Millevigne 1 2021

I L P E R I O D I C O D E I V I T I C O LT O R I I TA L I A N I

by

MALATTIE DEL LEGNO SCARTI DI CANTINA: DA RIFIUTO A RISORSA LE TENDENZE DEI MERCATI PER IL 2021 VITICOLTURA DEL NORD EUROPA

VITICOLTURA

Trattori 4.0

MILLEVIGNE.IT

ENOLOGIA

Stabilità microbiologica

ECONOMIA

01 2021

Dalla sostenibilità al marketing

STUDIOFABBRO.COM

DALLA RICERCA PER UNA VITICOLTURA SOSTENIBILE: PINOT ISKRA®

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE hic sunt futura

COMPOSTI AROMATICI IN FORMA LIBERA (µg/l) 330

390

Banana (acetato di isoamile)

70

Albicocca, miele (acetato di b-feniletile)

70

120

Mela, pesca (butirrato di etile)

200

220

Mora, fragola, anice (capronato di etile)

310

Frutta, balsamico (alcol benzilico)

140

60 26800

8300

Rosa (alcol b-feniletilico)

12

Mandorla amara (benzaldeide)

15

37

Mela, rosa, miele (b-damascenone)

43

50

Frutta acerba (cis 3-esenolo)

20

90

Frutta, mela, vegetale (trans 3-esenolo)

50

6,1

ACIDITÀ TOTALE (gr/lt)

6,2

18,2

ESTRATTO NETTO (gr/lt)

20,4

PINOT ISKRA®

PINOT BIANCO

GRADO DI RESISTENZA ALLE MALATTIE OTTIMA ELEVATA BUONA MEDIA DISCRETA V. VINIFERA

PERONOSPORA

OIDIO

BLACK ROT* ESCORIOSI*

* Dati in fase di validazione

Il PINOT ISKRA® presenta evidenti note di rosa e frutta fresca unite ad un’ottima acidità e struttura che lo rendono particolarmente adatto alla spumantizzazione. La presenza di 4 geni di resistenza, 2 ad oidio e 2 a peronospora, ne consentono la coltivazione anche in zone a forte pressione infettiva.

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L’editoriale 1/2021

I

l 2020 non potrà che essere ricordato per l’emergenza sanitaria globale, ma si era aperto con gli incendi delle foreste e delle coltivazioni dell’Australia, ripetutisi con un copione simile dopo solo pochi mesi anche in California.

L’illusione della frenata delle emissioni di gas serra nei mesi del lockdown si è presto rivelata di breve durata ed entità e la stazione di Mana Loa alle Hawai ha registrato un nuovo picco di concentrazione di CO2 in atmosfera, in un anno che si contende con il 2016 (solo quattro anni fa) il primato dei dodici mesi più caldi di sempre.

La reazione alla crisi pandemica è stata immediata, si sono mobilitate risorse per contenere il contagio e si è spinto per la ricerca di una soluzione rapida e sicura per l’intera umanità.

Una reazione che gli scienziati da decenni chiedono anche per la crisi climatica, ma che per questa tarda a realizzarsi. La differenza sta probabilmente in una diversa capacità di percepire il pericolo in un avvenimento dilagante in modo rapido come un’epidemia, che mette a rischio oggi e subito la vita delle persone e un processo lento (ma nemmeno troppo), che compromette gradualmente le condizioni di vita e il futuro delle generazioni nelle diverse aree del pianeta. Nell’efficace metafora della rana bollita, l’animaletto vive piacevolmente il tepore nella pentola che si scalda sul fuoco e non vede motivo di saltare fuori, fino a quando non è troppo tardi per farlo.

Tra le eredità del Coronavirus ci sarà probabilmente una mutata percezione di quella che è la nostra posizione all’interno degli ecosistemi e della possibilità che qualcosa possa fermarci, anche improvvisamente.

Secondo quanto emerso dalla terza indagine sul clima svolta dalla Banca per gli Investimenti Europei IBE, il 60% degli italiani è convinto che la ripresa economica debba affrontare anche gli aspetti legati alla crisi climatica e quindi forse proprio questo ci lascia il COVID: una maggiore consapevolezza della necessità di affrontare le crisi per tempo.

Quello che anni di ricerche e di attivismo non sono riusciti a fare forse potrà farlo un virus.

Non si tratta di catastrofismo, la necessità di convivere con le emergenze richiede grande lucidità e consapevolezza oltre che, lo abbiamo imparato a nostre spese, un piano emergenziale competente e pronto al momento giusto.

Per i cambiamenti climatici non c’è un vaccino ma ci sono le misure di adattamento e di mitigazione che gli scienziati stanno sviluppando e validando per molti settori produttivi tra i quali anche quello vitivinicolo.

Dall’economia circolare, alle tecniche colturali ed enologiche destinate a ridurre le emissioni e i consumi di energia e acqua, molti sono i progetti in campo destinati a promuovere modelli innovativi e più sostenibili di produzione.

Ma occorre più coesione, occorre che i risultati dei molti progetti si parlino e dialoghino e occorre che le soluzioni individuate comincino a essere applicate con maggiore sistematicità nelle aziende, dalle più piccole alle più grandi.

Noi cerchiamo di fare la nostra parte, divulgando quanto la ricerca, le strutture di trasferimento e di consulenza e le aziende stanno facendo per una viticoltura più efficiente e sostenibile.

Ma non possiamo nascondere che ci troviamo a difendere un sistema fragile, legato a varietà e denominazioni in territori che nelle proiezioni previste per i prossimi anni, diverranno sempre meno idonei a ospitarle.

Ad essere in pericolo non è la viticoltura in sé, ma un modello di viticoltura strutturato su condizioni che fanno parte del passato.

La viticoltura si potrà spostare a latitudini maggiori, come già sta avvenendo in molti paesi del Nord Europa o potrà conquistare le pendici dei monti in aree che diverranno sempre meno marginali. Ma quali strumenti abbiamo per tutelare le zone storiche della vite e del vino?

Nei prossimi anni dovremo affrontare questa e molte altre sfide per le quali avremo bisogno di una ricca cassetta degli attrezzi: trovare soluzioni per ridurre le emissioni e i consumi e limitare l’uso dei prodotti fitosanitari per tutelare la salute delle popolazioni residenti e degli operatori, oltre che i rapporti con la società civile.

Possiamo in un quadro come questo permetterci di scartare, principalmente per motivi ideologici o peggio per interessi locali, strumenti fondamentali e promettenti per una viticoltura più sicura e resiliente come quelli offerti dalla genetica delle New Breeding Technologies?

Alessandra Biondi Bartolini

1

EDITORIALE

Imparare dalle crisi: Covid e Climate Change

1/2021

DALLA RICERCA

2

Due passi nella scienza Uno spazio per conoscere cosa “bolle in pentola” negli istituti di ricerca internazionali dove si studiano la vite e il vino Il suolo e le radici nella sfida ai cambiamenti Un secolo e mezzo dopo l’introduzione dei portinnesti, ancora molto resta da approfondire sul suolo e la rizosfera. Un nutrito gruppo di scienziati spagnoli ha sintetizzato, in una review completa e dettagliata, lo stato dell’arte sulla ricerca relativa alle conoscenze sull’apparato radicale, descrivendo come le radici e la gestione del suolo possano rappresentare uno strumento essenziale per affrontare la crisi climatica globale, le patologie e i parassiti emergenti.

Dalla necessità di ampliare la variabilità genetica dei portinnesti, ai nuovi strumenti di miglioramento genetico a disposizione dei breeder, dalle scelte che permettono di migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua, ai meccanismi fisiologici di sensibilità o resistenza agli stress salini, dall’influenza del portinnesto sulla qualità e le rese, ai principali parassiti e malattie fungine presenti nel suolo e in grado di compromettere gli apparati radicali della vite, la review rappresenta un approfondimento per tutti coloro che desiderano andare a fondo e “affrontare dalle radici i problemi di adattamento ai cambiamenti globali”.

Articolo originale: Marín, D., Armengol, J., Carbonell-Bejerano, P., Escalona, J., Gramaje, D., Hernández-Montes, E., Intrigliolo, D., Martínez-Zapater, J., Medrano, H., Mirás-Avalos, J., Palomares-Rius, J., Romero-Azorín, P., Savé, R., Santesteban, L. and de Herralde, F. (2021), Challenges of viticulture adaptation to global change: tackling the issue from the roots. Australian Journal of Grape and Wine Research, 27: 8-25. https://doi.org/10.1111/ ajgw.12463 - articolo Open Access

Ventilazione smart per le cantine sotterranee Il controllo delle condizioni ambientali delle cantine di affinamento dei vini è fondamentale. Non sempre tuttavia il ricambio e la circolazione dell’aria permettono una distribuzione omogenea del calore e dell’umidità: i rischi sono la formazione di ristagni d’acqua, la crescita di muffe o un’eccessiva evaporazione del vino.

Raccogliendo i dati di temperatura e umidità in modo distribuito nello spazio, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna ha monitorato le condizioni presenti all’interno di una bottaia sotterranea presa a modello. Le zone di maggior rischio con scarsa ventilazione sono risultate quelle localizzate tra le barrique e vicino ai muri perimetrali. Lo studio ha quindi messo a punto e validato un sistema di microventilazione intelligente, guidato dai dati raccolti dai sensori, che, con ulteriori miglioramenti, potrà diventare uno strumento di semplice applicazione per monitorare e gestire le condizioni ambientali all’interno di cantine sotterranee pre-esistenti.

Articolo originale: Barbaresi, A., Santolini, E., Agrusti, M., Bovo, M., Accorsi, M., Torreggiani, D. and Tassinari, P. (2020), Microventilation system improves the ageing conditions in existent wine cellars. Australian Journal of Grape and Wine Research, 26: 417-426. https://doi.org/10.1111/ ajgw.12452

Lieviti che flocculano al momento giusto Il carattere che porta alcuni ceppi del genere Saccharomyces a formare masse e aggregati facilmente separabili dal mezzo si definisce flocculento. I fenotipi che lo posseggono sono controllati geneticamente dall’espressione complessa e combinata di un gruppo di geni diversamente inibiti da alcuni fattori, tra i quali la concentrazione in zuccheri. Il carattere non è frequente nei ceppi commerciali in quanto la sedimentazione precoce delle cellule porta ad aumentare i rischi di arresto di fermentazione. Lo stesso carattere tuttavia può determinare un vantaggio nella riduzione dei costi e l’incremento dell’efficienza delle operazioni di separazione – travaso e filtrazione - nei ceppi in grado di manifestare questo comportamento solo alla fine della fermentazione. Lo studio dei microbiologi dell’Australian Grape and Wine Research Institute ha permesso, con l’applicazione di due diversi metodi di screening per la capacità di sedimentazione in coltura pura e mista, di identificare due ceppi di Saccharomyces cerevisiae (AWRI 1688 e AWRI 1759) con elevata capacità di sedimentazione al termine della fermentazione alcolica e successivamente di validare le loro performance in condizioni enologiche su mosto di Syrah.

Articolo originale: Varela, C., Bartel, C., Nandorfy, D.E. et al. Identification of flocculant wine yeast strains with improved filtration-related phenotypes through application of high-throughput sedimentation rate assays. Sci Rep 10, 2738 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-59579-y

I sintomi precoci delle Botrosferiacee sulla vite Il deperimento causato dalle Botryosphaeriaceae è una delle malattie del legno che più preoccupano i viticoltori di tutto il mondo. I suoi sintomi precoci possono essere confusi con quelli di altre patologie della vite. Una ricerca portoghese ne descrive le caratteristiche e l’insorgenza: i risultati li potete leggere nell’approfondimento di Maurizio Gily a pagina 8.

Articolo originale: Reis, P.; Gaspar, A.; Alves, A.; Fontaine, F.; Lourenço, I.; Saramago, J.; Mota, M.; Rego, C. Early Season Symptoms on Stem, Inflorescences and Flowers of Grapevine Associated with Botryosphaeriaceae Species. Plants 2020, 9, 1427.

1/2021

by

MALATTIE DEL LEGNO SCARTI DI CANTINA: DA RIFIUTO A RISORSA LE TENDENZE DEI MERCATI PER IL 2021 VITICOLTURA DEL NORD EUROPA

01 2021

Il Sommario

2 DUE PASSI NELLA SCIENZA VITICOLTURA

PERIODICO TRIMESTRALE SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE, 45% ART. 2 COMMA 20/B LEGGE 662/96 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ALBA N. 2/2006 DEL 28/06/2006 UNA COPIA 8 EURO UNA COPIA DIGITALE 4,99 EURO

4 Difesa della vite in produzione integrata 8 Sintomi precoci di Botriosferacee su vite presente e futuro dei trattori 12 Innovazione: per il vigneto

EDITORE VIGNAIOLI PIEMONTESI SCA Via Alba 15, 12050 Castagnito - Tel. +39 0173 210311 info@millevigne.it

Grapes: condividere il valore della filiera 18 Green a partire dal vivaismo

VITICOLTURA

Trattori 4.0

ENOLOGIA

Stabilità microbiologica

ECONOMIA

Dalla sostenibilità al marketing

MILLEVIGNE.IT

www.millevigne.it

DIRETTRICE RESPONSABILE MONICA MASSA redazione@millevigne.it cell +39 331 7015 735 DIRETTRICE SCIENTIFICA ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI biondibartolini@millevigne.it CAPOREDATTORE MILLEVIGNE ON LINE MAURIZIO GILY gily@millevigne.it PROGETTO GRAFICO L’ARTISTICA SAVIGLIANO ART DIRECTOR BRUNO MARTINA info@lartisavi.it PUBBLICITÀ cell +39 331 7015 835 marketing@vignaioli.it ABBONAMENTI +39 0173 210311 cavassa@vignaioli.it STAMPA L’ARTISTICA SAVIGLIANO AMMINISTRAZIONE VIGNAIOLI PIEMONTESI - Via Alba 15, 12050 Castagnito Tel. +39 0173 210311 • flori@vignaioli.it HANNO COLLABORATO: ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI, LORENZO BISCONTIN, FABIO BURRONI, GIUSEPPE CARELLA, RAFFAELE GUZZON, MAURIZIO GILY, SILVIA LANDI, DAVIDE LEONARDI, ELISA MARTELLI, STEFANO MOCALI, MARCO MORONI, RITA PERRIA, MARCO PIERUCCI, MONICA PIERUCCI, NICOLÒ REGAZZONI, MICHELE TAMPONI, GABRIELA TIRINO, MICHELE VIGASIO, KATRIN WALTER FOTO IN COPERTINA DI ELISA MAZZAVILANI, AZ. AGRICOLA MARTA VALPIANI, CASTROCARO TERME (FC) PER ABBONARSI: http://bit.ly/2MNTbDP

ABBONAMENTO ANNUALE (QUATTRO NUMERI) ALLA RIVISTA CARTACEA EURO 25 ABBONAMENTO ANNUALE ALLA RIVISTA CARTACEA E ALLA RIVISTA DIGITALE EURO 30 ABBONAMENTO ANNUALE ALLA RIVISTA DIGITALE EURO 15 - L’IVA DI QUESTA RIVISTA È CONDENSATA NEL PREZZO DI VENDITA ED È ASSOLTA DALL’EDITORE AI SENSI DELL’ART. 74, PRIMO COMMA, LETT. C - D.P.R. 2610 - 1972, N.633 E D.M. 28-12-1972 È vietata la riproduzione anche parziale di testi ed immagini senza l’autorizzazione dell’editore e degli autori.

