato isolante e guscio antivento resistente all’acqua. Dalla base della parete fino alla vetta un unico capo, leggero e resistente, per proteggersi dal vento, dalle temperature più fresche e anche nel caso in cui dovesse arrivare qualche goccia di pioggia. Non servono più la t-shirt da climbing e il fleece. La nuova Agner Hybrid Down Jacket invece è la soluzione sviluppata da Salewa per isolare in modo intelligente dal freddo durante l’arrampicata alpina. Con questa giacca ora gli scalatori esperti come Simon non si devono preoccupare di raffreddarsi durante le soste o di avere troppo caldo mentre arrampicano.

AGNER DU RAS TRETC H DRY JAC KE T Realizzata in Durastretch Dry, innovativo tessuto softshell traspirante che può essere indossato direttamente sulla pelle, come un intimo tecnico. La superficie interna è leggermente spazzolata, per offrire protezione dal freddo quando le temperature calano e durante le soste per fare sicurezza. La tessitura intrecciata ad alta densità crea una barriera che protegge dal vento e resiste anche alla pioggia leggera, rendendo superfluo l’utilizzo di un guscio antivento, ma lascia passare l’aria calda e umida in eccesso evitando di avere troppo caldo durante i tiri più impegnativi. Un solo capo innovativo che svolge da solo la funzione dei classici tre strati.

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Q&A

DENNIS HINZE Salewa Creative Director COME SARÀ IL FUTURO DELLO SPORT IN MONTAGNA?

«Sarà sempre più influenzato dal modo di pensare dei millennials, che amano praticare le attività in modo differente rispetto al passato. Una volta uno skialper era uno skialper, un alpinista un alpinista e un mountain biker un mountain biker. Oggi può succedere che la mattina si faccia speed hiking per tenersi in forma e il pomeriggio si vada a fare skialp o arrampicata. È questo il futuro della montagna: il progressive mountaineering. Una volta si andava sull’Everest per tentare di scalarlo e magari non si tornava indietro. Oggi questa nuova generazione di alpinisti va in montagna per divertirsi, sempre con in testa un obiettivo, ma l’elemento del divertimento è più importante». COME CAMBIANO I CAPI DI ABBIGLIAMENTO PER ASSECONDARE QUESTA TENDENZA?

«Per i brand è una nuova sfida. La performance rimane un elemento necessario ma non sufficiente. Noi stiamo assistendo a una nuova forma di espressione dello sport, che vogliamo contribuire a ridefinire, rendendo la montagna sexy, se mi passate il termine. Questo è un processo che, si badi bene, non è moda. Non è un fenomeno di lifestyle urbano, ma è funzionale alle attività da vivere in montagna». COME SI FA A RENDERE SEXY L’ALPINISMO?

«Combinando il meglio di due mondi. Quello tradizionale dell’alpinismo, ma anche quello atletico del climbing e dell’abbigliamento da training. Con i dovuti distinguo, sta succedendo quello che è successo anni fa nel calcio: da sport in bianco e nero per giocatori poco attraenti, a mondo multicolore e con prodotti di tendenza per giocatori affascinanti e sempre sotto i riflettori. I prodotti sono sempre più tecnici e performanti, non solo in termini di immagine, ma anche con un appeal differente».

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ZAINO APEX WALL ––Sistema di trasporto Contact Flow Fit ––Spallacci sdoppiati Split Shoulder Strap ––Chiusura superiore roll-top di regolazione del volume ––Tessuto ROBIC® ad alta tenacità ––Sistema di fissaggio della corda a una mano con fibbia magnetica ––Imbottiture della fascia lombare removibili ––Agganci laterali per gli sci ––Cinghie di controllo del carico ––Cinghie laterali di compressione ––Aggancio per piccozza e bastoncini ––Tasca frontale ––Tasca superiore ––Tasca interna per i valori ––Uscita del sistema di idratazione ––ISB Board ––Cerniera laterale di accesso ––Fischietto di sicurezza ––Anello portachiavi ––Volume: 32 l / 38 l ––Peso: 950 gr (680 gr) / 1.040 gr (770 gr) ––Prezzo: 150 / 160 €

AGNER HYB RID D OWN JAC K E T ––Torace, schiena e spalle sono protette da un’imbottitura in piumino 90/10 (750 fill power) ––Le altre aree, meno soggette al freddo e dove è importante che non sia limitata la libertà di movimento, sono in Durastretch, un softshell leggero, 4 way stretcth, per non limitare i movimenti in arrampicata, e resistente alle abrasioni sulla roccia ––Gli scomparti che ospitano il piumino non sono cuciti ma saldati: in questo modo nello spessore della saldatura possono essere praticate delle micro perforazioni che consentono un ricambio d’aria; il cappuccio in tessuto sottile può essere indossato sotto il casco da arrampicata per mantenere la testa protetta dal vento e dall’aria fredda ––Peso (44/38): 276 gr ––Prezzo: 220 €

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M ATER I A LI

FISCHER, LA FAMIGLIA TRAVERS SI ALLARGA LA FILOSOFIA ‘ MAXIMUM FIT, MINIMUM WEIGHT ’ DELLA LINEA DI SCARPONI DA SCIALPINISMO DELLA CASA AUSTRIACA SU DUE NUOVI MODELLI

