Spagine della domenica 08

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Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri

della domenica 08 - 15 dicembre 2013 - anno I n. 0

spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri


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Lecce, 15 dicembre 2013 - spagine n° 0 - della domenica 08

Expò 2015 Il tema generale sarà “Nutrire il pianeta, energia per la vita”

Padiglione Italia Poiesi, Limite, Accessibilità Per individuare i contenuti di partecipazione a Expo 2015 di Regioni ed Enti territoriali, Padiglione Italia, d’intesa con la Cabina di Regia (coordinata da Governo e composta da Expo SpA, Conferenza delle Regioni e Anci) e con Censis e AASTER, ha organizzato sei seminari territoriali di progettazione partecipata dal titolo “Expo 2015 per l’Italia”. Si tratta di sei seminari di approfondimento finalizzati all’ascolto dei territori e dei loro protagonisti per immaginare una rappresentazione organica e coinvolgente dell’Italia, che guardi al futuro a partire dalle ricchezze della nostra storia e della nostra identità. L’incontro per tutto il Sud Italia (Campania, Calabria, Basilicata e Puglia) si è tenuto il 3 dicembre 2013 a Martina Franca. L’incontro si è svolto di fronte a rappresentanti delle istituzioni ed enti territoriali interessati (per la Regione Puglia erano presenti, tra gli altri, gli assessori Barbanente, Godelli, Nardoni), che hanno ascoltato le relazioni di 10 relatori invitati. Per tutto il Sud Italia, sono stati invitati solo 10 relatori, rappresentanti di Confindustria, soggetti privati e del mondo culturale. Ad ogni relatore è stato chiesto di esprimersi, commentare e proporre idee a partire dalle relazioni teoriche e metodologiche sulla progettazione di Padiglione Italia scritte da due dei massimi sociologi italiani: Giuseppe De Rita, presidente del Censis, e Aldo Bonomi, direttore del Consorzio AASTER. A ogni relatore sono state fornite per tempo le relazioni di De Rita e Bonomi, così da poter meglio impostare i propri contributi teorici e pratici. Tra i 10 relatori invitati Gian Maria Greco, invitato in qualità di Direttore di SoundMakers Festival e presidente di POIESIS. SoundMakers Festival è l’unico festival artistico multidisciplinare in Italia interamente incentrato sull’accessibilità di tutte le performance e opere artistiche. POIESIS è uno dei principali soggetti in Italia nell’ambito dell’accessibilità, specialmente culturale, con all’attivo la produzione di linee guida per l’accessibilità, e la cura dell’accessibilità di mostre internazionali e convegni. Quello che segue è il testo dell’intervento di Gian Maria Greco.

Il logo dell’ Expò 2015 di Milano

Q

uando sono stato contattato, mi è stato chiesto di portare un contributo, di dire la mia sul progetto “Padiglione Italia” a partire dalle riflessioni di contenuto e di metodo presentate da De Rita e Bonomi. Incentro la mia riflessione su tre termini. I primi due hanno più un respiro generale, e ritengo rappresentino un contributo fondante che questo territorio può dare alla filosofia di progettazione di Padiglione Italia; il terzo è una proposta operativa per la realizzazione effettiva di Padiglione Italia. I tre termini sono: Poiesi, Limite, Accessibilità. Oeconomicus o poieticus?

La sfida di Padiglione Italia è quella di rappresentare, all’interno del tema generale dell’Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, la nostra storia, il nostro presente e il nostro futuro, o meglio delle direttive per il futuro. La nostra storia è per molti versi storia di resistenza al modello dell’homo oeconomicus. Il sociologo Aldo Bonomi da anni dedica pagine e pagine all’analisi delle condizioni sociali ed economiche di quei contesti italiani in cui il paradigma dell’homo oeconomicus è stato fatto stella