3

MICHELE VIGASIO

MAURIZIO GILY

MICHELE TAMPONI

FABIO BURRONI, MARCO PIERUCCI, GIUSEPPE CARELLA, RITA PERRIA, SILVIA LANDI, STEFANO MOCALI, DAVIDE LEONARDI, MARCO MORONI, MONICA PIERUCCI

ENOLOGIA

24 Fecce, bucce e vinaccioli: una ricchezza in cantina 28 Odore di fumo 32 Stabilità microbiologica dei vini e chitosani, lo stato dell’arte ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI

ELISA MARTELLI

RAFFAELE GUZZON

ECONOMIA

36 Dalla sostenibilità al marketing 38 Cos’è successo sul mercato mondiale del vino nel 2020 GABRIELA TIRINO

LORENZO BISCONTIN

CULTURA E SOCIETÀ

42 Spumanti e PIWI, la piccola realtà dei vini della Danimarca 44 La viticoltura tedesca si sposterà a Nord?

47 Una nuova geografia viticola europea NICOLÒ REGAZZONI

KATRIN WALTER

ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI

48 OSSERVATORIO PROGETTI

SOMMARIO

I L P E R I O D I C O D E I V I T I C O LT O R I I TA L I A N I

1/2021

di MICHELE VIGASIO

VITICOLTURA

4

Difesa della vite in produzione integrata

Poche variazioni nei disciplinari 2021, in attesa del nuovo PSR. Addio al Mancozeb dal 2022 Glossario: s.a. = sostanza attiva; f.c.= formulato commerciale

Nei due anni di proroga della PAC, in attesa del nuovo corso a partire dal 2023, è probabile anche il rifinanziamento, da parte dell’Unione Europea, dei programmi di Sviluppo Rurale.

Questo articolo fa dunque riferimento alle norme tecniche vincolanti per le Aziende che hanno aderito negli anni precedenti al livello ‘volontario’ della difesa Integrata (misura 10.1.1 del Psr 20142020); rappresenta inoltre un ottimo quadro di partenza anche per la difesa integrata obbligatoria, che è in vigore, lo ricordiamo, per tutte le Aziende dal 2014, secondo quanto previsto dal PAN (Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). Tale quadro riporta, per ogni avversità-chiave della vite, l’elenco delle sostanze attive (s.a.) impiegabili e le relative limitazioni d’uso, per numero e tempi degli interventi. Se gli obiettivi prioritari sono quelli della sostenibilità, del controllo dell’impatto ambientale, della salvaguardia di operatori e consumatori (perciò sono incluse le molecole con miglior profilo eco-tossicologico), non si può, d’altra parte, sottovalutare un altro obiettivo cruciale, quello del mantenimento dell’efficacia antiparassitaria di queste sostanze. Le limitazioni previste vanno lette, dunque, assolutamente in questa chiave, della quale ribadiamo ancora una volta il valore universale: evitare l’insorgenza di fenomeni di resistenza da parte dei patogeni o fitofagi da contrastare. Nel testo che segue si riportano gli aggiornamenti a catalogo delle ditte produttrici, connessi, in particolare, alle variazioni dei disciplinari succitati. Troverete, nel testo, rimandi alla Tabella 1 (specificamente alla prima colonna denominata con “NR”) che farà da schema di

riferimento di navigazione principale tra le 28 sostanze attive ammesse in difesa antiperonosporica (suddivise in 13 ‘gruppi’- incluso quello ‘boi) e le 26 antiodiche (10 gruppi).

DIFESA ANTIPERONOSPORICA Per il 2021 non c’è nessuna nuova molecola e nessuna nuova esclusione, ma questo sarà l’ultimo anno con possibilità di utilizzo dello storico Mancozeb. La vendita delle scorte giacenti presso i magazzini è consentita fino al 4 luglio 2021.

Dall’anno scorso si ricorda l’uscita del sistemico METALAXIL (NR 3p) delle acilalanine. Resta utilizzabile il suo enantiometro METALAXIL–M, assieme agli altri due componenti del gruppo delle fenilammidi, BENALAXIL (in esaurimento con smaltimento scorte di Galben e Tairel entro il 24.9.2021) e BENALAXYL-M=KIRALAXYL (Fantic della ditta Isagro -titolare -, Stadio, Sidecar ed ora a marchio Saviran di Basf).

Si ricorda che la linea Ridomil (Syngenta) seguita dal suffisso “Gold”, è tuttora sul mercato e si tratta di formulato commerciale (f.c.) a base di METALAXIL-M. NUOVE o DIVERSE LIMITAZIONI Per le s.a. facenti parte del ‘gruppo’ INDUTTORI SISTEMICI (NR 1p, fosfiti e fosfonati) Il limite complessivo dei trattamenti rimane 8 (si era ipotizzato un aumento a 10 ma non c’è stato).

La limitazione non riguarda le viti in allevamento fino a 2 anni.

PRODOTTI RAMEICI. Dopo l’introduzione storica, dal 2019, del limite massimo di 4 kg/anno nell’apporto di rame metallo (per calcolarlo, mediamente, si consideri un quarto del peso del formulato commerciale), i disciplinari hanno recepito questa limitazione più flessibilmente con la seguente regola: al massimo

12 kg/ha di rame metallo nel triennio 2019-2021, ma non più di 5 kg/ha/anno. Ciò consente un adattamento della difesa in funzione dell’andamento meteorologico dell’annata. Sottolineiamo il grande sforzo operato da alcune ditte per migliorare le formulazioni di questo fondamentale fungicida di copertura, anche come partner multi-sito di altre sostanze attive. L’impegno si è rivolto soprattutto alla riduzione del diametro e all’omogeneità delle particelle. Su questo fronte innovativo, tra le Aziende più attive, troviamo Chimiberg (marchio di commercializzazione della Diachem), Isagro (di cui segnaliamo un ottimo sito interattivo), Manica e UPL (con l’esclusiva formula della brochantite). Molto interessanti alcune formulazioni miste (p.es linea Airone, Cuprostar o Kop-twin), che contenendo rame in parte sotto forma di idrossido, in parte da solfato tribasico e/o ossicloruro, rispondono contemporaneamente ad esigenze di prontezza e di persistenza del fungicida.

Tra le s.a. introdotte più recentemente, OXATHIAPIPROLIN (Zorvec e altri f.c.) si trova ora nelle formulazioni già pronte che sostituiscono i precedenti non proprio comodi bi-pack, con ZOXAMIDE nello Zorvec Vinabel (Corteva) o con Folpet nello Z. Vinabria. Entrambi i prodotti apportano, ai dosaggi rispettivi di etichetta, 20 g/ha della sostanza attiva. Syngenta propone la partnership di questa s.a. con amisulbrom (ORONDIS FORTE PACK) oppure con mandipropamide e folpet (ORONDIS ULTRA F) Nel gruppo QiI (NR 4p) ricordiamo CYAZOFAMID. Dall’anno scorso è presente Daramun (Chimiberg), una nuova formulazione più concentrata della s.a., senza fosfiti (contenuti in Mildicut di Belchim) e con innovativi coadiuvanti. Allo stesso gruppo ap-

1/2021

DIFESA ANTIOIDICA Non ci sono sostanziali variazioni.

Tra i prodotti più recentemente introdotti Kusabi di Belchim. Il PYRIOFENONE in esso contenuto, assieme a PROQUINAZID nel f.c. Talendo (Corteva) e BUMIPIRATE, nel Nimrod (Adama), fa parte del gruppo “non chimico” (NR 3o in tabella) denominato CMR (acronimo inglese di sostanze indiziate di cancerogenicità, mutagenicità, o tossicità per la riproduzione).

Da ciò la limitazione complessiva a 2 trattamenti massimi per anno.

Inoltre PYRIOFENONE appartiene allo stesso gruppo chimico (ARYL- FENIL-CHETONI- FRAC U8) del METRAFENONE (Vivando di Basf e, nuovo, Vulpin di Manica) e con esso condivide l’ulteriore limitazione complessiva massima di 3 trattamenti annui.

PYRIOFENONE ha attività collaterale antibotritica, per cui si pone in confronto con BOSCALID (Cantus di Basf), l’altro antiodico ‘bivalente’ collocato classicamente in pre-chiusura.

Ricordiamo che, già dall’anno scorso,

il trattamento con Tessior (PYRACLOSTROBIN+BOSCALID di Basf) in chiave preventiva contro il Mal dell’Esca (unico trattamento al bruno consentito), non fa cumulo per le limitazioni rispettive delle s.a. o gruppi a cui appartengono (QOI, NR 5p e SDHI, NR 2o ). Attenzione pertanto alla limitazione massima di 2 trattamenti nel gruppo SDHI anche per il nuovo ISOFETAMID inserito nella difesa antibotritica (vedere in seguito).

5

VITICOLTURA

partiene AMISULBROM (in Leimay di Scam e Sanvino, con Foipet, di Adama e nel nuovo Genkotsu di Gowan).

Anche l’inclusione di FOLPET (NR 6p) tra le s.a. di copertura, con i limiti riportati, per i trattamenti specifici verso l’escoriosi (necessariamente anticipati, dunque, rispetto all’avvio della difesa antiperonosporica) non è stata ufficializzata. Il trattamento anticipato resta un buon consiglio nei casi di manifestazioni di questo fungo nella campagna precedente, per il quale nel 2020, si è riscontrato, nuovamente, un fortissimo aumento degli attacchi.

MEZZI BIOLOGICI ANTIOIDICI IN ESPANSIONE Riportiamo l’attenzione su alcuni prodotti relativamente nuovi, complementari nella difesa bivalente antiodica/antiperonosporica come l’OLIO DI ARANCIO DOLCE e la LAMINARINA (più specificatamente indicata con funzione antioidica) e sulla gamma, in aumento, dei prodotti a base di BICARBONATO DI SODIO. Tra le sostanze costituite da microrganismi (meglio identificate come agenti attivi) ricordiamo il nuovo Sonata (Bayer) a base di Bacillus pumilus -QST 2808-. Lanciato l’anno scorso, ha dato buoni riscontri in campo. Si tratta di un microrganismo con azione biostimolante della pianta, in grado di competere efficacemente per lo spazio ecologico nei confronti di Uncinula necator. Sonata si è affiancato al meno recente Ibisco (Gowan), a base del complesso biostimolante COS (chito-oligosaccaridi) -OGA (oligo-galaturonidi).

Tutti i f.c. che contengono sostanze o organismi attivi utilizzabili nella difesa biologica non vengono conteggiati nel numero massimo degli interventi previsti

Gravi sintomi di escoriosi. Patogeno in forte aumento nella scorsa campagna

https://www.bmv-italy.com/ bmw@bmv-italy.com

6

contro oidio e botrite, limite che è previsto solo per molecole chimiche di sintesi.

VITICOLTURA

1/2021

DIFESA ANTIBOTRITICA Qui abbiamo una nuova inclusione nei disciplinari: nel 2020 è entrata ISOFETAMID con Kenja (Belchim). Si tratta di una nuova molecola appartenente al gruppo degli SDHI, dotata di attività translaminare (capacità di migrare attraverso la lamina fogliare). È previsto il suo posizionamento dalla pre-chiusura alla pre-raccolta (ma per un solo trattamento, NR

1p

2p

3p

4p

FAMIGLIA/ GRUPPO

RINFORZANTI SISTEMICI

CAA

FENILAMMIDI

Qil

5p Qoi 1o

6p

COPERTURA

per un secondo occorre alternare con un altro prodotto), con tempi di carenza di 21 giorni. Si ribadisce di porre attenzione alla limitazione incrociata del gruppo SDHI (NR 2o) a cui appartiene.

Sono previsti al massimo due trattamenti/anno con fungicidi di sintesi (o “tradizionali”) contro questa avversità. A causa delle limitazioni incrociate tra le famiglie di appartenenza delle sostanze attive BOSCALID, CIPRODINIL, FLUDIOXONIL, FENEXAMIDE, FENPYRAZAMINE, PIRIMETANIL (e l’ultimo ISOFETAMID),

si delinea la possibilità, in pratica, di effettuare un solo trattamento per ogni f.c. presente sul mercato. Resta escluso da questa limitazione solo FLUAZINAM (NR 6p), (Ohaio, Nando, Banjo, Tizca). A mio avviso questa s.a. è sottovalutata come arma complementare di difesa, vista la sua bivalenza antiperonosporica e potrebbe uscirne a breve un’interessante formulazione con valifenalate.

