Italiana

j u ne/septemb e r 2 01 5

NUMBER 3

LUCIANO FLORIDI The Father of the Infosphere

SAMANTHA CRISTOFORETTI The Little Girl Who Gazed at the Stars

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T H I N K G L O B A L , L I V E I TA L I A N

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VITA

14 GESTURES AND WORDS IN

THE SWEEPING ‘POPULAR FRESCO’ OF THE MISTERO BUFFO

Gesto e parola nel grande affresco popolare di Mistero buffo

BELLEZZA

BELLEZZA

50 ROSA FRESCA

AULENTISSIMA

Rosa Fresca Aulentissima

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WHY DO ALL RUMINANTS SAVE THE CAMEL HAVE HORNS? Perché i Ruminanti Hanno le Corna Salvo il Cammello?

BELLEZZA

70 THE DISSIMILAR

TWINS OF MANNERISM

I Gemelli Diversi del Manierismo

CREATIVITÀ

104 LUCIANO FLORIDI,

THE FATHER OF THE INFOSPHERE

Luciano Floridi, Padre dell’Infosfera

PASSIONE

158 TWO MAD MINUTES OF

RECKLESS ABANDON

Due Folli Minuti di Spericolato Abbandono

PASSIONE

174 THE COURAGE OF ITS

CONVICTIONS

Il Coraggio delle Scelte

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FANTASIA

184 THE LITTLE GIRL WHO

GAZED AT THE STARS

La Bambina che Guardava le Stelle

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CONTENTS / 6 7

A Letter from the Editor Lettera dell’Editore V I TA I TA L I A N A

10 10 14 14 20 20 28 28 38 38 44 44

The “Luce” Factor Fattore Luce Gestures and words in the sweeping ‘popular fresco’ of the Mistero buffo Gesto e parola nel grande affresco popolare di Mistero buffo Spello, Most Splendid Colonia Julia Spello, Splendidissima Colonia Julia Cities from Memory Le città a memoria In Love I Connect Mi connetto in amore The Guys Who Care for the Grapevines I Ragazzi che Curano le Vigne B E LL E Z Z A I TA L I A N A

50 50 58 58 60 60 64 64 70 70 80 80 86 86

Rosa Fresca Aulentissima Rosa Fresca Aulentissima A Day in Lecce Un Giorno a Lecce The Cinque Terre in 48 hours Le Cinque Terre 48 ore Why Do All Ruminants Save the Camel Have Horns?

Perché i Ruminanti Hanno le Corna Salvo il Cammello?

The Dissimilar Twins of Mannerism I Gemelli Diversi del Manierismo Italy Is a Long Farewell L’Italia è un Lungo Addio Creativity Creatività C R E AT I V I TÀ I TA L I A N A

94 94 98 98 104 104 112 112 118 118 126 126

Indro Montanelli, a Countercurrent Observer Indro Montanelli, Testimone Controcorrente Classic Typography, Confounded Nostalgia Tipografia Classica, Nostalgia Canaglia Luciano Floridi, The Father of the Infosphere Luciano Floridi, Padre dell’Infosfera Madness, Speed and Recklessness Folli, Veloci e Sregolati The Flying Cities Le Città Volanti Ceasar Must Die Cesare Deve Morire

SOMMARIO

142 142 146 146 152 152 158 158 166 166 174 174

XFood XFood The Poetry of Alda Merini La Poesia di Alda Merini Strade Bianche Le Strade Bianche Two Mad Minutes of Reckless Abandon Due Folli Minuti di Spericolato Abbandono Do You Know the Land Where the Lemon Trees Blossom?

Conosci la Terra dei Limoni in Fiore?

The Courage of Its Convictions Il coraggio delle scelte FA N TA S I A I TA L I A N A

184 184 190 190 196 196 202 202 208 208 214 214 226 226

The Little Girl Who Gazed at the Stars La Bambina che Guardava le Stelle Pine Trees in Search of a Place Pini nello spazio in cerca di collocazione An Investigator of Nightmares, Who Never Turns Away from the Unknown L’indagatore dell’incubo che non rifiuta l’ignoto Wood: Tailor-made Finery Legno, Abito su Misura Fulvio Pierangelini, a High-wire Walker in Search of Harmony Fulvio Pierangelini, un Funambolo alla Ricerca dell’Armonia ModaMusei ModaMusei Rossi vs. Muller Rossi vs Muller A N I M A I TA L I A N A

234 234 242 242 250 250 258 258 262 262 268 268 272 272 280 280

What’s a Morning Without a Moka?

Il Mattino Ha la Moka in Bocca Beyond Art, Beyond Conventions Oltre l’arte, oltre le convenzioni Naples’ Golden Thread, from Sunlight to Elegance Filo d’Oro dal Sole all’Eleganza La Scala, the Theatre of Maria Callas La Scala,il Teatro di Maria Callas The Poetry in the Feet of the “Divine Ponytail” La Poesia nei Piedi del Divin Codino Cato, the Ancient Sage Catone, il Savio Antico The Fate of Truth in the Age of the Transdiegetic Il Destino della Verità nell’Epoca della Transdiegetica Who Wins on the Social Networks?

Chi Vince Sui Social Network nel Calcio

284 298

Suggestions/Consigli Save the date/Agenda

PA S S I O N E I TA L I A N A 134 134

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The Educational Revolution La rivoluzione dell’educazione

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LETTER FROM THE EDITOR Flipping through the pages of the third issue of Italiana, you may notice that more than one article deals with philosophy. This should not come as a surprise to those such as we, who, on this occasion, intend to grant the term not its generic and more etymological meaning of “love of wisdom”, but its rather more ‘Socratic’ acceptation, closer to an informed choice to follow a certain “way of life”.

And the lifestyle we enjoy telling you about is the Italian one.

Italiana thus continues to be the calling card we distribute amongst our interlocutors.

But let’s talk about the issue you’re holding in your hands. The only fitting place to begin is with the article devoted to Samantha Cristoforetti, first Italian woman to be a European Space Agency crew member and a great source of pride for our nation. Then there is the wonderful piece by Umberto Eco, expert on language and its evolution, who has offered us a particularly empathetic reflection on the role that philosophy continues to play in our understanding of our day-to-day lives. You will also find an article on the work of Luciano Floridi, one of the greatest experts on the philosophy of information and universally recognised father of the Infosphere, a new and compelling concept that has ushered in a new season of global debate. You will read the story of two young Italian viticulturists who are successfully exporting their brand new method of vine pruning. Then experience the scents, history, colours and beauty of one of the world’s most beautiful islands, Sicily.

And so many more stories besides.

It is my hope that this third issue of Italiana will meet with the same warm reception that the previous issues have enjoyed. There is still so much more to tell about the beauty and talent that Italy has to offer.

The journey is a long one, and we have only just begun!

Think global, live Italian.

Luigi De Siervo

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LETTERA DELL’EDITORE Sfogliando le pagine del terzo numero di Italiana noterete che in più occasioni si parla di filosofia. E questo non stupirà chi, come noi, per l’occasione intende dare a questo termine non il generico e più etimologico significato di “amore per la conoscenza”, ma un’accezione più “socratica”, più prossima alla scelta consapevole di condurre un determinato “modo di vivere”.

E il modello di vita che qui ci piace raccontare è quello italiano.

In questo senso Italiana continua ad essere il biglietto da visita che distribuiamo tra i nostri interlocutori.

Ma veniamo ai contenuti del numero che tenete tra le mani. Non posso non cominciare citando l’articolo dedicato a Samantha Cristoforetti, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea e grande motivo di orgoglio per il nostro Paese. Il bellissimo pezzo di Umberto Eco, grande esperto del linguaggio e della sua evoluzione, che ci regala una riflessione particolarmente empatica sul ruolo che la filosofia continua ad avere nella comprensione della nostra vita quotidiana; gli studi di Luciano Floridi, uno dei maggiori esperti della filosofia dell’informazione e universalmente riconosciuto padre dell’Infosfera, concetto nuovo ed efficace che ha aperto, a livello scientifico e divulgativo, una nuova stagione di dibattito mondiale; la storia di due giovani viticultori italiani che stanno esportando con successo un nuovissimo metodo di potatura dei vigneti; i profumi, la storia, i colori e la bellezza di un’isola tra le più belle al mondo: la Sicilia.

E insieme a queste tante altre storie.

Spero che il terzo numero di Italiana confermi il gradimento che la rivista ha incontrato finora: c’è ancora molto da raccontare, sulle bellezze del nostro paese e sui suoi talenti.

Il viaggio è lungo e siamo solo all’inizio!

Think global, live italian.

Luigi De Siervo

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V I TA Gioacchino Colizzi, known to readers as Attalo, was the father of the most well-known popular Italian satirical cartoon characters. Master of the vignette and contributor to one of the most important satirical magazines of the 20 th century, his characters acted out the moral poverty and failures of bourgeois society. The most popular of these is surely il Gagà, the budding social climber, master of bluff and ostentation, inspired by the artist’s friend, journalist Attilio Battistini. Another emblematic character is Cavalier Precisetti, who “either does something well or not at all” (his name means “Sir Fastidious”). It is no coincidence that Fellini named Colizzi the first Italian neo-realist cartoonist.

Gioacchino Colizzi, in arte Attalo fu maestro della vignetta satirica, padre delle più note macchiette popolari umoristiche, interpreti delle miserie dei fallimenti della società borghese del ‘900. Il più popolare è di certo il Gagà, l’arrampicatore sociale emergente, artista del bluff e dell’esibizione, ispirato all’amico giornalista Attilio Battistini, emblematico anche il Cavalier Precisetti che “quando fa una cosa la fa bene o per niente”. Non a caso Fellini lo definì il primo disegnatore neo realista italiano.

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THE “LUCE” FACTOR CREATIVE FORCE BEHIND THE COLLECTIVE CONSCIOUSNESS, CUSTODIAN OF VISUAL MEMORY

by Angelo Mellone

FATTORE LUCE PRINCIPALE MOTORE DI CREAZIONE DELL’IMMAGINARIO E GARANTE DI MEMORIA VISIVA di Angelo Mellone 10

Among Italy’s many distinctions is an incredible wealth of images that tell the story of our nation from the time when the techniques of cinema and documentary filmmaking took their place alongside photography. We are talking about the LUCE Institute (the Italian acronym, which means “light”, stands for the Union of Educational Cinematography), counted by UNESCO among the most important keepers of the “memory of the world”. It has recently celebrated its ninetieth year of existence – nearly a century devoted to telling the story of Italy.

Imagine a nation that is poor, divided, fragment-

Tra i tanti primati di cui l’Italia dispone vi è anche un patrimonio incredibile di immagini che raccontano la nostra nazione da quando alla fotografia è stata accostata la tecnica cinematografica e documentaristica. Stiamo parlando dell’Istituto Luce (ricordiamo l’acronimo: Luce, uguale L’Unione Cinematografica Educativa), annoverato anche dall’Unesco tra i principali incubatori della memoria globale, che da poco ha compiuto i novant’anni di vita. Quasi un secolo al servizio del racconto dell’Italia.

Immaginate una nazione povera, divisa, frammen-

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ed in its provincialisms, with a divide between North and South as visible and present then as it is today. Imagine a young nation, still searching for its political identity. Imagine cinemas chockfull of children, teenagers, adults and the elderly, all intent on a documentary about a Zeppelin expedition to the Arctic, a report from deepest Africa, an account of the reclamation of the marshlands of lower Lazio, or an update on Italy’s wars.

All of this was the handiwork of LUCE and its impressive group of photographers, camera operators, filmmakers and producers, and the fruit of the imagination of Luciano De Feo. A coura-

geous and visionary journalist, in the early 1920s he foresaw the strategic importance of images (both photographic and cinematographic) as a tool for the education of a nation.

LUCE was born in the 1920s with one goal: “to teach Italians about Italy” – to describe reality through images, to act as an instrument for the socialisation of a new national citizenry. It is true that the Institute gained its form and power during the years of Fascist authoritarianism, encouraged by Mussolini, who believed in the mythopoeic power of images, mixed pedagogy with propaganda, and an educational role with

tata nei suoi provincialismi, in una divisione tra Nord e Sud visibile e presente allora come oggi, immaginate una nazione giovane ancora alla ricerca di un’identità politica. Immaginate cinematografi pieni zeppi di bimbi, giovani, adulti e anziani attenti a vedere un documentario sulla spedizione di un dirigibile nell’Artide, un reportage dall’Africa profonda, un resoconto della bonifica delle paludi del basso Lazio, un aggiornamento sulle guerre italiane; bene, tutto questo era opera del LUCE e del suo imponente gruppo di fotografi, cineoperatori, autori, produttori, frutto della intuizione di

Luciano De Feo, un giornalista coraggioso e visionario che negli anni Venti intuisce l’importanza strategica dell’immagine (sia essa fotografica che cinematografica) come strumento di pedagogia nazionale.

Il LUCE nasce negli anni Venti con un obiettivo: «far conoscere l’Italia agli italiani», raccontare il reale per immagini, fungere da strumento di socializzazione di una nuova cittadinanza nazionale. È vero, l’Istituto prende forma e potere durante gli anni dell’autoritarismo fascista, spinto da Mussolini che credeva nel potere mitopoietico delle imma11

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one of Regime-oriented socialisation. He sought to bend the power of the image to the power of control and censorship, but it immediately acquired a value and an importance that went far beyond those short-term goals. Putting aside the Ideological constraints that Fascism imposed on production, we must be grateful for “the stubborn desire of cameramen and photographers who, with an independent spirit, revealed to us a true, concrete nation, with all its contradictions, harmony and disharmony,” as Dacia Maraini wrote. It is no coincidence that, after the fall of Fascism, LUCE did not disappear, but instead transformed itself. It refashioned the language it used to describe Italy, the Italians and other important parts of our planet, which we know today thanks in part to the preservation of an extraordinary volume of documentary material. LUCE is thus the driving creative force behind the collective consciousness of at least three generations of Italians.

With approximate-

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ly five thousand hours of film and three million photographs, LUCE has become one of the custodians of the visual memory of 20th-century Italy, a role which it has carried out in conjunction with the RAI since the 1950s, in a sort of indirect ‘tandem effort’, which has transformed LUCE and the public radio and television broadcasting service into the two columns supporting the temple of Italy’s collective consciousness. With LUCE’s images, spanning a period from 1927 to the 1980s, we undertake an unequivocally Italian journey that weaves dozens and dozens of stories into one shared narrative tapestry. From Mussolini to Andreotti. From cyclist Gino Bartali to tennis player Adriano Panatta. From newsreels to the most modern reporting. From lunch in a rural Sicilian village in the 1920s to a watermelon harvest on the plains of Lazio in the 1980s.

This is just one way to build a library of what it means to be Italian – which is, by its very nature, a creative chaos.

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gini, mischia pedagogia e propaganda, funzione educativa e funzione di socializzazione al Regime, cerca di piegare il potere delle immagini al potere del controllo e della censura, e però acquista immediatamente un valore e un’importanza che vanno ben oltre i suoi obiettivi di breve periodo. Come scrive Dacia Maraini, al di là delle gabbie ideologiche imposte dal Fascismo alla produzione, bisogna ringraziare «la cocciuta volontà di operatori e fotografi, i quali, con spirito autonomo, ci hanno rivelato un Paese vero, concreto, con tutte le sue contraddizioni, le sue armonie e le sue disarmonie». Non a caso il LUCE, anche dopo la caduta del fascismo, non scompare ma si trasforma e rinnova il suo linguaggio di narrazione dell’Italia, degli italiani e di zone importanti del nostro pianeta che oggi conosciamo anche grazie alla conservazione di una straordinaria mole di documentazione. Abbiamo così a che fare con il principale motore di creazione dell’immaginario per almeno tre gene-

razioni di italiani.

Con circa cinquemila ore di film e tre milioni di fotografie, il Luce è divenuto uno dei garanti della memoria visiva dell’Italia del Novecento, un ruolo che ha svolto, a partire dagli anni Cinquanta, assieme alla Rai, in una forma obliqua di “tandem” che fa del Luce e del servizio pubblico radiotelevisivo le due colonne che sorreggono il tempio dell’immaginario italiano. Con le immagini del LUCE, dal 1927 agli anni Ottanta del secolo scorso, intraprendiamo un viaggio di marca italiana che riunisce in un tessuto narrativo comune decenni e decenni di storia. Da Mussolini ad Andreotti. Dal ciclista Gino Bartali al tennista Adriano Panatta. Dai cinegiornali alle più moderne redazioni giornalistiche. Dal pranzo in un borgo rurale della Sicilia degli anni Venti alla raccolta di angurie nella piana di Latina negli anni Ottanta. È anche così che si costruisce una biblioteca dell’italianità. Che, per sua essenza, è caos creativo.

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GESTURES AND WORDS IN THE SWEEPING ‘POPULAR FRESCO’ OF THE MISTERO BUFFO DARIO FO AND THE INVENTION OF THE GRAMMELOT

by Camilla Guaita Dario Fo’s artistic career began around 1950, when, having completed his studies at the Brera Academy of Fine Arts, he started working for the RAI as an actor and author of satirical pieces. After a short time, the strongly irreverent quality of his works led him to consider the theatre his favourite medium of expression. During the 1960s, together with his wife Franca Rame, he performed his farces – disparaging and critical of the “bourgeois theatre” establishment – in alternative venues such as factories, town squares and community centres, for heterogeneous audiences that often had little experience of theatre.

One of the most important turning points in Fo’s

career occurred in La Spezia on 1 October 1969, when he first presented his Mistero buffo (“Comic Mystery”). This ingenious “giullarata” (a term used

by Fo, derived from the Italian word for “jester”) introduced a new word, grammelot, as well as a new theatrical genre: the teatro di narrazione (narrative theatre), destined to thrive for the next fifty years.

The play met with huge and immediate success, thanks to Fo, who brought to life a cast of unforgettable characters in an extraordinary solo performance narrating biblical episodes from the life of Jesus, taken from the gospels and the apocrypha.

While the events it recounts are little more than a framework on which to build the performance, the

GESTO E PAROLA NEL GRANDE AFFRESCO POPOLARE DI MISTERO BUFFO DARIO FO E L’INVENZIONE DEL GRAMMELOT di Camilla Guaita La carriera artistica di Dario Fo prende l’avvio verso il 1950 quando, terminati gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera, inizia a lavorare in RAI come attore e autore di testi satirici. La forte impronta dissacrante dei suoi lavori lo induce, in breve tempo, a considerare il teatro suo mezzo privilegiato di espressione: negli anni Sessanta, insieme alla moglie Franca Rame, recita le sue farse - irriverenti e critiche nei riguardi del “teatro borghese” - in luoghi alternativi quali fabbriche, piazze e case del popolo, davanti a un pubblico eterogeneo e spesso digiuno di teatro.

Risale al 1969 una delle svolte più significative della carriera di Fo che, il primo ottobre di quell’anno, presenta a La Spezia Mistero buffo, geniale “giulla-

rata” che sancisce, insieme, la nascita di una parola, grammelot, e quella di un genere teatrale, il teatro di narrazione, destinato a grande fortuna nel mezzo secolo successivo.

La rappresentazione riscuote immediatamente un vivo successo: merito dell’interpretazione dello straordinario interprete che, solo in scena, dà vita a una indimenticabile carrellata di personaggi che raccontano episodi biblici ripresi dai vangeli apocrifi e dalle storie della vita di Gesù.

E se il racconto degli eventi è poco più che un canovaccio nel complesso dello spettacolo, la struttura narrativa si ricava dall’innesto di parole, suoni e onomatopee su una gestualità tanto ricca e complessa da riempire i vuoti di senso rendendo chiaro 15

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narrative structure is obtained from the grafting of words, sounds and onomatopoeia onto a expressiveness of gesture so rich and complex as to fill gaps in meaning and shed light on developments in the action which, if entrusted to dramaturgy alone, would come across only obscurely. Mingling Latin, Po Valley dialects and various archaisms, the actor manages to make the audience understand him by accentuating his intonation, rhythm, the musical flow of his lines, accompanying words with a parallel dialogue of pantomime and gestures, based on codified and immediately recognisable ‘expressions’ that serve as a counterpoint.

Dario Fo himself summarised the fundamental principles of “his” language in his Manuale minimo dell’attore (published in English as The Tricks of the Trade). “Grammelot means [...] the onomatopoeic flow of speech, articulated without rhyme or reason, but capable, with the addition of particular gestures, rhythms and sounds, of conveying a complete discourse. In these terms it is possible to

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improvise – or better yet, articulate – grammelots of all kinds in the most diverse lexical registers.

The first form of grammelot is the one acted out by children who, using their incredible imaginations, pretend to converse with perfect clarity while gabbling in an extraordinary fashion (which, among themselves, they understand perfectly)”. While of uncertain etymology, the term actually appears to derive literally from the French word grommeler, meaning a grumbling or unclear mumbling.

Fame dello Zanni (“Zanni’s Hunger”), in addition to being extremely enjoyable, is also of great interest from a linguistic standpoint. In this piece, the author-actor evokes the hunger of a peasant from Bergamo with a monologue that entrusts its ability to be understood to the interplay of physical gestures and the sound of the spoken words. It is Fo himself who, at the beginning of the performance, addresses the audience, making it clear that it is essential that they lose themselves in the narration, following its thread more with their imagina-

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lo sviluppo di vicende che, affidate alla sola dram- tendono perfettamente)”. E letteralmente il termimaturgia, riuscirebbero oscure. Contaminando lati- ne, di etimologia incerta, pare infatti che derivi dal no, dialetti padani e arcaismi vari, l’attore riesce a francese grommeler per indicare un bofonchio, un farsi comprendere dal pubblico marcando l’intona- borbottio poco chiaro. zione, il ritmo, l’andamento melodico delle frasi alle Sotto il profilo linguistico è di primo interesse – olquali fa da contrappunto un discorso mimico-ge- tre che estremamente godibile – il brano della Fame stuale parallelo, fondato su espresdello Zanni, in cui l’autore-attore resioni codificate e immediatamente stituisce il sovrabbondante appericonoscibili. tito del contadino bergamasco con la struttura narrativa Lo stesso Dario Fo sintetizza i prinun monologo che affida la propria si ricava dall’innesto cipi fondamentali del “suo” linguagcomprensibilità, appunto, all’intedi parole, suoni e gio in Manuale minimo dell’attore: razione tra il gesto e il suono delle onomatopee su una “Grammelot significa […] gioco onoparole pronunciate. È lo stesso Fo gestualità tanto ricca matopeico di un discorso, articolato che, in apertura, si rivolge al pubblie complessa arbitrariamente, ma che è in grado co specificando come sia essenziadi trasmettere, con l’apporto di gele che gli spettatori si abbandonino sti, ritmi e sonorità particolari, un alla narrazione, seguendone il filo intero discorso compiuto. In questa facendo ricorso più alla fantasia chiave è possibile improvvisare – meglio, articolare che alla razionalità: “Lo Zanni racconta in un finto – grammelot di tutti i tipi riferiti a strutture lessi- dialetto lombardo. Molti di voi saranno convinti di cali le più diverse. La prima forma di grammelot la poter ascoltare e capire: capiranno alcune parole e eseguono senz’altro i bambini con la loro incredibile cercheranno di capire il tutto. Ecco, coloro che cerfantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi cheranno di inoltrarsi in questo ginepraio si trovecon farfugliamenti straordinari (che fra di loro in- ranno sconfitti, e alla fine non riusciranno a capire 17

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tions than with their rational minds. “Zanni tells his story in a fake Lombard dialect. Many of you will be convinced you can listen and understand: such people will understand a few words and attempt to understand everything. Those who seek to venture into this morass will find themselves defeated and, in the end, will not be able to understand anything at all. On the other hand, those who rely solely on their imaginations, who do not know Lombard and do not concern themselves with trying to recognise it, will understand everything and will explain

to the others – the ones who know Lombard – the story I have told. This evening is the triumph of ignorance!”.

For Fo, the grammelot became a tool for the criticism of “bourgeois theatre”, a new oral form that made it possible to break the habit of passively enjoying a performance. It induced the public to remain active, present, critical, to take a stance on the topics the author dealt with and which are themselves far from conventional. Mistero buffo is important not only because of its linguistic innova-

più niente. Mentre coloro che si affidano soltanto alla loro fantasia, che non conoscono il lombardo e non si peritano di scoprirlo, capiranno tutto e spiegheranno agli altri, che conoscono il lombardo, quello che ho raccontato. Questa sera è il trionfo dell’ignoranza!”.

Il grammelot diventa, per Fo, uno strumento di contestazione del teatro borghese: la nuova forma verbale permette di rompere una consuetudine – quella della fruizione passiva dello spettacolo – inducendo il pubblico a rimanere attivo, presente, critico. A prendere una posizione rispetto ai temi che l’autore affronta e che sono, infatti, anch’essi poco convenzionali. Oltre che per l’innovazione linguistica, Mistero buffo è quindi significativo anche dal punto di vista poetico: Fo riprende i drammi della teatralità medio-

evale – i misteri, appunto – rovesciandone, però, il punto di vista, che passa a essere quello, solitamente trascurato, delle classi popolari. Esemplare, a riguardo, il primo episodio di Mistero buffo, la Resurrezione di Lazzaro: intorno al miracolo, Fo costruisce lo scenario di un’umanità varia, ingenua, concentrata sui propri interessi e del tutto mondana. I personaggi che punteggiano il racconto offrono uno spaccato di vita distante dalla storia ufficiale, ma non per questo meno degno di interesse.

Fo insegue il suo sogno, e con Mistero buffo lo raggiunge: ossia, per usare le parole con cui è stata motivata l’assegnazione del Nobel nel 1997, “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

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tion, but also from a poetic standpoint: Fo took the absorbed by the worldly. The characters that popdramas of Medieval theatre – the mystery plays ulate the story provide a cross-section of life that (hence the name Mistero buffo, or “Comic Mystery”) is far distant from the official story, but no less – but turned their perspective inside out, telling interesting for that. Fo pursued his dream and, them from the generally neglected point of view of with the Mistero buffo, he achieved it. To describe the working classes. Let us take as an example the that dream, let us use the words of the Academy first episode of the Mistero buffo, the Resurrection that awarded the 1997 Nobel Prize in Literature of Lazarus. In it, he presents the miracle against to Dario Fo, “who emulates the jesters of the Midthe backdrop of a humanity that is dle Ages in scourging authority and diverse and credulous, focused on upholding the dignity of the downits own interests and completely trodden”. the narrative structure is obtained from the grafting of words, sounds and onomatopoeia onto a rich and complex expressiveness of gesture

Ital ian Rh ap sody “To make others laugh is my vocation, his to make them weep!” Jesters were the irreverent masters of the art of making men laugh. The art of entertainment was beloved by the people as an escape from the constrictive rules of the Middle Ages, but also by the powerful, who used mockery as a weapon to attack their adversaries. “How like we are! The tongue my weapon, the dagger his!” says Rigoletto, the court jester to whom one of Giuseppe Verdi’s most famous operas is devoted.

“L’uomo son io che ride, ei quel che spegne!”

I giullari erano i maestri irriverenti del saper far ridere, arte di intrattenimento amata dal popolo come via di fuga dalle regole costrittive medievali e strumento caro ai potenti per attaccare a colpi di scherno i propri avversari. «Pari siamo!... io la lingua, egli ha il pugnale» dice Rigoletto, il buffone di corte al quale è dedicata una delle più famose opere liriche di Giuseppe Verdi.

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SPELLO, MOST SPLENDID COLONIA JULIA A town where the Roman Empire, the Middle Ages and the Renaissance meet. An open-air theatre of enchanting traditions, where the people’s love for their town still reigns supreme

by Cecilia Mazzeo The whole of Umbria is an openair museum of poetic and heartbreaking beauty, but the little town of Spello, between Foligno and Assisi, stands out for its multilayered cultural and architectural roots, and the soft charm of its pietra rosa, the rose-coloured limestone of which it is built. At

sunset, the shades are those of an Impressionist painting. Founded by the Umbrians, a Central-Eastern Europe people, it is the unspoiled pearl of Umbrian civilisation, source of archaeological artefacts from Umbrian, Roman, Medieval and Renaissance times.

It is, by all accounts, a city of art,

SPELLO, SPLENDIDISSIMA COLONIA JULIA Una cittadina che coniuga Impero Romano, Medioevo e Rinascimento. Teatro a cielo aperto tra suggestioni e tradizioni in cui l’amor del popolo regna ancora sovrano di Cecilia Mazzeo L’intera Umbria è un museo a cielo aperto di poetica e struggente bellezza, ma la cittadina di Spello, tra Foligno e Assisi, si contraddistingue per la stratificazione delle sue radici culturali e architettoniche e per la dolcezza suggestiva della sua

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pietra rosa, il calcare rosato con cui è stata edificata e che durante il tramonto regala sfumature impressioniste. Fondata dagli Umbri, popolazione proveniente dall’Europa centro orientale, è la perla umbra incorrotta della civiltà, in cui si fondono reperti

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a jewel box nestled on the slopes of Mount Subasio – the source of its rose-coloured stone – 150 km from Rome and 280 meters above sea level.

It was the Romans that gave it

are greeted by the phrase “Splendidissima colonia Iulia” (Most Splendid Colonia Julia). It was later baptised FLAVIA COSTANTE, though whether by Constantine or Flavius Vespasianus is not

strolling through Spello is like stepping into a historical novel both the name Hispellum, probably drawing inspiration from the name of its founder Ispeo Pelisio, and the status of Municipium.

In 41 B.C.E., Octavian Augustus took this Umbrian town and transformed it into the COLONIA JULIA, a marvellous colony with walls, baths and a theatre, which can still be admired, as can the city plan. Visitors entering the city through the Medieval Gate

the “bearable” lightness of being can be found here: time passes slowly amidst flowers, olive trees and artistic masterpieces… the pink pearl of Umbria.

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clear. Between 1484 and 1583, the Baglioni family, old and noble feudal landholders from Perugia, left an important and meaningful mark on the town, giving Spello remarkable artistic lustre thanks to the numerous masterpieces of Renaissance art they commissioned. If the Roman period represented a boom in monumental architecture, then the era of the Baglioni family signified a flour-

ishing in painting, thanks to Bernardino di Betto, called Il Pinturicchio. How could we not mention the Baglioni Chapel, inside the church of Santa Maria Maggiore, located on the main street in the heart of Spello? Hidden as they are behind a façade that suggests austerity and frugality, its frescoes, painted in 1501, catch you off guard with their joyful and delicate colours. The Church of St. Andrea also holds treasures by Pinturicchio, including his Madonna Enthroned with Saints.

The Tega Chapel, with its frescoes dating from the 1400s, is also worthy of note. All of Spello’s artistic wealth is part of a heritage that expresses great faith and a culture steeped in spirituality.

The people of Spello have a strong connection to their religion, a

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archeologici umbri, romani, medievali e rinascimentali. A tutti gli effetti è dunque una città d’arte, una bomboniera che fiorisce sul declivio del monte Subasio a cui deve la pietra rosata, a 150 km da Roma e a 280 m. sul livello del mare.

Furono i romani a denominarla Hispellum, probabilmente prendendo in prestito il nome dal fondatore Ispeo Pelisio, e la fecero Municipio. Nel 41 a.C., da centro umbro qual era, Ottaviano Augusto se ne impadronì e la fece COLONIA GIULIA, colonia meravigliosa provvista di mura, terme e teatro che ancora si possono ammirare così come la pianta urbanistica. La porta medievale attraverso cui si entra in città saluta, infatti, con la scritta Splendidissima colonia

Iulia. Successivamente venne battezzata FLAVIA COSTANTE, non è chiaro se da Costantino o da Flavio Vespasiano. Importante e significativo il segno lasciato tra il 1484 e il 1583 dai Baglioni di Perugia, antica e nobile famiglia feudale che diede a Spello uno

chiesa di Santa Maria Maggiore, una sorpresa di colore festoso e gentile dietro una facciata che suggerirebbe austerità e parsimonia, nel cuore di Spello lungo il corso principale. Anche la Chiesa di S.Andrea custodisce tesori del Pinturicchio come la

passeggiare per Spello significa entrare in un romanzo storico da sfogliare smalto artistico notevole grazie a molti capolavori rinascimentali.

Dunque se il periodo romano ha rappresentato un’esplosione monumentale, quello dei Baglioni, invece, è stato uno sbocciare di dipinti ad opera di Bernardino di Betto, detto anche Il Pinturicchio.

Come non citare la cappella Baglioni- affrescata nel 1501- nella

Madonna in troni e santi; degna di nota anche la cappella Tega coi suoi affreschi del 1400. Tutte le ricchezze artistiche presenti a Spello sono patrimoni che esprimono una grande fede e un bagno totale nella spiritualità. C’è un legame forte tra gli spellani e la religiosità, un credo che è sentimento e quasi abnegazio23

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deeply emotional creed bordering on abnegation. The citizens make a concerted decision to give up a part of their wealth to improve the house of God, exhibiting a solidarity that modernity has, more often than not, eroded elsewhere.

The Palazzo Comunale, or Town Hall, is another treasure. Dating from 1270, this historic building is home to ancient Roman artefacts from the Villa Fidelia and the amphitheatre, as well as a rescript by

Constantine. What’s more, a number of important mosaics have recently been discovered sixty centimetres below ground in a sports field. To stroll through Spello is to be moved by a desire to explore, to seek out beauty. It is like stepping into an historical novel and flipping through it to experience each point of view and sensation.

Once inside the Ancient Roman town walls, you enter a “closed” world, becoming part of a liv-

ing tableau that pays no heed to passing fashions, instead proudly preserving its time-honoured traditions, scents, flavours and leisurely rhythms. It is healthy, this slow pace, rendering everything more accessible, more human.

On the topic of traditions and ardent spirituality, the most famous expression of these is the Infiorata. It takes place on Corpus Domini - Feast of the Sacred Body and Blood of Christ, cele-

ne: si sacrifica parte del proprio patrimonio per migliorare la casa di Dio con un atteggiamento corale, con quella compattezza che la modernità ha spesso sgretolato in ogni dove. Anche il Palazzo Comunale rappresenta una ricchezza, in quanto palazzo storico del 1270 che contiene reperti di epoca romana di Villa Fidelia e dell’anfiteatro e lo scritto di Costantino. Sono stati inoltre recentemente trovati alcuni importanti

mosaici in un campo sportivo, sessanta centimetri sotto terra.

Passeggiare per Spello significa farsi animare da un desiderio di bellezza e scoperta. Entrare in un romanzo storico da sfogliare assaporandone ogni prospettiva e suggestione. Fare parte di un presepe vivente oltre le mura di cinta romana che la rendono appunto un mondo “chiuso” che non si assoggetta alle mode, ma protegge con fierezza tradizioni an-

tiche, profumi, sapori e lentezza.

Una lentezza buona che rende tutto accessibile, umano.

Parlando di tradizioni e di calda adesione alla spiritualità, l’Infiorata ne è il simbolo più famoso e coincide col Corpus Domini- solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo che celebra la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia. Nata 85 anni fa, è tra le più prestigiose e richiama visitatori da tutto il mondo e nel 2012

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brating his Real Presence in the Eucharist. Begun 85 years ago, it is among the most prestigious of infiorata festivals, attracting visitors from around the globe.

In 2012 it was immortalized by world-class photographer Steve McCurry. The streets of the town on that day are decorated with carpets of fresh flowers to accompany the solemn religious procession. The infiorata is a delight to behold, but it also symbol-

izes purity and authenticity, since the flowers and greenery used must all be wild-grown. They are gathered from the slopes of Mt. Subasio, following a months-long careful analysis and selection that ensures no shade of colour will be lacking. One herb that is typically used is wild thyme, with its tiny light-lavender coloured blossoms. The process consists of selecting, gathering, capatura (removing the petals) and fi-

nally archiving and meticulously preserving. A sketch is done on paper, followed by a drawing on the street itself using different techniques and, lastly, the drawing is filled with flowers. On the Saturday night before Corpus Christi, Spello becomes a feverish workshop, full of the excited buzz of expectation. The themes represented range from ancient to modern art, from spiritual subject matter to current events.

è stata immortalata dal fotografo Steve McCurry, considerato tra i migliori. Consiste nel rivestire le strade del paese come fossero tappeti di fiori freschi che accompagnano la solenne processione religiosa e, oltre ad essere una gioia per gli occhi, ha a che fare con la purezza e l’autenticità. I fiori e le erbe utilizzati devono essere rigorosamente naturali. Vengono raccolti sulle pendici del monte Subasio dopo

un’attenta analisi e selezione nel corso di mesi, così da non farsi sfuggire nessuna sfumatura cromatica. Un’erba tipica utilizzata è il serpillo, una specie di timo dai minuscoli fiorellini color glicine. Dunque attenta selezione, raccolta, capatura (spetalare) infine archiviazione e meticolosa conservazione. Viene poi fatta una bozza su carta e successivamente un disegno su strada seguendo tecniche diverse e infine

il disegno viene riempito coi fiori.

Il sabato sera, prima del Corpus Domini, Spello diventa un cantiere febbrile e l’attesa si carica di fermento ed emozioni. I temi rappresentati spaziano dall’arte antica a quella moderna, da soggetti spirituali ad altri di attualità.

Oltre al significato spirituale questa festa rappresenta un atto d’amore verso sé stessi, verso gli altri abitanti e verso i visitatori. In 25

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In addition to its spiritual significance, this feast symbolizes an act of love towards oneself, one’s fellow citizens and visitors alike.

In a world that rushes along at light speed, it is wonderful to see the power of a community united.

Without distinction of social class or age, Spello’s citizens, from children to grandparents, join together to bedeck their town. Participation, planning and coordination, each in accordance with his ability, are the watchwords of the day.

In addition to the Infiorata, the other event that brings the town together and adds to its renown is

the Flowered Lane Competition.

Every inhabitant strives to adorn his lane in a profusion of plants and flowers, a luxuriant botanical gem of floral art.

Outside of the city, on the mountain, the landscape is dominated by olive groves. Here the rocky, gravelly soil grants Spello’s olive oil, called Oro (Gold), exceptional organoleptic characteristics, with high levels of polyphenols and a distinctive bouquet. Spello oil has been the object of scientific studies, which have recognized its therapeutic properties, including in oncology. The agricultural

cooperative that has been in existence here since 1947 has more than 500 partners and is among the oldest in Umbria. 1,600 people dwell within the town walls, more than in Assisi, making it a truly vibrant and industrious community.

Shops, narrow lanes, beautiful views, art, culture and traditions, flowers and spirituality, cooperation and love, together with wines, cheeses, sausages, legumes and bruschette dipped in excellent olive oil, all combine to make what lies within these walls a place where you can find something very much like a peaceful life.

un mondo che corre alla velocità della luce è bello vedere il potere della collettività che si riunisce senza distinzioni di estrazione sociale ed età- dal bambino al nonno- per vestire la propria cittadina. Partecipazione, pianificazione e coordinamento in base alle proprie capacità sono le parole d’ordine.

Insieme all’Infiorata un altro evento che dà lustro e compatta il paese è il Concorso del vicolo fiorito. Tutti gli abitanti si adoperano affinché il proprio vicolo

sia un tripudio di piante e fiori, un gioiellino botanico di arte floreale e di fecondità.

Fuori dalla città, sul monte, dominano gli uliveti e le proprietà del terreno sassoso e ghiaioso danno all’olio di Spello, detto Oro, caratteristiche organolettiche eccezionali con bassi valori di polifenoli e un aroma distintivo.

L’olio di Spello è stato oggetto di studi scientifici e gli sono state riconosciute proprietà terapeutiche anche dal punto di vista oncologico. La cooperativa agricola

che qui opera dal 1947 ha più di 500 soci ed è tra le più antiche dell’Umbria. Dentro le mura, invece, abitano 1600 persone - più che ad Assisi - davvero un cuore pulsante ed operoso.

Botteghe, vicoli, scorci, arte, cultura e tradizione, fiori e spiritualità, collaborazione e amore unitamente a vini, formaggi e salumi, legumi e bruschette intinte in un olio eccellente fanno di questo luogo un perimetro che assomiglia molto alla serenità del vivere.

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la “sostenibile” leggerezza dell’essere passa da qui: tra fiori e lentezza, ulivi e capolavori dell’arte… la perla rosa dell’Umbria.

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CITIES FROM MEMORY “ON TOP OF EVERY CHURCH I DRAW BRUNELLESCHI’S DOME” STEFAN BLEEKRODE

Dutch, 28 years old, he has been drawing every city he visits, down to the smallest detail, since he was 10. He only has to have visited a place once, but with a glance he is able to record thousands of details in his memory, the “culmination of an endless stream of impressions” which he finds while travelling in Europe and America.

As he tells it: “Last year, after only two days in Naples, I had memorized all the information I needed to make two drawings!”

LE CITTÀ A MEMORIA “SOPRA OGNI CHIESA DISEGNO LA CUPOLA DEL BRUNELLESCHI” STEFAN BLEEKRODE

Olandese, 28 anni, da quando ne ha 10 disegna nei minimi particolari ogni città che visita. Gli è sufficiente esserci stato una sola volta, il suo sguardo riesce a registrare nella memoria migliaia d’informazioni, il “culmine di un flusso infinito di impressioni” che trova mentre viaggia in Europa e in America.

Racconta: “L’anno scorso dopo solo due giorni a Napoli ho avuto tutte le informazioni memorizzate per fare due disegni!”

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Completely self-taught, after a short stint at art school he opted to continue his studies by visiting museums and libraries around the world.

Berlin, London, North America and, above all, Italy, notebook and pencil in his pocket, he likes to get lost in big cities and discover new things.

Upon returning from his travels, he plunges back into them, rediscovering all the images he memorized and the sensations he felt, then drawing them freehand, street by street, building by building, down to the trash bins; and so the journey goes on.

“Before I start working on a drawing, I only have a general idea of what I want to do and often my ideas come in through the back door.”

He begins by making a sketch in pencil on watercolour paper, which he then goes back over with pen and ink, a task of extreme precision that requires a very steady hand. He finishes it with shading in watercolour diluted with lots of water.

“Google Maps is useless to me, because the perspectives it provides are remarkably distorted. I

occasionally use reference materials, sometimes sketches or photos I’ve taken, but that’s only to get a few details. On average, between 90 and 99 percent of the reconstruction comes from my memory.”

Sometimes he adds details, other times he changes the perspective. His use of the imaginary becomes integrated into the idea of the city he wants to draw. Nonetheless, his reconstructed cityscapes are masterpieces of urban planning.

“The love for light and shadows is the most important thing in my paintings. In the absence of daylight I greatly rejoice in working out the intricate patterns of artificial light in deserted streets at night.”

Along with the beauty of a place, he likes to capture the specific atmosphere that is characteristic to a given city, to study different architectural styles and piece together a city that is truly alive, including people and traffic. He adds or removes buildings, and his drawings grow more realistic closer to the horizon.

“The drawing I did of Rome is a good example: a

Completamente autodidatta, dopo un breve perio- molta acqua. do in una scuola d’arte, preferisce studiare visitan- “Google Maps è inutile per me perché offre delle do musei e biblioteche in giro per il mondo. prospettive notevolmente distorte. OccasionalBerlino, Londra, il Nord America e soprattutto l’I- mente faccio uso di materiali di riferimento, a voltalia, taccuino e matita in tasca, gli piace perdersi te schizzi o foto che ho scattato, ma questo è solo nelle grandi città e scoprire cose per ottenere alcuni dettagli, medianuove. mente tra il 90 e il 99 per cento della Al ritorno dai suoi viaggi, vi si reimricostruzione è frutto della mia memerge, ritrovando tutte le immagini moria” che ha memorizzato e le sensazioni A volte inserisce dei particolari, altre il suo sguardo riesce a registrare nella che ha provato e le disegna a mano volte cambia la prospettiva, quella memoria migliaia di libera, strada per strada, palazzo che usa è immaginaria e s’inserisce informazioni per palazzo, fino ai cassonetti e così nell’idea della città che vuole diseil viaggio continua. gnare, ma la ricostruzione delle sue “Prima di iniziare a lavorare su un città è un capolavoro d’urbanistica. disegno ho solo un’idea globale di “L’amore per la luce e le ombre è la quello che voglio e spesso le idee cosa più importante dei miei dipinti, arrivano attraverso la backdoor.” in assenza di luce diurna mi diverto anche nell’elaInizia tracciando il disegno a matita, su carta per borare i modelli complicati della luce artificiale in acquerello, sul quale ripassa con la penna e l’in- strade deserte di notte.” chiostro, un lavoro di estrema precisione, che ri- Accanto alla bellezza di un luogo gli piace catturare chiede una mano fermissima, che completa con la specifica atmosfera che caratterizza una certa l’ombreggiatura fatta con dell’acquerello diluito con città. Studiare i diversi stili architettonici e com-

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combination of the real and the imaginary. So, for my interest in Italian history, art and architecture.” instance, when I drew Piazza Navona, in order to In the Italian cities he has visited, he says that what obtain the splendid curved façade of St. Agnes in he found, first and foremost, was beauty. “Even Agone, I had to use a sketch.” the tourists don’t seem to be able to diminish the Italy has had an enormous influgrace, style and beauty of cities like ence on his work and his developRome. In addition to the tons of idement as an artist. This is “because as to be put in my drawings – espeItalian art encompasses every arcially in Rome and Naples – every tistic field, from architecture to church, every building and even the with a glance he is able to record sculpture to the applied arts; but tiniest square seem deserving of thousands of details it has also explored realistic vision, capturing my attention. But even in his memory based on the principles of perspecless popular places in Genoa and tive and the anatomy of the world Turin still fascinate me, even if they around us. Italian artists freed Euare very different from those which rope from the constraints of Byzare perceived as the real Italy: Tusantine and Gothic painting. This is cany, Venice and Rome.” a fact that has fascinated me since I was twelve, “Some people think that it’s a meditative state of so I began to focus on Italian architecture in my mind that allows me to make these drawings, but drawings, attempting to apply the principles of Re- I am actually aware and alert when I’m painting!” naissance architecture to small buildings or put Concentrated is the best word to describe his state Brunelleschi’s dome on top of every large church. of mind when he is drawing a cityscape, since there These drawings are therefore the culmination of is little chance of making corrections when using

porre una città che sia veramente viva, comprese le persone e il traffico. Aggiunge o toglie edifici e il disegno diventa più realistico verso l’orizzonte.

“Il disegno di Roma che ho fatto ne è un buon esempio: una combinazione di reale e immaginario. Così, per esempio, quando disegnai Piazza Navona, per ottenere la splendida facciata curva di Sant’Agnese in Agone, ho dovuto usare uno schizzo.”

L’Italia ha avuto un’enorme influenza sul suo lavoro e sul suo sviluppo artistico: “perché l’arte italiana copre ogni campo artistico, dall’architettura alla scultura, alle arti applicate; ma ha anche sperimentato una visione realistica, basata sui principi della prospettiva e dell’anatomia del mondo intorno a noi. Gli artisti italiani hanno slegato l’arte europea dai vincoli della pittura bizantino/gotica. Questo fatto mi ha affascinato già quando avevo dodici anni, così nei miei disegni ho cominciato a concentrarmi sull’architettura italiana, cercando di applicare i principi dell’architettura rinascimentale nei piccoli palazzi o a mettere sopra ogni chiesa grande la cupola del Brunelleschi. Così questi disegni sono

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il culmine del mio interesse nella storia italiana, arte e architettura.”

Nelle città italiane che ha visitato, dichiara di aver trovato innanzitutto la bellezza, ”anche i turisti non sembrano essere in grado di diminuire la grazia, lo stile e la bellezza di città come Roma. E oltre le tonnellate di idee da mettere nei miei disegni, soprattutto a Roma e a Napoli ogni chiesa, ogni Palazzo e anche la più piccola Piazza sembravano degni di catturare la mia attenzione. Ma anche i meno frequentati luoghi di Genova e di Torino ancora mi affascinano, anche se sono molto diverse da ciò che è percepito come la vera Italia: Toscana, Venezia e Roma.”

“Alcune persone pensano che sia uno stato meditativo della mente che mi permette di fare questi disegni, ma in realtà sono molto consapevole e vigile mentre dipingo!”

L’attenzione è la parola più adatta per descrivere il suo stato d’animo mentre disegna una città, c’è poca possibilità di correggere quando si usa l’inchiostro. Deve fare attenzione anche a non far nulla

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I tal ian Rh ap sody With his marvellous ingenuity, Filippo Brunelleschi not only revolutionized Renaissance architecture with his theory of linear perspective, but he also left us with an enormous unsolved mystery: the construction technique used to build his marvellous dome for the Cathedral of Santa Maria del Fiore in Florence. The largest in the world, with a surface area too large to be supported by traditional scaffolding, “Pippo” (short for Filippo) designed it to be completely self-supporting, without the use of props or scaffolding.

“Ingegno meraviglioso” Filippo Brunelleschi, non solo rivoluzionò l’architettura rinascimentale teorizzando la prospettiva lineare, ma ci ha lasciato anche un enorme mistero irrisolto: la tecnica di costruzione usata per erigere la sua meravigliosa cupola di santa Maria del Fiore a Firenze. La più grande del mondo, una superfice troppo ampia per poter essere sostenuta dalle impalcature tradizionali, che “Pippo” concepì completamente autoreggente, senza puntelli né impalcature.

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ink. He also has to be careful not to do anything that might interfere with the perspective or put in buildings that simply do not fit in well in terms of style or size with respect to the rest of the city.

In 2006, Stefan began to exhibit and sell his work on a regular basis. In addition to his cityscapes, his paintings inspired by Hopper, in which the light and the absence of movement are the most important elements, have aroused a great deal of interest. “I feel more comfortable placing the subject in an Anglo/American setting,” he says, which explains the distinctive American or British look of the architecture and the subjects he reproduces.

Stefan Bleekrode has an innate talent and perhaps, as he becomes more mature, experience will provide him with that certain ‘something’ that would make his work truly distinctive.

“What I try to do is capture everything that fascinates me about a city, combining my love for drawing with my interest in architecture, urban planning and perspective, but, most importantly, I want to enjoy and indulge in the cities I paint!”

che possa interferire con la prospettiva o a mettere edifici che semplicemente non si adattano bene in termini di stile o per dimensioni rispetto al resto della città.

Stefan dal 2006 ha cominciato a esporre e a vendere regolarmente. Oltre alle sue città, hanno destato grande interesse anche, i suoi paesaggi sulla falsa riga di Hopper, in cui la luce e l’assenza di movimento fanno sempre da protagonista. “Mi sento più comodo, collocando il soggetto in un contesto Anglo/ Americano” e questo spiega anche l’aspetto distintamente americano o britannico di architettura e di soggetti che ritrae.

Stefan Bleekrode ha un talento innato e forse maturando l’esperienza gli donerà anche quel ‘qualcosa’ che lo renderebbe davvero speciale.

“Quello che cerco è di catturare tutto ciò che mi affascina di una città, combinando il mio amore per il disegno con il mio interesse in architettura, urbanistica e prospettiva, ma, innanzitutto, voglio divertirmi e indulgere nella città che dipingo!”

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IN LOVE I CONNECT SENTIMENT IN THE DIGITAL AGE

by Italo Moscati When technological innovations become habits, we can relax: having gone beyond the excitement of a new discovery that makes our lives easier, surprise gradually gives way to a rapidity of movements appropriate to the innovation; little by little, this velocity dissipates, and ideas, words, declarations of love are recycled into a melding of snippets that adapt with time.

It creates a habit whose consequences are manifold.

Starting up a computer is, as we know, like starting a motorcycle that runs on a fuel of words and iconography. Writing or receiving an email or a tweet is like receiving or writing telegrams, annotated on facebook with sketches of figures

MI CONNETTO IN AMORE I SENTIMENTI AL TEMPO DEL DIGITALE di Italo Moscati Quando le novità tecnologiche si trasformano in abitudini, si può stare tranquilli: superate le eccitazioni della scoperta che agevola, la sorpresa cede gradualmente a una velocità di movimenti che si è adeguata alla novità; e questa velocità a poco a poco dissolve riciclando idee, parole, dichiarazioni d’amore, in una fusione di assaggi che si adeguano al tempo.

Crea un’abitudine dai molti effetti.

Avviare un computer, lo sappiamo, è come avviare una moto che funziona a benzina verbale e iconografica. Scrivere o ricevere una mail o un tweet è 38

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and ideograms – the latter often symbols of a compelling, anxious haste: signals, hints or warnings.

The writing or reading of lines and tweets is an ever greater part of the rapid automatisms of a shallow underground – just shy of a metre, right under the surface. Reactions arise, from the intimacy of an attraction, from a pale dawning of desire or from a strong need for a constant infusion of hope, reassurance and affection, depending on ability.

All are explicit or implicit declarations of love that will find rich soil in curiosity, in knowledge relished and in the pleasure of imagination.

It is an imagination that is made of words – old words or new semantic signs incorporated into images. The images are presented already clad in a language that has become conventional, in the varied interplay of thoughts and feelings that churn, halfway between sleep and wakefulness, within each of us.

Moving forward through the 2000s, it has become clear that the crumpled paper of our classic literature on love, though alive and well

come ricevere o scrivere telegrammi, corredati in sede facebook con abbozzi di figure e di ideogrammi; questi ultimi, simboli spesso di una fretta coinvolgente, tesa: segnali, avvisi o avvertimenti.

Scrivere o leggere righe e cinguettii fa sempre più parte di rapidi automatismi in un underground poco profondo, quasi un metrò, appena sotto la superficie: reazioni dall’intimo di una suggestione o da una pallida alba di desiderio o da un forte bisogno di una costante flebo di speranze, rassicurazione, affetto a secondo della capacità.

Tutte dichiarazioni d’amore esplicite o implicite che trovano terra fertile nella curiosità, nella conoscenza centellinata, nel piacere dell’immaginazione.

L’immaginazione che è fatta di parole, vecchie parole o nuovi segni semantici incorporati alle immagini, mentre le immagini si presentano già rivestite di un linguaggio diventato convenzionale, nel gioco vario di pensieri e sentimenti, che si agitano in un dormiveglia di ciascuno di noi.

Gli anni Duemila, avanzando, hanno messo in chiaro che la carta gualcita della letteratura clas39

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amongst readers and those who are beginning to read, is not frightened of its pages yellowing and falling into e-books.

Tales of passion find a sort of immortality in domestic and personal electronics. Thanks to a great living store of energy: from those who fall in love at first sight to those who do so in slow motion, from that apotheosis of social spectacle that is the wedding ceremony to the heart-wrenching poetry of a fate that leads many down the boulevard of the most bitter abandonment.

Advertising shows us this reality, synthesised in the form of a beautiful, seductive blue-eyed blonde wearing fashionable lingerie. The caption reads: “I Tweet Dreams”. No one dares doubt it,

but the message is addressed to an ordinary voyeur whose nights are fraught with nightmares, to whom dreams are being promised. In this age

sica sull’amore, nonostante tutto ancora ben viva in chi continua o inizia a leggere, non si fa spaventare dalle pagine che ingialliscono e cadono negli e-book.

I racconti delle passioni trovano nell’elettronica domestica e personalizzata una sorta di immortalità. Grazie a un grande e vivo deposito di energia: dai colpi di fulmine agli innamoramenti in ralenti, all’apoteosi dello spettacolo sociale delle nozze, alla struggente poesia di un destino che conduce sul viale degli abbandoni anche più amari.

La pubblicità rappresenta questa realtà, la sintetizza con una bella e seducente ragazza bionda, occhi azzurri, vestita di un intimo alla moda. La scritta nella didascalia dice: «I Tweet Dreams»,

“cinguetto sogni”. Nessuno osa dubitarne ma il messaggio è rivolto a un ordinario voyeur con le notti fitte di incubi, a cui si promettono sogni.

Nell’epoca delle immagini pubblicitarie in Tv e nei cartelli delle strade, nell’epoca dell’immaginazione servita al tavolo della quotidianità, l’ordinario voyeur avrà per compagnia, nella solitudine, la bomba rosa e azzurra con i suoi twitter visivi. Una coppia virtuale.

Aristotele lasciò scritto che «per essere felici bisogna essere al meno in due»; ma la contemporaneità lo smentisce, traducendo: «per essere felici bisogna almeno essere in una moltitudine». Tutti uguali davanti all’amore, nell’epoca di internet e della connessione obbligatoria.

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the era of computers and connectedness has not become epic but, instead, it offers a game of repetitiveness that provides security

of TV and billboard advertising images, in an age when imagination is served up daily, the ordinary voyeur will, in his solitude, have for company that

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“to be happy requires at least a multitude”

Oggi chi non si connette, secondo quanto sostengono le opinioni correnti, sarà condannato a una

l’epoca del computer e delle connessioni non diventa epica ma propone al suo posto un gioco di ripetitività che dà sicurezza

felicità troppo riservata, particolare; e quindi sarà incapace di godere dell’aura diffusa creata ovunque dalla voglia di felicità. Si escluderà, vivrà in un

atollo di cui non avrà nozione: come Truman nel film Truman Show, l’impiegato con lavoro e famiglia tipici che vive un’esistenza sotto la campana di vetro tappezzata di telecamere che hanno cominciato a riprenderlo dalla nascita, trasformandolo in una cavia della vita e dell’amore, una vita non vita fra le telecamere, distratte, automatiche, ma capaci di cogliere il battito delle ciglia persino dell’anima. Come pensano gli autori dello show.

La ripetitività crea l’obbligo per chi guarda di associarsi al grande trionfo computerizzato dalle pubblicazioni generali del desiderio, della facile scommessa e del sicuro premio della felicità. Inter net, come un’agenzia matrimoniale. (…)

I ritmi e i sogni, la stessa verifica dei sogni, sono 41

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pink and blue bombshell with her visual tweets.

A virtual couple.

Aristotle writes that, “to be happy requires at least two people”, but contemporary life belies his words, translating them into, “to be happy requires at least a multitude”. We are all the same when it comes to love, in this age of the Internet and obligatory connectedness.

Nowadays, general opinion tells us that a person who is not connected will be condemned to a sort of happiness that is excessively reserved, too private. He will therefore be unable to bask in the pervasive aura created everywhere by the desire for happiness. He will exclude himself, live on an island and be completely unaware of it, like Truman in the film The Truman Show: a man with a regular job and normal family, who lives out his existence in a bell jar full of cameras that

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began recording him at birth, transforming him into a guinea pig of life and love. Truman lives a “life-nonlife”, surrounded by cameras that are inattentive and automatic, but nonetheless capable of capturing the blink of an eye, and even the soul – as the show’s creators believe.

Repetitiveness has created in the watchers a need to join in the great computerised triumph of the collective publication of desire, of the easy gamble and the sure promise of happiness. The Internet as a matchmaking agency. (…)

Rhythms and dreams, dreams coming true, all have become automatisms, more so now than in the epic age of the cinema of star worship when love was glamorous, a continual coming and going of happiness and suffering that opened and

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healed wounds between lovers, with the understanding that no one is denied their happy ending.

The era of computers and connectedness has not become epic but, instead, it offers a glorious game of repetitiveness that provides security due to its serial nature. Romances or dramatic affairs are constantly being overtaken by other romances and affairs, all bursting with the optimism that is the placebo of our time – spread by advertising, cinema and TV, all undergoing and prescribing the same remedy.

Everywhere in the world, television, as opposed to cinema, has reinforced this general trend.

In the age of connectivity, the democracy of love has its forum in television.

“per essere felici bisogna almeno essere una moltitudine”

diventati automatismi più che nell’epoca epica del cinema del divismo e del glamour amoroso, un va e vieni dalla felicità alla sofferenza, che apriva ferite e le curava tra gli innamorati, ma lasciando intendere che il lieto fine non si nega a nessuno.

L’epoca del computer e delle connessioni non diventa epica ma propone al suo posto un glorioso gioco di ripetitività che danno sicurezza, in quanto la serialità delle storie o delle avventure drammatiche sono scavalcate continuamente da altre storie e avventure che esplodono ottimismo, il placebo dei nostri giorni, lanciato dalla pubblicità, dal cinema e dalla Tv che vivono e prescrivono la stessa ricetta.

Ovunque nel mondo le televisioni hanno rafforzato questa tendenza comune, rispetto al cinema (..)

La televisione, nell’epoca delle connessioni, è l’agorà della democrazia sentimentale.

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THE GUYS WHO CARE FOR THE GRAPEVINES CARE, WATCHFULNESS, SOLICITUDE AND HEART: THE SIMONIT&SIRCH METHOD

“Master pruners”: since 2003, Marco Simonit and Pierpaolo Sirch have devoted themselves to reviving the craft of pruning.

Their training and tutoring services are sought by the most important wine producers in Italy and throughout the great wine regions of Europe. These Friuli natives have revived and refashioned pruning techniques that were used in the past but abandoned by modern viticulture.

The goal of teaching the Simonit&Sirch pruning method is to make people aware of the value of a brand of “vineyard know-how” 44

that has been updated to reflect the latest knowledge of grapevine anatomy and physiology. By doing so, they have reinvented a profession that is now in high demand.

Drawing inspiration from Poussard, who was active around the end of the 1800s, they have conducted a new, in-depth study of the trunks of grapevines. It has led them to the conclusion that pruning wounds can compromise the integrity of the plants’ vascular system, causing death.

“We have perfected a method of branched pruning that reduces the devastating impact that cut-

ting, which makes the inner wood dry up, has on the plant’s vascular system ,” says Marco Simonit.