cometa o è stato forzatamente imposto, e le derive, i fallimenti, i mutamenti sociali che da quelle ne sono seguiti. Quello dell’homo oeconomicus è un modello che per molti versi non appartiene alla nostra storia, soprattutto alla storia del Sud Italia; appartiene, in parte, al nostro presente ma in modo fallimentare e non può appartenere al nostro futuro. La nostra è una storia, soprattutto la storia del sud, basata invece su un modello di homo poieticus, dove la creatività e la proattività sono gli elementi fondamentali. La nostra è storia di una capacità poietica. Capacità che implica anche quella resilienza di cui parla Bonomi nei documenti preparativi alla progettazione di Padiglione Italia. Resilienza che però non è ancoraggio sterile al passato ma è stata e va sempre declinata con quella capacità poietica a cui facevo riferimento prima, la capacità di ricostruire equilibri in modo innovativo e creativo, tipica dello spirito italiano e specialmente di questo territorio. La capacità di creare meccanismi di sviluppo sociale, economico, culturale anche quando lo Stato ha smesso di essere soggetto generale dello sviluppo ed è divenuto regno inerme, come scriveva De Rita una decina di anni fa. Capacità di creare

meccanismi poietici, creativi e proattivi, che non sono strumenti di una qualche anacronistica decrescita felice ma sono pratiche per un futuro di crescita consapevole. La nostra è storia presente di creatività e non può che essere anche storia futura basata su creatività e un atteggiamento proattivo. Ma questa capacità ha storicamente sempre fatto i conti, in questo territorio in modo sapiente, con un secondo concetto ben preciso, quello di limite. Termine che è proprio della tradizione contadina intima del paese. È l’idea che non tutto è per tutti. Il limite, concetto e realtà

Per la tradizione del Sud Italia, quello di limite più che un concetto è sempre stato una realtà. Ci sono dei limiti. Ci sono dei limiti alle risorse, ci sono dei limiti alle capacità, ci sono dei limiti alle possibilità di uso delle risorse. Ci sono dei limiti di fruizione. Ci sono dei limiti nella natura. Bisogna riprendere questo senso di limite, che è stato emarginato, quasi cancellato da certi modelli economici, e riportarlo al centro. E capire che la natura, questo pianeta – riprendendo di nuovo il tema generale dell’EXPO - non è res nullius, non è cosa di nessuno, e


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In preparazione dell’Expò 2015 di Milano sei seminari di approfondimento finalizzati all’ascolto dei territori e dei loro protagonisti per immaginare una rappresentazione organica e coinvolgente dell’Italia, che guardi al futuro a partire dalle ricchezze della nostra storia e della nostra identità. Tra i relatori Gian Maria Greco direttore del SounMakers Festival

Gian Maria Greco

che quindi ognuno può usare a suo piacimento e sfruttare fino all’estremo per il proprio comodo, ma è bene comune, nel senso che è proprietà di tutti, che è un bene la cui responsabilità è coscientemente condivisa e distribuita tra tutti coloro che a qual bene hanno accesso. Ci sono dei limiti con i quali noi, non noi italiani ma la popolazione mondiale tutta, dovremo fare sempre più i conti. Declinare la “Cura”

L’EXPO 2015 sarà un grande momento di incontro globale e sarà importante poter dire la nostra su quei limiti, su come confrontarci con essi, su come armonizzare il rapporto tra noi, la natura e gli altri. Sarà importante proporre un modello poietico di sviluppo, un modello poietico di società e di economia, in cui non si sfrutta il pianeta, ma in cui proazione e creatività si declinano con “cura”, in cui ci si prende cura del pianeta, e così facendo ci si prende cura dell’altro. L’altro che così è più un nemico, un concorrente, ma diviene il prossimo. Il modello dell’homo poieticus va ben oltre quello dell’homo faber. Mentre questi è signore indiscusso del mondo e della natura, e usa la propria creatività e capacità tecnologica per sfruttare la natura,

il primo è un modello umano e sociale in cui la potenza creatrice è sempre declinata con senso di responsabilità, fa sempre i conti in modo esplicito con i limiti e con la necessità della cura dell’altro e del mondo. Molti sono i modi in cui queste riflessioni teoriche, questo modello generale può trasformarsi in contributi pratici per la realizzazione di Padiglione Italia. Mi soffermo solo su uno, che ben esprime le grandi potenzialità pratiche e sociali di quel modello. Questo è espresso chiaramente dal concetto di accessibilità.

tanti pubblici differenti, ognuno con proprie esigenze specifiche. È quindi fondamentale sviluppare e realizzare quel prodotto, servizio o ambiente in modo tale che riesca a soddisfare queste esigenze, quante più esigenze specifiche possibile. Padiglione Italia sarà un ambiente fisico che conterrà dei prodotti, nel senso più ampio del termine, e proporrà un’idea di servizi, ovvero sarà sia un contenitore che un insieme di contenuti. Ma non sarà solo un ambiente fisico, proporrà anche la nostra idea di ambiente futuro, un’idea di luogo futuro in cui vivere.

