Ronin 8

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n.08 2018 roninmag.it


Ronin è… imprevedibile! Appare e scompare, fa un po’ quello che vuole, sempre alla ricerca di una dimensione tutta sua!

n.08 2018 roninmag.it

Ci riuscirà? Chi lo sa!

Indice:

Ronin è… affidabile Pure se a volte si chiede chi è, cos’è, in che mese siamo e cosa mangerà a cena, potete contare sul fatto che... quanto fa 2+2? Chi lo sa!

Gorilla Ratzo

Ronin è… nuovo! Perché ospita all’interno della sua dimora scorribande tutte nuove dei suoi nuovi autori!

Bob Jones Daniele Gatto - Braz Kovalsky

Morte

Ronin è… vecchio!

Erika Asphodel

Ma senza offesa, perché continua a dare alloggio (vitto escluso) ai suoi autori veterani! Ronin è… meraviglioso! Prosegue il Wunderkammer, alla sua edizione di coppie con doppie parole!

Cavallette Champa Avellis

Metamorfosi Maria Rosaria Gaudiano

Medusa seconda

Ronin è… vagabondo! Dal 31 ottobre al 4 novembre sarà al BORDA!Fest, “festival lucchese auto-organizzato delle Produzioni visive, musicali e letterarie Sotterranee”!

Bruno Farinelli

Il Prestanome Beno Franceschini

Le Cronache di Akronya ep.3 Luigi Chialvo - Pietro Rotelli

Neremacchine 2 Raffaele Izzo

Ronin è… accogliente! La casa di Ronin è aperta agli artisti, a chi sa divertirsi e divertire, a chi fa domande e si domanda, a chi vuole scrivere per scrivere storie! Ronin è… qui, col numero 8!

Virtus ep.4 Riccardo Sciarra - Francesca Dea

WUNDERKAMMER 2 Provaci ancora, Fedro! Fabio Lastrucci

Sfogliate il numero, leggetelo, assaporatelo (con il prezzemolo è la morte sua!), annusatelo (con cautela!), ammiratelo!

Spada Disonorata Uomo Disonorato Davide Schiano Di Coscia Marco Salerno

RONIN Periodico gratuito online del Collettivo Artistico Ronin. Progetto editoriale, impaginazione e grafica: Pietro Rotelli Redattore Capo: Luigi Chialvo

Odori Stefano Spataro

Finchè morte Pietro Rotelli

Responsabili settore: Prosa: Riccardo Sciarra Fumetti: Francesca Dea Illustrazioni: Nello Caiazza Poesia e progetti speciali: Ivan Paduano Interviste e recensioni: Francesco Balestri Ogni diritto relativo alle storie qui contenute è dei singoli autori, ogni autore si assume la responsabilità dei contenuti della propria opera. www.roninmag.it

IN COPERTINA:

Blackmooninn Ivan Paduano










morte

Erika asphodel


Metamorfosi

Maria Rosaria Gaudiano Sconquassano il cielo lontane Luci abbaglianti all’orizzonte. Difficile è discernere i tuoi Dagli artificiali lumi Una mano si intreccia A capelli e tamerici Nel nostalgico contatto Di spenta passione. Ti vedo. L’aria salmastra e il tuo sudore Saturano le narici. Sono a casa. Le bocche si sfiorano, suggellando Sapori e ricordi. Netta è ora la distinzione fra lumi E lampioni. Io sono te. Tutto è un intricarsi di pelle e natura Che culmina nell’annullamento dell’essere.


medusa

Bruno farinelli


Il Beno prestanome franceschini Quella sera l’ospite d’onore della prigione di Santa Inés era un tale Liang, un cinese di San Francisco. Nessuno in città sapeva chi fosse. Lo sceriffo Cousin l’aveva arrestato per vagabondaggio dopo che il proprietario del saloon aveva denunciato la scomparsa di cinque casse di bourbon. Non c’erano prove che collegassero Liang al furto, però lo sceriffo aveva ben pensato di togliere un fannullone dalle strade. Liang stava seduto sul bordo del letto e osservava sconsolato il pavimento. Pareva perso, con la camicia strappata e i pantaloni logori. Ormai sapeva come comportarsi: doveva star buono, farsi gli affari propri e rispondere alle domande delle stelle di latta. «Ho sbagliato strada, non cerco guai, mi metterò in riga, lascerò la città oggi stesso.» Gli sceriffi annuivano, sorridevano, sospiravano, facevano i duri, ma avevano sempre capito che Liang fosse un povero diavolo. E lui, d’altronde, non aveva mai causato grossi problemi. Viaggiava di ranch in ranch tra la California e l’Arizona cercando lavoro come bracciante a giornata, anche se a volte beveva un po’ troppo. «Te lo chiedo un’altra volta e poi ne riparliamo domani», gli disse Cousin. L’agonia delle domande ripetitive stava per terminare e lui se ne sarebbe potuto tornare a dormire. «Hai rubato tu il whiskey?» «Sono arrivato stamani e voi non mi avete dato nemmeno il tempo di vedere il saloon», rispose Liang. Il giorno dopo si presentò alla prigione mister Brooks, un tizio che faceva i soldi con le ferrovie. «È questo il cinese?», chiese allo sceriffo. «Sì, signore. Come vi ho detto, può fare al