“Our method can be adapted to any sort of vineyard, because the rules of proper pruning are independent of the growing system.”

In a nutshell, the Simonit&Sirch Method is based on four fundamental and universally applicable rules: enable the plant to grow with age and occupy space with its trunk and branches; ensure continuity of the plant’s flow of sap; perform the correct type of minimally invasive, small cuts on young wood; use the so-called “buffer wood” technique, to keep the drying-out away from the main sap flow.

Denis Dubourdieu, Professor of Oenology and Director of the I.S.V.V. Istitut des Sciences de la vigne et du vin (Institute of Vine and Wine Science) at the University of Bordeaux, is very clear on this point: “As the situation currently stands, there are no truly effective remedies for fighting wood diseases. We must change

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I RAGAZZI CHE CURANO LE VIGNE CURA, OSSERVAZIONE, ATTENZIONE E CUORE: IL METODO SIMONIT&SIRCH

“Maestri di potatura delle vigne”: dal 2003 Marco Simonit e Pierpaolo Sirch si dedicano al recupero del mestiere del potatore e i loro servizi di formazione e tutoraggio sono richiesti dalle principali aziende italiane e delle grandi regioni del vino europee. Friulani, hanno ripreso e innovato le tecniche di potatura in uso in passato e abbandonate dalla moderna viticoltura.

Insegnando il metodo di potatura Simonit&Sirch, il cui obiettivo è valorizzare un “saper fare in vigna”, aggiornato alla luce delle più recenti conoscenze in fatto di

anatomia e fisiologia delle piante della vite, hanno reinventato una nuova richiestissima professionalità.

Ispirandosi a Poussard, attivo alla fine del 1800, una nuova e più approfondita analisi dei fusti delle viti ha portato alla conclusione che le ferite di potatura possono compromettere l’integrità del sistema vascolare delle piante che, se viene compromesso, porta alla loro morte.

“Abbiamo messo a punto un metodo di potatura ramificata che riduce l’impatto devastante dei tagli sul sistema linfatico della

pianta a causa del disseccamento interno che provocano – dice Marco Simonit – Il nostro Metodo può essere adattato a tutte le forme di allevamento della vite, perché le regole di un taglio corretto sono indipendenti dal sistema di allevamento.”

In sintesi, il Metodo Simonit&Sirch si fonda su 4 regole base che possono essere applicate universalmente: permettere alla pianta di crescere con l’età e di occupare spazio col fusto e con i rami; garantire la continuità del flusso linfatico all’interno della pianta; eseguire tagli corretti e di piccole dimensioni sul legno giovane, poco invasivi; utilizzare la cosiddetta tecnica “del legno di rispetto” per allontanare il disseccamento dal flusso principale della linfa.

Denis Dubourdieu, docente di Enologia e direttore dell’ISVV Istitut des Sciences de la vigne et du vin dell’Università di Bordeaux è molto chiaro su questo punto: “Allo stato attuale non esistono rimedi veramente efficaci per 45

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our perspective, work on the plant’s structure and concentrate on prevention. Prevention begins with proper pruning, which makes the vines less vulnerable, giving them an intact and efficient woody structure. We must therefore focus a lot of attention on the training of personnel assigned to this task, ensuring they know how to use correct pruning techniques to strengthen the plant’s natural defences.”

Dubourdieu was the first to invite the Simonit&Sirch team to France, to Bordeaux, to deal with the current and pressing problem of vineyard decay and loss of productivity, with the high direct and indirect costs that these entail. In their work with Dubourdieu, experimentation and education go hand in hand. They have joined the faculty teaching the National Diploma of Oenology programme in Bordeaux, the cutting edge of

international oenology. They have entered into a research and experimentation agreement with the Institute National de la Recherché Agronomique (the French National Institute for Agronomic Research), working in their vineyards and training their staff.

“In particular,” Dubourdieu explains, “we want to evaluate the effect of pruning methods on the evolution of vascular diseases of the grapevine, and especially on Esca disease. The issue lies in being able to tell whether less invasive pruning (which respects the sap flow, limits wounds and the proportion of dead wood in the trunk) can better protect the vines from Esca disease. It is also interesting to see if the vine’s resistance to water stress (and, consequently, the oenological quality of the grape) can be improved by non-mutilating pruning.”

“We are very proud of the fact that

our work is recognized and appreciated abroad,” says Marco Simonit, “but we are just as pleased by the fact that we work with a truly large number of important Italian companies, and that they believed in us.”

In 2009 they came up with the idea for the Italian School of Vine Pruning, a one-of-a-kind institution that today has 12 branches throughout the principal Italian winegrowing regions and, between 2009 and 2014, had a total of around 1,300 enrolments. They have also created “Next in Wine”, an award for gifted young Italian wine-growers who are capable of looking towards the future with sensibility, an innovative spirit, respect for the environment and the ability to maintain a strong connection to their roots.

we are very proud that our work is recognized abroad, but we are just as please to work with a truly large number of important Italian companies

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contrastare le malattie del legno: bisogna cambiare ottica, lavorando sulla struttura della pianta e puntando sulla prevenzione.

E la prevenzione comincia con una corretta potatura che rende le viti meno vulnerabili, con una struttura legnosa più integra ed efficiente. Occorre quindi dedicare una grande attenzione alla formazione del personale addetto a questa operazione, che sappia usare le giuste tecniche di taglio per aumentare la difesa naturale delle piante.” È stato proprio Dubourdieu a chiamare per primo in Francia, a Bordeaux, l’équipe di Simonit&Sirch, per affrontare la scottante e attuale problematica del deperimento dei vigneti e della riduzione della produttività, con gli alti costi diretti e indiretti che ne conseguono. Con Dubourdieu stanno lavorando in modo che sperimentazione e formazione

procedano di pari passo. Sono stati inseriti come docenti nel Corso di viticoltura del Diploma Nazionale di enologia di Bordeaux, punta di diamante dell’enologia mondiale, e hanno sottoscritto una convenzione per la ricerca e la sperimentazione con l’Institut National de la Recherche Agronomique: stanno lavorando nei loro vigneti e facendo formazione per i loro dipendenti.

“In particolare – spiega Dubourdieu – vogliamo valutare l’effetto del modo di potare sull’evoluzione delle malattie vascolari della vite, soprattutto sul mal d’esca.

La questione è di riuscire a sapere se le potature meno invasive (che rispettano i flussi della linfa, limitano le ferite e la proporzione di legno morto nel ceppo) possano proteggere meglio le viti dal mal d’esca. Interessante sarà anche vedere se la resistenza della vite allo stress idrico (e quindi di

conseguenza la qualità enologica dell’uva) può essere migliorata da una potatura non mutilante.”

“Siamo molto orgogliosi del fatto che il nostro lavoro sia riconosciuto e apprezzato anche all’estero – commenta Marco Simonit - ma siamo altrettanto compiaciuti del fatto che sono veramente molte, e importanti, le aziende italiane con cui lavoriamo e che hanno creduto in noi.”

Ideatori, nel 2009, della Scuola Italiana di Potatura della Vite, unica nel suo genere, che oggi ha 12 sedi nelle principali zone viticole italiane con un totale di circa 1.300 iscritti dal 2009 al 2014, hanno anche creato Next in Wine, un premio ai giovani talenti della Vigna Italiana capaci di guardare al futuro, con sensibilità, innovazione, rispetto per l’ambiente, mantenendo saldo il legame con le proprie radici.

siamo molto orgogliosi che il nostro lavoro sia riconosciuto all’estero, ma siamo altrettanto compiaciuti che sono molte le aziende italiane con cui lavoriamo

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B E L L E Z Z A Silvana Mangano, the Italian Rita Hayworth, a shining star in the firmament of muses and an actress of indisputable talent. She was idolized by Visconti, elevated by Pasolini to play the Madonna, and the ironic Calvino compared her to Botticelli’s Venus. Gifted, beautiful, fragile as crystal, it seemed she won over everyone but herself. “I have always been afraid of being inadequate. This fear, mixed with a perfectionist’s pride, has always inhibited me.”

Silvana Mangano, la Rita Hayworth italiana, stella del firmamento delle muse ispiratrici dal talento indiscusso, idolatrata da Visconti, elevata addirittura a Madonna da Pasolini, paragonata alla Venere del Botticelli dall’ironico Calvino. Bravissima, bellissima, fragile come un cristallo, sembra aver convito tutti tranne che se stessa “… ho sempre avuto paura di essere inadeguata. Questo timore, mescolato all’orgoglio della perfezionista, mi ha sempre bloccata”.

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ROSA FRESCA AULENTISSIMA SICILY, A LANDSCAPE OF DIVERSE NATURAL BEAUTY

by Fabio Pagliara Then you will come to the island of Thrinakia, where there are pastured the many cattle and sturdy sheep of Helios the Sun (Homer, The Odyssey, Book XII, 800-700 B.C.E.) An island, a continent, Sicily is the exclamation mark of the greatest geographical, cultural and natural wonders of our nation, despite the forced insularity which has, in some ways, conditioned its full development. Magna Grecia, the Breadbasket of Italy, cradle of Frederick II’s Sicilian School of po-

cradle of Frederick II’s Sicilian School of poetry, birthplace of philosophers and mathematicians

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etry, birthplace of philosophers, mathematicians and scholars, a natural setting of immeasurable and diverse beauty.

To cross the Strait of Messina is to dive into the myth of Scylla and Charybdis. It is also an exercise in forcing ourselves to “slow down” the frenzied rhythms of our daily lives and make a leisurely approach to a place of beauty.

All you have to do is relax and you will immediately understand why Goethe and the Flemish painters were drawn here, to explore every inch of its land, to describe and burn into their memories, with words, pictures and sensations, this alternation of sea and mountains, pristine nature and desolation that can be discovered simply by travelling inland from the coast. Etna, Europe’s highest active volcano, is the vantage point of choice if you wish to understand the island’s varied topography. On days when the sky is clear, the sea stretches as far as the eye can see, all the way to the Aeolian Islands and Calabria, the tumult and the developments around Catania, the splendour of Taormina – the pearl of the Ionian – Acireale and Giarre. Turning to the west you

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ROSA FRESCA AULENTISSIMA SICILIA, SCENARIO NATURALE DI DIVERSIFICATA BELLEZZA di Fabio Pagliara Verde isola Trinacria, dove pasce il gregge del sole (Omero, “Odissea” XII canto, 800-700 a.C. ) Un’Isola, un Continente: la Sicilia è per l’Italia il punto esclamativo delle migliori espressioni geografiche, culturali e paesaggistiche della nostra Nazione, pur nella difficile condizione di insularità forzata che ne condiziona, per certi aspetti, il pieno sviluppo.

Magna Grecia, Granaio d’Italia, culla della Scuola siciliana di Federico II, patria di filosofi, matematici

e letterati, scenario naturale di incommensurabile e diversificata bellezza.

Attraversare lo Stretto di Messina è già tuffarsi nel mito di Scilla e Cariddi, oltre che esercizio per “rallentare” forzatamente i ritmi frenetici della quotidianità: un avvicinamento lento alla bellezza.

Basta non avere fretta per comprendere subito perché Goethe o i pittori fiamminghi amassero battere il territorio palmo a palmo, raccontare e fissare nella memoria, con parole, immagini e suggestioni, questo alternarsi di mare e montagna, natura incontaminata e lande desolate, semplicemente spostandosi dalla costa verso l’entroterra. L’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, è il punto di osservazione privilegiato per comprendere una orografia multiforme: nei giorni di cielo terso si scorge il mare a perdita d’occhio fino alle Isole Eolie e la Calabria, la frenesia e gli agglomerati urbani di Catania, lo splendore di Taormina, la perla dello Ionio, Acireale, Giarre, ma anche, ad Ovest, l’arido latifondo della provincia di Enna, interrotto da siti archeologici e città-bomboniera che raccontano anch’esse la storia di questa 51

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find the arid farmlands of the province of Enna, dotted with archaeological sites and cities like tiny jewel boxes, each telling a part of the story of this much-disputed island.

The best routes are those that run along the Ionian coast from Messina to Syracuse, by way of Catania.

Taormina is the most popular destination for foreign tourists, although it has no port for pleasure crafts, which must make use of the harbour in Riposto. The Ancient Greco-Roman Theatre is the natural stage for high-profile events, such as the Taormina Film Festival, which brings great stars, producers and filmmakers from Hollywood to Sicily. The avenue that connects the city’s two gates is a luxury shopping destination, where the greatest “Made in Italy” brands compete for customers.

Catania, together with Acireale, is the cradle of the Baroque. It can be seen in the cities’ historic buildings, whether perfectly preserved or restored, and in the dozens of churches that are home to high quality religious artwork. Visitors should not neglect to visit the Achillean Thermae, located underground alongside the Amenano River, which flows beneath the city. The Ursino castle, built by Frederick II of Swabia in the 13th century, is also worth seeing when visiting this city in the shadow of Mt. Etna. Today, the castle houses the Civic Museum, its exhibits composed chiefly of works from the collection of the Biscari family and from the Benedictine Monastery. Travelling southwards along the coast, you arrive in Syracuse. This city, probably more so than any other place, was the symbol of Magna Grecia. It was one of the greatest metropolises of the ancient world and among the greatest polis of the ancient Greeks. The city is densely packed with sites of historical and archaeological importance and places of natural beauty. In 2005, along with the nearby Rocky Necropolis of Pantalica, it was granted the important title of World Heritage Site by UNESCO. The Island of Ortygia is a shining gem set in the historic civic centre facing the sea. The Maniace castle, recently reopened to the public and a symbol of the ancient sea power of Syracuse in the Mediterranean, overlooks Ortygia’s historic churches and buildings of characteristic white stone.

Over the last few years, Sicily has also become a popular destination for travellers seeking fine local food and wine. The Province of Ragusa, which owes its recent fame to a television series about the fictional detective Montalbano, provides a lovely natural setting for high quality food and wine. Restaurants and wine cellars bring together 52

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Isola controversa.

I collegamenti migliori sono quelli che collegano, lungo lo Jonio, Messina a Siracusa, passando per Catania. Taormina è la meta preferita del turismo estero, pur non avendo un porto per la nautica da diporto e dovendo fare affidamento su quello di Riposto. Il Teatro Antico greco-romano è il palcoscenico naturale per eventi di grande livello, come il Festival del Cinema di Taormina che richiama in Sicilia le grandi star di Hollywood, produttori e filmakers. Il corso che collega le due porte della Città è meta dello shopping di lusso, con i grandi marchi del Made in Italy che fanno a gara per accaparrarsi i clienti. Catania è, con Acireale, la patria del barocco, visibile negli edifici storici delle Città, ancora perfettamente conservate o restaurate, e nelle decine di Chiese che accolgono esempi di Arte Sacra di alto livello. Da visitare a Catania le Terme Achilleane, ubicate nel sottosuolo a fianco del fiume Amenano che scorre sotto la Città, e il Castello Ursino, fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Oggi è sede del Museo civico della città etnea, formato principalmente dalle raccolte Biscari e dei Benedettini. Sempre lungo la costa si arriva a Siracusa, che della Magna Grecia è culla della scuola probabilmente il luogo-simbolo, fu una fra siciliana di Federico le metropoli più grandi del mondo antico e II, fu patria di tra le più grandi polis del mondo greco. La filosofi, matematici e Città è un concentrato di siti di rilevanza letterati storica, archeologica e paesaggistica e nel 2005 ha avuto l’importante riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO insieme con la Necropoli Rupestre di Pantalica. L’isola di Ortigia, incastonata nel centro storico cittadino di fronte al mare è un luminoso gioiello, con la sua pietra bianca che caratterizza chiese e palazzi storici, dominata dal Castello Maniace, da poco riaperto al pubblico e simbolo della antica potenza navale di Siracusa nel Mediterraneo.

La Sicilia è anche, da qualche anno in particolare, meta ambita per il turismo eno-gastronomico e la Provincia di Ragusa, famosa per la fiction del Commissario Montalbano è lo scenario naturale all’interno del quale mangiare e bere con grande qualità: ristoranti ed enoteche che coniugano la tradizione culinaria isolana, nella quale materie prime importanti si sposano a condimenti ricchi e gustosi, con la modernità di Chef che reinterpretano la tradizione e diventano punto di riferimento di una scuola siciliana della gastronomia gourmet con riconoscimenti a livello mondiale. Da qualche anno questa ascesa è favorita dall’esplosione qualitativa del vino siciliano, prima conosciuto solo come vino “da taglio” per 53

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the culinary traditions of the island – which blend the finest basic ingredients with rich and flavourful seasonings – with the modern ideas of chefs capable of reinterpreting those traditions. In so doing, they have become the reference point for a school of Sicilian gourmet cuisine that has gained worldwide recognition. For several years, this ascent has been bolstered by Sicilian wines. Once known only as “blending wines” for the giants of French wine production, they have made enormous strides in terms of quality. It started with Nero d’Avola and local whites from the areas around Trapani, Palermo and Agrigento. Today these have been joined by Syracuse and Ragusa, with their Cerasuolo di Vittoria, the only wine produced on the island to have been awarded a DOCG appellation, and Catania, with its Etna. These wines hold some of the high-

est places in the classifications of Italian wine producers and consumer approval ratings, with export percentages that have outstripped domestic sales.

For several years, travelling through Sicily has meant passing through vineyards, and tourism has diversified thanks to the proliferation of accommodations attached to wine cellars and vineyards, providing added value to the island’s heritage of natural beauties and great food and wine. We cannot fail to admire the Strait of Sicily as we travel towards Agrigento, with its marvellous Valley of the Temples, whose ruins rival those of Athens. This is just one part of an archaeological treasure trove that includes the sites in Selinunte and Segesta, Piazza Armerina, Mothia, Erice, Val di Noto, Ragusa Ibla, Scicli and Modica, to name only a few. The list of names and places from the memory and history

i giganti enologici francesi: prima le zone di Trapani, Palermo e Agrigento, con il Nero d’Avola e i bianchi autoctoni, oggi anche Siracusa e Ragusa con il Cerasuolo di Vittoria, unica DOCG dell’Isola, e Catania con l’Etna, si collocano ai primissimi posti nella classifica della produzione e degli indici di gradimento del vino italiano nel mondo, con percentuali di export che hanno superato le vendite nel mercato interno. Attraversare la Sicilia significa anche, da qualche anno, farlo fra i filari e l’uva e l’offerta turistica si è diversificata con il proliferare di strutture di accoglienza annesse alle Cantine e alle Aziende Agricole, valorizzando il patrimonio paesaggisti-

co e quello enogastronomico nello stesso tempo.

Spostandosi sempre con uno sguardo al Canale di Sicilia si arriva poi alla meravigliosa Valle dei Templi di Agrigento, con i suoi resti che nulla hanno da invidiare a quelli ateniesi. Un patrimonio del quale fanno parte siti come quelli di Selinunte e Segesta, Piazza Armerina, Mothia o Erice, solo per citarne alcuni, ma anche la Val di Noto, Ragusa Ibla, Scicli, Modica. Un elenco infinito di nomi e luoghi della memoria e della storia, connessi fra loro da un filo conduttore invisibile fatto di dominazioni, regnanti più o meno illuminati, filosofi, matematici e letterati, tutti accomunati dall’ammaliante e struggente bellezza

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of the world is endless. They are connected by an invisible thread spun of foreign dominations, rulers –some more enlightened than others – philosophers, mathematicians and scholars, all with one thing in common: the bewitching and heart-rending beauty of Sicily, with its kaleidoscope of colours, scents and flavours.

Palermo, seat of the oldest continuously-functioning Parliament in the world and of the Sicilian Regional Assembly, is emblematic of this medley of cultures and sensibilities.

Palermo has been home to the Normans, Swabians, Aragonese, Albanians, French, Spanish and English. These have woven an urban fabric both multi-layered and multicultural. It has assumed different guises: first, the capital of the Kingdom of Sicily for seven hundred years, and then of the

Kingdom of the Two Sicilies. Palermo’s history stretches back thousands of years and has left it with a vast artistic and architectural patrimony that encompasses the city, from the Punic Walls to the Art Nouveau villas in the city centre, from Byzantine and Arab-Norman religious sites to Baroque basilicas and Gothic architecture. Palermo is also the heartland of Sicilian street food, with its panelle (chickpea fritters) and pane cca meusa (spleen sandwiches). It is a theatre of picturesque open air markets that have inspired poets and painters. The most famous of these is the Vucciria Market, whose multicoloured chaotic atmosphere was captured on canvas in a famous painting by Sicilian artist Renato Guttuso.

Of all the places in the world, Sicily is one of the richest in beauty, culture and allure.

della Sicilia e del suo caleidoscopio di colori, sapori e profumi.

Proprio Palermo, che è anche la sede del più antico Parlamento in attività del mondo e che ospita oggi la Sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, è il simbolo di questo coacervo di culture e sensibilità.

Dal capoluogo siciliano sono passati normanni, svevi, aragonesi, albanesi, francesi, spagnoli, inglesi stratificando nella Città un tessuto urbano multiculturale e poliforme: più volte capitale, sia per settecento anni del Regno di Sicilia, che poi del Regno delle Due Sicilie, Palermo possiede una storia millenaria che le ha lasciato un ingente patrimonio

artistico e architettonico che dalle mura puniche arriva alle ville in stile liberty del centro, ma anche luoghi di culto in stile bizantino e arabo-normanno, basiliche barocche e architetture gotiche. Palermo è anche la patria siciliana dello “street food”, con le sue panelle e il “pane cca meusa”, così come teatro di pittoreschi mercati all’aperto che hanno ispirato poeti e pittori: il più famoso è il Mercato della Vucciria, i cui colori e il caos multicolore sono stati fissati su tela dall’artista siciliano Renato Guttuso in una celebre tela.

La Sicilia è uno dei luoghi più belli, più ricchi di cultura e più desiderabili del mondo.

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THE CINQUE TERRE in48h AMIDST SLIVERS OF SEA, RUSTLING OLIVE TREES AND MEDITERRANEAN AROMAS

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A strip of land wedged between the Apennines and the sea, where five villages and the inland still preserve intact the enchanted Liguria described

by Montale, with its “rustling of olive trees, slivers of sea” and “scorching garden walls”.

It is in (1) Monterosso al Mare, where the poet spent his holidays in his family home, that our itinerary begins. It is a village with two souls: one part is more ancient, as attested by the 14th-century church of St. John the Baptist, Fieschi Castle and the adjacent monastery, while the other, Fegina, with its beach and peculiar reinforced concrete statue, the Giant, caters to tourists. Monterosso is also the gateway to the Cinque

Terre National Park (a UNESCO World Heritage Site), a dense spider web of paths that either run parallel to the coast or wind steeply, offering views of immense beauty against a backdrop of terraced olive groves and vineyards, patiently shaped by the hand of man.

To traverse the park on foot is perhaps the best way to experience the splendour described in Montale’s verses, along with that certain harshness that is a part of the Ligurian landscape, with its intense Mediterranean aromas. Following the only currently accessible portion of the Sentiero Azzurro (the Sky-blue Path), a path that should wind along the coast all the way to Riomaggiore, but was serious-

ly damaged by a flood in 2011, you can walk to Vernazza (3.6 km). Ranked as one of the most beautiful villages in Italy, (2) Vernazza is a jigsaw puzzle of houses, narrow streets and staircases enclosing a natural harbour, and rising over it all the Church of Saint Margaret of Antioch. It is the ideal place for sitting in the sun in the square, browsing in the local craftsmen’s boutiques or grocers’ (where you can find richly flavoured pesto, olive oil and aromatic herbs), but also for getting lost among the steep stepped alleyways that rise towards the defensive towers of Doria Castle.

The train is a more than valid alternative way to move between villages, especially if you

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48H TRA SCAGLIE DI MARE, FREMITI D’OLIVI E PROFUMI MEDITERRANEI Una striscia di terra racchiusa tra l’Appennino e il mare, cinque borghi ed un entroterra che conservano intatto l’incanto della Liguria descritta da Montale, con i suoi fremiti d’olivi, scaglie di mare e roventi muri d’orto. Ed è proprio da (1) Monterosso al Mare, dove il poeta trascorreva la villeggiatura nella casa di famiglia, che parte il nostro itinerario. Un borgo con due anime: quella più antica, attestata dalla chiesa trecentesca di San Giovanni Battista, dal castello dei Fieschi e dall’adiacente 62

monastero, e quella più turistica, Fegina, con la spiaggia e la singolare statua in cemento armato del Gigante. Monterosso è anche la porta d’accesso del Parco nazionale delle 5 Terre (Patrimonio Unesco), una fitta ragnatela di sentieri che corrono paralleli alla costa o che si inerpicano offrendo scorci di grande bellezza, in un paesaggio di terrazzamenti coltivati a ulivi e vigne pazientemente modellato dall’uomo. Percorrere il parco a piedi è forse il modo migliore per assaporare le suggestioni dei versi di Montale e quella certa asprezza del paesaggio ligure con i suoi intensi profumi mediterranei. Ecco allora che da Monterosso è possibile raggiungere (2) Vernazza (3,6

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km) lungo l’unico tratto attualmente percorribile del Sentiero Azzurro - gravemente danneggiato dall’alluvione del 2011- che si snoda lungo il litorale fino a Riomaggiore. Classificato fra i borghi più belli d’Italia, Vernazza è un incastro di case, vicoli e scalinate che racchiudono il porto naturale, dominato dalla chiesa di Santa Margherita d’Antiochia: il luogo ideale dove sostare al sole sulla piazza, curiosare nelle boutique di artigianato locale o di prodotti gastronomici (profumatissimo pesto, olio di oliva ed erbe aromatiche), ma anche perdersi nelle ripide viuzze a gradoni che salgono verso la torre difensiva del castello dei Doria.

Per spostarsi da un borgo all’al-

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have a Cinque Terre Card, which also gives you access to the bus service that links the communities. However you choose to get there – whether on hiking trails or by train – you’ll next come to (3) Corniglia, the smallest village in the Cinque Terre and the only one that is not at sea level.

Yet it is Corniglia that has one of the most beautiful beaches on the coast, the one at Gùvano, well-known as a destination for nudists. Perched on a rocky spur of land that can be reached by climbing the evocative Lardarina staircase (382 stairs in all), the view of the coastline that this village offers is utterly unique. While its low houses are characteristic of the inland, those in picturesque

(4) Manarola are of the Genoese sort: typical tower-style houses in shades of pink and ochre, standing one against the other to form a fan shape (the best spot to enjoy a view of the village is from the Punta Buonfiglio headland). Don’t miss out on a trip to the Parish Church of San Lorenzo, with its Gothic architecture and façade adorned with a rose window. The next stop after Manarola, (5) Volastra can be reached either on foot or using the convenient bus service. Here you can sample a glass of Sciacchetrà and perhaps attend a class amidst the vineyards of Luciano Cappellini’s “del Vin Bun” winery, part of the consortium for this excellent local D.O.C. passito wine.

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Volastra is also an ideal spot for a romantic overnight stay, for instance at the Luna di Marzo hotel (3 stars), a location that offers enviable views. Before going back down towards the sea, we recommend a detour to the (6) Sanctuary of Our Lady of Montenero. From there, an easy trail leads to (7) Riomaggiore, the last of the villages of the Cinque Terra and home to the headquarters of the park’s Marine Protected Area, as well as a starting point for many underwater diving excursions.

Later, when twilight nears and the light grows golden, there is only one thing left to do: take a stroll down a romantic path carved into the rock itself, the Via dell’Amore.

6 SCIA CCHE TRÀ

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tro, il treno resta comunque una più che valida alternativa, in particolare se si è muniti della 5 Terre Card che consente anche di usufruire del servizio bus tra le frazioni. Qualunque sia la formula scelta per arrivarci – per sentieri escursionistici oppure in treno – ecco (3) Corniglia, il borgo più piccolo delle 5 Terre e l’unico a non essere a livello del mare. Eppure è proprio Corniglia ad avere una delle spiagge più belle della costa, quella di Gùvano, conosciuta per essere meta di naturisti. Arroccato su uno sperone roccioso a cui si può accedere salendo la suggestiva scalinata della Lardarina (ben 382 scalini), la vista che il borgo offre su questo tratto di costa è

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assolutamente unica. Se le sue abitazioni più basse sono caratteristiche dell’entroterra, quelle della pittoresca (4) Manarola sono le tipiche case-torri dai toni rosa e ocra di stile genovese, addossate l’un l’altra a forma di ventaglio (il punto migliore per ammirare il borgo è la Punta Buonfiglio). Da non perdere, poi, la parrocchiale in stile gotico di San Lorenzo ed il bel rosone che decora la facciata. Da Manarola, sia a piedi che con il comodo servizio bus, la tappa successiva porta a (5) Volastra per assaporare un bicchiere di Sciacchetrà e magari partecipare ad un campo didattico tra i vigneti presso la cantina “del Vin Bun” di Luciano Cappellini, aderente al consor-

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zio di questo eccellente passito DOC locale. Volastra è anche la meta ideale per trascorrere una notte romantica, ad esempio presso l’hotel Luna di Marzo (3 stelle) che gode di una posizione panoramica invidiabile. Prima di ridiscendere verso il mare, consigliamo una deviazione al (6) Santuario di Nostra Signora di Montenero. Da lì un facile sentiero conduce a (7) Riomaggiore, l’ultima delle 5 Terre, dove si trova la sede dell’Area Marina Protetta del parco e da cui partono numerose escursioni subacquee.

E quando la luce si fa più calda all’ora del tramonto, non resta che affacciarsi sulla Via dell’Amore, romantica passeggiata sul mare scavata nella roccia.

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WHY DO ALL RUMINANTS SAVE THE CAMEL HAVE HORNS? IRRELEVANT QUESTIONS THAT HAVE DEFINED OUR WAY OF LIFE

by Umberto Eco If we put aside the etymology that tells us that “philosophy” means “love of wisdom”, to define philosophy is a difficult task. In classical Greece, it was believed that man began to philosophize as a reaction to acts of wonder. However, both the question “Who made all the things that surround us?” and the question “Why do ruminants, with the exception of the camel, have horns?” are both responses to acts of wonder. Aristotle attempted to answer this question, which today we entrust to science and not to philosophy.

Yet, if today it is science that must explain to us the origin and nature of ruminants, and it can tell us that they are the product of natural evolution, one purely philosophical question remains, to which the answers given today still vary widely, and that is: “Even if ruminants are the product of natural evolution, is there an intelligent design that established the laws of nature which caused them to evolve in such a manner?” This is once again the problem of whether (or not) God exists. From antiquity to the present day, humanity has delegated the answer to some questions to science. However, there are others for which science has no answer and which are the object of eternal philosophical study. Indeed, there are those who have said that philosophy is the discipline that deals with questions for which there are no answers.

It is true that there are questions for which there are no answers, but these exist in the scientific universe as well, for instance, what is the highest odd number? This is a question that falls in the realm of mathematical science, at a level that we would define as the philosophy of mathematics. Rather, philosophy concerns itself with questions for which other branches of knowledge cannot find answers, 64

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le questioni filosofiche interessano ciascuno di noi

PERCHÉ I RUMINANTI HANNO LE CORNA SALVO IL CAMMELLO? QUESTIONI IRRILEVANTI CHE DETERMINANO IL NOSTRO MODO DI VIVERE di Umberto Eco A parte l’etimologia per cui “filosofia” significherebbe “amore per il sapere”, definire la filosofia è impresa difficile. Nella Grecia classica si riteneva che l’uomo iniziasse a filosofare come reazione ad atti di meraviglia, ma rispondono a un atto di meraviglia sia la domanda “chi ha fatto tutte le cose che ci circondano?” sia la domanda “come mai i ruminanti hanno le corna, salvo il cammello?” – che era questione a cui Aristotele aveva tentato di rispondere ma che oggi noi affidiamo alla ricerca scientifica e non alla filosofia.

Eppure se è la scienza che oggi deve spiegarci origine e natura dei ruminanti, e può dirci che essi sono il prodotto dell’evoluzione naturale, rimane una domanda prettamente filosofica a cui ancora oggi si risponde in modo assai vario, e cioè: “anche se i ruminanti fossero il prodotto dell’evoluzione naturale, c’è un disegno intelligente che ha stabilito leggi di natura per cui essi si sono evoluti in tal modo?” Questo è ancora una volta il problema dell’esistenza (o meno) di Dio. Anche se dall’antichità a oggi l’umanità ha delegato alla scienza la risposta ad alcune domande, ce ne sono altre per cui la scienza non ha risposta e che sono oggetto perenne della ricerca filosofica. Tanto che qualcuno ha detto che la filosofia è la disciplina che si occupa delle domande per le quali non c’è risposta. È vero che ci sono domande per cui non c’è risposta, ma ce ne sono anche nell’universo scientifico, per esempio quale sia il più alto dei numeri dispari: problema di cui si occupa la scienza matematica e a un livello che definiremo di filosofia della matematica. Ma la filosofia si occupa piuttosto di domande a cui le altre discipline non trovano risposta, tipo: Che cosa significa essere? È diverso dire io sono, nel senso che esisto, o dire che i cani sono mammife65

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such as: What does “to be” mean? There is a difference between saying that I am, in the sense that I exist, and saying that dogs are mammals, or that I was born in a certain year, or even wondering what time is. Do we accept the idea that a right angle has ninety degrees and the idea that all men are mortal for two different reasons? If I think that it is true that dogs are mammals, that now it is raining, that the Magi visited the Christ Child, that Napoleon died on Saint Helena and that a right angle has ninety degrees, are all these beliefs “true” in the same sense?

What is truth?

It is not that these questions do not have answers, but different definitions of truth certainly exist.

And here are some other typically philosophical questions that regular people ask themselves: Is there justice in this world? Why must we suffer? Is there a life after death in which all my suffering will be rewarded? My love seems to me the most beautiful of all, but what does beautiful mean? Is it better that everyone be equal or that each be compensated in accordance with his own merits? A right angle has ninety degrees and I believe this, but it is equal66

ly true that all men are mortal or would an immortal be all that was needed to render this belief a vain one? If some aliens came down to Earth from their flying saucer, would they also believe that a right angle has ninety degrees? Who told us that a right angle has ninety degrees, anyway? Do animals have a soul? Do I have one? What is the soul? And where

philosophy concerns itself with questions for which other branches of knowledge cannot find answers

is it? And what is memory, given that, if one loses his memory entirely, it seems as though he no longer has a soul, either? Why do I cry over what happens to characters in a novel, even though I know they are not real? Is it better to get rich by not giving a damn about anyone else or to live as an altruist? They tell

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ri, oppure che io sono nato nell’anno tale, o ancora chiedersi che cosa sia il tempo. Ci sono due diverse ragioni per cui accettiamo l’idea che un angolo retto abbia novanta gradi e quella che tutti gli uomini siano mortali? Se io penso che sia vero che i cani sono mammiferi, ora sta piovendo, i Re Magi hanno visi-

la filosofia si occupa piuttosto di domande a cui le altre discipline non trovano risposta

tato Gesù Bambino, Napoleone è morto a Sant’Elena e l’angolo retto ha novanta gradi, tutte queste mie credenze sono “vere” nello stesso senso? E che cos’è la verità?

Non è che queste domande non abbiano risposta ma certamente esistono diverse definizioni della verità.

Ed ecco altre domande tipicamente filosofiche che anche le persone normali si pongono: Ma c’è una giustizia in questo mondo? Ma perché bisogna soffrire? C’è una vita dopo la morte in cui le mie sofferenze saranno compensate? Il mio amato mi sembra il più bello di tutti, ma cosa vuole dire bello? È meglio che tutti siano uguali o che ciascuno venga compensato secondo i suoi meriti? Un angolo retto ha novanta gradi e io ci credo, ma che tutti gli uomini siano mortali è altrettanto vero, o basterebbe un immortale per rendere vana questa credenza? Se, da un disco volante, scendessero sulla terra degli alieni penserebbero anche loro che un angolo retto ha novanta gradi? Ma chi ci ha detto che un angolo retto ha novanta gradi? Gli animali hanno un’anima?

E io ce l’ho? E cosa è l’anima? E dove sta? E cosa è la memoria, visto che se uno perde del tutto la memoria sembra che non abbia neppure più un’anima?

Perché piango sulle vicende di personaggi romanzeschi anche se so che non sono vere? È meglio diventar ricchi mandando al diavolo tutti gli altri o vivere da altruisti? Mi dicono che un maiale è più

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me that a pig is more intelligent than a dog, but why do I prefer to go for a stroll with a dog? Does it depend on friendship, on love, on identifying with someone? And what are friendship, love, identification? Why do I think that the person I fell in love with is the most perfect of all when, if I lived in another office or another city, I would have loved another?

What difference is there between convincing someone of a mathematical truth by demonstration (the Pythagorean theorem, for example) and persuading someone (to vote for one party instead of another, for instance). To what extent does our body interfere with our brain? We could go on and on.

Philosophical questions concern each of us.

You can certainly decide that all of these are questions that require more effort than they are worth, and that it is possible to live perfectly well without them affecting us closely. However – putting aside the fact that some human beings cannot resist the wonderment that leads them to ask themselves these questions – during the course of history these “irrelevant” questions have defined our ways of living, driven us to religious wars, influenced scientific investigation, and determined our way of understanding life, even if we are not aware of it.

Throughout the history of humanity, there have been other ways of reacting to our wonderment at that which surrounds us. One example is religion, which is a matter of faith, while philosophical answers are based on the use of reason. There have been philosophies that have sought to demonstrate ways in which the revelations of religion are not in conflict with “sound” reasoning (Thomas comes to mind), just as there have been cases where philosophy has acted as criticism of religion (as in Feuerbach or in Marx). There have been stories of how the universe came into being, some more fantastical than others, or about the genealogy of the gods (Hesiod, for instance). Philosophical reasoning distinguishes itself from all of these cosmologies by having always sought to respect those which were considered to be the laws of the mind.

We hope that these few thoughts may be sufficient to give some of you the desire to understand and study philosophy, and to comprehend what it means to think. For it is thinking, and philosophical thinking, that distinguishes men from animals.

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philosophical questions concern each of us

intelligente di un cane ma perché io preferisco andare a spasso con un cane? Dipende dall’amicizia, dall’amore, dalla identificazione con qualcuno? Ma cosa sono amicizia, amore, identificazione? Perché penso che la persona di cui mi sono innamorato sia la più perfetta tra tutte mentre se vivevo in un altro ufficio o in un’altra città ne avrei amata un’altra? Che differenza c’è tra convincere mediante dimostrazione di una verità matematica (per esempio il teorema di Pitagora) e persuadere qualcuno (per esempio a votare un partito piuttosto che un altro)? In che misura il nostro corpo interferisce col nostro cervello?

Si potrebbe continuare all’infinito.

Le questioni filosofiche interessano ciascuno di noi.

Potete certamente decidere che tutte queste sono questioni che lasciano il tempo che trovano e che si può vivere benissimo senza che esse ci tocchino da vicino. Ma – a parte che certi esseri umani non possono resistere alla meraviglia che li porta a farsi queste domande – nel corso della storia queste questioni “irrilevanti” hanno determinato il nostro modo di vivere, hanno spinto a guerre di religione, hanno influenzato le indagini degli scienziati, hanno determinato il nostro modo di intendere la vita anche se non ce ne rendiamo conto.

Ci sono stati nella storia dell’umanità altri modi di reagire alla meraviglia per ciò che ci circonda. Per esempio le religioni, che sono materia di fede mentre la risposta filosofica si basa su un uso della ragione. Sono esistite filosofie che hanno cercato di mostrare come le rivelazioni delle religioni non contrastino con una “sana” ragione (e si pensi a Tommaso), così come ci sono stati casi in cui la filosofia ha agito come critica delle religioni (come in Feuerbach o in Marx). Ci sono state narrazioni più meno fantastiche su come è nato l’universo, o sulle genealogie degli dèi (per esempio Esiodo). Tutte queste cosmologie si distinguevano dal ragionamento filosofico, mediante il quale, invece, si cercava sempre di attenersi a quelle che venivano considerate le leggi della nostra mente.

Speriamo che questi pochi accenni siano sufficienti per invogliare qualcuno a capire e studiare la filosofia e a comprendere che cosa voglia dire pensare.

Perché il pensare, e il pensare filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli animali.

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THE DISSIMILAR TWINS OF MANNERISM 70

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I GEMELLI DIVERSI DEL MANIERISMO 71

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INDISPUTABLE EVIDENCE OF DIVERGENT CULTURAL DISPOSITIONS

by Carlo Falciani, Antonio Natali Born in the same year, 1494, just a few kilometres apart (one just outside of Empoli and the other in Florence), and later educated in the workshops of the same renowned Florentine masters, Pontormo and Rosso became, in the treatises of the 20th-century critics, the twin proponents of “the modern manner”

or – to be clear – of Mannerism. This much-abused classification is perhaps useful only insofar as it delineates (albeit summarily) the chronology of a period, for it proves to be deceptive – even pernicious – when used to refer to a representational language or, worse yet, to a type of artist, perceived as being imbued with a predominantly eccentric demeanour, in his art as in his life.

Perhaps the time has come to reconsider questions that respected historians have wrestled with for decades: What should we understand Mannerism to mean? Which of its characteristic features are formal and which are ideological? What are the or-

erna”; anzi – per meglio intendersi – del Manierismo: abusata formula classificatoria – quest’ultima – che può forse risultare utile soltanto a delimitare (ancorché sommariamente) la cronologia d’una stadi Carlo Falciani, Antonio Natali gione, ma che si rivela ingannevole e perfino perniciosa quando con essa si voglia riferirsi a una lingua figurativa o, peggio ancora, a una tipologia d’artefici, Nati tutt’e due nel 1494 in luoghi a pochi chilometri per lo più informati a contegni eccentrici, sia nell’esdi distanza fra loro (uno negl’immediati contorni pressione che nella vita. d’Empoli, l’altro a Firenze) e poi educatisi all’arte nel- Non è punto il caso di tornare a ragionare di quesle stanze degli stessi rinomati maestri fiorentini, il tioni su cui per decenni si sono affaticati storici Pontormo e il Rosso sono diventati nella letteratura autorevoli: cosa, cioè, debba intendersi per Maniercritica del Novecento i gemelli della “maniera mod- ismo, quali ne siano i connotati formali, quali quelli

INDISCUTIBILI PROVE DI UNA DIVERGENTE DISPOSIZIONE CULTURALE

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igins of the word Mannerism and which term could we most appropriately use in its place? And so on. In the end, these questions would have more to do with the history of art criticism than anything else, but only if the use of the term did not influence our very understanding of the artists grouped under its label, resulting in frequent misrepresentations in the exegesis of the individuals and their work.

The ambiguity of the expression, which has already necessarily been addressed under different circumstances (from the 1996 exhibition L’officina della maniera [“The Mannerist Workshop”] to the 2010 Bronzino: Painter and Poet at the Court of the Med-

ici), becomes clearly evident when one considers two artists such as Pontormo and Rosso. Both held to be champions of Mannerism, they should – if we accept the opinions associated with the expression – be culturally similar and linguistically alike (even more so because they are the same age and shared the same training). That is not, however, the case. It is common knowledge that, in the early 1520s, both (each barely older than seventeen) gravitated to the tutelage of Andrea del Sarto (who was not much older than them, having been born in 1486). Already in his workshop they began to develop different dispositions, their paths diverging from the start. Therefore,

ideologici, come nasca la parola Manierismo, quale lemma sia più conveniente usare al posto suo, e giù per la scesa. Questioni che, alla fine, riguarderebbero più che altro la storia della critica, se l’uso del termine non incidesse poi nella comprensione medesima degli artisti annoverati sotto quell’etichetta, comportando sovente distorsioni esegetiche al loro riguardo.

L’ambiguità di quella formula, su cui è già occorso di pronunciarsi in circostanze diverse (dall’esposizione L’officina della maniera nel 1996 a quella di Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici nel 2010), si palesa con evidenza proprio

quando si prendano in considerazione due artisti come il Pontormo e il Rosso; che, reputati campioni del Manierismo, dovrebbero rivelarsi – volendo della formula prendere per buone le convinzioni – culturalmente consimili e linguisticamente affini (a maggior ragione, essendo loro coetanei e per di più sortiti da un’identica formazione). Invece cosi non è.

E’ risaputo che, agli albori del secondo decennio del Cinquecento, entrambi (diciassettenni o poco più) orbitavano intorno ad Andrea del Sarto (di loro, peraltro, poco più grande d’età, essendo lui del 1486), già però in quella bottega assumendo differenti attitudini e d’acchito imboccando strade divaricanti.

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although they sprang from the same rib, they immediately displayed dissimilar attributes: twins, yes, but not identical, is how we might put it today. There is no better place than the Chiostrino dei Voti, the votive cloister in the church of the Santissima Annunziata, to demonstrate how the “divergent” cultural dispositions of Pontormo and Rosso manifested in their earliest work. Andrea del Sarto began work in that cloister in 1509, when he was only twenty-three years old. It was there that, following in the wake of their master and mentor Andrea, the two began their careers. At just twenty years of age, after having both had some training in the the so-called school of San Marco (Pontormo under Albertinelli and Rosso under Fra’ Bartolomeo), from 1513 to 1514 they were assigned to work on two large frescoes focusing on the life of the Virgin. Pontormo’s Visitation (cat. no. I.1.3) and Rosso’s Assumption (cat. no. I.1.2) branch out as though grafted (in equal measure) from Sarto’s 1511 work illustrating the episode of the Magi waiting outside Herod’s palace (a tableau to which – we are increasingly convinced – a very young Rosso contributed, cat. no. I.1.1.). These works are immediately and

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clearly emblematic of the intellectual and poetic dispositions of two artists who, although raised in the same environments, developed their own original thoughts in complete independence.

We need do no more than trace their journeys chronologically to be satisfied of Pontormo’s and Rosso’s

Rosso and Pontormo, both held to be champions of Mannerism, should be culturally similar, but that is not the case

distinct preferences, visible in their representational language, their visions of faith, their interpretations of the natural world, how they relate to tradition, their approaches to foreign cultures, their relationships with antiquity and, finally, in dialectic concerning the ‘language’ of Michelangelo.

Having overcome the need to establish the roots of

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Nascono dunque dalla stessa costola, ma all’istante prendono sembianze difformi: gemelli si, però diversi; oggi si direbbe. Nessun luogo meglio del Chiostrino dei voti all’Annunziata si presta a fornire le prove indiscutibili delle “divergenti” disposizioni culturali del Pontormo e del Rosso, manifestatesi fin dalle primissime prove. In quel chiostrino operò, a partire dal 1509, quand’aveva soltanto ventitre anni, Andrea del Sarto. E sempre li, sulla scia d’Andrea, loro maestro e mentore, presero le mosse i due; che, ventenni appena, fra il 1513 e il 1514 – dopo aver indipendentemente bazzicato la scuola di San Marco (avendo a che fare, il primo, con l’Albertinelli, e il secondo con Fra’ Bartolomeo) – ebbero l’allogagione di due grandi affreschi con storie mariane: la Visitazione, il Pontormo (cat. I.1.3); l’Assunzione, il Rosso (cat. I.1.2), che s’aprono però a ventaglio come fossero innestati in quello (di pari misure) che il Sarto aveva dipinto nel 1511 per illustrare l’episodio dei magi in attesa fuori del palazzo d’Erode (scena cui – siamo sempre più convinti – il giovanissimo Rosso era stato chiamato a partecipare; cat. I.1.1) e che, immediatamente e con perspicua chiarezza, a mo’

d’emblema, attestano la disposizione intellettuale e poetica di due artisti che, pur germinati negli stessi ambienti, svolsero in piena autonomia i propri originali pensieri.

Basterà secondare il percorso cronologico per aver

il Rosso e il Pontormo, reputati campioni del Manierismo , dovrebbero rivelarsi culturalmente consimili.

Invece così non è

contezza delle distinte preferenze del Pontormo e del Rosso: nella lingua figurativa, nella visione della fede, nell’interpretazione del dato naturale, nel rapporto con la tradizione, nell’approccio con le culture forestiere, nella relazione con l’antico e finalmente nella dialettica con l’idioma michelangiolesco.

Superato il bisogno di riconoscere il fondamento della pittura manierista in comportamenti devia75

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Mannerist painting in deviant or rebellious behaviour, having gone beyond the desire to consider formal irreverence as the fruit of conflict with the powers that be and with social conventions (let us recall that Pontormo had frequent dealings with the Medicis and that Rosso was court painter to the King of France for a decade), having overcome these artificial hypotheses, we can interpret the works of these two artists from a new point of view – a point of view that has, most importantly, been freed from judgements conditioned by 20th-century historical experiences (both political experiences and those of the numerous avant-garde movements). If we bring both artists back to their own time, it may be necessary to reflect on the sort of humanism that moulded their talents. For instance, if, when and how were they exposed to Cicero’s concept of varietas (translated today as “eclecticism”)? We shall then see that, while Pontormo embraced the virtue celebrated by Cicero, often adopting foreign ‘syntax’ in his work, Rosso – although he was an attentive and interested student of the rules of rhetoric as set down by the father of eloquence – aspired instead to keep alive and – what’s more – glorify and exalt the noble Florentine tradi-

ti o ribelli e superata anche la volontà di reputare la spregiudicatezza formale come frutto d’una posizione contraria al potere e alle convenzioni sociali (si rammenterà che il Pontormo fu sovente in rapporto coi Medici e il Rosso fu per un decennio il pittore del re di Francia), superati dunque questi postulati artefatti, le opere dei due artisti potranno esser rilette con occhi liberi; liberi soprattutto da istanze condizionate dall’esperienze storiche del Novecento (da quelle politiche a quelle delle tante avanguardie). Riconducendo entrambi gli artisti all’epoca loro, sarà semmai necessario meditare sul tipo d’umanesimo che improntò le loro inclinazioni.

Per esempio: se, quanto e come, il concetto ciceroniano di varietas (che in termini attuali si traduce con “eclettismo”) li abbia riguardati. Si vedrà allora che, mentre il Pontormo sposa la virtù celebrata da Cicerone accogliendo spesso e volentieri vocaboli e sintassi allogene, il Rosso – pur attento e interessato alle regole della retorica del padre dell’eloquenza – aspira invece a tener desta e, anzi, esaltare e sublimare la nobile tradizione fiorentina, facendo rivivere nelle opere sue stilemi e talora costrutti di maestri del Quattrocento (da Donatello a Masaccio).

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tion, bringing the stylistic features and, occasionally, the constructs of the masters of the 1400s (from Donatello to Masaccio) back to life in his works. Paola Barocchi, in her 1950 book on Rosso, wrote that, “the category and term Mannerism therefore do not have – when applied to Rosso, as to Pontormo and Beccafumi – any theoretical validity or practical utility”.

This was in conflict with the definitions of “Mannerism” put forward by her contemporaries. Nonetheless, it would be those other critics’ definitions which, a short while later, in tandem with the development of the 20th-century’s avant-garde movements, would revive interest in Rosso and Pontormo.

In spite of Barocchi’s words, Pier Paolo Pasolini (1963), in his short film La Ricotta, used two tableaux vivants to glorify divergence from classicism. They were modelled on two Depositions – Rosso’s in Volterra and Pontormo’s in Florence’s Church of Santa Felicità. Pasolini went so far as to make of them an analogy to Caravaggesque emancipation from the constraints of society. Despite being a brilliant inspiration and a lyrical expression of post-war desires, his interpretation was responsible for shrouding the frank and straightforward voices of these two painters in a veil that would persist for decades.

D’altra parte già Paola Barocchi, nel volume sul Rosso uscito nel 1950, in polemica con le definizioni del Manierismo proposte dalla critica a lei contemporanea (definizioni che di li a poco avrebbero rilanciato il Rosso e il Pontormo in parallelo alle avanguardie, appunto, del Novecento), scriveva che “la categoria e il termine Manierismo non presentano dunque – nei confronti del Rosso, come, parallelamente, del Pontormo e del Beccafumi – alcuna validità teorica od utilità pratica”.

Nonostante le sue parole, i due tableaux vivants di Pier Paolo Pasolini (1963), attraverso i quali in Ricotta il poeta esaltava la deviazione dal classicismo delle due Deposizioni (di Volterra e di Santa Felicita) fino a farne un’analogia del caravaggesco affrancamento dalle costrizioni sociali, sarebbero stati un lampo sublime, capace d’esprimere liricamente i desideri del secondo dopoguerra, ma capace altresì di velare per decenni le voci franche e schiette dei due pittori.

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Sideways

ITALY IS A LONG FAREWELL HOW GOOD IT IS TO WRITE IN “CHIANTISHIRE”

by Rex Pickett Almost a year ago an email arrived in my website’s mailbox. It had definitely been sent from a mobile phone and it read: “Hello, my name is Nicola De Angelis and I’m an Italian film producer.

I’m trying to get in touch with your editor or the representative who handles your books/copyright...

Can you give me any tips? Do you have an agent or lawyer I could 80

speak to? I would like to make an Italian version of Sideways. It would be amazing set in a place like Tuscany. Might you be interested? Best wishes.”

First of all, email that comes to my website is generally spam. The rest comes from fans of my book Sideways, on which Alexander Payne’s acclaimed 2004 film was closely based. As gratifying as compli-

ments always are, my fans often beg me to read their screenplays or manuscripts in the hope that I might write them a short review or pass on a copy to my agents. I therefore have to admit that, when I read that email, I was suspicious.

I thought it was some crackpot’s idea of a joke. I let my mouse hover over the trash icon for a few seconds, wondering whether or not to answer, if this was going to be just one more e-mail exchange that seems promising but winds up wasting my time by dragging me into a dead end. (I’m well-known for my cynicism.)

I had just come back from a trip to Chile. I was writing a novel set in that vast and marvellous country

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L’ITALIA È UN LUNGO ADDIO COME SI SCRIVE BENE NEL “CHIANTISHIRE” di Rex Pickett

è bastata l’Italia a farmi ritrovare la fiducia nell’umanità

Quasi un anno fa ho ricevuto un’email alla casella di posta del mio sito. Di sicuro era stata inviata da un cellulare e diceva: “Salve, sono Nicola De Angelis, un produttore cinematografico italiano. Sto cercando di contattare il suo editore o il rappresentante dei suoi libri/diritti di autore…

Ha qualche dritta? Un agente o un avvocato con cui parlare?

Mi piacerebbe fare una versione italiana di Sideways. Sarebbe straordinario in un posto come la Toscana. Le può interessare? Cordiali saluti” Innanzitutto, una email che arriva al sito nella maggior parte dei casi è spam. Altrimenti si tratta di fan del mio romanzo Sideways, dal quale è stato fedelmente adattato l’acclamato film del 2004 di Alexander Payne. Per quanto i complimenti siano sempre gratificanti, spesso i fan mi supplicano di leggere le loro sceneggiature o i loro manoscritti nella speranza che scriva un trafiletto o passi un copione ai miei agenti. Quindi, devo ammetterlo, quando ho letto quell’email ero circospetto.

Ho pensato fosse lo scherzetto di uno svitato. Ho lasciato il cursore sospeso sopra l’icona del cestino per qualche secondo chiedendomi se rispondere o meno e se non fosse un’altra corrispondenza via mail con la promessa di un qualcosa che alla fine mi avrebbe fatto perdere tempo trascinandomi in un cul-de-sac. (Sono famoso per il mio cinismo!)

Ero appena tornato da un viaggio in Cile. Stavo scrivendo un romanzo ambientato in quel vasto e me-

raviglioso paese e non ero sicuro di esser pronto a impegnarmi in un altro progetto simile a quello, anche si fosse trattato della Toscana, anche se tutto non fosse stato uno scherzo! Ma l’email era così ingenua nella sua proposta. Decisi poi che una risposta a quella richiesta non avrebbe fatto male a nessuno. Se avessi cliccato l’icona del cestino probabilmente mi sarei perso i 5 mesi migliori della mia carriera professionale. È iniziato un dialogo. Prima per email, poi al telefono. Nicola mi ha informato del fatto che la location non sarebbe stata la Toscana in sé ma piuttosto una specifica zona vinicola in Toscana conosciuta come Chianti Classico. Sebbene mi consideri abbastanza competente in quanto a vino, non conoscevo affatto la leggendaria regione del Chianti Classico, a parte che il Sangiovese era la varietà d’uva principale.

Su sua richiesta, ho scritto una bozza per un film, originariamente intitolato Two Guys on Wine.

Sono passate due o tre settimane e, come sospettato, nessuno si è fatto sentire. Poi, una mattina mi sono svegliato e ho trovato nella casella di posta l’email più surreale che avessi mai ricevuto in tutta la mia carriera di scrittore.

Eccone un frammento saliente: “Credo il tuo scritto sia piaciuto, un paio di finanziatori hanno dato il via libera. Uno di loro ha anche un grande castello medievale a Firenze in cui scrivere.”

A Hollywood quando ti dicono che il tuo progetto ha “il via libera” 81

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and I wasn’t sure I was ready to commit to another similar project, not even if it were in Tuscany, even if it weren’t all a joke. And yet, the offer in the email was so guileless.

I ended up deciding that answering it couldn’t do any harm. If I had clicked on the trash instead, I probably would have missed out on the 5 best months of my professional career.

It was the beginning of a conversation. It started via email, then moved to the telephone. Nicola told me that the location would not be Tuscany per se, but rather a specific winemaking area in Tuscany known as Chianti Classico.

Although I consider myself fairly knowledgeable when it comes to wines, I knew next to nothing about the legendary Chianti Classico region, apart from the fact that that Sangiovese was its most important grape variety.

At his request, I wrote a draft for a film, originally entitled Two Guys on Wine.

Two or three weeks went by and, as I had suspected, no one got back to me. Then one morning I got up to find in my inbox the most surreal email I had ever received in my entire career as a writer. This is one of the highlights: “I believe that your piece was wellliked. A couple of financial backers have given it the green light. One of them has a big Medieval castle in Florence where you can write.”

In Hollywood, when they say that your project has been given “the green light”, it means that it is at an advanced stage and ready to be produced. It’s the Holy Grail, and it happens only rarely. All right, I thought. Research and writing for Two Guys on Wine has been given a green light. Great, but, “a big Medieval castle in Florence where you can write”? Was I about to take off for a trip to a house of horrors in the middle of nowhere, buried 82

in broken promises, deals made in the back of dark pizzerias in the suburbs of Rome, scripts written in exchange for counterfeit euros...

Not to state the obvious, but Hollywood engenders a profound and sardonic cynicism in writers.

Three months after receiving that not so much peculiar as laughable email, I found myself bundled into a first class seat on my way to Rome, off to pen a screenplay set and written in the heart of Tuscany. Having never been to such a place before, and having grown up in San Diego, California, where the oldest building is the first McDonald’s, the endless rolling hills covered in forests and vineyards and the perfectly preserved Medieval architecture left me dumbstruck.

However, I still had a story to find and to write. I was amazed and panicked.

With no management interference on the part of the producers, I set out to explore in my rented Fiat. In the following weeks I met incredible – and incredibly poetic – winemakers. I visited a countless number of extraordinary vineyards and began to get used to my new environment. Nonetheless, I was still having problems finding the story.

Where was the conflict among all this unearthly beauty? Then something unexpected happened: careening through a vineyard along a dirt road full of potholes in the company of an irrepressible winemaker who drove like a madman, my retina detached. They rushed me to the operating room at Careggi Hospital, outside of Florence.

I had to wear an eye patch after the operation, and I had no choice but to prolong my stay. The doctors had told me I shouldn’t fly, for fear that the gas injected into my eye might make it explode! Frightened as I was at the idea of having to undergo an even more invasive eye operation – and in a foreign coun-

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vuol dire che il progetto è in stato avanzato ed è pronto a essere prodotto. È il Sacro Graal e capita raramente! Quindi, ho pensato volesse dire che la ricerca e la scrittura di Two Guys on Wine avessero ricevuto il via libera. Bene. Ma, “un grande castello medievale a Firenze in cui scrivere”? Stavo per fare un viaggio verso una casa degli orrori in mezzo al nulla, sommerso di promesse rinnegate, accordi presi nei retrobottega di buie pizzerie nei sobborghi di Roma, copioni scritti in cambio di Euro contraffatti … Hollywood, non per essere ridondante, genera un profondo e beffardo livello di cinismo negli scrittori.

A tre mesi da quella tanto singolare quanto risibile email sono stato scaraventato in prima classe verso Roma per fare una sceneggiatura da ambientare e scrivere nel cuore della Toscana. Non essendo mai stato in quei luoghi prima ed essendo cresciuto a San Diego, in California, dove il palazzo più antico è il primo MacDonald’s, l’ondulazione incessante delle colline boscose piene di vigneti e l’architettura medievale perfettamente conservata mi hanno lasciato a bocca aperta. Ma avevo ancora una storia da trovare e da scrivere. Ero al tempo stesso sbalordito e preso dal panico.

Con nessuna interferenza gestionale da parte della produzione, ho iniziato a esplorare il paesaggio con la mia Fiat presa a noleggio.

Nelle settimane a seguire ho incontrato viticoltori incredibili - e incredibilmente poetici! - visitato un numero indefinito di vigneti straordinari e ho iniziato ad abituarmi al mio nuovo ambiente.

Tuttavia stavo ancora avendo problemi nel trovare la storia .

Dov’era il conflitto in tutta quella soprannaturale bellezza? Poi è successo qualcosa d’inaspettato: in un vigneto, passando per una 83

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try, to boot – there in the hospital I had one of those epiphanies that only happen to a writer once or twice in a lifetime, and the screenplay swept me away in a tidal wave of ideas. I began to write feverishly.