L’accessibilità è il grado con cui un prodotto, un ambiente o un servizio è fruibile da quante più persone possibile, in particolare dalle persone con disabilità. L’errore più comune quando si parla di accessibilità è pensare che si stia parlando solo di rendere quel servizio o quell’ambiente fruibile dalle persone con disabilità. Quanto di più sbagliato. Accessibilità vuol dire Universal Design, vuol dire progettazione universale, vuol dire pensare, quando si sta sviluppando il proprio prodotto, servizio o ambiente, che il target a cui ci si rivolge, il proprio pubblico, non è una massa indistinta di individui, ma è composto da

Per un Expò accessibile

La proposta che lancio è di rendere Padiglione Italia accessibile, il più accessibile possibile. Accessibile sia come ambiente stesso che nei suoi contenuti, nell’offerta che farà. Questo vuol dire sviluppare Padiglione Italia utilizzando una serie di soluzioni tecniche che ne permettano la fruizione dal più grande numero possibile di persone. C’è ormai una enorme letteratura che mostra come le soluzioni per l’accessibilità degli spazi e dei contenuti, apparentemente pensate per le persone con disabilità, siano invece un beneficio per tutti i fruitori e aumentino il livello qualitativo di quel

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prodotto, ambiente o servizio. Qualche settimana fa l’ONU ha firmato il contratto per la partecipazione all’EXPO 2015. L’ONU è forse il riferimento massimo per l’accessibilità, per la promozione di pratiche diffuse di accessibilità, culturale, tecnologica ecc. L’Expo Team messo su dalle Nazioni Unite è costituito da rappresentanti di FAO, IFAD e Programma alimentare mondiale. È indicativa l’assenza dell’ITU, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sviluppo tecnologico ma a cui è demandata anche l’accessibilità. L’ONU, in sostanza, in questa fase di progettazione iniziale non ha pensato a inserire anche l’accessibilità. Magari lo farà in un secondo momento, ma è dimostrato che, affinché sia efficace davvero, l’accessibilità deve essere uno dei fattori presenti fin dalla fase di ideazione. Interpretato come essere poietico, l’uomo è non signore e padrone ma pastore e custode della natura e degli altri. Il rapporto tra l’uomo e la natura diviene un rapporto allargato e mediato con il rapporto con gli altri, che divengono soggetti di inclusione e cura. Se Padiglione Italia inizierà fin da ora a pensare a rendersi accessibile e riuscirà poi a essere effettivamente un luogo ampiamente accessibile, riuscirà anche a dare un senso di sviluppo futuro in cui nessuno è escluso e tutti sono partecipi, creando una società basata su un vero senso di comunità, in cui il territorio diviene luogo di vita comunitaria, e quindi energia per la vita. Gian Maria Greco ha una laurea e un dottorato di ricerca in Filosofia, un Master in Counseling e un Master in Accessibility to Media, Arts and Culture. Ha svolto ricerca presso varie università italiane e dal 2003 al 2007 presso l’Università di Oxford (UK). Ha pubblicato saggi su riviste scientifiche internazionali; la sua ultima pubblicazione è il libro Il fare come cura (2013), scritto insieme a Davide Ruggieri. Da anni si occupa principalmente di accessibilità, in particolar modo accessibilità culturale. Dal 2009 è presidente di POIESIS, tra i principali soggetti in Italia nell’ambito dell’accessibilità culturale. Ha contribuito alla stesura del Manifesto Nazionale della Cultura Accessibile. Nel 2011 ha fondato SoundMakers Festival, l’unico festival multidisciplinare in Italia accessibile anche alle persone con disabilità sensoriali. È stato responsabile per l’accessibilità di ArtLab13 e collabora, sempre in ambito di accessibilità, con enti pubblici e privati. Nel giugno 2013 ha coordinato il primo Workshop Nazionale sulla Cultura Accessibile, promosso da POIESIS e Regione Puglia.