caso vostro. Ramingo e senza conoscenze in città. L’ho fermato subito.» «Bene, non perdiamo tempo. Sono Vincent Brooks e ho bisogno del tuo aiuto.» Liang si avvicinò alle sbarre. «Ho un compito da svolgere, ma non trovo nessuno che voglia farsene carico.» Poteva essere una trappola. Forse c’era il rischio di restarci secchi. «Ormai in questa parte dell’Arizona viviamo nell’incertezza del futuro. Se non costruiamo una ferrovia che ci colleghi a Phoenix e Tucson siamo spacciati. Ci sono due pezzenti che non vogliono concedermi il diritto di passare sulle loro terre e che stanno mettendo a repentaglio la mia azienda. Ti rendi conto? Fermano il progresso! Addirittura sono andati a piagnucolare dagli sceriffi federali, come se qui fossimo dei selvaggi senza Dio! Per fortuna conosco degli amici che sono disponibili a darmi una mano.» «I federali hanno avuto il coraggio di venire in questo ufficio a farmi la ramanzina. Pensassero agli indiani!», esclamò Cousin. Liang ascoltava con attenzione. Non stava capendo niente. «Ora, questi miei amici non sono proprio dei gentiluomini. Diciamo che non sarebbe conveniente per una persona rispettabile come me parlare con loro, mentre tu puoi muoverti con maggiore libertà. Ti affiderò una lettera che dovrai consegnare a Flat Rock. Al ritorno avrai la tua ricompensa, intesi?».


«A Flat Rock?!», esclamò Liang. «Esatto.» «Ma ci sono gli apache! È dove Lince Bianca ha scalpato una colonna di cavalleria da solo!»

Liang dormì in un capanno degli attrezzi di Brooks. Appena sveglio infilò un paio di pantaloni e una camicia nuovi che trovò davanti alla porta.

Brooks e Cousin si misero a ridere.

«Ehi, ching chong! Allora è vero che Brooks è impazzito: sta regalando un cavallo a un muso giallo. Ci manca solo che faccia sposare la figlia a un pezzo di carbone», disse un mandriano del ranch porgendogli una busta sigillata e una vecchia Colt.

«Balle! Non c’è traccia di indiani lassù», intervenne lo sceriffo.

Liang non gli dette soddisfazione e saltò in sella.

«Ti darò una pistola», aggiunse l’uomo d’affari. «Non ci credo.»

«Amico, attento. Indiani gnam gnam canarini. Vuoi il funerale in chiesa o hai qualche usanza strana, tipo bollire in pentola e farti bere da tua madre?»

«La paga è di cinquanta dollari.»

«Fottiti.»

«Se nessuno accetta, ci sarà un motivo. Voglio cento dollari, metà subito.»

Cavalcò per un’ora seguendo la pista verso Flat Rock. Durante il viaggio meditò di mollare tutto. Dicevano che all’altezza del vecchio trading post ci fosse un bivio per Phoenix: poteva essere un’idea.

«Cinquanta dollari sono già una grande cifra: i miei dipendenti ne prendono venti al mese. Avrai vestiti puliti, una pistola e un cavallo che potrai tenere.» «Voglio un anticipo. Non so chi siate e non posso fidarmi.» «Cinque dollari. Quarantacinque dopo. Anch’io devo fidarmi, ma sei tu quello dietro le sbarre.» «È una bella occasione per uno come te. – Commentò lo sceriffo. – Puoi accettare e tornare libero, oppure… sai cosa mi hanno detto? Che ieri notte hanno visto due occhietti a mandorla aggirarsi intorno al saloon in modo sospetto…» Tanto valeva provare. Se per strada avesse trovato segni di indiani, avrebbe invertito la marcia e tanti saluti. Poteva darsela a gambe verso il Territorio dello Utah o il Colorado. Oppure vendere il cavallo e pagarsi il viaggio per San Francisco. Chi l’avrebbe più cercato?