As with Sideways, the story simply flowed out of me in a profusion of scenes that were to form the film’s architecture. Everything, from the moment I had arrived in Rome, became material for my story.

That detached retina proved to be a blessing. A two-month stay turned into five. It was winter, it was snowing, cold, and it wasn’t tourist season, but the leaves in the vineyards were gloriously lush.

I fell hopelessly in love with Italy.

Italians are friendly, warm, generous, empathetic, and humbly welcoming, almost to excess. I never got caught in traffic! The food was simple, magnificent and inexpensive. My eyes were healing. My spirit shook off its tangled weariness. My writer’s soul, after years of being plundered by Hollywood, returned to its original idealis-

tic state in the wholesome land that is Italy. When the time came to leave, I didn’t want to go back home, to that grid of cement and asphalt made up of ten-lane highways, traffic jams, illegal garbage dumps stretching on the outskirts of Southern California’s cities that seem designed to destroy the soul.

The meeting I had in Rome to discuss the draft script was the best I have ever taken part in for a screenplay. Hollywood has a lot to learn from Italians in terms of working with writers. They would save millions in development costs. Hollywood works by means of conflicts, covetousness, and an almost total lack of courage in its initial convictions. I truly and fatalistically believed that dealing with a foreign filmmaking company would be a nightmare, especially when compounded by my ignorance of the language. To tell the truth, what happened was the exact opposite. It was the smartest, most seamless and smoothest collaboration of my entire career.

all I needed was Italy to rediscover my faith in humanity

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We were constantly on the same wavelength. The mutual exchange of ideas was a true pleasure, and no one let their ego get in the way or tried to take the credit for himself.

Less than 11 months ago, I received an e-mail typed hastily on an iPhone, one that I almost didn’t answer. Now we have the final draft of a screenplay. The process seems like a dream. The 5 months I spent in Italy almost seem unreal, as though I were floating on a cloud, carried along by the fickle winds of random chance. I’m still waiting for the boning knife to sink into the small of my back. But instead I have this incredible feeling, knowing that in less than a year I’ll be back in Tuscany, watching a film crew make a movie based on my screenplay. All the things I’d been keeping bottled up inside, to the point of being tired of the writing process, were swept away by one project. All I needed was Italy to rediscover my faith in humanity.

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strada sterrata piena di buche, solcata da un viticoltore irrefrenabile, dalla guida folle, ho subìto un distaccamento della retina e mi hanno portato di fretta nella sala operatoria dell’Ospedale Careggi, nei pressi di Firenze. Quindi il mio occhio era bendato a causa dell’operazione, non avevo scelta se non quella di prolungare la permanenza. I dottori mi hanno sconsigliato di volare per paura che l’occhio esplodesse per via del gas iniettato al suo interno!

Spaventato com’ero all’idea di dovermi sottoporre a un intervento all’occhio ancora più invasivo - in un Paese straniero per giunta - in ospedale ho avuto una di quelle epifanie da scrittore che arrivano solo un paio di volte nella vita e il copione mi ha travolto con uno tsunami di idee. Ho iniziato a scrivere febbricitante. Come per Sideways, la storia è venuta fuori in un vero flusso e in una profusione di scene che sono andate a comporre l’architettura di un film. Tutto, dal momento del mio arrivo a Roma, era materia prima

per me. E il distaccamento della retina si è rivelato una benedizione. Una permanenza di due mesi è diventata un soggiorno di cinque. Sebbene fosse inverno, nevicasse, facesse freddo e non fosse stagione turistica, i vigneti avevano foglie di una gloria verdeggiante. Mi sono innamorato dell’Italia perdutamente. Gli italiani sono amichevoli, calorosi, generosi, empatici, umilmente accoglienti, quasi fino all’eccesso. Non ho mai incontrato traffico! Il cibo era semplice, magnifico e poco costoso. I miei occhi stavano guarendo.

Il mio spirito si è sollevato dai suoi grovigli sfibrati, la mia anima di scrittore, dopo anni di depredazioni a Hollywood, è ritornata al suo stato idealistico originario in quella terra salubre che è l’Italia. Quando infine è arrivato il momento di ripartire, non volevo tornare a casa alla rete di cemento e asfalto fatta di autostrade a 10 corsie, ingorghi di macchine, di distese irregolari di spazzatura nella periferia della California del Sud che sembrano pensate per

distruggerti l’anima.

L’incontro a Roma per la prima bozza del copione è stato il migliore che avessi mai avuto fino ad allora. Hollywood ha molto da imparare dagli italiani in termini di lavoro con gli scrittori. Gli farebbe risparmiare milioni in costi di sviluppo. Hollywood opera per attrito, brama, e una quasi totale assenza di coraggio nelle sue convinzioni iniziali. Davvero io fatalisticamente pensavo che avere a che fare con una società cinematografica straniera fosse un incubo, specialmente se aggravato dalla mia ignoranza nei confronti della lingua. A dire il vero è stato l’esatto opposto. È stata la collaborazione più intelligente, con meno interruzioni e la più fluida di tutta la mia carriera. Eravamo costantemente sulla stessa lunghezza d’onda. Il mutuo scambio di idee è stato piacevolissimo, senza mai anteporre l’ego o la voglia di prendersi il merito.

Meno di 11 mesi fa ho ricevuto un’email digitata di fretta su un iPhone, alla quale stavo per non rispondere. Ora abbiamo la stesura finale di una sceneggiatura.

Il processo sembra un sogno. I 5 mesi trascorsi in Italia quasi non sembrano veri, come se avessi galleggiato su una nuvola, trasportato dal vento instabile di un destino casuale. Sto ancora aspettando che il coltello da disosso affondi nei miei lombi. E invece ho questa incredibile sensazione, tra meno di un anno sarò di nuovo in Toscana a guardare una troupe cinematografica girare un film basato sulla mia sceneggiatura. Tutto quello che avevo covato dentro, fino al punto di arrivare ad essere stufo del processo di scrittura è stato spazzato via da un progetto. È bastata l’Italia a farmi ritrovare la fiducia nell’umanità.

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CREATIVITY THE ICONIC OBJECTS OF MADE IN ITALY THAT REINVENT DAILY LIFE

by Luisa Pirri Born with an instinctive skill and a great passion for all things mechanical, Natale Capellaro – who started work in the Olivetti factory at just 14 years of age – earned the trust and respect of Camillo Olivetti and, later, his son Adriano. They recognized his uncommon gift for creativity, coupled with precision and scrupulousness. These are the threads that tie together the story of this man who, from a simple factory worker with no higher education than elementary school, rose to be the General Technical Director of Olivetti and, more importantly, was behind some of the most innovative products that came out of that brand’s golden years. The first among them is the Divisumma 14.

Launched in 1948, this revolutionary electric printing calculator, whose mechanism was designed by Natale Capellaro, was capable of performing the four arithmetic functions in a manner superior to competing products on the market. The Divisumma was an immediate success. This was also thanks to Marcello Nizzoli’s elegant design, which earned it the honour of representing Italian design as part of the collection at New York’s MoMa. It was no accident. Olivetti’s exciting journey as an enterprise during those years is a perfect expression of the climate of renewal and energy that characterised the postwar years and lasted through the 1960s.

In an Italy that was undergoing radical transformations, technological innovation went hand in hand with the development of a new language. Inspired by the quest for the beautiful and the functional, it would pave the way for new markets and new consumers. Products were created at Olivetti like the incredible “Perottina” – so nicknamed in honour of its designer, Pier Giorgio Perotto – a prototype precursor of the personal computer that would become the P101. Presented in 1965, the P101 marked one of the highest points in Italian design capability in those years. Hewlett Packard itself paid 900,000 dollars in royalties for the use of the P101’s patented technologies.

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CREATIVITÀ ICONE DEL MADE IN ITALY CHE REINVENTANO IL QUOTIDIANO di Luisa Pirri Capacità intuitiva e una grande passione per la meccanica, ma anche la fiducia e la stima di Camillo Olivetti prima e del figlio Adriano poi che avevano indovinato in lui, entrato nella fabbrica a soli 14 anni, doti non comuni di creatività e al tempo stesso di precisione e rigore. Questi sono i fili rossi della storia di Natale Capellaro, passato

da semplice operaio con in tasca il solo diploma di scuola elementare a direttore generale tecnico dell’Olivetti, ma soprattutto all’origine di alcuni dei prodotti più innovativi degli anni d’oro del marchio. Primo fra tutti, la Divisumma 14 lanciata a partire dal 1948, una rivoluzionaria calcolatrice scrivente elettrica progettata nella sua parte meccanica proprio da Natale Capellaro e in grado di effettuare le quattro operazioni con prestazioni superiori a quelle delle concorrenti sul mercato. Il successo della Divisumma è immediato, grazie anche alla sua forma elegante studiata da Marcello Nizzoli che le ha valso di entrare nella collezione del MoMa di New York per rappresentare il design italiano. E non è un caso, perché la bella avventura imprenditoriale dell’Olivetti di quegli anni traduce alla perfezione il clima di 87

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Italy was moving forward again, inventing things and reinventing itself. The nation saw itself reflected in the metaphor of the impassioned duel between cyclists Coppi and Bartali. With sweat and struggle, sacrifice and willpower, it was evolving into something new. The postwar Italy that suffered and worked itself to the bone became an Italy of consumers and amusements. It was thanks to machines – for typing, for going places, for listening to music, for communicating with people far away – that Italy discovered comfortable living, and today those machines are available to an ever larger number of people. Objects that are extremely innovative and often revolutionary, destined for an increasingly broad and diverse market, need a strong image. A product’s success is not determined only by its usefulness, but also by its design, by its capacity to act as a spokesperson for the new. It was in the years following WWII that the most famous icons of Made in Italy came into being, objects and machines that have contributed to shaping the sense of belonging that lies at the root

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of the Italian identity.

Behind another of these lies, once again, the ingenuity of a single man, Corradino D’Ascanio. His ability to think outside the box, combined with entrepreneur Enrico Piaggio’s intuition about a product’s potential, led to the birth of the Vespa. An aeronautical engineer and father of the first prototype of the modern helicopter, D’Ascanio took on the task of designing an agile and versatile scooter using a completely new approach. The driver had to be as comfortable as if he were in an armchair.

Protected by the chassis, he shouldn’t have to worry about getting dirty from the chain, nor should it be a struggle to change the tire. Driving it had to be simple. It was 1946 when Corradino D’Ascanio presented the final prototype of what would evolve, in years to come, from a popular, easygoing means of transportation into a true synonym of independence and freedom. Its rapid spread was stunning.

By 1970 four million had already been produced.

However, the real revolution in Italians’ means of transportation came with the Nuova Cinquecen-

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Hewlett Packard versò 900 mila dollari di royalties per acquistare il brevetto di P101

rinnovamento e di effervescenza del dopoguerra e poi su per tutti gli anni 60 : in un’Italia in piena trasformazione, l’innovazione tecnologica va di pari passo con la definizione di un nuovo linguaggio improntato alla ricerca del bello e del funzionale per aprirsi a nuovi mercati e a nuovi consumatori. In Olivetti nascono prodotti come l’incredibile Perottina, soprannominata così dal nome del progettista Pier Giorgio Perotto, il prototipo precursore del personal computer che diventerà la P101. Presentata nel 1965, la P101 segnerà uno dei punti più alti della capacità progettuale italiana di quegli anni, al punto che la stessa Hewlett Packard verserà 900 mila dollari di royalties per le sue soluzioni coperte da brevetto.

-per scrivere, per spostarsi, per sentire la musica, per comunicare con chi è lontano- che sono ora progressivamente alla portata di una platea sempre più vasta. Oggetti tanto innovativi e spesso rivoluzionari, destinati ad un mercato sempre più ampio e diversificato, richiedono di costruire un’immagine forte: il successo di un prodotto è determinato non solo dalla sua funzionalità ma anche dal suo design, dalla sua capacità di farsi interprete del nuovo. Ed è proprio a partire dal secondo dopoguerra che nascono alcune delle icone più famose del Made in Italy, oggetti e macchine che hanno contribuito a modellare quel sentire comune di appartenenza su cui poggia l’identità degli Italiani.

È l’Italia che riparte, che inventa e si reinventa. Il paese riflesso nella metafora dell’appassionante duello tra Coppi e Bartali, intriso di sudore e fatica, di sacrifici e di forza di volontà, sta mutando pelle. L’Italia uscita dalla guerra che pedala e che soffre diventa l’Italia che consuma e si diverte. E che scopre il benessere grazie a quelle macchine

Ancora una volta sono l’ingegnosità di un uomo che sa uscire dagli schemi, quella di Corradino D’Ascanio, unita all’intuizione delle potenzialità di un prodotto di un imprenditore, Enrico Piaggio, a segnare la nascita della Vespa. Ingegnere aeronautico padre tra l’altro del primo prototipo di elicottero moderno, D’Ascanio affronta il compito 89

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to, which rolled out of the Mirafiori factory in 1957.

This economy car, true to its designer Dante Giocosa’s motto, that “innovation and simplification must go hand in hand”, ushered Italy into a new era – the era of mass motorisation, of summer exoduses on the newly constructed “Autostrada del Sole” motorway, of the first traffic jams and of increasingly widespread comfortable living. The very shape of the chassis, for that matter, designed to reduce both weight and cost to a minimum, was symbolic of the need to offer an affordable product with an economic engine.

New traditions took root, from the day-trip out of town, to a new familiarity with the telephone, to evenings spent in front of the television. Advertising forced its way into homes, influencing consumption and establishing fashions. Indeed, it was thanks to a successful campaign broadcast on the TV advertising show Carosello that another of the most beloved of Italian icons, which had come into use after WWII, finally became widely known: that symbol of the pleasure of the Italian art de vivre, the moka. Its octagonal shape is unmistakeable. Fruit of Alfonso Bialetti’s intuition to apply to a coffee maker the same principle that the washing machines of his day used to employ detergent, the moka’s enormous success is inseparable from its logo, the famous “little man with a moustache”, created by the brush of Paul Campani.

“It looks easy”, the star of the ad exclaimed guilelessly, talking about how to make a good espresso, as well as do a multitude of other daily tasks, reinterpreted with an ironic eye. For Italians, who would soon have to face new and difficult challenges, from the 1970s “strategy of tension” to today’s austerity, these were the last shining moments of a light-hearted age.

Hewlett Packard paid 900,000 dollars for the use of the P101’s patented technologies

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di ideare uno scooter agile e versatile con un approccio del tutto nuovo. Il guidatore deve essere comodo quasi come fosse in poltrona, protetto dalla carrozzeria, non deve temere di sporcarsi con la catena né di faticare a cambiare la ruota e la guida deve essere agevole. Siamo nel 1946 quando Corradino D’Ascanio presenta il prototipo definitivo di quello che negli anni passerà da mezzo di locomozione popolare e familiare a vero e proprio sinonimo di indipendenza e libertà. La sua diffusione è folgorante, nel 1970 ne saranno già state prodotte quattro milioni. Ma la vera rivoluzione dei mezzi di trasporto degli Italiani arriva con la Nuova Cinquecento, uscita dalla fabbrica di Mirafiori nel 1957. Realizzata seguendo il motto di Dante Giacosa, il suo progettista, secondo cui “innovazione e semplificazione devono procedere insieme”, l’utilitaria segna l’ingresso dell’Italia in una nuova era, quella della motorizzazione di massa, degli esodi estivi sulla neonata Autostrada del Sole, dei primi ingorghi e del benessere sempre più diffuso. Del resto già la linea della sua carrozzeria, immaginata per ridurre al minimo sia il peso che il costo, è indice dell’esigenza di proporre un prodotto dal costo accessibile e dai consumi ridotti.

Si consolidano nuovi riti, dalla gita fuori porta a una nuova dimestichezza con l’uso del telefono, passando dalle serate trascorse davanti al teleschermo. La pubblicità entra ormai prepotentemente nelle case, influenza i consumi, determina le mode. Ed è così che, a partire dal secondo dopoguerra ma soprattutto più avanti grazie ad una riuscita campagna trasmessa da Carosello, si diffonde una delle icone più amate, simbolo della piacevolezza dell’art de vivre all’italiana: la moka, dall’inconfondibile forma ottagonale. Realizzata basandosi sull’intuizione di Alfonso Bialetti di applicare alla caffettiera lo stesso principio per sfruttare il detersivo utilizzato dalla macchina per il bucato di allora, il suo enorme successo non può che essere associato al famoso “omino coi baffi” frutto della matita di Paul Campani. “Sembra facile” esclamava sornione il personaggio parlando sì di come farsi un buon caffé ma anche di tante altre azioni quotidiane riviste con ironia.

Per gli Italiani che presto si dovranno confrontare con nuove difficili sfide, dall’austerity alla strategia della tensione degli anni 70, sono gli ultimi sprazzi di spensieratezza.

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C R E AT I V I T À If it were possible to converse with spirits, then we could say that Giovanni Alfonso Borelli certainly had some very illustrious conversations. A 17thcentury genius, he was more cheerful than austere.

He became one of the founders of modern science and physiology when, with the help of Euclid and Hippocrates, he was able to arrange a fruitful union between meticulous mathematics and the then elusive discipline of biology. Playing with his “sun catcher”, in the company of Archimedes and his mirrors, Borelli paved the way for the concept of renewable energy.

Se fosse plausibile dialogare con gli spiriti Giovanni Alfonso Borelli ebbe di certo conversazioni molto illustri. Seicentesco genio più brioso che austero, entrò fra i fondatori della scienza e della fisiologia moderna quando, grazie all’aiuto di Euclide e Ippocrate, riuscì ad organizzare un matrimonio fruttuoso fra la rigorosa matematica e un’allora elusiva biologia. Giocando a “acchiappa sole” con Archimede e i suoi specchi aprì la strada al concetto di energia rinnovabile.

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INDRO MONTANELLI, A COUNTERCURRENT OBSERVER THE UNIQUE AND REFINED PEN OF AN “ARCH-ITALIAN”

by Angelo Mellone To write about Indro Montanelli is to write about the greatest journalist in the history of Italy. He lived through almost the entire Italian twentieth century, with its contradictions, its wounds, its faded glories, its dreams, its crises and rebirths.

This journalist whose career spanned a century

INDRO MONTANELLI, TESTIMONE CONTROCORRENTE PENNA UNICA E RAFFINATA DI UN ARCITALIANO di Angelo Mellone Scrivere di Indro Montanelli è scrivere del più grande giornalista della storia italiana. Che ha attraversato quasi per intero il Novecento italiano, le sue contraddizioni, le sue ferite, le sue glorie sgonfiate, i sogni, le crisi, le rinascite. Un giornalista secolare per un secolo che ha visto la consacrazione del giornalismo come forma di conoscenza del mondo.

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watched for a century as journalism established itself as a form of knowledge of the world. When the author Beppe Severgnini tried to describe Montanelli to his son, he began like this: “He was out of the ordinary. Too tall, too skinny, too good at what he did, too melancholy, too good of a person, and too proud to let it show.” It was his being “out of the ordinary” that would allow Montanelli to become part of that group of intellectuals, artists, writers and journalists, from Leo Longanesi to Alberto Burri, from Carmelo Bene to Giuseppe Berto, from Curzio Malaparte to Gianna Preda, from Adriano Olivetti to Dino Buzzati, a group that is difficult to place under any one specific ideological category.

Montanelli, like one of his self-proclaimed mentors, Giuseppe Prezzolini, was a conservative with anarchical leanings. He was an Italian who had nothing of the Italian about him, if not the pride of belonging to a people that, deep down, he despised. Like Prezzolini, he spent his entire life trying to make himself unlikeable, as all Tuscans do. Although he did his utmost to achieve his goal, he did not succeed. He

Beppe Severgnini al figlio ha provato a raccontarlo con questo incipit: «Era un irregolare. Troppo alto, troppo magro, troppo bravo, troppo malinconico, troppo buono, troppo orgoglioso per darlo a vedere.» La ‘irregolarità’ di Montanelli lo fa iscrivere in quel gruppo di intellettuali, artisti, scrittori, giornalisti, da Leo Longanesi ad Alberto Burri, da Carmelo Bene a Giuseppe Berto, da Curzio Malaparte a Gianna Preda, da Adriano Olivetti a Dino Buzzati, che è difficile incasellare in una precisa collocazione ideologica. Montanelli, come uno dei suoi maestri dichiarati, Giuseppe Prezzolini, era un conservatore con tendenze anarchiche che odiava i conservatori e gli anarchici, un italiano che dell’italianità non salvava nulla se non l’orgoglio dell’appartenenza a un popolo che di fondo detestava; e, come Prezzolini, è uno che ha passato una vita intera a cercare di rendersi antipatico, come tutti i toscani. Pur prodigandosi per raggiungere l’obiettivo, non ci è riuscito. Invece è riuscito in un altro intento: essere annoverato tra i “testimoni scomodi” e al tempo stesso formidabili della storia italiana.

Perennemente a disagio nel suo presente.

Lo si vede dal rapporto che Montanelli intrattenne

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did, however, succeed in another aim: to be counted among the “inconvenient” – but at the same time formidable – witnesses to Italian history. He was perpetually ill-at-ease with the time he lived in.

It can be seen in the relationship Montanelli had with fascism as much as with democracy. Although he had experienced military life in the African wars, his writing under Fascism first grew rebellious before going into outright opposition. His great friend was Berto Ricci, another heretic fascist, of whom he wrote: “Ricci was the only character mentor that I found in this country, where character is the only subject that everyone passes without having to take an exam.”

He had terrible relations first with the fascists, then with the Germans, but also

tanto con il fascismo quanto con la democrazia. Nel fascismo la sua scrittura – pur avendo avuto anche una vita militare nelle guerre d’Africa – a un certo punto divenne frondista e poi d’opposizione. Suo grande amico fu Berto Ricci, un altro fascista eretico di cui scrisse: «Ricci fu il solo maestro di carattere che io abbia trovato in questo Paese, dove il carattere è l’unica materia in cui si passa sempre tutti senza esami». Ebbe pessimi rapporti con i fascisti prima, i tedeschi poi, ma anche nella democrazia repubblicana, lui anticomunista viscerale, vide sempre con un occhio di sospetto la retorica eccessiva della Resistenza che si era impadronita dell’industria culturale italiana ma non della maggioranza degli italiani.

E dunque chi fu Indro Montanelli? Un po’ di tutto. Si sarebbe offeso a sentirsi definire intellettuale ma questo fu: un grande intel-

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with the republican democracy. He was profoundly anticommunist, and had always viewed with suspicion the overblown rhetoric of the Resistance, which had taken over the Italian cultural industry, but not the majority of Italians.

Who, then, was Indro Montanelli? He was a little bit of everything. He would have been offended to hear himself described as an intellectual, but he was one: a great Italian intellectual. He was a journalist by nature and a world traveller by profession.

“The world was my destiny, but my roots are here,” he said of his native Fucecchio. He was also a playwright, a scriptwriter and a screenwriter, a novelist and an historian. Few remember that Montanelli, with his accounts of Rome and Italy, has sold more

history books than any other Italian author, including those he co-authored with Mario Cervi, another talent from his circle.

What is the secret of his adventurous life, the salt that gave flavour to over ninety years of living, which even today still confirms him as one of the greats? Let us steal the title from his historic column, Controcorrente. To be countercurrent, to move countercurrent. To argue with the feminists when feminism was all the rage. To argue with the Corriere della Sera, the newspaper he wrote for and edited for many years, when it took a progressive turn.

To argue against the historic compromise between the Chris-

lettuale italiano. Giornalista di razza, giramondo per lavoro - «ho avuto per destino il mondo, ma le mie radici sono qui» dirà della sua Fucecchio – scrittore teatrale, sceneggiatore, soggettista, romanziere, e storico. Pochi ricordano che Montanelli, con le sue storie – di Roma e d’Italia – è l’autore italiano che ha venduto più libri di storia, anche in accoppiata con Mario Cervi, un altro talento della sua scuderia.

E qual è il segreto della sua vita avventurosa, il sale con cui ha condito i novanta e passa anni di un’esistenza che ancora oggi lo consacra come un

mostro sacro? Il titolo lo rubiamo a una sua storica rubrica, Controcorrente. Essere controcorrente, andare controcorrente. Polemizzare con le femministe quando il femminismo andava di moda. Polemizzare con il Corriere della Sera, suo giornale per tanti anni, per la svolta progressista. Polemizzare contro il compromesso storico quando l’alleanza tra democristiani e comunisti era ben vista anche da buona parte della borghesia italiana. Polemizzare con Silvio Berlusconi quando nel 1994 chiese a lui, all’epoca direttore de Il Giornale, di sostenerlo nella sua avventura politica. Una vita, dunque,

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He was out of the ordinary. Too tall, too skinny, too good at what he did, too melancholy, too good of a person, and too proud to let it show

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tian Democrats and the Communists, even when most Italians regarded the alliance as positive. To argue with the magnate Silvio Berlusconi when, in 1994, he asked Montanelli, then director of the newspaper Il Giornale, to endorse him in his political venture. A life, therefore, lived in the name of polemic interventionism, spent fighting battles he believed in and never holding back, seasoning his ceaseless activism (he slept very little because, as he said, he could not make his mind stop turning things over) with an innate talent for writing and an incredible aptitude for describing events, places and people.

We could say that Montanelli always stayed true to Montanelli, even in his old age (and what else could

we expect, after all, from a man who was deliberately named Indro, after the Hindu god Indra). He was never regretful, always remaining soberly grateful towards a life that had granted him deep emotion, recognition, pain and love. As well as nostalgia. For a long time he did not return home to his Fucecchio: “I never go back, so as not to ruin my memory of it.”

Today, the memory of Montanelli is, and shall remain, in the form of his dozens of books, his splendidly prepared news reports, his pen – unique for the refinement and popularity of the writing it produced – and his critical acumen. Not to mention the desire – shared by only a few others like him – not to be lenient towards his fellow Italians. And thus, to use one of his favourite expressions, an “arch-Italian”.

Era un irregolare.

Troppo alto, troppo magro, troppo bravo, troppo malinconico, troppo buono, troppo orgoglioso per darlo a vedere

nel segno dell’interventismo polemico, dello spendersi in battaglie in cui credeva senza risparmiarsi, condendo questo suo continuo attivismo (dormiva pochissimo perché, raccontava, non riusciva a tacitare il ruminare del cervello) con un talento innato per la scrittura e un’attitudine incredibile nella narrazione di eventi, luoghi, persone.

Diciamo che Montanelli non abbandonò Montanelli (e del resto, da uno che fu chiamato Indro, maschilizzazione del nome di una dea indù, per dispetto, cos’altro potevamo aspettarci…) nemmeno negli

anni della vecchiaia. Mai pentito, e sempre sobriamente riconoscente verso una vita che gli aveva regalato grandissime emozioni, riconoscimenti, dolori, amori. Compresa la nostalgia. Non tornò per tanto tempo nella sua Fucecchio, a casa: «Non ci torno mai per non sciuparne il ricordo.» Il ricordo di Montanelli, oggi, sono e restano le sue decine di libri, i reportage confezionati splendidamente, la penna unica nella raffinatezza e popolarità della scrittura, l’acume critico, e la voglia, come pochi altri come lui, di essere un italiano poco indulgente verso gli italiani. E dunque, arcitaliano.

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CLASSIC TYPOGRAPHY, CONFOUNDED NOSTALGIA RESEARCH AND STUDY TO RECONSTRUCT AN “ALPHABET OF KNOWLEDGE”

by Giulia Nicolai and Francesca Colonia “Over the centuries, Western culture has shifted from a typically oral tradition to one that is increasingly graphic and figurative, allowing writing, in all its various manifestations, to become the preferred vehicle for conveying information, a ‘place’ for knowledge to be stored; historically, this peculiarity has placed the graphic tradition of knowledge in the position of being the art form through which all others come to be known.” (G. Lussu, “The Well-composed Word”, in Grafica, Year V, No. 8, December 1989).

Movable type printing, today also known as letterpress, was invented in Europe by Johannes Gutenberg around 1450. This new method of printing consisted of composing the text to be printed, arranging the single characters that comprised the words one next to the other, so as to form a whole page, which was then coated in 98

ink and pressed onto a piece of paper or parchment using a printing press. The innovation lay in the ability to reuse the characters. Until that time, the technique used had been xylography, in which printing blocks were carved from single pieces of wood, from which the same page could be printed over and over until the block broke – a frequent occurrence. Gutenberg, who had been trained as a goldsmith, was able to develop a particular alloy of antimony, lead and tin that made his pieces of type both resistant to the pressure of the printing press and ‘ductile’ for the casting process.

From a mould, with proper casting, typographical characters can be made in whatever sizes and qualities are desired. Gutenberg drew on existing tools and techniques and applied them to printing.

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TIPOGRAFIA CLASSICA, NOSTALGIA CANAGLIA RICERCHE E STUDI PER RICOSTRUIRE UN “ALFABETO DI CONOSCENZE” di Giulia Nicolai and Francesca Colonia “Nel corso dei secoli la cultura occidentale è passata da una tradizione tipicamente orale ad una sempre più grafico-figurativa, permettendo alla scrittura, in tutte le sue varie manifestazioni, di diventare lo strumento privilegiato per la trasmissione delle informazioni, luogo di accumulazione della conoscenza; storicamente questa peculiarità ha posto la tradizione grafica del sapere nella posizione di arte attraverso la quale tutte le altre vengono conosciute.”

(G.Lussu, La parola ben composta, in Grafica, anno V, n. 8, Dicembre, 1989).

La stampa a caratteri mobili, oggi nota anche come letterpress, in Europa fu invenzione di Johannes Gutenberg nel 1450 circa. Il nuovo metodo di stampa consisteva nel comporre il testo da stampare allineando uno accanto all’altro i singoli caratteri che componevano

le parole, a formare la pagina intera che veniva quindi cosparsa di inchiostro e poi pressata su un foglio di carta o di pergamena con torchi.

L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri: fino ad allora veniva usata la tecnica della xilografia, in cui le matrici di stampa venivano ricavate da un unico pezzo di legno, che permetteva di stampare sempre la stessa pagina finché non si rompeva la matrice, cosa che accadeva molto spesso. Gutenberg che lavorò come apprendista orafo riuscì ad elaborare una particolare lega di antimonio piombo e stagno che conferiva ai caratteri una buona resistenza alla pressione dei torchi e allo stesso tempo duttilità per il procedimento di fusione.

Dalla matrice si potevano ricavare con apposite colature i caratteri tipografici in quantità grandezze e qualità desiderate. Gutenberg sintetiz99

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Thus was the tradition of typography born in Germany, but it was not long before it came to Italy, when two of the master’s pupils arrived at the Monastery of St. Scholastica in Subiaco in 1465.

Later, in the more open and mercantile setting of Venice, numerous artisanal printing workshops developed, including that of Aldo Manuzio, who invented not only the format we now know as the pocket book, but also a more legible typeface.

Typographic printing was the vehicle that made a true cultural revolution possible, encouraging literacy and the spread of knowledge.

The artisanal typographical tradition, the knowhow of the “masters of typographic art”, was passed down through the generations until the advent of digital printing which, for obvious

it is a recent cultural phenomenon that has captivated a generation of “children of the digital age” who are tired of the ephemeral reasons of productivity, completely supplanted manual techniques.

The necessity of keeping costs down, the tight schedule of the “information factory”, and the right and proper need to ensure the availability of knowledge, have all but wiped out any traces of what is, for all intents and purposes, an art form.

Today, the urge to salvage traditions and knowledge that are in danger of being lost has resurfaced as a necessity, especially when these are traditions so intertwined with the history of humankind and of Italy.

Two years ago, a project was undertaken to salvage classic typographical machinery and tools, otherwise destined to be discarded as useless.

Parallel to this arduous salvaging operation, a journey of research and ongoing study is unfolding, in the attempt to reconstruct an “alphabet of knowledge” that will unite practical know-how with terminology, concepts that are hard to find in manuals. However, the machines themselves are naught but tools. The true revolution lies in the unique human relationship that can grow between long-time typesetters and young people. The latter have passion for a tradition that they wish to embrace and transform into something new. They want to prevent its potential for 100

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zò strumenti e tecniche che già esistevano applicandole alla stampa.

La tradizione tipografica nasce quindi in Germania ma arriva presto in Italia con due allievi del maestro che giunsero nel Monastero di Santa Scolastica a Subiaco nel 1465. A Venezia, poi, in un contesto più libero e mercantile si svilupparono numerose e tra le più prestigiose botteghe artigiane, come quella di Aldo Manuzio, inventore del formato tascabile del libro e di un carattere più leggibile. La stampa tipografica fu il veicolo essenziale di una vera rivoluzione culturale, favorendo il processo di alfabetizzazione e la circolazione del sapere.

La tradizione tipografica artigianale, quel saper fare dei “maestri d’arte tipografica”, si è traman-

un recente fenomeno culturale che coinvolge una generazione di “figli del digitale” stanchi dell’impalpabilità data fino all’avvento del digitale, che per ovvi motivi di produttività ha totalmente soppiantato le tecniche manuali.

L’esigenza di contenere i costi e i tempi della “fabbrica dell’informazione” e della doverosa disponibilità della cultura ha lasciato dietro di sé poche tracce di quella che è a tutti gli effetti un’arte.

Oggi riemerge come una necessità l’esigenza di recuperare tradizioni e saperi che rischiano di andare perduti, specialmente se così legati alla storia dell’umanità e del nostro territorio.

Da due anni circa è iniziata un’attività di recupero di macchinari e strumenti della tipografia classica, altrimenti destinati ad essere buttati via perché ormai inutili, e accanto a questo faticoso recupero materiale, si snoda una ricerca e uno studio continuo, nel tentativo di ricostruire anche un “alfabeto di conoscenze” che riunisca saperi pratici e terminologie, nozioni che difficilmente si trovano sui manuali. Ma le macchine in sé non sono che strumenti, la vera rivoluzione è nel rapporto umano, quello particolarissimo che può nascere tra tipografi storici e giovani e le loro passioni per una tradizione che desiderano accogliere e trasformare in qualcosa di nuovo, perché le sue potenzialità espressive - tutt’oggi validissime - non vadano perdute, insieme alla 101

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expression – still powerful today – from being lost. Then there is the beauty of something made by hand, using an artisanal technique in which “to create is to think”.

Learning to arrange moveable type, to measure in points and lines using a type gauge, locking-up the form “with the greatest fastidiousness” so as to mount it on a turn-of-the-century “Boston grip”, milling the ink manually with a roller and knowing how to recognize by the sound it makes whether you’re doing it properly; choosing the paper by feel, placing the sheets one at a time and checking the pressure... the result, thanks to the care, time and dedication needed to make it, is something precious. It is not simply the charm of having something that feels old-fashioned, “vintage” in some trendy way. It means holding in your hands a melding of past and present. All of history, every story written and experienced through letters, – whether made using wood or handpressed, by printing press or platen press –all come alive thanks to a more human form of com-

munication. Here, the process’ end recipients are involved in every step, from the choice of font to the graphic design. They request these objects and use them: things like business cards, invitations, posters for events. Direct printing makes it possible to choose every detail (types of font, paper, and ink), and to follow the process from idea to finished product.

It is a recent cultural phenomenon that has captivated a generation of “children of the digital age” who are tired of the ephemeral, of a virtual journey that plunders the imagination, robbing it of that necessary physical time, the internal time that opens up space for creativity.

Movable type printing, known today as letterpress, has taken on a new identity. The craft and art of typography, reinterpreted, have breathed new life into a visual form of communication of great worth.

today, the urge to salvage traditions and knowledge that are in danger of being lost has resurfaced as a necessity

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bellezza di qualcosa fatto a mano, con una tec- font alla progettazione grafica coinvolge anche i destinatari, chi li richiede e chi poi ne fruisce, nica artigianale in cui “il fare è pensare”.

Imparare a comporre con i caratteri mobi- come ad esempio per un biglietto da visita, una li, imparare a misurare in punti e righe con il partecipazione, la locandina di un evento. La stampa diretta permette di scegtipometro, chiudere la forma “con liere ogni dettaglio (il tipo di carla massima pignoleria” per monattere, la carta, l’inchiostro) e di tarla su una maniglia Boston di oggi riemerge inizio secolo, macinare l’inchiseguire il processo di realizzazicome una necessità ostro manualmente con il rullo e one dall’idea al prodotto finito. l’esigenza di saper riconoscere dal suono se Un recente fenomeno culturale recuperare tradizioni si sta facendo bene; scegliere la che coinvolge una generazione di e saperi che carta al tatto, mettere i fogli uno “figli del digitale” stanchi dell’imrischiano di andar ad uno e verificare la pressione… palpabilità e di un percorso virtuperduti il risultato è qualcosa di prezioale che depreda l’immaginazione, so per la cura, il tempo e la dedsottraendole il tempo fisico che izione, non è solo fascino di qualci vuole, quel tempo interno che cosa dal sapore antico, vintage come una moda, apre gli spazi della creatività. è avere tra le mani la fusione di passato e pre- La stampa a caratteri mobili assume una nuosente. Tutta la storia e le storie scritte e vissute va identità, oggi conosciuta come letterpress: attraverso caratteri in legno e tirabozze, torchi il mestiere e l’arte tipografica, reinterpretati, e pedaline, rivivono per una comunicazione più diventano strumento di una rinnovata comuniumana, in cui ogni passaggio dalla scelta delle cazione visiva di pregio.

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LUCIANO FLORIDI, THE FATHER OF THE INFOSPHERE BUILDING AN ETHICAL ENVIRONMENT TO SHARE WITH ARTIFICIAL INTELLIGENCES

by Barbara Carfagna

When Luciano Floridi left Rome for Oxford more than twenty-five years ago with a scholarship to study logical philosophy, his father, a physician, had little faith in the possibilities of a career as a philosopher. “Well,” he told him, “at least when you come back you’ll be able to give English lessons and do transla-

tions.” Today, even Google, the colossus of Mountain View, is forced to deal with him. Luciano Floridi is one of the founding fathers of the philosophy of information, a point of reference for understanding a society built on Information Communication Technology. Today’s tech companies are modern continents

LUCIANO FLORIDI PADRE DELL’INFOSFERA COSTRUIRE UN AMBIENTE ETICO PER CONVIVERE CON LE INTELLIGENZE ARTIFICIALI

di Barbara Carfagna

Quando più di venticinque anni fa partì da Roma per Oxford con una borsa di studio in filosofia logica, il commento di suo padre, medico, poco fiducioso nelle possibilità di carriera di un filosofo fu: “almeno al rientro potrai dare ripetizioni di Inglese e fare traduzioni”. Oggi perfino Google, il colosso di Mountain View è costretto a confrontarsi con lui. È tra i padri fondatori 104

della filosofia dell’informazione. È il punto di riferimento per la comprensione della società dell’ Information Communication Technology. Ed è soprattutto con lui, filosofo etico, che le aziende Tech, moderni continenti senza confini geografici, devono fare i conti man mano che il loro già enorme potere avanza attraverso la creazione di nuove tecnologie, in politica,

with no geographical borders.

As, through the creation of new technologies, their already enormous power advances into the realms of politics, economy, finance and into the public and private spheres of each and every one of us, it is this ethical philosopher whom, first and foremost, they must come up against.

Luciano Floridi, Director of Research of the Oxford Internet Institute, is the philosopher of the fourth revolution – the revolution of information and information technology, which began in the last century with Alan Turing’s invention of the computer.

Floridi is proving to have a powerful influence as an appointed member of the EU’s Advisory Council to Google on the Right to be Forgotten, created to debate

economia, finanza, e nella sfera pubblica e privata di tutti noi.

Luciano Floridi, direttore della ricerca presso l’Internet Institute di Oxford, è il filosofo della quarta rivoluzione, quella dell’informatica e dell’informazione, cominciata nel secolo scorso con l’invenzione del computer da parte del matematico Alan Turing. Floridi si sta dimostrando un potente influencer come membro scelto dall’UE dell’Adivisory Council di Google sul diritto all’oblio, per discutere se e quando le persone possono cancellare alcune informazioni del proprio passato dai risultati del motore di ricerca che più di tutti disegna la nostra identità online.

L’intuizione (precoce) che ci saremmo trovati di fronte a qualcosa che l’uomo non aveva mai

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if and when people can remove certain information about their own pasts from the results of this search engine which, more than any other, determines our online identities.

Floridi had the (early) intuition that we would find ourselves facing something that humankind had never seen before. It happened when, still a young student in Italy, he saw his father playing chess on the computer against someone who was elsewhere in the world – and then, a short while later, choosing the computer to be his opponent.

The young philosopher understood that man had to deal with the fact that he was no longer the only entity in the world capable of intelligent action. Until that time (it was the end of the last century) the entirety of the

visto finora, Floridi l’ha avuta quando, ancora giovane studente in Italia, ha visto per la prima volta suo padre giocare a scacchi via computer con qualcuno che si trovava da un’altra parte del mondo. E, poco dopo, scegliere come avversario lo stesso computer. Il giovane filosofo ha capito che l’uomo doveva fare i conti con il fatto di non essere più il solo ad agire in maniera intelligente nel mondo. Fino a quel momento (era l’ultima parte del secolo scorso) la mole di dati conservati dalla preistoria al XX° secolo erano 12 exabytes.

Pochi anni dopo Luciano Floridi ha smesso di considerare il mondo come diviso in reale e virtuale e ha inventato il termine “Infosfera” per indicare l’ambiente in cui vivono, connessi ad Internet e tra loro, le persone, 105

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information that had been preserved from prehistory through the 20th century amounted to just 12 exabytes.

A few years later, Luciano Floridi had ceased seeing the world as being divided into the real and the virtual. He invented the term “Infosphere” as a name for the environment where the people, objects, animals and plants that are connected to the Internet and to each other all live.

The name he applied indiscriminately to all of these connected beings was “inforg”: organisms made up of information, of data, which could be atoms, bits, molecules, cells...

In order to obtain answers to our questions in the digital age, we must re-imagine every or-

ganized thing (countries, companies, societies) in terms of aggregations of information, as though we were standing on a beach and looking at grains of sand. These may be temporarily organized into a shape that represents a castle, but, once separated and reorganized with other grains, they can assume different forms.

Today, thanks to computers, a total of 8 zettabytes of data have been produced (1000 exabytes make 1 zettabyte): a tidal wave of information – sorted using algorithms – that is overwhelming us and changing our lives, our memories and our very concepts of time and space. In five years, those 8 zettabytes will have become 35.

By 2020, there will be 35 billion

today, even Google, the colossus of Mountain View, is forced to deal with him

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artificial intelligences, speaking to each other with no human intermediation, while the number of human intelligences will be only 7 billion.

In a world that is forcing us to rethink even the most basic aspects of our lives (privacy, education, intergenerational relationships in an environment – the Infosphere – where the digital natives are quicker and more adept than the adults), it becomes necessary to reconsider the foundations and the values of our new condition. We are increasingly hybrids of human beings and artificial intelligences.

Floridi insists that there is a need to lay plans now – and the hour is already late – for an ethical environment, recognizable

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by man as a space suited for him to share with artificial intelligences.

We are wrapping the world in a net, in which many of our basic actions, from driving a car to performing surgery, will soon be coordinated and performed by algorithms and robots. But who is designing the algorithms, deciding what data to release, what interfaces to use when ‘entering’ and ‘exiting’ the Internet?

To possess and manipulate someone’s information, his data, has become no different from manipulating the person himself, which is much more serious a thing than stealing his property. “I can sell my hair, but not my liver,” is the example that Floridi gives. When (as is the case now) we leave the design

gli oggetti, gli animali e le piante. Ha chiamato tutti questi esseri connessi, indistintamente, “inforg”: organismi fatti di informazioni, di dati, che possono essere atomi, bit, molecole, cellule...

Come se fossimo sulla spiaggia e guardassimo i granelli di sabbia organizzati temporaneamente in una forma che può rappresentare un castello, ma che, separati e riorganizzati insieme ad altri granelli, possono assumere forme differenti, per ottenere risposte alle nostre domande nell’era digitale dobbiamo ripensare in termini di aggregazione di informazioni tutto ciò che è organizzato (le nazioni, le aziende, le società).

Oggi, grazie al computer, i dati prodotti sono in tutto 8 zet107

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tabytes (1000 exabytes fanno 1 zettabyte): uno tsunami di informazioni -da ordinare tramite algoritmi- che ci sta sommergendo e che sta cambiando la nostra vita, la memoria, il concetto stesso di tempo e di spazio. Tra cinque anni gli zettabytes saranno 35.

Nel 2020 le intelligenze artificiali che parleranno tra loro senza l’intermediazione umana saranno 35 miliardi mentre le intelligenze umane saranno solo 7 miliardi.

In un mondo che ci costringe a ripensare anche gli aspetti più banali della nostra esistenza (privacy, educazione, rapporto tra generazioni in un ambiente, l’Infosfera, in cui i nativi digitali si muovono meglio e prima degli adulti) c’è bisogno di riconsi108

derare le fondamenta e i valori della nostra nuova condizione di esseri umani sempre più ibridizzati con le intelligenze artificiali.

Floridi insiste sulla necessità di progettare adesso, ed è già tardi, un ambiente etico in cui l’uomo possa riconoscere uno spazio adeguato nella convivenza con gli agenti artificiali.

Stiamo avvolgendo il mondo in una rete in cui molte delle azioni fondamentali, dalla guida delle macchine alle operazioni chirurgiche, presto verranno organizzate e compiute da algoritmi e robot. Ma chi sta progettando gli algoritmi, i dati rilasciati e le interfacce attraverso cui entrare e uscire da internet?

Possedere e manipolare le informazioni di qualcuno, i suoi

dati, significa ormai poter manipolare la persona stessa, che è molto più grave rispetto a rubare le sue proprietà. “Posso vendere i miei capelli, ma non il mio fegato” è l’esempio che fa Floridi.

Lasciare, come sta avvenendo, il disegno delle infrastrutture dell’Infosfera e delle interfacce che decidono se, quanto e come consentire l’ accesso alle nostre informazioni, in mano agli ingegneri e ai designer delle grandi aziende americane e cinesi, che agiscono con obiettivi di mercato, significa mettere i nostri dati, che sono le nostre cellule, molecole, il nostro cuore, la nostra memoria, il nostro cervello, insomma la nostra identità, nelle mani di queste aziende. Pur non essendo governi, inevitabilmente finiranno per orientare la

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of the infrastructures of the Infosphere – and of the interfaces that determine whether, to what extent and in what manner we allow access to our information – in the hands of the engineers and designers of big American and Chinese corporations, people who act with the objectives of the market in mind, then we are putting our data – which are our cells, molecules, hearts, memories, minds and our very identities – in those companies’ hands. Although they are not governments, they will inevitably end up steering policy (and, more importantly, our knowledge and our actions) based on market logic.

This negligence, if allowed to continue, could make us, and the tech companies themselves,

politica (e molto più: la nostra conoscenza e le nostre azioni) secondo logiche di mercato.

Questa negligenza proiettata nel futuro potrebbe rendere noi e le stesse aziende tech vulnerabili. Attaccabili volontariamente dai nemici tradizionali, ma anche, involontariamente, dalle intelligenze artificiali.

Google sembra aver capito la lezione. Ma qualcuno deve vigilare sulle strade che prende, anzi che crea, la cosiddetta “complessità” creata dalla nostra nuova condizione umana di naufraghi nell’oceano dei Big Data.

Per questo i filosofi etici, Floridi in testa, come fossero giardinieri dell’infosfera che si occupano delle radici delle piante affinché crescano dritte e rigogliose in 109

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vulnerable in the future – open to deliberate attack by traditional enemies, but also to unintentional attack by artificial intelligences.

Google seems to have learned this lesson. Still, someone must stand watch over these roads that are chosen – not created – monitoring the so-called complexity that has arisen from a new human condition that finds us foundering in the ocean of Big Data.

This is why ethical philosophers, Floridi at their head, are called to act as overseers and ethical guides for all those who have the power to redesign our foundations, walls and processes in this, the era of the zettabyte, the age of complexity. Like gardeners of the Infosphere, it

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is their task to mind the roots of the plants, ensuring they have a clean ecosystem in which to grow straight and flourish.

Floridi plays squash, not chess.

It is useful practice if you want to learn how to quickly return the straight and the lateral strokes bouncing back from numerous interlocutors, of either human or artificial intelligence.

In recognition of his research, which has been used to help design security for the spheres of cyber-warfare (NATO), politics, economics and finance, Floridi has received the Gauss Award from the Göttingen Academy of Sciences, the Barwise Prize from the American Philosophy Association, and the Covey Award from the International Association for Computing and Philosophy.

In addition, in 2013 he won the prestigious Weizenbaum Award for his “significant contribution to the field of information and computer ethics, though his research, service and vision”.

His books, of which the latest is an educational text, The Fourth Revolution – How the Infosphere is Reshaping Human Reality, has been translated into six languages, which include Chinese and Armenian – but not Italian. This should make Luciano Floridi’s father understand that the son’s studies at Oxford got him much more than just a job teaching English, or even translating from English to Italian. Today, he is the one whose work is being translated into (almost) all the languages of the world.

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oggi perfino Google, il colosso di Mountain View è costretto a confrontarsi con lui

un ecosistema pulito, vengono chiamati ad un lavoro di monitoraggio e orientamento etico al fianco di chiunque abbia il potere di ridisegnare fondamenta, mura e processi nell’era dello zettabyte, l’era della complessità.

Floridi non gioca a scacchi ma a squash; allenamento molto utile per imparare a ribattere velocemente a colpi lineari e obliqui che rimbalzano dai numerosi interlocutori, dotati di intelligenza umana o artificiale.

Per i suoi studi utilizzati anche nella progettazione della sicurezza in ambito cyberwar (NATO), politico, economico e finanziario a Floridi sono stati consegnati il premio Gauss dell’Accademia di Scienze di Göttingen, il Barwise Prize dell’American Philosophy

Association, e il Covey Award dell’International Association for Computing and Philosophy.

Ha vinto inoltre nel 2013 il prestigioso Weizenbaum Award “per il significativo contributo da lui fornito al campo dell’informazione e dell’etica informatica attraverso la sua ricerca e visione”.

I suoi libri, tra cui l’ultimo divulgativo The Fourth Revolution – How the infosphere is reshaping human reality sono tradotti in sei lingue, tra cui cinese e armeno, ma non in italiano. Cosa che fa capire a suo padre che no, i suoi studi a Oxford non gli sono serviti per fare l’insegnante, e nemmeno il traduttore dall’inglese all’italiano. È lui, oggi, ad essere tradotto in –quasi- tutte le lingue del mondo.

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MADNESS, SPEED AND RECKLESSNESS GIACOMO BALLA AND UMBERTO BOCCIONI, TWO DIFFERENT WAYS TO FORGET REALISM

by Flavio Caroli “Clear the mummies from the threshold of the future! Make way for the young, the violent, the dauntless!” The twentieth century opens with a formidable roar that makes the world tremble. In politics, in literature, in art, and even in the kitchen. It is the roar of Futurism, trumpeted by Filippo Tommaso Marinetti, that will conquer the world of culture: a break with the past, scorn for the old and the glorification of modern life. Riding this Ferrari of modernity into the field of the visual arts, on a raceway of speed, power, impetuosity and, yes, beauty are Giacomo Balla and Umberto Boccioni. It is they who, together with Carrà, Russolo and Severini, will sign the Manifesto of the Futurist paint-

ers. This is not the birth of some “aesthetic clique”, but rather the “violent desire that is boiling inside the veins of every artist and creator (...)”. It is a revolutionary movement that is to visibly upset the art world. It is the complete breaking of every mould, one country’s attempt to vindicate itself: Italy, where, still today, the “Grande Bellezza” (the Great Beauty”) remains the decadent beauty of the past, dragging itself slowly onward, wearily surrounding us. While united by the revolutionary drive of the period, Balla and Boccioni were, due in part to the spirit of the movement, far from similar – in art and in life. Their stories and their fates are very different. Balla was to live a long life (he died at the age

FOLLI, VELOCI E SREGOLATI GIACOMO BALLA E UMBERTO BOCCIONI, DUE MODI DI VERSI DI DIMENTICARE IL REALISMO di Flavio Caroli “Sia sgombra di mummie la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!”. Il Novecento si apre con un rombo impressionante che fa tremare il mondo. Nella politica, nella letteratura, nell’arte, persino nella cucina. È il rombo del futurismo lanciato da Filippo Tommaso Marinetti (il suo Manifesto è del 1909) che conquista tutto il mondo della cultura: la rottura con il passato, il disprezzo del vecchio e l’esaltazione della vita moderna. A bordo di questa Ferrari della modernità nel campo delle arti visive, in un circuito di velocità, potenza, irruenza e, sì, di bellezza, ci sono Giacomo Balla e Umberto Boccioni. Sono loro a firmare, insieme a Carrà, Russolo e Severini, il Manifesto dei pittori futuristi.

Non è la nascita di una “chiesuola estetica” ma il 112

“violento desiderio che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore” (…). È un movimento rivoluzionario che sconvolge evidentemente il panorama artistico. È la rottura assoluta di ogni schema, il tentativo di riscatto in un paese, l’Italia,in cui — lo constatiamo ancora oggi — la Grande Bellezza è la decadente bellezza del passato che lentamente si trascina e stancamente ci circonda. Uniti dalla spinta rivoluzionaria del periodo, Balla e Boccioni, anche per lo spirito del movimento, sono ben lontani dall’essere simili. Nell’arte e nella vita. La loro storia e il loro destino sono molto diversi: Balla vive a lungo (muore ottantasettenne, nel 1958), attuando due brusche e drammatiche “virate” artistiche nei corso della sua carriera. Boccioni, invece, è più giovane di undici

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of eighty-seven, in 1958) and his art was to “alter course”, sharply and dramatically, twice during the course of his career. Boccioni, on the other hand, was eleven years his teacher’s junior. Born in Reggio Calabria in 1882, he was to learn much from Balla upon his arrival in Rome in 1901. However, his genius was a brief blaze, over at the age of thirty-four, like a firefly that magically illumines the darkness of the night, but in the span of a short few days is extinguished and dies. They were united by a “madness” that neither bothered to hide (...). Madness, recklessness, and speed – to hurtle towards modernity and forget “Realism”. It is upon this that the work of Balla’s early years is developed, focusing in particular on the themes of humanitarian socialism. As Futurism begins to spread, capturing and diffusing the energy of the 20th century, the challenge for the exponents of visual art becomes how to represent speed. Boccioni embarks on a path that will explore the use of material and iteration, his objective that of protracting the material into

anni del suo maestro (da cui imparerà molto quando da Reggio Calabria, sua città natale nel 1882, approderà a Roma nel 1901), ma la sua genialità si consuma in un attimo, all’età di trentaquattro anni, come una lucciola che illumina magicamente il buio della notte, e in pochi giorni però si spegne e muore.

Li unisce la “follia” che nessuno dei due nasconde (…). Follia, sregolatezza. E velocità. Per correre verso la modernità. E dimenticare il “realismo”. Quello su cui si sviluppa anche la pittura di Balla dei suoi primi anni, incentrata in particolare sui temi del socialismo umanitario. Mentre il futurismo si diffonde, cogliendo e diffondendo tutta l’energia del XX secolo, per gli esponenti dell’arte visiva la sfida è la rappresentazione della velocità. Boccioni intraprende una via materico-iterativa, con l’obiettivo di protrarre la materia nello spazio. Nella Città che sale (1910) un cavallo rosso irrompe sulla scena scatenando un turbine di energia, che va a infrangersi sulla sinistra: l’artista concepisce una specie di onda di risacca, generata dall’altro cavallo che si riversa sul primo.

Un dipinto straordinario, dove tutto si muove, tutto corre, a eccezione dell’unico elemento statico dell’opera, l’edificio in costruzione sullo sfondo, con le sue impalcature. Per rappresentare il movimento, Balla ricorre a un espediente completamente diverso, cronofotografico: la ripetizione, in un’unica immagine, di soggetti in moto. Un’idea già attuata verso la 114

space. In The City Rises (1910), a red horse bursts onto the canvas, unleashing a whirlwind of energy that crashes against the left-hand side of the frame: the artist conceives it as a sort of rip current, generated by the first horse flowing back onto the second. It is an extraordinary painting, where everything is moving, speeding, except for the only static element in the work: the building that is under construction in the background, with its scaffolding. In order to show movement, Balla employs a completely different, chronophotographic device: the repetition, in a single image, of subjects in motion. This idea had been put into practice towards the end of the 19th century by the English photographer Muybridge who, by immortalizing in a series of frames the motion of various racehorses galloping, made an important contribution to the future birth of cinema, linked to the name of the Lumière brothers. Balla’s Girl Running on a Balcony (1912) is a sort of astonishing mosaic, in which the shades of the tiles darken as the figure moves from

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the light into the shadow. We are confronted with a great invention, which showcases the painter’s extraordinary gifts to the fullest. Once Futurism has reached its peak, the two artists will set off along two completely different roads. Boccioni lived the last part of his life in a manner that was brilliant, fiery and also dramatic. The Futurists supported the war, and he began to attend interventionist demonstrations. After the war began, he enlisted voluntarily in the unlikely Lombard Volunteer Cyclists and Automobile Drivers Battalion and began having to cope with hunger, cold and insomnia. He returned to Milan on temporary discharge. Ferruccio Busoni invited him to Villa Remigio in Pallanza, on Lake Maggiore. The great musician hated Futurism, but he nonetheless bought The City Rises, demonstrating a certain amount of openness towards the movement. Boccioni accepted the invitation and, in 1916, he painted Busoni’s portrait, as documented in a photograph of the time. In the image, the artist is so intent on his painting that

fine del XIX secolo dal fotografo inglese Muybridge, che, immortalando in una serie di inquadrature il galoppo di alcuni cavalli da corsa, offrì un importante contributo alla futura nascita del cinema, legata ai nome dei fratelli Lumière. La Bambina che corre sul balcone (1912) di Balla è una sorta di stupefacente mosaico, in cui la tonalità delle tessere, nel passaggio della figura dalla luce all’ombra, imbrunisce: siamo di fronte a una grande invenzione, che evidenzia appieno le straordinarie doti del pittore. Quando il futurismo ha ormai raggiunto l’apice, i due artisti intraprendono strade completamente diverse. Boccioni vive l’ultimo periodo della sua vita in maniera scintillante, bruciante e insieme drammatica. I futuristi appoggiano la guerra e lui comincia a partecipare a manifestazioni interventiste: dopo l’inizio del conflitto, si arruola volontario in un improbabile Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti, e inizia a fare i conti con la fame, il freddo, l’insonnia. Temporaneamente congedato, torna a Milano. Ferruccio Busoni lo fa invitare sul lago Maggiore, a villa San Remigio a Pallanza: il grande musicista odia il futurismo, però acquista proprio La città che sale, dimostrando una certa apertura nei confronti del movimento. Boccioni accetta l’invito e lo ritrae nel 1916, come documenta una fotografia dell’epoca, dove si vede l’artista intento a dipingere come se stesse tirando di fioretto, di spada o addirittura di 115

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sciabola. Qui matura la consapevolezza che né il futurismo né la guerra possono salvare il mondo, ma solo l’arte, con la sua bellezza e i suoi solidi valori.

La pensava allo stesso modo Cézanne, la cui pittura ispira proprio il Ritratto del maestro Busoni. Di fronte alla villa c’è l’isolino di San Giovanni, dove abita Vittoria Colonna di Sermoneta: tra la nobildonna e Boccioni scoppia la passione. I due si frequentano per qualche tempo — forse vivono una sola settimana di rapporto amoroso, anche in senso fisico. “Una parentesi luminosa”, la chiamerà Marella Caracciolo Chia nel raccogliere le ultime lettere di Boccioni. Poi l’artista viene richiamato alle armi. A Verona viene destinato alla cavalleria, lui che ha sempre amato i cavalli. Si racconta che abbia passato gli ultimissimi giorni di vita quasi sempre cavalcando, non tanto per studiare come attaccare gli austriaci, ma per esercitarsi al suo successivo incontro con l’amante, abile cavallerizza. Morirà cadendo proprio da cavallo: non sul campo della battaglia futurista, ma per amore. Balla, che aveva rotto con il suo passato re-

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alista per diventare futurista — arrivando perfino a firmarsi “FuturBalla” —, dopo una ventina d’anni torna alle origini: basta con il futurismo, l’arte deve essere realistica. Una nuova conversione, al contrario, che gli attirerà severi giudizi della critica di quegli anni. A questo periodo appartiene La fila per l’agnello (1942), raffigurante un gruppo di persone in attesa dell’abbacchio in una Roma bagnata dalla pioggia (sembra la città di Roma di Federico Fellini, vista dall’alto), avvolta in un’atmosfera sospesa, a tratti metafisica. Il dipinto è coevo ai Nottambuli di Hopper, anche se il contesto è ovviamente diverso: lì siamo a New York, dove si respira il futuro, qui nell’Italietta della guerra che odora di passato.

Balla si dimostra tuttavia un grande pittore anche in questa fase “decadente”. Negli ultimi anni, in cui tutti sembrano dimenticarsi di lui, si dipinge in Autodolore (1947), un ritratto della sofferenza e della sua solitudine: quest’uomo, a cui la storia dell’arte deve tanto, ora è solo. Il futuro è di altri “giovani”, altri “violenti”, altri “temerari”.

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he might be fencing with foil, épée or even sabre.

It is here that he comes to the knowledge that the world can be saved by neither Futurism nor war, but only by art, with its beauty and its solid values.