Per quanto riguarda gli antibotritici ammessi in agricoltura biologica, essi si basano sull’azione di microrganismi antagonisti, a eccezione

SOSTANZA ATTIVA

LIMITE SOSTANZA (TEMPO)

FOSETYL AL

-

FOSFONATO DI diNa

6

FOSFONATO DI K

5

DIMETOMORF

4

IPROVALICARB

4

MANDIPROPAMID

4

VALIFENALATE

4

BENTHIAVALICARB

2

(BENALAXIL) in esaurimento

3

BENALAXIL-M (KIRALAXYL)

3

METALAXIL-M

3

AMISULBROM

3 (2 consecutivi max se da solo)

CYAZOFAMID

3

FAMOXADONE (VS PERONOSPORA) PYRACLOSTROBIN (VS PERON.E OIDIO)

1 3

AZOXY-STROBIN (VS OIDIO)

2

TRIFLOXY- STROBIN (VS OIDIO)

3

METIRAM (Ditiocarb.to)

(ALLEGAGIONE)

MANCOZEB (Ditiocarb.to)

3 (ALLEGAGIONE)

DITHIANON

3 (ALLEGAGIONE)

FOLPET

3

FLUAZINAM

3

7p

RAMEICI

12 kg tra 2019-21. Max 5 kg/anno

2o

BOSCALID FLUXAPIROXAD

1 2

ISOFETAMID (ANTIBOTRITICO) PROQUINAZID.NEW

1 2

PYRIOFENONE

2

BUPIMIRATE

2

3o

SDHI

LIMITE GRUPPO

Resta 8

4(3+1)*

3

3

3

3 se da solo

4

2

Tabella 1 - Principali famiglie di funghicidi antiperonosporici e antioidici. p = peronospera; o = oidio Per quanto riguarda gli antiperonosporici, ZOXAMIDE, AMETOCTRADINA, CIMOXANIL, FLUOPICOLIDE e OXATHIAPIPROLIN non sono riportati in tabella. Queste s.a. prevedono, rispettivamente, il limite di 4, 3, 3, 2 e 2 trattamenti massimi per anno.

In grassetto sono riportate le sostanze attive con la limitazione ad un solo utilizzo annuo. Oltre ai principi riportati, nel gruppo degli antioidici IBS hanno la stessa limitazione anche FLUTRIAFOL DIFEN-TEBU-CONAZOLO e MICLOBUTANIL. Il gruppo (con gli aggiuntivi FENBU-PEN-TETRA- CONAZOLO) ha la limitazione totale di 3 trattamenti massimi per anno. La totalità delle s.a. antibotritiche di sintesi (escluso solo FLUAZINAM, citato anche tra esse) ha di fatto lo stesso limite di un trattamento all’anno. Infine per le s.a appartenenti al gruppo dei CAA è previsto che, dopo il 3° trattamento consecutivo, si debba impiegare una sostanza antiperonosporica a diverso meccanismo d’azione, per il principio fondamentale dell’alternanza.

1/2021

cartuccia complementare quando si voglia seguire un approccio di difesa, non solo per il biologico, che punti al massimo risultato sanitario e al minimo utilizzo delle sostanze di sintesi.

DIFESA INSETTICIDA Per la difesa contro insetti e acari si riducono le sostanze ammesse e si complica il quadro.

Occorre un approccio integrato.

Dopo l’uscita del CLORPIRIFOS-METILE l’anno scorso, la difesa insetticida è rimasta senza le cartucce dei fosforganici. Erano indiscutibilmente problematici sul fronte tossicologico, ma avevano buona efficacia.

Attualmente con ACETAMIPRID, ETOFENPROX, FLUPYRADIFURONE, TAU-FLUVALINATE (unico tra i piretroidi ora inseriti) occorre giostrarsi nella difesa da Scaphoideus titanus, cicaline, tignole (per le quali ci sono altre s.a. specifiche) ed altri fitofagi che stanno avanzando, o tornando, con sempre maggior vigore come Fillossera, Drosophila suzukii (Moscerino

Popillia Japonica e danni sui germogli della vite

orientale della frutta- SWD), e al Nord, in Piemonte e Lombardia, Popillia japonica (di quest’ultima parleremo in dettaglio su uno dei prossimi numeri di Millevigne n.d.r.).

Attualmente segnaliamo che per queste due ultime avversità sono stati registrati su vite Laser (Corteva) e Decis Evo (Bayer) contro Drosophila s., Meteor (Chimiberg) e Oikos (estensione da verificare) contro Popillia japonica. Epik (Sipcam) è l’unico registrato verso entrambi.

Segnaliamo anche l’innovativo Subvert (Suterra), prima applicazione di confusione sessuale verso Lobesia botrana, in formulazione distribuibile come un normale trattamento liquido. Sul fronte dei tradizionali erogatori, invece, la ditta Biogard (Cbc) presenta BIOOtwin, un innovativo prodotto biodegradabile.

Infine si segnala il BIFENAZATE (Enviromite di UPL), l’unico nuovo inserimento sul fronte della difesa acaricida.

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del 3-logy che è a base di terpeni.

Ovviamente è possibile usarli anche in convenzionale, a integrazione dei due trattamenti ‘tradizionali’ massimi consentiti e sopra indicati.

- 3logy (Sipcam): eugen-genal-tim/ olo. Previsti in etichetta 4 trattamenti massimi per anno; - Polyversum (Gowan): Pythium oligandrum Ceppo M1. Indicato anche per marciume acido; - Serenade Aso (Bayer): Bacillus subtilis, Ceppo QST 713; - Amylo-x (Biogard): B.amyloliquefaciens (Subsp. plantarum); - Serifel (Basf): B.amyloliquefaciens Ceppo MBI600; - Taegro (Syngenta): Bacillus amyloliquefaciens ceppo FZB24; - Botector (Manica): Aureobasidium pullulans.

Dal 2019 nel gruppo delle sostanze di origine naturale, è stata introdotta la s.a. CEREVISANE (pareti cellulari di Saccharomyces cerevisiae), in Romeo (Sumitomo). Induttore di resistenza trivalente (verso peronospora, oidio e botrite), è un’altra buona

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di MAURIZIO GILY

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Sintomi precoci di Botriosferiacee su vite Questi funghi associati alle malattie del legno della vite possono manifestarsi precocemente sulle parti verdi e sui grappoli, e i sintomi sono facilmente confusi con danni da altri patogeni PREMESSA Questo articolo riassume e rielabora alcuni contenuti di un articolo scientifico open access (cioè accessibile a tutti in rete) con licenza Creative Commons, il quale riferisce su un lavoro di ricerca effettuato presso l’Università di Lisbona da un team internazionale composto da: Pedro Reis, Ana Gaspar, Artur Alves, Florence Fontaine, Inês Lourenço, José Saramago, Mariana Mota and Cecília Rego.

L’articolo originale, dal titolo “Early Season Symptoms on Stem, Inflorescences and Flowers of Grapevine Associated with Botryosphaeriaceae Species”, pubblicato sulla rivista Plants (Plants 2020, 9, 1427), con relative fonti bibliografiche, è scaricabile da QR Code:

https://www.mdpi.com/22237747/9/11/1427 ESCA E I SUOI PARENTI, LE MALATTIE DEL LEGNO Le principali malattie del legno della vite vengono oggi raggruppate sot-

to il nome di patologie GTD (Grape Trunk Diseases, malattie del tronco della vite).

A sua volta questo gruppo si divide in tre sottogruppi che si riferiscono a tre principali malattie fungine, a volte erroneamente confuse tra di loro: Eutipiosi, Mal dell’Esca e deperimento da Botryosphaeria (Botriosfera).

L’eutipiosi presenta all’esterno della pianta sintomi diversi dalle altre due (germogli rachitici e a zig zag, foglie piccole ripiegate a coppa…) mentre Esca e botriosferiacee si somigliano, quanto meno nei sintomi su foglie e grappoli. L’Esca propriamente detta è quella che determina la carie spugnosa del tronco ed è associata in particolare al genere Fomitoporia, mentre sotto il nome generico “Botriosferia” rientrano vari funghi diversi, ma della stessa famiglia. L’Esca di solito attacca viti di oltre dieci-dodici anni: quando i caratteristici sintomi come la “foglia tigrata” compaiono su viti giovani la causa è solitamente Botriosferia. In questo caso i funghi dell’Esca possono eventualmente insediarsi in un secondo tempo sul legno malato.

In tutte le regioni del Portogallo Esca e Botriosferia sono considerate le malattie più dannose per le viti adulte. In Francia si stima che venga perso ogni anno a causa di queste malattie l’equivalente di un miliardo di euro, mentre in Australia l’impatto economico può raggiungere 8,3 miliardi di dollari australiani. Anche in Italia le malattie del legno sono segnalate in preoccupante aumento e provocano gravi danni, soprattutto

in alcune regioni e su alcune varietà come Sangiovese, Barbera e Sauvignon blanc.

Il deperimento da Botryosphaeria causato da diverse specie di Botryosphaeriaceae è quindi tra le più importanti malattie che colpiscono i vigneti di tutto il mondo. Questi funghi causano cancri a forma di cuneo e striature scure nel legno, acini disseccati o mummificati, talvolta clorosi fogliare internervale e, infine, morte della pianta.

LO STUDIO EFFETTUATO IN PORTOGALLO NEL 2018 I sintomi precoci possono essere confusi con sintomi di altre malattie come la peronospora o la botrite.

Attualmente pochi studi sono disponibili per determinare quali specie possono causare questi sintomi di inizio stagione nelle viti. Durante la primavera 2018, nel periodo di fioritura, campioni di vite che mostravano necrosi su germogli verdi, infiorescenze e fiori disseccati furono raccolti in diversi vigneti delle regioni centrali del Portogallo. Da queste parti sintomatiche furono isolate ventitré specie di Botryosphaeriaceae. Le analisi PCR rivelarono che le due specie principali apparentemente responsabili di questi sintomi erano Diplodia seriata e Neofusicoccum parvum.

Nei test di patogenicità condotti su piante di un anno coltivate in condizioni controllate in una serra, e su grappoli coltivati in campo, i sintomi sono stati riprodotti tramite inoculo,

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dove possono comparire macchie giallo-arancio o rosso vivo sui margini e sulle lame delle foglie, a seconda della cultivar (bianca o rossa).

Durante la stagione 2018, coltivatori e tecnici viticoli nella regione centrale del Portogallo hanno cominciato a osservare sintomi di necrosi alla base dei germogli verdi, con possibile distacco completo del germoglio più avanti nella stagione, avvizzimento dell’apice del germoglio, avvizzimento delle foglie e, fatto più importante per la produzione, necrosi del peduncolo e del rachide dei grappoli in via di sviluppo e disseccamento di infiorescenze e fiori.

Questi sintomi sono comparsi anche dopo le applicazioni fungicide previste contro altre malattie della vite, cosa che lasciava perplessi i coltivatori. I campioni sono stati inviati per l’analisi in laboratorio e hanno

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ZEODRY Zeolite contro funghi e insetti Sostanza di origine naturale che migliora la resistenza delle piante agli stress biotici e abiotici Zeodry è ammesso per gli utilizzi in agricoltura biologica (Regg. CE 834/2007, 889/2008 ssmmii).

Figura 1 - Sintomi osservati su viticci e germogli verdi:

(A) viticci necrotici ottenuti dopo inoculo con D. mutila (Bt218); (B) apice necrotico del germoglio dopo inoculazione con D. seriata (Bt204); (C) foglia necrotica dopo inoculazione con N. parvum (Bt216); (D) lesione ottenuta dopo l’inoculazione con D. seriata (Bt204); (E) lesione ottenuta dopo inoculazione con N. parvum (Bt216); (F) controllo inoculazione

zeocelitalia.it

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confermando il comportamento patogeno degli isolati selezionati.

Nel “Botryosphaeria dieback” (deperimento da Botriosferia) in letteratura le specie più comuni isolate dalle viti risultano Diplodia seriata, Diplodia mutila, Neofusicoccum parvum e Lasiodiplodia theobromae.

In diversi paesi è stato dimostrato che le specie presenti sulle viti differiscono in termini di patogenicità, nella loro epidemiologia e nei sintomi prodotti. Pertanto, la sintomatologia di deperimento da Botryosphaeria è piuttosto complessa. Tuttavia i sintomi più comuni includono germogliamento assente o limitato, deperimento del tronco, cancro e necrosi del legno, striature vascolari e morte. L’infezione delle viti da Botryosphaeriaceae può portare sintomi su foglie e bacche,

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rivelato la presenza di Botryosphaeriaceae sui tessuti analizzati.

Sebbene l’epidemiologia e distribuzione del cancro della Botryosphaeria nel legno di viti e altri ospiti siano stati ampiamente studiati, non risultavano in bibliografia studi per capire quali specie potessero essere la causa di questi sintomi di inizio stagione. L’obiettivo di questo studio era quindi quello di identificare i patogeni di questi sintomi precoci, tramite caratteristiche morfologiche, analisi del DNA e test di patogenicità.

La maggior parte degli isolati di Botryosphaeriaceae è stata ottenuta da tessuti sintomatici raccolti all’apice del germoglio (36%), seguito da tessuti alla base dei germogli (33%). Gli isolati dal rachide dei grappoli rappresentavano il 17%, mentre il 9% proveniva dai grappoli (fiori e infiorescenze) e solo il 5% dalle foglie. Da questo insieme di isolati, un totale di ventitré sono stati selezionati in base alle loro caratteristiche in coltura, con l’attenzione di mantenere almeno un isolato ottenuto da ogni vigneto.

Questi isolati sono stati caratterizzati e identificati in base a caratteri morfo-colturali, sequenziamento del DNA e test di patogenicità.

Tutti gli isolati testati erano patogeni nei confronti delle talee innestate di varietà Aragonez (Tempranillo) di un anno utilizzate nell’esperimento in serra, ed erano in grado, in una certa misura, di riprodurre sintomi somiglianti a quelli osservati nel rilievo sul campo, vale a dire necrosi di viticci, apice dei germogli e foglie.

L’isolato Bt204 identificato come Diplodia seriata, era quello in cui la percentuale più alta (50%) delle piante ha mostrato i sintomi sopra descritti, seguiti dall’isolato Bt216 identificato come Neofusicoccum parvum (40%).

Per quanto riguarda la capacità di causare sintomi sui grappoli (Figura 2), come bacche e infiorescenze disseccate, è stata registrata la superficie infetta media più alta per D. seriata e D. mutila. Questi risultati sono contrari a quelli ottenuti per gli altri test di patogenicità. Ciò potreb-

Figura 2 - (A, prima riga) I grappoli migliori ottenuti da ciascun inoculo e (B,

seconda riga) i peggiori be non essere dovuto all’aggressività delle specie isolate, ma alle differenti condizioni sperimentali.

Questi test di patogenicità sono stati condotti su viti coltivate in campo, mentre gli altri test sono stati condotti su viti in serra, per non parlare delle differenze nell’età della pianta.