Si chiamano Travers CC e Travers TS e sono le due novità in casa Fischer per il 2019/20. Il Travers CC diventa a tutti gli effetti il top di gamma della collezione, dedicato agli sciatori che cercano leggerezza dalla propria attrezzatura e puntano a una dimensione veloce della disciplina, ma non vogliono rinunciare a performance e controllo in discesa. Si caratterizza per lo scafo in Grilamid e il gambetto cento per cento carbonio, che garantisce massima efficienza nella fase di risalita, grazie alle ottime capacità di trasferimento dell’energia. La particolare costruzione dello scafo, specifica per lo scialpinismo, offre libertà di movimento in modalità walk, anche grazie all’ampio angolo di rotazione di 80°. La costruzione molto leggera di tutto lo scarpone permette agli sciatori una migliore spinta progressiva, mentre il sistema di chiusura Boa Performance Fit garantisce una vestibilità ottimale. Stabilità e performance al top in discesa grazie al già citato gambetto in carbonio e all’inserto in Aramid posizionato all’interno della suola, che conferisce la rigidità torsionale necessaria per un completo controllo della sciata, anche sui pendii più veloci. Altro nuovo membro della famiglia è il Travers TS, un modello orientato alla dimensione più classica dello scialpinismo: tour giornalieri dove comfort e stabilità sono le principali necessità dello sportivo. Gambetto e scafo in TPU e fit avvolgente grazie al sistema di chiusura Boa. L’angolo di rotazione di 80° migliora la libertà di movimento e l’efficienza in salita, la scarpetta interna personalizzabile sull’anatomia del proprio piede rende facili e veloci le manovre di ingresso e uscita dallo scarpone. www.fischersports.com

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T R AV E R S CC

T RAV E RS T S


TREKKING ARRA MPIC ATA ALPINISMO SC I LAB ORATORI S C I B OOT FIT TING

Fraz. Montestrutto S.S. 26, n. 76 10010 Settimo Vittone T / 0125 659103 info@xlmountain.it www.xlmountain.it


M ATER I A LI / PR E V I E W 2020

SKI TRAB CON MAGICO.2 E MISTICO.2 ARRIVANO EMOZIONI E CONTROLLO LA MAISON DI BORMIO PUNTA SU DUE AT TREZZI PENSATI PER FACILITARE LA SCIATA E AIUTARE LO SCIATORE SU TUT TE LE NEVI

Different styles, one goal: emotion and control. Diversi stili, obiettivo comune: emozione e controllo. Sono queste le premesse che hanno portato alla realizzazione di Magico.2 e Maestro.2, le principali novità firmate Ski Trab per la stagione 2019/20. Un obiettivo per certi versi rivoluzionario per la casa di Bormio, perché sovverte due capisaldi della filosofia Trab: sci molto tecnici, per sciatori ‘veri’ e sempre più leggeri. «Veniamo da attrezzi tecnici, l’obiettivo è realizzare uno sci che soddisfi lo sciatore, ma soprattutto che faciliti il difficile; nel nuovo progetto non si è scesi nel focus di ulteriore alleggerimento (Ski Trab è già leader della leggerezza) ma gli sci sono stati pensati per un miglioramento importante della prestazione» dice Adriano Trabucchi. Different styles vuol dire saper sciare con stili e impostazioni diversi su nevi e pendii diversi. «Abbiamo lavorato alla sviluppo con tutto il nostro team di skitrabbers unendo anime diverse, ex atleti come Lorenzo Holzknecht, oggi Guida alpina e maestro di sci, o Mathéo Jacquemoud, anche lui Guida alpina, atleti come

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Robert Antonioli o Laetitia Roux, ma anche freerider del calibro di Bruno Mottini e Giuliano Bordoni ed ex atleti dello sci alpino come Wolfgang Hell». Una sintesi non semplice in partenza, per la quale in Ski Trab hanno fatto affidamento sui punti forti della loro filosofia: costruzione a 14 strati e un’anima in aramide abbinata a legno duro di frassino e legno leggero. «Si è intervenuti su altro, dallo shape all’assetto» aggiunge Adriano Trabucchi. Il primo step è stata una riflessione sui punti di contatto dello sci con la neve, che sono stati arretrati per facilitare l’ingresso in curva. «Ma è anche l’assetto a fare la differenza» conclude Trabucchi. Ed ecco che si è lavorato sulla combinazione tra raggi e flex, perché quando lo sci è più morbido, il raggio lavora di più. Last but not least, la centralità non è un’opinione: attacco montato un po’ più avanti e ammorbidimento dello sci poco dietro l’attacco, dove si carica molto. Uno per tutti, tutti per uno, alla ricerca di emozioni e controllo. www.skitrab.com


Dall'alto in senso orario: Bruno Mottini, Giuliano Bordoni, Laetitia Roux e Wolfgang Hell

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DI AMO I NUMERI Maestro.2 sarà disponibile in quattro misure (157, 164, 171 e 178 cm). Nella misura 171 pesa 973 grammi e ha una sciancratura 108-76-94 millimetri. Magico.2 sarà disponibile nelle stesse misure e peserà 1.055 grammi nella lunghezza 171, che ha sciancratura 116-85-104 millimetri.

Il punto di contatto è stato avanzato

Il punto più largo è stato spostato in avanti rastremando l’estremità

Il raggio posteriore è di 24 m

La tecnologia Control Flex interviene sull’assetto facendo lavorare meglio i raggi grazie a un flex più morbido (fino al 30% nella parte anteriore e posteriore dello sci) mentre al centro lo sci ha valori elevati di rigidità torsionale. Tutto questo si traduce in maneggevolezza e facilità di utilizzo su tutte le nevi, ma anche presa di spigolo nelle situazioni più difficili.

