Il mio paese, le nostre maestà

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IL MIO PAESE, LE NOSTRE MAESTÀ a cura di:

SIMONE FERRARI E VALENTINA FONTANIVE RObERTO MONTALI schede di restauro a cura di ARchè RESTAuRI

con la collaborazione di

Sommario: • il progetto; • le maestà; • restauro e manutenzione; • ricerca e didattica

LE MAESTÀ Passeggiando tra le vie dei nostri paesi si può avere la sensazione di non essere completamente soli. A ben guardarsi attorno si possono scorgere delle figure più o meno curiose, dalle fattezze familiari, ferme agli incroci delle strade, sulle mura delle case o nei pressi delle fontane. Sono figure ferme immobili scolpite nel marmo; alcune sono da sole, e guardano i passanti; altre sono in compagnia e si guardano l’un l’altra; altre ancora si accompagnano di qualche animale, un cane, un maiale, un lupetto selvatico. Se poi ci avviciniamo e le guardiamo bene da vicino, potremmo scorgere tra le loro vesti, nelle loro mani o sul loro capo, qualRimagna, maestà di Case Dalcielo che oggetto particolare. 1


E subito sorgono spontanee diverse domande: chi so-no costoro? Da quanto tempo sono lì? E soprattutto, perché? Rispondere a queste domande significa intraprendere un viaggio che ci porta molto indietro nel tempo, quando ancora ci si spostava a piedi o – i più fortunati – con qualche carro trainato da buoi e cavalli; quando coltivare i campi e avere un buon raccolto significava mangiare per tutto l’anno; quando si aspettava l’arrivo in paese di venditori e mercanti per acquistare qualche bene diverso dal solito. St’Antonio Abate, Palanzano - loc. Vaestano Un tempo in cui le abitazioni anche delle località più isolate che oggi sembrano cedere sotto il peso degli anni e dell’abbandono, pullulavano di genti: le famiglie erano numerose e le stanze non erano mai abbastanza. E ancora, un tempo in cui nulla era dato per scontato. L’acqua, per esempio; un bene oggi accessibile a tutti, basta aprire uno dei tanti rubinetti che abbiamo in casa. Ma non è sempre stato così: le fontane del comune erano spesso l’unico punto d’acqua, un luogo quindi da curare e onorare, in quanto fondamentale al sostentamento di uomini e animali, al raccolto nei campi, alla vita quotidiana. Proprio le strade, le case, le fontane, sono i luoghi dove più spesso troviamo le Maestà, queste lastre di marmo scolpite con figure di Santi e di Madonne che come un libro illustrato raccontano delle storie. Saperle leggere e interpretare significa svelare la storia dei nostri paesi e delle genti che vi transitavano e vi abitavano nei secoli scorsi. Alcune sono immobili nella stessa posizione da più di cento, duecento anni; altre sono state spostate, magari da un campo oggi in disuso o da qualche sentiero oggi non più 2


transitato; altre ancora sono state “prese in prestito” non sappiamo da chi, ne vediamo soltanto la nicchia vuota. Che siano antiche, d’altronde, lo si vede bene: mangiate dagli anni e rovinate dal tempo presentano rughe da trattare con cura e acciacchi a cui è difficile rimediare. Ma poco importa: il loro obbiettivo non è la perfezione stilistica e nemmeno l’immagine curata e modaiola del nostro tempo. Loro devono soltanto proteggere. Proteggere chi? Vi chiederete. Proteggere il paese e i suoi abitanti; le famiglie e i loro cari; i lavoratori e il bestiame; i pellegrini e i mercanti, i viandanti e gli ammalati. Insomma, tutti. Queste figure religiose di Santi e Madonne collocati negli angoli più significativi del nostro territorio proteggono da secoli la vita che si svolge nei nostri paesi tra comuni attività produttive, riti religiosi ed eventi familiari, catastrofi naturali, pestilenze, scambi commerciali e pellegrinaggi devozionali. E chi meglio di loro potrebbe farlo? Se si leggono le storie di questi personaggi si capiscono subito molte cose. Chi curava i malati per i quali si pensava non ci fosse più niente da fare, chi parlava con gli