CONCLUSIONI Sebbene i principali funghi ad impatto economico della famiglia Botryosphaeriaceae siano associati a sintomi nel tronco e nel tralcio, i danni da questi funghi che si manifestano così presto nella stagione di crescita sarebbero da non trascurare, poiché potrebbero svolgere un ruolo importante nella loro epidemiologia e diventare fonte di inoculo per infezioni da ferita che portano a malattie del tronco.

I funghi Botryosphaeriaceae sono diffusi nella maggior parte del mondo e si trovano come parassiti endofiti o saprofiti su un vasto numero di piante sia annuali che perenni.

Si ritiene che l’infezione da Botryosphaeriaceae su vite si verifichi principalmente attraverso ferite da potatura, poiché i cancri iniziano a svilupparsi da ferite su foglie, rami

o germogli. Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato che questi funghi possono infettare attraverso le lenticelle (formazioni di cellule allungate che interrompono la corteccia, consentendo gli scambi gassosi) o gli stomi.

Le ferite da potatura sono considerate le principali porte di infezione per Botryosphaeriaceae sulla vite. Tuttavia, Shafi et al. hanno recentemente mostrato mediante microscopia a fluorescenza che questi agenti patogeni possono rimanere latenti sulla corteccia della vite e senza alcun tipo di ferita. Pertanto questa osservazione suggerisce che i funghi Botryosphaeriaceae possono avere la capacità di colonizzare e infettare i tessuti sani della vite, anche senza ferite, e questa può essere una delle ragioni dei sintomi osservati su questi vigneti durante la primavera del 2018.

Da un punto di vista pratico la rimozione dei sarmenti di potatura nei vigneti soggetti all’attacco delle Botriosferie può essere una buona misura di profilassi atta a limitare la massa di inoculo, considerata la biologia di questi funghi.

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di MICHELE TAMPONI

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Innovazione: presente e futuro dei trattori per il vigneto

I trattori da vigneto presentano soluzioni costruttive e meccaniche di cui tener conto nella scelta della macchina più adatta per ogni situazione. I modelli più innovativi sono sempre più versatili, sicuri e confortevoli, ma le macchine del futuro hanno motori green e guida autonoma L’evoluzione della meccanizzazione in questi ultimi decenni è stata molto importante con una continua e costante innovazione delle macchine agricole specifiche per la lavorazione dei vigneti sia per quanto riguarda i trattori che per le macchine operatrici.

Per ogni sistema di allevamento caratteristico delle varie regioni viticole del nostro Paese, nel tempo, sono state create diverse tipologie di trattrici e numerose attrezzature, ognuna con soluzioni costruttive specifiche e con caratteristiche tecniche peculiari, tali da consentirne l’utilizzo in contesti particolari e, soprattutto, facilitare tante operazioni.

A partire dagli anni 80-90 del secolo scorso sono state meccanizzate gran parte delle pratiche di coltivazione della vite, dalla pre-potatura alla vendemmia, e questo sviluppo è stato determinante nell’orientare i viticoltori impegnati nel rinnovamento dei loro vigneti verso la scelta di forme di allevamento e di impianti più facilmente meccanizzabili. La meccanizzazione delle operazioni viticole risulta determinante per migliorare la gestione dei vigneti, ottenere delle produzioni di qualità superiore e sfruttare i vantaggi agronomici, economici e ambientali che le tecnologie innovative consentono di raggiungere.

In questo articolo verranno approfonditi alcuni aspetti di carattere generale legati alle più recenti innovazioni dei trattori utilizzati in vigna.

CARATTERISTICHE DEI TRATTORI DA VIGNETO I modelli di trattori per le lavorazioni meccaniche delle colture arboree specializzate, quali vigneto e frutteto, disponibili sul mercato e sviluppati dalle diverse case costruttrici sono attualmente abbastanza numerosi.

Per la loro versatilità la preferenza dei viticoltori va alle trattrici gommate con potenza compresa tra i 75

LA NORMATIVA CHE REGOLA LA COSTRUZIONE DELLE MACCHINE AGRICOLE IL REG. (UE) N. 167/2013 “LA MOTHER REGULATION” La normativa europea più recente che impone le nuove regole per la costruzione dei trattori è il Reg. UE 167/2013 del 05 febbraio 2013 voluto per armonizzare l’omologazione nei Paesi della Comunità Europea e per aumentare la sicurezza dei veicoli agricoli.

Sono soggetti all’omologazione europea i trattori a ruote, i trattori a cingoli (identificati rispettivamente con la lettera T e C), i rimorchi e le attrezzature intercambiabili trainate (identificati con le lettere R e S).

Restano invece, escluse le attrezzature portate e semi-portate e le macchine operatrici semoventi, per le quali rimangono valide le prescrizioni di prodotto.

Questo regolamento, in vigore dal 1 gennaio 2018, noto con il nome di Mother regulation stabilisce i requisiti per la realizzazione di tutti i veicoli agricoli relativi alle caratteristiche costruttive (es. le dimensioni, compresa la massa massima a pieno carico, i differenti tipi di gancio di traino, i Rops o dispositivi di protezione dal capovolgimento) e a quelle prestazionali (es. velocità massima su strada, impianti di frenatura più performanti, e massa rimorchiabile, emissioni sonore e gassose).

In termini di velocità, ad esempio, permette il superamento - in quanto a omologazione - dei 40 chilometri orari (limite massimo consentito dalla normativa nazionale).

Il Regolamento 167/2013 prevede anche l’obbligo di montare gli stacca batterie esterni, il tachimetro sui veicoli circolanti a velocità superiori ai 30 chilometri orari, due specchietti retrovisori (uno per lato), e i comandi con specifica colorazione (rosso per i comandi d’emergenza, arancio per la movimentazione e lo stazionamento, giallo per il controllo della pdp, blu per la gestione dell’idraulica e dell’attacco a tre punti).

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di invertire l’orientamento del posto di guida per mezzo di una ralla che ruota di 180° per cui garantiscono una flessibilità di utilizzo, comoda per lo svolgimento di alcune operazioni.

In generale per le lavorazioni dei vigneti sono richiesti trattori con le seguenti caratteristiche: - compattezza della struttura con dimensioni molto ridotte, carreggiata stretta e peso ridotto per evitare il compattamento del terreno; - potenza erogata dal motore adeguata per garantire il corretto accoppiamento con le varie macchine operatrici specifiche; - maggiore agilità e manovrabilità; - versatilità di utilizzo dell’impianto idraulico e della trasmissione.

Queste caratteristiche, oltre che importanti per la scelta e il successivo acquisto del trattore, sono anche quelle per le quali, negli ultimi anni, è stata maggiore l’attenzione dei co-

Il robot scavallante con motore elettrico Bakus di Vitibot®

struttori nello studio e realizzazione delle più importanti modifiche innovative.

INNOVAZIONI TECNOLOGICHE DEI TRATTORI DA VIGNETO Le case costruttrici sono costantemente impegnate nella progettazione e realizzazione di modelli sempre più performanti, con dispositivi meccanici, idraulici ed elettronici e con funzioni molto sofisticate.

In funzione delle caratteristiche specifiche dei trattori da vigneto questo processo di technological upgrading ha portato alla creazione e all’impiego di numerosi elementi innovativi. Alcuni sono di recentissima introduzione altri, invece, seppure già in uso da tempo, sono ugualmente soggetti ad un costante miglioramento delle loro caratteristiche tecnologiche e funzionali.

Così le nuove generazioni di trattori da vigneto, rispetto ai vecchi modelli, si caratterizzano per le seguenti soluzioni meccaniche innovative:

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e i 100 cavalli (ovvero tra i 60 e gli 80 kW).

I modelli cingolati, invece, sono sempre preferiti nei contesti dove per le caratteristiche dei terreni, in particolare riguardo alla tessitura e alla pendenza, è necessaria una maggiore trazione, manovrabilità in spazi molto stretti, stabilità e capacità di traino, garantite dalla più ampia sezione di aderenza al suolo.

Rispetto ai primi tuttavia hanno la difficoltà del trasferimento su strada e offrono un comfort ridotto per l’operatore.

Abbastanza diffusi sono anche i modelli con le quattro ruote “isodiametriche” che, per la loro altezza ridotta vengono preferiti nella gestione dei vigneti a pergola o tendone, mentre per la loro stabilità, data dal baricentro più basso e dalla distribuzione dei pesi concentrata maggiormente sull’assale anteriore, risultano molto apprezzati nelle aziende con terreni in pendenza. Alcune trattrici isodiametriche hanno anche la possibilità

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e idraulici modulari anche frontali oltre che posteriori;

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9) disposizione razionale dei comandi che consentono una maggiore prontezza e comodità di utilizzo; 10) cabine che garantiscono un miglior confort per l’operatore con accesso comodo al posto di guida, maggiore visibilità, basse vibrazioni e bassa rumorosità;

Il robot scavallante elettrico Bakus di Vitibot® operativo in un vigneto

1) ridotto diametro di sterzata garantita da assali molto evoluti e performanti; 2) doppia trazione e trazione integrale con inserimento automatico elettroidraulico; 3) impianti di frenata integrali con differenti sistemi di azionamento, dispositivi di collegamento e ripartizione dei carichi; 4) cambio con numerose marce intermedie, a variazione continua, con possibilità di modifica-

re i rapporti anche sotto carico e con rapporti che aumentano la velocità su strada; 5) super-riduttore per permettere di scegliere rapporti con velocità molto basse; 6) inversore rapido del senso di marcia; 7) presa di potenza a velocità multipla con possibilità di inserimento elettronico; 8) elevata portata idraulica delle pompe con attacchi meccanici

Monarch: il trattore elettrico a guida autonoma made in USA

11) sistemi per la gestione dei gas di scarico, come filtri anti-particolato, catalizzatori a riduzione selettiva e ricircolo dei gas di scarico, che assicurano la conformità alla normativa sulle emissioni EPA Tier o STAGE (dal 2019-2020 arrivata alla fase 5); 12) centraline elettroniche che comandano sempre più funzioni della macchina (es. il funzionamento dei motori a iniezione, la regolazione del numero di giri del motore e l’incremento di potenza erogata, la trasmissione in funzione dei rapporti selezionati anche a livello di presa di potenza, il funzionamento dell’impianto idraulico).

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renderebbe le aziende dotate di impianti a biomasse per la produzione di biogas totalmente indipendenti dal punto di vista energetico.

Allo stato attuale, comunque, non risulterebbe, almeno su larga scala, che siano stati sviluppati trattori da vigneto alimentati con carburanti alternativi.

Non troppo futuristica sembra anche la messa in commercio di trattrici alimentate a celle combustibili che, sfruttando la reazione tra aria e idrogeno, produrranno energia elettrica e calore, ottenendo come scarto solo acqua.

Diverso è il discorso relativo ai trattori elettrici. In commercio, infatti, si trovano già vari tipi di trattrici elettriche.

Si tratta per lo più di “piccoli modelli”, di limitata potenza, utilizzabili nel settore del giardinaggio. Non mancano, comunque, dei prototipi di trattori sia da pieno campo che da vigneto.

Come esempio possiamo citare il modello e100 Vario della Fendt.

Si tratta di un trattore compatto a

batteria presentato al pubblico per la prima volta nel 2017. Nell’arco degli ultimi tre anni con una lunga serie di prove in campo il prototipo è stato costantemente rivisitato e migliorato tecnicamente, così che l’azienda tedesca è vicina al traguardo della commercializzazione.

Il trattore ha una potenza di 50 kW (68 CV) e un’autonomia, dichiarata dall’azienda, di cinque ore “in condizioni di impiego reali“. L’alimentazione è assicurata da un pacco batteria agli ioni di litio da 650 Volt con capacità da 100 kWh. Per la ricarica delle batterie l’e100 Vario è dotato di un cavo di ricarica per prese a 400 V fino a 32 A, che equivale a una capacità di ricarica di circa 22 kWh ovvero ad un tempo di ricarica inferiore a 5 ore. Il trattore dispone, inoltre, di una presa di ricarica rapida a corrente continua CCS (Combined Charging System), ancora poco diffusa in ambito agricolo, che consentirebbe di ricaricare le batterie fino all’80% in soli 40 minuti.

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IL TRATTORE DA VIGNETO DEL FUTURO SARÀ ELETTRICO E A GUIDA AUTONOMA? Gli obiettivi principali, per i quali le case costruttrici sono fortemente impegnate da tempo nello sviluppo di soluzioni innovative sono da un lato i sistemi di alimentazione con carburanti alternativi al gasolio agricolo come il metano o il biogas e i motori ibridi ed elettrici, dall’altro i modelli che, grazie ad un maggiore ricorso all’elettronica, ai sensori di posizionamento e all’utilizzo dei dispositivi GPS possano lavorare in maniera autonoma.

Per quanto riguarda i trattori alimentati a gas si tratta ancora di prototipi da “pieno campo” i cui propulsori vengono adattati nelle varie componenti per permettere la combustione del gas.

Le prestazioni in termini di potenza e di coppia sarebbero equiparabili a quelle dei motori equivalenti alimentati a gasolio. La possibilità di alimentare i trattori con biogas

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Il trattore Monarch all’opera nel vigneto

Gli sforzi progettuali delle maggiori aziende costruttrici di trattori al mondo sono altresì rivolti alla realizzazione di modelli di trattori a guida autonoma ovvero in grado di lavorare senza la presenza costante di un conducente e, considerata la rapidità del progresso tecnologico anche nella produzione di macchine per l’agricoltura, la realizzazione e commercializzazione di questi trattori non è da considerarsi troppo “futuristica”.

Addirittura alcune ditte sarebbero già pronte alla commercializzazione di modernissimi modelli che coniugano l’alimentazione elettrica alla guida autonoma.

In Francia, ad esempio, la ditta Vitibot ha sviluppato il Bakus, un trattore scavallante dotato di un motore elettrico brushless alimentato da un pacco batterie da 80 kWh. Si tratta di un robot semovente in grado di avanzare ad una velocità massima di 6 km/h, sufficiente per l’esecuzione di numerose operazioni meccaniche tra i filari. L’autonomia delle batterie varia dalle 10 alle 12 ore a seconda dei lavori svolti e delle caratteristiche dei terreni. Il tempo di ricarica è di circa 2 ore.