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Il montaggio dell’attacco è stato spostato in avanti di 2,5 cm per migliorare la centralità e il controllo della sciata.

Il raggio centrale è di 21 m


«L’OBIETTIVO È REALIZZARE UNO SCI CHE SODDISFI LO SCIATORE, MA SOPRATTUTTO CHE FACILITI IL DIFFICILE» — Adriano Trabucchi

Il punto di contatto anteriore sulla neve è stato arretrato

Il punto più largo della punta è stato avanzato

Il raggio anteriore è di 17 m

A R A M I D E F OR E V E R L’Aramide è una fibra sintetica utilizzata in aeronautica per le sue incredibili doti di leggerezza e resistenza. L’anima alveolare rappresenta il miglior rapporto forza/leggerezza sul mercato. Ha una densità di 70 kg/m3 e una resistenza alla compressione pari a 10 MPA. Il legno leggero utilizzato nella costruzione Ski Trab ha densità di 270-300 kg/m3 e valori di compressione di 18 MPA e viene abbinato al Frassino (600-700 Kg/m3 e 30 MPA).

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555 grammi, è uno dei modelli ramponabili con i semi-automatici più leggeri presenti sul mercato Premiata con l’Outdoor Industry Award alla fiera Outdoor 2018

La tecnologia Contact Control® prevede un inserto in carbonio nell’intersuola, per rendere più rigida la struttura nonostante la leggerezza e un grip più preciso in arrampicata

MAMMUT TAISS LIGHT GTX ESSENZIALE LA NUOVA SCARPA PER ARRAMPICATA MULTIPITCH, FERRATE, ALPINISMO CLASSICO, MISTO E SU GHIACCIO SARÀ DISPONIBILE DALLA PRIMAVERA 2019 www.mammut.com

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Grazie alla tecnologia Mammut Georganic 3D il taglio tridimensionale della scarpa è stato sviluppato direttamente attorno alla morfologia del piede per un fit naturale e un comfort migliore

Tomaia in Micro Fiber Racing, Schoeller Soft Shell, Ripstop Textile & Mesh Protection

Suola Vibram Litebase, più sottile e allo stesso tempo leggera


M ATER I AL I 1

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SKIALP & FREETOURING STILE VAUDE ABBIGLIAMENTO CHE PUNTA SU PRATICITÀ E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E ZAINI PER LE ESCURSI ONI CON LE PELLI (E NON SOLO) STUDIATI NEI MINIMI DET TAGLI. COME SI ADDICE A UN PRODOT TO TEDESCO

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Back Bowl 3in1 jacket  (1) Ecosostenibile sotto ogni aspetto e garantita Green Shape, questa giacca per lo scialpinismo è composta da tre strati che la rendono impermeabile, antivento ed estremamente traspirante per le lunghe salite in vetta. È ideale per le giornate di neve fresca grazie ai tanti dettagli, come la ghetta per non fare entrare la neve in vita e le comode tasche strategiche per tutti gli accessori da tenere a portata di mano. Costa 435 €. Back Bowl pants II  (2) I Back Bowl Pants si abbinano alla giacca e hanno un taglio largo e una piccola percentuale di Elastan nel tessuto esterno in poliammide che accentua la libertà di movimento. Le lunghe zip di ventilazione e la membrana altamente traspirante Ceplex Pro garantiscono una migliore regolazione della temperatura corporea. Protezioni in Cordura a prova di lamine degli sci. Costa 325 €.

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Rupal 35  (3) Disponibile in versione uomo e donna, è un versatile compagno di viaggio per alpinisti e skialper, robusto e idrorepellente; dispone di diversi scomparti per separare la sacca idrica dal kit di sicurezza, porta corda, ramponi, piccozza e sci. L’etichetta Green Shape ne garantisce il basso impatto ambientale. Prezzo: 155 €. Asymmetric 38+8  (4) A prova di trekking invernale. Tra i vari accessori un portacartina, le due tasche esterne reticolate, le cinghia di compressione in alto e a lato, gli anelli porta-attrezzi, i supporti per i bastoni, il foro per integrare la sacca idrica e la cintura pettorale con fischietto per le emergenze. Disponibile anche in versione donna, fa parte della linea eco Green Shape e costa 155 €.

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HAGAN

© hagan-ski.com/stefanleitner.com

DA 95 ANNI PER GLI SCIALPINISTI DAGLI SCIALPINISTI B OOST: P E R I F R E E -TOU R E R La tua visione dello sci prevede prime linee, powder e carvate? Gli sci giusti sono quelli della serie Boost. Nuovi modelli: Boost 99, Boost 94 e per i bambini i Boost JR.

IL BRAND AUSTRIACO FONDATO NEL 1924 PROPONE DIVERSE NOVITÀ PER LA STAGIONE 2019/20 Sono ancora pochi, pochissimi, i marchi del mondo dello sci a conduzione familiare e Franz Siegesleuthner, nipote del fondatore, insieme a sua moglie Alexandra, rappresenta la terza generazione della famiglia Hagan. «Da 95 anni il nostro cuore batte per la montagna e abbiamo trasmesso questa passione ai nostri prodotti fin dall’inizio» spiega il general manager di Hagan Ski. Il focus per la stagione 2019/20 è su attrezzature che fanno dell’essenzialità, affidabilità e alta qualità le loro doti migliori. E naturalmente vengono provate sul campo da chi condivide la stessa passione dei fondatori di Hagan.