Madonna di Loreto, Palanzano - loc. Caneto 3


animali e se ne prendeva cura; chi aveva sofferto dolori immensi e nonostante tutto ne usciva più forte e felice e chi da ricco nobile decideva di donare tutta la sua ricchezza in favore dei più poveri. Alla luce di questi significati intrinsechi le diverse personalità dei Santi, riusciamo a dare un senso più profondo agli elementi del mondo che ci circonda: un Sant’Antonio Abate sulla porta di un edificio a uso agricolo, ci fa capire subito la sua vera vocazione quale fu un tempo una stalla: il Santo è infatti conosciuto da tutti come il protettore degli animali. Allo stesso modo un San Rocco posto su un sentiero ci racconta dei tanti devoti che di lì sono passati, riconoscendo in San Rocco il protettore dei pellegrini, essendo stato pellegrino lui stesso. E così per le tante e diverse raffigurazioni della Madonna, ma il tempo stringe e a tutto questo dedicheremo alcune delle prossime pagine. Per ora tenete bene a mente solo questo: a passeggiare tra le vie dei nostri paesi e a percorrere i sentieri che ne collegano le diverse località possiamo scoprire storie inedite che non possono più essere ignorate.

IN VIAGGIO DI QUA E DI LÀ DELL’APPENNINO Se prendiamo una mappa geografica dell’Italia e ci concentriamo sulla zona della nostra provincia, la provincia di Parma, ci rendiamo subito conto di una situazione particolare, comune un po’ a tutte le province dell’Emilia Romagna. Seguendo la linea del Po, il fiume che ha formato nei millenni la Pianura Padana, e la parallela Via Emilia, già in epoca romana annoverata tra le vie di comunicazione più importanti dell’Impero, vediamo subito come la nostra provincia si sviluppi lungo una direttrice ad esse perpendicolare, verso sud. Seguendo ora questa linea immaginaria ci troviamo dalla pianura a risalire gradualmente – seguendo le diverse vallate parmensi - verso colli e prime alture, fino ad arrivare alle vette più alte, oltre le quali non c’è che da riscendere verso una nuova pianura. Macché pianura! Al di là c’è il mare! E se volessimo continuare per le vie d’oltre Appennino, al termine del viaggio si arriverebbe esattamente dove vuole il famoso detto: a Roma. Ma una cosa per volta. 4


LE VIE DEL SALE Dal tardo Medioevo – e si parla di secoli fa, dal 1200 circa – abbiamo notizie ben precise: le vallate parmensi Val Parma e Val Cedra erano attraversate sistematicamente da mercanti e contrabbandieri, incaricati del trasporto del sale dalle saline della Liguria fino ai regni della Pianura Padana. Il sale rappresentava allora, come del resto fino a tempi da noi non troppo lontani, l’unica soluzione duratura ed efficace per la conservazione dei cibi. Considerando l’intervallarsi di periodi alquanto bui a causa di guerre, pestilenze e carestie, che sopraggiungevano come tempeste improvvise e senza scrupoli, o il semplice avvicendarsi del freddo e sterile inverno, poter conservare il cibo per consumarlo nei momenti di necessità poteva essere determinante per la sopravvivenza stessa. Il sale dunque, era considerato alla stregua dell’oro. Anzi, forse valeva addirittura di più. Ecco la fortuna di mercanti e contrabbandieri. Bastava recarsi in una delle tante saline a ridosso del mare sulla costa ligure, acquistare uno o più carichi di questo oro bianco, caricarli in groppa a muli o su carri più o meno stabili e partire alla volta dei comuni dei Signori di Parma e Piacenza e più su, del potente Comune di Milano e più su ancora verso l’Europa e il grande mercato transalpino. Un viaggio che poteva durare dei mesi, anche degli anni, fino all’esaurimento del carico. Si tornava allora indietro per la stessa strada – condizioni permettendo – e si tornava al mare per un nuovo carico. San Rocco, Santa Maria, San Sebastiano, Monchio Ma tra il dire e il fare c’è di delle Corti - loc. Bastia 5