All’orizzonte comparvero tre figure scure sedute sotto a un albero. Liang abbandonò il sentiero e proseguì con una larga deviazione, tenendo la mano sul fianco per assicurarsi che la pistola fosse al posto giusto. Tornò sul percorso principale proprio dove la strada cominciava a salire. Flat Rock era vicina. Era il momento di prestare la massima attenzione. E infatti a duecento passi c’era una lancia piantata per terra: il territorio di Lince Bianca! Da lì in poi, dietro ogni roccia poteva esserci un apache. Liang prese a sudare abbondantemente, il che non era un buon segno. Non doveva sudare. Era una giornata calda e il cappello era un braciere, però doveva resistere oltre ogni istinto. Gli apache sentivano la paura, come gli animali. “Ma Lince Bianca non c’è più.”


Liang estrasse la pistola. Affinò i sensi per capire se qualcuno lo stesse spiando. Sentiva mille occhi su di sé. Anzi, era sicuro che un indiano lo avesse già nel mirino. “Lince Bianca non c’è più, Lince Bianca non c’è più”, si ripeteva. Gli venne in mente mister Brooks: «Nessuno vuole fare questo lavoro». “Chissà cosa farebbe quel vecchio panzone su una collina piena di apache. Oppure il bastardo che mi chiamava canarino. Lince Bianca lo scalperebbe con un dito… Ma Lince Bianca non c’è più! Vigliacco. Quando questa storia sarà finita, gli sbatterò in faccia cinquanta bei dollaroni.” Uno sparo risuonò nell’aria. Liang sobbalzò e smise di respirare. La mente si svuotò d’un colpo e gli sembrò che persino il cuore interrompesse i battiti.

«Metti la pistola a terra e alza le mani!» Trascorse un minuto e si avvicinò un messicano con un fucile sotto braccio. Squadrò Liang, gli puntò contro l’arma e raccolse la Colt. “Grazie a Dio non è un apache!” «Prendi il cavallo e cammina davanti a me.» La salita gli costò una certa fatica. Le gambe erano pesanti e tremavano, tanto che quando arrivò a destinazione – una capanna che sembrava reggersi per miracolo, – pensò di svenire. Sulla porta comparve un ceffo basso e tozzo. «Cosa abbiamo qui, Luis?»

«Abbassa la pistola e scendi da cavallo.»

«Ho trovato un leprotto sulla pista. Forse è quello che aspettavamo. Altrimenti abbiamo la cena.»

Non capiva da dove arrivassero gli ordini, ma obbedì.

«Entra. Hai avuto fortuna, di solito Luis spara anche quando piscia.»

Imprecò tra sé quando si rese conto di non aver mai sparato in vita sua, se non a qualche barattolo. Era impreparato.

L’interno della baracca consisteva in un’unica stanza maleodorante, con un camino, un tavolo e alcune sedie, due delle quali erano occupate da altrettanti uomini che giocavano a carte.

“Se si va alle cattive, ci resto steso. Brooks maledetto. Sceriffo maledetto e…” «Venti passi indietro!» Liang arretrò. Stava sudando più di prima. La camicia era una pezza bagnata che aderiva al corpo e gli dava i brividi. Si sentiva privo di energie. Aveva paura. «Chi sei?» «Mi manda Brooks.»

Il caldo rendeva insopportabile la puzza di alcool e sporcizia. «Che problema hai?», gli disse uno con i capelli rossicci. Liang estrasse dal taschino la lettera e gliela porse. «Ti chiami Liang?» «Come lo sai?» «C’è scritto qui. Tu ci chiedi di allontanare i