NOV I TÀ : 3 A N N I D I GA RA N Z IA STA N DA RD - 5 A N N I CON R EG I S T R A Z IO N E / Dall’inverno 2019 Hagan darà una garanzia di tre anni su tutti gli sci (tranne Ultra 65) che potrà essere estesa a cinque anni registrandosi su www.hagan-ski.com

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COR E : P E R GL I SCI A L P I NI ST I A M B I Z I OSI Gli obiettivi cambiano in una tranquilla gita, una haute route di rifugio in rifugio o la salita e discesa di una vetta con ingaggio alpinistico. Per curve diverse in neve diversa ci sono i Core, sci all round per scialpinisti ben allenati. Nuovi modelli: Core 89, Core 84, Core Lite 84.

P U R E : LO SKI A L P I N CON T R A L A P I STA Fuoripista, in pista o entrambi, a volte vai a sciare qui, a volte lì. Vuoi solo uscire, stare nella natura, goderti il paesaggio ​​ invernale, ma soprattutto passare dei bei momenti montagna. Per questo Hagan ha messo insieme le caratteristiche di uno sci da scialpinismo con quelle essenziali dell’alta gamma in un modello perfetto per una salita piacevole e soprattutto per una discesa indimenticabile. Nuovi sci: Pure 87, Pure 83, Pure 75.


M ATER I AL I / P R EV I EW 2 0 2 0

I NUOVI VERTICAL AVRANNO UN’ANIMA MISTA PAULOWNIA/POLIURETANO E ANCHE LA SPATOLA SARÀ IN PU Testo e foto di Federico Ravassard

DYNASTAR PUNTA SULL’HYBRID CORE M

ade in Mont Blanc Valley. Ormai l’immagine alpinistica di Chamonix è diventata pressoché un cliché abusato dai marchi dello sci di montagna, come se la relazione con questi luoghi dovesse essere un dogma imprescindibile. Nel caso di Dynastar, però, questa frase scritta sui fianchi dei loro sci è più che giustificata, essendo effettivamente progettati e costruiti a Sallanches, in uno stabilimento da cui la vetta del Monte Bianco è perfettamente visibile dal parcheggio. Lo stesso profilo che è poi riportato nel logo del marchio francese, tra l’altro. Allo stesso modo, l’origine chamoniard si traduce nella loro produzione, affinata grazie alla collaborazione di sciatori locali come l’asso della pente raide Vivian Bruchez, ultimo erede della vecchia scuola in cui, alla velocità, si predilige la tecnicità degli itinerari in angoli di Monte Bianco decisamente poco battuti. Contemporaneamente il marchio transalpino pone il focus sul termine Alive, riferito a quella sensazione che chi scia ben conosce già, quel piacere dato dal sentire le lamine mordere la neve in entrata di curva e il ponte spingere sotto il piede quando la si chiude. Proprio Bruchez è stato sviluppatore e primo fruitore della nuove linee Vertical e Mythic, che dall’anno prossimo saranno rinnovate nell’anima. No, non quella metaforica, ma proprio quella dello sci: il consueto nucleo in Paulownia verrà racchiuso in due fette di poliuretano, in una costruzione denominata Hybrid

Core e che verrà adottata anche sulla collezione da pista. Questo materiale, infatti, garantisce un elevato potere ammortizzante (ad esempio, viene impiegato nella suola di alcune scarpe da trail) senza andare a neutralizzare la forza elastica del legno e del carbonio; in questo modo si dovrebbe riuscire ad avere assi energici e leggeri ma allo stesso tempo piacevoli da sciare anche su nevi dure e rigelate, la chimera dell’attrezzatura light di oggi. Sui Vertical, poi, l’utilizzo del poliuretano sarà esteso anche alla spatola, dove la sua leggerezza verrà sfruttata per alleggerire le masse e, di conseguenza, le vibrazioni, analogamente a quanto fatto da altre case con l’impiego di strutture alveolari. Simbolo della nuova collezione sarà il Vertical 82 Pro, utilizzato da Bruchez. Dalla scheda tecnica si capisce bene la sua visione di sci di montagna, fatta di grandi dislivelli e curve decise ma controllate: 82 millimetri al centro, 2.300 grammi al paio, un rocker appena accennato e 20 metri di raggio di curva. Tanto per dare un esempio, sono gli sci con cui, la scorsa primavera, ha percorso il mitico Nant Blanc all’Aiguille Verte con Paul Bonhomme, togliendosi pure lo sfizio di aprire una nuova variante nella parte bassa. Proprio l’itinerario che sembra spiegare al meglio la destinazione d’uso di questi Vertical, dedicati a chi macina ore di salita per andare a cercare rogne in discesa. Tranquilli, però, vi assicuriamo che si possono usare con piacere anche al di sotto dei 50 gradi di pendenza!

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V ETRI N A 2 0 2 0  ­— 1/2

11 NOVITÀ PER LA PROSSIMA STAGIONE INVERNALE 1

BLAC K C ROWS NAVI S FREEB IRD — Un nuovo sci nella linea touring della casa francese: 1.700 grammi x 102 mm al centro. Costruzione semi cap con Pioppo, Paulownia, fibre di vetro e di carbonio. Quando si parte?

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B LAC K C ROWS F E ROX F R E E B IR D — Sempre nella linea touring, 1.800 grammi x 110 mm al centro. La costruzione è 3D semi cap con Pioppo, Paulownia, fibre di vetro e carbonio. Per rimanere sempre a galla.