Il trattore, lungo 3,5 metri, ha una larghezza di 1,75 m ed un’altezza di 1,65 m, pesa 2,5 tonnellate, è se-

movente ed è guidato da un sistema di intelligenza artificiale che, grazie a otto telecamere, rileva gli ostacoli e valuta l’ambiente in cui si trova ad operare. Finora sono stati realizzati alcuni prototipi ma la Vitibot conta di passare alla produzione industriale e alla commercializzazione in tempi molto brevi.

Negli Stati Uniti, invece, è stato realizzato il Monarch un nuovo trattore, appunto, completamente elettrico e a guida autonoma che dovrebbe essere commercializzato già a partire dal 2021.

Questo avveniristico modello, con un’autonomia che raggiungerebbe le 12 ore (4 ore in caso di utilizzo di potenze elevate) e un tempo di ricarica di 4-5 ore, è un trattore che ha la funzione, opzionale, di guida senza conducente garantita da numerose telecamere a 360 gradi e un ampio assortimento di sensori di bordo e altri strumenti di navigazione.

In pratica non sarebbe solo in grado di spostarsi autonomamente per brevi distanze ma di lavorare in modo autonomo, senza conducente, con o senza controllo da remoto.

Inoltre grazie alla centralina elettronica e ad altri sensori si interfaccerebbe con altri accessori del trattore e sarebbe in grado di effettuare

numerose altre operazioni, tra cui la valutazione sullo stato vegetativo e sanitario delle colture.

Anche la CNH, in parallelo alla ricerca sui carburanti alternativi, sta lavorando da anni sull’agricoltura di precisione e sull’applicazione delle nuove tecnologie nel settore primario, con lo sviluppo di un trattore a guida autonoma dotato di impianto GPS, per consentire di mantenere dritta la rotta tra i filari e di dispositivi di prossimità per il rilevamento automatico degli ostacoli, che impediscano che il trattore sbandi e danneggi le colture. Le videocamere in dotazione riprendono lo spazio intorno al trattore a 360 gradi e i video possono essere visualizzati su un display montato in cabina. Inoltre, grazie ad appositi software e applicazioni, il trattore, collegato a Internet, potrà essere interamente gestito con uno smartphone. Oltre a consentire l’accesso alla cabina e a sostituire la chiave di accensione con un sistema di riconoscimento delle impronte digitali del conducente, sarà possibile monitorare da remoto le varie funzioni, come controllare l’autonomia delle batterie, regolare la velocità e manovrare il trattore anche per attaccarlo alle macchine operatrici.

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di FABIO BURRONI e MARCO PIERUCCI (Studio Associato Agronominvigna), GIUSEPPE CARELLA (DAGRI UNIFI), RITA PERRIA (CREA VE Viticoltura ed Enologia), SILVIA LANDI, CREA DC Difesa e Certificazione, STEFANO MOCALI, CREA AA Agronomia ed Ambiente, DAVIDE LEONARDI, Vititalia/Vivai Bianchi Carla, MARCO MORONI, Vivai F.lli Moroni, MONICA PIERUCCI, P.Ri.Ma.Forma

Green Grapes: condividere il valore della filiera a partire dal vivaismo

Il progetto Life Green Grapes ha portato il vivaismo viticolo all’interno della filiera vitivinicola allo scopo di condividere con la ricerca e le aziende vitivinicole nuove best practice e protocolli di produzione biologica e integrata. I risultati hanno evidenziato l’efficacia di questo modello e dei protocolli adottati nella riduzione degli input e nella produzione di piante di qualità.

Il settore vivaistico non è compreso nella filiera viticola produttiva e questo la dice lunga su due mondi così distanti ma mai come in questo momento interconnessi nella ricerca di un percorso comune dalle grandi prospettive. All’intera filiera vitivinicola si devono i risultati raggiunti nel mercato globale che esportano la fotografia di un’Italia capace e conscia del proprio valore a livello mondiale.

Al mondo vivaistico e alla ricerca pubblica e privata si deve il mantenimento di un patrimonio genetico che altrimenti sarebbe scomparso, limando negativamente il potenziale della filiera e favorendo un’omologazione verso standard incapaci di promuovere un territorio complesso e per questo affascinante.

Oggi ci troviamo di fronte a grandi sfide che siamo costretti ad affrontare. La prima consiste nel promuovere un sistema produttivo italiano capace di esprimere facilmente il territorio e l’identità aziendale nei vini.

Questo sistema deve partire facendo leva su tutti gli attori e realizzando, fin dalla ricerca e dal mondo vivaistico, solide fondamenta su cui costruire la fortuna delle nostre aziende. La seconda consiste nel proteggere la diversità genetica delle varietà italiane con la costituzione di un settore vivaistico cosciente del proprio ruolo, una ricerca pubblica e privata attiva e una amministrazione pubblica capace di affrontare le sfide nel nome del bene comune.

Il Progetto LIFE Green Grapes si inserisce in entrambe le sfide sia realizzando fondamenta capaci di apportare valore alla filiera successiva, sia valorizzando le varietà minori, sia infine implementando la salvaguardia sanitaria delle più importanti.

LE SFIDE DA RACCOGLIERE PER IL SETTORE VIVAISTICO Le aziende vivaistiche sono sostanzialmente aziende agricole e vivono le stesse problematiche delle loro cugine viticole, essendo legate agli umori meteorologici e alle sfide del mercato globale. Naturalmente la finestra da dove sono valutate queste cose è posizionata in modo diverso, ma le preoccupazioni legate agli inquinamenti di specie aliene mai viste in Europa fino a pochi anni fa, possono essere se vogliamo paragonate ai nuovi scenari commerciali dovuti ai competitor internazionali emergenti. In pratica siamo tutti sulla stessa barca, che potrebbe affondare di fronte alle tante sfide acuite dall’odierna pandemia, come anche attraversare tutti i mari se remeremo insieme verso un unico obiettivo: fare comprendere l’unicità delle denominazioni italiane ed europee a un mercato che sta sempre di più relegando il vino a “bevanda” comune senza valore culturale.

Con il Reg 2031/2016 il legislatore europeo ha introdotto grosse novità a difesa dell’intero mondo agricolo, definendo la necessità di un autocontrollo da parte degli operatori vi-

vaistici professionali, un nuovo ruolo del Servizio fitosanitario e la possibilità di introdurre nelle aziende vivaistiche dei piani di rischio capaci di identificare le fasi cruciali del ciclo di produzione, stimolando così un atteggiamento imprenditoriale pronto ad affrontare le problematiche che insorgono durante la produzione.

Quale è allora il contributo che il mondo del vivaismo può offrire a tutta la filiera? Fare con coscienza il proprio mestiere, vedendosi riconoscere il lavoro fatto e cercando di promuovere un autocontrollo realmente operativo e non solo legato ad un manuale abbandonato in un cassetto dell’ufficio.

Il Progetto LIFE Green Grapes ha individuato alcune delle fasi cruciali della produzione vivaistica, sulle quali intervenire per limitare la presenza di patogeni, ottenendo piante che abbiano prospettive differenti sia al momento del trapianto che nell’aspettativa di vita. È questo il principale motivo della condivisione del valore nella filiera: produrre piante pensate e realizzate nella prospettiva futura di un vigneto capace di dare frutti attraverso una giusta ripresa dopo il trapianto e una longevità adeguata.

Il Progetto ha investigato anche alcuni servizi aggiuntivi, richiesti dalle aziende coinvolte, come l’uso di agenti micorrizogeni nella ricerca del migliore momento di applicazione, sempre nell’ottica di migliora-

1

03/02/2021

Nordox Energy Figura 1 - Confronto tra l’apparato radicale di barbatelle trattate con due diversi preparati di Trichoderma e micorrize applicati in diverse fasi del ciclo produttivo

re le performance delle piante e ridurre le infezioni che possano limitare il valore nel tempo del materiale di moltiplicazione.

Si è arrivati inoltre ad investigare le possibilità del vivaismo viticolo a conduzione biologica, utilizzando le migliori conoscenze in fatto di difesa e agro-ecologia. Al contempo si sono identificati i limiti di una legislazione rivolta esclusivamente al mondo viticolo, ma che trascura la maggior parte degli aspetti relativi alla produzione del materiale che “diventerà vigneto”, con la necessità di un confronto rapido sulle problematiche relative alla registrazione dei prodotti utilizzabili per la difesa in vivaio e la possibilità di accesso agli stessi fitofarmaci del mondo “uva”.

Nelle attività del progetto relative al vivaismo viticolo abbiamo avuto modo di operare in due Aziende vivaistiche toscane, Vititalia con il socio Bianchi Carla e F.lli Moroni, che hanno messo a disposizione strutture ed esperienza oltre che la grande volontà di accogliere nuove sfide per un continuo miglioramento.

Impiego

Agrofarmaci totali

Sostanze attive totali

LA GESTIONE DELLE MALATTIE DEL LEGNO NELL’ALLESTIMENTO DELLE BARBATELLE Quale è il modo migliore per affrontare le problematiche legate al sistema vivaistico e la via di risoluzione per limitare le infezioni da funghi nocivi come quelli del Complesso del Mal dell’Esca? In questa domanda ci sta tutto, perché un atteggiamento cosciente verso questi patogeni di fatto limita anche gli altri pericoli.

Da questo punto di vista sono state identificate le fasi cruciali delle operazioni di vivaio da tenere sotto controllo. L’analisi di partenza, oltre all’esperienza maturata negli anni, ci ha permesso di individuare nella fase di preparazione del materiale intermedio di moltiplicazione, nella forzatura e nella gestione del barbatellaio, le fasi cruciali dove intervenire. Per spiegare meglio è stato introdotto il principio di precauzione, cercando di evitare possibili infezioni in maniera preventiva, sfruttando le moderne conoscenze biologiche sugli antagonisti naturali e la capacità disinfettante dei tanti prodotti in commercio. In C

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Uva da vino integrato

891

148

194

43

102

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595

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Uva da vino bio

354

51

74

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48

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Vivai Integrato

12

6

10

4

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Vivai Bio

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2

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1

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Tabella 1 - Agrofarmaci registrati per la difesa del vigneto e del vivaio biologico e integrato

Tel.: +39 02 0996 6107 E-mail: info.italia@cqmasso.com www.massoagro.com/it

13:44:34

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VITICOLTURA

NORDOX1/2021 ENERGY.pdf

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Incidenza Phaeomoniella chamydospora 9,0%

45,0%

8,0%

40,0%

7,0%

35,0%

6,0%

30,0%

VITICOLTURA

Incidenza Phaeoacremonium minimum

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5,0%

25,0%

4,0%

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2,0%

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1,0%

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0,0% Organic management

Trichoderma + Mycorrhizae

Trichoderma

Organic management

Incidenza Ilyonectria spp.

Trichoderma

Incidenza "Cylindrocarpon-like" spp.

30,0%

9,0% 8,0%

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4,0% 3,0%

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Trichoderma + Mycorrhizae

1,0% 0,0% Organic management

Trichoderma + Mycorrhizae

Trichoderma

Organic management

Trichoderma + Mycorrhizae

Trichoderma

Figura 2 - Incidenza media per tesi di alcuni patogeni del legno coinvolti nel complesso Mal dell’Esca (in alto) e agenti del piede nero della vite (in basso). I grafici mostrano una tendenza alla riduzione, non statisticamente significativa, del numero di patogeni nelle tesi trattate con Trichoderma e micorrize rispetto al controllo (Tesi Aziendale bio) tramite fertirrigazione in barbatellaio

questa fase abbiamo analizzato in che modo i vari biocidi o gli antagonisti agissero sui funghi patogeni, valutando l’insorgenza di infezioni pericolose in funzione della qualità del risultato finale. La sperimentazione si è collegata all’esperienza professionale degli operatori, mettendo in evidenza la bontà di tante scelte tecniche che caratterizzano i differenti cicli di produzione.

Nel progetto sono stati testati alcuni composti commerciali a base di antagonisti quali Trichoderma sp abbinati o meno ad alcuni agenti micorrizogeni e confrontati con una conduzione biologica legata a sostanze naturali con attività biologica quali propoli ed estratti di tannino di quercia. La verifica dei risultati delle tesi ha dimostrato l’efficacia dei trattamenti con antagonisti proponendo soluzioni alternative che potranno essere utilizzate in tutte le diverse tipologie di conduzione.

Il Progetto LIFE Green Grapes ha dimostrato quindi che è possibile condurre le varie operazioni con proto-

colli più sostenibili dei precedenti e conformi alle aspettative del nuovo Piano agricolo Nazionale (PAN).

MICORRIZE E VIVAISMO BIOLOGICO Nella fase di barbatellaio sono state studiate le migliori metodologie per l’applicazione di agenti micorrizogeni in vivaio. La finalità di questa operazione era volta a tutelare l’integrità sanitaria delle barbatelle e rendere più efficiente la fase di trapianto nel vigneto, favorendo una nutrizione efficiente e l’accrescimento radicale.

Un secondo aspetto studiato è stato quello della difesa dalle malattie fogliari in un vivaio biologico. Questo è un aspetto di rilevante attualità vista la richiesta di materiale con queste caratteristiche. Gli studi hanno evidenziato le promettenti prospettive di applicazioni volte ad inserire prodotti capaci di esaltare le difese delle piante, favorirne il metabolismo e renderle adatte a sopportare i lunghi stress nel corso dell’impianto nei nuovi vigneti. Seguire i det-

tami del vivaismo biologico non è semplice per i tanti limiti normativi e per i maggiori costi di produzione, ma ha permesso di mettere in evidenza la bontà di tante pratiche che possono apportare benefici anche se adottate in una “normale” gestione integrata.

Nel barbatellaio sono stati utilizzati prodotti contenenti Trichoderma e agenti di micorizze che hanno dimostrato la capacità di ridurre le infezioni da funghi patogeni afferenti al complesso del Mal dell’Esca come si può verificare nella figura 2.

Infine, il Progetto LIFE Green Grapes ha analizzato il momento migliore dell’inzaffardatura con agenti micorrizogeni, un servizio sempre più richiesto da tante aziende viticole.