Malloy e i Carrizo da Santa Inés. Sarà fatto. Li vuoi ben cotti o al sangue?» «Sono affari di Brooks, non miei.» «No, no! Sei tu che firmi la lettera. Sei il nostro capo.» Il ceffo scoppiò a ridere: «Che gran figlio di puttana quel Brooks!» Liang cercò di fare il duro: «Non ho voglia di scherzare. Ho consegnato la lettera. Il mio lavoro è finito.» «Pensaci. Perché Brooks avrebbe dovuto mandare proprio te? Credi che non avesse davvero nessuno disposto a farsi una cavalcata a Flat Rock?» «Lince Bianca», rispose Liang con tono secco. I quattro banditi si unirono in una fragorosa risata. «Lince Bianca è nell’Oklahoma da due anni. Devi farti furbo, dolcezza. Brooks vuole le terre libere per la ferrovia. Ha offerto dei soldi, però i contadini non hanno accettato. Allora ha deciso di provare con le cattive. Ma lui è un gentiluomo e non può sporcarsi le mani. Né lui, né i suoi. E ha messo in mezzo uno che non ha niente da perdere e che vale meno di una cartuccia vuota. Tu, cinesino, sei caduto nella trappola e ci hai appena assoldati.» E via altre risate. «Che cosa ti ha promesso Brooks?» «Cinquanta dollari…» Il quarto fuorilegge, fino ad silenzioso, fischiò limpidamente.

allora

«Se vuoi un consiglio, – gli disse il rosso, – sparisci. Metti tanta polvere fra te e Santa Inés quanta ce n’è in tutta l’Arizona.

Cambia nome. Tornatene da dove vieni. Qui Brooks è il padrone e Cousin è il suo cagnolino. Hanno in mano le prove che tu hai agito di testa tua per risolvere il problema con i Malloy e i Carrizo, così da entrare nelle grazie di un ricco imprenditore. Noi usiamo modi poco eleganti, roba che non si addice ai ragazzini. Però sistemiamo le faccende in modo veloce. E tu, invece? Sai che fine fanno i canarini nelle miniere?» Liang stava per esplodere. “Sarò ricercato in tutto il West. Forse sarò anche complice di un omicidio!” «Posso… posso riavere la mia pistola?», furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Il messicano puntò l’arma contro Liang, che strinse la testa nelle spalle, poi premette più volte il grilletto, ma senza risultato: «È un ferro arrugginito. Anche un bambino se ne sarebbe accorto.» «La gran fiera delle fregature ching chong! Mica scemo, Brooks. Ti ha mandato quassù sdentato. Adesso torna a cuccia, su», aggiunse il quarto. Il rosso fissava Liang con un sorriso beffardo: «Dato che sei il capo, vuoi che partiamo dai Malloy o dai Carrizo?»


YOG-SOTHOT Pietro rotelli


Terza Puntata





Neremacchine 2 Raffaele izzo

Eccoci dentro Siamo dentro Quelli di noi Ancora vivi In Labirintica assenzadolorosa Ultimi Di Antica Genie Dentro Macchine Ovunque Tentacolareinfinitaestensione Neroacciaioangolicurvi Nero Nero Acciaio Dentronoiinogniporo In Noi Estrazionesangueestrazionedolore Pensieri sconnessi Questo ero Questo nero Questo sono Siamo Io Noi Chi siamo noi? Neuromanti o macchine?


Macchine o neuromanti? Provo a guardare intorno A perdita D’occhio Nero mare Ferronero Un Nome ritorna Senza sosta Un Nome Ritorna Senza sosta GRENDOR Perché Questo nome Perché? Cosa siamo noi? Cosa Nerocosadoloreimmensonessunapossibileresistenzanessunaforzaintor noilnerotentacolarenerooscuronero/nero/altricomemeconenoi;:altri comeGrendor,stiamomorendostiamoinfinestiamodolorosamentemore ndomorendomortimorentiscorronodentrointornotentacoferrosinellac arnenostracarnesquartataricompostaenergiechefluttuanoversolemac chinecchineinecchinecchineversolamortedolorosainutileperche’?perc he’?perche’?perche’?perche’?perche’?perche’?perche’?perche’?perc he’?Grendor,Grendor, Grendor, cos’e’Grendorchie’Grendorsuperficiinfinitedinoiservononutrirelorom acchineNeremacchinepersempreacciaiocorrusodentronoinelmareinfi nitodoloremortemarcioDeimortisiamosietesonosaremoprestoforseGr e dorconenoimeloro?labirintispigolocurvoidiscaledentroscaledentrocur veespigolicubietondiespigolienerodappertuttodentrougualefuoriinfini tamorteeternaadessosempre. Tutto si spegne Adesso. GRENDOR.