Cézanne, whose paintings were the inspiration for Boccioni’s Portrait of the Master Busoni, was of the same opinion. In front of the villa lay the little Island of San Giovanni, where Vittoria Colonna di Sermoneta lived. Between Boccioni and the noblewoman a passion kindled. Their love affair was brief – the time in which they were lovers in every sense lasted perhaps only one week. “A luminous parenthesis”, is what Marella Caracciolo Chia called it when she was gathering together Boccioni’s last letters.

Then the artist was called back to arms. In Verona, he who had always loved horses was assigned to the cavalry. It is said that he spent the very last days of his life almost constantly on horseback, not so much to study how to attack the Austrians, but to practice for his next encounter with his lover, who was a skilled horsewoman. It was in a fall from horseback that he died – not on his Futurist battlefield, but for love. After roughly twenty years,

Balla, who had made a clean break with his Realist past to become a Futurist – even to the point of signing his works “FuturBalla” – returned to his roots: enough of Futurism; art must be realistic.

This new conversion, an about-face, drew severe judgements from the critics of the time. Out of this period came Queuing for Lamb (1942), which shows a group of people in line to buy lamb in a rain-drenched Rome (it seems to be the Rome of Federico Fellini, seen from above), shrouded in a suspended, intermittently metaphysical atmosphere. The painting is contemporary with Hopper’s Nighthawks, even if the context is clearly different.

In the latter we are in New York, where the future is in the air, while in little wartime Italy the scent is that of the past. Balla nonetheless proves himself to be a great painter even in this “decadent” period.

During his final years, when everyone seemed to have forgotten him, he painted Autodolore (1947), a self-portrait of suffering and loneliness: this man, to whom the history of art owes such a debt, is now alone. The future belongs to another generation of the “young”, the “violent” and the “dauntless”.

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THE FLYING CITIES GIULIO PICCHI, AMIDST THE METEORS OF GLOBALIZATION

by Raffaella Bozzini Blues, yellows, reds, alongside multiple shades of sky-blue, orange, and purple make up the spectrum of colours in the universe of Giulio Picchi, the 33-year-old Florentine illustrator who brought the “Flying Cities” into being.

It is a universe that began to take shape during a childhood spent among the vineyards of Chianti. “I knew the colour of every insect, from the iridescent red of the ladybird to the beetle’s

opalescent green.” Joyful and carefree years, spent breathing in and absorbing all the beauty of the Tuscan countryside and its people, reflected today in his cohesive, flying worlds, which perfectly represent the Italian spirit.

Those were also years of suffering, however, thanks to his full-blown dyslexia, which made him feel different and, on some occasions, left out. “But it was then that I discovered my abili-

GIULIO PICCHI TRA LE METEORE DELLA GLOBALIZZAZIONE di Raffaella Bozzini

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Then came his salvation: the Città Pestalozzi experimental school, with its experimental laboratories. Here, traditional subjects were interspersed with artistic ones. There was a higher proportion of theatre, painting, drawing, music, and a constant connection with nature.

When he was older, he attended an arts high secondary school, where he refined his technique and got to know the great masters of fine art, especially his favourites, Chagall and Magritte.

He did not lose faith when he failed the admission exam for

matematica e di italiano a colorare fogli e fogli senza sosta”, ricorda Giulio.

LE CITTÀ VOLANTI

I blu, i gialli, i rossi, accostati agli azzurri di molte tonalità, agli arancioni, ai viola compongono l’universo cromatico di Giulio Picchi, il trentatreenne illustratore fiorentino che ha dato vita alle Città volanti.

Un universo che ha preso forma nella sua infanzia, passata correndo tra le vigne del Chianti: “Conoscevo il colore di ogni insetto, dal rosso cangiante delle coccinelle, fino al verde iridescente degli scarabei.” Anni di gioia e spensieratezza, passati

ty to combine all these colours that surrounded me. I spent the hours of maths and Italian class constantly filling page after page with colours,” Giulio recalls.

respirando e assorbendo tutta la bellezza del paesaggio toscano e della sua gente, oggi si riflettono nei suoi mondi coesi e volanti, che rappresentano perfettamente lo spirito italiano.

Sono anche anni di sofferenza però, a causa di una dislessia conclamata che l’ha fatto sentire diverso e in certe occasioni escluso dagli altri, “ma è proprio in questo momento che ho scoperto la mia capacità di combinare tutti quei colori che mi circondavano, passavo le ore di

Poi arrivò la sua salvezza: la scuola sperimentale Città Pestalozzi con i suoi laboratori sperimentali, dove si alternavano le materie classiche con quelle artistiche, con una maggiore presenza di teatro, pittura, disegno, musica, e un costante legame con la natura. Il liceo artistico, gli ha poi permesso di affinare le tecniche e di conoscere i grandi maestri dell’Arte, soprattutto i suoi preferiti Chagall e Magritte.

In seguito alla delusione della bocciatura all’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti, non si perde d’animo e decide di viaggiare per conoscere dal vivo tutte quelle opere d’arte che lo avevano incantato sui libri. Passa gli anni successivi a scopri-

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the Academy of Fine Arts. Instead, he decided to travel and see for himself all those works of art that had so enchanted him in books. He spent the following

I knew the colour of every insect, from the ladybird’s iridescent red to the beetle’s opalescent green years exploring Europe: Paris, Barcelona, Madrid, Amsterdam, Prague... it was from this wandering that the idea of the “Flying Cities” was born. “I loved to travel, but, the more I explored the world, the stronger grew my bond with my homeland. Every time I left, the desire to take a

re l’Europa: Parigi, Barcellona, Madrid, Amsterdam, Praga ed è proprio in quel girovagare che nasce l’idea delle Città volanti: “Amavo viaggiare, ma, più esploravo il mondo e più il legame con il mio territorio diventava forte e, ogni volta che partivo, il desiderio di portarmi dietro un pezzo della mia città si faceva irresistibile. Quando partii per il Canada, dove sarei rimasto per un anno, feci una scorta di tutte quelle cose a cui non potevo rinunciare, olio, peperoncino, parmigiano e con me c’era anche un pezzo di Firenze. Ancora oggi, ogni volta che parto per un viaggio, mi porto dietro quell‘italianità cosi unica, di cui non posso fare a meno”.

Sono così gli italiani: quando viaggiano, hanno sempre bisogno di riprodurre le condizioni ideali della loro terra e di ritrovare i loro sapori. Questo paese 120

piece of my city with me became irresistible. When I left for Canada, where I was to stay for a year, I prepared provisions of all those things I couldn’t give up – olive oil, red pepper, Parmigiano – so that with me I would have a piece of Florence. To this day, every time I leave on a trip, I take with me that “Italianness” – it is something so unique. I can’t do without it.

That’s how Italians are: when they travel, they always need to recreate the ideal conditions of their homeland, finding its flavours wherever they go. This nation of great travellers, apparently so fragmentary, is actually more loyal to its roots than any other.

Giulio’s father, Fabio Picchi, is the creator of Florence’s historic Il Cibreo restaurant, where

di grandi viaggiatori, apparentemente così disunito, è, in realtà, attaccato alle sue radici più di ogni altro.

Il padre, Fabio Picchi, è il creatore dello storico ristorante di Firenze Il Cibreo, dove unisce

“conoscevo il colore di ogni insetto, dal rosso cangiante delle coccinelle fino al verde iridescente degli scarabei” la grande cucina alla cultura, ospitando all‘interno Il Teatro del Sale, attivo spazio culturale fondato dall’attrice e regista Maria Cassi. È suo padre che gli ha trasmesso la passione per la sua città e per i viaggi: “Una Firenze che ti porti nel viaggio del-

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high-quality cuisine blends with culture. Indeed, the restaurant is home to the Teatro del Sale, a lively cultural venue founded by actress and director Maria Cassi. Giulio’s father passed on his passion for his city and for travel to his son: “A Florence that you take with you on the journey of your life, a Florence that gives you a powerful passport for all the journeys you will make.”

These ideas have been published monthly, for years, in the magazine put out by the Teatro del Sale: “With these works I have been able to give vent to my creativity, giving life to the magazine’s central illustration using a mixed technique that blends drawing by hand with computer

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graphics. This technique has a lightness that has allowed me to experiment with a new style made up of colour and form, where figures move freely on flat, solid backgrounds of colour, allowing the viewer to step into an atmosphere that is outside of time, surreal and intimate.”

The building blocks of Picchi’s dreams and visions are made up of simple shapes filled in with flat colours, like children’s toys.

It is a simplification of the language of dreams, without cultural mediation.

The free-form telling of his visions of urban memory is strongly characterized in his graphic artwork. Through drawing, he is able to use the spontaneity of

pen-drawn lines to define his spaces in black. These he then fills with digitally-obtained colours, recreating the wealth of those samples of materials and hues with which he filled his pockets as a child.

He uses simple shapes to compose a fantastical geography. The city becomes a narrative fabric that takes on abstract forms – becoming a heart, a fish. Through it runs a dynamic water course, winding around it like a serpent.

The city is the material that gives shape to visions, while water, its lifeblood, embodies emotions.

Little villages, houses pressed together and lined up as though holding hands, reflected in each other to create ‘a world above and

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a world beneath’, flying through light-blue skies, like the house tied to balloons in the famous Disney film Up. It is, in fact, Peter Schneider, director of Walt Disney Studios from 1985 to 1999 ( Roger Rabbit , The Little Mermaid, The Lion King) who, having seen Giulio’s work, has become a mentor to him in recent years.

In his illustrations, in addition to the cities, we find men hanging from balloons, flying across the universe. There are waiters on roller skates serving trays full of houses. A sweet, smiling pilot holds the Earth in her hand.

“Salta Claus” (a play on the name, since “salta” means “leap” in Italian) wears a mantel of stars and tosses light bulbs into the sky.

Lorem

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la tua vita, una Firenze che ti dà un passaporto potentissimo per tutti i viaggi che farai.”

Queste idee vengono pubblicate mensilmente, da anni, nella rivista del Teatro del Sale: “Con questi lavori ho potuto dare sfogo alla mia creatività, dando vita al manifesto centrale del giornale, con una tecnica mista, tra disegno a mano e grafica al computer. Questa tecnica ha una sua leggerezza che mi ha permesso di sperimentare uno stile nuovo fatto di forme e colori, dove le figure si liberano in sfondi piatti a tinta unita, lasciando la possibilità a chi osserva di introdursi in un’atmosfera atemporale, surreale e intima.”

La materia dei sogni e delle visioni di Picchi è fatta di forme

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semplici, che contengono i colori piani come nei giochi dei bambini, una semplificazione del linguaggio onirico, senza mediazioni culturali.

Il racconto libero delle sue visioni di memoria urbana, trova momenti di forte caratterizzazione nell’opera grafica: tramite il disegno, riesce a utilizzare la freschezza del tratto a penna che definisce in nero i campi, riempiti dai colori ottenuti in digitale e a riprodurre la ricchezza delle campionature di materia e di colore, con cui si riempiva le tasche da bambino.

Attraverso forme semplici, compone una geografia fantastica: la città diventa tessuto narrativo che assume forme ideali - un cuore, un pesce - attraversata

dal percorso vitale dell’acqua che la avvolge come un serpente.

La città è la materia che dà corpo alle visioni e l’acqua, la linfa vitale, alle emozioni. Piccoli borghi, case unite e allineate come se si tenessero per mano, si specchiano creando un ‘mondo di sopra e uno di sotto’, che volano nei cieli azzurri, come la casa con i palloncini di Up, famoso film della Disney; e proprio Peter Schneider, direttore degli Studios della Walt Disney dal 1985 al 1999 (Roger Rabbit, La Sirenetta, Il Re Leone), avendo avuto modo di conoscere i suoi lavori, gli ha fatto da mentore in questi anni recenti.

Nei suoi manifesti, oltre alle città, incontriamo anche uomini volanti appesi ai palloncini, che

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Giant bosoms dance skyward.

With irony and poetry, Picchi rejoices across his pages and amidst his colours, as he once did while running through the meadows of his childhood.

In this age of connections and hyperconn e c t i v i t y, P i c c h i ’s works offer an excellent portrayal of travellers in the 2000s: worlds moving through worlds to discover yet more worlds.

Beginning last year, Giulio’s “Flying Cities” have been travelling, too.

In September of 2014, he was invited to participate in an exhibition curated

by Michela Grunder at the

Kunst-und KulturZentrum Littau-Luzern gallery in Switzerland.

This year, author Giorgio Van Straten, the newly appointed Director of the Italian Cultural Institute of New York, called him to illustrate the four 2015 covers of Mondadori’s Nuovi Argomenti magazine.

Next May will see the beginning of a project by Simona Savito, hosted by the “Moreno Ferrari, Accade-Instudio” studio in Milan. The topic, a contemporary one, is that of the journey that cities will have to embark upon if they wish to reach the future.

They will have to have a strong connection with the past, but not fear all the new things that will be encountered and built along the way.

attraversano l’universo; camerieri sui pattini che servono vassoi pieni di case; un pilota gentile e sorridente che sorregge la terra con la mano; Salta Claus col manto pieno di stelle che lancia lampadine nel cielo e seni giganti che danzano verso il cielo.

Ironico, poetico, Picchi gioisce sui fogli e tra i colori come ai tempi in cui correva nei prati.

In un’epoca di collegamenti e iperconnettività, le opere di Picchi ben rappresentano i viaggiatori del 2000: mondi che attraversano il mondo alla scoperta di altri mondi.

Dallo scorso anno, anche le sue Città volanti hanno cominciato a viaggiare: a settembre del 2014, è stato invitato da una galleria Svizzera, la Kunst-und

KulturZentrum Littau-Luzern, a partecipare a un mostra, a cura di Grunder Michela.

Quest’anno è stato chiamato dallo scrittore Giorgio Van Straten, neo nominato Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a New York, per disegnare le quattro copertine del 2015 della rivista Nuovi Argomenti, della Mondadori.

Il prossimo maggio, nello studio di Moreno Ferrari, Accade-Instudio a Milano, avrà inizio un progetto a cura di Simona Savito, sul tema attuale del viaggio che le città dovranno intraprendere per giungere nel futuro, con un legame fortissimo al passato, senza paura per tutto quello che di nuovo incontreremo e costruiremo.

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CAESAR MUST DIE A BLEND OF THEATRE, FICTION AND REALITY

by Alberto Crespi The press screening of Caesar Must Die at the 2012 Berlin Film Festival was astonishing. We Italians were listening to the original dialogue spoken in the various dialects of the actors, almost all real inmates of Rome’s Rebibbia prison (Neapolitan predominated, while Roman and Apulian made significant incursions). Across the screen ran the subtitles: verse after verse of Shakespeare’s poetry. Thus, while we were reading phrases written 126

in his splendid antique English (“But Brutus says he was ambitious, and Brutus is an honourable man...”), we were listening to the same words spoken in colourful local dialects. To hear “...and Brutus is an honourable man” spoken in Neapolitan by Antonio Frasca (who played Mark Anthony) gave that phrase, “honourable man”, a doubly strong meaning. It was enough to make one could think, “Yes, if Shakespeare were alive today, he would write Julius Caesar in Neapolitan or Sicilian.”

Because this is a play about the Mafia, or the Camorra (the mafia indigenous to Naples). It is a tragedy in which a man – a leader, or boss, if you will – is killed because he is too ambitious and, upon his death, his allies begin a blood feud and wipe out his killers. Forget about Gomorra!

The medley of Italian dialects and English was a success and it was a British President of the Jury,

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CESARE DEVE MORIRE TRA TEATRO, FINZIONE E REALTÀ di Alberto Crespi Fu spiazzante, l’anteprima stampa di Cesare deve morire al festival di Berlino 2012. Noi italiani ascoltavamo, ovviamente, i dialoghi originali nei vari dialetti parlati dagli attori, quasi tutti autentici detenuti del carcere romano di Rebibbia (prevalenza del napoletano, ma significative incursioni di romanesco e di pugliese). Sullo schermo scorrevano i sottotitoli che riproducevano verso dopo verso il testo di Shakespeare. Per cui, mentre leggevamo

frasi scritte nel suo splendido inglese antico (“But Brutus say she was ambitious / And Brutus is an honourable man…”) ascoltavamo le stesse parole nella viva espressività dei dialetti – e sentir pronunciare “…e Bruto è un uomo d’onore” in napoletano da Antonio Frasca (l’interprete di Marco Antonio) dava a quella locuzione, “uomo d’onore”, un senso doppiamente forte. Al punto di pensare: sì, se Shakespeare fosse vivo oggi scriverebbe il Giulio Cesare in napoletano o in siciliano. Perché questo è un testo sulla mafia, o sulla camorra: è una tragedia in cui un uomo – un capo: se volete, un boss – viene ucciso perché troppo ambizioso, e i suoi alleati vendicano la sua morte scatenando una faida e sterminando i suoi assassini. Altro che Gomorra!

La commistione fra dialetti italiani e inglese funzionò: un presidente di giuria britannico, Mike Leigh, consegnò a Paolo e Vittorio l’Orso d’oro. E l’altra immagine forte di quel Filmfest è quella di Vittorio 127

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I tal ian Rhap sody Machiavelli said that talent counts for 40 to 50 percent and the rest is luck. It’s true! Caesar Must Die happened by chance. We had projects that seemed important to us. However, they were too traditional in comparison with films we had already made, which is the risk you run when you get older: repetitiveness.

Then, all of a sudden, there came a suggestion from Daniela Bendoni, who had been asking us to go to Rebibbia to watch the plays put on by the inmates for some time. We imagined a run-of-themill amateur drama society, and we weren’t very enthusiastic. We didn’t know Fabio Cavalli, the director who worked with the prisoners. We went, and we were overwhelmed by what we found. We decided that we needed to recount this moving experience. They asked us to make a “docu-film”, a definition we found monstrous. We didn’t care how it happened: it would be a documentary, it would be theatre, it would be make-believe. We got to work and that was that. Eventually we realised that we were shooting with the same temerity, the same roguish tone we had brought to the shooting of our earliest films.”

(Paolo and Vittorio Taviani, in an interview with Fabrizio Tassi, MicroMega no. 6/2012)

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«Machiavelli diceva: il talento conta per il 40-50 per cento e per il resto è fortuna. È vero! Cesare deve morire è nato dal caso. Avevamo dei progetti che ci sembravano importanti. Però erano troppo tradizionali rispetto al cinema che avevamo già fatto, che è poi il rischio che corri quando invecchi: la ripetitività.

Improvvisamente, ecco la proposta di Daniela Bendoni che da tempo ci chiedeva di andare a Rebibbia a vedere gli spettacoli teatrali messi in scena dai carcerati. Pensavamo alla solita bella filodrammatica, non avevamo molta voglia.

Non conoscevamo Fabio Cavalli, il regista che lavora nel carcere. Siamo andati e siamo rimasti travolti da questa realtà.

Abbiamo deciso che bisognava raccontare questa emozione. Ci proponevano di fare un docu-film, definizione che troviamo mostruosa. A noi non importava il come: sarà un documentario, sarà teatro, sarà finzione. Ci siamo messi al lavoro e basta. E a un certo punto ci siamo accorti che stavamo girando con la stessa incoincoscienza, con lo stesso tono ribaldo, con cui avevamo girato i primi film».

(Paolo e Vittorio Taviani, intervista a FaFabrizio Tassi, MicroMega, n.6/2012)

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(il fratello maggiore) che “scippa” l’Orso a Paolo, lo alza e saltella come un bimbo. In sede critica tutti abbiamo sottolineato, di Cesare deve morire, l’importanza di ciò che sta davanti alla macchina da presa: le prove degli attori-detenuti, il lavoro che con loro svolge da anni Fabio Cavalli, l’importanza del teatro in carcere come strumento di riscatto e di speranza. Si è persa di vista la natura profonda del film: il portare Shakespeare nella concretezza

del vissuto, usare la forza espressiva della poesia per analizzare la violenza che ci circonda. Chi ha accusato Cesare deve morire di essere poco “documentario”, di non raccontare la vera vita dei reclusi, l’ha totalmente frainteso. I detenuti non sono se stessi: sono attori che digeriscono Shakespeare e lo rigurgitano per comprendere (e far comprendere a noi) le logiche feroci di ciò che, in carcere, li ha portati.

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Mike Leigh, who awarded Paolo and Vittorio the Golden Bear. The other great image from that Film Festival is Vittorio (the older brother) ‘stealing’ the Bear from Paolo, lifting it into the air and jumping up and down like a little boy. In terms of criticism, we all pointed out the importance of what is going on in front of the camera in Caesar Must Die: the actor-inmates rehearsing with Fabio Cavalli, who has been doing this with them for years – the importance of theatre as an instrument of redemption and hope in prison. Some lost sight of this

film’s profound nature. It brought Shakespeare into the reality of experience, and used the expressive force of poetry to analyse the violence that surrounds us. Those who accused Caesar Must Die of having little of the “documentary” about it, of not telling the real life of the prisoners, misunderstood it entirely. The inmates are not being themselves. They are actors, swallowing Shakespeare and spitting it back out so as to understand (and make us understand) the vicious logic that got them into prison.

Ital ian Rhap sody Salvatore Striano, who played Brutus, was not a prisoner while the film was being shot. He completed his prison term in 2006 and has since acted in numerous films, including Matteo Garrone’s Gomorra. In Caesar Must Die, he pretends to be an inmate like the others, so he is actually acting twice over. To be there, in prison, as a free man was more difficult for him than performing Shakespeare.

The last Italian film to win the Golden Bear prior to 2012 was Marco Ferreri’s La casa del sorriso, in 1991. 21 years of famine.

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Salvatore Striano, l’interprete di Bruto, non era detenuto mentre girava il film: ha finito la sua pena nel 2006 e da allora ha recitato in numerosi film, incluso Gomorra di Matteo Garrone. In Cesare deve morire finge di essere recluso come gli altri, quindi recita due volte: e stare in carcere essendo uomo libero era più difficile che declamare Shakespeare…

L’ultimo film italiano a vincere l’Orso di Berlino era stato La casa del sorriso di Marco Ferreri, nel 1991: 21 anni di digiuno.

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PAS S IO N E The Tuscan passion for fine food has survived periods of praise and prohibition in Tuscany since the 1300 s. The upper middle class put its pleasures on display, throwing sumptuous banquets on the city streets in a blending of culinary experimentation, rules of good manners and elegance of board. The only element not curbed by rules and always in a place of honour: the wine. The reason for this exception? It was an antidote for epidemics, of course!

Passione e peccato sono in eterno conflitto, la passione per la buona tavola è sopravvissuta fra esaltazioni e interdizioni, risorgendo nella Toscana del ‘300. L’alta borghesia offriva piaceri in bella vista allestendo sfarzosi banchetti nelle strade delle città, dove si coniugavano sperimentazione gastronomica, regole delle buone maniere e eleganza della tavola. L’unico non soggetto a regole, sempre grande protagonista: il Vino. Il suo lasciapassare? Antidoto contro le epidemie!

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THE EDUCATIONAL REVOLUTION When educator and physician Maria Montessori showed the world her perspective on the mysteries of early childhood development, she revolutionized concepts and relationships, laying a milestone in the history of Western education.

by Cecilia Mazzeo “The child is the father of humanity and of civilization; he is our teacher, even where his own education, which begins at birth, is concerned. The roots of every plant seek out, from among the many substances which the soil contains, only those which they need.”

By putting the child, with his extremely personal inner world and sacrosanct individuality, at the centre of her method, Maria Montessori broke with tradition.

Hers was a surprising innovation in the panorama of Italian and international education in the early 1900s. Close to the heart of

LA RIVOLUZIONE DELL’EDUCAZIONE Pedagogista e medico ha posato una pietra miliare nella storia della pedagogia occidentale rivoluzionando concetti e rapporti e svelando la sua personale visione sui segreti dell’infanzia. di Cecilia Mazzeo “Il bambino è padre dell’umanità e della civilizzazione, è il nostro maestro, anche nei riguardi della sua educazione che comincia dalla nascita. Le radici di ogni pianta cercano, tra le molte sostanze che il suolo contiene, solo quelle di cui la pianta ha bisogno.”

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Mettendo al centro il bambino col suo personalissimo mondo interiore e la sua individualità sacra, Maria Montessori, si è posta come un elemento di rottura e di sorprendente innovazione nel panorama pedagogico italiano e mondiale nei primi anni del Novecento. La sua vi-

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sione ha a cuore quel giardino intimo e speciale che occupa la singolarità di ciascuno. La scuola tradizionale ha sempre chiesto profitto e omologazione, staticità e asservimento all’autorità, la Montessori, invece, si muove sgretolando questo sistema e proponendo una scuola che, nei primi anni di vita (3-6) , venga chiamata “casa”, Casa dei bambini. La parola casa ha già di per sé qualcosa di conciliante e dovrebbe rimandare a quel luogo che sa di nido, di famiglia, di protezione e benessere, di comodità e libertà di movimento. La Casa dei bambini viene così edificata creando un ambiente secondo parametri scientifici. L’ambiente così strutturato, a misura di bambino, diventa quella cornice 136

ideale in cui poter scarabocchiare in libertà la propria infanzia.

La cura ai dettagli e ai materiali didattici proposti favoriscono un clima di serenità e di uso personale del tempo e del movimento.

I tavoli, le seggioline, gli stimoli ambientali suggeriscono anche la libertà di poter scegliere un “accomodarsi”, la posizione più favorevole per compiere un’attività con piacere. Il benessere fisico rende tutto più fluido, amplifica la concentrazione e l’apprendimento si carica di bellezza. In quest’atmosfera armonica s’impara a rispettare la libertà dell’altro -i suoi spazi e i suoi tempi, s’imparano a vivere momenti di silenzio e a condividere in modo non violento. Colpisce con dolcezza il fatto che, ad esempio, i

bambini possano sdraiarsi per terra oppure suonare il pianoforte, ma in questa libertà non bisogna calpestare la libertà dell’altro, quindi il pianoforte verrà suonato, non strimpellato solo per far rumore e lo stare a terra non dovrà impedire il lecito movimento o passaggio degli altri.

Il rispetto di questo metodo nasce dal vedere i bambini, non come fantocci, ma come vere e proprie persone che devono imparare a stare al mondo attraverso un’educazione all’indipendenza. La Casa dei bambini, infatti, simula molte attività pratiche della realtà domestica e della quotidianità: apparecchiare la tavola, mangiare senza farsi imboccare, vestirsi e svestirsi.

Guidarli dunque senza soffocare

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A “child-centric” method that has produced geniuses such as Bill Gates and Gabriel Garcia Marquez. An educational approach that places the art of being above knowledge

her vision lies that intimate and special garden where each of us keeps his uniqueness. Traditional schools have always sought profit and homogenisation, invariability and subservience to authority. Montessori demolished that system, proposing a school that, in the early childhood years (3-6 years of age), is called a “house” – the Children’s House. There is something soothing about the word “house”.

It calls to mind a place that feels like a nest, reminds us of family, protection and well-being, comfort and freedom of movement.

The Children’s House was designed to create an environment based on scientific parameters.

An environment constructed thus, to be child-friendly, becomes the ideal setting for children to ‘sketch out’ the shape of

their childhood as they see fit.

Attention to detail and carefully selected teaching materials encourage a climate of serenity conducive to the personal use of time and movement. The tables, chairs and environmental stimuli all encourage freedom of choice, allowing children to determine the best position to “get comfortable”, so as to perform an activity with pleasure. Physical comfort makes everything more fluid, boosts concentration, and learning becomes a beautiful thing. In this harmonious atmosphere, children learn to respect each other’s freedom, personal space and rhythms, how to enjoy moments of silence, and how to share without violence. There is a tenderness in the thought of these children who, for instance, are free to lie on the floor or play

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the piano, but only insofar as this freedom does not impinge upon the freedom of another.

Thus, the piano may be played, but not simply pounded upon to make noise, and lying on the floor should not impede the free movement or passage of others.

The respect that is a part of this method comes from seeing children not as marionettes, but as actual people, who need to learn how get by in the world through education that teaches independence. To this end, the Children’s House simulates many practical activities of domestic and daily life: laying the table, eating without being fed, dressing and undressing oneself. In other words, children are guided, but their own extraordinary capabilities are not suffocated. The adult must be a sort

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of guardian angel, watching over the children and blowing gently, but not intrusively, on the sparks within their souls. “The greatest sign of success for a teacher is to be able to say, ‘The children are now working as if I did not exist.’”

The adult establishes, in advance, an environment whose conditions are ideal for stimulating children and bringing out their talents. This likewise occurs in elementary school, which is a well-balanced continuation from early childhood. The concept of grade levels is abolished, replaced by age groups (3-6, 6-12, 12-15) with communicating environments. In Montessori’s system, there is no cold, hard logic of marks, no “I judge and classify you”. Children are no longer pigeon-holed by scores,

which can often be limiting and misleading, black-and-white, capable of crushing a child’s self-esteem and desire to continue learning. Instead, Montessori shines a light on each child’s talent, on that special garden mentioned above. Seeking a metaphor, we might say that this methodology has something in common with homoeopathy, insofar as like speaks to like and “takes care” of it, or, better yet, sustains it. Montessori maintains that children are born with self-discipline, thoughtfulness, and a love of order. It is only in the right environment, with an unobtrusive teacher and the right materials, that they can remain thus. A chaotic, discordant environment, traversed by tensions, conflicts, impositions and oppositions, will instead

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un metodo “bambinocentrico” che ha partorito geni quali Bill Gates e Garcia Marquez. La pedagogia dell’essere prima di sapere

le loro straordinarie capacità.

L’adulto deve essere un po’ come un angelo custode che veglia e che soffia, senza invadere, sulle scintille del loro animo. “Il più grande segno di successo per un insegnante è poter dire: i bambini stanno lavorando come se io non esistessi.”

L’adulto predetermina un ambiente con quelle condizioni ideali in grado di stimolare e far emergere il meglio dei loro talenti. Questo accadrà anche nella scuola elementare che ne rappresenta un’equilibrata continuazione. Sparisce il concetto di classi, sostituito dalle fasce d’età (3/6 6/12 12/15) i cui ambienti sono comunicanti. Con la Montessori si esce dalla logica fredda e metallica del voto, del “io ti

giudico e ti classifico”. Il bambino non viene più incasellato in un numero che spesso è limitante e fuorviante, privo di sfumature e che può mortificare la sua autostima e il suo desiderio di continuare ad apprendere, ma si cerca di puntare il riflettore sul talento, sul quel giardino speciale accennato all’inizio. Volendo usare una metafora si potrebbe dire che questa metodologia abbia una riflessatura quasi omeopatica in cui il simile chiama il simile e lo “cura” o, meglio, lo mantiene.

Il bambino, afferma, nasce disciplinato, serio e amante dell’ordine e solo nel giusto ambiente, con un educatore discreto e con i giusti materiali potrà rimanere tale. Un ambiente caotico, disarmonico, attraversato da tensioni, 139

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I tal ian Rhap sody

conflitti, imposizioni e opposizioni produrrà, invece, nell’animo un atteggiamento speculare. La sua pedagogia propone dunque uno specchio che riflette la bellezza e la ricchezza di risorse del bambino. Il bambino va già bene così com’è, l’adulto deve solo ricordarglielo col suo agire “riflettente” e scientifico, deve condurlo nel suo mondo e nel mondo come un cicerone che mostra opere d’arte e capolavori nascosti. Prima di questa visione, da sempre e ancora oggi, il bambino, invece, doveva attivarsi per raggiungere dei modelli e delle competenze standard, spesso doveva e deve snaturarsi per conformarsi a un ideale, per ottenere competenze che lo classifichino come “idoneo”. C’è proprio un capovolgimento dello sguardo verso il 140

Google, Amazon, Wikipedia and the Washington Post are all Maria’s children, in a way. The Montessori Connection. The many great Internet gurus and sharp minds of Silicon Valley who came out of Montessori’s method remain in her debt. Innate curiosity, freedom and play are the ingredients that have influenced the course of a new evolution. Philosophies are open to interpretation, but results are not.

Google, Amazon, Wikipedia e Washington Post sono un po’ figli di Maria.

Montessori Connection.

I grandi guru di Internet e molti cervelli di Silicon Valley emersi dal metodo Montessori le sono debitori. Curiosità innata, libertà e gioco sono gli ingredienti che hanno influenzato il corso di una nuova evoluzione. Le filosofie sono interpretabili ma i risultati no.

mondo educativo. Uno sguardo che si fa umano e che passeggia sul bordo per il suo bene.

Anche il rapporto con la natura e col mondo degli animali fa parte di questo approccio che tenta di mantenere vivo un istinto chiaro dei bambini: prendersi cura nel qui ed ora di ciò che ha bisogno di loro. Annaffiare una pianta perché altrimenti si secca, dare attenzione agli animali perché “il suo amore va collegando l’atto di oggi col rinascere del giorno seguente.”

Ambiente, attività sensoriali, movimento, spontaneità, libertà e rispetto della libertà altrui, indipendenza, armonia e ordine interiore, fiducia e valorizzazione, precisione e rapporto con la natura sono gli elementi cardine della visione montes-

soriana recentemente elogiata dalla prestigiosa rivista Science e considerata come un modello antropologico antibullismo e antiviolenza.

Sono circa 22mila le scuole montessoriane attive in tutto il mondo. Scuole che devono alla loro pioniera una formazione dell’essere, prima che culturale. Perché per imparare davvero occorre prima essere, essere persone il cui seme è sbocciato nel fiore e nel frutto predestinato.

I bambini sono essere umani a cui si deve rispetto, superiori a noi a motivo della loro innocenza e delle maggiori possibilità del loro futuro. Sono insieme una speranza e una promessa per l’umanità. Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.

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produce in the soul an attitude that reflects those qualities.

Montessori’s educational philosophy proposes that we hold up a mirror to a child’s beauty and wealth of resources. The child is already fine the way he is. The adult must simply remind him of this by acting as a “mirror”, scientifically guiding the child through his or her own inner world and the world outside, just as a tour guide might show artwork and hidden masterpieces. Until her vision, children had always had to work to fit into standard moulds and attain standard skills. They often had to distort themselves to conform to an ideal, to obtain skills that classified them as “suitable” – and the same is true today. Montessori’s method turns the viewpoint of the educational

world upside down, humanizing it and skirting its edges for its own good.

Our relationship with nature and the animal world is also part of her approach, which seeks to keep alive children’s clear instinct to take care, here and now, of things that need their help: to water a plant because otherwise it will wither, to care for animals, because a child’s “love connects the action of today with the rebirth that occurs tomorrow.”

Environment, sensory activities, movement, spontaneity, freedom and respect for others’ freedom, independence, inner order and harmony, trust and a sense of worth, exactitude, and a relationship with nature: these are the cornerstones of Montessori’s vision, which was recently

praised in the prestigious journal Science. An anthropological model, it is viewed as both anti-bullying and anti-violence.

There are approximately twenty-two thousand Montessori schools operating around the world. They must each pioneer a way of shaping the self, even before imparting knowledge. Because to learn, it is truly necessary first to be – to be a person whose seed has blossomed into the flower and fruit it is meant to be.

Children are human beings to whom respect is due, superior to us by reason of their innocence and of the greater possibilities of their future. The child is both a hope and a promise for mankind. One test of the correctness of educational procedure is the happiness of the child.

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XFOOD THE PLACE WHERE NO SINGLE THING IS LIKE ANY OTHER

by Francesca Presto The French sociologist and modern philosopher Jean Baudrillard believed in a sort of theory of unconscious structures that govern the social production of differences. It is on difference that the cultural project Xfood is based. The first “social” restaurant in Southern Italy, it employs over 32 young people with “different” disabilities. The dominant element (to return to the modern philosophy of signs) is a collection of various symbolic objects representing a restaurant that is not focussed on the consumption of goods, but rather on the benefit and usefulness of giving these young people the room to discover their identities and dignity through work. The project is the fruit of a collaboration between the ExFadda Cultural Centre and the Nuvola consortium of social cooperatives. Together they sponsored a year-long training and job-coaching programme whose focus was the integration of differently-abled people from throughout the province of Brindisi into the workplace. In addition to the operation of a farm-to-table restaurant, the project also provided for the creation and upkeep of a cooperative vegetable garden, where, as a matter of fact, many of the raw materials used in the Xfood restaurant are grown. The site of the Xfood project has something special about it. Furnished with restored antiques, there is not a single chair, table, utensil, plate or glass there that is like any other. Each one fits into the symbolism of the object-sign, telling the tale of a life lived, of the personal experience of a person who wanted to donate one of his belongings, freeing himself from the material attachment to possessions. At the same time, the young people of Xfood have been able to write a piece of their own futures, to bring a change to their social lives through work and through the recovery or discovery of a new independence. The lights are the kind used for town festivals. They reflect 142

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XFOOD IL LUOGO IN CUI NESSUNA COSA È UGUALE ALL’ALTRA

di Francesca Presto

Jean Baudrillard, sociologo francese e filosofo moderno, sosteneva una sorta di teoria delle strutture inconsce che regolano la produzione sociale di differenze, ed è proprio sulla differenza che si poggia il progetto culturale di Xfood, primo ristorante sociale del sud Italia, nel quale sono stati impiegati oltre 32 ragazzi con “diverse” disabilità. A farne da padrone, sempre per citare la filosofia moderna dei segni, sono i vari oggetti simbolici che rappresentano questo ristorante, non incentrato sul consumo di beni, ma sull’utilità e sulla funzionalità del dare spazio a questi giovani, che hanno trovato una loro identità e dignità proprio attraverso il lavoro. Il progetto nasce grazie alla collaborazione tra il Centro culturale ExFadda ed il Consorzio

i ragazzi di Xfood hanno potuto scrivere un pezzo del loro futuro, hanno dato una svolta alla loro vita sociale attraverso il lavoro e attraverso il recupero o la nascita di una nuova autonomia di cooperative sociali Nuvola che hanno promosso un percorso di formazione e di job coaching della durata di un anno, finalizzato all’inserimento lavorativo di persone diversamente abili provenienti da tutto il territorio della provincia di Brindisi. Oltre all’attività di ristorazione a km zero è stata prevista la realizzazione e manutenzione di un orto sinergico, nel quale sono state coltivate appunto molte delle materie prime utilizzate nella ristorazione di Xfood. Il luogo dove nasce Xfood ha un qualcosa di speciale, raccoglie al suo interno un arredamento basato sul restauro di vari pezzi di antiquariato, dove nessuna sedia, tavolo, posata, piatto o bicchiere è uguale all’altro e dove ognuno può entrare nel simbolismo dell’oggetto-segno che racconta un 143

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the harmony and the joy of this new place, where disability is linked to the ability of those who accompany these young people as they serve at table, create new recipes in the kitchen and grow seasonal plants and vegetables. Over the months

the young people of Xfood have been able to write a piece of their own futures, to bring a change to their social lives through work and through the recovery or discovery of a new independence of preparation and work there are those who, like Ylenia and Cosimo, have learned to make a mini-parmigiana or ciciri e tria, a pasta dish typical of Salento. Out in the dining area, Gabriele and Giuseppe – who were hired after the the cooperative responsible for managing the restaurant had concluded its regional project – have become increasingly competent and professional,

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helpful and accurate in their descriptions of the different dishes on the menu and the local and non-local wines. The greatest victory of this experience lies in hearing how the young people have wanted to export their new knowledge to their personal lives, sharing it with their families. Antonio’s mother tells us how now he helps her in the kitchen; there is a little Xfood in their home every day. The restaurant’s management has never paid any mind to the various physical, psychological or motor problems associated with the young people’s disabilities. It has never wanted to see their medical records, never wanted to instil a different modus operandi in their rapport with them. Instead they have changed the traditional conception of work, in which the schedules and rhythms of a hectic life create a reality in which things are viewed through two lenses – one truthful and one wilfully distorted.

Xfood’s slogan, “Something different”, must thus become a model to be exported and perpetuated with tenacity and conviction, so that we may see many others like them within ourselves.

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passato di vita, un’esperienza di un vissuto personale di qualcuno che ha voluto donare un proprio oggetto, slegandosi dall’attaccamento materiale delle cose. Allo stesso tempo i ragazzi di Xfood hanno potuto scrivere un pezzo del loro futuro, hanno dato una svolta alla loro vita sociale attraverso il lavoro e attraverso il recupero o la nascita di una nuova autonomia. Le luci sono quelle delle luminarie delle feste di paese che rispecchiano l’armonia e la gioia di una nuova struttura che lega la disabilità all’abilità di chi accompagna questi giovani nel servire i piatti in sala, nel creare nuove ricette in cucina e nel coltivare piante ed ortaggi di stagione. Nei vari mesi di preparazione e lavoro c’è chi, come Ylenia e Cosimo, ha imparato a costruire una baby parmigiana e un piatto di ciciri e tria, tipico del Salento; in sala, invece, Gabriele e Giuseppe, che sono stati assunti dopo la fine del progetto regionale dalla cooperativa che si occupa della gestione del ristorante, hanno acquisito competenze sempre più

professionali offrendo ai clienti la loro disponibilità e accuratezza nello spiegare i vari piatti del menù o i vini locali e non. La vittoria di questa esperienza sta soprattutto nel sentire che i ragazzi anche nella loro vita privata hanno voluto esportare le loro conoscenze in famiglia. La mamma di Antonio ci dice, infatti, che adesso lui la aiuta in cucina e nella loro casa c’è un po’ di Xfood tutti i giorni. Chi porta avanti la gestione del ristorante non ha mai badato alle varie problematiche fisiche, psichiche e motorie dei ragazzi disabili, non ha mai voluto conoscere le loro cartelle cliniche, perché non vi sia alcuna relazione con un modus operandi diverso, ma sono stati loro a cambiare la concezione classica di lavoro, dove tempi e ritmi di vita frenetica lasciano spazio ad una realtà nella quale vi siano una visione fedele ed una volutamente distorta delle cose. Pertanto il motto di Xfood, Qualcosa di diverso, deve essere un modello da esportare e portare avanti con tenacia e convinzione per vedere tanti come loro in noi.

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THE POETRY OF ALDA MERINI A “FAITH GREAT AND TRANSPARENT AS AN OAK”

by Paolo Di Paolo “In fact, when Maria Corti, with a snort, said to Paolo Volponi, ‘This one here has been seeing the Madonna for ages’, Paolo’s candid reply was, ‘That’s no mean feat, Maria’.” This exchange can be found in La pazza della porta accanto (The Crazy Lady Next Door). “This one here” is Alda Merini, the most popular Italian poetess of the second half of the 20th century. What were the roots of her precocious

LA POESIA DI ALDA MERINI UNA “FEDE GRANDE E TRASPARENTE COME QUERCIA” di Paolo Di Paolo «“Difatti quando Maria Corti disse a Paolo Volponi sbuffando: “Questa qui è da una vita che vede la Madonna”, il buon Paolo candidamente rispose: “E ti pare poco, Maria.”», si legge in La pazza della porta accanto. “Questa qui” è Alda Merini, la poetessa italiana più popolare del secondo Novecento.

Da dove nasce la sua precoce vocazione? Quello di Merini è un talento istintivo, assoluto, che lei stessa vive spesso come colpa e come condan-

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calling? Merini’s talent is instinctive, absolute. She herself often experiences it as a fault or a punishment. “Oh poetry, do not fall upon me. You are like a heavy mountain, you crush me like a gnat. Poetry, do not crush me. The insect is lively and sleepless, it frets inside the net. Poetry, I am so afraid. Do not pounce upon me, please.” Faced with a rush of poetic inspiration, one might feel tempted to reject it.

How much does writing detract from life? A generous and sincere expression of thanks, a glance that is less than indifferent – these might be enough for this poet, suspended between grace and imprisonment. (“Some write to tell me I have saved their lives / and some to say I have damned them. / No one ever invites me to a party / because as a poet I must keep far away / from the winners”, we read in Unpaid Ballads). “We are poets. Love us more when we are alive / Less when we are dead / It’s not like we’ll know”, writes Vivian Lamarque, with a smile. It is to her friend Vivian, “precious Fairy Godmother of our times”, that Alda addresses a letter introducing

na. “O poesia, non venirmi addosso sei come una montagna pesante, mi schiacci come un moscerino poesia, non schiacciarmi, l’insetto è alacre e insonne, scalpita dentro la rete poesia, ho tanta paura, non saltarmi addosso, ti prego”. Di fronte all’irruenza dell’ispirazione poetica, si può essere attraversati dalla tentazione di rifiutarla. Quanto toglie alla vita, scrivere? Anche un grazie generoso e sincero, uno sguardo meno indifferente, può bastare a questo poeta sospeso fra grazia e prigionia («C’è chi mi scrive che gli ho salvato la vita / e chi mi dice che io l’ho dannato. / Nessuno mi invita mai a una festa / perché come poeta debbo stare lontana / dai vincitori», si legge nelle Ballate non pagate).

«Siamo poeti. / Vogliateci bene da vivi di più / Da morti di meno / Che tanto non lo sapremo», sorride Vivian Lamarque. E proprio a Vivian, «preziosa fatina dei nostri giorni», si rivolge l’amica Alda in una delle sue Lettere a un racconto: «So che definendoti da te “una poetina chiusa nella garzantina” sai benissimo di essere una grande donna, una che sa baciare veramente la vita. Tu sai che cosa devono

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one of her stories: “I know that, although you may call yourself ‘a little poet wrapped up in an encyclopaedia’, you know very well that you are a great woman, who truly knows how to kiss life. You know what all poets must learn to do: kiss life, even if its breath is stale”. It’s a real job, even though it might seem like play, even if others don’t believe it to be: “That’s why I try to hunch a little when I go down the stairs, effect a little limp, so as not to draw attention to myself. I make my house dirty so that people (especially editors) can tell that I work, just like everyone else”.

“Life can nail a man to poetry,” says Alda Merini, “making him different, almost suspect in the world’s mistrustful eyes.” A mind from which poetry flows is “a sort of brimstone volcano”, Maria Corti explained. The poet’s struggle lies in managing that vulnerability, that madness, in analysing his own delusions, like a “crazy physician” doomed to treat his own condition. Insanity is “a way of relating to reality that is also magical”. The linear nature of existence curves, wrinkles, curls. “Torn between you and poetry, you cannot take from me this dimension of light nor pull down the grief of faith lost, this faith so great, and transparent as an oak, to me it seems a beautiful endless tree, and the

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light bursts from its veins in the magnetic secret of an ode. Torn between you and my agony, now love flees: it is a full song... born of a life that has well ensured me great pity for my poor body.” An attempt to give form to the formless, to embody the incorporeal, give it a body clearly made of matter, that is doomed, like human flesh, to decay, is a recurring theme in Merini’s poetry. So it is that a dark silence is gathered into “hampers”, faith into “baskets”, and ideas can be “tasted”, shame and destiny “eaten”. The tree is “a beautiful endless tree”, or at least it seems so to her, to this woman who elsewhere confesses her incurable imprecision: “I clamber up the tender saplings / and I say they are great trees”. However, it could simply be a question of perspective – the perspective of vision, of prophecy (“I have never had memories, / only sharp visions, prophecies”).

That same light that seeps from the veins of the tree, also “bursts” (and in that verb you can feel the violence, the implacable and sacred nature of the act) from the veins of the poet. It breaks over her with an impulse to transform herself into verse at the conclusion of a “secret” (and thus never completely decipherable) process which – like the heart of the Earth – holds a dark magnetic power.

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imparare a fare i poeti: baciare la vita, anche se ha un alito stantio» . E questo è un lavoro vero, anche se sembra un gioco, anche se gli altri non ci credono: “Per questo cerco di scendere le scale un po’ curva, un po’ zoppicante, per non dare nell’occhio. E sporco la casa per far vedere (soprattutto agli editori) che io lavoro come gli altri”.

“La vita può inchiodare un uomo alla poesia” dice Alda Merini “ rendendolo diverso, quasi sospetto agli occhi diffidenti del mondo”. La mente da cui sgorga la poesia è certo vulnerabile, «una specie di grande zolfara», spiegava Maria Corti, e la fatica del poeta sta nel gestire questa vulnerabilità, questa follia. Analizzando il proprio stesso delirio: come un «medico matto» destinato a curare sé stesso. L’insania è «un rapporto anche magico con la realtà»: la linearità dell’esistenza che si incurva, fa le pieghe, si arriccia. «Combattuta fra te e la poesia, tu non puoi togliermi questa dimensione di luce né abbattere il cordoglio della fede perduta, questa fede così grande e trasparente come quercia che pare a me un bell’albero infinito, e la luce dirompe dalle vene nel segreto magnetico del carme. Combattuta tra te e la mia agonia, ora fugge l’amore: è canto pieno… nato da vita che ben mi assicura molta pietà del mio povero corpo.»

Ricorrente, nella poesia di Merini, è il tentativo di dare forma all’informe, di fare acquistare un corpo all’incorporeo per definizione, e un corpo di cui sia evidente la materia, l’essere destinato al disfacimento come la carne umana: è così che l’oscuro silenzio si raccoglie in «ceste», la fede in «canestri», ed è possibile «degustare» le idee, «mangiare» la vergogna o il destino. L’albero è «un bell’albero infinito», o almeno così le appare, a lei che altrove ammette la sua inguaribile imprecisione: «mi inerpico su teneri arboscelli / e dico che sono alberi grandi»: ma forse è soltanto una questione di prospettiva – la prospettiva della visione, della profezia («Io non ho mai avuto ricordi, / solo visioni acute, profezie»).

Quella stessa luce che le vene dell’albero filtrano, «dirompe» – nel verbo si avverte la violenza, l’implacabilità e la sacralità dell’azione – dalle vene del poeta, le infrange con impeto per farsi canto al termine di un processo «segreto» (quindi mai totalmente decifrabile), che – come il cuore della terra – conserva una oscura capacità magnetica: e la poesia attira la vita, lega a sé chi scrive e chi legge e leggerà.

«Tormentosa è la sorte dei poeti»: la dimensione di luce è anche agonia – faticoso tentativo di fare

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Poetry attracts life, binds to itself those who write it, along with its present and future readers.

Torment is the poet’s fate: the dimension of light is also one of agony – an arduous attempt to make a space for light in the darkness, allowing oneself to speak from the unknown, “laying open” one’s mind.

Grieving for lost faith (which faith, exactly?) brings the mourner to a state of constant proximity to death. “You, God, destined me for poems / and for these great deeds / you gave me great darkness, / black suffering watches me by night / and it is like a great harpy / with diamond wings”. Likewise: “They do not know that I cry, / that I have a little girl’s loneliness”. Not even the moon gives solace. It does not gather sorrows to it like the moon of Leopardi’s wandering shepherd. It, too, despairs, becomes heavy, like the night above the mental hospital. Corrupt, “its weight hung above us in the evening [...] askew, mocking, as though it wished to go on taunting us even from the sky”. And fleeting, like the verses of those who must struggle to manage their vocation, which is also their insanity. Like the poetry of Dino Campana (“wild / and fair and proper as a bell”) and that of Alda Merini, which grips you and yet cannot be grasped – like an apparition.

spazio, nel buio, alla luce, lasciandosi parlare dall’ignoto, “divaricando” la mente. Il lutto della fede perduta (quale, di preciso?) conduce chi lo avverte a uno stato di perpetua prossimità alla morte. «Tu, Dio, mi destinasti ai poemi / e per queste grandi vicende / mi hai dato tenebre grandi, / il male oscuro mi sorveglia di notte / ed è come una grossa arpia / con ali di diamante». Ancora: «Non sanno che io piango, / che ho una solitudine bambina». Nemmeno la luna consola, non raccoglie lamenti come quella del pastore errante leopardiano: si dispera essa stessa, e si fa pesante, come la sera sopra al manicomio: corrotta, «gravava sopra di noi la sera», «sghemba, irrisoria, che pareva volesse continuare a schernirci anche nel cielo». E sfuggente: come i versi di chi faticosamente deve gestire la propria vocazione-follia, come la poesia di Dino Campana («selvaggio / e giusto ed equo come una campana»); e quella di Alda Merini, che afferra e non si lascia afferrare - come un’apparizione.

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STRADE BIANCHE A heroic two-wheel race through breathtaking countryside and settings of historical and cultural allure. Where cycling becomes a landscape painting and a memory of bygone days.

by Cecilia Mazzeo

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Imagine a swarm of bicycles throwing up earth, white gravel flying, turning into clouds. Dust and gravel spin through the air, blending into the cyclists’ coloured shirts to create a painting en plein air – a Pointillist painting by Pissarro or a Neo-impressionist one by Seurat, in motion. A painting within a painting. All around is the bucolic, fairytale landscape of the Sienese countryside. This is the Strade Bianche bicycle race, which takes its name from the unpaved roads and the locations it runs through. They are locations steeped in history and enchantment, filled with natural and cultural riches. Technically speaking, it is an all-male bicycle

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LE STRADE BIANCHE Tra paesaggi mozzafiato e luoghi d’interesse storico-culturale si compie una corsa eroica su due ruote.

Quando il ciclismo si fa dipinto e memoria d’epoca. di Cecilia Mazzeo

Immaginate uno sciame di biciclette che solleva lo sterro, ghiaia bianca che cade. E questo si fa nuvola. Capriole di polvere e ghiaia che, mischiandosi ai colori delle maglie dei ciclisti, creano un dipinto a cielo aperto. Un dipinto pointillista di Pissarro e neoimpressionista di Seurat in movimento. Un dipinto nel dipinto. Tutt’intorno uno scenario fiabesco e bucolico, quello delle campagne senesi. Così è la gara ciclistica Le Strade Bianche che prende appunto il nome dalle strade non asfaltate e dai luoghi che attraversa. Luoghi intrisi di fascino e di storia, di ricchezza paesaggistica e culturale. Tecnicamente è una corsa in linea maschile di ciclismo

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road race organized by the RCS Sport-La Gazzetta dello Sport sports and media company. Until 2013, the race began in Gaiole in Chianti, but since the 2014 edition it has instead started in San Gimignano. The finish line is in Siena’s marvellous Piazza del Campo. Both San Gimignano, called the “Manhattan of the Middle Ages” for its many towers, and Siena, with its Piazza del Campo, are UNESCO World Heritage Sites.

The ninth edition of the race, part of the 2015 UCI Europe Tour, took place on 7 March. The victory was claimed by Czech cyclist Zdeněk Štybar, who reached the finish line with a time of 5hr 22’13”, ahead of Greg Van Avermaet and Alejandro Valverde. Sep Vanmarcke took fourth place and Diego Rosa came in a notable fifth.

In all, there are 200 kilometres of winding roads, not at all easy or gentle, despite their majestic beauty. Imagine an enchanting noblewoman, whose mercurial moods make her well nigh impossible to seduce, who plays hide-and-seek, encourages pursuit and then, when it seems she is yours, sets you a new riddle, an unexpected snare. That is the way of this race: beautiful and very challenging, with 45.4 km of gravel roads divided into ten segments, for a race that does not lack excitement in terms of planimetry or altimetry. Strade Bianche is similar to the Paris-Roubaix in terms of having to cope with extremely uneven terrain, represented in the French race by pavé (cobblestones) and in the Tuscan one by sterri (gravel), and to the Tour of Flanders in terms of the number of muri (literally “walls”), or short stretches of road with a very steep grade of nearly 20%. At 11.5 km, the Monte Sante Marie sector is the longest, coming on the heels of 147 km of race and the demanding 9.5 km San Lucignano d’Asso sector. The last three sectors are the ones that determine the athletes’ fortunes.

Montaperti is very short, 800 m., but is extremely difficult, nearly unassailable; on Colle Pinzuto, 2.4 km, you begin to feel the burn of fatigue. The 1.1 km Le Tolfe is the coup de grace, the superhuman last ditch effort. Riders arrive in the Piazza del Campo, in the heart of Siena, in an all-out descent – with the exception of the surprise incline on via Santa Caterina, a devilish sprint. Having arrived at this point, exhausted, riders must hope that their ‘calculations’ have been correct, that they still have a reserve of energy in their ‘pockets’ and in their legs.

The quality that allows one to win a race of this sort is to be a good long-distance racing cyclist, an athlete capable of wisely rationing his energies so as to maintain his stamina throughout. A sudden 154

What quality must you bring to this race? That of the hero: endurance.

The ability to husband your strength and earn the friendship of a road that could betray you from one moment to the next

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su strada organizzata da RCS Sport-La Gazzetta dello Sport. Fino al 2013 la partenza era a Gaiole in Chianti, dall’edizione del 2014, invece, lo start è a San Gimignano e l’arrivo nella meravigliosa Piazza del Campo a Siena. Sia San Gimignano, detta anche la Manhattan medievale per le sue tante torri, che Siena con Piazza del Campo sono patrimonio dell’UNESCO. Si è disputata il 7 marzo la nona edizione della corsa che fa parte dell’UCI Europe Tour 2015 e che ha visto impugnare la vittoria al ceco Zdeněk Štybar, giunto al traguardo con il tempo di 5h 22’13, davanti a Greg Van Avermaet e Alejandro Valverde. Al quarto posto Sep Vanmarcke e al quinto un Diego Rosa degno di nota.

In tutto 200 kilometri d’intrecci di strade per nulla facili e gentili, nonostante la signorile bellezza.

Come una nobildonna che suscita incanto, ma difficilissima da conquistare per i suoi variabili umori, il suo giocare a nascondino e farsi inseguire e quando ti sembra che sia tua c’è un nuovo cruciverba, un inaspettato tranello. Allo stesso modo si comporta questa gara: bellissima e durissima con 45,4 km di strade sterrate divise in dieci segmenti e un percorso movimentato sia dal punto di vista planimetrico che altimetrico. Le Strade Bianche ha caratteristiche simili alla Parigi-Roubaix per l’impatto con un terreno altamente dissestato che, nella gara francese è rappresentato dai pavé e in quella toscana dagli sterri, e al Giro delle Fiandre per la quantità di muri, ovvero brevi tratti di strada con un’altissima pendenza, vicina al 20%. Il settore più lungo, 11.5 km, è quello di Monte Sante Marie dopo 147 km di corsa e dopo l’impegnativo San Lucignano d’Asso di 9.5 km. Gli ultimi tre settori sono quelli che hanno in serbo il destino degli atleti. Montaperti è brevissimo, 800 m., ma è di una difficoltà assoluta, quasi inaccessibile; a Colle Pinzuto, 2,4 km, comincia a bruciare la stanchezza. Le Tolfe, 1.1 km, è la botta ferale definitiva, il disumano colpo di coda. Nel cuore di Siena, a Piazza del Campo, ci si arriva in piena discesa, eccetto per lo scherzetto di pendenza in via Santa Caterina, uno strappo luciferino. Arrivati a quel punto, stremati, bisogna augurarsi di aver fatto bene i conti e di avere nelle tasche e nelle gambe un rimasuglio di energia.

La caratteristica vincente in una corsa del genere è essere dei passisti, cioè atleti in grado di distribuire sapientemente le energie in modo da mantenere costante la resistenza. Uno sprint improvviso potrebbe essere un dispendio eccessivo di energia che poi si paga a caro prezzo visti i continui impedimenti del paesaggio.

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sprint could represent an excessive expenditure of energy that a rider will pay a high price for later, in view of the endless series of obstacles that the course presents.

As Konichev said: “I am an all-round racer because I go slowly everywhere.”

If a cyclist can secure the victory three times, he’ll be able to see a section of the gravel course named after him. Before it was called Strade Bianche (literally, “White Roads”), it was first named Monte Paschi Eroica (the “Heroic Monte Paschi”) in 2007 and 2008, then Montepaschi Strade Bianche (2009, 2010, 2011). This race brings the old-fashioned amateur cycling of the early 1900s back to the headlines, because its itineraries are those of cycling holidays enjoyed on the bicycles of bygone times. That is why, this year, its name was made complete with the addition of “Eroica Pro”.

The attribution “Eroica” says it all: riders had to possess a hero’s virtuosity to traverse certain sections on basic bicycles that lacked any of the benefits of modern technology. Great strides have been made in specially-designed apparel, gears, aerodynamic shapes and materials like carbon that make the cycles light and responsive to their riders’ wishes.

This year, the newly redesigned trophy was the object of fervent anticipation: a two-wheeled hourglass containing white gravel that, in falling, reveals the stylised figures of two cyclists, one 156

from bygone days and one modern. It is a trophy that thus pays homage to the old and the new, the melding of two ideals as the torch is passed on. The latter admires the courageous deeds of the former, while the former applauds the latter’s evolution.

The first is an example and a point of reference, the second a more elaborate and minutely detailed piece of handiwork.

Among the participants: Fabian Cancellara (winner 2008, 2012), Peter Sagan (second-place 2013, 2014), Vincenzo Nibali, Alejandro Valverde, Lars Boom, Simon Gerrans, Ian Stannard, Niki Terpstra, Filippo Pozzato, Moreno Moser (winner 2013), Rigoberto Uran, Zdenek Stybar, Sep Vanmarcke, Adam Yates and Marco Aurelio Fontana. The winner in 2014 was current world champion Michal Kwiatkowski (POL).

This year the white roads hosted two additional races: the Women Elite and an amateur race.

The Strade Bianche is described as a race of stunning beauty, in which each rider competes against every other. It has begun to make its way into the hearts of the public, but not nearly to the extent it deserves. Let us hope that, in time, the news of this wonderful event on two wheels will rouse the interest of more and more of those technical souls in charge of the sport and social columns, as well as the excitement of the spectators. An event like this is something to be proud of.