Le barbatelle ottenute nelle diverse tesi sono state confrontate in un nuovo vigneto realizzato presso un altro partner del Progetto, il Castello di Gabbiano in zona Chianti Classico. Nel corso delle verifiche sono state messe in evidenza alcune ca-

Prodotto fitosanitario autorizzato dal Ministero della Salute; per la relativa composizione e numero di registrazione si rinvia al catalogo dei prodotti o al sito internet del produttore. Usare il prodotto fitosanitario con precauzione. Prima dell’uso leggere sempre l’etichetta, prestando attenzione alle frasi, ai simboli di pericolo e alle informazioni sul prodotto. ® Marchio registrato

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Il nuovo antioidico biologico per la difesa del vigneto

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ratteristiche agronomiche nel nuovo vigneto, dove le piante micorrizate mostravano un accrescimento più regolare, necessitavano di minori interventi a verde in fase di allevamento e manifestavano una minore presenza di infezione da parte degli agenti patogeni.

PROTOCOLLI E AUTOCONTROLLO PER I CAMPI DI PIANTE MADRI Il Progetto, mettendo in evidenza la complessità del ciclo di produzione vivaistico, ha sottolineato l’importanza di partire con il materiale il più controllato possibile. I controlli ufficiali sono effettuati dagli Ispettori fitosanitari che autorizzano o meno la possibilità di prelievo del materiale. A fronte di questo impegno, la nuova normativa ha introdotto, come abbiamo già ricordato, l’obbligo dell’autocontrollo e la possibilità dei piani di rischio volontari, portando ad una ulteriore responsabilizzazione da parte del vivaista. Questa strada è stata affrontata inserendo tra i protocolli realizzati come output del progetto, le migliori pratiche agronomiche nella conduzione dei vigneti di piante madri. I vivaisti hanno messo a disposizione i campi di piante madri da dove sono prelevati i materiali di moltiplicazione, e come nel barbatellaio è stato seguito un protocollo che ha permesso la riduzione del 50% dei fitofarmaci utilizzati, promuovendo invece l’utilizzo di prodotti capaci di esaltare le difese proprie delle piante ed il metabolismo generale delle stesse.

Anche in questo contesto, il Progetto LIFE Green Grapes ha messo in evidenza la possibilità di una strada precisa per il rispetto degli obiettivi del PAN nell’ambito del vivaismo viticolo europeo.

CONCLUSIONI Nel corso dei lavori legati al settore vivaistico, il Progetto LIFE Green Grapes ha individuato le fasi cruciali del ciclo di produzione dove il vivaista deve inserire le migliori pratiche di autocontrollo, divenute obbligatorie. I risultati del progetto hanno messo in evidenza la possibilità di introdurre mezzi tecnici diversi e

Rame utilizzato - anno 2020 5 4,5 4 3,5 3

Kg/ha

VITICOLTURA

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2,5 2 1,5 1 0,5 0 Aziendale Bio

Green Grapes

Figura 3 - Confronto tra il quantitativo di rame metallo utilizzato per la difesa nel campo di piante madri durante l’annata agraria 2019-2020 nel protocollo biologico aziendale e in quello originale del Progetto LIFE Green Grapes

con un’attività differente dai comuni fitofarmaci. Tutto questo potrà essere di notevole aiuto nella realizzazione dei piani di rischio volontari introdotti con la nuova normativa.

Il Progetto, analizzando la possibilità di implementare un vivaismo viticolo a conduzione biologica, ha permesso di mettere in evidenza come sia possibile condurre il vivaio introducendo nuovi mezzi tecnici quali biocidi naturali o prodotti per esaltare le difese endogene delle piante, passando per gli antagonisti biotici capaci di prevalere sui patogeni oggetto di indagine.

Nei tre anni di attività in campo sono state prodotte delle piante di qualità e validate alcune scelte agronomiche, sia in termini di difesa che di prevenzione, limitando così l’insorgenza di nuove infezioni. Tutte queste scelte hanno portato alla produzione di piante utilizzate nella realizzazione

di un nuovo vigneto per uva da vino in Chianti Classico, presso l’Azienda Castello di Gabbiano (che sarà, tra l’altro, una delle protagoniste di un prossimo incontro sulle pagine di questa rivista), e un nuovo campo di Piante Madri Marze che è stato seguito fin dai suoi albori con tutte le indicazioni scaturite dalle attività di Green Grapes.

Il risultato forse più eclatante è stato anche quello di avere fatto partecipare attivamente i vari attori della filiera, dalla ricerca fino alla produzione delle uve, ottimizzando così i protocolli da verificare in base ad esigenze condivise e comprese dai vivaisti fino alle aziende viticole.

Queste opportunità, che rilanceranno la bontà dei lavori effettuati negli anni a venire, sono sicuramente la migliore conclusione di questa bella esperienza, finanziata dalla Unione Europea con la finalità di divulgare quanto messo in evidenza.

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di ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI

ENOLOGIA

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Feccia, bucce e vinaccioli: una ricchezza in cantina I sottoprodotti di lavorazione delle uve, raspi, vinacce, semi e fecce, possono rientrare nel ciclo produttivo per trasformarsi da rifiuti inquinanti in risorse green. Ma per essere sostenibile e remunerativa l’economia circolare deve integrare usi e applicazioni a maggiore e minore valore aggiunto nel modello virtuoso della bioraffineria Un solo ettaro di vigneto produce ogni anno in media cinque tonnellate di rifiuti solidi rappresentati dagli scarti e dai sottoprodotti della lavorazione delle uve. A livello globale o anche solo italiano si tratta di una quantità enorme di materiale che richiede di essere smaltito ogni anno.

Su scala nazionale è stato calcolato da uno studio di Life Cycle Assessment, che le emissioni prodotte per lo smaltimento dei raspi, le vinacce e le fecce provenienti dall’industria vitivinicola corrispondono a 1300 tonnellate di CO2 equivalente ogni anno (Bevilacqua et al, 2017). Un costo ambientale ed economico che potrebbe essere evitato e che anzi può essere convertito in valore qualora gli scarti e i sottoprodotti rientrino nel ciclo produttivo.

Il principio dell’economia circolare prevede un completo cambio di paradigma dal modello lineare attuale: ogni scarto è potenzialmente in grado di generare di nuovo valore ed essere riutilizzato per la produzione di beni, servizi o energia, riducendo il consumo delle risorse, mantenendole all’interno del sistema il più a lungo possibile e abbattendo la necessità di smaltimento dei rifiuti. Un cambiamento che richiede di progettare i prodotti e i processi in modo nuovo e di integrare tra loro filiere tradizionali e innovative.

Il passaggio all’economia circolare fa parte delle strategie di lungo periodo dei governi di tutto il mondo, rientra tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 delle Nazioni Unite ed è contenuto nell’Action Plan della Commissione Europea dell’11 marzo 2020.

Il mondo della scienza viticola ed

enologica ha reagito in tempi molto recenti ed è solo negli ultimi anni che accanto ai progetti di ricerca e alle sperimentazioni svolte su scala pilota hanno cominciato a nascere imprese, applicazioni e nuovi prodotti commerciali (Berardi e Dias, 2019).

BIORAFFINERIA: UNA CATENA DI VALORE DAI SOTTOPRODOTTI Destinare gli scarti della lavorazione delle uve ad altre filiere collegate non è una novità per il settore vitivinicolo: il riutilizzo dei sottoprodotti del vigneto e della vinificazione in agricoltura o in distilleria, così come nella produzione di energia è da molti anni una pratica consolidata. A meno che non si parli di riutilizzo aziendale (nella produzione di compost ad esempio) o di grandi strutture in grado di svolgere internamente la trasformazione dei

sottoprodotti e sfruttare economie di scala importanti, tuttavia il valore derivante da questi riutilizzi non è sufficiente per sfruttare le grandi potenzialità dell’economia circolare e rendere ogni passaggio remunerativo per tutti gli attori che vi intervengono. Prima di essere destinate alla distillazione o alla produzione di energia le bucce, i vinaccioli, le vinacce e i raspi, possono rappresentare una materia prima molto ricca dalla quale estrarre molecole o materiali da destinare a filiere ad elevato valore aggiunto, come quelle dell’industria alimentare, cosmetica, nutraceutica e farmaceutica e dell’alimentazione animale, oltre che essere sfruttate per particolari applicazioni biotecnologiche come substrato per la produzione di nuovi materiali e prodotti biobased.

La qualità delle bucce e dei vinaccioli dipende anche dalla lavorazione alla quale vanno incontro nel corso della vinificazione (foto Luca De Palma)

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VINACCIOLI: DALL’OLIO ALLE FARINE I vinaccioli sono ricchi in grassi, composti fenolici e fibra.

Tra i prodotti che se ne possono ottenere l’olio di vinacciolo, che tra gli oli vegetali gode di ottime pro-

prietà nutraceutiche dato l’elevato contenuto in acido linoleico (70%), in acidi grassi insaturi e in tocoferoli, rappresenta un prodotto molto ricercato sia per l’uso alimentare sia per quello cosmetico. Il passaggio dall’estrazione tradizionale con solventi a metodi di estrazione green a freddo, o con tecnologie innovative come quelle che fanno uso di fluidi supercritici, tuttavia presenta qualche difficoltà a causa delle rese basse e dei costi piuttosto elevati.

I vinaccioli disoleati possono essere utilizzati in diverso modo, come integratori delle farine alimentari o come supplementi nell’alimentazione animale. Alcuni progetti hanno valutato anche il loro uso agricolo come ammendanti del terreno ad elevata azione nematocida.

IL TESORO DI FIBRE E ANTIOSSIDANTI DELLE VINACCE Come i vinaccioli anche le vinacce rappresentano una materia prima ricca in componenti fenolici ad azione antiossidante come le proantocianidine, i flavonoli e gli acidi fenolici oltre che in antocianine e acidi organici come l’acido tartarico, che le rendono interessanti per gli usi alimentari, cosmetici, farmaceutici e nutraceutici.

Gli estratti, ottenuti con l’uso di solventi (acqua o soluzioni idroalcoliche) associati a tecniche fisiche come le microonde, le pressioni elevate o gli ultrasuoni, o con l’ap-

Farmaceutica e cosmesi Alimenti e nutraceutica Mangimistica

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Industria chimica e biotecnologie Biogas e biofuel Fertilizzanti Energia

Il concetto di bioraffineria e la sua redditività si basano su una gerarchia di valore dei prodotti o servizi ricavabili dalle biomasse: un’integrazione di elevate quantità di prodotti a basso valore aggiunto e di piccole quantità di prodotti di pregio ad elevato valore aggiunto (Modificato da Lucarini et al. 2018)

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ENOLOGIA

Questa ideale piattaforma di conversione e valorizzazione della biomassa in usi diversi e integrati per il recupero di prodotti di diverso valore, da quello più pregiato dell’industria farmaceutica a quelli finali di recupero di energia e produzione di fertilizzanti dal prodotto esausto, prende il nome di bioraffineria (Lucarini et al., 2018). Per arrivare a realizzare un modello efficiente di bioraffineria tuttavia non basta individuare i processi, sviluppare i prodotti e trovare loro applicazioni e mercati: perché questo sistema virtuoso funzioni alla base di tutto occorre l’integrazione dei servizi, dei trasporti, delle infrastrutture e della rete di fornitori, ed è necessario che quanto più possibile tutto si sviluppi sul territorio su scala distrettuale (Zacharov, 2017). Per raggiungere efficienza e redditività in tutti i diversi anelli della filiera è infatti necessaria una riprogettazione attenta di tutti i passaggi, comprese le condizioni di trasporto e di stoccaggio, nei quali quello che per chi sta a monte è uno scarto, diviene una materia prima da trattare in modo appropriato per chi sta a valle.

Il riutilizzo degli scarti e dei sottoprodotti dell’industria enologica consente di ridurre le emissioni relative ai processi di smaltimento in atmosfera

plicazione dei fluidi supercritici, possono essere utilizzati tal quali (nell’industria alimentare nella maggior parte dei casi ad esempio un maggior grado di separazione non è necessario), oppure separati con tecniche di ultra e nanofiltrazione.

I composti estratti dalla vinaccia possono essere utilizzati nell’industria alimentare, dalle farine alimentari per pasticceria o panificazione, alla pasta secca, fino alle bevande e i latticini, yogurt e formaggi, per la loro azione antiossidante o antimicrobica, come integratori con elevato contenuto in fibra, come coloranti o come texturizzanti. Le loro utilizzazioni e l’impatto non solo nutrizionale ma anche organolettico – in quanto l’introduzione di nuovi ali-

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ENOLOGIA

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menti, per quanto green, dovrà poi sempre passare dal vaglio dell’accettabilità da parte del consumatore – sono stati ampiamenti analizzati nel progetto Ager ValorVitis dai gruppi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, di Trento, di Milano e dell’UNISG di Pollenzo (Lavelli et al., 2018).

ENERGIA E SUBSTRATI DALLE FECCE Anche le fecce, composte da residui vegetali, composti fenolici, sali inorganici, polisaccaridi, proteine e biomassa microbica di lieviti e batteri, rappresentano un substrato molto ricco. Tra gli utilizzi più innovativi che sono stati proposti, oltre all’estrazione di composti bioattivi e all’uso biotecnologico per la realizzazione di nuovi materiali, anche quelli di produzione di energia pulita. Nel progetto Ager Wine Waste, seguito poi dal progetto BioVale, le ricercatrici del Dipartimento di Chimica dell’Università di Tor Vergata hanno sviluppato una cella bioelettrochimica (BES), in grado di convertire, grazie all’attività dei microorganismi, la biomassa in energia elettrica o in idrogeno: una sorta di batteria ad elevato rendimento alimentata con la feccia (Mecheri et al. 2019).

E sempre la feccia è stata utilizzata come strato colorante in grado di captare la luce e trasferire l’energia al semiconduttore nelle celle foto-

voltaiche a colorante organico dette celle di Gräetzel, sviluppate dai ricercatori dell’università Ca’ Foscari di Venezia nel progetto europeo CHEERS (Meneghetti et al., 2020).

L’UVA IMMATURA DEL DIRADAMENTO, PERCHÉ LASCIARLA NEL FILARE? L’immagine dei grappoli abbandonati nei filari a seguito delle operazioni di diradamento o di vendemmia verde non è facilmente conciliabile con un’agricoltura nella quale si ricerchi la precisione e l’efficienza dell’uso delle risorse.

Quei grappoli tuttavia sono a tutti gli effetti uno scarto e la logica di riutilizzo dell’economia circolare permette di superare il problema, culturale ed etico, di buttare parte del prodotto per produrre meno e meglio. Il progetto UVA PRETIOSA sviluppato da un gruppo di aziende toscane con l’Università di Firenze nell’ambito dei Gruppi Operativi del GO PEI ha individuato tra le altre cose, un metodo per far rientrare quei grappoli nel ciclo di produzione dell’azienda vitivinicola.