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K2 M I ND B E N D E R — Il nuovo sci da freeride della casa americana, senza compromessi. Due diverse costruzioni, con titanal e fibre di carbonio a diverso orientamento, sci per uomo e donna da 85 a 116 sotto il piede, abbinati a scarponi da 90 a 130 di flex. L’attrezzo dei sogni?

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SCOT T SP E E D GU I D E 8 9 — Sciancratura progressiva per facilitare inizio e fine curva, leggerezza e la concretezza del woodcore abbinato al laminato di carbonio per questo attrezzo da 89 al centro, perfetto per la salita e affidabile in discesa. The next step.

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A R M A DA D E CL I VIT Y X — Dai consigli di Tof Henry nasce lo sci perfetto da ripido. Testato a Chamonix, leggermente rockerato, con l’anima in legno di Carrubo in grado di garantire la giusta forza e resistenza combinate a un’ottima agilità e manovrabilità in qualsiasi condizione di terreno. Paura.


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FRITSC HI X EN IC 1 0 — Solo 280 grammi per il nuovo attacco della casa svizzera. Il puntale permette allo scarpone di muoversi lateralmente e previene il distacco involontario. Mettendo la talloniera in posizione alzatacco, lo ski stopper si blocca automaticamente. Swiss style.

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P LU M R 1 2 0 — R sta per Race e 120 sono i grammi del peso. Din 7 non regolabile, 100% made in France per questo piccolo bolide. Bello cattivo.

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P LU M SU M M I T 1 2 — Scialpinismo classico per questo attacco da 550 grammi con Din regolabile 5.5-12 e rail regolabile da 35 mm. Tre anni di garanzia. Skialp no problem.

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Giuliano Bordoni, Ph: Daniele Molineris

Borgo San Dalmazzo (CN) - Via Cuneo, 13 - Tel 0171.269309 - www.cavallosport.it - info@cavallosport.it


V ETRI N A 2 0 2 0  ­— 2/2

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S COT T PAT ROL E1 22 — Il più leggero airbag a ventola, con il collaudato sistema Alpride E1 a supercondensatori, pensato per il freeride e per ridurre al minimo ingombri e fardello. Pesa 1.280 grammi. Fast & light.

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TE C N I CA F ORGE C O N V I B R A M A RCT I C GR I P — Arriva la versione invernale del best seller Forge, la prima scarpa da trek­king (e non solo…) termoformabile, con membrana Gore-Tex e suola Vibram Arctic Grip, pensata per una perfetta aderenza su ghiaccio bagnato, il più insidioso. Ventosa.

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L A F U M A A P P E N NI NS CL I M M I D M — Il più famoso modello Lafuma torna con un rinforzo e una protezione maggiore alle caviglie. Pensate per affrontare tutti i tipi di terreni, dai percorsi innevati ai sentieri alpini. Tomaia in crosta di cuoio, suola Vibram, peso 450 gr.


Fabio Meraldi e Adriano Greco 1ST PLACE PIERRA MENTA 1989 Nelle prime gare di sci alpinismo utilizzavamo una semplice tuta da riposo di una società di Atletica, una normale tuta a 2 pezzi. Ognuno si arrangiava nel migliore dei modi con quello che aveva, le problematiche ovviamente erano moltissime. Un giorno, era il 1989, io e Adriano Greco, mio compagno di squadra storico, decidemmo di contattare Valeria per progettare una tuta da gara che avesse tutte le caratteristiche di cui avevamo bisogno. Valeria, che vedeva lontano, non esitò a darci supporto e iniziammo così lo sviluppo e la progettazione della prima tuta da skialp. Iniziò così la produzione e l’innovazione non solo della tuta, ma anche di tutto l’abbig liamento tecnico per lo sci alpinismo. Il vero primo passo per affrontare la montagna in un modo nuovo. Quel giorno, con la prima tutina da sci alpinismo, nasceva l’abbigliamento per lo skialp, e nasceva Crazy. Fabio Meraldi - 10 volte vincitore della Pierra Menta

Scopri la nuova collezione crazyidea.it


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SPEED + FREE + TOUR = MYTHIC LA GIACCA DI VERTICAL E LO ZAINO FREEALPER DA 40 LITRI PROPONGONO SOLUZIONI BEN STUDIATE PER RENDERE FACILE LA VITA DELLO SCIALPINISTA . LI ABBIAMO FAT TI PROVARE A LUCA POLO E MAT TIA TRESCA , SPEEDRIDER DI LIVELLO Foto di Stefano Jeantet


A B B I GL I A M E NTO M I T I CO

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he cosa c’è di meglio che fiondarsi giù dalla vetta del Monte Bianco a 120 chilometri all’ora abbinando qualche curva a qualche centinaia di metri in volo per testare un capo di abbigliamento per il freetouring? È quello che abbiamo fatto con Luca Polo e Mattia Tresca, speedrider valdostani, per provare la nuova giacca Mythic, i pantaloni Windy di Vertical e lo zaino FreeAlper 40L. Questa volta non siamo proprio saliti sulla vetta del Bianco, come hanno fatto loro nel 2014 quando hanno firmato la prima discesa in speedriding sul versante italiano, ma a Punta Helbronner con la funivia SkyWay e ci siamo divertiti salendo e scendendo in quota, in uno dei santuari mondiali dello speedriding. Un ambiente bellissimo anche per una gita con le pelli, per esempio alla Tour Ronde o all’Aiguille d’Entreves, che ci ha consentito di provare i capi in versione up & down e mettere alla frusta lo zaino.