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Come diceva Konichev: “Io sono un corridore com- omaggio al vecchio e al nuovo. Fusione di due ideali pleto perché vado piano dappertutto”. che si passano il testimone. Il secondo ammira le Nel caso in cui un ciclista riesca ad assicurarsi la gesta coraggiose del primo e il primo ne loda l’evovittoria per tre volte potrà vedere un tratto di ster- luzione. Il primo è esempio e punto di riferimento, il rato portare il suo nome. Prima di chiamarsi Stra- secondo è il ricamo più dettagliato e particolaregde Bianche, la gara era passata per Monte Paschi giato.

Eroica (2007, 2008) e poi per Montepaschi Strade Tra i partecipanti: Fabian Cancellara (vincitore 2008, Bianche (2009, 2010, 2011). Questa 2012), Peter Sagan (secondo 2013, corsa riporta agli onori della crona2014), Vincenzo Nibali, Alejandro ca il vecchio ciclismo amatoriale dei Valverde, Lars Boom, Simon Gerla dote da portare con primi anni del 1900 perché i tragitti rans, Ian Stannard, Niki Terpstra, Fisé? quella dell’eroe: la sono quelli della cicloturistica con lippo Pozzato, Moreno Moser (vinciresistenza. La capacità bici d’epoca. Ecco perché quest’antore 2013), Rigoberto Uran, Zdenek di centellinare le no il nome ha trovato completezza Stybar, Sep Vanmarcke, Adam Yates forze e farsi amica con l’aggiunta di Eroica Pro. e Marco Aurelio Fontana. L’ultimo una strada che può L’attributo Eroica la dice lunga: ocvincitore nel 2014, nonché attuale tradirti all’improvviso correva possedere il virtuosismo campione del mondo, è stato Michal dell’eroe per percorrere certe tratte Kwiatkowski (POL). con biciclette elementari sprovviste Quest’anno le strade si son fatte dei benefici della tecnologia moderna. Si son fatti bianchissime con l’aggiunta di due gironi: quello passi da gigante tra vestiario ad hoc, marce, forme femminile elite e quello degli amatori. aerodinamiche e materiali come il carbonio che do- Le Strade Bianche viene raccontata come una gara nano leggerezza al mezzo e assecondano le inten- di una bellezza folgorante in cui ciascuno è contro zioni dell’atleta. tutti. Sta prendendo spazio nel cuore della gente, Il trofeo quest’anno è stato oggetto di fervida atte- ma non nella misura che meriterebbe. Si spera che, sa perché rappresentava una novità: una clessidra prima o poi, l’urlo di questa bellezza su due ruote con due ruote contenente ghiaia bianca che cade e ridesti sempre più gli animi tecnici di chi fa eco alle che svela le figure stilizzate di due ciclisti, il ciclista notizie e quelli festosi degli spettatori. Perché c’è da d’epoca e quello moderno. Trofeo dunque che rende essere fieri di uno spettacolo così.

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TWO MAD MINUTES OF RECKLESS ABANDON A CENTURIES-OLD ENTERTAINMENT AND A PART OF LIFE FOR THE PEOPLE OF SIENA

by Emilio Ravel What is a game? Is it an amusement? More than that, it is a primal need that has existed since the origins of mankind. Twins play together in their mothers’ wombs; puppies and kittens do likewise.

Through games we learn to make friendships, to defend ourselves and to grow.

As adults, if we never play, we run the risk of stifling

DUE FOLLI MINUTI DI SPERICOLATO ABBANDONO GIOCO CENTENARIO E VITA DEL POPOLO SENESE di Emilio Ravel Cos’è il gioco? Un divertimento? Di più, è un bisogno primitivo alle origini dell’uomo. Giocano i gemelli nel ventre della mamma, giocano i cuccioli nella pancia della gatta o della cagna. Col gioco si impara a fare amicizia, a difendersi e a crescere.

Da adulto, se non gioca mai, l’uomo rischia di spegnersi. E poi, diciamolo, mica è tanto simpatico

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ourselves. Plus, let’s face it, that guy who always takes himself too seriously isn’t the most likeable of fellows...

This could explain a lot. The Palio di Siena is a sort of wholesome madness that pervades an entire city every year from July 2nd to August 16th. It is an ancient and breathtaking civil and religious rite that captivates almost everyone who watches it.

Because to play can sometimes mean to pluck that intoxicating fruit that is happiness – when you win.

In Siena, you win when the colours you have chosen draw you into a collective joy whose reasons you cannot explain. However, the reasons do exist.

A contrada, as Sienese city quarters are called, is not a team but a neighbourhood, a little city where you share day-to-day life and aspirations, exchanging affection and succour in difficult times.

It is an extended family, thousands of friends. With them, throughout the year, you often go to dinner, organize games for children, you have a chat with the elderly. When your contrada wins it is therefore a happiness shared by all. Even those who are no longer with us are somehow encompassed within the circle of excitement and tenderness. Indeed, the winning horse is taken to the cemetery so that

quello che si prende sempre sul serio …

Questo può spiegare tante cose. Anche il Palio di Siena o meglio quella specie di benefica pazzia che ogni anno, il 2 luglio e il 16 agosto, pervade una intera città e coinvolge quasi tutti quelli che guardano questo antico e folgorante rito civile e religioso.

Perché chi gioca talvolta può cogliere quel frutto inebriante che è la felicità. Quando vince. A Siena si vince quando i colori che hai scelto ti trascinano in una gioia collettiva di cui non sai spiegare tutte le ragioni. Ma le ragioni ci sono. Una contrada non è una squadra, è un rione, una piccola città in cui tu condividi la vita quotidiana, le aspirazioni, lo scambio di affetti e di aiuti nei momenti di difficoltà. È una famiglia allargata, migliaia di amici e di amiche. Con loro vai a cena spesso durante tutto l’anno, organizzi giochi per i bambini, chiacchieri con i vecchi. Quando la tua contrada vince quindi è la felicità di tutti. Anche chi non c’è più, in qualche modo, viene compreso nel circolo di entusiasmo e di tenerezza; infatti il cavallo vincitore viene portato al cimitero perché i defunti - dicono – sentano risuonare gli zoccoli dell’eroe familiare.

Una contrada si sceglie perché ci si è nati, perché 160

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the dead – so it is said – can hear the sound of the hooves of the family hero.

We choose a contrada because we are born there, because it belonged to our parents, or simply because we feel a instinctive affection for it. Yes, there are even those who choose one because they find its colours congenial, they “speak” to them. Foreigners behave in the same way: the French tend to prefer the Pantera contrada, because its colours are red, blue and white, while the Irish get excited about the colours of Selva, which are green, orange and white, the same as their country’s flag.

The great French scholar, Roger Caillois, said that all the games in the world can be gathered under four main categories: agon (competition), Ilinx (thrill-seeking), mimicry (role-playing) and alea (games of chance). Well, these four pagan divinities can all be experienced in the game that is the Palio. Moreover – for those who believe, and a little for those who don’t – on that

è quella dei genitori, o semplicemente perché hai sentito una spontanea simpatia. Sì, c’è perfino chi la sceglie perché quei colori gli sono congeniali, “gli parlano”. Anche gli stranieri si comportano così: i francesi scelgono di prefepreferenza la contrada della Pantera che ha i colori rosso, blu e bianco, mentre gli irlandesi si esaltano per i colori della Selva che sono gli stessi della loro bandiera nazionazionale, verde, arancio e bianco.

Un grande studioso francese, Roger Caillois, dice che tuttutti i giochi del mondo possono essere raccolti sotto quattro grandi temi: agonismo, ververtigine, maschera e fortuna.

Ebbene queste quattro dividivinità pagane sono tutte vis-161

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day one can feel a breath of the mysterious. Indeed, the Palio is run in honour of Our Lady of the Assumption. On August 16th everyone can be found in the cathedral singing at the top of their lungs in thanksgiving that they came in first – horse, jockey, contrada and friends.

Montale, the Nobel-prize winning poet and lover of the Palio, came many times to throw himself into the excitement of the Piazza del Campo, “into the purple pit”, he wrote, “where a tumult of souls salutes the standards of the Unicorn and the Tortoise”. Now the young half-blood horses come running, hooves pounding the track in time with your heart... “The stands groan/ the passage of the ragged horses saluted/ with one single cheer. It is a flight! And you forget!/ Forget death ...”

Each of Siena’s seventeen contrade that race in the Palio has its own encyclopaedia of stories full of thrills or jeers, as well as stirring tales. I will tell the story of just one Palio, the one I will always remember. My contrada – Selva – had been endowed with a mysterious new horse for the Palio, but her name was one to be feared: Vipera (Viper in Eng-

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lish). During trials the filly was injured, taking a little scratch to the cartilage of one of her hooves. It was a small thing, but it was painful and prevented her from running as she had before. The Selva captain, Fabio Rugani, in the grip of a sort of divinely-inspired madness, listened only to his own inner voice, withdrawing Vipera from the trials, so that everyone thought she’d been cut from the competition. Therefore no one took care to block her within the interwoven strategies that innervate the race.

On the morning of the day of the Palio, the captain paid the jockey that had been hired what he was owed and dismissed him. In his place he chose an eighteen-year-old boy. He gave him the nom de guerre Bonito da Silva and walked him to the piazza riding Vipera, whose tiny split had ceased to bother her, thanks to the intense care she had received. Captain Rugani said to the jockey: “You stick to the fence holding in the crowd and never leave it the whole race long, because that is the shortest route. Do that, or you’ll never race in Siena again!”

Vipera, whom all had believed disabled, instead took off like a shot at the start, despite being in the

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sute nel gioco del Palio. E in più – per chi ci crede, ma un poco anche per chi non ci crede – quel giorno si sente vicino un respiro misterioso. Infatti il Palio si corre in onore della Vergine Assunta in cielo. E il 16 agosto tutti cantano a squarciagola nella cattedrale per ringraziare di essere arrivati primi: il cavallo, il fantino, la contrada, gli amici.

Montale, il poeta premio Nobel, venne da innamorato più volte a tuffarsi nel Palio, nella Piazza del Campo “nella purpurea buca – scrisse – dove un tumulto di anime saluta le insegne di Liocorno e di Tortuca”. Ed ecco la corsa dei cavallini mezzo-sangue che battono la pista col ritmo del tuo cuore …

“Geme il palco/ al passaggio dei brocchi salutati/ da un urlo solo. È un volo! E tu dimentica!/ Dimentica la morte …”

Ognuna delle 17 contrade di Siena che corrono il Palio ha una propria enciclopedia con storie da brivido, da scherno, da commozione. Racconterò soltanto un Palio, quello che ricorderò per sempre.

La mia contrada – la Selva – aveva avuto in sorte una misteriosa cavalla nuova al Palio, ma con un nome temibile: Vipera. Durante le prove la ca-

vallina si infortunò, ebbe una leggera scalfittura a una cartilagine della zampa. Una sciocchezza, però la parte era dolorante e le impediva di correre come prima. Il capitano della Selva, Fabio Rugani, preso da una specie di sacra follia, seguì soltanto una sua voce interna: ritirò Vipera dalle prove sicché tutti credettero che oramai fosse tagliata fuori dalla competizione e quindi nessuno si occupò di ostacolarla nelle strategie incrociate che innervano la corsa. Il giorno del Palio, al mattino, il capitano dispensò il fantino già ingaggiato pagandogli il soldo dovuto e al suo posto scelse un ragazzino di diciotto anni. Gli dette il nome di battaglia Bonito da Silva e lo portò in piazza in sella a Vipera alla quale le intense cure avevano ridotto a niente i fastidi della piccola incrinatura. Al fantino capitan Rugani disse: “Incollati allo steccato che chiude la folla e non lo mollare mai per tutta la corsa, perché questa è la traiettoria più corta. O fai così oppure non correrai mai più a Siena!”. Vipera, ritenuta invalida da tutti, scattò invece come un razzo alla partenza pur avendo l’ultima posizione. Percorse i tre giri superando uno dopo l’altro gli avversari che 163

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last position. She ran the three laps, overtaking her opponents one by one as they each tried too late to block her or hit her with their whips. Finally, the boy and the lame filly were overwhelmed by a jubilant tide of banners.

As the Sienese proverb rightly states: “To win the Palio is like being reborn.” In fact, on such an occasion, everyone holds a dummy, the rubber nipple given to newborns, in their mouths.

Captain Rugani went on to win other Palios. Everyone in Siena remembers him, also because, when he died, his funeral procession passed through the piazza of the Campo for a final farewell. A jazz band was there to play a few songs and a light meal was served to all, at the expense of the deceased.

All who witnessed that scene were saddened but, at the same time, felt a small paradoxical measure of happiness.

It has been said that the Palio is pointless. Certainly, it could be seen as pointless, just like good food, art, beauty and even happiness, which often fall outside of the categories established by calculation and usefulness. Yet, is there anyone so poor of spirit that they would not wish for just one hour’s worth of dazzling light to brighten this life?

tentarono troppo tardi di chiuderla e di nerbarla. E infine il ragazzino e la zoppa furono seppelliti da un tripudio di bandiere.

Dice bene il proverbio senese: “Vincere il Palio è come rinascere”. Tanto è vero che tutti, in questa occasione, portano in bocca il ciucciotto, ovvero la tettarella di gomma dei neonati.

Capitan Rugani vinse ancora altri Palii. Di lui tutti a Siena si ricordano, anche perché quando morì il suo funerale passò per la piazza del Campo per l’ultimo saluto. Lì un’orchestrina jazz suonò qualche brano e fu servita la merenda a tutti, a spese del defunto. Chiunque vide quella scena fu preso dalla tristezza ma anche da un po’ di paradossale felicità.

Qualcuno ha detto che il Palio è inutile. Certo può essere considerato inutile, come la buona cucina, l’arte, la bellezza e anche la felicità che spesso sfugge alla categorie del calcolo e dell’utilità. Ma chi è tanto miserabile da non desiderare almeno per un’ora un lampo che gli illumini la vita?

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Lemons & Syracuse DO YOU KNOW THE LAND WHERE THE LEMON TREES BLOSSOM? SYRACUSE, LAND OF THE SEA AND EVERGREEN LEMON GROVES

by Fabio Moschella The lemon journeyed a long way before arriving in Syracuse two thousand years ago.

Its biological origins have been traced to Eastern Asia, south of Himalayas, where it can still be found growing wild today. From there it travelled to the Middle East via Mesopotamia – present-day Iran – the “Land between the Rivers” of the Tigris and Euphrates.

The ancient Hebrew people brought it to Palestine and gave it symbolic significance in their religious rites.

The lemon tree was known and could already be found in the Mediterranean basin by the 10th century, but it was the Arabs who, around that time, began to cultivate it there using skilful 166

growing techniques. By the 19th century, Sicily and Campania had become the two most important lemon-producing regions. From the ports of Palermo, Naples, Syracuse and Catania, those lemons continued their long journeys towards ports in Europe, North America, and finally Russia.

It is in Syracuse, however, that the lemon found its terroir; it is here that its best qualities shine.

In the springtime the city is giddy with the heady scent of zahara – the Arabic word for citrus blossoms. Evergreen lemon groves mark the passage of time, custodians of the biodiversity of Sicily, described by Goethe as a “prelude to Africa and Asia”.

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CONOSCI LA TERRA DEI LIMONI IN FIORE? SIRACUSA TERRA DI MARE E LIMONETI SEMPREVERDI di Fabio Moschella Per arrivare a Siracusa, duemila anni fa, il limone ha compiuto un lungo viaggio.

L’origine biologica del limone è stata infatti individuata in Asia orientale, in Birmania, a sud dell’Himalaya, dove si trova ancora oggi allo stato selvatico. Da lì ha viaggiato verso il Medio Oriente, passando dalla Mesopotamia, l’attuale Iran, “la terra tra i fiumi” compresa tra il Tigri e l’Eufrate.

Gli antichi ebrei lo diffusero in Palestina dandogli anche significati simbolici nelle cerimonie religiose.

Ma furono gli arabi intorno al X secolo a diffonderlo con sapienti tecniche agronomiche nel

bacino del Mediterraneo, dove la pianta del limone era tuttavia già presente e conosciuta.

Nell’Ottocento la Sicilia e la Campania divennero così le regioni più importanti per la produzione di limoni. E dai porti di Palermo, Napoli, Siracusa e Catania i limoni continuarono il loro lungo viaggio verso i porti europei, il nord America e poi la Russia.

Ma è a Siracusa che il limone ha trovato il suo terroir e qui esprime il meglio di sé. In primavera questa città si inebria di profumo di zagara - zahara come si dice in arabo - il fiore degli agrumi.

Ed i limoneti, sempreverdi, segnano il paesaggio e custodiscono la biodiversità in questa Si-

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The lemon is a traveller, but it also yearns for the sea, which is why we find, when we trace the outlines of their geography, that lemon groves embrace cities on the sea. Lemons love the sea’s saltiness, like in the sweltering heat of summer afternoons, when you dip a verdello (summer lemon) into soft, crystalline rock salt. Together they dissolve, quench your thirst, refresh and cleanse.

You’ll find this at kiosks in many Sicilian cities, where you can stop for a drink of lemonade with salt and seltzer. The lemon is libertine and polygamous. It loves to be mixed, paired, it seeks out the chemistry of bonding. In Sicily, the verb limonare (literally “to lemon”) describes a touch that is drawn out and delicate, that takes your breath away. This is because, once upon a time, street vendors sold lemons in pairs, two by two.

The lemon is generous, but it must be used frugally and with finesse, since lemons and food can be incompatible in nature. It must be blended judiciously, so as not to provoke discord on the palate. Herein, at least in part, lies the secret of Citronette – in striking the right balance between extra virgin olive oil, lemon, salt, and white pepper corns ground using a mortar and pestle. Like heady wines, figs, sweet almonds and the olive tree, lemons follow the path of the sun, even in winter, when the “Primofiore” variety finally turn yellow.

On the Ottava festival day, when St. Lucia returns to her Cathedral in Ortigia and the candle holders are bedecked with garlands of citrus in commemoration of her journey back to the city from the countryside, this is the best time to end a Sunday lunch with lemon cake. One might recall Auguste Escoffier or, more simply (and please excuse the irreverence), certain Sicilian pastry chefs who use lemons to make desserts of a perfect simplicity, with sweet-and-sour custard

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cilia “preannuncio d’Asia e Africa”, come diceva Goethe.

Il Limone ama dunque il viaggio, ma ha anche un grande bisogno di mare: è per questo che i limoneti, nel disegnare la loro geografia, abbracciano le città di mare. E del mare il limone ama il sale, come quando nei pomeriggi torridi d’estate si intinge un verdello nel salgemma tenero e cristallino. E insieme si sciolgono, dissetano, rinfrescano, disinfettano.

Come nei chioschi di tante città siciliane dove puoi fermarti a bere una limonata col sale e il seltz. Il limone è poi libertino, poligamo. Ama combinarsi, accoppiarsi, rincorre la chimica dei legami. In Sicilia si dice limonare per descrivere un contatto che toglie il respiro, lungo e delicato. E si dice limonare perché un tempo i venditori ambulanti vendevano i limoni in coppia, a due a due.

E il limone è generoso, ma va dosato con sapienza e parsimonia, perché tra limone e cibo esistono incompatibilità di carattere. Va sposato con giudizio per non creare disarmonie nel palato. È un po’ il segreto della Citronette e del giusto equilibrio tra olio extravergine d’oliva e limone e sale e il pepe bianco pestato nel mortaio. Del sole segue il cammino, come il vino forte, i fichi, le mandorle dolci e l’olivo, anche d’inverno quando il primofiore si colora finalmente di giallo.

E la Festa dell’Ottava, quando Santa Lucia torna in Cattedrale nella sua Ortigia, in ricordo del viaggio che dalla campagna la riportava in città, e quando le candelore sono ornate di agrumi, è il tempo migliore per finire il pranzo della domenica con la torta al limone. Si può pensare ad Auguste Escoffier o più semplicemente, si perdoni l’irriverenza, ad alcuni pasticceri siciliani che ne fanno dolci di perfetta semplicità, con crema agrodolce e pan di spagna soffice, innevato di zucchero a velo.

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and soft sponge cake, topped with a dusting of confectioner’s sugar.

Today, Syracuse is a lively city with around one hundred and twenty thousand inhabitants. It is a place every traveller should visit, and not just because of its archaeological sites, architecture, traditional cuisine, nature preserves and mild climate, but also to see its splendid lemon groves.

The Consortium for the Protection of the Siracusa Lemon (PGI) was founded in the late 1990s, when the Italian lemon-growing industry was in deep trouble, to the point that it seemed it might not have a future. The Consortium gave this important natural, historic and cultural heritage product a new lease on life.

On July 13, 2000, a group of growers and technicians who refused to resign themselves to slow decline set out to obtain the Protected Geographical Indication designation from the EU, a goal they achieved in 2011. In 2014, by decree of the Italian Ministry of Agricultural Policies, the Consortium was appointed to protect, promote and develop the reputation of and provide consumers with information about the Syracuse lemon, as well as handle issues having to do with its designation.

Unlike other areas of Sicily, Syracuse is once more investing in its lemons. The amount of land devoted to the industry is expanding, and innovations are being made in both the growing and processing stages. Today, with five thousand three hundred hectares of lemon groves and one thousand businesses, it has become an essential industry.

Our lemon, restored to its position of excellence in European markets, has begun to eye the possibility of expansion into the global market with interest.

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Oggi Siracusa è una città vitale con circa centoventimila abitanti. E una visita è d’obbligo, non solo per gli scavi archeologici, l’architettura, la cucina tipica, le riserve naturali e la dolcezza del clima, ma anche per visitare i suoi splendidi limoneti.

Il Consorzio di Tutela del Limone di Siracusa IGP , nato alla fine degli anni novanta quando il quadro della limonicoltura italiana presentava notevoli criticità e perfino assenza di prospettive, ha fortemente rilanciato un patrimonio produttivo, paesaggistico, storico e culturale di grande importanza.

Il 13 Luglio del 2000 un gruppo di agricoltori e tecnici non rassegnati al declino si mise in cammino per ottenere il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta da parte dell’Unione Europea, obiettivo poi raggiunto nel 2011. Nel 2014, con decreto del Ministero delle Politiche agricole il Consorzio è stato investito dei compiti di tutela, promozione, valorizzazione, informazione al consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione.

In controtendenza con il resto della Sicilia, a Siracusa si è tornati ad investire sul limone, crescono le superfici, si comincia ad innovare in campo e nei centri di lavorazione. Ad oggi si contano cinquemila e trecento ettari di produzione, mille imprese, un indotto vitale!

Il nostro Limone è tornato a primeggiare nei mercati europei e guarda con interesse agli sviluppi del mercato globale.

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DATA SHEET THE SIRACUSA LEMON (PGI) THE BASIC PRODUCT

Citrus limon (L) Burm, grown in specialist orchards. The same plant produces different types of fruits, depending on the time of harvest. The Primofiore (literally, “First flower”) is harvested in autumn and winter. Its skin is green at the beginning of harvest time and yellow starting in mid-December. The Bianchetto (“Little white”) is harvested from spring until the end of June and its skin is light yellow. The Verdello, or so-called “summer lemon”, is harvested in summer, and takes its name from its light-green skin.

GROWING REGION

The geographical growing zone for the Limone di Siracusa (Protected Geographical Indication) covers the municipalities of Augusta, Melilli, Syracuse, Avola, Noto, Rosolini, Floridia, Solarino, Sortino and Priolo Gargallo. It does not stretch beyond 10 km from the shores of the Ionian Sea and its altitude is no higher than 210 meters above sea level. It is bounded in the North by the south-facing valleys of the Porcaria stream and in the South by those of the Tellaro river.

GROWING SYSTEM

The growing system is the same one traditionally employed in the area, and is fully compliant with the Normal Good Agricultural Practices laid down by the Region of Sicily. Planting schemes, growing methods and pruning systems must be designed to maintain the plants’ perfect equilibrium and development, as well as provide normal aeration and sunlight exposure.

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Maximum planting density is 400 plants per hectare. Pre-existing orchards or orchards experiencing a downturn in productivity are permitted a density of up to 500 plants per hectare. Orchards employing high-density dynamic planting are permitted a density of 850 plants per hectare.

Growing operations, including the management of traditional farming techniques and harvesting methods, must be those laid down in the “Normal Good Agricultural Practices”. For lemon trees, these regulations cover soil management, fertilisation, irrigation and plant protection measures.

The growing area covers 5,300 hectares and represents 35% of Italian lemon production.

HARVESTING METHODS

The fruit must be harvested from the tree by hand, using harvesting shears to cut through the stalk. It must be harvested directly from the tree using traditional methods, and only when it has reached a level of maturity that ensures good organoleptic and aesthetic qualities. The colour of the fruit may vary based on pedoclimatic (soil and climate) conditions, and the conditions of specific flowerings and harvests. Maximum permitted lemon production for direct consumption is set at 29 tonnes per hectare for the entire marketing year, including the fruit from all flowerings.

AMOUNT PRODUCED

Over sixty million at time of harvest (fruit picked in the countryside). Approximately 65% of the total harvest is destined for direct consumption, while 35% goes to the processing industry (juices, essential oils).

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SCHEDA TECNICA IL LIMONE DI SIRACUSA IGP MATERIA PRIMA

Citrus limon (L) Burm coltivato in impianti specializzati. Le tipologie di frutti, prodotti dalla stessa pianta, a seconda delle epoche di raccolta, sono il Primofiore raccolto in autunno e inverno con buccia verde agli inizi di raccolta e buccia gialla a partire da metà dicembre; il Bianchetto raccolto in primavera fino alla fine di giugno, con buccia giallo chiaro e il Verdello (o limone d’estate) raccolto in estate con buccia verde chiaro.

AREA DI PRODUZIONE

La zona geografica di coltivazione dell’Indicazione Geografica Protetta Limone di Siracusa comprende i comuni di Augusta, Melilli, Siracusa, Avola, Noto, Rosolini, Floridia, Solarino, Sortino e Priolo Gargallo. L’ area si estende non oltre i 10 km dal mare Ionio e non supera i 210 metri di altitudine sul livello del mare ed è delimitata a nord e a sud rispettivamente dalle valli esposte a sud del torrente Porcaria e del fiume Tellaro.

SISTEMA DI COLTIVAZIONE

Il sistema di coltivazione è quello tradizionalmente adottato nella zona, con l’osservanza delle norme di “Normale Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli atti a mantenere un perfetto equilibrio e sviluppo della pianta oltre ad una normale aerazione e soleggiamento della stessa.

La densità di piantagione massima è di 400 piante per ettaro. Per impianti esistenti ed in fase

di produttività decrescente è ammessa una densità fino ad un massimo di 500 piante per ettaro. Per i sesti dinamici la densità massima ammessa è di 850 piante per ettaro. Le operazioni colturali, per la gestione tecnica convenzionale e le modalità di raccolta, devono essere quelle previste dalla “Normale Buona Pratica Agricola”.

Queste norme, per il limone, si riferiscono alla gestione del suolo, agli interventi di concimazione, all’irrigazione, alla difesa. La coltivazione si estende su una superficie di 5.300 ettari e rappresenta il 35% della produzione italiana.

METODO DI RACCOLTA

La raccolta dei frutti deve essere effettuata a mano con l’ausilio di forbicine da raccolta per il taglio del peduncolo. La raccolta va fatta direttamente dalla pianta secondo i metodi tradizionali ad un livello di sviluppo dei frutti tale da garantire la buona qualità organolettica ed estetica degli stessi. E’ ammesso che il colore dei frutti sia variabile in funzione delle condizioni pedo-climatiche, in funzione delle varie fioriture e della particolare epoca di raccolta. La produzione massima consentita di limoni per il mercato del fresco è fissata in 29t/ha per l’intera campagna di produzione comprendente i frutti di tutte le fioriture.

QUANTITA’ PRODOTTA

Circa 60 milioni all’origine (frutto raccolto in campagna). La produzione destinata al mercato del fresco è pari al 65% circa, quella invece destinata all’industria di trasformazione (succhi, oli essenziali) è pari al 35% circa della produzione complessiva.

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THE COURAGE OF ITS CONVICTIONS THE CHALLENGE OF A FESTIVAL DESTINED TO BECOME THE OLDEST IN ITALY

“Maggio Musicale Fiorentino”, Florence’s “Musical May” Festival, is the oldest music festival in Italy and, along with those in Salzburg and Bayreuth, the oldest in Europe. It opened for the first time on April 22, 1933, with Giuseppe Verdi’s Nabucco, conducted by Vittorio Gui, directed by Carl Ebert, and with sets and costumes by Pietro Aschieri. It was the beginning of a glorious journey which, counting the latest edition, has lasted for seventy-eight years.

The “Maggio” Festival could not have come into being if Gui had not first founded the Stabile Orchestra Fiorentina (Permanent Orchestra of Florence). It gave its first concert on Sunday, December 9, 1928 at what was then the Regio Po-

liteama Fiorentino Vittorio Emanuele (the future Teatro Comunale, or Municipal Theatre, of Florence).With the founding of the Festival in 1933, it was joined by a Choir, also permanent, and took the name of Orchestra of the Maggio Musicale Fiorentino. In a short time it had attained an extremely high level of quality, attracting the most prestigious conductors of the 20th century to its podium. After all, without artists of great merit, the very idea of a festival of international calibre would have been unachievable.

Vittorio Gui was the architect behind the creation of both the Orchestra and the Festival. He was able to bring together the demands and aspirations of various Florentine cultural envi-

IL CORAGGIO DELLE SCELTE LA SFIDA DI UN FESTIVAL DESTINATO A DIVENTARE IL PIÙ ANTICO D’ITALIA

Il 22 aprile 1933 si inaugurava con Nabucco di Giuseppe Verdi, diretto da Vittorio Gui, con la regia di Carl Ebert e scene e costumi di Pietro Aschieri, il 1° Maggio Musicale Fiorentino, il più antico festival musicale italiano e, insieme a Salisburgo e Bayreuth, d’Europa: era l’inizio di una storia gloriosa, giunta ormai, con quella appena conclusa, alla settantottesima edizione.

Ma alla nascita del Maggio è premessa decisiva la fondazione, sempre ad opera di Gui, della Stabile Orchestrale Fiorentina (che dal 1933 con la nascita del Festival prenderà il nome di Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, cui si affiancherà, nello stesso anno, anche il Coro, anch’esso stabile), che tenne il suo primo concerto domenica 9 dicembre 1928, all’allora Regio 174

Politeama Fiorentino Vittorio Emanuele (il futuro Comunale) e che in breve tempo raggiungerà un altissimo livello qualitativo, tanto da essere guidata dai più illustri direttori del Novecento. E del resto, senza complessi artistici di grande valore, l’idea stessa di un festival di rilievo internazionale sarebbe stata irrealizzabile.

Fu dunque Vittorio Gui l’artefice della duplice nascita dell’Orchestra e del Maggio: egli infatti riuscì a fondere istanze e aspirazioni che venivano da vari ambienti culturali fiorentini (in primis gli Amici della Musica, quindi gli intellettuali e gli artisti che davano vita alle vivaci riviste letterarie, la ricca e influente comunità anglo-americana, così numerosa in quegli anni a Firenze, le forze economiche più interessate allo sviluppo

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ronments to do so. First among these was “Amici della Musica” (Friends of Music), followed by the intellectuals and artists behind the lively literary magazines of the time, then Florence’s wealthy and influential Anglo-American community, very large in those years, and finally the economic powers interested in developing tourism. There was also a desire on the part of Mussolini and some Fascist intellectuals to erase the memory of their party’s violent “action squads” by establishing Fascism’s credibility on the international stage as a “protector of the arts”, while in truth their violence had simply been legalized through the activities of special tribunals. Gui overcame the challenges before him to create a Festival destined to be one of the most prestigious cultural events in Italy and the world.

Although disadvantaged by the fact it has considerably less funding than other large international festivals, the “Maggio” has been able to carve out a place for itself thanks to the courage of its convictions. The original and innovative choices it has proposed, often ahead of its times, are echoed in the regular opera and symphony

del turismo, nonché la volontà di Mussolini e di alcuni intellettuali fascisti di far dimenticare la violenza squadristica, cercando di accreditare il fascismo in campo internazionale come “protettore delle arti”, mentre invero la violenza era solo legalizzata attraverso l’attività dei tribunali speciali), vincendo la sfida di dar vita a un Festival destinato ad affermarsi come una delle manifestazioni culturali di maggior prestigio in Italia e all’estero.

Pur penalizzato, rispetto agli altri grandi festival internazionali, da finanziamenti assai inferiori, il Maggio è riuscito ad imporsi grazie al coraggio di scelte originali e innovative e alla qualità delle sue proposte, spesso in anticipo sui tempi, che gli hanno conferito una ben precisa fisionomia artistica, mai smentita dalla sua prima edizione fino ad oggi, e rintracciabile anche nella programmazione delle normali stagioni liriche e sinfoniche. Caratteristiche che si possono riassumere in alcune scelte appunto fondanti: innanzitutto, nell’attenzione rivolta, a Firenze prima che altrove, alla valorizzazione nell’opera lirica degli aspetti visuali, esaltata dalla presenza dei più celebri registi teatrali e cinematogra175

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seasons. These have given the Festival a specific artistic profile from which it has never strayed.

We see these characteristics embodied in some of its defining choices. First among these is a focus on the visual aspects of the opera that is greater in Florence than elsewhere, since here it is enhanced by the presence of some of the greatest theatre and film directors. These have included Max Rheinhardt, Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Franco Zeffirelli, Luca Ronconi, Bob Wilson, Erwin Piscator, Eduardo de Filippo, Liliana Cavani, Ken Russel, Zhang Yimou, William Friedkin, Mario Martone and Ferzan Ozpetek.

Many of the most important painters and scenographers of the 20th century have also played their part: De Chirico, Casorati, Maccari, Cagli, Sironi, Kokoschka, Luzzati and Pizzi. All have marked crucial milestones on the path to today’s opera stagings. The “Maggio” has also been characterized by a thoughtful and continuous exploration of 20th-century musicals. This continued in the latest edition of the Festival with Britten’s The Turn of the Screw and Bernstein’s Candide.

From the famous performers of yesteryear to the composers of today, the festival has always been contemporary, hosting première Italian and

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European performances of operas and symphonies by artists from Stravinsky, Richard Strauss, Bartók, Janá ek, Pizzetti, Petrassi, Dallapiccola and Berio to Bussotti, Vacchi, Battistelli and Fedele, often conducted by the composers themselves. Alongside modern music, over the years there has been a focus on the rediscovery of works and composers from the past. These have been reborn in Florence, through performances of pieces that had often been relegated to history.

The Festival is further distinguished by its search for new perspectives from which to interpret, conduct and direct the great Italian opera repertoire, from bel canto, to Puccini, to Italian realist opera, or verismo. The Florentine Festival also stands out for its in-depth exploration of cultural themes, as attested by the 1952 “Rossiniano” edition, the memorable “Expressionist” May of 1964, the 1971 edition dedicated to extra-European musical civilizations, and May of 1994, dedicated to the historic 1900s.

The excellence of “Maggio” Festival performances is ensured, above all, by the artists: directors, soloists and singers of exceptional merit, all of whom we could not hope to list here. We can say that there has not been a prominent musical art-

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il Maggio è riuscito ad imporsi grazie al coraggio di scelte originali e innovative e alla qualità delle sue proposte

fici (da Max Rheinhardt a Luchino Visconti, da Giorgio Strehler a Franco Zeffirelli, da Luca Ronconi a Bob Wilson, da Erwin Piscator a Eduardo de Filippo, da Liliana Cavani a Ken Russel, da Zhang Yimou a William Friedkin, da Mario Martone a Ferzan Ozpetek), e da un folta schiera di pittori e scenografi fra i maggiori del Novecento (da De Chirico a Casorati, da Maccari a Cagli, da Sironi a Kokoschka, da Luzzati a Pizzi), che hanno segnato una tappa decisiva dell’odierna messa in scena del melodramma. Attenta e costante è stata anche l’esplorazione del Novecento musicale (continuata anche nel Maggio appena concluso con The Turn of the Screw di Britten e Candide di Bernstein) e della contemporaneità, dai suoi protagonisti storici ai compositori odierni con prime assolute, europee e italiane di opere liriche e sinfoniche di Stravinskij, Richard Strauss, Bartók, Janáček, Pizzetti, Petrassi, Dallapiccola, Berio fino a Bussotti, Vacchi, Battistelli e Fedele, spesso dirette dagli stessi compositori. Accan-

to alla musica moderna, particolare importanza hanno assunto negli anni la riscoperta di opere e autori del passato, che hanno visto a Firenze la loro rinascita con spettacoli spesso consegnati alla storia del teatro musicale e la ricerca di nuove prospettive interpretative, direttoriali e registiche, nelle proposte del grande repertorio melodrammatico italiano dal Belcanto a Puccini e al Verismo. Il Festival fiorentino si è poi distinto per l’indagine approfondita di alcune tematiche culturali, come testimoniano il Maggio “rossiniano” del 1952; il memorabile Maggio “espressionista” del 1964; quello del 1971 dedicato alle civiltà musicali extraeuropee e quello del 1994 al Novecento storico.

Ma l’eccellenza degli spettacoli del Maggio è stata garantita in primo luogo da intepreti: direttori, solisti, cantanti di eccezionale valore, che è impossibile qui citare per esteso: si può dire che non vi sia stato artista di rilievo dal 1928 ad oggi che non sia salito sul podio dell’Orchestra del Maggio 177

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ist from 1928 to the present who has not graced either the Maggio Orchestra podium or the stage at the Florence Municipal Theatre. Let us now recall, though surely we will slight many others by doing so, those who have left the greatest mark on the history of the “Maggio”. Among the great conductors to grace its podium: Victor De Sabata, Antonio Guarnieri, Gino Marinuzzi, Gianandrea Gavazzeni, Tullio Serafin, Wilhelm Furtwängler, Bruno Walter, Otto Klemperer, Hermann Scherchen, Jonel Perlea, Erich Kleiber, Arthur Rodzinski, Dimitri Mitropoulos (two of whose historic performances we here recall: Elektra by Strauss and Puccini’s La fanciulla del West). We cannot fail to mention Herbert von Karajan, Leonard Bernstein, Thomas Schippers, and Claudio Abbado (to whom we are indebted for extraordinary symphonic performances and a number of operas which have become interpretative points of reference: La Cenerentola by Rossini, directed by Ponnelle in 1971, Elektra by Strauss, directed by Dodin in 1996, and Verdi’s Simon Boccanegra in 2002). Let us not forget Lorin Maazel, Carlo Maria Giulini (conductor adored by the Florentine au-

diences for his exhilarating executions of symphonic masterpieces by Beethoven, Schubert and Brahms, as well as his memorable interpretation of Verdi’s Falstaff). Last but not least, we find Georges Prêtre, Wolfgang Sawallisch, Carlos Kleiber, Georg Solti, Riccardo Chailly, Giuseppe Sinopoli, Seiji Ozawa and Daniele Gatti (a star of the 2015 “Maggio” with Debussy’s Pelléas et Mèlisande). There are three other artists who must be mentioned, due to the crucial role each has played in the musical life of the “Maggio”.

The first is Bruno Bartoletti, Permanent Conductor of the Orchestra in the 1960s and its Artistic Director from 1985 to 1991, who was responsible, as conductor or administrator, for numerous performances from the great Italian repertoire.

He was passionately committed to bringing the great masterpieces of 20th-century music to the stage, and he ensured they were performed with absolute interpretative relevance. These included Berg’s Wozzeck and Lulu, Shostakovich’s The Nose (a historic performance during the 1964 Expressionist “Maggio”, with Eduardo De Filippo and Mino Maccari), Prokofiev’s The Fiery Angel

o sul palcoscenico del Comunale fiorentino. Ricorderemo dunque, certi di far torto a tanti altri, coloro che hanno lasciato più larga traccia nella storia del Maggio, come alcuni fra i massimi direttori quali: Victor De Sabata, Antonio Guarnieri, Gino Marinuzzi, Gianandrea Gavazzeni, Tullio Serafin, Wilhelm Furtwängler, Bruno Walter, Otto Klemperer, Hermann Scherchen, Jonel Perlea, Erich Kleiber, Arthur Rodzinski, Dimitri Mitropoulos (di cui ricordiamo due storiche interpretazioni: Elektra di Strauss e La fanciulla del West di Puccini), Herbert von Karajan, Leonard Bernstein, Thomas Schippers, Claudio Abbado (cui si devono straordinari concerti sinfonici e alcuni spettacoli che hanno segnato altrettanti punti di riferimento interpretativi, quali La Cenerentola di Rossini con la regia di Ponnelle nel 1971, Elektra di Strauss, con la regia di Dodin nel 1996 e Simon Boccanegra di Verdi nel 2002), Lorin Maazel, Carlo Maria Giulini (direttore amatissimo dal pubblico fiorentino, sia per le trascinanti esecuzioni dei capolavori sinfonici di Beethoven, Schubert e Brahms, che per un memorabile Falstaff verdiano), Georges Prêtre, Wolfgang Sawallisch, Carlos Kleiber, Georg Solti, Riccardo

Chailly, Giuseppe Sinopoli, Seiji Ozawa e Daniele Gatti (protagonista al Maggio 2015 con Pelléas et Mèlisande di Debussy). Ma almeno altre tre figure di artisti vanno menzionate per il ruolo di assoluta preminenza assunto nella vita musicale del Maggio, cominciando da Bruno Bartoletti, direttore stabile dell’Orchestra negli anni Sessanta e Direttore artistico dal 1985 al 1991, cui si deve, sia come interprete che come dirigente, oltre a numerosissimi titoli nel grande repertorio italiano, l’impegno appassionato nella proposta dei grandi capolavori della musica novecentesca, da lui resi con assoluta pertinenza interpretativa, da Wozzeck e Lulu di Berg al Naso di Šostakovi (in uno storico spettacolo al Maggio espressionista del 1964 con Eduardo De Filippo e Mino Maccari), da L’angelo di fuoco e L’amore delle tre melarance di Prokof’ev a Volo di Notte e Il prigioniero di Dallapiccola, da Cardillac di Hindemith a A Midsummer Night’s Dream e Death in Venice di Britten.

Una pagina storica nella vita musicale fiorentina è siglata da Riccardo Muti, direttore stabile dal 1969 al 1981, che portò l’Orchestra e il Coro del Maggio, in parte rinnovandoli, ad esiti di valore internazionale sia in campo sinfonico che lirico, 179

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ma, all directed by Luca Ronconi. Lastly, there is Zubin Mehta, who has been the Chief Conductor of the Maggio Orchestra since 1985. Undisputed musical talent and a leading figure on the international music scene, he has encouraged the steady rise of the artistic level of the Florentine ensembles, elevating them to worldwide recognition through a series of tours across continents. There were important appearances at the Salzburg Festival, the Vienna Musikverein, in St. Petersburg and in Japan, as well as another exceptional event: Giacomo Puccini’s Turandot, under the splendid direction of Zhang Yimou, the first opera ever performed in Beijing’s Forbidden City, broadcast worldwide. Another indisputable achievement of this great Indian conductor has

interprete straordinario, oltreché di indimenticabili concerti, di alcuni spettacoli leggendari nella storia del teatro fiorentino, dalla duplice proposta del Tell rossiniano (1972 e 1974) a Agnese di Hohenstaufen di Spontini (Maggio 1976) e a Orfeo ed Euridice di Gluck, Nabucco e Trovatore di Verdi e Norma di Bellini, tutti realizzati con la regia di Luca Ronconi. Infine Zubin Mehta, l’attuale Direttore principale dell’Orchestra del Maggio, che ricopre la carica dal 1985. Talento musicale indiscusso e figura di primo piano nel panorama internazionale, ha favorito la crescita costante del livello artistico dei complessi fior-

entini, portandoli ad affermarsi in tutto il mondo, grazie ad una serie di tournées in vari continenti, con significative presenze al Festival di Salisburgo, al Musikverein di Vienna, a San Pietroburgo e in Giappone e con la realizzazione di un evento eccezionale: la messa in scena, nella Città Proibita di Pechino, per la prima volta aperta ad ospitare un’opera di lirica, di Turandot di Giacomo Puccini con la splendida regia di Zhang Yimou, trasmessa in mondovisione. Altro merito indiscusso del grande direttore indiano è l’ampliamento del repertorio dell’Orchestra del Maggio che spazia ormai dal barocco alla contemporaneità:

BARONE FIRENZE / SHUTTERSTOCK.COM

and The Love for Three Oranges, Dallapiccola’s Volo di Notte and Il prigioniero , Hindemith’s Cardillac and Britten’s A Midsummer Night’s Dream and Death in Venice. Another historic chapter in Florence’s musical life was written by Riccardo Muti, Permanent Conductor from 1969 to 1981.

Under his leadership, the Orchestra and Choir, which he partially modernized, rose to international acclaim for both symphony and opera. He was an extraordinary conductor, not only of unforgettable concerts, but also of some of the legendary performances of Florentine opera history, including the two occasions on which he proposed Rossini’s Tell (1972 and 1974), Spontini’s Agnese di Hohenstaufen at the 1976 “Maggio”, Verdi’s Nabucco and Trovatore, and Bellini’s Nor-

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been to expand the Orchestra’s repertoire, which now ranges from the Baroque to the contemporary. Of the countless Florentine concerts conducted by Mehta, performances of symphonies

by Beethoven, Brahms, Tchaikovsky, Mahler and Bruckner, of Verdi’s Requiem, Strauss’ most famous tone poems, Schönberg’s Gurre-Lieder and Stravinsky’s Rite of Spring, which they have also performed numerous times abroad, stand out for their high quality of artistic achievement. Turning to opera, besides the many performances of works by Verdi and Puccini (in addition to the afore-mentioned Turandot, let us not forget the unforgettable Tosca inspired by the atmospheres of Rome, Open City, directed by Jonathan Miller in May 1986), we should recall the two editions

of Wagner’s Ring – the first directed by Ronconi, with sets by Pier Luigi Pizzi, between 1979 and 1981, and the second with the Fura dels Baus between 2007 and 2009 – and Tristan und Isolde, performed most recently at the 77th “Maggio”, in 2014). Performances of Richard Strauss’ Salome, Die Frau ohne Schatten and Der Rosenkvalier were also worthy of note.

Since the 2014 closure of the Municipal Theatre, all the Theatre’s activity has moved to the Florence Opera, the new home of the Maggio Musicale Fiorentino. All involved are dedicated to ensuring that the new theatre will be worthy of the great tradition of cultural commitment and artistic achievement that has defined the Festival in the past.

nell’infinita serie di concerti fiorentini diretti da Mehta si segnalano per risultati artistici di valore assoluto le interpretazioni delle Sinfonie di Beethoven, Brahms, ajkovskij, Mahler e Bruckner, del Requiem verdiano, dei più celebri poemi sinfonici straussiani, dei Gurre-Lieder di Schönberg e del Sacre di Stravinskij, più volte proposto anche all’estero. Mentre in ambito lirico, insieme a numerosi titoli verdiani e pucciniani (oltre alla già citata Turandot, va ricordata l’indimenticabile Tosca, ispirata alle atmosfere di Roma città aperta, realizzata con il regista Jonathan Miller nel Maggio 1986), vanno ricordate almeno le

due edizioni del Ring (con la regia di Ronconi e le scene di Pier Luigi Pizzi fra il 1979 e il 1981 e con la Fura dels Baus fra il 2007 e il 2009) e Tristan und Isolde (l’ultima volta al 77° Maggio 2014) di Wagner e Salome, Die Frau ohne Schatten e Der Rosenkvalier di Richard Strauss.

Da settembre 2014, chiuso definitivamente il Teatro Comunale, tutta l’attività del Teatro si svolge ormai all’Opera di Firenze, la nuova casa del Maggio Musicale Fiorentino, con l’impegno di tutti perché il futuro nel nuovo teatro sia degno della grande tradizione di impegno culturale e dei risultati artistici del passato.

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FA N TAS I A The Lake of Carezza, jewel of the Dolomites, is so clear that it reflects every refraction of the rainbow, and so beautiful that it has acquired its own legendary origin. The Man of the Forest, in love with an elusive mermaid, hatched a plot to disguise himself as a jewel merchant, selling jewels from the magnificent rainbow he built over the lake. Alas, when the moment arrived, he forgot his disguise and the mermaid eluded his trap. Furious, he broke the rainbow into pieces and threw them into the lake, transforming it into Le Lech dl Ergobando, the Rainbow Lake.

Il lago di Carezza, gioiello delle Dolomiti, è così limpido che riflette tutte le rifrazioni dell’iride e così bello da essersi guadagnato un’origine leggendaria. L’ Uomo dei Boschi, innamorato di una imprendibile sirena, per catturarla tramò di camuffarsi da venditore di gioielli del magnifico arcobaleno che aveva costruito sopra al lago. Ahimè al momento fatidico dimenticò il travestimento e la sirena sfuggì al tranello. Furibondo fece a pezzi l’arcobaleno e lo scagliò nel lago, trasformandolo in Le Lech dl Ergobando, il Lago dell’Arcobaleno.

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FA N TA S I A I TA L I A N A

Samantha Cristoforetti, a human bridge of feminine grace joining space and Earth.

THE LITTLE GIRL WHO GAZED AT THE STARS

by Cecilia Mazzeo Little girls’ childhood dreams sometimes come true. How many times have we heard a child say, “When I grow up I want to be an astronaut!” How many times have we smiled to hear of such grand dreams! Yet there are those who know exactly what they want from the time they are very young, who remain faithful to their dream and become astronauts for real. Samantha Cristoforetti was that little girl whose face was always tilted skyward, looking up at the stars. She had the crystal clear Trento sky to help her, so pulsing with light at night as to make you want to touch those stars, transform them into possible worlds, close worlds, and not just springboards for wishes. She grew up in the mountains, in close contact with nature, exploring, wondering about the mysteries of the cosmos. She fostered her spirit of adventure and curiosity, fuelling her imagination with science-fiction books and Star Trek. These are 184

only some of the elements that enabled Samantha to become the first Italian woman in space. Different heights separate the mountains of Trento and the “landscapes” of space, but they are heights nonetheless, with metaphorical ascents that call for long preparation and an uncommon cast of mind. So it was that, after a final two years of physical and psychological training and in-depth instruction, a little piece of Italy is now among the stars – on the International Space Station, to be precise, after six hours of flight at 28 thousand km per hour on the Soyuz spacecraft, which took off from the Baikonur Cosmodrome in Kazakhstan.

Born in Milan in 1977, Samantha grew up in Malé in the province of Trento. She has studied all over the world, from the Italian Accademia Aeronautica in Pozzuoli to the Sheppard Air Force Base in Texas, honing her studies as an engineer and her military career as a pilot. She became a fighter pilot and, as a captain in the Italian Air Force, has logged over 500 hours of flight time in six different types of military aircraft. In 2009, she was selected from among 8000 candidates and recruited by ESA (the European Space Agency) and, in 2012, she was assigned to the Futura mission. She was entrusted with the topic of nutrition, beginning with bioregenerative systems.

FA N TA S I A I TA L I A N A

LA BAMBINA CHE GUARDAVA LE STELLE di Cecilia Mazzeo Ci sono sogni di bimba che, talvolta, si realizzano.

Quante volte abbiamo sentito dire “da grande voglio fare l’astronauta” e quante volte abbiamo sorriso davanti a sogni così grandiosi! Eppure c’è chi ha le idee chiare fin da piccolo e rimane fedele alla linea e astronauta lo diventa davvero. Samantha Cristoforetti è quella bambina che, col naso all’insù, guardava le stelle. Complice la trasparenza cristallina del cielo trentino, un cielo così pulsante di luce, la notte, da volerle toccare quelle stelle, renderle mondi possibili, vicini, non solo trampolini dei desideri. Crescere in montagna a stretto contatto con la natura, esplorare e interrogarsi sui misteri del cosmo, alimentare lo spirito d’avventura e la curiosità, nutrire la fantasia con libri di fantascienza e con Star Trek sono solo alcuni degli ingredienti che hanno consentito a Samantha di diventare la prima donna italiana nello spazio. Altezze diverse quelle tra le montagne trentine e i “paesaggi” spaziali, ma comunque altezze e salite metaforiche

che richiedono una lunghissima preparazione e una forma mentis non comune. Così, dopo due anni di preparazione fisica e psicologica e di istruzioni dettagliate e dopo sei ore di volo sulla navicella Soyuz, a 28mila km/h, partita dal cosmodromo di Baikonour in Kazakistan, abbiamo un pezzetto d’Italia tra le stelle, precisamente nella stazione spaziale Internazionale.

Classe 1977, milanese di nascita, ma cresciuta a Malé in provincia di Trento. Ha studiato in tutto il mondo, dall’Accademia dell’aeronautica Italiana a Pozzuoli fino alla Sheppard Air Force Base in Texas, affinando i suoi studi da ingegnere e la carriera militare come pilota. E’ diventata pilota da guerra ed è capitano dell’aeronautica Italiana con più di 500 ore di volo su sei tipi di aerei militari. Nel 2009 è stata selezionata tra 8000 candidati e assunta dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e, nel 2012, è stata assegnata alla missione Futura. Il tema a lei affidato è quello della nutrizione a partire dai sistemi biorigenerativi.

Non basta il sogno nel cuore per diventare astronauti, ma occorre avere una “pelle” particolare, una sorta di quadratura fisica e caratteriale: un corpo sportivo e prestante, fermezza, nervi saldi, determinazione, resistenza davanti a una fatica e a un impegno prolungato, consapevolezza e gestione delle proprie energie che vanno dosate come fossero preziosità, entusiasmo, lucidità, curiosità e 185

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You need more than a dream in your heart to become an astronaut. You have to be ‘tough’, with a particular physical disposition and character: it requires an athletic and well-built body; steadfastness; cool-headedness; determination; the ability to endure fatigue and prolonged tasks and to be aware of and manage one’s energy, which must be rationed out as though it were precious; enthusiasm; a clear mind; curiosity; as well as a specialized technical and scientific education. When asked what courage was, she replied that it was nothing more than the ability to overcome one’s own fears, take on responsibilities and not be afraid to be alone – and to get back up with a smile. She added, quoting de Saint-Exupéry, that every act of courage we perform brings us closer to finding our star.

In space, life is lived upside down and backwards: the weightlessness; the floating; the permanent free-fall made possible by speed that grants the ideal extreme of lightness; objects that fly away; the physical stress during launch and the pressure to which the body is subjected; the strange and sudden noises; the freeze-dried food of which you cannot lose a crumb, as it might fly away and foul the mechanisms of the devices around you; the pressurized suit for the space walks; the constant maintenance of equipment; reprovisioning; managing one’s body, which has to get used to ‘climate conditions’ that are not really ‘human’; sleeping in a sleeping bag anchored to the wall; the lack of any comforts in terms of personal hygiene; being far from one’s loved ones and routine. Up there, Samantha opted for a bonus food (permitted in certain circumstances, in addition to the meals set by ESA) that represents a smart nutritional choice. She believes that the right food contains positive messages that are conveyed to every single cell in our bodies: soups, black chickpeas and fava beans, fruits and vegetables, oily fish and white meat – all strictly organic.

There are those who instead prefer fatty, indulgent foods that remind them of home.

A point of curiosity: what does an Italian girl read up among the stars? Calvino’s Palomar and de Saint-Exupéry’s Flight to Arras. When asked if she is able to rest and sleep well, her answer is: “I’ve been sleeping like a baby from the moment I arrived here. I let myself float in my little berth and I have no pressure on my body. I think 186

Samantha Cristoforetti, un ponte umano di grazia femminile tra lo spazio e la Terra

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studi di tipo tecnico-specialistico e scientifico. Alla domanda su cosa sia il coraggio, ha risposto che non è altro che la capacità di superare le proprie paure, è assumersi responsabilità e non temere la solitudine. È rialzarsi col sorriso. Ha aggiunto, citando de Saint Exupéry, che ogni atto di coraggio compiuto ci porta più vicini a trovare la nostra stella.

Nello spazio la vita è una vita al contrario: l’assenza di peso, il fluttuare, la caduta libera permanente che regala l’estremo ideale della leggerezza resa possibile dalla velocità, gli oggetti che volano via, lo stress fisico nelle fasi di lancio e l’oppressione sul proprio corpo, i rumori strani e improvvisi, i cibi liofilizzati e di cui non va disperso nemmeno un granello che potrebbe prendere il volo e inceppare i meccanismi degli apparecchi intorno, la tuta pressurizzata per le uscite, la manutenzione costante delle attrezzature, i rifornimenti, la gestione del corpo che deve adattarsi a “condizioni climatiche” non propriamente umane, il dormire in un sacco a pelo ancorato al muro, l’assenza di comfort per le pratiche igieniche, la lontananza dai propri affetti e dalle proprie abitudini. Lassù, Samantha ha optato per bonus food (concessi in alcune occasioni oltre ai pasti stabiliti dall’ESA) che rappresentano una scelta nutrizionale intelligente. Sostiene, infatti, che nel cibo giusto ci siano messaggi positivi che vengono inviati a ogni nostra singola cellula: zuppe, ceci neri e fave, frutta e verdura, pesce azzurro e carne bianca. Tutto rigorosamente biologico. C’è chi, al contrario, ha preferito pasti grassi e golosi che ricordassero casa.

Una curiosità: cosa legge un’italiana tra le stelle?

Palomar di Calvino e Pilote de Guerre di De-SaintExupéry. E se qualcuno le domanda se riesce a riposare e a dormire bene, lei risponde così: “Sto dormendo come una bambina dal momento in cui sono arrivata qui: mi lascio galleggiare nella mia piccola cuccetta e non ho nessuna pressione sul corpo. Penso che questo sia il modo in cui ho sempre inteso dormire!”

Samantha Cristoforetti ha reso possibile una specie di miracolo. Coi suoi video esplicativi (www. avamposto42.esa.int), la cronologia minuziosa delle giornate in astronave, le risposte chiare ed esaurienti alle molteplici curiosità della gente si può dire che abbia portato lo spazio nelle nostre case. E’ riuscita a rendere umano e fruibile un mondo che pare freddo, alieno, nemico e impossibile da avvicinare. Si è fatta ponte e strada. Ha umanizzato e dato temperatura a un immaginario metallico da telefilm. Con la sua grazia e la sua pacatezza 187

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this is the way I always wished sleeping could be!”

Samantha Cristoforetti has made something wondrous possible. Her explanatory videos (http://avamposto42.esa.int/) provide a minutely detailed log of her days in the spacecraft and clear and comprehensive answers to people’s numerous questions – we could say that she has brought space down into our homes.

She has managed to make a world that seems cold, alien, inimical and unapproachable into something human and accessible. She has offered herself as both bridge and road, humanizing and giving warmth to the metallic, TV-show inspired environment that exists in the popular imagination. With grace and calm, she has created what is almost a virtual friendship with this black emptiness that fuels our fears and 188

our imagination. She has thrown us a line we can hold on to, so as to feel less lost in the face of such vastness. That line should strengthen the voice of the community, reinforcing its call for the protection of our planet’s equilibrium.

We must become aware and responsible tightrope walkers.

The purpose of all this activity at 400 km above the Earth? To study the influence of gravity on living cell structures, the loss of bone mass experienced by astronauts, quality of sleep, cardiac mechanics and cerebral venous return in microgravity conditions.

But, most importantly, to bring leaders a vision from on high of the delicate connections that link us. We must care for the planet Earth, because no one owns it. We are all simply guests here, temporary inhabitants.

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ha quasi creato un rapporto virtuale di amicizia con questo buco nero che anima le nostre paure e le nostre fantasie. Ci ha buttato una corda a cui possiamo aggrapparci per sentirci meno sperduti davanti all’immensità. Corda che dovrebbe rafforzare l’eco della collettività per la salvaguardia di un equilibrio che ci deve rendere funamboli consapevoli e responsabili.

Lo scopo di tutto questo a 400 km di quota? Studiare l’influenza della gravità sulla struttura delle cellule viventi, la perdita di massa ossea cui sono soggetti gli astronauti, la qualità del sonno, della meccanica cardiaca e del ritorno venoso cerebrale in condizioni di microgravità.

Ma soprattutto portare ai governanti una visione dall’alto delle sottili connessioni. Curare il pianeta Terra perché nessuno è padrone, ma siamo tutti ospiti, abitanti di passaggio.

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PINE TREES IN SEARCH OF A PLACE

by Cristina Vannini Parenti Stefano Misesti, artist and cartoonist, has chosen a life divided between different cultures. He is always travelling, searching, although “his” globalization is tinged with strong sense of belonging to the place where he was born and raised. New people and places always seem a bit alien to him.

In the world of comics, the birth of a new character is always an introspective act. Its features, expressions and language are a reflection of the artist’s personality. Stefano Misesti’s eyes and heart are light and thoughtful, positive and full of a joyful sort of irony, even when dealing with important topics.

For more than ten years he has divided his time between the small world that is Como and today’s technological Taiwan. Two places so different from one another make for a wealth of cross-fertilization.

Pini nello spazio (Pine Trees in Space) is an ingenious comic strip. The protagonists are trees – the sort of evergreen that, of all the trees, is the most neutral. He places them at a later stage of evolution than ours and gives them a way of speaking that is innocent and simple. These pine trees from space comment on our lives and the times we live in whilst trying to carve out a place for themselves on our planet.