Applicando un attento protocollo di lavorazione delle uve immature il progetto ha permesso di ottenere un estratto ad azione antiossidante per funzionalizzare matrici alimentari diverse o da utilizzare come sostitutivo dell’anidride solforosa o come sua integrazione nello stesso processo di vinificazione (Fia et al, 2018).

DAL FRIULI LE FARINE DI VINACCIOLO Dai vinaccioli è possibile ottenere una farina ricca di fibra e antiossidanti da utilizzare nella produzione di prodotti da forno dolci e salati e di pasta alimentare secca. Nel prodotto sviluppato da GSNatural in Friuli le vinacce vengono selezionate presso i produttori della zona e i vinaccioli essiccati sono macinati tal quali, conservando tutto il loro contenuto in oli, oltre che in fibra e composti fenolici antiossidanti.

“Nella selezione della materia prima prediligiamo uve biologiche o comunque ne verifichiamo la presenza eventuale di residui. Abbiamo messo a punto un processo per separare e pulire il vinacciolo che viene poi essiccato a temperatura controllata, per conservarne tutte le proprietà e quindi micronizzato.” Spiega Giacomo Pinat, titolare e fondatore dell’azienda nata per il riutilizzo di diversi scarti alimentari in un’ottica di economia circolare. Il prodotto che se ne ottiene è una farina molto ricca in fibra dietetica che, dato il basso W, viene per lo più miscelata in percentuali diverse in funzione degli usi ma per la quale si stanno valutando anche usi al 100% per i prodotti gluten free. “La nostra proposta è quella di valorizzare in un contesto di economia circolare le vinacce e i semi d’uva nell’alimentazione umana quotidiana, facendo leva non solo sulle proprietà nutrizionali ma anche sul gusto e le caratteristiche organolettiche che sono molto peculiari e riconoscibili, oltre che apprezzate dai consumatori e gli operatori”.

LE APPLICAZIONI DELLE BIOTECNOLOGIE: COMPOSTI CHIMICI E BIOPLASTICHE Fecce, vinacce e semi possono essere utilizzati come substrato liquido o solido per la coltivazione di microorganismi utili nella produzione di composti di diversa natura. Il riutilizzo degli scarti delle lavorazioni alimentari permette infatti all’industria delle biotecnologie di sviluppare processi e soluzioni a basso costo per la produzione di molecole di origine microbica destinate a diverse applicazioni.

Dall’utilizzo degli scarti di lavorazione delle uve con microorganismi diversi come lattobacilli, lieviti o funghi filamentosi, da quanto riportato in letteratura si possono ottenere acido lattico, proteine, xylitolo, oli, enzimi, acido tartarico, molecole destinate alla produzione di agenti di biocontrollo, adesivi, biosurfattanti o antiallergeni. Di particolare interesse è anche l’uso degli scarti come le fecce nella produzione di PHA e PHB (polidrossialcanoati e polidrossibutirrati) di origine microbica, bioplastiche utilizzabili nel packaging degli alimenti o delle bevande per la produzione di contenitori o biofilm (Dimou et al, 2015).

Gli scarti di lavorazione delle uve possono essere utilizzati poi per la realizzazione di materiali di riempimento o filler (Monari et al, 2020) da utilizzare insieme ai polimeri o biopolimeri plastici per aumentarne le caratteristiche meccaniche e il contenuto in sostanze biodegradabili, come nel caso del WPL Wine Plastic Filler, sviluppato da Agrimateriae, Startup incubata dall’Università di Modena e Reggio Emilia, vincitrice del 18° Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI).

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ENOLOGIA

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Odore di fumo

di ELISA MARTELLI

L’esposizione dei vigneti e dei grappoli al fumo degli incendi può portare a quello che si definisce Smoke taint, dovuto all’assorbimento da parte delle uve di alcuni composti volatili della combustione. Pur essendo un fenomeno noto già dal 2007, è nell’ultimo decennio - a causa del cambiamento climatico in atto - che lo smoke taint è diventato un problema ricorrente, soprattutto in Australia e negli Stati Uniti Occidentali (California, Washington, Oregon) LO SMOKE TAINT: CHE COS’È I vini affetti da ‘smoke taint’ (odore o difetto di fumo) presentano note tipiche di ‘carne affumicata’, ‘disinfettante’, ‘pelle’, ‘bruciato’, ‘affumicato’, ‘salame’, ‘posacenere’: ad alte concentrazioni i vini possono subire un deprezzamento significativo, tale talvolta da non consentirne la vendita.

La valutazione del rischio di smoke taint non è semplice, poiché la probabilità che un incendio ha di causare danno alle uve dipende sia dalle sue caratteristiche (concentrazione del fumo, durata dell’esposizione, concentrazione e composizione dei fenoli volatili presenti nel fumo), sia dalla suscettibilità delle uve nel momento in cui questo si verifica.

È noto, infatti, che il rischio di smoke taint sia funzione dello stadio fenologico della pianta e che aumenti con l’avanzamento della maturazione delle uve: ciò significa che il rischio più alto si manifesta a partire dall’invaiatura, fino alla raccolta delle uve.

Sembra inoltre che alcune varietà presentino una sensibilità maggiore al problema rispetto ad altre, probabilmente a causa di una concomitanza di fattori legati in parte alle caratteristiche dell’uva (spessore della buccia, condizioni sanitarie e velocità di assorbimento del fumo), in parte alle differenti condizioni climatiche e all’epoca in cui si sviluppa l’incendio.

Bureau of Land Management - Wildfire in the Pacific Northwest

I COMPOSTI COINVOLTI Il fumo contiene moltissimi fenoli volatili (ne sono stati identificati più di 500) ma per lo più ci si riferisce ad alcuni più frequentemente presenti, come guaiacolo, 4-metillguaiacolo, o-cresolo, p-cresolo, m-cresolo. Durante l’esposizione prolungata della vite al fumo di un incendio può accadere che queste molecole vengano assorbite dalla buccia e che penetrino all’interno dell’acino. Una volta al suo interno, alcuni enzimi sono in grado di aggiungere zuccheri (esosi o pentosi) a questi composti, andando a costituire quelli che vengono chiamati fenoli non volatili o legati.

Questi sono glucosidi, diglucosidi,

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PREVEDERE E PREVENIRE A livello di prevenzione, l’Australian Wine Research Institute (AWRI) suggerisce di eseguire delle micro-vinificazioni delle uve che sono state in contatto con il fumo, effettuando una campionatura rappresentativa del vigneto di almeno una trentina di grappoli a circa 2 settimane dalla vendemmia.

Successivamente, ottenuto il vino, AWRI consiglia sia di effettuare delle analisi chimiche -volte alla determinazione della quantità di fenoli volatili liberi e glicosilati presenti al suo interno - sia di sottoporlo all’analisi Fenoli volatili

sensoriale, in modo tale da determinare l’impatto organolettico dei composti fenolici presenti. È altamente raccomandabile eseguire un’analisi delle forme volatili e delle forme legate: le forme glicosilate, oltre a rappresentare la stragrande maggioranza dei fenoli presenti nei vini affetti da smoke taint, tenderanno a idrolizzarsi nel corso dell’affinamento e potranno poi in ogni momento essere causa del difetto olfattivo nel vino.

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ENOLOGIA

rutinosidi, ramnosidi e apiosidi e rappresentano la maggior parte dei composti fenolici presenti nelle uve esposte al fumo. Le forme legate rappresentano un problema nella valutazione dello smoke taint, poiché tali molecole non sono odorose: le forme libere, volatili e quindi odorose, si generano a partire dalle prime soltanto in un secondo momento, dal metabolismo dei lieviti in fermentazione o successivamente durante la conservazione del vino, grazie ai fenomeni di idrolisi.

Di conseguenza, anche se il mosto non fermentato non presentasse odori di affumicato, è possibile che il vino una volta terminata la fermentazione, durante l’affinamento in cantina o addirittura dopo l’imbottigliamento, risulti difettoso. Per tale motivo è necessario conoscere la totalità dei composti fenolici presenti all’interno delle uve e nel mosto, così da intervenire sia sulle forme libere che su quelle legate.

INTERVENIRE IN CANTINA: GLI ACCORGIMENTI IN VINIFICAZIONE Arrivati al momento della raccolta sono molti gli accorgimenti che è possibile applicare in cantina per ridurre il rischio di smoke taint: al pari di altri fattori, infatti, anche lo stile di vinificazione ha una grossa influenza sulla modulazione di tale difetto.

Le uve dovranno preferibilmente essere raccolte manualmente evitando per quanto possibile la rottura degli acini: è consigliabile inoltre effettuare una cernita volta ad allontanare foglie, pezzi di tralcio o qualsiasi materiale che possa aver assorbito composti derivanti dalla combustione. La temperatura ha un effetto importante per l’estrazione dei composti fenolici liberi e legati e per tale motivo si consiglia sia di processare le uve, sia di fermentarle, a bassa temperatura. Dal momento che i fenoli vengono assorbiti dalle bucce, occorrerà evitare – per quanto possibile – di effettuare un prolungato contatto di queste con il mosto, evitando sia le macerazioni pre-fermentative a freddo, sia di prolungare Fenoli legati non volatili

Guaiacolo

Guaiacolo rutinoside

4-metilguaiacolo

Metilguaiacolo rutinoside

Siringolo

Siringolo gentiobioside

4-metilsiringolo

Metilsiringolo gentiobioside

o-cresolo

Cresolo rutinoside

m-cresolo

Fenol rutinoside

p-cresolo Markers principali dello ‘Smoke Taint’ analizzati (Fonte AWRI) Tra i composti che più di altri sembrano contribuire al carattere “affumicato” ci sono il guaiacolo e il 4-metil-guaiacolo; tuttavia, queste non sono le uniche molecole responsabili dello smoke taint e per tale motivo nella determinazione del rischio di smoke taint ci si riferisce spesso alla determinazione del pool di composti più frequentemente presenti FA_Hideki_AD_ 56x257_IT.indd 1

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ENOLOGIA

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l’estrazione sulle bucce durante lo svolgimento della fermentazione.

La pressatura delle uve, soprattutto nel caso delle varietà bianche, sarà da preferire a grappolo intero: questa pratica sembra ridurre notevolmente l’estrazione dei fenoli da fumo; allo stesso tempo, viene consigliato di gestire separatamente i vini dai relativi vini di pressa, poiché i secondi sembrano contenere sempre una maggiore concentrazione di fenoli.

IL TRATTAMENTO DEI VINI DIFETTOSI A livello di trattamento, esistono Tecnica

alcuni prodotti utilizzabili in fase di chiarifica sui mosti e sui vini, anche se il carbone attivo ad oggi rappresenta la soluzione più utilizzata per contrastare questa problematica. Sono molte le tipologie di carbone attivo commercializzate, sia in base alla porosità (che dovrà essere molto elevata per assorbire anche le molecole più grandi, come i diglucosidi), che al formulato (polvere o pellet). Di conseguenza, sarà necessario effettuare dei test per stabilire sia il tipo di prodotto da utilizzare, sia la dose di utilizzo ottimale.

Trattandosi di un prodotto non seletDettagli

Raccolta manuale delle uve

Minimizzare la rottura delle bucce per quanto possibile

Escludere materiali fogliari

Il materiale fogliare può contribuire alla caratterizzazione del difetto di ‘smoke taint’ quando entra in contatto con i grappoli e il mosto

Defogliatura e lavaggio delle uve

La defogliatura seguita dal lavaggio delle uve a freddo e ad alta pressione in vigneto può rimuovere la cenere, tuttavia il lavaggio della ‘canopy’ (foglie incluse) può aumentare la concentrazione dei fenoli nei frutti

Mantenere integri i grappoli raccolti

La macerazione e il contatto delle bucce può condurre ad una più alta concentrazione di fenoli nel mosto

Processare le uve a bassa temperatura

Uve lavorate a 10 °C presentano un’estrazione di composti derivanti dalla combustione inferiore delle corrispettive lavorate a 25 °C

Pressare le uve a grappolo intero

È confermato che questa tecnica riduce l’estrazione di composti fenolici dalle bucce (vini bianchi)

Separare le frazioni di pressa

Le note affumicate sono minimizzate nei primi 400 l/t quando le uve vengono lavorate a freddo: il succo di sgrondo presenta solitamente difetti minori

Condurre test di chiarifica sui mosti

Carbone, PVPP e colla di pesce hanno mostrato una efficacia variabile nel ridurre i fenoli da affumicatura: la conduzione della fermentazione richiede ulteriori aggiustamenti in base alla chiarifica scelta

Scegliere i ceppi di lievito da utilizzare

Alcuni ceppi sembrano alterare gli aromi e il gusto di ‘smoke taint’, insieme alla composizione chimica dei vini

I vini macerati brevemente sulle bucce durante Minimizzare il tempo di contatla fermentazione presentano caratteri ‘di fumo’ to del mosto sulle bucce meno marcati Considerare le aggiunte di frammenti di legno e tannini

Sembrano ridurre l’entità del difetto andando ad aumentare la complessità della matrice vino

Utilizzare l’osmosi inversa nei vini

Sembra avere un effetto di riduzione dei fenoli nel vino, anche se nel tempo le caratteristiche da ‘fumo’ tendono a tornare

Destinare i vini al consumo rapido

Le note ‘da fumo’ possono aumentare nel tempo anche dopo la messa in bottiglia; di conseguenza un rapido consumo del vino è consigliato

Gli interventi da applicare in vigneto e in cantina per contenere i rischi da smoke taint Fonte: Simos 2008, Whiting and Krstic 2007, Ulrich 2009, Ristic 2011, Kennison et al.

2008, Fudge et al 2011, Hojet et al. 2003, Kennison 2009b

tivo, occorrerà infine considerare gli aspetti sensoriali legati alle diverse dosi di utilizzo: oltre una certa soglia, infatti, il carbone può avere un impatto notevole anche sul fruttato dei vini.

L’AWRI raccomanda sempre di eseguire il trattamento sui mosti e non sul vino finito, dal momento che l’efficacia del carbone risulta sempre (anche di molto) maggiore sul mosto.