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Spettacolo Una performance di danza contemporanea nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola. Protagonisti 13 danzatori-detenuti guidati dalla coreografa Chiara Dollorenzo

Libera la pena di Mauro Marino

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unedì 9 dicembre ho visto la danza. L’orario dell’appuntamento era insolito: “le 15 e 15. Categorico presentarsi a quell’ora” mi dice Chiara Dollorenzo, la coreografa. Anche il teatro è insolito: la Casa Circondariale di Borgo San Nicola. Ecco spiegato l’imperativo. Sai com’è “la procedura per l’entrata ha i suoi tempi”. Arriviamo puntuali, un piccolo gruppo è già in attesa. Consegnati i documenti alla porta e abbandonati i cellulari negli armadietti, sbrigato il da fare, varchiamo la soglia in pulmino. Il grande portone-diaframma tra il dentro e il fuori si apre e siamo “dentro”. Sarà la luce invernale, ma tutto mi appare più piccolo rispetto alle altre volte che mi son trovato lì. Vivido, il verde dell’erba isola il chiaro dei muri, delle grade e dei vari padiglioni, due grandi sculture, salutano. Sembra di galeggiare, di stare in apnea. Ospite provvisorio di un luogo dove la provvisorietà è norma: stare nella pena è condizione sempre tesa nella speranza dell’andar via. “Evadere” quanto più è possibile... Il teatro, la danza, la musica, l’arte, il creare... la chiave di piccole fughe attraverso cui costruire un altro tempo, per dare materia e concretezza all’inquietudine. *** Una breve attesa nel “foyer” della sala spettacolo. Le ultime prove di là dalla porta, “il gruppo ha lavorato per quattro settimane, due incontri settimanali di due ore ciascu-

Ad illustrare il particolare di una fotografia di Robert Mapplethorpe

no”, m’informano. Entriamo, prendiamo posto, alle nostre spalle il pubblico si infoltisce: accompagnati dalle Guardie Penitenziarie arrivano i “residenti”. Si fa silenzio Il sipario rosso si apre, lo accompagnano in due, lentamente scoprono uno, in piedi, al centro, maglietta bianca e pantaloni neri, fa una camminata all’indietro. In bianco e nero sono tutti gli altri che iniziano ad arrivare incrociandosi sul palcoscenico. Vengono, tracciando diagonali, si incontrano, si salutano, fanno piccole prese, vanno in sospensione, tenuti l’uno all’altro. Tentano passetti, proprio passetti, quelli della danza... La compagnia è composta da 13 uomini, con i corpi propri degli uo-

mini: i muscoli, le pance e tutte le pesantezze dell’età e dello stare nella reclusione. Una grazia inaspettata è quella di cui siamo spettatori, provano il largo di un valzer, ballano insieme, scopriremo dopo che parlano lingue diverse: italiani, rumeni, albanesi disegnano sulle nostre facce la sorpresa. Uno, come il titano Atlante quello che Zeus costrinse a tenere sulle spalle l'intera volta celeste - è in posa, al centro: postura del pensamento e della sopportazione del Mondo, intorno prese, salti, attese e molta emozione a fare da fluido dalla scena alla platea. In tutto, per circa 20 minuti di esibizione, tre variazioni tessute su tre diverse sonorizzazioni: dalla melodia verso la ritmicità tipica del

minimalismo. Cos’è il corpo che danza? É un corpo che sceglie di consegnare l’energia all’altro. Qui - in questo esperimento donato al Carcere dall’Amministrazione Comunale di Nardò - è una comunità che danza. Un insieme che mette fuori la conoscenza di un Sè corale nell’occasione della riconsegna del sè d’ognuno alla collettività. Non c’è la pena, la colpa a far da medium, c’è la pietas, l’accoglimento, un provarsi dove il cuore e la volontà muovono il corpo nell’aiuto vicendevole, nello scambio perchè “l’abbraccio è aiuto e non si balla solo con i piedi ma anche con la testa” e con il desiderio...