The reader is caught off guard by the originality of the setting. He is amused by its whimsy and, curiously, feeling slightly superior, he is drawn in. Soon, however, he is captivated by the magnetism of the story, by the kaleidoscopic possibilities for interpretation that Stefano Misesti’s comic strips always offer. The reader can simply read the story and laugh,

PINI NELLO SPAZIO IN CERCA DI COLLOCAZIONE di Cristina Vannini Parenti Stefano Misesti, artista e fumettista, ha scelto una vita che si divide tra culture differenti. E’ sempre in continua migrazione e ricerca, nonostante la “sua” globalizzazione senta di una forte appartenenza con il luogo dove è nato e cresciuto. Novità di luoghi e persone gli risultano sempre un po’ aliene.

Nel fumetto, la nascita di un nuovo personaggio è sempre un atto introspettivo. Tratti, espressioni e linguaggio sono lo specchio della personalità dell’artista. Gli occhi e il cuore di Stefano Misesti sono sempre leggeri e delicati, sempre positivi e pieni di una ironia gioiosa anche quando affronta grossi temi.

Da più di dieci anni vive tra la piccola realtà di Como e la ormai tecnologica Taiwan, luoghi così di-

versi tra loro, che permettono una grande ricchezza di contaminazioni.

Pini nello spazio è una strip geniale. I protagonisti vestono i panni di un albero, per l’appunto un arbusto sempre verde che di tutti gli alberi resta il più neutrale tra le specie. Li inserisce in una fascia evolutiva più alta rispetto alla nostra e li dota di un linguaggio innocente e semplice. I Pini spaziali commentano la nostra vita, il nostro tempo e cercano un modo per conquistare il loro spazio sul pianeta.

Il lettore si trova spiazzato dalla originalità del contesto. La stravaganza lo diverte e si avvicina con una curiosità e un tono di superiorità, ma ben presto viene catturato dal magnetismo della sto191

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which is perfectly fine, but he can also find something deeper. Behind every comic strip that makes us smile lies a well-balanced and careful study of the “joke”, the ability to leave up it to the reader to seek out the depth in each illustrated story – a sign of great artistic maturity.

In some comic strips, it is the artist who takes the form of a pine tree and sets off to conquer his own alien worlds. In others, he seems to offer his readers an interpretation of events so detached and new as to defuse the tensions of everyday life. Different cultures, worlds that are often hostile, alien mentalities and distant planets are interwoven with elements we know and love, like the Internet and social networks, but there is also war and fear.

Small things, the little facts of everyday life: these are the starting point for a narrative analysis that helps Stefano Misesti to express his experiences through science-fiction. He draws inspiration from Star Trek, Star Wars, and Battlestar Galactica, which he enjoys referencing.

“If you talk about really important and abstract

things, you run the risk of generalizing, trivializing,” Misesti explains. “Often, my characters have negative traits that make them more ‘real’. These negative traits are a little bit naive and childish.

They don’t realize they’re doing anything wrong.

Perhaps they act out of habit or maybe they’ve never achieved a certain level of maturity.”

ria, dalla caleidoscopica possibilità di lettura che i fumetti di Stefano Misesti offrono sempre. Il lettore può semplicemente leggere la storia e ridere, va bene così, ma può anche trovarci qualcosa di più profondo. Dietro una strip che ci fa sorridere

se culture, spesso mondi ostili, mentalità aliene, pianeti distanti si intersecano con elementi a noi familiari e cari come internet, social network, ma anche con guerre e paure.

Da piccole cose, dai piccoli fatti quotidiani inizia una analisi di narrazione che aiutano Stefano Misesti a proiettare le sue esperienze in modo fantascientifico. Fonte di ispirazione sono le serie di Star Trek, Guerre Stellari, Batter Star Galactica, che l’artista si diverte a citare.

“Se si parla di cose molto importanti e astratte si corre il rischio di generalizzare e banalizzare.spiega Misteti - E poi spesso i miei personaggi hanno anche degli aspetti negativi che li rendono più “reali”. Sono aspetti negativi un po’ ingenui e infantili. Non si rendono conto di fare cose sbagliate, forse agiscono per abitudine o perché forse non hanno mai raggiunto una certa maturità”.

Le strip e le illustrazioni di Stefano Misesti sono diventate negli anni famose sia in Europa che a Taiwan.

Ad oggi sta raccogliendo l’immenso capitale artistico che ha dato vita al suo fervido lavoro per dare vita ad una collana editoriale.

da più di dieci anni vive tra la piccola realtà di Como e la ormai tecnologica Taiwan, luoghi così diversi tra loro, che permettono una grande ricchezza di contaminazioni si articola uno studio equilibrato e attento della “battuta” e l’abilità di lasciare al lettore lo spessore della storia illustrata, segno di grande maturità artistica.

A volte è l’artista che veste le sembianze del pino, alla conquista dei suoi mondi alieni. In altre strip pare che voglia suggerire al lettore una lettura degli eventi così distaccata e nuova da sdrammatizzare le tensioni della vita quotidiana. Le diver192

for more than ten years he has divided his time between the small world that is Como and today’s technological Taiwan Over the years, Stefano Misesti’s comic strips and illustrations have become famous both in Europe and in Taiwan.

Those same vast artistic resources that are behind his body of heartfelt work are now turned to putting together a collection meant to be the first in a series.

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AN INVESTIGATOR OF NIGHTMARES, WHO NEVER TURNS AWAY FROM THE UNKNOWN “I CAN READ THE BIBLE, HOMER, AND DYLAN DOG FOR DAYS ON END” UMBERTO ECO

Dylan Dog appeared on Italian newsstands for the first time in October of 1986. In just a few years, first slowly and then in an ever rising crescendo, it became an authentic phenomenon, so much so that, in 196

the early 1990s, one printing, between new issues and reprints, ran to over eight-hundred thousand copies.

The initial intention of its author, Tiziano Sclavi, was to meld popular comics with

comics d’auteur, and with Dylan Dog he succeeded brilliantly, transforming his hero into a cult character and point of reference for a widely varied audience, and not only young people.

Indeed, many readers have been introduced to comics, or returned to them, thanks to the stories of the Investigator of Nightmares, to the point that people talk about a Dylan Dog generation.

Never has a comic book won similar critical acclaim or such a high level of attention from the media: from fanzines for the diehard readers to major Italian newspapers and magazines, there have been thousands of articles, many of them prestigious, devoted to the Investigator of Nightmares.

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L’INDAGATORE DELL’INCUBO CHE NON RIFIUTA L’IGNOTO “POSSO LEGGERE LA BIBBIA, OMERO E DYLAN DOG PER GIORNI E GIORNI” UMBERTO ECO

Dylan Dog è apparso per la prima volta nelle edicole italiane nell’ottobre del 1986 e, in pochi anni, dapprima lentamente e poi a valanga, è diventato un autentico fenomeno, tanto da arrivare, nei primi anni Novan-

ta a una tiratura, tra inediti e ristampe, superiore alle ottocentomila copie.

L’intento iniziale del suo autore, Tiziano Sclavi, di fondere il fumetto popolare a grande diffusione con il fumetto

d’autore riuscì pienamente trasformando Dylan Dog in un personaggio di culto e in un punto di riferimento per un pubblico eterogeneo, non solo giovanile.

Molti lettori, infatti, hanno conosciuto il fumetto, o si sono riavvicinati ad esso, tramite le storie dell’ Indagatore dell’Incubo, tanto che si può parlare di una generazione Dylan Dog. Mai un fumetto ha riscosso un simile successo di critica e un così elevato livello di attenzione da parte dei media: dalle fanzine degli appassionati ai principali quotidiani e riviste italiane sono stati migliaia gli articoli, spesso prestigiosi, dedicati all’Indagatore dell’Incubo.

Il personaggio di Sclavi scatenò un dilagare di imitazioni più o meno dichiarate, gene197

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The character invented by Sclavi unleashed a flood of more or less overt imitations, giving rise to a boom in the horror genre the likes of which had never been seen on the newsstands before.

However, Dylan Dog’s success was by no means due only to a simple rediscovery of horror.

Rather, it arose from a new, unmistakeable narrative language, fruit of the talents of Tiziano Sclavi, who was able to succeed in what might have seemed an absurd undertaking. He blended the over-thetop splatter of films by Romero and Raimi with the brilliant dialogue of sophisticated comedy (from Lubitsch to Neil Simon, from Billy Wilder to the best TV sitcoms), using a tongue-in-cheek, self-deprecating tone, skilfully playing with cultural references.

Over the course of nearly thirty years in print, a staff of extremely efficient and battle-hardened illustrators and writers have contributed to the character’s success. These have included many first-tier authors of the Italian comic universe, but emerging authors have made names for themselves working here, as well.

But who is Dylan Dog? Just over thirty and a former Scotland Yard police officer, he has a mysterious past about which not much is known. He works as a private detective, accepting only unusual cases.

He lives in London, in a house stuffed with monster-related

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rando un boom del genere orrorifico come mai prima di allora si Dylan Dog, un era visto in edicola. personaggio di Ma il successo di Dylan culto e punto di Dog non fu certo dovuto riferimento per un semplicemente a una pubblico eterogeneo riscoperta dell’horror, bensì a quello che era un nuovo e inconfondibile linguaggio narrativo, frutto del talento di Tiziano Sclavi che riuscì in un’impresa apparentemente folle: unire lo splatter eccessivo dei film di Romero e Raimi ai dialoghi brillanti della commedia sofisticata (da Lubitsch a Neil Simon, da Billy Wilder alle migliori sitcom televisive), facendo uso di un tono ironico e autoironico e di un sapiente gioco di citazioni.

Al successo del personaggio hanno contribuito, nel corso di quasi trent’anni di vita editoriale, uno staff di disegnatori e sceneggiatori estremamente efficace e agguerrito, composto da molti autori di primo piano del fumetto italiano e

anche da autori emergenti che si sono messi in evidenza proprio lavorando alla sua realizzazione.

Ma chi è Dylan Dog? Poco più che trentenne, ex agente di Scotland Yard, ha un passato misterioso di cui si sa ben poco, di mestiere fa il detective privato, occupandosi esclusivamente di casi insoliti, vive a Londra in una casa piena di gadget mostruosi e con un campanello che invece di suonare lancia un urlo agghiacciante.

Le sue parcelle sono basse, e molto spesso non si fa neanche pagare: è la paura ad affascinarlo, la paura irrazionale e inspiegabile dell’ignoto. E lui stesso ha paura: non è certo un eroe invincibile, e anzi a volte non riesce proprio a risolvere il caso, o più spesso ci riesce solo in parte, e quando tutto sembra finito, l’orrore ricompare...

Ironico, impulsivo, problematico, pieno di dubbi su se stesso e sul mondo, forte e tenero

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bric-a-brac, where the doorbell, instead of ringing, gives a bone-chilling scream.

His fees are low, and often he doesn’t even ask for payment.

It is fear that fascinates him, the irrational and inexplicable fear of the unknown. He, too, is afraid. He is no invincible hero. On the contrary, sometimes he isn’t even able to solve a case or, more frequently, he does so only in part, and when everything seems to be over, the horror returns...

Ironic, impulsive, complicated, full of doubts about himself and the world, at once strong and gentle, Dylan Dog hates violence and loves women. He amuses himself by playing his clarinet and building a model of a galleon that he may never finish. He loves film, he’s a voracious reader of anything he can get his hands on, he loves pizza, and he always dresses the same way (he has an end-

less supply of black jackets, fani (Orphans). The numerous red button-down shirts and changes occurring in the sejeans). ries, which have sparked deIn the end, the real reason be- bate among readers, involve hind Dylan Dog’s success is the the entire Dylan Dog universe. fact that he’s only a man who, Their objective is to bring the unlike many others, does not character back to his roots, turn away from the unknown. yet also combining the comOn the contrary, he tries to ex- ic’s splatter-inspired and displore and understand it, es- quieting subject matter with pecially where many new idemystery and as in line with horror lurk in the the tastes of its depths of the younger readDylan Dog, a cult subconscious. ers. Thanks to character and a Last autumn, afthose elements point of reference ter so many seathat have enafor a widely varied sons of success, bled the stories audience Sergio Bonelli of Dylan Dog to Editore, Dylan thrill and touch Dog’s publisher, different genhas decided to erations, the relaunch and revamp Tiziano gamble made by Tiziano SclaSclavi’s character with a new vi, the publishing house and 360-degree project. The first the entire staff that work to step was to choose a new ed- create those stories has paid itor, a role which has fallen off, breathing life back into the to Roberto Recchioni, author Investigator of Nightmares. of the successful series Or-

I tal ian Rhap sody TIZIANO SCLAVI was born in Broni (Pavia) in 1953. A journalist and writer, he has over ten novels to his name, including Nero, Dellamorte Dellamore, Mostri and Non è successo niente, as well as a large number of children’s books. Over the years, he has made contributions to myriad magazines and created many different comic series, from Altai & Jonson to Silas Finn, from Agente Allen to Vita da cani. In 1982 he joined Bonelli’s editorial department, where he wrote stories for Ken Parker, Zagor, Mister No and Martin Mystère, and created Kerry il trapper and Roy Mann. Dylan Dog, the character who consecrated Sclavi as one of the great talents of comics, was born in 1986.

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TIZIANO SCLAVI è nato a Broni (Pavia) nel 1953. Giornalista e scrittore, ha al suo attivo oltre dieci romanzi, tra cui Nero, Dellamorte Dellamore, Mostri, e Non è successo niente, nonché molti libri per bambini.

Ha collaborato negli anni a una miriade di riviste e creato molte serie a fumetti, da Altai & Jonson a Silas Finn, da Agente Allen a Vita da cani. Nel 1982 entra a far parte della redazione Bonelli, per la quale scrive storie di Ken Parker, Zagor, Mister No e Martin Mystère, e crea Kerry il trapper, e Roy Mann.

Dylan Dog, il personaggio che lo consacra come uno dei maggiori talenti del fumetto, nasce nel 1986.

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nello stesso tempo, Dylan Dog odia la violenza, ama le donne, si diverte a suonare il clarinetto e a costruire un modellino di galeone che forse non finirà mai, è un accanito cinefilo, legge molto e di tutto, adora la pizza e si veste sempre nello stesso modo (ha una serie infinita di giacche nere, camicie rosse e jeans).

Alla fine, il vero motivo del successo di Dylan Dog è il fatto che lui è solo un uomo che, a differenza di tanti, non rifiuta l’ignoto ma tenta anzi di penetrarlo e comprenderlo, specialmente

quando il mistero e l’orrore si celano nel profondo dell’inconscio.

Lo scorso autunno, dopo numerose stagioni di successi, Sergio Bonelli Editore ha deciso di rilanciare e rinnovare il personaggio di Tiziano Sclavi con un progetto a trecentosessanta gradi. Il primo passo è stato la scelta del nuovo curatore, caduta su Roberto Recchioni, già autore della serie di successo Orfani. I numerosi cambiamenti che stanno avvenendo nella serie, e che accendono il dibattito tra i lettori, coinvolgono

tutto l’universo di Dylan Dog, e hanno l’obiettivo di riportare il personaggio alle origini, accostando però le tematiche splatter e inquietanti all’introduzione di molte novità al passo con i nuovi gusti dei lettori più giovani. La scommessa del creatore Tiziano Sclavi, della Casa editrice e di tutto lo staff che lavora alla realizzazione delle storie di Dylan Dog sta ridando linfa all’Indagatore dell’Incubo, grazie a quegli elementi che gli hanno permesso di emozionare e attraversare svariate generazioni.

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WOOD: TAILOR-MADE FINERY BARRIQUE-STYLE BARRELS HAVE ALWAYS BEEN A SUBJECT OF CONTROVERSY. FOR SOME, THEY ARE AN INDISPENSABLE TOOL, FOR OTHERS, THEY ARE SOMETHING AKIN TO AN ENEMY TO BE FOUGHT.

by Franco Maria Ricci Until recent years, the barrique barrel was one of the most important symbols of those wines which had been raised to national and international success, to the point that its natural role as a tool had been nearly reversed, until it had become an end of sorts rather than a means in the wine-making process.

This was followed by an inverse trend, and soon broad swathes of the wine-drinking population – not only in Italy, France and England, but in the U.S. and the East as well – were refusing to so much as taste a wine if it was said to have been aged in a barrique.

What we have done here is attempt to understand a little better this extraordinary tool for ageing some of the greatest red wines, and a few whites as well.

The barrique came into being to facilitate the transport of wine. It allowed a single man to move the greatest volume of liquid he possibly could. By rolling the container up or down an inclined plane, the wine could be loaded onto ships and barges and thus moved from place of production to place of consumption.

In addition to fulfilling transport needs, barriques had a direct impact on the characteristics of the wine they held. The wood allows the wine to breathe and receive a perfect amount of micro-oxygenation, but it also releases tannins and contributes to rendering the wine’s aromatic framework more complex.

All things considered, this small wood barrel contributes from a variety of standpoints. The very specific role it plays makes it immediately apparent that it is difficult to relegate the barrique to being a mere question of fashion.

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LEGNO, ABITO SU MISURA LA BARRIQUE È SEMPRE OGGETTO DI CONTROVERSIE. PER ALCUNI È UNO STRUMENTO INDISPENSABILE, PER ALTRI È QUASI UN NEMICO DA COMBATTERE. di Franco Maria Ricci Fino a pochi anni fa la barrique era diventata uno dei principali simboli dei vini votati al successo nazionale ed internazionale, quasi a ribaltare il suo ruolo naturale di strumento e divenendo una sorta di fine del processo di vinificazione.

Poi c’è stato il processo contrario che si è affermato presso fasce di pubblico abbastanza ampie, non solo in Italia, Francia o Inghilterra, ma perfino negli Stati Uniti e in Oriente, con gente che non assaggia un vino se solo viene dichiarato l’utilizzo della barrique.

Abbiamo cercato di capirne un po’ di più di questo straordinario strumento di madurante tutto il turazione dei grandi vini rossi e anche di processo di lavorazione alcuni bianchi. il fascino è accresciuto La barrique nasce per agevolare il trada potentissime sporto del vino, permettendo ad un solo sensazioni olfattive, uomo di movimentare la massima masgrazie a uno sviluppo sa possibile di liquido, facendo rotolare il di aromi che quasi contenitore su piani inclinati e stivando in stordisce questo modo navi e chiatte per spostarlo dai luoghi di produzione ai luoghi di consumo.

Oltre alle esigenze di trasporto, le barrique hanno avuto anche un ruolo di intervento diretto sulle caratteristiche del vino. Il legno permette di respirare e di ricevere una perfetta microssigenazione, ma cede anche tannini e contribuisce a rendere più complesso il quadro aromatico.

Insomma, il legno piccolo aiuta sotto molti punti di vista ed ha un ruolo ben preciso, per cui appare subito difficile relegarlo ad una pura questione di moda.

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FROM TREE TO BARRIQUE The very best quality trunks are about 15 metres long, with a diameter of no less than 50 cm. They are transported to the cooperage on enormous articulated lorries. Once at their destination, they are kept constantly moist. The next stage is to cut the timber into barrel staves. With just a few hours of work, interspersed between 2-3 years of ageing, a tree becomes a perfectly finished barrique.

The barriques made by the best cooperages are like true tailor-made finery.

The staves are arranged in stacks and left outdoors to age for 24 to 36 months. This step is crucial for achieving the best possible quality of wood.

This is followed by assembly. The next stage is the “mise en rose”, during which one end of each stave is placed inside a hoop, inside of which is placed a bucket. Within the bucket a fire has been kindled using the chips and shavings pro204

duced during manufacturing.

The toasting process has an allure that is deepened by powerful olfactory experiences, due to the development of nearly overwhelming aromas that range from toasted bread to Mediterranean scrub, from vanilla to caramel.

At this point, all that remains is to trim the ends of the staves, replace the working hoops with the final hooping, and move on to the final stage, which includes assembling the heads, made using those oak timbers that had knots and therefore could not be employed lengthwise. While the staves that make up the body of the barrique are simply placed one next to the other, without the use of any joints or adhesive, the heads are mounted using wooden dowels and reeds to provide a seal. A traditional “bread paste”, made of nothing but flour and water, is used to seal the cover as well as make subsequent small repairs.

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DALL’ALBERO ALLA BARRIQUE I tronchi della massima qualità sono lunghi attorno ai 15 metri, hanno un diametro non inferiore ai 50 cm e vengono trasferiti alla tonnellerie con enormi autotreni. Giunti nel luogo di lavorazione, vengono tenuti costantemente bagnati.

Dopodiché si procede al taglio per ricavare le doghe. In poche ore di lavorazione, intervallate da 2-3 anni di stagionatura, si passa dall’albero ad una barrique bella e finita.

La barrique dei migliori tonnelier è un vero e proprio abito su misura.

Le doghe vengono sistemate in cataste e lasciate all’aperto per un periodo di stagionatura dai 24 ai 36 mesi, decisivo per giungere a una qualità ottimale del legno.

A questo punto comincia il montaggio. Fase successiva è la “mise en rose”, in cui un lato delle doghe viene incastrato in un cerchio al cui centro si mette un secchio con la fiamma all’interno, alimentata dagli scarti e dalle trafilature delle

lavorazioni.

Durante tutto il processo, il fascino è accresciuto da potentissime sensazioni olfattive, grazie a uno sviluppo di aromi che quasi stordisce; si va dalle sensazioni di pane tostato a quelle di macchia mediterranea, dalla vaniglia al caramello.

A questo punto, non resta che rifilare gli estremi, inserire i cerchi definitivi al posto di quelli da lavorazione e iniziare la finalizzazione che passa anche attraverso l’assemblaggio dei coperchi, fatti impiegando i tratti di quercia con qualche nodo, quindi non utilizzabili per tutta la loro lunghezza. Mentre le doghe del corpo centrale della barrique sono semplicemente affiancate, senza alcun incastro o elemento collante, i coperchi sono montati con l’utilizzo di cilindretti di legno e delle guarnizioni di giunco, e viene usata la tradizionale pasta di pane, fatta con sola farina e acqua, per saldare il coperchio o per fare le successive riparazioni di piccola entità.

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THE FANTASTIC WORLD OF FORESTS Allier, Nevers, Tronçais and Vosges are some of the names we learned while visiting wine-makers or reading wine data sheets. These are the forests of origin which have characterized the French wood market in recent decades. They are all historic forests with very old trees.

Let us remind you that, as is the case with any type of plant, the timber trees provide differs based on the forest floor, soil composition, altitude, winds, exposition and a thousand other contingent factors, no more nor less than is the case with grapes.

All these elements, combined with the difficulty of finding characteristics that are consistent, even within the same forest, has resulted in designations that, increasingly, rather than identifying timber’s precise origin, instead certify a certain style. If we study cooperage catalogues, we find that, in many cases, this is already made clear. Those buying Allier oak barrique- or tonneau-style barrels know that these will contribute a specific type of impact, regardless of the wood’s actual place of origin.

THE HAND OF THE COOPER In addition to the style that is a result of origin, there is also that which derives from the production process, especially with regard to ageing time and the final toasting operation. Wood from the same parcel of land or even from the same tree can, during these stages, be made to give completely different organoleptic results.

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the toasting process has an allure that is deepened by powerful olfactory experiences, due to the development of nearly overwhelming aromas

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IL FANTASTICO MONDO DELLE FORESTE Allier, Nevers, Tronçais, Vosges sono alcuni nomi che abbiamo imparato facendo visita alle cantine oppure leggendo le schede tecniche dei vini. Rappresentano le foreste di provenienza e hanno caratterizzato il mercato dei legni francesi degli ultimi decenni. Si tratta sempre di foreste storiche con età degli alberi molto elevate.

Va ribadito che, come per qualsiasi altra specie vegetale, nei legni vi sono differenze che derivano dai suoli, dalla composizione del terreno, dall’altitudine, dai venti, dalle esposizioni e da mille altri fattori contingenti, né più né meno di come avviene per le uve.

Tutto questo, unito alla difficoltà di trovare caratteristiche costanti all’interno di una stessa foresta, ha fatto sì che le denominazioni, più che accertare una precisa origine dei legni, attestino sempre più un determinato stile. Analizzando i listini delle tonnellerie, in molti casi questo viene già specificato; insomma, chi compra una barrique o un tonneau di Allier sa di comprare una botte che darà un certo tipo di contributo, indipendentemente dalla reale origine del legno.

LA MANO DEL TONNELIER Accanto allo stile dell’origine, va aggiunto quello derivante dal processo produttivo, in particolare per quanto riguarda i tempi di stagionatura e l’intervento finale di tostatura. Legni provenienti dalla stessa particella o addirittura dalla stessa pianta possono così dare risultati organolettici completamente diversi.

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FULVIO PIERANGELINI, A HIGH-WIRE WALKER IN SEARCH OF HARMONY HIS WORDS PUT THINGS IN THEIR PROPER ORDER. ESPECIALLY IN THE KITCHEN

by Cristina Vannini Parenti Talking with Fulvio Pierangelini about food is like sitting down at table to sample his culinary skills. His words are measured, precise, essential, stripped of any superfluous emphasis, the better to achieve order and perfection of thought. They are the reflection of a man who has been able to explore himself in depth, so as not to lose himself in vanity or general distractions. Before meeting a chef, I met an artist, before a master of the kitchen, a philosopher. “I know where I stand. It guides me. In every moment of his life, a chef has to have a knowledgeable, almost militant attitude. A chef has to set

there is a sublime moment, when the ingredients are performing at their best, a fleeting moment that can only be seized

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himself up as a guarantor of quality, a promulgator of ethical production, maintaining a direct connection with farmers, stockbreeders and shepherds, keeping up a conversation with fishermen, always remaining on guard against any sort of speculation.”

The sacred meaning that food has for Fulvio Pierangelini comes across strongly – the mute but essential exchange between man and the food that nourishes him. Time spent at table is sacred and, as such, should be celebrated. When you cook, you need to approach the food with respect, treat the products with affection and give the ingredients

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FULVIO PIERANGELINI, UN FUNAMBOLO ALLA RICERCA DELL’ARMONIA LE SUE PAROLE RIECHEGGIANO E METTONO NEL GIUSTO ORDINE LE COSE di Cristina Vannini Parenti Parlare di cibo con Fulvio Pierangelini è come sedersi a tavola e gustare la sua abilità in cucina.

Le sue parole sono misurate, puntuali, essenziali, insomma ripulite da ogni superflua enfatizzazione per raggiungere ordine e perfezione anche nel pensiero. Sono lo specchio di un uomo che ha saputo indagare su se stesso in profondità per non disperdersi in vanità o generiche distrazioni. Prima di uno chef ho incontrato un artista, prima di un maestro di bottega un filosofo. “È una scelta di campo - mi suggerisce - un cuoco in ogni mo-

mento della sua vita deve avere un atteggiamento consapevole, quasi militante. Il cuoco dovrebbe erigersi come garante di una qualità, come promulgatore della produzione etica, mantenendo un filo diretto con contadini, allevatori e pastori, non interrompendo mai il dialogo con i pescatori, e rimanendo sempre vigile contro ogni speculazione”.

Emerge con forza il valore sacrale del cibo per Fulvio Pierangelini, il muto ma vitale scambio tra l’uomo e la pietanza che lo nutre. La tavola è un 209

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dignity, so as not to blaspheme this cyclical and perpetual “sacrificial ritual”.

“If I imagine preparing a dish with lobster and potatoes, I drive myself crazy because the potato – the product that is conventionally perceived as the most humble – becomes the star, the diva of the dish. It’s not virtuosity, it’s just that it’s too easy to do it the other way round.”

The concept of conviviality implies a subtle and constant challenge, like trying to create something exciting out of a dish that is apparently ordinary.

“Making a plate of spaghetti with tomato sauce, for instance, I have an overwhelming desire to create something that goes beyond memories of childhood, of moving moments at the family table, of our loved ones. I want to conjure up new perspectives.”

Pierangelini’s innate talent, his profound sensibility, are a roiling cauldron of emotions and anxieties that turn his personal equilibrium upside down and find renewed energy in his cooking. He is a visionary, a high-wire walker constantly balanced between different temporal planes, constantly seeking harmony.

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“In my belief, a dish is born simply from an inner necessity, a sort of intimate need. Not from a desire to amaze. I enter the kitchen and what comes out is something that is never again called into question, rethought or perfected. The first draft is the final one... You have to have the courage to accept imperfection, which your passion has created... that passion is never a thing unto itself. It is the endpoint of thousands of years of history, sacrifices, thoughts, sadness, anguish, fears and joys. An unrepeatable dish is a work of art that remains unique.”

In Fulvio’s mind, a perfect dish and a beautiful dish are not one in the same. He’s not interested in a quest for aesthetic perfection. “When a dish arrives at the table, it must express itself with immediacy, not tell the tale of the work that went into it. Every dish served must tell a little story, create a unique moment during which the life of the person who cooked it and the life of the person who is eating it become intertwined”.

I like to call him an artist, but he thinks that when an artist works in close contact with his “audience”, he loses his status as artist and becomes a crafts-

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c’è un momento sublime, in cui le pietanze danno il massimo, attimi inafferrabili che vanno solo carpiti

momento sacro e come tale va celebrata. Quando si cucina bisogna avvicinarsi al cibo con rispetto, trattare con affetto i prodotti e dare dignità agli ingredienti, per non rendere blasfemo un “rito sacrificale” che si perpetua ciclicamente.

“Se immagino di preparare un piatto con astice e patate, mi dannerò perché la patata diventi la protagonista, la diva nel piatto, il prodotto convenzionalmente percepito come più umile. Non è un virtuosismo, è che sarebbe troppo facile il contrario”.

Il concetto di convivialità implica una sottile e continua sfida, come cercare di dare emozioni con un piatto apparentemente ordinario. “Nel preparare uno spaghetto al pomodoro, ad esempio, sarà preponderante il desiderio di creare qualcosa che oltrepassi i ricordi dell’infanzia o i momenti struggenti del desco familiare, le persone care, evocando nuove prospettive”.

Il talento innato di Pierangelini, la sua sensibilità profonda sono un’ ebollizione continua di emozioni ed inquietudini che rovesciano l’equilibrio individuale trovando rinnovata energia nella sua

produzione gastronomica. E’ un visionario, un funambolo in continuo equilibrio fra differenti piani temporali, alla continua ricerca dell’armonia.

“Un piatto per me nasce semplicemente da una necessità interiore, da una sorta di bisogno intimo. Non dal desiderio di stupire. Entro in cucina e ciò che ne esce è una cosa che non è più messa in discussione, né ripensata, né messa a punto.

La prima stesura è quella definitiva… Bisogna avere il coraggio dell’imperfezione che è quello che l’emozione ha deciso… l’emozione non è mai fine a se stessa, arriva dopo mille anni di storia, di sacrifici, di pensieri, di malinconie, di angosce, di ansie, di gioie. Un piatto irripetibile è un opera d’arte che resta unica”.

Un piatto perfetto, per Fulvio non è sinonimo di bello, non lo interessa la ricerca estetica nella sua finitezza. “Un piatto quando arriva a tavola, deve esprimersi nella sua immediatezza, senza raccontare il lavoro che c’è stato dietro. Ogni piatto che viene servito, deve narrare una piccola storia, creando un attimo irripetibile in cui si intrecciano le vite di chi cucina e di chi mangia”.

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man. Then his thoughts return to the aromas that flow from his hands as he creates his pairings.

There is a sublime moment, when the ingredients are performing at their best, a fleeting moment that can only be seized. At those moments, while performing centuries-old gestures, each time he cleans a shrimp and pairs it with other ingredients, he finds his serenity.

“Loneliness and thoughts come to the surface, personalities and moods are revealed, likes and dislikes, the curious explorer’s spirit of someone who knows how to fashion his material... I do not point to a destination. If and when I reach it, I do not like to set up signs, like flags on the summit of a mountain.

For that fractional moment of joy I am there, then I begin to despair and look for somewhere else.”

It is an ongoing quest that starts with the basic ingredients. It involves tasks like identifying pure flours for people with celiac disease, flours that haven’t been meddled with and don’t have added chemicals – a quest he set out upon with Professor Cassi of the University of Parma. Pierangelini pushes his way into the heart, soul and essence of his basic ingredients, the better to exploit their maximum potential, his ultimate aim that of achieving the delicate but marvellous balance between gluten-free and pleasant-tasting.

In the end, it is the inner fire that drives him to reach always above and beyond that makes him truly an artist.

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A me piace definirlo artista, lui invece pensa che quando un’artista opera a stretto contatto con il suo “pubblico”, perde questo status e diventa un artigiano. Poi torna col pensiero ai profumi che nascono tra le mani mentre crea i suoi abbinamenti. C’è un momento sublime, in cui le pietanze danno il massimo, attimi inafferrabili che vanno solo carpiti. In quei momenti, mentre compie gesti secolari, ogni volta che pulisce un gambero e lo accompagna ad altre pietanze trova la sua serenità.

“Affiorano solitudini, pensieri, si svelano i caratteri, gli umori, le preferenze lo spirito curioso e ricercatore di chi sa plasmare la materia … non indico una meta, se e quando la raggiungo, non amo mettere segnali come una bandiera sulla cima della montagna. Per quella frazione di gioia io sono lì, poi inizia la disperazione e cerco un altrove”.

Una continua ricerca, a partire dalle materie di base, come l’individuazione delle farine pure per celiaci, senza interferenze o contaminazioni chimiche avviata con il Prof. Cassi dell’Università’ di Parma. Pierangelini si spinge fino al cuore, all’anima, all’essenza delle materie prime per sfruttarne al massimo le potenzialità con il fine ultimo di raggiungere quel delicato ma meraviglioso equilibrio tra proprietà senza glutine e piacevolezza del gusto…

Alla fine un artista lo è davvero proprio per quel fuoco interiore che lo spinge sempre oltre.

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MODAMUSEI THE BEAUTY OF BEAUTY IN BEAUTY

by Fabiana Giacomotti If you believe that in order to sell clothes you (only) need to exhibit well photographed skirts and bags, pay a moment of attention to the dates of the latest trendy Grand Slam, from which all of us in the industry have just emerged victorious but a bit tested, kind of Stan Wawrinka at Roland Garros. On April 24th, Max Mara: christening of the new Whitney Museum designed by Renzo Piano in downtown New York, sponsor the Maramotti family who, in addition to the important family collection on permanent display in Reggio Emilia, since 2005 it assigns, on a biennial basis, the Art prize for women in collaboration with the Whitechapel Gallery in London. The April 30th: Giorgio Armani, inauguration of the Armani Silos in the former

MODAMUSEI IL BELLO DEL BELLO NEL BELLO di Fabiana Giacomotti Se credete che per vendere vestiti serva (solo) mostrare delle gonne e delle borse ben fotografate, prestate un minuto di attenzione alle date dell’ultimo Grande Slam modaiolo, da cui tutti noi del settore siamo appena usciti vittoriosi ma un po’ provati, genere Stan Wawrinka al Roland Garros. Il ventiquattro di aprile, Max Mara: festa di battesimo del nuovo Whitney Museum progettato da Renzo Piano a New York downtown, sponsor la famiglia Maramotti che, oltre all’importante collezione di famiglia esposta in permanente a Reggio Emilia, dal 2005 attribuisce su base biennale l’Art prize for women in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra. Il trenta di aprile: Giorgio Armani, inaugurazione dell’Armani Silos nell’area ex Nestlé a Milano. Il sei di maggio 214

Nestlé area in Milan. On May 6th and May 9th: opening of the exhibition “Portable Classics” at Cà Corner of the Regina - Prada Foundation - Venice and then, preceded by two evenings orchestrated for different audiences, the new Prada museum center, again in Milan. May 7th, Ferragamo: opening of the now classic annual exhibition, which is usually celebrated during the days of Pitti, that is, in the second half of June, and focuses on the parallels between the genius craftsmanship of the founder and an artistic expression of global significance. This year, the chosen theme is the Palazzo Spini Feroni, the historical and institutional site of the company and its museum, which reflects fourteenth century style battlements in the waters of the Arno river: a high caliber intervention to strengthen in short, the value of the brand in an artistic key but, above all, heritage. In the year of Expo Milano, none of the large Italian fashion companies wanted to limit the presence and brand to an event of pure representation or, heaven forbid, a simple fashion show or presentation. The wager, calibrated on contemporary times but of a Renaissance matrix, is in fact quite a great work, the sign of an

e poi il nove di maggio: apertura della mostra “Portable Classics” a Cà Corner della Regina- Fondazione Prada Venezia e quindi, preceduta da due serate orchestrate per pubblici diversi, del nuovo polo museale di Prada, ancora a Milano. Il sette di maggio, Ferragamo: opening dell’ormai classica mostra annuale, che però di solito viene celebrata durante le giornate di Pitti, cioè nella seconda metà di giugno, e si concentra su un parallelismo fra il genio artigianale del fondatore e un’espressione artistica di rilievo mondiale. Quest’anno, invece, il tema scelto è Palazzo Spini Feroni, sede storica e istituzionale dell’azienda e del suo museo, che specchia merlature e puro stile trecentesco nelle acque dell’Arno: un intervento di grosso calibro, insomma, per il rafforzamento del valore del brand in chiave artistica ma, soprattutto, patrimoniale. Nell’anno di Expo Milano, nessuna delle grandi aziende della moda italiana ha voluto limitare la presenza e il segno a un evento di pura rappresentanza o, fosse mai, alla semplice sfilata o presentazione. La scommessa, calibrata sui tempi contemporanei ma di matrice rinascimentale, è infatti e piuttosto la grande opera, il segno imperituro di sé attraverso il dono pubblico

WHITNEY MUSEUM NYC 2014/©KARIN JOBST COURTESY OF MAX MARA

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NUOVA SEDE FONDAZIONE PRADA - MILANO/©BAS PRINCEN COURTESY OF FONDAZIONE PRADA

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undying self through the public gift of a space for entertainment and culture; the constant comparison with beauty and its evocative power supported by those who, like the popes and princes of old, as Pope Julius II or Ippolito II d’Este, had the possibility to offer the vast public a work of great artistic level, but that, unlike the patrons of the past, does not seek political consensus, but an aesthetic and,

a great work, the sign of an undying self, through the public gift of a space for entertainment and culture not infrequently, economic consensus: to sell a mass-produced skirt, but also a couture gown, has a different value if he who offers it has a public reputation as a connoisseur and patron of the arts.

This was already noticed by Jacques Doucet, mentor of Paul Poiret, one of the greatest fashion innovators of the twentieth century together with Coco Chanel, Yves Saint Laurent and Armani himself

when, in 1917, he made available to the Université de Paris his precious library of manuscripts and books of art and archeology, and to the scholars of the history of costume and fashion the results of years of research by a group of specialists, giving the French capital that creative-cultural impulse that it still enjoys, and its customers the pride of wearing something other than a simple draped cloak, albeit magnificent. Along this trail, and this example, were born the fashion museums in Paris, and the major foundations of fashion patrons across the Alps, from François Pinault to Bernard Arnault.

For Italy, the transition from Borghese and from the Farnese to Armani, the Bertelli and the Maramotti was not as direct or simple, there being a massive production of clothes in series, although made with excellent features. But the passion for the collection and the taste for beauty, which are natural and necessary for those involved in designing clothes for a public that likes to dress, and not only to cover up or doll up, also led entrepreneurs of Italian fashion to overcome particularism and private collections and open up to at a cultural democracy, which

di uno spazio per l’intrattenimento e la cultura; l’e- slancio creativo-culturale di cui gode tuttora, e alle quiparazione costante con il bello e la sua potenza sue clienti l’orgoglio di indossare qualcosa di diverevocatrice sostenuta da chi, come i papi e i principi so da un semplice mantello drappeggiato, seppur di un tempo, come il pontefice Giulio II o Ippolito II magnifico. Lungo questa scia e questo esempio, d’Este, ha la disponibilità per offrire al vastissimo sono nati i musei della moda parigina, e le grandi pubblico un’opera di grande livello fondazioni dei patron della moda artistico, ma che, a differenza dei d’Oltralpe, da François Pinault a mecenati di un tempo, non cerca Bernard Arnault. Per l’Italia, il pasnell’anno di Expo il consenso politico, bensì quello saggio dai Borghese e dai Farnese nessuna delle grandi estetico e, non di rado, economico: agli Armani, i Bertelli e i Maramotaziende della moda vendere una gonna prodotta in seti non è stato altrettanto diretto o italiana ha voluto rie, ma anche un abito di couture, semplice, essendovi di mezzo una limitare la presenza ha un valore diverso se chi la offre massiccia produzione di abiti in sea evento di pura gode di una reputazione pubblica di rie, benché realizzati con caratterirappresentanza conoscitore e protettore delle arti. stiche di eccellenza. Ma la passione Se ne era già accorto Jacques Douper il collezionismo e il gusto per il cet, mentore di Paul Poiret, uno fra bello, che sono condizioni naturali e i più grandi innovatori della moda del Novecento necessarie in chi si occupa di disegnare abiti per un insieme con Coco Chanel, Yves Saint Laurent e con pubblico interessato a vestirsi, e non solo a coprirsi lo stesso Armani quando, nel 1917, mise a disposi- o ad agghindarsi, ha portato anche gli imprenditori zione dell’Université de Paris la sua preziosa biblio- della moda italiana a superare il particolarismo e il teca di manoscritti e di libri d’arte e di archeologia, collezionismo privato per aprirsi a un impegno cule agli studiosi di storia del costume e della moda turale democratico, che si riverbera positivamente i risultati di anni di ricerche da parte di un gruppo sul valore percepito dell’azienda. Patrizio Bertelli e di specialisti, dando alla capitale francese quello Miuccia Prada amano sinceramente l’arte: ma qua217

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is reflected positively on the perceived value of the scholars and anyone interested in fashion”. He did company. Patrizio Bertelli and Miuccia Prada sin- it on the opening night of Expo as official ambascerely love the art: but almost certainly the Prada sador, that is, giving his imprimatur to the event brand would not enjoy today’s multiples if in 1995 and agreeing to share the spotlight (in fact, pointit had not opened the first Foundation and did not ing them on himself and distancing them from the become permanently associated with the best controversy over the public management of the creative minds in every field for the event), and he did so with an investpreparation of its boutiques (in the ment of fifty million Euro which in early twenty-first century, the epiturn fostered the impressive work in the year of Expo center of New York was epoch) and of recovery of the old distilleries in Milano none of the the curatorship of its exhibitions. It Largo Isarco, in the south of Milan, large italian fashion is almost impossible to count the where Prada opened the new Head companies wanted benefits it enjoys from coupling Office of the Foundation, designed to limit the presence pure art with an expression of art by the Oma studio, led by Rem Koolto an event of pure applied to fashion, but there is no haas and of course was greeted representation doubt that this benefit exists. Not with total enthusiasm by all institusurprisingly, Armani gave Milan, the tions of the city, because how would city with which it most identifies it have been possible upgrade and and which has become a symbol not only a mu- build from scratch an area of 20 thousand square seum intended to collect forty years of work and meters without the intervention of a private indicreativity in a summary update of the famous mil- vidual; better yet, a private fashion individual who lennium exhibition at the Guggenheim, but also a guaranteed taste, reliability and cost control, even photographic archive, a venue for exhibitions and though in a Pharaonic key as in this case. a library: “A center for live culture, for art, open to Museum, educational area designed for children

si certamente il marchio Prada non godrebbe dei multipli di oggi se nel 1995 non avesse aperto la prima Fondazione e non si fosse associato stabilmente alle migliori menti creative di ogni campo per l’allestimento delle proprie boutique (nei primi anni Duemila, l’Epicentro di New York fece epoca) e per la curatela delle sue mostre. E’ quasi impossibile quantificare il beneficio di cui goda dall’apparentamento all’arte pura un’espressione dell’ arte applicata come la moda, ma non vi sono dubbi che questo beneficio ci sia. Non a caso, Armani ha regalato a Milano, la città in cui maggiormente si identifica e di cui è diventato uno dei simboli, non solo un museo destinato a raccogliere quarant’anni di lavoro e di creatività in una summa aggiornata della famosa mostra del Duemila al Guggenheim, ma anche un archivio fotografico, una location per mostre e una biblioteca: “Un centro di cultura viva, di arte, aperto agli studiosi e a chiunque sia interessato alla moda”.

Lo ha fatto nella serata inaugurale di Expo da ambasciatore ufficiale, cioè dando il proprio imprimatur all’evento e accettando di condividerne i riflettori (in realtà, di puntarli su di sé allontanandoli dalle polemiche sulla gestione pubblica dell’evento), e lo 218

ha fatto con un investimento di cinquanta milioni di euro che è a sua volta un richiamo all’imponente opera di recupero delle vecchie distillerie di Largo Isarco, nella zona sud di Milano, in cui Prada ha aperto la nuova sede della Fondazione, progettata dallo studio Oma, guidata da Rem Koolhas e naturalmente salutata con totale entusiasmo da tutte

la grande opera, segno imperituro di sé, attraverso il dono pubblico di uno spazio per l’intrattenimento e la cultura le istituzioni della città, perché come si sarebbe mai potuta riqualificare e costruire ex novo un’area di 20mila metri quadrati senza l’intervento di un privato; meglio ancora, di un privato della moda che è garanzia di gusto, affidabilità e controllo dei costi, pur se in chiave faraonica come in questo caso. Museo, area didattica destinata ai bambini sviluppata con l’Ecole nationale supérieure de Versailles, bar ideato dal regista Wes Anderson su ispirazione dei

NUOVA SEDE FONDAZIONE PRADA - MILANO/©BAS PRINCEN COURTESY OF FONDAZIONE PRADA

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ARMANI SILOS - ENTRANCE 2/©DAVIDE LOVATTI COURTESY OF GIORGIO ARMANI

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ARMANI SILOS - INTERIOR /©DAVIDE LOVATTI COURTESY OF GIORGIO ARMANI

tipici caffè di Milano che nessuno ha mai visto e di cui non saprebbe riconoscere la tipicità perché fra i trani delle periferie di un tempo e il caffè Marchesi di corso Magenta acquisito dalla stessa Prada un anno fa c’è nulla in comune, ma che è comunque bellissimo perché frutto dell’immaginazione di un regista visionario. Così, mentre la politica italiana mette l’accento sulle “feconde alleanze” e incassa un dividendo di popolarità del tutto insperato, i visitatori di Expo mettono invece in agenda le iniziative in programma presso i nuovi musei: da Armani, una selezione del suo lavoro, uno spazio proto-industriale restituito alla città e nuovi spazi per lo studio e le esposizioni; da Prada, appunto, una mostra declinata fra Venezia e Milano sul valore della copia nell’arte antica curata da Salvatore Settis, e una rassegna cinematografica curata da Roman Polanski che parte da un suo documentario inedito. Nessun ente pubblico, nei paesi occidentali, potrebbe permettersi da solo un tale impegno e una simile offerta culturale in una sola città. Il mark up su gonne, cappotti e piumini, dimostra insomma di poter avere un senso. Di restituzione, anche.

ARMANI SILOS - ENTRANCE /©SGP SRL COURTESY OF GIORGIO ARMANI

developed with the Ecole nationale supérieure de Versailles, the bar conceived by the director Wes Anderson on inspiration of the typical cafes in Milan that nobody has ever seen and cannot be recognized as typical because located in one time suburbs, and of course the Marchesi café in Corso Magenta purchased by Prada a year ago have nothing in common, but they are still beautiful because they are a figment of a visionary director. So, while Italian politics puts the emphasis on “fruitful alliances” and collects the dividends of an entirely unexpected popularity, visitors to the Expo note on their agenda the initiatives planned at the new museums: Armani, a selection of his work , a proto-industrial space returned to the city and new areas for study and exhibitions; Prada, in fact, an exhibition spread between Venice and Milan on the value of a copy in ancient art curated by Salvatore Settis, and a film festival curated by Roman Polanski that starts with his new documentary. No public entity in Western countries, could on their own afford such a commitment and such a cultural offer all in one city. The mark up on skirts, coats and quilts, demonstrates in short that it makes sense.

So does restoration.

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ARMANI SILOS - INTERIOR/©DAVIDE LOVATTI COURTESY OF GIORGIO ARMANI

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WHITNEY MUSEUM NYC 2014/©TIMOTHY SCHENCK/WHITNEY MUSEUM COURTESY OF MAX MARA

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ROSSI VS MULLER A REFLECTION ON TWO CHAMPIONS

by Adriano Bacconi Gerd Muller, “Der Bomber”. Paolo Rossi, “Pablito”. Muller is from Nördlingen, West Germany.

Paolo Rossi from Prato, Italy. The German was born on November 3, 1945. The Italian on September 23, 1956. Gerd Muller and Paolo Rossi, top international goalscorers.

Gerd Muller appeared on the World Cup stage for the first time in Mexico, in 1970. 25 years old, he was leading the West German attack. His impact on the tournament was devastating. He scored over and over again, including during the legendary Italy-Germany 4-3 match. With 10 goals in 6 matches, he was the top goalscorer in Mexico in 1970. Four years later, the tournament was held in Germany. Muller played in seven matches and scored four goals. The last was the one that won West Germany its second World Cup. carpe diem, that is the

Paolo Rossi exploded onto the scene motto of these two suddenly during the 1978 World Cup in “super-goalscorers”, Argentina, when the Italian team took masters of seizing the fourth place. He was the tournament fleeting moment revelation, scoring 3 goals and making a name for himself on the international stage. He was back again for the dual-natured 1982 World Cup in Spain: a first half worth forgetting, and then the thrilling crescendo of the comeback. With a hat trick he brought Brazil to tears. Scoring a total of six goals, he carried Italy to its third World Cup victory. He also took home the title of top goalscorer. His World Cup arc reached its end in Mexico in 1986, after a total of 14 matches and 9 goals.

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ROSSI VS MULLER CAMPIONI ALLO SPECCHIO di Adriano Bacconi Gerd Muller, “Der Bomber”. Paolo Rossi, “Pablito”. Muller è di Nordlingen, Germania Ovest.

Paolo Rossi di Prato, Italia. Il tedesco è nato il 3 novembre 1945. L’italiano il 23 settembre 1956.

Gerd Muller e Paolo Rossi, goleador mondiali.

Gerd Muller compare per la prima volta sulla scena di un mondiale nel 1970, in Messico. Ha 25 anni e guida l’attacco della Germania Ovest.

Il suo impatto sul torneo è devastante. Segna a ripetizione, anche nella mitica Italia-Germania 4-3. E’ il capocannoniere di Mexico ’70 con 10 reti in sei partite. Quattro anni dopo i mondiali si disputano in Germania. Muller gioca sette gare e realizza quattro gol. L’ultimo è quello che regala la seconda Coppa del Mondo alla Germania Ovest.

Paolo Rossi esplode all’improvviso ai Mondiali di Argentina 1978 arrivando carpe diem è il motto quarto con l’Italia. È la rivelazione del dei due superbomber, torneo, segna 3 gol e si consacra a livelmaestri nel cogliere lo internazionale. Torna in Spagna ’82 per l’attimo fuggente un mondiale dalle due facce: prima parte da dimenticare, poi la riscossa in un crescendo di emozioni. Con una tripletta fa piangere il Brasile, con sei gol complessivi trascina l’Italia al terzo successo mondiale. Per lui c’è anche il titolo di capocannoniere. La sua parabola mondiale si chiude in Messico ’86 per un totale di 14 partite e 9 gol.

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A FLEETING MOMENT

APPEARANCES ARE DECEIVING

Carpe diem. That is the motto of these two “super-goalscorers”, masters of seizing the fleeting moment. It’s a tough call, but the prize for a wider variety of striking techniques has to go to Gerd Muller. He’s a ruthless goalscorer, merciless in the penalty box. When a ball bounces off the bar or shoots past somewhere near him, in his mind there’s only one possible outcome. He can feel the goal coming. He sees the net, even when he seems to be looking elsewhere.

Paolo Rossi is a penalty-box man. He’s always focused. He can smell a goal in the air. He seizes the moment, beats both adversaries and teammates to the punch. In this way he makes the most of his natural talent for taking advantage of situations as they present themselves.

Neither Gerd Muller nor Paolo Rossi seem to have a top-scorer’s physique.

Gerd Muller has little of the German about him.

Latin features, low centre of gravity and round body. His swift movements enable him to slip away from defender and goalkeeper alike.

Paolo Rossi is all about agility, speed, timing.

And luck. He lives in the tight spots. He is quick of leg and of mind. His choice of next move is instantaneous.

both small of stature, and yet both memorable for their aerial abilities. this, too, is a part of their repertoire

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REPERTOIRE Both small of stature, and yet both memorable for their aerial abilities. This, too, is a part of their repertoire. In this respect, Gerard Muller outshines Pablito.

He often uses his head, and his ability to anticipate the moves of defenders much taller than himself is magical. A trickster, he knows that simply brushing his hair against the ball as it flies by is enough to fool his adversaries and the goalkeeper.

FA N TA S I A I TA L I A N A

L’ATTIMO FUGGENTE

LE APPARENZE INGANNANO

Carpe diem. È il motto dei due superbomber, maestri nel cogliere l’attimo fuggente. È una lotta dura, ma Gerd Muller ha più varietà di colpi. È un goleador spietato. In area non perdo-

Gerd Muller e Paolo Rossi non sembrano avere un fisico da bomber.

Di tedesco ha poco Gerd Muller. Tratti latini, baricentro basso e corpo rotondo. I movimenti rapidi gli consentono di sgusciare via, beffando difensore e portiere.

Paolo Rossi è l’agilità, la rapidità, il tempismo.

Anche la fortuna. Vive negli spazi stretti. E’ rapido di gambe e di testa. La scelta della giocata è istantanea.

entrambi piccoli di statura eppure capaci di lasciare il segno anche nel gioco aereo. c’è anche questo nel loro repertorio na. Palloni che rimbalzano sulla traversa o che schizzano nelle sue vicinanze. Per lui la soluzione è sempre la stessa. Sente il gol. Vede la porta anche quando lo sguardo sembra diretto altrove.

Paolo Rossi è un uomo d’area. Sempre concentrato. Sente il profumo del gol. Coglie l’attimo perché brucia sul tempo avversari e compagni.

E’ così che esalta al massimo le sue doti di naturale opportunista.

IL REPERTORIO Entrambi piccoli di statura eppure capaci di lasciare il segno anche nel gioco aereo. C’è anche questo nel loro repertorio. E Gerd Muller, in questo, si fa preferire a Pablito.

Usa spesso la testa ed è magico nell’anticipare difensori ben più alti di lui. Beffardo anche quando basta solo sfiorare il pallone con i capelli, ben sapendo che anche così si beffano avversari e portiere.

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Paolo Rossi, on the other hand, doesn’t have great takeoff, but he has timing and instinct when it comes to scoring. He went to his knees to drive a perfect cross from Bruno Conti into the net. He got the jump on everyone, goalkeeper and team-mates alike. He’s always the first.

ROLE There’s no doubt about their role. Centre forwards in name and in deed. Of the two, it is the German who best represents the legend of the number 9. He tries to blend in by wearing a number 13, but everyone knows who Gerd Muller is.

He takes his place at the heart of the penalty box, waiting to strike. He knows how to take advantage of teamwork. But that is not where his responsibilities end. Muller can pass back, too.

Rossi burst onto the scene in Argentina with the number 21. In Spain he had the number 20, but he made a disappointing beginning. It seemed that Italy had lost its centre forward, that he was just some ordinary guy. But Pablito hung on and came back. His hat trick during the match with Brazil on July 5, 1982, earned him the title of Hombre del partido. As the song goes, “They killed Pablo. Pablo lives.”

WORLD CUP Both world champions. Eight years apart. But it’s the “Azzurro” who stands highest on the podium.

Munich, July 7, 1974. West Germany and the Netherlands in the final match. Minute 44. The score is stuck at 1-1. The strike comes from the right of the German team. It’s the last goal that Gerd Muller will score while wearing his National Team jersey. The German “bomber” ends on that note, holding high the World Cup. Paolo Rossi made crucial contributions to the most important 1982 matches in Spain. It was he who made the goals that enabled Italy to climb to the highest step of the World Cup podium, against all odds. Three against Brazil, two against Poland, and the third against Germany in the final match at Bernabeu Stadium.

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Paolo Rossi invece non ha grande stacco, ma ha tempismo e fiuto per il gol. Si inginocchia per spingere in rete un cross al bacio di Bruno Conti.

Schizza anticipando tutti, portiere e compagni.

Ma il primo è sempre lui.

IL RUOLO Nessun dubbio sul loro ruolo. Centravanti di nome e di fatto. Tra i due è il tedesco a rappresentare al meglio il mito del numero 9. Cerca di mimetizzarsi indossando il tredici, ma tutti sanno chi è Gerd Muller. Si piazza nel cuore dell’area di rigore, in attesa di colpire. Sa far fruttare bene il lavoro della squadra. Ma non finiscono qui i suoi compiti. Muller è capace anche di ricambiare.

Rossi in Argentina esplode con il numero 21. In Spagna ha il 20, ma all’inizio delude. L’Italia ha perso il suo centravanti. E’ un signor Rossi qualunque. Pablito, però, non demorde e rinasce.

La tripletta con il Brasile il 5 luglio 1982 lo con-

sacra Hombre del partido. Hanno ammazzato Pablo. Pablo è vivo.

COPPA DEL MONDO Entrambi campioni del mondo. Con otto anni di distanza l’uno dall’altro. Ma è dell’azzurro il gradino più alto del podio.

Monaco di Baviera, 7 luglio 1974. Finale tra Germania e Olanda. Minuto numero 44. Il punteggio è fermo sull’1-1. Percussione dalla destra della Germania. E’ l’ultimo gol di Gerd Muller con la maglia della sua Nazionale. Chiude così il bomber tedesco, alzando la Coppa del Mondo.

Nelle partite più importanti di Spagna ’82 l’apporto di Paolo Rossi è fondamentale. E’ lui a mettere la firma nei gol che consentono all’Italia di salire sul gradino più alto del mondiale a dispetto dei pronostici. Tre al Brasile, due alla Polonia e il primo alla Germania nella finale del Bernabeu.

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A N I M A Before dedicating his life to the service of God, Saint Francis was an artistic soul, a poet, a singer, and a lover and devotee of the Occitan troubadours and the culture of fine music. He blended art and spirituality to create the greatest religious and poetic masterpiece ever conceived, the Canticle of the Creatures, in which human and otherworldly combine in jovial praise and celebration of the divine. It is no coincidence that Francis loved to call himself God’s Jester.

San Francesco prima di dedicarsi al servizio di Dio era un animo artistico, poeta, cantore, amante e seguace dei trovatori provenzali e culture della buona musica. Unendo arte e spiritualità diede vita al più grande capolavoro religioso e poetico mai concepito, il Cantico delle Creature, dove umano e ultraterreno si fondono in una lode a celebrazione del divino che non rinuncia mai alla giovialità. Non a caso Francesco amava definirsi il Giullare di Dio.

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WHAT’S A MORNING WITHOUT A MOKA? COFFEE AND THE MOKA POT, THE FIRST NOTE OF EVERY DAY. FROM PERSONAL RITUAL TO COMMERCIAL PRODUCT. FROM CRAFTSMANSHIP TO DESIGN.

by Cecilia Mazzeo In nearly every home in Italy, but not in Italy alone, there is a sound that marks the passage from night to day. That sound is like a pencil line that separates two moments: the before and the after. No, it’s not the annoying trill of the alarm clock. To explain it we must call upon Pascoli, who evoked it in his poem Temporale (“Storm”) with the onomatopoeic “bubbolio”, a kind of bubbling rumble. Pascoli uses the word “bubbolio” to describe the grumbling of the sky at the approach of a storm. The sound of the word “bubbolio” has a roundness to it. It simmers with a kind of internal muttering, a crescendo that implodes without spilling over. The coffee ritual calls to mind that “bubbolio”, a sort of storm

of the senses, an almost religious ceremony, without which the day begins on the wrong foot.

Coffee is something more than just a pleasant beverage. It is both a pairing and a harmony, an alchemical switch that starts us moving. It marks the beginning and end of a break. It is the acanthus leaf without which the capital would not be Corinthian. It is illusion and reconciliation, gift and automatism. Within the ritual of coffee lies a desire to either break time up or stretch it out, even if only for a few short minutes. “Shall we go get a coffee?” “I paid for your next coffee at the café.” “We’ll have a coffee together one of these days!” “How many of you want a coffee?”

“Let’s talk about it after I’ve drunk my coffee,

IL MATTINO HA LA MOKA IN BOCCA IL CAFFÈ E LA MOKA, LA NOTA INCIPIT DI OGNI GIORNATA. DA RITO PERSONALE A PRODOTTO COMMERCIALE. DALL’ARTIGIANATO AL DESIGN. di Cecilia Mazzeo C’è un rumore che, in quasi tutte le case d’Italia e non solo, segna il passaggio dalla notte al giorno. Quel rumore è come una riga di matita che separa due momenti: il prima e il dopo. No, non è il trillo fastidioso della sveglia. Per raccontarlo bisogna scomodare Pascoli e la sua figura onomatopeica nella poesia Temporale: il bubbolio. Pascoli parla di bubbolio per descrivere il rumore del cielo che borbotta all’avanzare di un temporale. La parola bubbolio ha in sé un suono rotondo, un sobbollire, una specie di “brontolio dentro”, un crescendo che implode senza fuoriuscire. Il rito del caffè ri-

corda il bubbolio, una sorta di temporale sensoriale, un gesto quasi liturgico senza il quale la giornata inizia col piede sinistro. Il caffè non è solo una piacevole bevanda, è qualcosa di più: è un accompagnare e un accompagnarsi, è una maniglia alchemica in cui troviamo lo start, è inizio pausa e conclusione, è la foglia d’acanto senza la quale il capitello corinzio non sarebbe tale, è illusione e conciliazione, dono e automatismo. Nel rito del caffè c’è la volontà di spezzare il tempo o di dilatarlo, fosse anche per pochi minuti. E’ facile imbattersi in queste espressioni che, nella nostra quotidianità, sono 235

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rassicuranti abitudini: “ci prendiamo un caffè?”, “ti ho lasciato un caffè pagato al bar”, “prima o poi berremo un caffè insieme!”, “in quanti volete il caffè?”, “parlami dopo che ho bevuto il caffè, per favore.” Ecco che allora il caffè si fa veicolo.