Mythic di Vertical è una giacca pensata per lo scialpinista e il freetourer top. Quello che ama l’alta quota e cerca capi resistenti ma anche ben studiati, con tutto quello che serve, al posto giusto, e niente di più. La giacca Mythic MP+ è realizzata con un guscio esterno a tre strati 4 way stretch, reso impermeabile e traspirante grazie alla membrana MP+, un’esclusiva Vertical. Oltre a queste caratteristiche, per avere sempre sotto mano tutto, la Mythic Jacket ha un’ampia tasca posteriore e due sul petto, più piccole e con zip, una tasca sulla manica e una di sicurezza interna. I polsini sono elasticizzati e con passante per il pollice, le maniche con tecnologia 3D fit, per permettere una maggiore mobilità. Il cappuccio è regolabile. I pantaloni hanno le stesse caratteristiche di impermeabilità, resistenza e traspirabilità della giacca, numerose tasche con zip e la ghetta interna per impedire alla neve di entrare.

LO Z A I N O CH E R E N D E FACI L E L A V I TA Quaranta litri di capacità suddivisi in uno scomparto principale e una tasca di accesso di emergenza per il materiale destinato al soccorso in valanga. Sono questi i numeri di FreeAlper 40L, zaino da scialpinismo e alpinismo essenziale nelle linee e molto concreto. Le cinghie per fissare gli sci allo zaino sono facilmente regolabili, anche indossando i guanti, e permettono un doppio posizionamento dell’attrezzatura (in verticale oppure in diagonale). Ci sono poi anche delle cinghie laterali di compressione asportabili, per stabilizzare o comprimere il carico posto all’esterno dello zaino e uno scomparto con zip per i ramponi. Pesa 775 grammi ed è disponibile nelle taglie XS-S e M-L. Esiste anche una versione più piccola, da 30 litri e dal peso di 685 grammi.


La giacca Mythic MP+ pesa 945 gr e costa 369.95 € Il pantalone Windy pesa 730 gr e costa 300 € La colonna d’acqua della membrana MP+ è di 20.000 mm. Questo valore indica la pressione in millimetri oltre la quale il tessuto lascia passare l’acqua. Il valore di traspirabilità della membrana MP+ è di 30K, vale a dire 30 kg di vapore acqueo che possono passare attraverso un metro quadro di tessuto in 24 ore.

«Quando ci alleniamo di solito usiamo la tutina perché bottoni e passanti dei pantaloni dopo qualche ora di sforzo danno fastidio e premono sul corpo, invece questi pantaloni sembrano una seconda pelle, non danno mai fastidio. La giacca? Ogni cosa è a suo posto: tasche, prese di aerazione, cappuccio molto pratico. È più di un guscio, la indicheremmo soprattutto per la discesa, utilizzando un duvet o un Windstopper per salire, ma quando fa particolarmente freddo può essere utile anche per salire e le prese per l’aria sono ben studiate, come tutti i particolari di un capo resistente e molto pratico».

LO S PEEDRIDING NEL SAN G UE Luca Polo e Mattia Tresca con il volo e la montagna hanno un rapporto unico. Hanno iniziato a volare in parapendio alla fine del primo decennio del secolo e sono passati subito alla vela veloce dello speedriding, di cui sono stati tra i pionieri. Luca, che è anche Guida alpina e maestro di sci (Mattia ‘solo’ maestro) ha accompagnato alcuni mostri sacri della disciplina, come Antoine Montant e François Bon a scendere per la prima volta al mondo le Grandes Jorasses. Insieme a Mat-

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tia Tresca ha realizzato tre prime discese in speedriding: Monte Bianco versante italiano, lungo il ghiacciaio del Brouillard (2014), canale Marinelli al Monte Rosa (2014) e parete Est del Cervino (2015). Queste tre imprese sono al centro del bel film Speedriding 4.000. Nel 2016 un grave incidente mentre scendeva con la vela ha fermato Luca, che non si è perso d’animo ed è di nuovo pronto a volare come Icaro e sciare come Jérémie Heitz.


FreeAlper 40L pesa 775 grammi e costa 199 € Gli sci possono essere portati in verticale e in diagonale

«Con 40 litri non ti serve la velocità, ma la praticità sì e ci sono alcune soluzioni mutuate dal mondo racing che sono davvero utili, come per esempio il gancio ferma sci. Il portaborraccia sullo spallaccio è esemplare per stabilità e comodità, la parte inferiore del portasci rinforzata anti-lamine, l’inserto per bloccare la piccozza evita che il becco sporga e l’apertura a sacca, coperta poi dal telo superiore che si blocca con dei gancetti negli spallacci, molto pratica».

UN A VITA IN VE RT I CA L Nato nel 1984 in Francia, nell’ambito del marchio Francital, Vertical è stato fin da subito uno dei marchi di riferimento nel mercato francese dell’abbigliamento da montagna. Come molte storie di successo anche questo brand vede un uomo e la sua passione dietro alle soluzioni più innovative, Patrice Dheu. Dopo la sua morte (avvenuta nel 2006 a causa di un incidente alpinistico) Vertical viene acquisito da Béal e poi da Raidlight che dal 2016 è di proprietà del Gruppo Rossignol. www.verticalmountain.com

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SPEED TWIST BY AMPLATZ IL BASTONCINO CHE RISOLVE UN’ALTRA CHICCA DI DIEGO AMPLATZ PENSATA PER TUT TI: SCIATORI ED ESCURSIONISTI, VELOCI E CONTEMPLATIVI, ALPINISTI E RIDER