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Diario politico Il vincitore delle primarie del PD non si è ancora reso conto che i suoi vecchi da rottamare gli stanno cucendo addosso il vestito

Matteo Renzi,

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un caso di senilità precoce di Luigi Montonato

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on ha indugiato un attimo Matteo Renzi, stravincitore delle primarie del pd, a dimostrare i segni inconfondibili di una senilità precoce. Precoce, per la verità, il sindaco di Firenze si era già dimostrato. Tu facevi il ministro del fallimento interno ed estero quando io facevo le scuole elementari. Tu facevi questo e quest’altro quando io andavo all’asilo. E via di seguito. Non erano queste le argomentazioni perfino nei confronti dei Casini, dei D’Alema e perfino di politici assai più giovani di questi? Renzi ha costruito la sua immagine di innovatore radicale col certificato di nascita. Gli allocchi furbi – mi si passi l’ossimoro – di questo paese hanno fatto finta di credere. Ed eccolo lì, lo zerbinotto fiorentino, formare la sua segreteria con sette femmine e cinque maschi. Sembra la famiglia numerosa di una volta. Ed eccolo convocare alle sette del mattino a Roma la prima sua segreteria. É ancora nell’aura della novità promessa. E con tanti “forconi” in giro, che stanno giorno e notte nelle piazze, un po’ di effetto lo fa. A quando lascerà accesa la luce del suo studio per dare ad intendere che lui è sempre al lavoro per il paese? Ma che fine hanno fatto i suoi proclami di enfant prodige contro la Cancellieri, contro i tentennamenti del governo Letta, contro gli inciuci? Della Cancellieri non si dice più né ai né bai. Doveva fare le valigie; e, invece, è più salda di prima in groppa al cavallo governativo, nonostante il peso, non fisico s’intende, ma morale. Il governo Letta doveva accelerare e svoltare; e, invece, continua con lentezza sui binari morti della stazione napolitana. Quanto agli inciuci, eccone una dimostrazione: ha chiamato Taddei, consigliere economico di Civati, a componente della segreteria e Cuperlo alla presidenza del partito, quando lo sanno tutti, sordi, muti e ciechi, che i tre erano alternativi. Come dire, il palio è finito, si torna ai compromessi e alle soluzioni pasticciate. Con Renzi l’Italia si sta avventurando in una nuova impre-

si.

sa, che ha fin d’ora tutti i caratteri delle precedenti. Questo è rassicurante per un verso, ma è maledettamente preoccupante per un altro. Non si sta cercando la “diritta via”, per dirla con un altro fiorentino, ma si sta tentando un’altra via storta, sinuosa e accidentata. Renzi, infatti, è un’altra stravaganza, dopo quelle di Bossi, Di Pietro, Berlusconi e Grillo. Il Senatur, che ancora sbraita contro Roma ladrona, si è ristrutturata la casa coi soldi pubblici e ha dato alla Patria un esemplare di fauna urbana come il Trota. Il pubblico ministero di Mani Pulite doveva fare piazza pulita di corrotti e corruttori; è finito senza far nulla, anzi, sospettato di essere lui, a sua volta, corrotto. Berlusconi è naufragato in un mare di scandali che ne hanno