E’ un modo per ospitare, per offrirsi, è un modo per creare un appuntamento d’amore e dare il via a una conoscenza, è la coccola che spezza la routine e ridesta, è la conclusione di un lauto pranzo, ma anche il gesto scaramantico di certi artisti la notte o di chi lo trova conciliante per il sonno.

Oggetto e ispiratore di dipinti di Manet, di Renoir e di Van Gogh e di canzoni. Compagno di composizioni di Bach. Beethoven ne contava addirittura i sessanta chicchi perché avesse sempre la stessa “forza”.

Negli anni il rito si è affinato ponendo l’accento sulla differenza casa/bar. Ci sono gli estimatori della moka che oltre alla diversa qualità del caffè amano il “fare”: preparare la moka, 236

quasi accudirla e farsi travolgere da quella piccola nascita di suono e profumo; e quelli del ristrettissimo da bar, un distillato di poche gocce. Gl’intenditori al bar li riconosci subito: studiano la superficie del caffè, fanno compiere movimenti circolari alla tazzina, osservano quanto impiega lo zucchero per scendere. Se lo zucchero non precipita significa che il caffè è perfetto, con la giusta corposità e muscolatura, una patina di velluto che si fa crema. Anche se c’è chi sostiene che il vero caffè sia amaro, senza zucchero. L’espandersi di questo rito ha alimentato l’esigenza di farlo divenire oggetto di studio sensoriale, aromatico, ma anche estetico, tecnologico e industriale. A partire dalla moka che da prodotto semi artigianale è diventato un prodotto industriale e un oggetto di culto di design in un vero e proprio climax ascendente evolutivo.

Prima dell’avvento della moka e dell’espresso c’era la caffettiera napoletana, detta anche cuc-

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if you don’t mind.” We often hear these sorts of phrases. They stand for reassuring patterns in our day-to-day lives. Thus coffee becomes a vehicle. We can use it to play the host, to put ourselves forward, to make a romantic date and get to know someone. It is the treat that breaks our routine and rouses us. Not only does it marks the end of a lavish lunch, but it can also serve as a superstitious gesture of routine for some artists who work at night or those individuals who find a cup of coffee to be conducive to sleep.

It has been both subject and inspiration for paintings by Manet, Renoir and Van Gogh, as well as for music. It was Bach’s companion in composition. Beethoven would even count out exactly seventy beans so that his would always be equally “strong”.

Refinement of the ritual over the years has placed an emphasis on the difference of home vs. café. There are those who are connoisseurs of the moka, who love not only the different nature of the coffee it produces, but also the act of “making” it: preparing the moka, almost ministering to it, and letting oneself be transported by the sound and scent as they are born. Then there

are those who love the café’s tiny “ristrettissimo”, those few concentrated drops. At the café you can immediately pick out the experts. They hold their cups and swirl them; they observe how long the sugar takes to become submerged.

If the sugar does not sink quickly, then the coffee is perfect, with the proper robustness and musculature, a coating of velvet that becomes cream. Although there are those who maintain that true coffee should be bitter, without sugar.

The spread of this ritual has fuelled the need to transform it into a subject of study that is sensory and aromatic, as well as aesthetic, technological and industrial. It begins with the moka pot, which has grown from semi-artisanal to industrial product, becoming the object of a design cult in what is truly the climax of a progressive evolution.

Before the advent of the moka and the espresso, there was the Neapolitan coffee-maker, also called a cuccumella, from cuccuma, a copper or terracotta vessel invented in 1819 by the Frenchman Morize. Its use eventually spread throughout Italy. The earliest were made of tinplate, then copper, and subsequently of aluminium. While

Ital ian Rh ap sody The Circle of Scipio found a new home in cafés.

In particular, the Caffè Rosati in the Piazza del Popolo became, starting in the 1950s, the place to meet for cultural debate, with patrons from Pasolini to Morante. The 1960s saw the arrival of the bohemians, the “masters of pain”, the snobs in black, Angeli, Festa and Schifano. “… we definitely didn’t arrange to meet over the phone… It was there that we discussed and wrote storylines, treatments and whole screenplays,” says screenwriter Ugo Pirro.

Il Circolo degli Scipioni si sposta nei caffè.

In particolare Il Caffè Rosati a piazza del Popolo dagli anni ‘50 diventa il punto di incontro del dibattito culturale, da Pasolini, alla Morante, e dagli anni ‘60 si aggiungono alla bohème i “maestri del dolore” gli snob in nero, Angeli, Festa, e Schifano, “… non usavamo certo il telefono per metterci d´accordo… Lì dibattevamo e scrivevamo soggetti, trattamenti e intere sceneggiature.” racconta lo sceneggiatore Ugo Pirro.

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today one can still find the traditional variety, ened, is placed over the pot’s spout, to prevent others are of the innovative sort. For a Neapol- the “steam and aroma” from escaping. To judge itan, the only true coffee is the kind that comes when it is properly done, meaning the right colout of this sort of coffee-maker, with its down- our, is also a difficult task. De Filippo says that turned spout. The great actor and screenwrit- it should be the shade of “a monk’s robe”, that is, the colour of sackcloth. The Neer Eduardo De Filippo described apolitan coffee-maker is based how to prepare it in his 1945 comon the principle of percolation, edy, Questi Fantasmi. To make the beverage that Neapolitan coffee with a cuccumeaning the slow filtration of a everyone, or nearly mella, which is composed of four liquid (water near boiling point) everyone, can agree parts, you need a good coffee mill, through a solid (the ground cofon. one question high-quality roasted coffee beans fee). remains: is it better and room-temperature water, It was in 1933, however, that the at home or at the free of lime salts if possible. In real revolution occurred, with the café? the cuccuma, instead of rising, creation of the first Moka Bialetti. the coffee descends. When a drop The origin of the name “moka” lies in Mokha, a city in Yemen known of water emerges from the reservoir, this means that the correct temperature for its production of coffee, especially of the Arhas been reached and that it is time to flip the abica variety. Alfonso Bialetti began his career cuccumella, so that the water can descend into as a smelter in France and went on to become the coffee receptacle. What is required from that the owner of an aluminium foundry in the provmoment onward is time with no rush, or “senza ince of Verbania. Watching his wife doing the pressa”, as the Neapolitans say. Another trick laundry in her lisciveuse washing machine (from is a cuppetiello, a little paper cone that, damp- liscivia, the name of a detergent of the time), he

cumella, da cuccuma-vaso di rame o terracotta, inventata nel 1819 dal francese Morize e poi diffusa in tutta Italia. Le prime furono prodotte in latta stagnata, poi in rame, successivamente in alluminio. Ancora oggi se ne trovano di tradizionali, ma anche di innovative. Per il napoletano il vero caffè è solo quello che esce da questo tipo di caffettiera con il beccuccio rivolto verso il basso. Il grande Eduardo De Filippo ne descrive la preparazione nella commedia Questi fantasmi del 1945. Per fare il caffè napoletano con la cuccumella, composta da 4 pezzi, ci vuole un buon macinino, chicchi di caffé tostato di qualità, acqua a temperatura ambiente, possibilmente priva di calcare. Nella cuccuma il caffè non sale, ma scende. Quando dal foro del serbatoio esce una goccia d’acqua significa che la giusta temperatura è stata raggiunta e che la cuccumella va capovolta in modo da far scendere l’acqua nel serbatoio del caffè. Da quel momento ci vuole un tempo senza pressa, cioé senza fretta. Un altro trucchetto è il cuppetiello, un piccolo cono di carta inumidita che si appoggia sul beccuccio del serbatoio per non disperdere “fumi e profumi”. Anche indovinare il 238

giusto punto di cottura, dunque il colore, è compito difficile. De Filippo dice che deve essere “a manto di monaco”, cioè color saio. La caffettiera napoletana si basa sul principio della percolazione, ossia del lento passaggio di un liquido (acqua vicina al punto di ebollizione) attraverso un solido filtrante (polvere di caffè).

La vera rivoluzione risale però al 1933 con la creazione della prima Moka Bialetti. Il nome Moka ha origine da Mokha, città dello Yemen conosciuta per la sua produzione di caffè, soprattutto di qualità arabica. Alfonso Bialetti, fu prima operaio in Francia e poi proprietario di una fonderia che lavorava alluminio in provincia di Verbania. Osservando la moglie mentre faceva il bucato con la lavatrice lisciveuse (da liscivia, un detersivo dell’epoca) ebbe una geniale intuizione che lo portò a progettare la prima Moka Express sulla base di questo prototipo di lavatrice. Inizialmente fu prodotta in pochi esemplari fino a quando, nel 1946, il figlio Renato ne intuì le potenzialità e diede inizio a una produzione in serie. Il merito straordinario del figlio fu soprattutto quello di sfruttare la nascente industria della pubblicità commissio-

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had the stroke of genius that led him to design the first Moka Express, based on this model of washer.

Only a few were initially produced until, in 1946, Alfonso’s son Renato foresaw its potential and began mass production. One of the son’s greatest achievements was to take advantage of the nascent advertising industry. He commissioned the artist Paul Campani to create a character, the famous “little man with the moustache”, actually a caricature of Renato himself. The moka received its consecration in the 1950s, thanks to the TV show Carosello, which featured a commercial with the catchphrase, “Ah yes, it seems easy to make a good coffee!” This coffee pot became the coffee-maker par excellence. Today it is part of the permanent collection at the MOMA (Museum of Modern Art)

in New York and is also one of the 100 objects in the permanent collection of the Triennale Design Museum in Milan. From 70,000 coffee-makers in ten years to a million in one year alone.

From object of craftsmanship to symbol of the early modernisation of the economic boom.

From its rudimentary form in aluminium, angular and octagonal, to a search for an aesthetic taste suited to an evolving market and the whims of fashion. Increasingly soft shapes, rounded or unusual, and a palette of colours to fit any mood, environment, important occasion or holiday celebration. As coffee-makers evolved, so did blends adapted to the most discerning palates, for creative spirits and the easily bored, for those who wish for new shades of flavour and adven-

la bevanda che mette d’accordo tutti o quasi, con un unico dubbio: meglio in casa o al bar?

nando all’artista Paul Campani la creazione di un personaggio, il famoso “omino coi baffi” , vera e propria caricatura di Renato. Negli anni ’50 la consacrazione avvenne grazie al programma Carosello che ne ospitava lo spot col tormentone “Eh sì, sembra facile fare un buon caffè!”.

Questa caffettiera è diventata la caffettiera per eccellenza e oggi fa parte delle collezioni permanenti del Moma (Museum of Modern Art) di New York ed è anche fra i 100 oggetti della collezione permanente del Triennale Design di Milano. Da 70.000 caffettiere nell’arco di dieci anni a milioni di pezzi in un solo anno.

Da un oggetto artigianale al simbolo della pri-

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ma modernizzazione del boom economico. Da una foggia rudimentale in alluminio e spigolosa in quanto ottagonale alla ricerca di un gusto estetico che si adatta alle evoluzioni del mercato e ai capricci della moda. Forme sempre più morbide e arrotondate o inusuali e una cartella colori che si adatta agli umori, agli ambienti e alla celebrazione di ricorrenze importanti. Parallelamente all’evoluzione delle caffettiere si sono evolute anche le miscele per assecondare i palati più esigenti e per soddisfare gli animi creativi e facili alla noia, desiderosi di nuove sfumature di sapori e avventure olfattive. Miscele e addizioni per ogni

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through boiling, pressure, and expansion. The moka is produced in different sizes: from one demitasse cup to eighteen.

Yes, for us Italians, coffee is definitely a faithful friend: we drink two-hundred million cups’ worth every day. And if coffee is one thing that everyone, or nearly everyone, can agree on, the eternal question still remains: What’s better? The moka at home or the espresso at the café? De gustibus non est dispuntandum. Surely a cup of coffee, whether at home or at the café, is an altar around which we gather for monologues or dialogues, confessions or light conversations, reading and inspiration, nostalgia and rebirth.

“When I die, bring me a coffee and you’ll see, I’ll rise again like Lazarus.” (De Filippo)

gusto: robuste o delicate, speziate o aromatizzate, dolci o piccanti e il decaffeinato per i cuori tachicardici.

Anche la Moka Express di Bialetti ha il suo vademecum. In primis: più la caffettiera è usata, più il caffè è buono. La polvere di caffè non deve essere pressata, ma deve essere una piccola soffice montagna che non debordi. L’acqua non deve mai superare la tacca segnata sulla caldaia. Il fuoco deve essere lento e non appena il caffè si fa sentire con la sua voce borbottante occorre spegnere affinché non si bruci e non venga rotto il giusto aroma.

La Moka Express è formata da 5 elementi e, contrariamente alla cuccumella, il caffè sale

attraverso ebollizione, pressione, espansione.

Viene prodotta in diverse misure: da una tazzina fino a diciotto.

Sì, decisamente il caffè per noi italiani è un amico fedele: duecento milioni di tazzine consumate ogni giorno. E se il caffè mette d’accordo tutti o quasi, rimane sempre quell’eterna domanda: meglio la moka di casa o l’espresso al bar? De gustibus non est dispuntandum. Di sicuro la tazzina di caffè, a casa o al bar, è un altare attorno al quale ci si stringe per monologhi o dialoghi, confessioni e chiacchiere, letture e ispirazioni, nostalgie e rinascite.

“Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro.” (De Filippo)

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tures in aroma. Blends and admixtures for every taste: robust or delicate, spiced or flavoured, sweet or spicy, and decaffeinated for those with tachycardiac heart rates.

The Bialetti Moka Express also has its own vade mecum. First of all: the more the coffee-maker is used, the better the coffee. The ground coffee must not be pressed, but rather must form a small, fluffy mountain that does not overflow. The water must never be filled higher than the notch on the boiler. The flame must be low and, as soon as the coffee makes its rumbling voice heard, it must be taken off the heat, so as not to scorch it and damage the proper aroma.

The Moka Express is composed of five elements and, unlike in the cuccumella, the coffee rises

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BEYOND ART, BEYOND CONVENTIONS ARTEMISIA GENTILESCHI: DESIRE FOR JUSTICE AND LOVE OF LIBERTY

by Maurizio Cohen

Early 17th-century Rome was a city of glaring contradictions. On the one hand, it was a city that was largely poor and decadent, where the people lived in abject poverty, in dwellings where non-existent sanitary conditions caused disease and suffering. On the other, it was witnessing a cultural and artistic ferment the like of which had never before been seen. During those years, artists such as Caravaggio, Bernini, Guido Reni,

Domenichino and many others were working to leave an indelible mark on a city that, thanks to their efforts, has been considered the most beautiful in the world ever since. It was a city in which famous historical figures, popes, cardinals and nobles vied to commission genuine masterpieces from the most important artists of the day. Those same figures who were moved to excitement by Caravaggio’s genius also defend-

OLTRE L’ARTE, OLTRE LE CONVENZIONI ARTEMISIA GENTILESCHI: VOGLIA DI GIUSTIZIA E AMORE PER LA LIBERTÀ

di Maurizio Cohen

Roma all’inizio del XVII secolo è una città dove si scontrano forti contraddizioni. Da una parte c’è una città in gran parte povera, decadente, dove il popolo vive in miseria e in ambienti dove le inesistenti condizioni igieniche provocano malattie e sofferenza, dall’altra si assiste ad un fermento culturale e artistico che non ha avuto uguali nella storia.

In quegli anni artisti come Caravaggio, Bernini, Guido Reni, il 242

Domenichino e molti altri lavoravano per lasciare un segno indelebile in una città che, grazie alla loro opera, da allora è considerata la città più bella del mondo. Una città in cui in quegli anni personaggi famosi, papi, cardinali e nobili gareggiavano per commissionare ai più importanti artisti veri e propri capolavori.

Allo stesso tempo gli stessi personaggi che si entusiasmavano di fronte al genio del Caravaggio,

ed their power by any means, and especially by means of the courts of the Inquisition.

This was the world into which Artemisia Gentileschi, today considered one of the greatest, if not the greatest female painter in history, was born. Her greatness is universally acknowledged and her works can be found in the world’s most important museums: the Uffizi, the Metropolitan, the Prado, and many more.

Artemisia’s fame is not linked only to her oeuvre, but also to her life and the numerous events, both positive and negative, in which she played a central role.

Artemisia was born in July of 1593. Her father, Orazio, was a fairly well-established painter. As a child, she exhibited a great talent for drawing. Her father immediately recognized this and tried

difendevano il proprio potere con ogni mezzo, soprattutto attraverso i tribunali dell’Inquisizione.

E’ in questo contesto che nacque e visse Artemisia Gentileschi, considerata oggi una delle più grandi pittrici della storia se non la più grande. La sua grandezza è riconosciuta ovunque e le sue opere si trovano nei più importanti musei del mondo: agli Uffizi, al Metropolitan, al Prado e molti altri.

La fama di Artemisia non è legata solo alla sua opera artistica ma alla sua vita ed ai numerosi avvenimenti, positivi e negativi, che l’hanno vista protagonista.

Artemisia nacque nel luglio del 1593 e suo padre Orazio era un pittore abbastanza affermato.

Già da bambina mostrò grande capacità nel disegno ed il padre cercò di incoraggiare questa sua

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to nurture her gift, despite the fact that, at the time, women were officially banned from working, visiting artists’ studios or attending training schools, including art schools. Artemisia did not need to go to school. The creative and revolutionary ferment that filled the air in Rome could be found in her own home. Orazio taught her the secrets of the trade and brought the great artists of the day to their home so that she might meet them. So it went until he asked his friend and colleague Agostino Tassi, a master of perspective, to give her ‘private’ lessons. One day, Agostino took advantage of his friend’s trust and, left alone in the house with Artemisia, he raped her. He attempted to make reparation for his terrible offence with a false promise of marriage, which he could not keep, as he was already wed. His association with

Artemisia continued after the rape. For a while she believed her rapist’s lies, but then she and her father decided to press charges against him. The trial that began shortly thereafter was to leave a profound mark on Artemisia’s life.

Agostino, who had excellent and influential connections, defended himself by maintaining that Artemisia had not been not a virgin.

He brought witnesses before the court to play along, confirming his story and slandering her in every possible way. The result was that, to make her confess the truth, Artemisia was subjected to torture by crushing of the fingers, a form of torture that could have had devastating effects on a woman who wanted to spend her life painting. Artemisia did not give in.

She continued to assert her truth in the face of a system that strove to destroy her, but to which her

character would never allow her to surrender. Tassi received a light sentence that he probably never served, but Artemisia’s life was changed forever. From this experience (the trial proceedings can be viewed in their entirety at the Vatican archives) Artemisia drew the strength and energy to achieve her goal: to become a real painter and succeed in supporting herself with her work. Shortly after the trial she married Pierantonio Stiattesi, an artist of little note, in what was a sort of compulsory marriage, and with him she moved to Florence. She had little choice in the matter. Although her rapist had been convicted, Artemisia’s reputation was ruined and the malicious gossip about her would never end. In Florence she became the first woman in history to be accepted into the Academy of the Arts of Drawing.

dote riconoscendo da subito il suo talento, anche se a quel tempo alle donne era ufficialmente proibito lavorare e frequentare laboratori e scuole di formazione anche artistiche. Ma Artemisia non aveva bisogno di andare a scuola: quei fermenti creativi e rivoluzionari che si respiravano a Roma lei li trovò in casa. Orazio le insegnò i segreti del mestiere e le fece conoscere i più grandi artisti tra le mura domestiche fin quando chiese al suo amico e collega Agostino Tassi, maestro della prospettiva, di impartirle lezioni ‘private’ . Ma un giorno Agostino approfittando della fiducia di Orazio, rimasto solo in casa con la ragazza, la violentò. Cercò di riparare all’offesa terribile con una falsa promessa di matrimonio che non potè mantenere perché già sposato. La frequentazione con Artemisia durò anche dopo lo stupro; la ragazza

per un breve periodo dette retta alle menzogne del suo stupratore finchè Orazio, in accordo con la figlia, decise di denunciarlo.

Di lì a poco cominciò il processo che segnò profondamente la vita di Artemisia. Agostino, che aveva ottime e influenti conoscenze, si difese sostenendo che la ragaz-

affermare la sua verità contro un sistema che cercava di annientarla e contro il quale la sua personalità non cedette mai . Il Tassi fu condannato ad una pena lieve che probabilmente non scontò mai e la vita di Artemisia fu segnata per sempre. Da questa esperienza (gli atti del processo sono inte-

a quel tempo alle donne era ufficialmente proibito lavorare e frequentare laboratori e scuole di formazione anche artistiche za non era vergine e portò in tribunale testimoni complici che lo affermarono denigrandola in ogni modo. Il risultato fu che, per farle confessare la verità, Artemisia fu sottoposta a tortura attraverso lo schiacciamento delle dita, tortura che, su chi avrebbe voluto dipingere tutta la vita, avrebbe potuto avere effetti devastanti. Ma Artemisia non cedette e continuò ad

gralmente consultabili presso gli archivi vaticani) Artemisia trasse forza ed energie per raggiungere il suo obiettivo: diventare una vera pittrice e riuscire a mantenersi attraverso il proprio lavoro. Poco dopo si sposò con Pierantonio Stiattesi, artista di scarsa levatura, in una sorta di matrimonio riparatore e con lui si trasferì a Firenze. Questa scelta fu quasi 245

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She had become an established painter, and from that moment forward her life was devoted to painting. She spent a time working in Venice, then again in Rome, in London, and in Naples, where she spent the last years of her

which Caravaggio’s influence is clear to see, are those which reflect the ordeal she lived through.

In Susanna and the Elders, for instance, two men discuss and harass a young girl covered only by a white cloth, but we can

at the time, women were officially banned from working, visiting artist’s studios or attending training schools

finely executed and realistic, much more so than in the great Master’s painting. Judith’s face, as in many other of Artemisia’s paintings, is the self-portrait of a sensual and determined woman.

Here we see a desire for justice, repressed rage, and a love of liberty and one’s own dignity. They have made this painting a genuine masterpiece and a pictorial manifesto for many movements that fight for women’s rights and emancipation.

It is thus not hard to understand why, with the birth of various feminist movements in the early 1970s, Artemisia became a worldwide symbol of their struggle. Her battle against a system that relegated women to the lowest rung of the social ladder, that imposed strict rules upon them both outside and inside the home, that denied them any protection

life. She had an intense life, and painting took up most of her time, but she also proved to be a capable businesswoman. She did not neglect to cultivate a private life, and had a number of important acquaintances, including Galileo Galilei, who was to become her friend. She also had lovers. Of her four children only one, her daughter Prudenzia, lived with her through her final years in Naples.

Her most important works, in

see her experiences reflected most strongly in Judith Slaying Holofernes. It shares its subject matter with the famous Caravaggio painting, in which Judith, armed with a sword and accompanied by her serving woman, has just decapitated the tyrant Holofernes. The painting seems a replica of Caravaggio’s but, in truth, it is even more strongly expressive. The details of the sword and the blood on the sheets are

obbligata: nonostante la condanna del suo violentatore, la sua immagine era rovinata e le maldicenze su di lei non cessarono mai. A Firenze fu accettata, prima donna nella storia, all’Accademia delle Arti e del Disegno.

Ormai era una pittrice affermata e la sua vita fu consacrata alla pittura. Fu chiamata per alcuni periodi a Venezia, di nuovo a Roma, a Londra e a Napoli dove passò gli ultimi anni. Ebbe una vita intensa dove la pittura occupò gran parte del suo tempo ma si dimostrò anche donna abile negli affari e non disdegnò una vita privata in cui non mancarono conoscenze importanti come Galileo Galilei che divenne suo amico e qualche amante. Ebbe quattro figli di cui una sola, Prudenzia, visse con lei fino all’ultimo periodo napoletano.

Le sue opere più significative, di

assoluta influenza caravagge- sono curati e realistici, molto più sca, sono quelle in cui è evidente che nel quadro del grande Maeil dramma che ha vissuto, come stro. Il viso di Giuditta poi, come Susanna e i vecchioni, in cui due in molti altri quadri di Artemisia, uomini commentano e molesta- è un autoritratto sensuale e deno una giovane fanciulla rico- terminato. La voglia di giustizia, perta solo da un telo bianco ma la rabbia repressa, l’amore per la libertà e per la soprattutto Giuditta che decapipropria dignità, ta Oloferne. Querendono questo Artemisia non aveva sta soggetto è lo dipinto un autenbisogno di andare stesso di un fatico capolavoro a scuola. Quei moso quadro di che è diventato fermenti creativi e Caravaggio, in cui un manifesto per rivoluzionari lei li Giuditta armamolti movimenti trovò in casa ta di una spada, che combattoaccompagnata no per i diritti e da una serva, ha l’emancipazione appena tagliadelle donne. to la testa al tiranno Oloferne. Non è difficile dunque capire Il quadro, sembra una copia di perché all’inizio degli anni ‘70 quello del Caravaggio, ma in re- del secolo scorso con la nascita altà ha ancora maggiore forza dei vari movimenti femministi, espressiva. I dettagli dell’arma e Artemisia sia diventata il simbodel sangue sparsi sulle lenzuola lo di questa lotta in ogni parte del

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creative and revolutionary ferment could be found in her own home

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in the face of oppression and violence of all sorts, and her refusal to back down in the face of threats and blackmail: all these elements catapulted her into the collective consciousness far beyond what might have been expected considering her body of work which, while extraordinary, was nonetheless limited compared to others.

In recent decades she has received attention, and some deserved criticism, not only from art experts, but also from writers, directors and playwrights. Associations and art leagues around the world have named themselves in her honour.

And yet all this, as mentioned above, seems rather limiting. Artemisia and her fight against the wrong that was done her deserve recognition that goes beyond praise for her accomplishments, and far beyond her enshrinement

as an icon of the feminist struggle. She fought against injustice and to assert her rights, and she had the strength to fight back against the violence she had undergone. She was brave enough to file charges against her rapist, even knowing that this could result in different but equally painful – if not worse – injury. What’s more, she was able to channel her rage and pain into something that would last through the centuries, providing an example for others. All these things are worth far more than a simple acknowledgement as a feminist ahead of her time.

Artemisia’s commitment and her journey as an artist seemed impossible in the times she lived in, but she disproved that assumption. In doing so, she not only healed her own wounded soul, she cared for ours as well.

mondo. La sua battaglia contro un sistema che relegava le donne all’ultimo stadio della struttura sociale, che imponeva rigide regole sia in casa che fuori, la negazione di qualsiasi tutela di fronte a soprusi e violenze di ogni genere, il non cedere di fronte alle minacce e ai ricatti, sono elementi che l’ hanno proiettata nell’immaginario collettivo molto al di là della sua straordinaria ma in ogni caso limitata, rispetto al resto, opera artistica.

Negli ultimi decenni si sono occupati di lei, senza risparmiarle critiche in alcuni casi giuste, non solo esperti di arte ma anche scrittori, registi, drammaturghi.

Associazioni e circoli in tutto il mondo hanno il suo nome come elemento di riconoscimento.

Ma tutto ciò, come detto, appare limitativo. Artemisia e la sua lotta contro il male vissuto sulla pro-

pria pelle meritano un riconoscimento, al di là di quello artistico, che va ben oltre l’essere diventata un’icona delle battaglie femministe. Il suo combattere le ingiustizie, lottare per l’affermazione dei propri diritti, la forza di saper reagire alla violenza, il coraggio di denunciare sapendo che avrebbe avuto la conseguenza di causare ferite diverse ma ugualmente se non più dolorose e saper convogliare rabbia e dolore in qualcosa che è in grado di rimanere nel tempo ed essere di esempio per gli altri, va oltre un parziale riconoscimento di femminista ante litteram.

Questo perchè Artemisia, attraverso l’impegno e un viaggio nell’arte ai suoi tempi solo apparentemente impossibile, ha guarito i graffi della propria anima e così facendo si è presa cura anche della nostra.

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NAPLES’ GOLDEN THREAD, FROM SUNLIGHT TO ELEGANCE “They draw their art from the sunlight.” That’s what Camillo Boito, writer, restaurateur and lover of the Neapolitan mindset and the city’s art, used to say

by Valentina Alfonsi Naples is art and craftsmanship, sunlight and poetry. We often hear about Naples’ faults, forgetting that the capital of Campania is one of the richest cities in the world in terms of culture and histo-

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ry. It is a destination beloved of celebrities, great philosophers, writers, musicians and sculptors. A model traveller among these was Goethe. In 1787 he wrote: “It seems to me that, in this place, I have become another. There are two possibilities. Either I was mad before I arrived here or I am mad now.”

He was enchanted by the Neapolitan spirit that entices one to enjoy the happiness life offers, to always find a solution for every problem. “Everyone swarms in the streets, everyone sits in the sun until it ceases its shining.”

Art, in the broadest terms, encompasses every human activity that leads to creativity. It is inherent in the word artisan, as is pointed out by the proverb “senza né arte né parte”, which, roughly translated, tells us that those without an “art”, or trade, are basically good-for-nothing.

Crafts are a part of Naples’ soul and its history. Their roots lie in the cultural traditions of the working-class, stretching back to when skilled craftsmen formed the first guilds. A number of crafts achieved high levels of excellence, including ceramics, goldsmithing and the art of crèche

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FILO D’ORO DAL SOLE ALL’ELEGANZA “Cavano l’arte dal sole” diceva Camillo Boito, scrittore, restauratore e amante del pensiero e dell’arte napoletana. di Valentina Alfonsi Napoli è arte e artigianato, è luce e poesia.

Si parla spesso dei difetti di Napoli, dimenticando che il capoluogo campano è una delle città più ricche di cultura e di storia del mondo. Meta amata da grandi personalità, filosofi, scrittori, musicisti e scultori. Tra loro un viaggiatore al di sopra di ogni sospetto, Goethe, che nel 1787 scriveva: “Anche a me qui sembra di essere diventato un altro. Dunque le cose sono due o ero pazzo prima di giungere qui,

oppure lo sono adesso” affascinato da quello spirito partenopeo che induce a godere delle gioie della vita e a trovare sempre una soluzione per tutto. “Tutti sciamano per la strada, tutti siedono al sole finché non cessa di splendere.”

L’arte, nel suo significato più ampio comprende ogni attività umana che porta a forme di creatività, insita nell’etimologia della parola artigianato, come sottolinea l’espressione proverbiale, dell’ essere “senza né arte né parte”.

L’artigianato è parte dell’anima di Napoli e della sua storia, affonda le sue radici nella tradizione popolare, da quando gli artieri si riunirono nelle prime corporazioni. Le attività manifatturiere hanno raggiunto punte di eccellenza in vari settori quali la ceramica, l’oreficeria, l’arte del presepio. Un ruolo di spicco è occupato dalla sartoria, fatta di creatività, stile ed eleganza cucite insieme con un filo d’oro. Il Filo d’Oro di Napoli.

L’arte sartoriale, comincia ad affermarsi nel lontano 1351 con la confraternita dei Sartori nella chiesa di S. Eligio al Mercato, una lunga storia sviluppatasi nel corso dei secoli, radicandosi nel cuore dei campani.

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building. Tailoring has always held a prominent place among them, representing a blend of creativity, style and elegance stitched together with a golden thread – the Golden Thread of Naples.

The art of tailoring first became established in long ago 1351, with the Guild of Master Tailors of the Church of San Eligio al Mercato. Its long history has developed over the centuries, putting down deep roots in the hearts of the people of Campania.

In 1887, the Caggiula tailor shop published a genuine treatise on sartorial techniques, entitled The Art of the Cut. It met with such success that the Ministry of Public Education purchased 300 copies, which it distributed among the Kingdom’s trade schools and libraries.

At the end of the 19th century, the city of Naples, with great masters such as Alfonso de Nicola and Raffaele Sardonelli, had already established the premise for a school of tailoring able to express a new concept of male elegance, the same style that would define the atelier of Cesare Attolini, re-baptised the “Tailor of Kings”.

Neapolitan tailors completely reconstructed the jacket, transforming it from the stiff monopoly of the English tailors into a garment that was deliberately label-free, comfortable, refined and elegant, softly clinging to the client’s body. This was the socalled “a mappina” jacket, whose name literally meant “cleaning rag” in Neapolitan. These jackets, initially criticised and reviled, were intentionally designed by Master Tailor Attolini to appear full of faults at first glance. Victor Emmanuel III, the Duke of Windsor, Toto’, the De Filippo brothers, Clark Gable and many other famous figures understood immediately what he had done. These became his loyal clients and spread the concept of Neapolitan elegance far and wide.

Armed only with scissors, needle and thread, the Neapolitan families, from their beginnings in small ateliers, went on to dress the great and famous, from Aristotle Onassis, Jacqueline Kennedy and Audrey Hepburn to Gorbachev and Bush. Their fame knew no limits, and many people planned trips to Naples for the sole purpose of improving their wardrobes.

In the 1960s, during the economic boom, even the smallest – but now historic – ateliers began to

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Nel il 1887 la sartoria Caggiula, pubblicò un vero e proprio trattato sulle tecniche sartoriali l’Arte del taglio. Questo trattato, riscosse così tanto successo che il Ministero della Pubblica Istruzione ne acquistò 300 copie che furono distribuite nelle scuole professionali e nelle biblioteche del Regno.

La città di Napoli a fine Ottocento, con i grandi maestri come Alfonso de Nicola e Raffaele Sardonelli, aveva già creato la premessa per la nascita di una scuola capace di esprimere un nuovo concetto dell’eleganza maschile, quello stile che definirà anche la bottega di Cesare Napoli regina di Attolini, ribattezzato il “Sarto dei Re”. eleganza nel mondo, I sarti partenopei attuano una totale ricodiventata con struzione della giacca, che da rigido mopazienza e ingegno, nopolio dei sarti d’Oltremanica si trasformaestra di gusto e merà in un capospalla volutamente senza sapore del vestire etichetta, comodo, raffinato ed elegante, dipinto addosso al corpo del cliente. La cosiddetta “giacca a mappina” letteralmente “straccio” in napoletano. Le loro giacche, all’inizio criticate e vituperate, che a prima vista davano l’idea di essere piene di difetti, erano state concepite di proposito in questo modo dal Mastro Attolini. Lo capirono immediatamente Vittorio Emanuele III, il duca di Windsor, Toto’, i fratelli De Filippo, Clark Gable e molti altri personaggi di rilievo, suoi affezionati clienti, diffondendo ovunque il concetto di eleganza napoletana.

Munite solo di forbici, ago e filo, le famiglie napoletane, nate in piccole, botteghe, continuarono a vestire grandi nomi come Aristotele Onassis, Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, più tardi Gorbaciov e Bush: la loro fama non conosceva confini, in molti programmavano un viaggio a Napoli con l’unico scopo di migliorare il proprio guardaroba.

Negli anni 60 durante il boom economico anche le più piccole, ma ormai storiche sartorie, cominceranno a trasformare le loro attività in vere e proprie imprese, dirompendo sulla scena internazionale, nasce un linguaggio fatto di grandi nomi della quali, Kiton, Marinella, Isaia ed altri maestri del lusso.

Ciro Paone, una delle anime del progetto sartoriale Kiton, risponde a quali sono per lui le regole auree per l’ abito da uomo “Non c’è una regola, ci sono solo alcuni fatti, alcuni sentimenti che è impossibile spiegare: noi siamo nati sarti dentro e vedia-

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with patience and ingenuity, Naples, the world’s monarch of elegance, became the master of good taste in attire

transform their operations into genuine businesses. They burst onto the international scene, giving rise to a new language, created by great names such as Kiton, Marinella, Isaia and other masters of luxury tailoring.

Ciro Paone, a driving force behind the Kiton sartorial project, listed what are, in his opinion, the golden rules for a man’s suit. “There is no rule, there are only a few facts, a few feelings that are impossible to explain. We were born tailors, inside, and we see others with a different eye; we have an innate training... Because for 200 or more years the Neapolitan tailor has had the good fortune to deal with true nobility, instinctively understanding their 254

taste, abilities, sensibilities.”

The businesses that define “Made in Naples” elegance do not limit themselves to refined suits.

They have also made luxury accessories of enduring fame, ties, hats, gloves, jewellery and scarves that today have become international icons, like the famous “Caprese” sandal and Marinella’s timeless ties.

Once upon a time there was the art of Neapolitan tailoring, in the shadow of Vesuvius, in the city of Naples and in its outlying towns – and it still exists today. Once upon a time Naples was the world’s monarch of elegance, an eternal Legend, and it continues to be today.

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Ita li a n R h a p s o d y Jacqueline Kennedy, an icon of luxury and elegance, inspired the world’s greatest fashion designers with her dignified allure. No obstacle could bar her good taste from seeking out beauty wherever it lay, to the point that, upon docking in Capri in 1962, she was able to persuade Canfora to open the doors of his shop for her in the dead of night. He could not resist dedicating a unique sandal to her, the “K”, affectionately called the Jacqueline sandal.

Jacqueline Kennedy, icona del lusso e dell’eleganza, con il suo fascino ieratico ha ispirato i più grandi stilisti del mondo. Il suo buon gusto frugava ovunque si nascondesse il bello senza badare agli ostacoli, tanto che sbarcata a Capri nel ’62 riuscì a persuadere Canfora ad aprirle le porte del negozio in piena notte. Anche lui non poté esimersi dal dedicarle K un sandalo unico, familiarmente chiamato sandalo Jacqueline.

mo gli altri con un occhio diverso, noi abbiamo una scuola innata… Perché il sarto napoletano da 200 anni a questa parte ha avuto la fortuna di avere a che fare con la nobiltà vera intuendone il gusto, capacità, sensibilità.”

Le aziende dell’eleganza “made in Naples”, non si limitano agli abiti raffinati ma hanno immortalato anche accessori di pregio, cravatte, cappelli, guanti, gioielli e scarpe, oggi icone mondiali, come il celeberrimo sandalo caprese e le intramontabili cravatte di Marinella.

C’era una volta e ancora c’è la sartoria napoletana, all’ombra del Vesuvio, nella città di Napoli come nella provincia. C’era una volta e c’è ancora, regina di eleganza nel mondo, eterna Leggenda.

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LA SCALA, THE THEATRE OF MARIA CALLAS TWELVE YEARS OF UNSURPASSED OVATIONS AND APPLAUSE

by Jacopo Ghilardotti Every singer has their theatre of choice, the stage on which they built their fame. For Maria Callas, that theatre is La Scala. One need only look at her career, which can be measured in relation to her first and last performances there. It began with the years of making a name for herself in Italy and the world, from her début in Athens in 1938 to that first 7th of December, in 1951 (December 7th is the day that marks the opening of the La Scala season: Callas will perform on five more. It ended with a long decline that lasted from 1962 to 1977, when

LA SCALA, IL TEATRO DI MARIA CALLAS DODICI ANNI DI OVAZIONI E APPLAUSI UNICI

di Jacopo Ghilardotti

Ogni cantante ha un teatro d’elezione, il palcoscenico sul quale ha costruito la propria fama: in questa accezione, il teatro di Maria Callas è la Scala.

Basta guardare la sua carriera, come venga misurata in relazione al primo e all’ultimo spettacolo scaligero: per cominciare, una lunga gavetta in Italia e nel mondo, dal debutto ateniese nel 1938 al primo sette dicembre, nel 1951 (per sette dicembre s’intende l’inaugurazione della stagione in Scala: la Callas ne farà altri cinque); per concludere, un lungo declino che va dal 1962 al 1977, l’anno della morte, a soli 54 anni (un declino fatto di con258

she died at the age of only 54 (a decline comprised of concerts with debatable outcomes, a series of retirements and failed comebacks). In between lie twelve years of performances at La Scala, the twelve years of the “divine Callas”. These performances would become the basis for her unassailable legend, which would spread across the world – this singer whose charisma was both contemporary and of the nineteenth century, whose voice was incapable of lacking expression (to choose one description among the many). Her retirement created a generation of inconsolable widowers and, on the other hand, a plethora of cavilers bent on proving that opera did not live by Callas alone (“Callas isn’t the only one to have performed Norma,” they will tell you in annoyance when you are dazzled by her Casta Diva).

Maria Callas debuted at La Scala when she substituted for Renata Tebaldi in a 12 April 1950 performance of Aida. She departed on 3 June 1962, following a final Medea in which, according to the record of her accomplishments, she sang with barely any voice, but everyone called for her nonetheless. In between, she sang twenty-three operas

certi dal dubbio esito, ritiri, e tristi tentativi di tornare sulle scene). In mezzo ci sono i dodici anni di spettacoli in Scala, e sono i dodici anni della Divina, ossia il periodo in cui, a partire proprio da suddetti spettacoli, per tutto il mondo si costruisce, inscalfibile, la leggenda di questa cantante dal carisma contemporaneo e ottocentesco, e dalla voce incapace di essere inespressiva (scelgo una sentenza fra le tante). Una cantante il cui ritiro ha creato una generazione di vedovi inconsolabili e, sul fronte opposto, una pletora di puntualizzatori, tesi a dimostrare come non di sola Callas viva l’opera lirica (“Non c’è solo la Callas a cantare la Norma”, ti dicono, un po’ scocciati, appena resti abbagliato da Casta diva).

Maria Callas debutta in Scala per sostituire Renata Tebaldi in un’Aida del 12 aprile 1950 e riparte il 3 giugno 1962, dopo un’ultima Medea in cui, a leggere un libro che ne raccoglie le imprese, canta con un filo di voce, ma tutti la vogliono uguale. In mezzo ci sono ventitré opere cantate in teatro ed altre nove mai cantate dal vivo, ma registrate con i complessi scaligeri: in tutto fanno trentadue opere, quasi l’intero repertorio di Maria Callas, o per lo meno tutta la Callas di cui abbiate sentito parlare.

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gli applausi alla Callas sono unici, personalissimi, inconfondibili

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in that theatre and another nine which she never performed live, but which were recorded with La Scala ensembles: a total of thirty-two operas, nearly the entire Maria Callas repertoire – or at least all the Callas you hear tell of. These include the Lucia di Lammermoor directed by Karajan in 1954, the last year of the corpulent Callas, before the figure of a Greek immigrant from the Bronx was replaced by the statuesque beauty of a 20th-century icon. There was Giulini and Visconti’s La Traviata, part of that 1955 season in which Callas sang in six different operas, a season whose surviving ticket-holders are today, sixty years later, considered the privileged witnesses to a marvel. Then there are the other operas directed by Visconti, which established Callas’ reputation as, more than an opera singer, also a peerless dramatic actress (the 7 December 1954 performance of La Vestale or La Sonnambula three months later). There was Cherubini’s Medea directed by Leonard Bernstein, the role she was born to sing, a Greek legend meeting another Greek legend. Then there was Tosca, recorded in August 1953 in a La Scala closed to the public. To this day it is considered an ideal recording, as well as the Tosca of reference for the record industry.

Fra queste c’è la Lucia di Lammermoor diretta da Karajan nel 1954, l’ultimo anno della Callas grassa, l’ultimo anno prima che la statuaria beltade da icona del Novecento si sostituisse alla figura da immigrata greca nel Bronx. C’è la Traviata di Giulini e Visconti, parte di una stagione, quella del 1955, dove la Callas cantò sei diverse opere, una stagione i cui superstiti abbonati sono visti oggi, sessant’anni dopo, come i privilegiati testimoni di un prodigio. E ci sono le altre opere con la regia di Visconti grazie alle quali si è consolidata la fama della Callas imbattibile attrice drammatica, prima ancora che cantante lirica (la Vestale del 7 dicembre 1954, oppure la Sonnambula di tre mesi dopo). C’è la Medea di Cherubini diretta da Leonard Bernstein, la parte che era nata per cantare, un mito greco che incontra un altro mito greco, e c’è la Tosca registrata nell’agosto del 1953 in una Scala chiusa al pubblico, considerata ancora oggi una registrazione ideale, oltre che la Tosca di riferimento del mercato discografico.

Il teatro di Maria Callas è la Scala anche perché i 260

even the applause Callas received was unique, personal, unmistakeable

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La Scala is also Maria Callas’ theatre because her twelve years there fell during the fabulous 1950s, the years of the greatest directors and the height of the bel monde. In those years, also the years of the rivalry between Callas and Tebaldi, the opera theatre played a revitalised central role in the city’s cultural life which remains unrepeated to this day. La Scala is her theatre because, to hear those recordings, the ovations she was given have never been awarded to any other: not only her voice, but even the applause Callas received was unique, personal, unmistakeable (she would bring the house down again on 7 December 1970, when she reappeared at La Scala to watch, from a place on the stage, I Vespri Siciliani, and the entire audience began to chant MA-RI-A, MA-RI-A).

It is her theatre because it is no coincidence that the points on the stage that show singers’ voices to their best advantage are called Callas points, a trick that every student at the Academy hastens to learn. Lastly, La Scala is hers because – incredible though it may seem in a theatre which has never had a lack of leading ladies – every opera that Callas sang here has become somehow hers, a hurdle to be overcome by any who wish to emulate her.

suoi dodici anni qui coincidono con i favolosi anni cinquanta, gli anni dei più grandi direttori e della più grande mondanità, ma anche gli anni della rivalità fra Callas e Tebaldi e, in genere, di una rinnovata e irripetuta centralità del teatro d’opera nella vita culturale della città. È la Scala perché, a sentire le registrazioni, le ovazioni che riceveva lei non le ha mai meritate nessun altro: non solo la voce, anche gli applausi della Callas sono unici, personalissimi, inconfondibili (ovazioni e trambusti che si ripeteranno il 7 dicembre 1970, quando la Callas riapparirà in Scala per assistere dal palco ai Vespri siciliani, e tutti a gridare MA-RI-A, MARI-A). Il teatro di Maria Callas è la Scala perché, su questo palcoscenico, i punti in cui risalta meglio la voce dei cantanti si chiamano non a caso punti Callas, un trucco che ogni allievo dell’Accademia si affretta ad imparare. Ed è la Scala perché, e questo ha dell’incredibile, in un teatro in cui non sono mai mancate le primedonne, ognuna delle opere che la Callas ha cantato qui è diventata in qualche modo sua, e uno scoglio per chiunque provi a emularla.

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THE POETRY IN THE FEET OF THE “DIVINE PONYTAIL” ROBERTO BAGGIO: SYMBOL OF A DIFFERENT, CLEANER FOOTBALL

by Cecilia Mazzeo It’s Raphael painting with the instinctive innocence of a graffiti artist. It’s the football that’s played on the street. It’s the exemplification of how passion can be transformed into art. It’s like a bear that turns itself into flight and dance. Can you picture a duck’s style? It moves quickly through the water, but –beneath the surface –its little feet are working furiously. It’s a Vivaldi concert with a hint of Jimi Hendrix. It’s the deviation from the perfect chords that creates perfection. That is how Roberto Benigni described Roberto Baggio, nicknamed the Divin Codino (“the Divine Ponytail”) for the curly black hair he always wore pulled back in a ponytail that leapt with him when he moved.

Hailing from Caldogno in the province of Vicenza, Roberto was born in 1967, the sixth of eight children born into a family that lived through both the glad and painful moments quietly, with a sort of detached realism. Nerazzurro (literally “blackblue”, the colours of his F.C. Internazionale Milano football team) by creed, he has logged 452 Serie A League appearances and 56 on the National team, scoring 27 goals with the latter. He has worn the jerseys of Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter and Brescia, his final team. His father, who wished to set him on the path of cycling, still wanted to name him Roberto in honour of Bettega and Boninsegna, his undisputed football idols.

Perhaps there’s a symbolic energy in our given names, a sort of imprinting – in this case, poetry in the feet, because little Roberto was interested in football, not bicycles. Everyone in the town remembers that little boy who used to run around like mad. He is considered one of the greats of international football, a striker who moved spectators for good and for ill, known for his sometimes difficult relationships with his coaches. The poet Giovanni Raboni even dedicated a poem to him, In 262

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LA POESIA NEI PIEDI DEL DIVIN CODINO ROBERTO BAGGIO: SIMBOLO DI UN CALCIO DIVERSO E PULITO di Cecilia Mazzeo

They called him the “Divine Ponytail”, with eyes the colour of the sky. He has remained the same boy he always was: with a football clasped to his chest and peace in his heart

E’ Raffaello che dipinge con l’innocenza istintiva di un graffitaro. Il calcio che si gioca nelle strade. E’ l’esemplificazione di come si possa trasformare il furore in arte. E’ come un orso che si fa volo e danza. Avete presente lo stile dell’anatra? Che va veloce nell’acqua, ma- sotto- le sue zampette fanno un lavoro furibondo? E’ un concerto di Vivaldi con una nota di Jimy Hendrix. E’ l’uscita dagli accordi perfetti che fa la perfezione. Così Benigni ha definito Roberto Baggio, soprannominato dal mondo calcistico e non solo il Divin Codino, per i suoi riccioli neri contenuti sempre in una piccola coda che saltava con lui.

Vicentino di Caldogno, classe 1967, sesto di otto figli in una famiglia che vive gioie e dolori in punta di piedi con una sorta di distaccato realismo, fede nerazzurra, vanta 452 presenze in serie A e 56 in Nazionale con 27 goals in quest’ultima. Ha indossato la maglia di Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia con cui ha appeso le scarpette al chiodo. Il padre desiderava instradarlo al ciclismo, ma ha voluto chiamarlo Roberto in onore di Bettega e Boninsegna, suoi idoli indiscussi. Forse c’è un’energia simbolica nel nome di battesimo, una specie di imprinting, in questo caso la poesia nei piedi perché al piccolo Roberto interessava il pallone, non la bicicletta. Tutti in paese hanno memoria di quel ragazzetto che correva come un matto. E’ considerato uno dei migliori nella storia del calcio mondiale, un attaccante che ha smosso gli animi nel bene e nel male, contraddistinto da rapporti non sempre facili con gli allenatori. Addirittura un poeta, Giovanni Raboni, gli ha dedicato la poesia In lode a Baggio in cui definisce il suo piede una sorta di raggio, di laser che seziona il terreno.

Ma anche altri artisti degni di nota lo hanno omaggiato: Lucio Dalla nella canzone Baggio Baggio e Cesare Cremonini lo cita in Marmellata#25.

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lode a Baggio (“In Praise of Baggio”), in which he describes the player’s foot as a sort of ray, a laser that transects the earth. Other noteworthy artists have also paid homage to Baggio: singer-songwriter Lucio Dalla, with his song Baggio Baggio, and Cesare Cremonini, who mentions him in his song Marmellata#25.

The first goal scored on home soil during the1990 World Cup remains memorable. Those were truly “magical nights in pursuit of a goal”, as Gianna Nannini sang in the Italian World Cup anthem. Totò Schillaci and Gianluca Vialli were the match protagonists until Azeglio Vicini let Roberto, who had been beside himself with anticipation on the bench until then, enter the pitch. Thanks to the magic of his touch, he scored against Czechoslovakia. From the bench to the net, a goal that made the Olympic Stadium explode, a feat of excellence for the annals of football history. Nevertheless, the missed penalty kick at the ‘94 World Cup, the critical one against Brazil, will go down in history as well. The ball flew so high that nobody saw where it landed, as though it had been stolen by some mysterious entity. It’s an error that Baggio describes as a stillopen wound, but maybe – he adds jokingly – it was Ayrton Senna who launched the ball into the air, propelling it upwards so that his Brazil could win.

And about missed penalty kicks: he maintains that the only people who miss penalty kicks are those who have the courage to take them.

Roberto Baggio, however, is more than just the curly-haired player with the ice-blue eyes and the magic feet. He is also the symbol of a different, cleaner football – a football where passion is what counts, the engine that drives everything else. A passion that seems to be fading more and more.

Baggio has always seen football as a vehicle, capable of bringing the world together through the examples its sets and the conduct it displays.

Alongside the Golden Ball Award he won in 1993, we cannot forget the 2010 World Peace Award, a noble recognition of his commitment to the social sector: the construction of hospitals around the world; “post-earthquake” assistance in Haiti; the help he has given to charitable organizations; the campaign to free the Burmese politician and Nobel Peace Prize recipient Aung San Suu Kyi. We cannot fail to remember the Match for Peace organised by Pope Francis on September 1st of last year which, at least ideally, united many cultures and religions in the name of tolerance and the fight against world hunger. Old and new champions participated in the “divine” spectacle headed 264

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Memorabile rimane il primo goal segnato in casa ai Mondiali del ’90. Erano proprio notti magiche inseguendo un goal come cantava Gianna Nannini nell’inno del Mondiale tricolore. Protagonisti erano Totò Schillaci e Gianluca Vialli e Roberto, invece, fremeva in panchina fino a quando Azeglio Vicini non lo fece entrare in campo e il brivido del suo tocco gli consentì di segnare contro la Cecoslovacchia.

Dalla panchina alla rete, un goal che fece esplodere l’Olimpico, una prodezza eccellente da antologia calcistica. Rimarrà però nella storia anche il rigore mancato ai Mondiali del ‘94, quello determinante contro il Brasile. La palla che fugge via altissima e non si sa dove va a finire, quasi rapita da un’entità misteriosa. Errore che lui definisce una ferita ancora aperta, ma forse-aggiunge scherzando-è stato Ayrton Senna a lanciare la palla in aria, a sospingerla per far vincere il suo Brasile. E a proposito del rigore sbagliato ha affermato che “i rigori li sba-

gliano solo quelli che hanno il coraggio di tirarli”.

Roberto Baggio però non è solo il ricciolino dalle fessure di ghiaccio e dai piedi magici, ma è anche il simbolo di un calcio diverso e pulito. Di un calcio in cui conta la passione, motore di tutto. Passione che sembra estinguersi sempre di più. Ha sempre considerato il calcio come un veicolo attraverso il quale esempi e comportamenti possono unire il mondo.

Accanto al Pallone d’Oro vinto nel 1993 non si può dimenticare il World Peace Award 2010, nobile riconoscimento ricevuto per il suo impegno nel sociale: dalla costruzione di ospedali in tutto il mondo, al “dopo terremoto” di Haiti, per il suo aiuto a organizzazioni benefiche e per la campagna di liberazione di Aung San Suu Kyi, politica birmana, premio Nobel per la pace.

Da ricordare anche la Partita per la pace, in nome della tolleranza e contro la fame nel mondo, volu265

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lo chiamavano il “Divin Codino” dagli occhi di cielo ed è rimasto il ragazzo di sempre: col pallone stretto al petto e la pace nel cuore

up by the pairing Baggio/Maradona.

In Italian, it only takes one consonant to change a footballer (calciatore) into a hunter (cacciatore). Indeed, the Divin Codino doesn’t only hunt on that green rectangle; he’s a hunting enthusiast off of the pitch as well. “Shooting is also a creed for me,” he says. It is a passion that seems to clash a bit with Buddhism, the life philosophy he has been practising for 27 years. Baggio is a devotee of the Soka Gakkai doctrine, a Japanese religious movement in the Buddhist mould. Thus, from an endless repeated kicking of the football to an endless repetition of the chant Nam-myoho-renge-kyo, an entrusting of oneself to the Law of the Lotus. The recitation of this mantra serves to make “Buddhahood” blossom and enlighten those who have sunk into the mud, just as the beautiful Lotus flower is able to endure and blossom in splendour despite the adversities surrounding it. It is therefore a practice that follows this motto: to find happiness not only when troubles are absent, but above all in the midst of troubles. It strengthens the light of the self, so that it will be stronger than any obstacle.

In his autobiography, entitled “A Goal in the Sky”, Baggio recounts how he prays for approximately two or three hours a day. He describes it as the interior frame of both his serenity and his ability to face adversities without being overcome, in terms 266

of football as well as life.

In 2013, he read out a letter at the Sanremo Music Festival. He dedicated it to all young people, including his three children. In the letter, he analysed the ingredients that, in his opinion, make the cake of life turn out well: passion (the driving force behind every action and every day); joy (to be very clear-minded, in all the things you do); courage (to put your heart into it, to do your best); success (not medals or titles, but becoming that which you are deep down, to be at peace with yourself, whether

from bench to net, a goal that made the Olympic Stadium explode, a feat of excellence for the annals of football history as a footballer, a carpenter or anything else), sacrifice (to build something with the sweat of your brow and small steps, because only hard work can build bridges between dreams and reality).

“All my life I have made sure to stay the boy I used to be. Today I just have a few more grey hairs and a lot of old scars, but my dreams are still the same.

Embrace your dreams and follow them.”

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ta da Papa Francesco il 1 settembre dello scorso anno e che ha unito, almeno idealmente, tante culture e religioni. Campioni vecchi e nuovi tra cui lo show “divino” dell’accoppiata Baggio/Maradona.

A volte basta cambiare una consonante e calciatore diventa cacciatore. Già, il Divin Codino non caccia soltanto sul rettangolo verde, ma è un vero appassionato di caccia fuori dal campo. La mia fede è anche sparare, dice. Passione che stride un po’ con

dalla panchina alla rete, un goal che fece esplodere l’olimpico, una prodezza eccellente da antologia calcistica

la filosofia di vita che pratica da 27 anni, il Buddismo. Baggio è devoto delle dottrine della Soka Gakkai, un movimento religioso giapponese di matrice buddista. Dunque dalla ripetizione infinita di calci al pallone alla ripetizione infinita di un’invocazione, il Nam-myoho-renge-kyo, un affidarsi al sutra della legge del loto. Recitare questo mantra serve per far sbocciare la “buddhità” e irradiare chi è sprofondato nella melma come fa il bellissimo fiore del

Loto che resiste e sboccia di splendore nonostante le avversità circostanti. Pratica che segue dunque questo motto: trovare la felicità non solo in assenza di problemi, ma soprattutto in mezzo ai problemi. Rafforzare la luce dell’Io affinché sia più forte di ogni ostacolo. Nella sua autobiografia, “Una porta nel cielo”, Baggio racconta delle sue preghiere quotidiane, all’incirca due o tre ore al giorno, e ne parla come il palcoscenico interiore della sua serenità e della sua capacità di affrontare le avversità senza farsi sopraffare, anche dal punto di vista calcistico.

Nel 2013 ha letto una lettera al Festival di Sanremo e l’ha dedicata a tutti i giovani e ai suoi tre figli. In questa lettera ha analizzato gl’ingredienti che per lui fanno della vita una torta ben riuscita: passione (motore di ogni azione e giornata), gioia (essere presenti a sé stessi, in quello che si fa), coraggio (metterci il cuore, il proprio meglio), successo (non le medaglie o i titoli. Ma realizzare ciò che si è nel profondo, essere in pace con sé stessi nella veste di calciatori o di falegnami etc.), sacrificio ( costruire col sudore a piccoli passi. Solo la fatica edifica ponti tra i sogni e la realtà).

Per tutta la vita ho fatto in modo di rimanere il ragazzo che ero. Oggi ho solo qualche capello bianco in più e tante vecchie cicatrici. Ma i miei sogni sono sempre gli stessi. Abbracciate i vostri sogni e inseguiteli.

Ital ian Rh ap sody “The human foot is a work of art and a masterpiece of engineering”. An inspiration for numerous studies

by Leonardo and Michelangelo, it has fascinated artists throughout history. Sharing the burden of expressing drama in some paintings, as is evident in Mantegna’s Christ, while rising to symbolize pure beauty in the splendid Grecian feet of Canova’s Paolina Borghese... and to think that they evolved from an amphibian!

“Il piede umano è un’opera d’arte e un capolavoro di ingegneria” ispiratore di molti studi di Leonardo e Michelangelo, la sua fascinazione attraversa tutta la storia dell’arte. Coprotagonista nell’espressione del dramma pittorico, evidente nel Cristo di Mantegna, assurge a icona di bellezza pura, gli splendidi piedi alla greca di Paolina Borghese del Canova, pensare che la sua evoluzione parte da un anfibio!

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CATO, THE ANCIENT SAGE Now may it please thee to vouchsafe his coming; He seeketh Liberty, which is so dear, As knoweth he who life for her refuses.

[Purg., I, 71-72] If one wishes to understand Purgatory, he must imagine himself in that time of life when passions begin to fade, when experience and disenchantment strip away illusions. As the active, personal part of his life wanes, man feels himself becoming generic, more a type than an individual. A spectator more than an actor, his life manifests not as action but as artistic, philosophical and religious contemplation. In this calming of the passions and the senses lay the ancient ideal of the sage and the new ideal of the saint, melded together in the figure of Cato, whom Dante, in his Convito, calls a most noble soul and the most perfect image of God on Earth. Cato is the ancient sage, portrayed, like the philosophers, with a long beard and the calm and gravitas of dignified old age.

Yet he is more than this: he is the sage baptised and sanctified, grace illuminating his radiant brow so that he shines like a sun. Virgil does not understand this Christianised sage, and speaks to Cato of his knowledge, reminding him of his virtues, his death for liberty, his Marcia. The new Cato responds, “Marcia so pleasing was unto mine eyes (...) She can no longer move me (...) But if a Lady

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of Heaven do move and rule thee (...) no flattery is needful.�

What is Purgatory? It is the world where this twofold ideal is realized: the world of Cato or of liberty, where the spirit develops from the flesh and seeks its freedom.