mezzo… l’Appennino! Pensare di risalire a piedi e con un pesante carico per giunta prezioso le terre alte, poteva sembrare una pazzia. A quel tempo non esistevano telefoni cellulari per chiamare in caso di emergenza, non esisteva internet per poter prenotare un alloggio lungo il cammino, e l’Appennino stesso era disseminato di briganti pronti a tutto pur di rubare qualche cosa di valore. Le strade poi non erano sicuramente asfaltate come lo sono oggi! Molte volte appena accennate, si componevano di carraie fangose d’estate e gelate d’inverno, vaghi sentieri attraverso fitti boschi dove perdere l’orientamento poteva costare la pelle, strade scoscese o ripide salite che carri e muli potevano non saper affrontare. Se poi consideriamo le frane non segnalate e le alluvioni improvvise, il viaggio poteva risultare davvero insidioso. IN GINOCCHIO VERSO ROMA Lo stesso valeva per i pellegrini. Dal IV secolo dopo Cristo, agli albori del Cristianesimo, si diffuse una pratica tanto diffusa quanto ricca di insidie: i fedeli di ogni regno e condizione erano spinti da moti interiori e sociali a recarsi in pellegrinaggio nei luoghi simbolo del proprio credo, al tempo riconducibili alla Terrasanta. Giungere a Gerusalemme dopo un viaggio eterno iniziato magari nella Francia del Nord, a piedi, attraverso territori insidiosi e non civilizzati, poteva valere l’espiazione dei peccati commessi o la salvezza eterna per sé e per i propri cari. Nel caso di voto inoltre, recarsi in quei luoghi santi significava mantenere una promessa e dimostrarne la vera fede. Ma Gerusalemme era lontana, al di là del mare. I fedeli in procinto di partire dovevano sistemare ogni cosa, dai debiti ai saluti, tanto incombente era il pensiero del non ritorno: catastrofi naturali, malattie, stenti e briganti potevano ostacolare l’impresa, contando che una volta raggiunta la meta, bisognava anche tornare indietro. Ma la fede non demorde e il fenomeno più che diminuire, aumentava a vista d’occhio. Nel 1300 poi, papa Bonifacio VIII indice il primo anno del Giubileo: non è più necessario raggiungere la Terrasanta per l’indulgenza plenaria, nel 1300 basta arrivare fino a Roma, primo altare di Pietro. D’allora in poi la sede pontificia 6


diviene la nuova meta di riferimento per l’Europa tutta, più vicina e accessibile. E da allora tutte le strade portano a Roma. Una fitta rete di vie collegava ogni parte del continente alla città, che come in un imbuto raccoglieva strade e passaggi dal nord e li riunificava nel centro Italia per continuare alla volta della meta. E’ proprio in questo tempo che nascono strade come la Via Francigena, battute dai passi incessanti di chi vi transitava, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Nello stesso periodo sorgono lungo le direttive di passaggio gli hospitali, strutture riservate all’alloggio e al ristoro dei passanti, un po’ come gli alberghi e gli ostelli di oggi. E non potendo utilizzare insegne luminose che solo pochi avrebbero saputo leggere, venivano usati dei simboli, delle figure, prima fra tutte la figura di San Rocco, uno dei primi pellegrini della storia, raffigurato con la divisa ufficiale del pellegrino: un largo cappello abbandonato sulla schiena, il bardone (bastone) e la conchiglia, simbolo distintivo di chi viaggiava per fede. Da secoli ormai, un via vai continuo caratterizza i territori che si trovano sulle vie per Roma. DATEMI MILLE LIRE Ma chi viveva nei paesi delle valli e dei crinali appenninici attraversati da marcanti e pellegrini? Donne, uomini, bambini e anziani: dal X secolo abbiamo notizie certe di nuclei insediativi anche complessi in tutta l’area del nostro Appennino: villaggi indipendenti, centri amministrati da clerici piuttosto che da nobili eredi di famiglie altisonanti, baluardi difensivi di centri economici più sviluppati. Le genti vivevano di agricoltura, di allevamento, di produzioni artigianali, ma tutto questo a volte non bastava. Il territorio da solo con le tecnologie del tempo non produceva quanto bastava a sfamare la popolazione tutta. E’ così che nasce la necessità di recarsi altrove per poter lavorare, di solito stagionalmente. Emigranti, li chiamiamo oggi. Boscaioli e segantini partivno per mesi alla ricerca di boschi da tagliare e legna da lavorare al soldo di qualche signorotto; circensi e orsanti partivano invece alla volta delle piazze europee per guadagnare qualche soldo esibendosi per le strade con i loro animali ammaestrati, strumenti musicali 7