Napolitano, che ha 88 anni, gli ha telefonato per congratularsi. Renzi non stava neppure nell’utero di sua madre quando Napolitano era uno dei massimi esponenti del Partito comunista e faceva – secondo la lettura renziana degli ultimi cinquant’anni di storia italiana – disastri insieme coi suoi compagni e compari. Per carità, una telefonata di Napolitano nel mercato dell’importanza mediatica vale più di una chiamata di Papa Francesco, assai più inflazionata; ma è una dimostrazione che la politica è intreccio, è rete, è tessuto con gli altri. Renzi non si è ancora reso conto che i suoi vecchi da rottamare gli stanno cucendo addosso il vestito. D’Alema ha avuto parole di resa e ha convinto Cuperlo ad accettare la presidenza del Pd. Napolitano lo lusinga. Altri faranno altrettanto. In Italia il pericolo non viene mai da chi ti osteggia, ma da chi ti tende la mano, quando altro non può tenderti. Lo fece Marc’Antonio agli assassini di Cesare a sangue ancora fumante e intanto pensava alla resa dei conti di Filippi. Neppure se Renzi fosse un dittatore potrebbe mai fare tutto quello che ha promesso di fare. Figurarsi in un paese in cui i condizionamenti involontari sono tanti e tali da superare i nemici volontari. Non deve aver studiaMatteo Renzi to molto la storia d’Italia Renzi, deturpato l’immagine di uomo, se non si è reso conto di come di politico e di imprenditore. stanno le cose. Ma non si può Grillo…beh, Grillo fa ancora pretendere tutto da uno che faceil comico e pensa che gli italiani va gli esami di maturità quando se la cavino coi vaffanculo e Berlusconi lanciava la sua sfida quattro risate. liberale e libertaria ai bacucchi Se non ci vergogniamo fin qui, della partitocrazia. Salvo che fratelli d’Italia, di che ci vergo- non si tratti di un bugiardo congniamo? clamato, uno dei tanti furbastri Forse questa di Renzi è la espressione del sempre prolifico mamma di tutte le stravaganze. genio italico! Quando mai una società comSarebbe ingeneroso, comunplessa come la nostra si è lasciata que, attribuire a Renzi il nulla rappresentare e guidare da una che persiste e che avanza. Non minoranza generazionale, ancor- aveva, non può avere, la bacchetché la più propagandata dai me- ta magica. Ma proprio questo didia? Potrebbe una squadra di cal- mostra che in politica contano gli cio formata tutta da quindicenni uomini, ma contano anche e sovincere la coppa dei campioni prattutto i sistemi e i contesti in contro squadre che hanno nei cui essi devono operare. ruoli calciatori che vanno dai L’invecchiamento di Renzi è venti ai trenta anni e passa? Via, cominciato. Per la rottamazione si può essere creduloni quanto si si aspetta solo che si aprano i tervuole, ma c’è un limite oltre il mini per fare la pratica. quale si è irrimediabilmente fes-


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Domenica al cinema A Lecce al Multisala Massimo il film di Pierfrancesco Diliberto

L’applauso un dovere di Gianni Ferraris

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olto raramente mi è capitato di sentir partire un applauso sui titoli di coda di un film. Non ci sono attori presenti da salutare o ringraziare, non registi o altri interpreti. Un film si applaude quando veramente esplode dentro di te, quando trasmette sensazioni, emozioni, messaggi. E’ successo alla fine di “La mafia uccide solo d’estate”. L’opera prima di PIF (Pierfrancesco Diliberto) parla dei momenti più violenti, truci, barbari della Palermo fra gli anni ’80 e ’90. Cosa nostra con tutta la sua onda d’urto passa sullo schermo. Totò Riina, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Provenzano, Bagarella, Falcone, Borsellino. Tutti visti dagli occhi di un bimbo, Arturo, che nasce il giorno in cui nel suo palazzo viene assassinato Michele Cavataio. Da quel momento e per tutta la fanciullezza e adolescenza la mafia diventa una costante. Allegro divertente a tratti, si ride, sia pure con amarezza. Si guarda il film con gli occhi del bimbo che vive in una società che rinnega, che si volta da un’altra parte, che non para di mafia mai. Gli omicidi di giornalisti sono sempre e comunque “roba de fimmine. Gli piacevano le donne degli altri”. Questa costante fa si che Arturo pensi all'amore per una donna come una cosa che lo farà ammazzare, quando si innamora di Flora, sua compagna di scuola elementare, non riesce a dirglielo proprio per questo timore. Il bimbo ha un eroe, l’unico che non conoscerà personalmente. Infatti parla con Chinnici, con Dalla Chiesa e con altri che vedrà morire uno ad uno, per una serie di eventi non incontrerà mai il suo eroe: Giulio Andreotti. Gli uomini d’onore della Palermo silenziosa e omertosa di quel tempo veleggiano nell'aria’aria, in una famiglia, la sua, che si adegua ai silenzi, imponendosi di vivere una vita normale, mentre il vicino di casa che si chiama Rocco Chinnici salta in aria con la sua scorta e la sua auto. Mentre il commis-