Abbiamo selezionato a caso alcune coppie di parole. Le abbiamo donate ad altrettante coppie di sceneggiatori e disegnatori di Ronin, anch’esse scelte dal caso. Abbiamo chiesto loro di creare delle storie con l’unico vincolo di impiegare proprio quelle due parole. Il risultato è… WUNDERKAMMER

Incontri archeologici del terzo tipo (Tovagliolo - Organizzazione) GoatLight (Capra - Luci) Fisica elementare (Ascensore - Goccia) Matau (Arpione - Erba) Peccati di gola (Religione - Acne) L'occhio di Horus (Occhio - Dromedario) Ossessione bianca (Albino - Aviatore) Primo giorno di scuola (Gazza - Insegnante) Il capolavoro (Allievo - Cuoco) Sottintesi (Buio - Poligono) War Machines (Benzina - Linea)




















































SPADA DISONORATA UOMO DISONORATO Storia: Davide Schiano Di Coscia Disegni: Marco Salerno








odori Stefano spataro Come ogni mattina Aldo è fuori nel suo giardino a lavorare al computer. Uno stupido e logorante lavoro da autistico, che però, tutto sommato, gli lascia un po' di tempo per dedicarsi a qualcosa di stimolante. Il suo giardino non è così grande da giustificare la parola. E' quasi un grosso balcone con qualche metro quadrato di terra posizionato al piano rialzato di una piccola palazzina immersa nella periferia degradata di una città industriale. No, decisamente "giardino" non è proprio la parola adatta. Ci sono piante, fiori, ma l'aspetto è patetico e quasi ridicolo. Aldo però ci sta bene, soprattutto in questo strano periodo dell'anno che transita dalla primavera all'estate. Uno dei motivi per cui preferisce lavorare fuori è quello di annusare l'aria. L'odore di cucinato che proviene dalle case degli altri, tanto vicini quanto sconosciuti, e di sognare il sapore dei loro cibi, in un mix d'odori che gli faranno sembrare meno deludente il pasto insipido che gli preparerà la madre tra qualche ora. La sua vecchia madre succube che non è riuscita a liberarsi della presenza opprimente del marito neanche dopo la morte di lui e che ha dovuto cercare nell'alcol un degno sostituto altrettanto doloroso e deprimente. Aldo, a venticinque anni, non può permettersi una famiglia normale, né un pranzo decente. Grazie alla sinestesia acuta di cui soffre riesce a vedere materialmente davanti ai suoi occhi gli odori che percepisce col naso. La prima volta ebbe paura, non ne parlò con nessuno. In un tempo brevissimo però si abituò a quegli strani eventi e ne trasse qualche vantaggio. Ogni odore infatti materializzava un nuovo amico. L'odore dell'aglio soffritto aveva l'aspetto di una ragazza magra, probabilmente tossica, dai lunghi capelli biondi, e tuttavia bellissima e fragile nei movimenti. Il fritto era un uomo crudele e dagli occhi spietati, con la barba incolta e dal corpo tarchiato e sudato. La

cipolla era una dama d'altri tempi, sui cinquant'anni, sfuggevole ma allo stesso tempo complice negli sguardi. L'arrosto di carne, un uomo elegante che aveva qualcosa da nascondere... Nel giro di qualche anno si era fatto molti di quegli amici, con alcuni di questi parlava, si confidava e scherzava, con altri litigava. Avveniva tutto nella sua testa, ovviamente, ma questo non rendeva meno interessanti e desiderabili quegli incontri. A differenza della sua esperienza all'esterno, l'odore acre che si percepiva all'interno, in quella cucina senza colori dove la madre cucinava, era invece sempre lo stesso, e la figura che questo faceva materializzare durante il pasto sempre uguale. E lo vedevano entrambi, madre e figlio: un uomo grasso, quasi completamente calvo, con una piccola cicatrice sul labbro inferiore. Le orbite degli occhi affossate dentro occhiaie color pece, e gli occhi stessi arrossati in maniera innaturale. L'uomo ora è seduto al tavolo, con le mani poggiate sulla tovaglia macchiata, con un cucchiaio in mano, pronto. La madre di Aldo rimesta la solita sbobba il cui odore crea la figura di quell'uomo indesiderabile e disgustoso. - Dai, che si fredda - dice lei versando la brodaglia nella coppa dei due commensali e solo alla fine nella sua. - ... - Buon appetito, Aldo caro - dice poi la donna dopo essersi finalmente seduta accanto al figlio e di fronte all'uomo. - Buon appetito, mamma – dice infine Aldo con tono sommesso mentre rimesta il suo cucchiaio in quell'acqua fetida. Poi si volta a guardare quell'uomo negli occhi e ripensa agli amici lasciati fuori in "giardino". Deglutisce dopo questa breve pausa e sussurra - Buon appetito, papà...






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