e scenette goliardiche; venditori ambulanti si armavano di carretto e cianfrusaglie da scambiare con altre merci lungo il percorso. E anche costoro, alla stregua di mercanti e pellegrini, avrebbero affrontato pericoli e difficoltà che solo se fortunati avrebbero potuto raccontare. Proprio qui entrano in scena le nostre maestà: delle lastre di marmo raffiguranti Santi protettori e Madonne Misericordiose, rassicuranti e consolatori, che benedivano il viaggio di chi partiva e chi tornava, di chi era quasi arrivato a casa e di chi era ancora lontano dalla meta, a protezione di chi restava o a ricordo di qualche avvenimento. STORIE DI SANTI E MADONNE Una veloce carrellata delle diverse maestà che possiamo ancora oggi trovare ci permette la stesura di una classifica dei santi più raffigurati: al primo posto troviamo il già citato San Rocco, protettore per vocazione dei pellegrini e degli appestati grazie alle sue doti taumaturgiche dimostrate durante la sua intensa vita, lui stesso affetto da peste e uno dei primi pellegrini della storia del Cristianesimo; a seguire Sant’Antonio Abate, illustre eremita che dopo aver donato tutti i suoi averi ai poveri curava i malati del Fuoco di Sant’Antonio con il grasso del maiale, di cui diviene poi protettore con stalla e animali annessi (e capite quanto è importante proteggere il maiale in un territorio come il parmense); il suo omonimo, Sant’Antonio da Padova, giovane e puro per la precoce vocazione, lo troviamo raffigurato sempre con il Bambin Gesù, che vide in un’apparizione, protettore tra gli altri Sant’Antonio da Padova, Palanzano - loc. Pratopiano dei viaggiatori, dei poveri, degli oppressi. E poi Santa Lucia, protettrice dei ciechi e dei mendicanti, Santa Filomena, protettrice della gioventù e dei giovani sposi, e i santi già venerati dai Longobardi che in massa avevano colonizzato 8


le nostre terre, San Michele Arcangelo e San Giorgio, i santi guerrieri. E molto altri. Ma come riconoscerli? Quegli oggetti particolari di cui parlavamo all’inizio, ricordate? A guardare da vicino questi Santi scorgeremmo oggetti curiosi che non sono altro che gli attributi, strumenti che raccontano la loro storia e ci suggeriscono la loro protezione: San Rocco porta le piaghe della peste e le vesti del pellegrino, Sant’Antonio Abate si accompagna di un maialino, Sant’Antonio da Padova tiene un San Michele Arcangelo, Monchio giglio bianco in una mano e un libro delle Corti - loc. Riana nell’altra, simboli di purezza e saggezza, Santa Lucia tiene in mano i suoi stessi occhi e Santa Filomena ha una corona di fiori in testa, simbolo di freschezza, e una palma o un’ancora, simboli del suo martirio. I santi guerrieri poi, manco a dirlo, portano armature, spade, scudi. Troviamo insomma tanti indizi. Ma non solo santi; sovente troviamo una figura a sé stante, che ricopre un ruolo fondamentale nella storia del Cristianesimo e centrale nel Cattolicesimo: la Madonna. Della Madonna le Maestà ci raccontano come in un film, spezzoni della sua vita: il momento dell’Annunciazione e dell’Immacolata Concezione, della Pietà Immacolata Concezione, Palanzano e del Trionfo. Ci raccontano le sue quali- loc. Vaestano tà e le sue doti: La Madonna Addolorata, Consolatrice, Misericordiosa, e ce la presentano in diverse vesti: la Madonna del Rosario, dei Quercioli, di Montenero e di Fatima. Insomma ce n’è per tutti i gusti. 9


Alla luce di tutto questo, riassumiamo di seguito le varie tipologie di Maestà del nostro Appennino Parmense: Maestà delle Strade: a protezione di viandanti, mercanti e pellegrini, queste maestà si trovano nei punti nevralgici della viabilità storica: al centro di bivi o trivi di sentieri e carraie; lungo la strada, a significare la giusta via; in prossimità di luoghi in cui sia accaduto qualche importante evento, a ricordo o ringraziamento dello stesso.

Madonna delle Grazie, Palanzano - loc. Pratopiano

Maestà delle Abitazioni: a protezione degli abitanti – permanenti o temporanei della struttura, queste maestà si trovano in prossimità dell’ingresso principale o incastonate nella facciata che dà sulla strada; sovente si trovano sul muro del cancello del cortile o,

Pietà, Palanzano - loc. Nirone 10


ancora, nel cortile stesso. Anche qui stanno a richiedere la protezione della casa o a ringraziare per qualche lieto fine, come prova di venerazione al tal santo. Maestà delle Fonti: a protezione dell’abitato intero, queste maestà si trovano per lo più inglobate nella struttura d ella fontana, punto nevralgico della vita in paese (se ci pensiamo, le fontane sono uno degli elementi architettonici fondamentali delle piazze), a sottolineare l’importanza e il valore primario dell’acqua comune, quale bene fondamentale alla vita.