I MP U GNATURA : cilindrica prolungata in espanso a cellule chiuse ad alta densità CANNA: Ergal, fissa un pezzo, diametro ridotto MECCA NISMO SPEED TWIS T: sviluppo e realizzazione Amplatz / ATK P U NTA: Widia a scalpello P R EZ ZO: 109 € - offerta online 99 €

Testo di Guido Valota Foto di Alice Russolo Dimostratrice Marika Favè

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ochi particolari sono trascurati dallo sciatore come il bastoncino. Eppure il bastone comanda tutto quanto. È un anello cruciale della catena tecnica, detta i tempi, orienta in larga parte gli atteggiamenti del corpo sugli sci. Nel touring sugli sci o a secco è l’interfaccia tra gli arti superiori e il terreno in ogni fase, collabora decisamente alla progressione in salita, ed è un fattore di sicurezza. Un utilizzatore molto evoluto sa apprezzare anche la qualità della canna: stabilità, smorzamento, aerodinamica, roba per cui servono esperienza e sensibilità. Ma sicuramente tutti, anche i debuttanti, si accorgono subito delle funzionalità - o dei problemi - alle estremità del bastoncino. Per superare i limiti di puntali e impugnature tradizionali, Speed Twist di Amplatz nasconde in testa all’impugnatura un piccolissimo meccanismo veloce, efficace e sicuro che permette di ruotare di 180° l’orientamento del basket del puntale. La posizione standard dietro alla canna è efficace in salita per agganciare il fondo, appoggiarsi, spingere ed estrarre dalla neve senza resistenze. Con una rapida semi-rotazione alla testa del bastone ci si ritrova con tutto il fusto e il basket del puntale nella nuova posizione davanti alla canna, ottenendo lo stesso appoggio sicuro al terreno anche in discesa: la punta a scalpello in carburo di tungsteno e il gambo lavorano sul fondo esattamente come in salita. Il risultato è l’aggancio sicuro, sempre. Anche su fondi duri come ghiaccio, pietra e asfalto. Anche in caso di errore o distrazione. Tutti gli altri elementi sono altrettanto al top della funzionalità. L’impugnatura in schiuma densa a sezione tonda facilita i piccoli adattamenti ai fondi irregolari o molto inclinati. La regolazione del lacciolo è rapidissima, la sua stabilità successiva è completa. Poco sotto la lunga impugnatura, una guaina ruvida aumenta il grip dei guanti sulle canne salendo a piedi frontalmente pendìi molto ripidi o gradinati. Le canne sottili Komperdell passano con facilità nella neve profonda e non subiscono le raffiche di vento. Speed Twist è il bastone per il touring che conosce la montagna e risolve i problemi.

NON S OLO NEGOZI O DI A RTI C O LI SPO RTI VI Passando per la Val di Fassa è d’obbligo una sosta da Amplatz. Non solo perché è il negozio dei sogni di ogni alpinista, sempre fornitissimo del meglio per le quattro stagioni e in anticipo su tutti con le novità. Ma perché è da quei locali, dalla passione di Diego, dalla sua visione, dalle sue modifiche sui materiali di serie, che è nata larga parte dell’innovazione tecnologica presente nello skialp race attuale. Molte soluzioni made in Amplatz per la competizione, un pallino di Diego che forse risale ai suoi trascorsi in Coppa del Mondo di sci alpino, sono oggi presenti anche sui materiali per il touring. Piccoli e grandi vantaggi che hanno migliorato radicalmente l’esperienza di ogni sciatore di montagna. E da oggi c’è anche Speed Twist. Sport Amplatz è a Canazei (TN) in Strèda Dolomites 109 (in centro) - tel. 0462 601605 www.verticalworld.it

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CAMP SKIMO I RAMPONI NEXT LEVEL

© Alice Russolo

NUOVO SISTEMA DI FISSAGGIO ANTERIORE, ANTIBOT T DI SERIE, TANTE REGOLAZIONI E PESO PIUMA PER I NUOVI MODELLI RACE E NANOTECH

DAV IDE M AG N IN I Nazionale italiana di scialpinismo «Rispetto al vecchio modello il bloccaggio anteriore dello Skimo Race è comodissimo e super-veloce, in pratica è come inserire lo scarpone in un attacco step-in e rimane perfettamente bloccato, sia davanti che dietro, in marcia».

© Alice Russolo

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C A MP SKIMO R AC E Prezzo: 130 € Cinghia posteriore veloce con la collaudata fibbia EZ OP ad apertura semplificata (utilizzata anche sugli zaini).

Asta a regolazione micrometrica con doppia fila di fori per una perfetta regolazione della lunghezza. ni. Per coprire le misure più piccole bisogna smontare la parte posteriore e inserire l’asta in un secondo alloggiamento.

Fissaggio posteriore con talloniera regolabile su tre posizioni. La leva è stata ridotta per non essere d’ostacolo alle parti mobili degli scarponi in commercio. Esiste anche una versione Skimo Total Race, identica ma con talloniera Clip-In da inserire nei fori posteriori dello scarpone previsti per le spine degli attacchi.

L’archetto anteriore è stato sostituito con il nuovo sistema di fissaggio T-Stop, in materiale plastico e adatto a tutti gli scarponi da skialp in commercio. Grazie alla chiave fornita nella confezione è possibile regolarne l’altezza, ma funziona già senza intervenire sulla maggior parte dei modelli. Nel caso di scarponi senza scanalatura, come TLT7 di Dynafit, è possibile sostituire la parte frontale con un adattatore venduto a parte.