La locandina del film e un immagine di Falcone e Borsellino

sario Boris Giuliano, che ad Arturo fece conoscere un dolce alla ricotta, viene massacrato proprio in pasticceria. Una società di una violenza inaudita all'inverosimile, che si riscatterà in parte solo dopo le stragi di Falcone e Borsellino. Intanto Arturo è cresciuto, in un TV locale fa da portatore d’acqua per la campagna elettorale di Salvo Lima. Finché si sveglia dal lungo letargo ed inizia a prendere coscienza, una ribellione sotto traccia. E l’ultimo viaggio fra le lapidi dei morti ammazzati con il figliolo che ha avuto nel frattempo. Pezzi di marmo che segnano il dolore di quegli anni, che

lo fanno uscire fuori nonostante la leggerezza del film. Ci si accorge d’un tratto di aver vissuto per due ore l’epopea di Cosa Nostra, quella più feroce e stragista, raccontata e fatta ingoiare senza virulenza. Ci si rende conto che Pif è riuscito a proporci uno spaccato di società drammatico e truculento in modo leggero, con il sorriso a volte, senza mai perdere la consapevolezza della realtà. Un film da vedere e far vedere soprattutto ai ragazzi. Un film che merita l’applauso finale, veramente!


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Racconti Salentini

Il Lord

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di Marittima

di Rocco Boccadamo

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L’inglese Alistair Mc Alpine ha scelto come sua dimora l’ex convento dei frati francescani

a oltre un decennio, a Marittima, precisamente all’uscita dal paese sulla strada provinciale che porta a Castro, è operante una struttura ricettiva, piccola ma accogliente e di semplice eleganza nella formula del bed and breakfast, che vanta una storia molto singolare. É, Marittima, un paesino del sud Salento, ameno e solatio, all’incirca a metà percorso, in linea d’aria, fra Otranto e Santa Maria di Leuca, adagiato a ridosso di una delle tipiche serre che, nella zona, declinano fin verso la costa rocciosa contraddistinta da alte e ripide scogliere. Alla sua periferia, sorge un grazioso Santuario, dedicato alla Madonna di Costantinopoli, costruito intorno al 1620, mentre, appoggiato a tale chiesetta, si trova un altro edificio, realizzato quasi contemporaneamente, che sino alla seconda decade del XIX secolo, ha ospitato un convento di frati francescani. Quest’ultimo complesso consta di una serie di sale e locali su due piani, in gran parte prospicienti su un elegante chiostro, comprende anche un frantoio ipogeo ed è circondato da terreni. Per molti anni, infine, è stato la residenza del vescovo di Castro, praticamente sino alla soppressione della relativa diocesi, avvenuta sempre nella seconda decade del 1800. Andati via i monaci, l’ormai ex convento ha vissuto una lunghissima buia sequenza temporale, passando sotto la proprietà di una serie di privati e subendo svariate destinazioni d’uso, fra cui manifattura di tabacchi, allevamento di animali domestici, deposito. Ciò, con inevitabile progressivo degrado. In occasione dell’ennesimo cambio di titolarità, circa tre lustri addietro, nel ruolo di compratore è inopinatamente intervenuto un personaggio particolare, l’inglese Lord Alistair Mc Alpine.

La chiesa della Madonna di Costantinopoli a Marittima in un dipinto di Vitale Mariano

Questi, da giovane, aveva lasciato la propria patria per l’Australia, dove, proseguendo l’attività imprenditoriale già avviata dai familiari, era andato via via realizzando, con successo, una serie di grosse iniziative in campo edilizio, alberghiero, eccetera. In pari tempo e successivamente, si è inoltre interessato di ricerche e di studi su antichi reperti e manufatti artistici, dando luogo a preziose collezioni, è stato autore di diversi volumi e di articoli di stampa e ha pure ricoperto cariche pubbliche, fra cui quella di consigliere del Teatro Reale Inglese. Già buon conoscitore dell’Italia, avendo abitato per diverso tempo a Venezia, Lord Mc Alpi-