Pietà, Palanzano - loc. Nirone

SALUTI DALLA LUNIGIANA Insomma, abbiamo capito quanto importante fosse per le donne e gli uomini del tempo sentirsi in qualche modo rassicurati da queste piccole opere d’arte che li circondavano - come circondano noi oggi. Ma chi erano gli autori di questi lavori? Alcuni vantano una certa manualità artistica e un certo gusto stilistico, non sono stati di certo prodotti da boscaioli improvvisati o da mercanti nel tempo libero. Esistevano infatti – allora come oggi – dei veri e propri laboratori di artisti e scalpellini che di mestiere scolpivano maestà. Erano i marmorini della 11


Lunigiana, la porzione di territorio d’oltre crinale dove l’Appennino da parmense diviene tosco-ligure, apuano. In queste zone, nei pressi della cittadina di Carrara, un materiale particolare e prezioso viene estratto dalle cave e lavorato sul posto: il marmo. Ecco il materiale delle nostre Maestà: il marmo apuano. Pregiato per le sue caratteristiche modellanti e resistenti, è un materiale che spicca per il suo colore bianco, che nella simbologia dei colori ricorda la purezza. Non sappiamo se siano iniziate prima le committenze o le proposte da parte dei marmorini; sappiamo che alcune maestà venivano proprio commissionate con tanto di dedica direttamente all’artista, soprattutto quando il committente aveva l’opportunità di visitare i laboratori e le botteghe apuane. Altre invece, venivano proposte alle popolazioni residenti dai marmorini in persona, che per l’occasione divenivano loro stessi venditori ambulanti: si recavano nei vari paesini con degli stampi preparati in precedenza, proponendo un santo piuttosto di un altro ai fedeli che incontravano sulla via o nei villaggi. E le producevano in loco, al modo degli artisti di strada di oggi. Le maestà diventano quindi dei totem per chi è in viaggio, e per altri lo scopo stesso del viaggio su quelle che gli addetti ai lavori chiamavano le vie del marmo. SALVIAMO LE MAESTÀ E oggi? A cosa servono oggi le maestà, cosa possono significare in un mondo in cui la rassicurazione la troviamo in una ricerca Google e in cui la protezione non sembra essere un nostro bisogno primario? Perché in fondo prendercene cura? Perché sono parte di noi. Perché raccontano la nostra storia. Perché oggi, guardandole, dopo questa lunga narrazione partita da lontano, speriamo le possiate guardare con occhi nuovi. Che non vediate soltanto una lastra di pietra con un disegno, o un semplice pilastro dove la nonna porta i fiori, o un richiamo a una religione, magari lontana. Guardandole, dovreste immaginare accanto a voi un mercante con un carico di sale, stanco e pensieroso per le nubi minacciose che vede in lontananza, sulla sua strada; o un pellegrino che non mangia da qual12


che giorno perché non ha trovato punti di ristoro lungo il cammino; o un bambino appena guarito dal morbillo in un tempo in cui non esistono ospedali; o un agricoltore in piena raccolta, dove un buon raccolto significa mangiare per un anno intero; o ancora, un padre, un marito, che se ne sta partendo per un lavoro lontano. E li dovreste veder appoggiare un fiore ai piedi della maestà, fermarsi un minuto a pensare, e riprendersi subito, con una carica in più. Prendiamocene cura per loro, per noi. RESTAURO E MANUTENZIONE a cura di Archè Restauri Queste antiche testimonianze del nostro passato che vigilano sui luoghi più importanti e significativi per le genti che abitavano o percorrevano l’Appennino, portano sulla loro pelle le rughe e gli acciacchi del tempo, esattamente come succede a noi uomini. Certo, i materiali che costituiscono le Maestà – marmo bianco apuano per le lastre votive, pietra arenaria locale e mattoni per le edicole che come casette le sostengono e le accolgono al loro interno – sono ben più robusti rispetto a noi che che ci feriamo per un piccolo urto o ci ammaliamo se ci bagnamo e prendiamo un colpo di freddo, ma anch’esse hanno i loro guai. Abbiamo visto che si tratta di manufatti esposti in ambiente esterno sulle case, nelle piazze, nei crocicchi o in mezzo ai sentieri dei bo-