Antibott di serie

Possibilità di sostituire l’asta con una fettuccia in Dyneema (optional) che rende il modello ancora più leggero (20 gr in meno) e compattabile.

10 punte. Peso 425 gr (350 gr senza antibott). © Achille Mauri

A D R I A N O SE LVA Guida alpina

C A MP SKIMO N AN OTE C H , LE D IF F E R E N Z E Modello indicato per escursionisti evoluti alla ricerca di un prodotto leggero ma resistente e capace di penetrare nel ghiaccio più duro. Le punte frontali, infatti, hanno un inserto in acciaio Sandvik® Nanoflex, utilizzato in esclusiva da CAMP. Rispetto al modello Race presenta un sistema di regolazione con molla (al posto della vite), che permette di compattarlo rapidamente quando occorre riporlo nello zaino. Cambia anche la cinghia posteriore che non ha il sistema a sgancio rapido EZ OP, ma una fibbia in lega leggera d’alluminio: la cinghia può essere utilizzata doppia, senza necessità di tagliarla. Fissaggio anteriore e posteriore (e adattatori) e regolazione micrometrica con astina a doppia fila di fori (con opzione Dyneema) sono identici. Il peso con antibott è di 470 gr (395 gr senza) e il prezzo di 150 €.

© Achille Mauri

Il Sandvik® Nanoflex delle punte è una lega d’acciaio con un rapporto peso/resistenza superiore a quello dell’acciaio e del titanio pur mantenendo elasticità e resilienza. La resistenza alla trazione è doppia rispetto a un acciaio al cromo-molibdeno e la durezza superiore del 20%.

«Skimo Nanotech è una piccola rivoluzione perché porta la leggerezza e la praticità del mondo race anche nello skialp touring. Il vero passo in avanti è il fissaggio anteriore, davvero pratico e veloce, oltre che sicuro. E poi non c’è più differenza tra destro e sinistro: un vantaggio in più nei cambi d’assetto, non solo per gli atleti. Le punte frontali in acciaio Sandvik® Nanoflex fanno la differenza sia lungo una semplice crestina in gara sia nell’utilizzo escursionistico».

GI OVA NN I COD E GA Responsabile commerciale Italia di CAMP «Lo sviluppo dei nuovi ramponi Skimo ha richiesto tre anni perché volevamo realizzare un prodotto veramente universale, che andasse bene con tutti gli scarponi ma soprattutto che fosse sicuro e stabile. Il sistema di fissaggio anteriore è stata l’innovazione che ha richiesto più tempo. Nello sviluppo è stato fondamentale il rapporto con gli atleti top che utilizzano materiale CAMP».

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SERVIZI SEGRETI 2

QUALCHE INFORMAZIONE IN PIÙ SUI MATERIALI CHE APPAIONO IN QUESTO NUMERO DI SKIALPER

RON D E L L A F OR E V E R   (1)

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Il bastone è un normalissimo e moderno Fizan ma… la rondella no, è home made e old school, in alluminio e cuoio. «Mi trovo meglio che con quelle piccole e rigide che si usano oggi, perché sul ghiaccio si piega» ci ha detto Pier Luigi Mussa, uno dei Protagonisti.

K2 I E R I E OGGI   (2) Sarà quella della Calfort, come ha simpaticamente scritto nel suo articolo Alberto Casaro, ma per la serpentina old school che sci si usa? Un non meglio precisato K2 RS Race Slalom da 207 cm. Data presunta primi anni ’90, attacco Geze. Trovati alla partenza della vecchia pista di bob di Cortina…

R A SPA I S T H E NE W SCH OOL   (3) 4

La raspa, questa sconosciuta. Gabriele Ghisafi ne è uno dei massimi esperti e per il nostro articolo si è presentato con un modello con rondella in teflon e imbottitura in gomma piuma come quella dei tubi. Nadir Maguet? Imbottitura artigianale e rondella piena in alluminio!

SCI D I F ON D O P E R LO SKI A L P   (4) E lo sci da raspa? Beh, al Mago abbiamo concesso di usare attrezzatura da skialp, mentre Gabriele Ghisafi si è presentato con un modello da fondo escursionistico Track, laminato al 70%. «Per il Mezzalama la Fischer ne aveva creato uno laminato al 100%...».

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CO NT RO C O PE RT IN A

OLD SCHOOL VS NEW SCHOOL


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Podhio ® by Podhio Sport Group s.a.s. info@podhio.it



CAN! YOU WHAT D O W H AT Y O U C A N ’ T – B E

NORDWAND ADVANCED JACKE T

PURE PERFORMANCE Approvata dalla montagna: Nordwand Advanced HS Hooded Jacket. Massima libertà nei movimenti verticali. Durevole, ultraleggera, estremamente comprimibile. Protezione completa contro le intemperie. Gore-Tex® Pro.


CALORE CONFORTEVOLE

A G N E R

H Y B R I D

D O W N

J A C K E T

Scalatori e alpinisti alternano intensi sforzi in salita a lunghe soste al freddo per fare sicurezza ai propri compagni di cordata. La Agner Hybrid Down Jacket è un innovativo piumino traspirante ispirato dalla fisiologia del corpo umano, con l’imbottitura in piuma posizionata solo dove serve per proteggere dal freddo nelle situazioni statiche, e microperforazioni sulle saldature tra le camere per lasciare uscire il calore in eccesso generato durante le prese e le salite piĂš impegnative.

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