ne, agli sgoccioli del ventesimo secolo, si è infine determinato ad effettuare l’importante investimento nel nostro Salento, sembra su segnalazione della sua amica baronessa Esmeralda Winspeare, madre del regista cinematografico Edoardo e residente, come è noto, a Depressa. Dopo l’acquisto dell’immobile, il nobile britannico ha fatto eseguire lunghe e accurate opere di recupero dell’edificio, con interventi scelti e mirati, in modo da salvaguardarne le strutture originali, effettuando anche notevoli lavori di piantumazione e di sistemazione dei terreni circostanti, con puntuale recupero dei muri a secco, e realizzando una piscina. Da ultimo, tante aiuole

fiorite impreziosiscono l’insieme. Cosicché, l’ex convento ora si presenta rinato a nuova vita e attrezzato con arredi di gusto. Lord Mc Alpine, dalla fine del 2002, ne ha fatto la sua stabile dimora e, come detto prima, ha parallelamente posto la struttura a disposizione di turisti e visitatori, attraverso un servizio bed and breakfast. Risultato è che, adesso, in tutto l’arco dell’anno, nella minuscola e affascinante Marittima sono presenti numerosi ospiti, provenienti principalmente dalla Gran Bretagna e dagli USA.


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Copertina Nella Galleria Francesco Foresta di Lecce un’iniziativa di From Zero

Un regalo

ad opera d’arte di Fabio A. Grasso

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l gruppo di ricerca artistica From Zero invita a partecipare alla mostra-mercato "Un regalo ad opera d'arte", che si svolgerà dal 20 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014 a Lecce presso la Galleria “Francesco Foresta” situata al centro storico nei pressi di Porta San Biagio in via F. D'Aragona (accanto alla chiesa di San Matteo). Leonardo Pappadà di Ruffano e Valentina Schito di Otranto sono gli artefici di questa iniziativa supportati anche dall'architetto Alfredo Foresta. L'evento merita l'attenzione di tutti per diverse ragioni: gli organizzatori sono giovani, con una età media di 28 anni; l'iniziativa dimostra intraprendenza, coraggio, voglia di mettersi in discussione e soprattutto appare fuori dagli schemi consueti del mondo dell'arte spesso governato anzi aggredito più da principi “altri” che non da esigenze artistiche reali. *** L'operazione è rischiosa perché mette in discussione una certa normalità soporifera e anestetizzata di Lecce Come è naturale e giusto che sia le spese sostenute per dare corso all'iniziativa verranno coperte con la quota di partecipazione pari a 25 euro e poi con una quota del 30 % sul prezzo dell'eventuale vendita di ogni opera. La finalità è quella di promuovere l'arte contemporanea attraverso percorsi di ricerca e sperimentazione ed è, in ogni caso, propositiva, non polemica. Il bando si può scaricare a questo link https://www.facebook.com/groups/680064912038434/. Tutti possono partecipare senza limiti di età e nazionalità con un massimo di 5 opere per artista. Dipinti, sculture, fotografie, design, grafica. La fantasia è d'obbligo. “L'evento è un'alternativa”, scrivono i due promotori, “un'occasione di incontro tra diversi linguaggi artistici, una provocazione ad uscire dagli schemi del solito regalo convenzionale e banale. Regalare un'opera d'arte diventa un investimento per il futuro, sia della persona a cui lo si regala, sia di sostegno all'artista che inizia o continua la propria carriera artistica. Per am-

Un interno della Galleria Francesco Foresta e la locandina dell’iniziativa

pliare la mostra ed innalzarne il livello qualitativo, vi chiediamo di invitare uno o più amici artisti a partecipare all'evento, inoltrando loro questo invito”. Non da meno è la posizione del Gruppo Foresta che “ha creduto nell'opportunità di valorizzare questa città attraverso l'impegno, la passione, le capacità di giovani artisti, nello specifico del gruppo From Zero, donando, per il periodo di Dicembre, la propria Galleria. L'idea è quella di combattere la crisi, attraverso la cultura, con l augurio che altri imprenditori donino, in maniera temporanea, i propri locali per iniziative del genere”. Regalare un'opera d'arte per Natale, quest'anno sarebbe un'idea oltre che originale anche utile perché aiuterebbe l'Arte, i giovani, la ricerca. Noi abbiamo bisogno d'Arte ma l'Arte , adesso più che mai, ha bisogno di noi. fabiograssofg@libero.it


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