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schi e sono proprio lo scorrere dell’acqua piovana, la neve gelida, il vento sferzante, il sole che scotta a provocare lentamente ma inesorabilmente un danno progressivo. La pietra arenaria perde la sua compattezza ed inizia a sgretolarsi; anche il marmo, sebbene per sua natura più resistente, presenta alla fine gli stessi malanni. Le figure scolpite diventano meno nitide perché il marmo si consuma: così a volte i volti ed i particolari si confondono e risultano meno chiari e precisi, come una fotografia mossa o sfocata. Si formano fessure come rughe: all’inizio sottili, poi sempre più profonde per lo scorrere dell’acqua piovana che, quando gela per il freddo invernale, aumenta di volume e può provocare delle vere e proprie fratture sino alla caduta di pezzi di pietra che si perdono per sempre. Anche i muschi e i licheni che spesso ricoprono le nostre Maestà a chiazze verdi, gialle, aranciate o come “vestiti” naturali, determinano un danno importante, non solo perché non vediamo più le superfici pulite del marmo o dell’arenaria ma perché anche questi vegetali hanno un loro ciclo di vita, di accrescimento con le piccole radici che si insinuano nella pietra e di eliminazione di scarti nutritivi acidi che corrodono il materiale lapideo su cui sono cresciuti. Non bisogna dunque trascurare la salute di tali testimonianze del nostro passato e curarle con pazienza ed attenzione. A volte lo stato di salute è talmente compromesso da richiedere 14


l’intervento di personale specializzato. Il restauratore provvede a rimuovere muschi e licheni con un semplice lavaggio acquoso dopo aver trattato le superfici con uno specifico biocida; si consolida la pietra con un consolidante inorganico applicato a siringa nelle fessure e a pennello su tutte le superfici, in grado di ridare coesione ai granellini che compongono i marmi e le arenarie: viene così ristabilita la compattezza dei materiali; si stuccano le fessure o le mancanze della pietra con malte a base di calce naturale e polveri di marmo di diverso colore in modo che l’acqua non possa penetrare e fare danni maggiori. Cosa succede negli anni seguenti? Il vento riporta depositi di polveri sulle superfici, polveri che contengono anche spore vegetali: queste, in poco tempo, iniziano nuovamente a colonizzare le superfici stesse e ricomincia un nuovo processo di degrado. Diventa dunque fondamentale trattare le pietre tutti gli anni, in primavera e/o in autunno, con uno specifico prodotto biocida, in modo tale da evitare la crescita vegetativa: questa operazione molto semplice può essere eseguita da chi abita vicino alle Maestà, il custode più importante per la conservazione di questi manufatti che ci parlano di vicende, di tradizioni ed usi lontani del nostro territorio ma che tuttora ci appartengono e fanno parte della nostra storia, da non dimenticare. 15


COMUNE DI CORNIGLIO La Madonna del Rosario a Bosco di Corniglio Nonostante l’accentuata erosione, nel piccolo bassorilievo marmoreo è ancora possibile riconoscere la figura della Vergine seduta su di un masso schematicamente delineato e drappeggiata nell’ampio manto, colta nell’atto di sostenere con il braccio sinistro il Bambino e di mostrare, con la destra levata in alto, la corona del Rosario. La formella è innestata den-

Madonna del Rosario a Bosco di Corniglio

tro una cornice monolitica in arenaria finemente bocciardate, inglobata entro un pilastrino votivo con coronamento cuspidato e sfera sommitale al di sopra del quale è stata aggiunta più recentemente una croce in ferro. Nella formella sono presenti accentuate abrasioni e sbrecciature nei punti di maggior rilievo; insediamenti di licheni crostosi sull’intera superficie. STATO DI CONSERVAZIONE attacco biologico (licheni, ecc.), decoesione superficiale con aumento della porosità con conseguente perdita di modellato, presenza micro-fessure .mancanza di malta di allettamento perimetrale. Anche l’edicola presenta attacco biologico (licheni, ecc.), stuccature in malta cementizia e parzialmente in distacco; fessure. 16


Madonna del Rosario - Pulizia dai licheni

INTERVENTO DI RESTAURO per la formella in marmo: trattamento biocida (applicazione di soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata; consolidamento inorganico della matrice lapidea tramite impacchi di fosfato di ammonio (DEP; ripresa della stuccatura di allettamento perimetrale mancante con malta di calce idraulica naturale; micro-iniezioni consolidanti e stuccatura del marmo con nano-silice e inerti micronizzati; trattamento protettivo inorganico tramite applicazione di ossalato di ammonio addizionato con benzalconio cloruro. Per l’edicola: trattamento biocida (applicazione in soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata; rimozione meccanica della malta cementizia in distacco; ripresa della malta di allettamento mancante con malta di calce idraulica naturale; micro-iniezioni consolidanti delle fessure con malta di calce idraulica naturale micronizzata; stuccatura e micro-stuccatura delle arenarie con malta di calce idraulica naturale e/o nano-silice. 17