Another conception, another nature, another man, another form, another style. No longer the Iliad and the Odyssey, but a new poem. To compare Inferno and Purgatory, and marvel that here we do not find the same beauty we have admired there would be like marvelling that purgatory is purgatory and not hell. Rather, if we wish to marvel at something, let us marvel that the poet was able to so entirely forget his old self, his habitual ways of understanding, of disposing himself, of embellishing and, buried in this new world, recreate his ingenuity and imagination in its image, with such spontaneity that he appears not even to do it consciously: the soul’s oblivion in the thing itself, the secret of life, of love and of intellect.

The Inferno is the realm of the flesh, progressively regressing until it reaches Lucifer. Purgatory is the realm of the spirit, rising by degrees until it reaches paradise. It is there that the mystery unfolds, the Comedy of the Soul which, from utter evil, rouses itself, listens to itself and, through atonement and pain, is purified and saved. Hence, with deep awareness, purgatory leaves behind the last pit of hell. It is on the shoulders of Lucifer, the Prince of Darkness himself, that Dante, rising, emerges to behold the stars once more. from History of Italian Literature by Francesco De Sanctis

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CATONE, IL SAVIO ANTICO Or ti piaccia gradir la sua venuta: Libertà va cercando ch’è sì cara, Come sa chi per lei vita rifiuta.

[Purg., I, 71-72] Chi vuole ora concepire il Purgatorio, si metta in quella età della vita che le passioni si scoloriscono, e l’esperienza e il disinganno tolgono le illusioni, e scemata la parte attiva e personale, l’uomo si sente generalizzare, si sente più come genere che come individuo. Spettatore più che attore, la vita si manifesta in lui non come azione, ma come contemplazione artistica, filosofica, religiosa. In quella calma delle passioni e de’ sensi era posto l’ideale antico del savio, l’ideale nuovo del santo, fuso insieme in quel Catone, che Dante chiama nel Convito anima nobilissima e la più perfetta immagine di Dio in terra. Catone è il savio antico, pinto come i filosofi, con quella sua lunga barba, in quella calma e gravità della sua decorosa vecchiezza.

Ma è qualcosa di più; è il savio battezzato e santificato, con la fronte radiante, illuminata dalla grazia, sì che pare un sole. Virgilio non comprende questo savio cristianizzato, e parla al Catone di sua conoscenza, ricordando la sua virtù, la sua morte per la libertà, la sua Marzia. E il nuovo Catone risponde: Marzia, che piacque tanto agli occhi miei, non mi move più; ma se Donna del

cielo ti guida, non ci è mestier lusinga Che cosa è il Purgatorio? È il mondo dove questo doppio ideale è realizzato: il mondo di Catone o della libertà, dove lo spirito si sviluppa dalla carne e cerca la sua libertà Altro concetto, altra natura, altro uomo, altra forma, altro stile. Non è più l’Iliade, è l’Odissea, è un nuovo poema. Paragonare Inferno e Purgatorio e maravigliarsi che qui non sieno le bellezze ammirate colà, gli è come maravigliarsi che il purgatorio sia purgatorio e non inferno. O, se pur vogliamo maravigliarci di qualche cosa, maravigliamoci che il poeta abbia potuto così compiutamente dimenticare l’antico se stesso, le sue abitudini di concepire, di disporre, di colorire, e seppellito in questo nuovo mondo ricrearsi l’ingegno e la fantasia a quella immagine, e con tanta spontaneità che pare non se ne accorga: obblio dell’anima nella cosa, il secreto della vita, dell’amore e del genio.

L’inferno e il regno della carne, che scende con costante regresso sino a Lucifero. Il purgatorio e il regno dello spirito, che sale di grado in grado sino al paradiso. È là che si sviluppa il mistero, la Commedia dell’anima, la quale dall’estremo del male si riscote e si sente e mediante l’espiazione e il dolore si purifica e si salva. Onde con senso profondo il purgatorio esce dall’ultima bolgia infernale, e Lucifero, principe delle tenebre, e quello stesso per le spalle del quale Dante salendo esce a riveder le stelle. da Storia della Letteratura Italiana di Francesco De Sanctis

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THE FATE OF TRUTH IN THE AGE OF THE TRANSDIEGETIC “Several years have now elapsed since I first became aware that I had accepted, even from my youth, many false opinions for true, and that consequently what I afterwards based on such principles was highly doubtful.” Descartes – Meditation I

by Emanuele Caroppo

With the progressive development of technology, the “machine” has ceased to be “other” than Man, becoming instead one of his eversions for interfacing with an increasingly digitised world.

With transdiegesis, information begins to move dynamically, entering and departing from our lives. Interfaces manage it directly, thus designing not only each of our individual Worlds but also our ways of living in them.

No longer on-line, but on-life, with all the man-

ifold repercussions that this will have on the workings of the human mind. One of these is the modification of the profound meaning of that cum-nèctere, that interweaving with a You that is different from the I, and the consequent possibility of reducing the Other to a more or less distant background phosphorescence in a World that has been custom-virtualised to tailor-fit the Ego. In absence of the You, the I expands without limits, with its mental energies

IL DESTINO DELLA VERITÀ NELL’EPOCA DELLA TRANSDIEGETICA “Alcuni anni fa rimasi colpito dal grande numero di falsità che avevo accettato come verità durante la mia infanzia, e dalla natura dubbiosa dell’intero edificio che in seguito avevo costruito basandomi su di esse” Cartesio – Prima Meditazione

di Emanuele Caroppo

La “macchina” con il progressivo sviluppo tecnologico ha smesso di essere “altro” dall’Uomo divenendo una sua estroflessione d’interfaccia col Mondo sempre più digitalizzato. E con la transdiegetica l’informazione inizia a muoversi dinamicamente entrando e uscendo dalla nostra vita; le interfacce la gestiscono direttamente e in tal modo disegnano non solo il Mondo individuale di ciascuno ma anche il modo di starci.

Non più on-line ma on-life con tutte le molteplici ricadute che si avranno sul funzionamento della mente umana. E tra queste anche la modificazione del significato profondo di quel cum-nèctere, di quell’intrecciarsi con un Tu diverso dall’Io e la conseguente possibilità di ridurre l’Altro a più o meno lontana fosforescenza di sfondo in un Mondo virtualizzato in modo sartoriale a misura d’Ego. E in assenza di un Tu l’Io si espande senza limiti con le energie men273

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increasingly devoted to supporting any process or action that contributes to this expansion.

When the autotrophic mental energies are no longer sufficient for this, then brains could easily become heterotrophic consumers of legal chemical substances, more or less like in Neil Burger’s film Limitless.

And that’s not all. In the absence of a You to act as a counterpoint for the thoughts of the I, then the latter will have fewer chances to measure himself against the doubt instilled by listening to an “other” thought, and greater difficulty in achieving an awareness of the gap that exists between thinking you know a fact, and understanding that you have a belief and thus achieving knowledge. To know a fact generally implies that the fact is true, while to believe a fact may be consistent with the actual falseness of the fact itself. Where it is difficult to arrive at knowledge, a belief will always be treated in the same manner as a concrete fact, as though it were real knowledge. This gives rise, for instance, to those phe-

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nomena of omniscience and omnipotence that are close to being delirious states of mind. Lived thus, life passes us by while we rest in a place of illusion, disengaged from the battle to grow that is constantly being fought inside each one of us as we attempt to separate facts from fantasy, internal reality from external reality. Adolescents stuck inside the last frontier of childhood, “as-

in absence of the You the I expands without limits

if” personalities that seem to lack the questions designed to help us ascertain whether or not the contents of our own minds are believable. Mental states that differ from the normal aut/aut, in which to live is to choose one thing and leave another, but rather those of et/et, where everything

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tali che saranno sempre più utilizzate per sostenere ogni processo o azione che contribuiscano all’espansione. E quando per questa non basteranno le autotrofe energie mentali facile che i cervelli diventino eterotrofi consumatori di chimiche sostanze lecite più o meno come nel film Limitless di Neil Burger.

E non solo. In assenza di un Tu che faccia da

In assenza di un Tu, l’Io si espande senza limiti

controcanto al pensiero di un Io quest’ultimo avrà minore possibilità di confrontarsi col dubbio instillato dall’ascolto di un pensiero “altro” e maggiore difficoltà di pervenire alla consapevolezza dello scarto esistente tra il pensare di conoscere un fatto e comprendere di avere una credenza e quindi arrivare alla conoscen-

za. Conoscere un fatto generalmente implica che il fatto sia vero, credere un fatto può essere coerente con l’effettiva falsità del fatto stesso. Ove sarà difficile il passaggio alla conoscenza, la credenza verrà sempre trattata alla stregua di un fatto concreto come se fosse conoscenza vera dando luogo, ad esempio, al fenomeno dell’onniscienza e onnipotenza prossime a stati deliranti del pensiero. E così si passa la vita riposando in un luogo dell’illusione e astraendosi dalla battaglia continua che per crescere si pugna costantemente in ciascuno di noi nel tentativo di differenziare i fatti dalla fantasia, la realtà interna da quella esterna. Adolescenti bloccati nell’ultimo confine dell’infanzia, personalità come-se ove sembrano mancare domande volte ad accertare la credibilità dei contenuti della propria mente. Stati mentali che non sono quelli normali dell’aut/aut in cui vivere è scegliere una cosa e lasciarne un’altra ma quelli dell’et/et: ogni cosa è equivalente all’altra, si annullano diversità e specificità. Uccidere un clochard innocente o lasciarlo vivere è equivalente quando è in sce275

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is the same as everything else and diversity and specificity are abolished. Whether or not you kill an innocent vagabond or let him live makes no difference when dealing with the triumph of the irrelevance of every aspect of the world. This is the situation for the two teenagers in Ivano De Matteo’s film I nostri ragazzi. They appear as people who turn the same blind eye towards the outside world that they turn towards their own thoughts and feelings, and yet that eye sees and provides direction for all of their relations with their external and internal worlds, infusing those interactions with a pervasive sense of unreality.

Like the March Hare when he says to Alice, “’I like what I get’ is the same thing as ‘I get what I like’!”, dealing with crucial asymmetrical distinctions as though they were symmetrical, treating life’s alternatives as though they were simple inverted pairs, will have the result of shielding one from the emotional consequences of knowledge.

Destined to never achieve a true ability to experience the world or themselves either subjectively or objectively, these personalities will be the

na il trionfo dell’irrilevanza di tutti di gli aspetti del mondo come per i due adolescenti del film I nostri ragazzi di Ivano De Matteo che appaiono come persone che volgono al mondo esterno così come ai propri pensieri e sentimenti un occhio cieco che però vede e che orienterà tutte le loro relazioni col mondo esterno e interno impregnandole di un senso diffuso d’irrealtà.

Come la lepre marzolina quando dice ad Alice mi piace quello che prendo è la stessa cosa di prendo quello che mi piace trattando distinzioni cruciali asimmetriche come se fossero simmetriche così il fatto di trattare le alternative della vita come se fossero semplicemente coppie invertite avrà il risultato di proteggere dalle conseguenze emotive della conoscenza.

Destinati a non raggiungere una reale capacità di esperienza soggettiva e oggettiva del mondo e di sé, queste personalità saranno espressione di un soggettivismo meccanico e alternante che offrirà bilanciamento invece di stabilità, equilibrio a qualsiasi costo al posto di cambia-

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manifestation of a mechanical and alternating subjectivity that offers a balancing act as opposed to stability, equilibrium at any cost in the place of change that, as catastrophic as it might be, will never be “mere” catastrophe – as at the end of De Matteo’s film, where there can be no room for doubt, knowledge or the truth of pain.

Truth! What remains of a truth that, in order to be attained, cannot be separated from each person’s willingness to let himself be inhabited by the manifold parts that comprise the real – with all of its great doubts, uncertainties and fears? A truth that is inseparable from the predisposition of an I to get caught up in the affairs of a You? Empêtré dans des histoires through contact with experience, which is nothing other than an embodiment of “narrativity”.

To attain truth, it is not enough to tear a confession from a son who is guilty of murder, as the doctor and father in De Matteo’s film does. It is necessary to take on the burden of the difficult journey of comprehending something that is linked to certain other things among your con-

mento che per quanto catastrofico non sarà mai mera catastrofe come nel finale del film di De Matteo dove non può esserci spazio per il dubbio, per la conoscenza e per la verità del dolore. Verità! E cosa rimane della verità che per essere raggiunta non può prescindere dalla disponibilità di ognuno a lasciarsi abitare dalle molteplici parti che costituiscono il reale ivi inclusi i grandi dubbi, le incertezze e le paure, che è inscindibile dall’attitudine di un Io a rimanere impigliato nelle storie di un Tu. Empêtré dans des histoires attraverso il contatto con l’esperienza che altro non è che narratività incarnata.

Per raggiungere la verità non ci si può accontentare di strappare, come il padre medico del film di De Matteo, la confessione a un figlio reo di omicidio ma è necessario assumersi il peso del cammino faticoso della comprensione di qualcosa di legato ad altre tue connessioni e che si sente vibrare in tutta la sua problematicità.

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nections so that its vibrations can be felt all through its problematic nature.

Truth cannot be separated from the inflexible dimension of narration, intended as the historical development of a unity of style, of becoming

To know a fact generally implies that the fact is true, while to believe a fact may be consistent with the actual falseness of the fact itself

a presence in the period of time that is lived, le temps vécu. We are both a story for ourselves and a story to be told to the Other. This becomes difficult if the only one present is an I without a You. Yet this story alone, with a direction to grow in, this flow of storytelling, holds within it-

La verità non può prescindere dall’irriducibile dimensione della narranza intesa come un dispiegarsi storico di un’unità di stile di farsi presenza in un tempo vitale, le temps vécu. Siamo un racconto per noi stessi e siamo un racconto da indirizzare all’altro. Operazione difficile se sulla scena c’è solo un Io senza un Tu. Eppure è solo questa narrazione con una direzione di crescita, questo fluire narrante che possiede in sé la narrazione futura caratterizzata da altre tessiture proprie collegate alla capacità di affrontare il Mondo con la nostre attitudini di resilienza e accettazione. Raccontare i fatti del passato, come nel film la figlia al padre avvocato che rimanda tutti gli appuntamenti per ascoltarla, allora è un’anticipazione, è un atto intenzionale di muoversi alla ricerca di qualche ricordo contenuto nella nostra memoria, il ricordo dell’avvenire che getta luce e tesse il passato consentendone la comprensione e aprendo a soluzioni future. Solo così il Tu, l’Al-

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self all future narration, characterised by other weavings of our own, connected to our ability to face the World with a stance of resilience and acceptance. To recount the deeds of the past – as does the daughter in the film, whose father the lawyer postpones all of his appointments to listen to her – is therefore to catch a glimpse of the future. It is an intentional act of seeking out some memory contained within our minds, the memory of the future, which shines a light and weaves the past, granting us comprehension and providing chances for future solutions. Only in this way can the You, the Other, be taken on as a companion in our journey, someone to share with, not as a duality but as an inseparable twoness. This is the only thing that can illuminate the Baudelairian dark alcove of memories sleeping and finally melt Mallarmé’s glacier of flights never flown, which have frozen inside but which now reopen and are reclaimed, spreading light and the prospect of life where the chief alternative was only death.

tro potrà essere colto come compagno di percorso e di condivisione, come duità inscindibile e non come dualità. E soltanto questo illuminerà la baudelairiana alcova oscura dei ricordi dormienti sciogliendo in ultimo il ghiacciaio di

conoscere un fatto generalmente implica che il fatto sia vero, credere un fatto può essere coerente con l’effettiva falsità del fatto stesso

Mallarmé, quello dei voli che non si sono spiccati e che si sono congelati dentro e che invece si riaprono e riprendono diffondendo luce e prospettive di vita dove l’alternativa primaria era solo la morte.

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WHO WINS ON THE SOCIAL NETWORKS? The 12th man in football has always been identified with the fan. But today is not even enough twelve players to win games. The 12th man tradition, therefore, must be added the thirteenth man innovation, consisting of the New Media. New communication platforms represent a great opportunity for football organizations, to multiply the fan base, increase revenues and enhance further the international dimension. The New Media is a powerful tool of direct communication between sports champions and their fans, but also between the club and the fans. It’s about understanding how to best use to create these relationships to develop, in addition to the social roots, even the business of football clubs . The industry analysis of New Media in football is very young, as young people are the rest of these platforms and technologies of communication, but not for less interesting. From the study of the major international markets there are some considerations of great importance. First of all, football is confirmed sports world leading in this area: in the ranking of the top 10 clubs in the world for fame on New Media (social networks, YouTube, Facebook, Twitter), there are in fact as many as 9

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clubs; the only “ intruders “ are represented by the Los Angeles Lakers. Clubs such as Barcelona and Real Madrid are more than 80 million Facebook fans, nearly 20 million followers on Twitter and 200 million-300 million video viewed on Youtube.

Another central theme concerns the growing role of these communication tools in internationalization of football organizations, especially in emerging markets such as Asia. Emblematic the case of Arsenal, with 40 % of the fan club (33 million) on Facebook comes from Indonesia, another 400,000 from Malaysia, a figure equal to about 1.5% of the population. From this point of view, also the Italian market has the potential of great value and interest, if we consider for example that, according to data published in ReportCalcio 2015, about 60% of Twitter followers of the official profiles of the FIGC from abroad (and many of these emerging markets, such as Indonesia and Brazil).

In this sense, in a context of increasing globalization and internationalization, the loyalty of the fans - customers will become an increasingly crucial factor for the football organizations, both in terms of communication and below that of economic return. Here is the last point, but the most important turning fans and followers in consumer. Investing in the future will mean more and more elaborate new ideas, new platforms and new innovative strategies to bring to the service of the passion of the fans on their business model. Because we do not fight the future, we have to build it.

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CHI VINCE SUI SOCIAL NETWORK NEL CALCIO Il dodicesimo uomo nel calcio, si sa, è da sempre identificato con il tifoso. Ma oggi non bastano neanche dodici giocatori per vincere le partite. Al dodicesimo uomo della “tradizione”, di conseguenza, va aggiunto il tredicesimo uomo dell’innovazione, costituito dai New Media. Le nuove piattaforme di comunicazione rappresentano una grande opportunità per le organizzazioni calcistiche, per moltiplicare la fan base, aumentare i fatturati e valorizzare ulteriormente la dimensione internazionale. I New Media costituiscono un formidabile strumento di comunicazione diretta fra i campioni dello sport e i loro fan, ma anche tra le società e i tifosi. Si tratta di capire come utilizzarli al meglio per creare rapporti tali da sviluppare, oltre al radicamento sociale, anche il business dei club calcistici.

L’analisi del settore dei New Media nel calcio è molto giovane, come giovani sono del resto queste piattaforme e tecnologie di comunicazione, ma non per questo meno interessante. Dallo studio dei principali mercati a livello internazionale emergono alcune considerazioni di grande rilevanza. Innanzitutto, il calcio si conferma lo sport leader nel mondo anche in questo settore: nella classifica delle prime 10 so-

cietà sportive al mondo per notorietà sui New Media (social network, YouTube, Facebook, Twitter) si contano infatti ben 9 società calcistiche; gli unici “intrusi” sono rappresentati dai Los Angeles Lakers. Club come Barcellona e Real Madrid contano oltre 80 milioni di fan su Facebook, quasi 20 milioni di follower su Twitter e 200-300 milioni di video visualizzati su Youtube.

Un altro tema centrale riguarda il sempre crescente ruolo di questi strumenti di comunicazione nel processo di internazionalizzazione delle organizzazioni calcistiche, soprattutto nei mercati emergenti come quelli asiatici. Emblematico il caso dell’Arsenal: il 40% dei fan del club (33 milioni) su Facebook proviene dall’Indonesia, altri 400.000 dalla Malesia, un dato pari a circa l’1,5% dell’intera popolazione.

Da questo punto di vista, anche il mercato italiano presenta delle potenzialità di grande valore e interesse, se consideriamo ad esempio che, in base ai dati pubblicati nel ReportCalcio 2015, circa il 60% dei follower su Twitter dei profili ufficiali della FIGC provengono dall’estero (e molti di questi dai mercati emergenti, come Indonesia e Brasile).

In questo senso, in un contesto di progressiva globalizzazione e internazionalizzazione, la fidelizzazione dei tifosi-clienti diventerà un fattore sempre più cruciale per le organizzazioni calcistiche, sia sotto il profilo della comunicazione che sotto quello del ritorno economico. Ecco quindi l’ultimo punto, ma il più importante: trasformare i fan e i follower in consumer. Investire nel futuro significherà sempre di più elaborare nuove idee, nuove piattaforme e nuove strategie innovative per portare a servizio della passione dei tifosi il proprio modello di business. Perché il futuro non lo si combatte, lo si costruisce.

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A N I M A I TA L I A N A

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A N I M A I TA L I A N A

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s ug g est i o n s

“Hollywood Party’s” One Hundred Blows

I cento colpi di Hollywood Party

The history of Italian cinema according to the listeners of Radio3, invited by the staff of “Hollywood Party” to choose the best 100 Italian films from 1914 to the present. “Hollywood Party”, which celebrated its twentieth birthday in 2014, inspired us to create this volume, in which every film is accompanied by a profile that includes interesting facts and anecdotes. Thanks to the contribution of the “Teche Rai” archives, the second part of the volume is able to offer film lovers around fifty previously unpublished stills from television programmes. Rai Eri Publishers

La storia del cinema italiano secondo gli ascoltatori di Radio3, sollecitati dalla redazione di “Hollywood Party” a scegliere i migliori 100 film italiani dal 1914 in poi.

“Hollywood Party” che ha festeggiato il suo ventesimo compleanno nel 2014 ci ha dato lo spunto per pensare e realizzare questo volume, nel quale ogni film è corredato di una scheda critica, arricchita di curiosità e aneddoti. La seconda parte del volume regala agli appassionati di cinema, grazie alla preziosa collaborazione delle Teche Rai, una cinquantina di foto inedite e tratte da programmi televisivi. Edizioni Rai Eri

Palio di Siena For the first time, the events of July 2nd and August 16, the historic dates of the Palio di Siena, will be distributed with Englishlanguage commentary by Rai Com for the international broadcasting market. Each year, this traditional race, which has been run in the marvellous Piazza del Campo since 1644, renews the splendour of the old Republic of Siena.

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Gli eventi del 2 Luglio e del 16 Agosto, appuntamenti storici del Palio di Siena - la tradizionale gara che ogni anno rinnova gli splendori dell’antica Repubblica di Siena e che si corre nella meravigliosa Piazza del Campo dal lontano 1644,– per la prima volta distribuiti da Rai Com con telecronaca in lingua inglese per il mercato del broadcasting internazionale.

The Dinner

I nostri ragazzi MARCO POCCIONI MARCO VALSANIA E RAI CINEMA PRESENTANO

Prodotto da Rai Cinema e distribuito all’estero da Rai Com, il film racconta la storia di due fratelli, opposti nel carattere come nelle scelte di vita e le loro rispettive mogli perennemente ostili l’una all’altra. Una sera delle videocamere di sicurezza riprendono una bravata dei rispettivi figli e l’equilibrio delle due famiglie va in frantumi.

Un film provocatorio, come ci ha abituati il regista Ivano De Matteo, liberamente ispirato al libro “La cena” di Herman Koch, che entra violentemente nella realtà di una famiglia borghese scardinandone le fondamenta.

Dal regista de Gli Equilibristi

siamo sicuri di conoscerli veramente?

ALESSANDRO GASSMANN GIOVANNA MEZZOGIORNO LUIGI LO CASCIO BARBORA BOBULOVA

I NOSTRI RAGAZZI UN FILM DI

IVANO DE MATTEO

ROSABELL LAURENTI SELLERS JACOPO OLMO ANTINORI Liberamente ispirato al romanzo di Herman Koch “La cena” E CON LIDIA VITALE ROBERTO ACCORNERO SHARON ALESSANDRI GIADA FRADEANI CRISTINA PUCCINELLI ANTONIO GROSSO LUPO DE MATTEO ADAMO DIONISI MELINDA DE MATTEO E LA PARTECIPAZIONE DI ANTONIO SALINES SOGGETTO VALENTINA FERLAN SCENEGGIATURA VALENTINA FERLAN IVANO DE MATTEO FOTOGRAFIA VITTORIO OMODEI ZORINI MONTAGGIO CONSUELO CATUCCI SCENOGRAFIA FRANCESCO FRIGERI COSTUMI VALENTINA TAVIANI AIUTO REGIA SIMONE SPADA CASTING DIRECTOR PINO PELLEGRINO (U.I.C.D) SUONO ANTONGIORGIO SABIA MUSICHE ORIGINALI DI FRANCESCO CERASI PRODUTTORI ESECUTIVI FRANCESCA DI DONNA COTTY CHUBB ORGANIZZATORE GENERALE LUCIANO LUCCHI PRODOTTO DA RODEO DRIVE CON RAI CINEMA seguici su

01distribution

7

Produced by Rai Cinema and distributed abroad by Rai Com, this film tells the story of two brothers, as unlike in personality as they are in their life choices, whose wives are constantly butting heads. One night a security camera catches their respective children pulling a reckless stunt and the equilibrium between the two families is shattered.

It is a provocative film, as we have become accustomed to expecting from director Ivano De Matteo. Loosely inspired by Herman Koch’s novel The Dinner, it thrusts us violently into the life of a middle-class family whose foundations have been demolished.

The Life of Others

Le vite degli altri

A journey through the 20th century, comparing, two-bytwo, the greatest artists of the modern age, discovering their similarities and differences.

From Gauguin and Van Gogh to Warhol and Rauschenberg, in this book, published by Rai Eri and Mondadori Electa, Flavio Caroli looks at the movements that have animated contemporary European art history by exploring the lives of its protagonists.

Un viaggio attraverso il XX secolo per stabilire un confronto, a coppie, tra i più grandi artisti del’età moderna e scoprirne similitudini e differenze.

Da Gauguin e Van Gogh fino a Warhol e Rauschenberg, Flavio Caroli, in questo libro pubblicato da Rai Eri e Mondadori Electa, legge attraverso le vicende dei protagonisti i movimenti che hanno animato la storia dell’arte europea contemporanea.

Thus We Loved, Così amavamo, Thus Shall We Love così ameremo A declaration of love, for love. Italo Moscati’s book is a story composed of the courtships, symbols, excitement and episodes of love at first sight experienced by celebrities, the icons of cinema, show business and TV, as well as by people who have been thrust into the spotlight thanks to news stories, or by those figures from the spheres of culture and art who represent our thoughts, the moments that make our hearts leap, our hopes and our illusions.

A joyous spectacle of words, of old patterns broken, of the perpetual coming of dawn after each night.

Dopo l’esordio nel programma “Moby Dick” di

Michele Santoro è passata a “La vita in diretta” su Rai1, dove per dieci anni ha coperto come

inviata i più importanti eventi di cronaca e di costume.

Dal 2010 segue da vicino il mondo della cucina, prima con la rubrica quotidiana di ricette alla portata di tutti e poi con il viaggio itinerante tra

gli chef stellati nel segno della grande tradizione culinaria italiana. Grazie al successo del suo

primo libro La mia cucina in diretta, pubblicato con Rai Eri nel 2012, è stata finalista nella cate-

goria “Best Tv Celebrity” del Gourmand World Cookbook Awards.

286

“I grandi cuochi italiani sono quelli che

partono dalla memoria dei profumi e dei sapori della loro gioventù sapendoli poi trasformare in una cucina che è di tradizione, ma anche di magia”

dalla prefazione di Oscar Farinetti

DENARO

trice televisiva.

FEDERIC A

DE

Federica de Denaro è una giornalista e condut-

Questo non è solo un libro di ricette. È soprattutto Francesco Apredaun libro Heinz Beck RICETTE che racconta storie personali Andrea Berton D’AUTORE Cristina Bowerman fatte di sacrifici, di vocazione Roy Caceres Moreno Cedroni e di passione irrefrenabile per Enrico Cerea Gennaro Esposito anni fa, la cucina. Fino a pochi Anthony Genovese Filippo La Mantia parlare di un cuoco faceva veMarco Martini nire in mente ilLuciano lavoro Monosiliodi mani Giancarlo Morelli sapienti nel chiuso diPascucci una cuciGianfranco Francesco Passalacqua na. Oggi non è più così.

Uno chef Franco Pepe Fabio Picchi stellato è un professionista al Massimo Riccioli Sadler passo coi tempi,Claudio che si relazioDavide Scabin Emanuele Scarello na agli altri, viaggia, parla più Marcello Trentini lingue e ama entrare in contatto Mauro Uliassi Marianna Vitale con culture diverse facendole proprie e reinterpretandole. È soprattutto un creativo che desidera suscitare emozioni in chi assaggia i suoi piatti, come un vero e proprio artista.

D’AUTORE

FEDERIC A

This is not simply a book of recipes. First and foremost, it is a book that tells personal stories of sacrifice, of following one’s calling, of an irrepressible passion Il viaggio dentro for cooking. l’eccellenza Until just a few yeculinaria italiana ars ago, to talk about a chef was to imagine skilled hands at work in the privacy of a kitchen. That is no longer the case. A “starred” chef is a professional in step with the times, who interacts with others, travels, speaks multiple languages and loves to come into contact with different cultures, making them his own and reinterpreting them. Most of all, he is a creative talent seeking to stir the emotions of those who sample his dishes, like a true artist.

Ricette d’autore

RICETTE D’AUTORE

When Recipes Become Art

Una dichiarazione d’amore, per l’amore. Il libro di Italo Moscati è una storia fatta di corteggiamenti, simboli, entusiasmi e colpi di fulmine dei divi famosi, dei modelli del cinema, dello spettacolo e della tv, ma anche delle persone messe in luce dai fatti di cronaca o di quelle figure che nella cultura e nell’arte hanno rappresentano i pensieri, i moti del cuore, le speranze e le illusioni. Un festoso spettacolo di parole e schemi sempre nuovo, del continuo sorgere dell’alba dopo le notti.

€ 16,00

DE

DENARO

RICETTE

“Questo non è solo un libro

tutto un libro che raccon

L’insieme appassionante di

ne e di passione irrefrenab

Fino a pochi anni fa, parlar

venire in mente il lavoro d chiuso di una cucina. Oggi Uno chef stellato è un professionista al passo coi tempi, che si relaziona agli altri, viaggia, parla più lin-

S s a

gue e ama entrare in

contatto con culture divers

e reinterpretandole. È sop

che desidera suscitare emo

i suoi piatti, come un vero e

The Masters of wine Marcello Masi and Rocco Tolfa, director and deputy director of the Tg2 news programme, have combined their experience as journalists with both a decades-old passion for the world of wine and for telling the world about Italy’s extraordinary resources – because behind every bottle of wine lies the story of the people who produced it.

A programme created by Rai 2, through Rai Com and in collaboration with the Ministry of Agricultural, Food and Forestry Policies, it tells the story of the passion, hard work, culture and traditions preserved by the greatest Italian wine producers.

I signori del vino Marcello Masi e Rocco Tolfa, direttore e vicedirettore del Tg2, hanno unito la loro esperienza di giornalisti alla passione decennale per il mondo del vino per raccontare a tutti le straordinarie risorse del nostro Paese: perché dietro una bottiglia di vino, c’è sempre la storia delle persone che l’hanno prodotta.

Un programma che Rai 2, attraverso Rai Com, realizza in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e che racconta le storie di passione, fatica, cultura e tradizione custodite dai più grandi produttori vinicoli italiani.

Turandot Riccardo Chailly, new Principal Conductor of La Scala, whose interpretations of Puccini’s operas are a point of reference, inaugurated the Expo with this audience favourite. He also announced some of the main themes of his musical programme: a focus on Italian opera and, in particular, Puccini; on giving great contemporary music the attention it deserves; on making more modern choices in terms of direction but without losing touch with the composers’ intentions.

Puccini’s final opera, which had its première as a posthumous performance at La Scala, without a finale, now returns in the version completed by Luciano Berio, another great 20th-century Italian musician. It was under Chailly’s conductor’s baton that it first saw the light of day. The performance, recorded and distributed by Rai Com, is available for Rai programming and for purchase on the international broadcasting market.

Riccardo Chailly, nuovo Direttore Principale del Teatro e interprete di riferimento del melodramma di Puccini, inaugura il periodo dell’Expo con questo titolo amatissimo dal pubblico, annunciando alcune linee portanti del suo programma musicale: attenzione all’opera italiana e in particolare a Puccini, valorizzazione della musica contemporanea, scelta di regie moderne ma rispettose delle volontà d’autore. L’ultima opera di Puccini, rappresentata postuma e senza finale in prima assoluta alla Scala, vi torna nel completamento di Luciano Berio, altro grandissimo musicista italiano del Novecento, che proprio sotto la bacchetta di Chailly vide la luce. Lo spettacolo, registrato e distribuito da Rai Com, è disponibile per i palinsesti televisivi di Rai e venduto sul mercato del broadcasting internazionale.

M a sh a a n d Bear

M ash a e O rso

The new publishing project

by Rai Com/Rcs, devoted to the cartoon of the moment, Masha and the Bear (in Italian, Masha e Orso) has made an extremely positive début on newsstands. These 18 little activity books for preschoolaged children contain games, pictures to colour and much more. The first two issues in the series sold out and, to great demand, are returning to the shelves with a second print run. In a few days’ time another novelty will hit the newsstands for the first time: the “Masha and the Bear card collection”, colourful and “fuzzy” little booklets to collect in a binder.

Estremamente positivo il debutto in edicola della nuova iniziativa editoriale Rai Com /Rcs dedicata al cartoon del momento “Masha e Orso”: 18 activity book, piccoli fascicoli dedicati ai bambini in fascia prescolare che contengono giochi, immagini da colorare e tanto altro. I primi due numeri della collana sono andati esauriti e a grande richiesta tornano disponibili in ristampa. E fra pochi giorni un’altra grande novità: per la prima volta in assoluto, arriva in edicola la “Masha e Orso card collection”, coloratissime e “pelossisime” bustine da collezionare all’interno di un raccoglitore.

Italiana TV Magazine Italiana Magazine is an international television magazine focusing on the delights of Italy and the Expo 2015. Twentyeight 25-minute episodes, all in HD, to experience the best of Italy through exciting images and modern and compelling narrative language. The TV Magazine is already on the air in over 40 countries in the Middle East, North Africa, China and Russia, and is available in Italian, English, Arabic, Chinese and Russian.

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Italiana Magazine è un format televisivo internazionale dedicato all’eccellenza Italiana e ad Expo 2015. 28 puntate da 25 minuti, interamente in HD, per vivere il meglio dell’Italia attraverso immagini emozionanti e

con un linguaggio moderno e coinvolgente. Il Tv Magazine è già in onda in oltre 40 Paesi di Medio Oriente, Nord Africa, Cina e Russia ed è disponibile in italiano, inglese, arabo, cinese e russo.

The Coffee Machine

La macchina del caffè

This volume, published by Rai Eri as part of its non-fiction collection, is part of a publishing series devoted to the machines that have revolutionized world history and customs. Among these is the coffee machine, of which Italy is most certainly an ambassador. By providing historical, artistic and cultural background, the book takes the reader on a journey through the ritual of coffee, which is both private and collective. It explores the mechanisms, at times simple and sometimes less so, by which we produce a beverage that is not only a refreshment or a distraction, but also embodies a simple yet important sort of philosophy: the importance of seizing the fleeting moment.

Il testo, edito Rai Eri per la collana dei saggi, fa parte di un progetto editoriale dedicato alle macchine che hanno rivoluzionato la storia ed i costumi mondiali. Tra queste la macchinetta del caffè, di cui l’Italia è certamente grande rappresentante. Il testo, attraverso riferimenti storici, artistici e culturali sviluppa un piccolo viaggio attorno al rito del caffè, privato e al tempo stesso collettivo e ai meccanismi, a volte elementari a volte meno, che producono una bevanda che non è solo un ristoro o una distrazione, ma una sorta di piccola grande filosofia dell’attimo fuggente.

To the Opera!

All’Opera

All’Opera is a programme produced and distributed by Rai Com for the European cinema circuit.

During the 2014/2015 season, it offers cinema-goers screenings of six operas, recorded in five different Italian theatres.

Among these is the historic event of December 7th, when Fidelio will be broadcast live from La Scala in Milan on what is the most glamorous night of the year.

Likewise: Verdi’s Aida from the Teatro San Carlo in Naples; Puccini’s Turandot from La Scala, for the opening of the Expo2015; The Marriage of Figaro from the Teatro Regio in Turin; Don Giovanni from the breathtaking setting of the Arena di Verona and, to close the programme, Bellini’s Norma, from La Fenice in Venice.

All’Opera è il cartellone prodotto e distribuito da Rai Com per il circuito cinematografico europeo. Per le stagione 2014/2015 prevede la proiezione nelle sale cinematografiche di 6 opere registrate in cinque diversi Teatri italiani.

Tra tutte l’appuntamento storico del 7 dicembre, con la diretta del Fidelio dalla Scala di Milano,la serata più glamour dell’anno. E ancora: L’Aida di Verdi dal Teatro San Carlo di Napoli; la Turandot di Puccini dal Teatro Scala per l’inaugurazione di Expo2015; Le nozze di Figaro dal Teatro Regio di Torino; il Don Giovanni dagli scenari mozzafiato dell’Arena di Verona e la Norma di Bellini, ultimo appuntamento, dal Teatro La Fenice di Venezia.

It’s Never Too Late

Non è mai troppo tardi

This two-part miniseries directed

by Giacomo Campiotti, produced

by Rai Fiction and distributed by Rai Com, tells the extraordinary tale of a teacher, Alberto Manzi, who, in the Italy of the 1950s and ‘60s, went from a teaching post in a juvenile detention centre to the brand-new medium of black and white television, which he used to teach millions of Italians how to read and write. Every Italian remembers him as one of our first television phenomena.

Una miniserie in 2 puntate con la regia di Giacomo Campiotti, prodotta da Rai Fiction e distribuita da Rai Com, racconta la straordinaria avventura del maestro Alberto Manzi che, nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, da una precedente esperienza di insegnamento in un carcere minorile passò alla neonata tv in bianco e nero ed insegnò a leggere e a scrivere a milioni di italiani.

Uno dei primi fenomeni televisivi italiani che ognuno di noi ricorda.

Casa Italiana Casa Italiana (the “Italian House”) is a project developed by Rai Com in collaboration with the Italian Federation of Light Athletics.

Casa Italiana is a one-of-a-kind place, where the best of Italian Excellence will come to China on the occasion of the Beijing World Athletics Championships. A tenday events schedule, from 22-30 August, will allow both spectators and Chinese firms to be introduced to some of Italy’s best products.

Casa Italiana è un progetto ideato da Rai Com in collaborazione con la Federazione di Atletica Leggera. Casa Italiana è il luogo unico in cui il meglio dell’Eccellenza Italiana incontrerà la Cina in occasione

dei Mondiali di Atletica di Pechino.

Un calendario di appuntamenti ed eventi per dieci giorni, dal 22 al 30 agosto, consentirà al pubblico e alle aziende cinesi di entrare in contatto con le eccellenze del nostro Paese.

Tv a l l a m o d a Rai, fashion, society: Fabiana Giacomotti tells an amazing journey through the archives, tailors and the collections that have made great television and Italian style in the world. TV to fashion is a book, published by Silvana Editoriale and Eri rai, which collects through the eyes of unpublished prima donnas, directors, costume designers and stylites the relationship between the public television viewers and revealing the hidden stories behind every outfit and every interpreter.

(By Fabiana Giacomotti. Published

by Rai Eri/Silvana Editoriale)

E X CU S E M E, PARD ON M E, THA NK YOU! A dialogue between a fervent Catholic and an impenitent secularist In their professional life, Ettore Bernabei and Sergio Lepri are major figures in the great process of Italy’s transformation: the Republic, the arrival of television, the so-called “economic miracle,” terrorism, the Internet, and the new media. Theirs is a dialogue between two peers – an impassioned testimony with two voices, bearing witness to joys and sorrows, to hopes and disappointments. Ettore and Sergio, who disagree about some important issues in life and about many of the

La Rai, la moda, la società: Fabiana Giacomotti racconta un viaggio sorprendente tra gli archivi, le sartorie e le collezioni che hanno fatto grande la televisione e lo stile italiano nel mondo. TV alla moda è un libro, edito da rai Eri e Silvana editoriale, che raccoglie attraverso lo sguardo inedito di primedonne, registi, costumisti e stiliti il rapporto fra la tv pubblica e gli spettatori svelando gli aneddoti celati dietro a ogni vestito e a ogni suo interprete.

(Di Fabiana Giacomotti. Edito da Rai Eri e Silvana Editoriale)

political and cultural events they are speaking about, have been friends for almost seventy years, and for almost seventy years they have been side by side, demonstrating that, with respect for common values, we can walk together. Rai Eri Editions

P E R M E S S O, S C U S I, G R A ZI E dialogo fra un cattolico fervente e un laico impenitente Ettore Bernabei e Sergio Lepri, protagonisti per la loro attività professionale nel grande processo di trasformazione dell’Italia: la Repubblica, l’avvento della televisione, il cosiddetto “miracolo economico”, il terrorismo, Internet e i nuovi media. Il loro è un lungo

dialogo fra i due coetanei, una testimonianza appassionata, a due voci, di gioie e di dolori, di speranze e di delusioni. Ettore e Sergio, che sono in disaccordo su alcuni temi importanti della vita e su molti dei fatti politici e culturali di cui parlano, sono amici da quasi settant’anni e per settant’anni hanno operato vicini, dimostrando che, nel rispetto di comuni valori, si può camminare insieme.

Edizioni Rai Eri

Football matters

Il calcio conta

Football counts is an annual critical observatory of the numbers of football, narrated in 40 tables of infographics. A new way of communicating to provide a transparent and detailed X-ray of the state and prospects of development of Italian football, comparing it to different international experiences to help understand what the models to consider are. Football counts is published by Rai Eri and Bur. (By Niccolò Donna, Gianfranco Teotino, Michele Uva, published

by Rai Eri/Bur)

Il calcio conta è un osservatorio critico annuale dei numeri del pallone, raccontati in 40 tavole di infografica. Un nuovo modo di comunicare per offrire una trasparente e circostanziata radiografia dello stato e delle prospettive di sviluppo del calcio italiano, raffrontandolo con diverse esperienze internazionali utili a comprendere quali siano i modelli da tenere in considerazione. Il calcio conta è edito da Rai Eri e Bur. (Di Niccolò Donna, Gianfranco Teotino, Michele Uva, edito da Rai Eri e Bur)

F LY I N G

166 days with @astro_luca

VOLARE 166 giorni con @astro_luca

Published by Rai Eri and with a preface by Fabio Fazio, the book came into being “in order to share a unique and entirely Italian experience, and to bring people closer to space,” as author Luca Parmitano explains. During his Volare mission, from which the book takes his name, he kept an online diary recounting his adventure in space. This account resulted in a book: a new mode of science communication using simple, direct language.

Edito da Rai Eri e con la prefazione di Fabio Fazio, il libro nasce “per condividere un’esperienza unica, tutta italiana, e avvicinare la gente allo spazio”, come spiega l’autore Luca Parmitano. Durante la sua missione Volare, che ha dato poi il nome al libro, ha realizzato un diario on line in cui raccontava la sua avventura nello spazio. Da quel racconto è nato un libro: un modo tutto nuovo di fare divulgazione scientifica con un linguaggio semplice e diretto.

IL GIARDINO DI THE REINFORCED CONCRETE GARDEN CEMENTO ARMATO Stories from prison Racconti dal carcere Twenty-six short stories, written by people of different sexes, ages, and crimes committed, but that all come from the same place: prison. A place of shouted surnames and recreation in the yard, but also a reality in which there is a strong desire to improve, to pick oneself up as the Goliarda Sapienza Award demonstrates every year.. Introductions are by 26 great writers, one for each story, including Erri De Luca, Giancarlo De Cataldo, Carlo Lucarelli, and many more. The deeper we read, the more we realize that everyone has his or her own – and prize-worthy – uniqueness. Edizioni Rai Eri

Ventisei racconti, scritti da persone diverse per sesso, età e reati commessi, ma che hanno in comune il luogo di provenienza: il carcere. Un luogo di cognomi urlati e di cortili per l’ora d’aria, ma anche una realtà in cui è forte la voglia di migliorare, di rialzarsi come ogni anno testimonia il Premio Goliarda Sapienza. Le introduzioni sono di ventisei grandi scrittori, ognuno per ogni racconto, tra cui Erri De Luca, Giancarlo De Cataldo, Carlo Lucarelli e molti altri ancora. Più ci s’inoltra nella lettura e più ci si accorge che ciascuno ha una sua unicità, degna di un premio. Edizioni Rai Eri

Detective Montalbano special edition

Il Commissario Montalbano special edition

The whole world of the detective Montalbano in a single package, enriched with exclusive content: all the series’ episodes, digitally remasterized in 16/9 format, an extra DVD with a surprising parallel between the Sicilian writer and Georges Simenon, creator of Maigret, and a long chat between Fabio Fazio and Camilleri in his office in Rome. Produced by Rai Com, this precious product comes complete with an insert including information and trivia about the television series, a map of the Montalbano home (done by the set designer Luciano Ricceri), five backstage photos from the final season, and some limited-edition stills from the original film Il campo del vasaio (“The Potter’s Field”).

Tutto il mondo del Commissario Montalbano raccolto in una confezione unica e ricca di contenuti esclusivi: tutti gli episodi della serie rimasterizzati in digitale e nel formato 16/9; un dvd extra con un sorprendente parallelo fra lo scrittore siciliano e Georges Si-

menon, creatore di Maigret, e una lunga chiacchierata fra Fabio Fazio e Camilleri nel suo studio di Roma. A completare il prezioso cofanetto, prodotto da Rai Com, anche un inserto con informazioni e curiosità sulla serie tv, la piantina di casa Montalbano (realizzata dallo scenografo Luciano Ricceri), cinque stampe tratte dal backstage dell’ultima stagione e alcuni fotogrammi della pellicola originale de Il campo del vasaio in edizione limitata.

The Last Temple

L’ultimo Tempio

L’Ultimo Tempio is a documentary dedicated to the place where art is built, is presented, and lives: La Scala. The history of the only theatre in the world that has captured and indelibly claimed as its own the all-time greatest names on the musical landscape. Giuseppe Verdi, Arturo Toscanini, Maria Callas, and Luchino Visconti established the legend of a venue that still instils a sense of the sacred, handed down over the years by the likes of Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Giorgio Strehler, Riccardo Muti, Franco Zeffirelli, Daniel Barenboim, Riccardo Chailly, and Patrice Chéreau.

L’Ultimo Tempio è un documentario dedicato al luogo per eccellenza dove l’arte si costruisce, si rappresenta e vive: IL Teatro alla Scala. La storia dell’unico teatro al mondo che ha catturato e legato a sé, indissolubilmente, i più grandi nomi della scena musicale di tutti i tempi. Giuseppe Verdi, Arturo Toscanini, Maria Callas, Luchino Visconti hanno fondato il mito di un luogo che ancora oggi suscita un senso di sacralità, tramandato negli anni da Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Giorgio Strehler, Riccardo Muti, Franco Zeffirelli, Daniel Barenboim, Riccardo Chailly, Patrice Chéreau.

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Da me a te “prologo“

02

Strada Facendo

03

Dagli il via

da me a te 1998

8

MA

Claudio Baglioni Live Story

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Baglioni: Live Story, the of live events Domani mai

by Claudio Baglioni, one of the Quante volte most beloved singers of the Avrai Italian panorama.

Uomini persi A great collection in 15 dvd I vecchi between memorable tours and E adesso la pubblicità events. A completely unpubTamburi lontani lished collection produced by Le vie dei colori Rai Com and distributed with Vivi Gazzetta dello Sport and CorNinna nanna nanna ninna Noi no riere della Sera Fammi andar viaStory. A living history.

Live

18

Poster

19

Bolero

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Dov’è dov’è

21

Mille giorni di te e di me

22

Medley “ Yes my car “

23

Amore bello

24

E tu

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Solo

04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16

26 27 28 29 30 31 32 33 34

Claudio Acqua dalla luna

Notte di note, notecollection di notte only

The Red Band Io me ne andrei Society 2 Sabato pomeriggio E tu come stai Since

the last time we saw Da me a te it, the Red band Society has Questo piccolo grande amore grown a little bit. Someone La vita è adesso came out from hospital, othVia ers are going to do it, but the Io sono qui Da me a te group “finale” fell apart and it would take a miracle to get them back together.

1 In these new five episodes we will follow the adventures of the protagonists of the first season, in addition to new characters entered immediately in the heart of the spectators and fans . Completing the series , the brand new DVD recorded live in Porto San Giorgio with Niccolò Agliardi , James Campiotti and the guys in the series.

The set of the second season , produced by Rai Com , will be available in stores from September 2015 .

Claudio Baglioni: Live Story, l’unica collezione degli eventi dal vivo di Claudio Baglioni, uno dei cantanti più amati del panorama italiano.

Un’eccezionale raccolta in 15 dvd di 40 anni di notti di note tra memorabili tour e avvenimenti speciali che segnano un percorso irripetibile. Una collana completamente inedita prodotta da Rai Com e distribuita in edicola in abbinamento a Gazzetta dello Sport e Corriere della sera a partire da maggio 2015.

Live Story. Una storia viva.

Braccialetti Rossi 2

6 GIUGNO 1998

Dall’ultima volta che li abbiamo visti, i Braccialetti rossi sono cresciuti un po’, qualcuno è uscito dall’ospedale, altri stanno per farlo, ma il gruppo si è sfaldato e ci vorrebbe un miracolo per farli tornare insieme. In questi cinque nuovi episodi seguiremo le vicende dei protagonisti della prima stagione, a cui si aggiungono nuovi perso-

naggi entrati immediatamente nel cuore degli spettatori e dei fan. A completare la serie, l’inedito DVD del live registrato a Porto San Giorgio con Niccolò Agliardi, Giacomo Campiotti e i ragazzi della serie.

Il cofanetto della seconda stagione, prodotto da Rai Com, sarà disponibile nei migliori negozi a partire da settembre 2015.

STADIO OLIMPICO - ROMA DALLA CITTÀ ALLO STADIO

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The Great War

La Grande Guerra

On the occasion of the cen centennial of the outbreak of the First World War, Rai Com, in collaboration with Rai Educational, has produced 20 original documentaries hosted by Paolo Mieli, with narration by Carlo Lucarelli, to tell the story, year by year, of the war that forever changed our history: a journey through politics, diplomacy, and alliances for a comprehensive and authoritative view of the event that shook the world.

In occasione dei cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Rai Com in collaborazione con Rai Educational hanno prodotto 20 documentari inediti presentati da Paolo Mieli, con la narrazione di Carlo Lucarelli, per ripercorrere anno dopo anno la guerra che ha cambiato per sempre la nostra storia: un viaggio attraverso la politica, la diplomazia, le alleanze per una visione completa e autorevole dell’evento che ha sconvolto il mondo.

FRANCIS: Story of a Pope’s election

FRANCESCO: Storia dell’elezione di un Papa

On 13 March, the world had a new pontiff: the Italian/Argentine Cardinal Jorge Mario Bergoglio – following the resignation of Pope Benedict XVI, the brief Conclave and the election of the new Pope – was now Pope Francis. From the Vatican Television Center, a documentary produced and distributed by Rai Com, with 4 different interviews with eminent cardinals on the spiritual path that led Benedict to take such an unexpected decision, and the history and life of Pope Francis, with whom the Church and the entire world is undertaking a new road.

Il 13 marzo il mondo ha un nuovo pontefice, Papa Francesco, il cardinale italo-argentino Jorge Mario Bergoglio: le dimissioni di papa Benedetto XVI, il breve Conclave e l’elezione del nuovo Papa. Dal Centro Televisivo Vaticano un documentario, prodotto e distribuito da Rai Com, con 4 diverse interviste a eminenti cardinali circa il cammino spirituale che ha portato Ratzinger a prendere una decisione così inaspettata e la storia e la vita di Papa Francesco, con il quale la Chiesa e il mondo intero stanno intraprendendo un nuovo cammino.

Leonardo’s Vineyard

La Vigna di Leonardo

Starting from archival research and the latest studies on the Milanese neighbourhood that was home to the vineyard owned by Leonardo Da Vinci, and until traces were found on the terrain, the documentary aims to recount Leonardo’s life and works during his stay in the city of Milan, while also describing the universal genius’s more “human” side, as well as the society that gravitated around him. A Rai Fiction, Skira Classica and Rai Com production.

A partire dalle ricerche d’archivio e dagli studi più aggiornati sul quartiere milanese che ospitò la vigna di proprietà di Leonardo Da Vinci fino al ritrovamento di tracce sul terreno, finora sepolte, il documentario intende racconta-

PI E TRO MENN EA the southern arrow

PI E T RO M E N N E A la freccia del sud

A two-part miniseries produced

by Casanova Multimedia for Rai Fiction and distributed by Rai Com, this is the story of the greatest sprinter in Italian athletics history. His time of 19.72 seconds in the 200 metres was the world record from 1979 to 1996, and stands as the European record to this day. In the same speciality, he took gold in the 1980 Moscow Olympics. His was one of the most exciting stories in Italian sports, with a medal collection ranging from the Mediterranean Games to the European and World Championships, as well as the Olympic games. Michele Riondino plays the leading role, joined by a cast including Luca Barbareschi and Gian Marco Tognazzi.

Miniserie in due puntate, realizzata da Casanova Multimedia per Rai Fiction e distribuita da Rai Com, è la storia del più grande velocista della storia dell’atletica italiana, primatista mondiale dei 200 metri piani dal 1979 al 1996 con il tempo di 19”72, tutt’ora record europeo e medaglia d’oro nella specialità alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Una delle storie più avvincenti dello sport italiano, con una collezione di medaglie che dai Giochi del Mediterraneo arrivano fino a Europei, Mondiali e Olimpiadi.

Nel ruolo del protagonista Michele Riondino e tanti altri attori tra cui Luca Barbareschi e Gian Marco Tognazzi.

re la vita e le opere di Leonardo durante il suo soggiorno nella città di Milano, descrivendo al contempo sia la dimensione più “umana” del Genio universale sia la società che gli gravitava intorno. Una produzione Rai Fiction, Skira Classica e Rai Com.

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s ave t h e date AGENDA

a rt a n d cu lt u re

TORINO

Palazzo Chiablese

Tamara de Lempicka March 19 th 2015 – August 30 th 2015 www.mostratamara.it

VENEZIA

Collezione Peggy Guggenheim

Jackson Pollock’s MURAL. Energy made visible April 23rd 2015 – November 9 th 2015 www.guggenheim-venice.it

09/ 11

30/ 08

PAINTING/ PITTURA

PAINTING / PITTURA

ROMA

Museo Nazionale Romano Terme di Diocleziano

Florence Henri May 5th 2015 – August 31st 2015 www.archeoroma.beniculturali.it

31/ 08

PHOTOGRAPHY / FOTOGRAFIA

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S A V E T H E D AT E | A R T A N D C U LT U R E

13/ 09

P H O T O G R A P H Y/ FOTOGRAFIA

ROMA

Palazzo delle Esposizioni

David LaChapelle.

After the Deluge

April 30 th 2015 September 13th 2015 www.palazzoesposizioni.it

MILANO

Triennale di Milano

The Daily Beauty A path in the Permanent Collection of Italian Design from December 14th 2014 www.triennale.org

MILANO

Armani/Silos

For Forty Years of Armani Fashion

from April 30 th 2015 www.armanisilos.com

30/ 04 FASHION/ MODA

14/ 12 DESIGN/ DESIGN

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m u s i c a n d en terta i n m en t

s ave t h e date AGENDA

MILANO

FIRENZE

Teatro alla Scala

Opera di Firenze Maggio Musicale Fiorentino

Excelsior Luigi Manzotti

Madama Butterfly Giacomo Puccini

Ballet School of Teatro alla Scala Academy Ugo Dell’Ara choreographer David Coleman conductor July 11th – July 25th 2015 www.teatroallascala.org

Amarilli Nizza as Cio Cio San July 18th – September 5th 2015 www.operadifirenze.it

25/ 07

05/ 09

OPERA/ OPERA

B A L L E T/ BALLETTO

ROMA

Auditorium Parco della Musica

Björk

July 29 th www.auditorium.com

29/ 07

C O N C E R T/ CONCERTO

RAVELLO

Ravello Festival Belvedere di Villa Rufolo

Stefano Bollani piano solo Saturday August 8th 2015 www.ravellofestival.com

08/ 08 PIANO/ PIANOFORTE

300

s ave t he date

i ta li a n ex h i b i t i o n s i n t h e wo rld

LIONE G R A N D T H E AT R E F O U R V I E R E ARCHAEOLOGICAL PARK LUDOVICO EINAUDI

Festival Les Nuits de Fourviere Odéon, rue de l’Antiquaille Vinicio Capossela July 26 th 2015 www.nuitsdefourviere.com

NEW YORK WHITNEY MUSEUM OF AMERICAN ART

New building designed by architect Renzo Piano From Spring summer 2015 www.whitney.org

s ave t he date AGENDA

s p o rt

C ATA N I A

Palacatania

World League Volleyball Women’s Italy, Brazil, Russia, Belgium

06/ 09 FORMULA 1/ FORMULA 1

From July 16 th to 18th 2015

MONZA

18/ 07

Monza Autodromo

Formula 1 Gran Premio Italia

VOLLEYBALL/ PALLAVOLO

From 4th to 6 th September 2015 www.monzanet.it

SAN MARINO

Circuit of Misano Marco Simoncelli

Gran Prix of San Marino From September 11 to 13th 2015

th

www.san-marino-moto-gp.com

13/ 09

MOTO GP/ MOTO GP TA L A M O N E

Talamone Club Sail

Snipe Class World Championship From 12th to 26 th September 2015

302

26/ 09 LOREM/ IPSUM

ITALIANA è un supplemento del RADIOCORRIERE TV Settimanale della Rai Radiotelevisione Italiana / Reg. Trib. N. 673 del 16 dicembre 1997 Editor in Chief/ Direttore Responsabile Fabrizio Casinelli Editorial Staff/ Redazione Rai – Viale Mazzini, 14 – 00195 Roma Tel. 06 36864313 – fax 06 3242420 ITALIANA Numero 3 - giugno/settembre 2015 © 2015 Rai Radiotelevisione Italiana

Editor in Chief Direttore Responsabile Fabrizio Casinelli

Editorial Director Direttore Editoriale Luigi De Siervo

Editorial Coordinators Coordinatori editoriali Renata Ingafù

Contributers to this issue / Hanno collaborato a questo numero: Valentina Alfonsi, Adriano Bacconi, Nicola Calzaretta, Barbara Carfagna, Emanuele Caroppo, Maurizio Cohen, Francesca Colonia, Alberto Crespi, Steve Della Casa, Paolo Di Paolo, Niccolò Donna, Umberto Eco, Carlo Falciani, Fabiana Giacomotti, Jacopo Ghilardotti, Camilla Guaita, Franco Manfriani, Umberto Marongiu, Giovanni Mattioli, Cecilia Mazzeo, Angelo Mellone, Italo Moscati, Fabio Moschella, Antonio Natali, Giulia Nicolai, Fabio Pagliara, Maria Cristina Vannini Parenti, Rex Pickett, Luisa Pirri, Francesca Presto, Emilio Ravel, Franco Maria Ricci, Gianni Sinni.

Cover/In copertina: Illustration by/Illustrazione di Riccardo Guasco Translations/Traduzioni: by/a cura di Byron Tree S.r.l

Graphic Design/Grafica: Clarissa Tattilo www.clarissatattilo.it

Photography: / Fotografie: By courtesy of/ Per gentile concessione di Bas Princen per gentile concessione della Fondazione Prada; Betterpress Lab Roma; Bibenda Fondazione Italiana Sommelier; Circolo Cine Foto Amatori HISPELLUM; Consorzio di Tutela del Limone di Siracusa IGP; Davide Lovatti e SGP Srl per gentile concessione di Giorgio Armani; Fondazione Palazzo Strozzi; Karin Jobst per gentile concessione di Max Mara; Studio Agorà; XFoto; Getty Images, Corbis Images; LaPresse; Rai Teche; Shutterstock.

Illustration/Illustrazioni: Stefen Berkenholden; Sergio Bonelli Editore; Riccardo Guasco; Giulio Picchi; Gianni Sinni; Elisa Scerrato; Giulia Santopadre.

Thanks to: / Si ringrazia inoltre: Alice Gaini; Andrea Goffo; Andrea Iacopi; Associazione Turistica Pro Spello; Betterpress Lab; Consorzio di Tutela del Limone di Siracusa IGP; Cristiana Cavallari; Danco Singer; ExFadda; Fondazione Italiana Sommelier; Fondazione Palazzo Strozzi, Fulvio Pierangelini; Giacomo Bei; Lavinia Rinaldi; Michele Uva ; Mondadori Electa; Nicola De Angelis; Opera di Firenze Maggio Musicale Fiorentino; Paola Simonetti; Sergio Bonelli Editore; Stefano Marzorati; Stefano Peradotto; Verde Visconti; Vincenzo Sarno.

Production Management and Editorial staff Direzione e Redazione Rai Com S.p.a Via Umberto Novaro 18 00195 Roma

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MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL‘UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

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