COMUNE DI MONCHIO DELLA CORTI La Madonna dell’Aiuto e S. Antono di Aneta Al centro della formella a rilievo, di forma quadrangolare a lati irregolari, è effigiata la Madonna che sorregge con il braccio destro il Bambino ignudo, le cui dita si intrecciano carezzevoli con le pieghe del manto della Madre. La formella è innestata entro lo stesso tabernacolo monolite in arenaria che racchiude la formella dedicata a S. Antonio da Padova ritratto in posa frontale ed avvolto in un saio riccamente panneggiato dal lungo cordiglio minutamente descritto. Il Santo sostiene con il braccio sinistro il Bambino, che pare anch’esso avvolto in una corta tunica, L’anonimo maestro di contraddistingue per un piglio assai personale, visibile nella caratterizzazione della fisionomia e nell’impianto assai plastico dell’intaglio, così che le membra acquistano una rotondità ed una fisicità di carne che suggerisce l’idea del tuttotondo. Un certo arcaismo delle figure e l’incerta definizione dei caratteri maiuscoli delle scritte inducono a collocare l’esecuzione del pezzo in un ambito cronologico non recente e comunque non ulteriore al sec, XVIII e rivela una certa affinità con alcune forPalanzano - loc. Aneta melle settecenetsche presenti a Lugagnano e a Monchio Le formelle sono innestata entro un tabernacolo monolite in arenaria, sormontato da una ricca cuspide decorata a fitto zigrino.

Madonna delle Grazie, Palanzano - loc. Aneta 18

STATO DI CONSERVAZIONE: Edicola: attacco biologico (licheni, ecc.); decoesione su-


perficiale con aumento della porosità; stuccature in malta cementizia e parzialmente in distacco.- fessure. Maestà (2 formelle): attacco biologico (licheni, ecc.); decoesione superficiale con aumento della porosità e conseguente perdita di modellato; presenza micro-fessure; mancanza di malta di allettamento perimetrale INTERVENTO DI RESTAURO Edicola: Per l’edicola trattamento biocida (applicazione in soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineraS. Antonio, Palanzano - loc. Aneta lizzata nebulizzata; consolidamento della matrice lapidea (silicato); consolidamento dei distacchi-fessure con malta -micronizzata inorganica (nano silice); stuccatura e micro-stuccatura con malta di calce idraulica naturale e /o nano silice. Maestà: Per le formelle in marmo trattamento biocida; consolidamento inorganico della matrice lapidea tramite impacchi di fosfato di ammonio (DEP); micro-iniezioni consolidanti e stuccatura del marmo con nano- silice e inerti micronizzati; ripresa della stuccatura di allettamento perimetrale mancante con malta di calce idraulica naturale; trattamento protettivo inorganico tramite applicazione di ossalato di ammonio addizionato con benzalconio cloruro. 19


COMUNE DI TIZZANO VAL PARMA La maestà di San Lazzaro a Casola La formella in marmo apuano misura circa 28×22 cm ed è collocata su di un pilastrino in mattoni, a protezione di coloro che percorrono la strada. Nonostante lo stato di degrado e le pesanti fratture che presenta il marmo, è ancora perfettamente leggibile l’iscrizione alla base della maestà “S.LAZZARO 98”. Il bassorilievo, risalente al XIX secolo, rappresenta la figura di San Lazzaro vestito con il pivia- Maestà San Lazzaro Vescovo (Tizzano Val Parma, loc. Casola) le e con in testa mitria ed aureola. Il santo, che spesso veniva venerato contro le pestilenze, si trova in atteggiamento di preghiera davanti ad un crocifisso. STATO DI CONSERVAZIONE La formella si presenta spezzata a metà , ricomposta con malta cementizia; presenza di malta cementizia perimetrale e sbordante sulla superficie; ossidazione della superficie; pochi e localizzati licheni; decoesinoe superficiale con aumento della porosità INTERVENTO DI RESTAURO rimozione della formella, divisa in due frammenti, dall’allettamento cementizio; ricomposizione dei frammenti ed esecuzione di un supporto sintetico in fibra sul retro; rimozione dei lacerti di malta cementizia; trattamento biocida (applicazione di soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata; consolidamento inorganico della matrice lapidea tramite impacchi di fosfato di ammonio (DEP); pulizia delle superfici dalle ossidazioni (per quanto possibile); trattamento protettivo tramite applicazione di ossalato di ammonio; rimontaggio della formella con malta di calce 20


COMUNE DI PALANZANO Le 3 maestà Il complesso sorge lungo la strada provinciale a valle del centro abitato di Palanzano. Il manufatto ottocentesco realizzato in blocchi squadrati in arenaria comprende un pilastrino a base quadrata culminante con una cuspide, il pilastrino è parzialmente incluso in un muretto recante altri due piccoli dadi cuspidati posti simmetricamente ai due lati del pilastrino. Da questo muretto partono altri due muriccioli più bassi realizzati con grossi blocchi di arenaria lavorata che si ripiegano andando a creare uno spazio semichiuso a “C”. Lungo i due lati corti dei muretti, rivolti verso le maestà corrono due basse panche realizzate anch’esse in pietra e parte del muretto stesso. Sul pilastro sono ospitate tre icone in marmo apuano, quella centrale, rivolta a Sud verso il paese raffigura una Madonna con Bambino e Santa Lucia, sulla sinistra in direzione Ovest ovvero verso la località Isola vi è raffigurata Santa Teresa, opposta a questa, in direzione Est vi è scolpito San MicheleArcangelo. L’intero gruppo scultoreo fu interessato nel 2005 da un intervento di restauro per l’IBC, tuttavia le formelle all’epoca ripulite e consolidate si presentano ancora attaccate da licheni verdi e neri. Stessa cosa si può dire per lo stato di conservazione del complesso del monumento votivo in arenaria vittima di una attacco biologico di muschi e licheni.

Palanzano, le 3 maestà 21


S. Michele e Madonna con Bambino

STATO DI CONSERVAZIONE Pilastro: attacco biologico (licheni, ecc.); decoesione superficiale con aumento della porosità - distacchi e fessure; stuccature e malta di allettamento lacunosa Maestà con 3 formelle: attacco biologico (licheni, ecc.); decoesione superficiale con aumento della porosità e conseguente perdita di modellato; presenza micro-fessure; grappe ferrose ossidate INTERVENTO DI RESTAURO Pilastro: trattamento biocida (applicazione in soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata; consolidamento della matrice lapidea (silicato); consolidamento dei distacchi-fessure con malta -micronizzata inorganica (nano silice); stuccatura e micro-stuccatura con malta di calce idraulica naturale e /o nano silice. Maestà: trattamento biocida (applicazione di soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata; consolidamento inorganico della matrice lapidea tramite impacchi di fosfato di ammonio (DEP); micro-iniezioni consolidanti e stuccatura del marmo con nano-silice e inerti micronizzati; trattamento passivante dei ferri ossidati; trattamento protettivo inorganico tramite applicazione di ossalato di ammonio addizionato con benzalconio cloruro. 22


COMUNE DI NEVIANO DEGLI ARDUINI La maestà di S. Antonio da Padova a Corchio di Scurano La formella in marmo di ridotte dimensioni appare ormai molto consumata ma è ancora possibile riconoscere l’immagine di S. Antonio da Padova che regge Gesù bambino in braccio. Alla base è incisa la scritta «S. ANTONIO». La formella è posta entro una cornice monolitica in arenaria su di un pilastrino all’ingresso del piccolo paese di Corchio. STATO DI CONSERVAZIONE Edicola: - attacco biologico (licheni, muschi, ecc.) - decoesione superficiale con aumento della porosità. - fessure e piccoli distacchi della superficie in arenaria Maestà: - attacco biologico (licheni, ecc.) - decoesione superficiale con aumento della porosità e conseguente perdita di modellato. - mancanza della malta di allettamento perimetrale

S. Antonio da Padova, Neviano Arduini - loc. Corchio 23

INTERVENTO DI RESTAURO Edicola - trattamento biocida (applicazione in soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata. - consolidamento della matrice lapidea (silicato); - consolidamento dei distacchi-fessure con malta


S. Antonio da Padova, Neviano Arduini - loc. Corchio

-micronizzata inorganica (nano silice) - stuccatura e micro-stuccatura con malta di calce idraulica naturale e /o nano silice. Formella in marmo: - trattamento biocida (applicazione di soluzione di benzalconio cloruro) e rimozione dei licheni con acqua demineralizzata nebulizzata. - consolidamento inorganico della matrice lapidea tramite impacchi di fosfato di ammonio (DEP) - ripresa della stuccatura di allettamento perimetrale con malta di calce idraulica naturale. - micro-iniezioni consolidanti e stuccatura del marmo con nanosilice e inerti micronizzati. - trattamento protettivo inorganico tramite applicazione di ossalato di ammonio addiS. Antonio da Padova, Neviano Arduini - loc. Corchio zionato con benzalconio cloruro.

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