Le dosi di utilizzo del carbone sui mosti variano dagli 0,5 g/L ai 4-5 g/L in base alla quantità di composti da rimuovere e dall’impatto sensoriale del carbone sul vino (sia in riferimento all’eliminazione del difetto di affumicato che alla riduzione del fruttato).

Qualora si decidesse di intervenire sul vino finito, il trattamento dei vini affetti da “smoke taint” può prevedere l’utilizzo di enzimi con attività β-glucosidasica in grado di scindere il legame esistente tra zuccheri e fenoli. In aggiunta a questo, dopo disattivazione dell’enzima mediante bentonite e successivo travaso, sarà comunque da prevedere l’utilizzo di carbone o di altri composti ad azione assorbente, come le scorze di lievito, in aggiunta o in alternativa al primo.

Il taglio con vini non affetti da smoke taint può rappresentare, in taluni casi, un’alternativa all’utilizzo del carbone, permettendo perlomeno una minor dose di utilizzo. La percentuale di taglio necessaria dipenderà dalla concentrazione di fenoli presente e dalle caratteristiche sensoriali del vino utilizzato per il blend. Assieme alle caratteristiche finali del vino il produttore dovrà ovviamente valutare il rapporto costi/benefici derivante da un simile approccio.

Per approfondire consultate la bibliografia online www.millevigne.it/pdf-bibliografiaelisa-martelli-1_2021/

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Quando hai sentito per la prima volta parlare di Smoke Taint e quando pensi che questo sia diventato un problema serio in California?

SM: La prima volta che ho sentito parlarne era il 2008 in Mendocino County, che è situata a tre ore di distanza a nord della nostra azienda. L’incendio si sviluppò in Agosto e causò un sacco di problemi dal momento che le uve erano in uno stato di maturazione critico, ovvero inoltrato.

Quando hai avuto i primi problemi di Smoke Taint nella tua zona e quanto gravi sono stati?

SM: Nel 2017. Fortunatamente la vendemmia era quasi terminata e quindi le nostre uve non furono direttamente colpite dallo Smoke Taint. Ad ogni modo, ci fecero evacuare dalla cantina per molti giorni con la vendemmia ancora in corso e questo comunque causò tutta una serie di problemi annessi.

Nel 2020 gli incendi sono iniziati durante il nostro primo giorno di raccolta delle uve bianche, il 17 di Agosto (the Hennessy Fires). L’incendio era localizzato nelle Eastern Hills di Napa e il vento soffiava via dalle vigne: di conseguenza con gli altri enologi non eravamo sicuri di quanto le uve sarebbero state colpite. L’incendio successivo (the Glass Fire) invece è avvenuto il 27 di Settembre ed è stato devastante perché ha bruciato molte case e alcune cantine. La stagione del Cabernet Sauvignon normalmente inizia il primo di Ottobre per terminare il 15 e di conseguenza questo incendio ha rovinato tutto il nostro raccolto. È stato uno spettacolo straziante e veramente devastante da guardare.

Quanto è grave la situazione in termini di perdita dei vini se questi vengono opportunamente trattati? Quanto dopo che i mosti o il vino vengono invece trattati?

SM: Difficile da dire. Questa è una situazione relativamente nuova per noi. Abbiamo notato che cloni diversi nella stessa vigna sopportano differentemente il fumo, così come piccoli microclimi all’interno della stessa valle presentano problemi molto più gravi rispetto ad altre zone (forse semplicemente a causa della direzione e del flusso del vento). Inoltre alcuni vini prendono note di fumo subito dopo la fermentazione, altri dopo essere stati in barrique e altri ancora mai.

C’è un modo per sapere se le uve una volta vinificate avranno dei problemi di Smoke Taint? Quali test state portando avanti in cantina? Effettuate test di microvinificazione?

SM: I laboratori a cui normalmente ci rivolgiamo erano completamente subissati di campioni da processare e le risposte arrivavano non prima di un mese. Alcuni enologi hanno dovuto mandare i campioni in Australia (l’AWRI effettua questo servizio a pagamento, ndr) per avere un risultato in tempi più rapidi. Io ho inviato i miei ad

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ENOLOGIA

ABBIAMO CHIESTO A SHAWNA MILLER, ENOLOGA PRESSO LUNA VINEYARDS, DI PARLARCI DEGLI INCENDI E DELLE STRATEGIE DEI PRODUTTORI DI NAPA VALLEY.

un laboratorio canadese. L’intera West Coast degli Stati Uniti ha avuto problemi di questo tipo. Le Università si sono organizzate aprendo laboratori di emergenza per aiutare, ma come si sa in vendemmia i tempi sono molto “compressi”. Noi abbiamo semplicemente approntato microvinificazioni per avere un’idea del livello di problematicità che avremmo ritrovato nei vini dopo la fermentazione. Per citare un caso ho vinificato un Sangiovese sia sulle bucce che come rosato e mentre il rosé non aveva indicatori dello smoke taint, il rosso li aveva.

Un problema che abbiamo riscontrato è che differenti laboratori ci fornivano risultati diversi con il rischio anche di avere dei falsi positivi.

In sintesi, i principali problemi dei test sulle uve sono derivati dalla difficoltà sia di ottenere risposte rapide dai laboratori, sia di capire realmente in che modo i risultati fossero correlabili al rischio effettivo di smoke taint. Di conseguenza moltissime uve non sono state vinificate per paura e soprattutto per il timore di non venire rimborsati dalle assicurazioni.

Quali cambiamenti hai dovuto apportare allo stile di vinificazione per gestire al meglio il problema?

SM: Fermentazioni a freddo, senza arieggiamento, svinature precoci per limitare il contatto con le bucce. Abbiamo inoltre dovuto sfecciare più e più volte i vini per lavorarli il più possibile puliti. Alla fine abbiamo prodotto molto più rosato del solito e abbiamo chiuso la vendemmia con una produzione del 50% rispetto alla media.

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di RAFFAELE GUZZON

ENOLOGIA

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Stabilità microbiologica dei vini e chitosani, lo stato dell’arte Il tema del controllo microbiologico è di stretta attualità. Nelle cantine così come negli istituti di ricerca sono molti gli sforzi per individuare soluzioni efficaci, salutari e sostenibili, in vini con pH sempre più elevati e livelli di solforosa sempre più bassi. I chitosani rappresentano una delle soluzioni più percorribili. Ne abbiamo parlato con Roberto Larcher, Stefano Amerighi e Federico Radi La stabilità microbiologica del vino è un obbiettivo che a volte pare difficilmente raggiungibile, in un periodo storico dove da un lato il cambiamento climatico e dall’altro i nuovi trend di consumo riducono le possibilità di azione degli enologi.

Incremento del grado alcolico potenziale, riduzione dell’acidità naturale dei vini, limitazioni nell’uso di anidride solforosa e di altri strumenti enologici, lasciano più spazio all’attività microbica lungo il processo di vinificazione. Se da un lato si è acquisita una maggior consapevolezza circa il ruolo positivo della microflora

“indigena” nelle prime fasi della vinificazione, per apportare complessità al vino, dall’altro è vero che se i microrganismi non sono eliminati dal vino al termine delle fermentazioni enologiche c’è il concreto rischio che prima o poi lo alterino, per il semplice motivo che la loro azione determina inevitabilmente una variazione compositiva non desiderata del substrato, cioè il vino.

Il tema del controllo microbiologico del vino è dunque di stretta attualità non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche nei laboratori di ricerca. Basta dare un’occhiata alle statistiche di uno dei principali motori di ricerca

in ambito scientifico, Web of ScienceTM, per osservare come “wine spoilage”, termine che significa alterazioni microbiologiche del vino, sia in costante crescita negli ultimi anni.

Questo sforzo di ricerca ha portato allo sviluppo di nuove soluzioni per chi il vino deve farlo?

I CHITOSANI, UNA PANACEA A TUTTI I MALI? Se c’è un coadiuvante enologico che negli ultimi anni ha cambiato le strategie di controllo microbiologico dei vini, questi è il chitosano. Ormai diffusissimo sul mercato, questo polimero con-

Articoli recensiti su Web of ScienceTM, uno dei principali motori di ricerca in ambito scientifico, riguardanti l’argomento “Wine Spoilage”, ovvero alterazioni microbiologiche del vino. L’aumento negli ultimi 20 anni è davvero significativo

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I chitosani oggi sono uno strumento diffuso in cantina, cosa sono effettivamente?

sente di controllare i microrganismi alterativi, indipendentemente dal pH del vino, e riducendo il tenore di SO2, offre un approccio che interessa tutta la comunità dei produttori di vino, compresi coloro che rientrano nella galassia del cosiddetto “vino naturale”.

R.L. “Il chitosano è un materiale polimerico naturale ottenuto dal trattamento chimico di uno dei maggiori componenti della parete cellulare dei funghi, dell’esoscheletro di artropodi quali crostacei e insetti, ma anche delle squame dei pesci e dei becchi di polpi e calamari: la chitina. Esso rappresenta uno dei più abbondanti biopolimeri presenti in natura, ed è una lunga catena di unità di N-acetilglucosamina, un derivato del glucosio. Il chitosano trova utilizzo in disparati settori, da quello medico, ad esempio nel trattamento dell’obesità o come agente antibatterico, a quello agricolo,

come bio-fitofarmaco antifungino o nella concia delle sementi. Alla luce dei possibili rischi di reazioni anafilattiche nei consumatori, dovute a contaminazioni da proteine allergizzanti (tra cui la tropomiosina dei crostacei), l’OIV ha autorizzato i soli chitosani di origine fungina, quali quelli ottenuti da Agaricus bisporus o Aspergillus niger. Questo ne ha permesso tra l’altro una produzione destagionalizzata che non risente dei momenti di naturale sospensione delle attività di pesca. In enologia il chitosano è autorizzato come coadiuvante e agente di chiarifica e ne è previsto l’impiego nei mosti (OIV-OENO 336A-2009) per facilitare le chiarifiche e prevenire l’instabilità proteica e nei vini (OIV-OENO 337A-2009, 338A/2009) per precipitare le particelle in sospensione e prevenire la torbidità da instabilità proteica, per ridurre il contenuto di metalli pesanti ed evitare il rischio di intorbidamenti dovuto ad eccessi di ferro e rame. È inoltre autorizzato l’impego per la rimozione di tossine, in particolare l’ocratossina A (500

CONTROLLO MICROBIOLOGICO E BIODINAMICA, L’ESPERIENZA DI UN PRODUTTORE Stefano Amerighi produce Syrah a Cortona con metodo biodinamico e in pochi anni si è ritagliato una posizione di rilievo nel panorama enologico italiano, sia per la qualità dei suoi vini, sia per il suo lucido pensiero sul mondo dei vini naturali. Con lui ci siamo confrontati sul tema della gestione della microbiologia di cantina in un’azienda biodinamica.

Spesso la biodinamica è vista come assenza di interventi in cantina. Tu come ti poni rispetto a questo tema?

S.A. ”Io fin dall’inizio del mio progetto ho cercato di sviluppare un tipo di agricoltura che potesse il più possibile curare la qualità del suolo, dell’ambiente e quindi dei frutti che ne derivavano. Per questo ho applicato la biodinamica. Non credo di fare un vino biodinamico perché per me la biodinamica è una visione agricola e non di trasformazione.

In sostanza, non esistono vini biodinamici. Vinifico nella maniera più rispettosa possibile della personalità del frutto e per questo non utilizzo coadiuvanti che possano stravolgere questa spontaneità. Ma tutto secondo i criteri del buon padre di famiglia.

Se devo fare un travaso lo faccio, se devo mettere un po’ di solforosa per salvare una vasca da qualche deriva microbiologica lo faccio”.

La Syrah porta spesso a vini con pH piuttosto alti, l’acidità è considerata il principale conservante del vino. Come gestisci questo problema, quali altri equilibri hai trovato?

S.A. ”Il rapporto tra acidità/pH della Syrah è un problema più nella gestione microbiologica che di “gusto” del vino. Nella mia vita ho assaggiato bottiglie, anche vecchie, di produttori del Rodano con pH di gran lunga più alti dell’acidità totale. L’equilibrio non è facile trovarlo, la tempestività della vendemmia è basilare, insieme a un equilibrio ve-

getativo adeguato e ad una ferrea igiene di cantina”.

Quali pensi siano le sfide che attendono i produttori di vino “naturale” nei prossimi anni riguardo alla stabilità microbiologica?

S.A. ”Sarà un capitolo sempre più importante. Voler fare vini digeribili con solforose basse e stagioni sempre più calde impone un’attenzione maggiore all’aspetto microbiologico del vino. La microbiologia del vino è da inquadrare in un sistema più ampio di quello della cantina tout court. Il movimento dei vini naturali deve avere come obiettivo una visione complessa e di sintesi tra il micro e il macro, con un approccio laico e innovatore”.

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ENOLOGIA

Presso i laboratori della Fondazione Mach (San Michele all’Adige) si studiano i chitosani, per capirne meglio le caratteristiche e valorizzarne l’applicazione enologica. Roberto Larcher (foto), direttore del laboratorio, ci fornisce un inquadramento di questa materia.

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g/hl) e microorganismi indesiderati, in particolare Brettanomyces.”

L’origine dei chitosani è fondamentale per l’applicabilità in enologia. Ci sono metodi di analisi affidabili?

R.L. “Alla luce delle restrizioni imposte da OIV circa l’utilizzo del solo chitosano di origine fungina nel trattamento di mosti e vini, sono stati individuati specifici parametri compositivi, e i corrispondenti metodi analitici, utili alla caratterizzazione e alla discriminazione dei prodotti da origine fungina rispetto all’animale.

Il chitosano deve presentarsi come una polvere inodore, insapore e di colore bianco, sostanzialmente insolubile in acqua (per meno del 5% in peso).

Deve essere commercializzato con un grado di purezza almeno del 95% e non deve perdere per essiccazione più del 10% del peso. Deve poi rispettare rigidi criteri di controllo produttivo quali il grado di acetilazione (numero di unità N-acetil-glucosammina rispetto al numero di monomeri totali), le ceneri, il tenore di metalli pesanti (arsenico, cadmio, ferro, mercurio, piombo, rame e zin-

co), il residuo di ocratossina A e il controllo microbiologico (presenza di enterobatteri, salmonelle, coliformi, lieviti e muffe). Il riconoscimento dell’origine fungina è affidato alla valutazione congiunta di 3 caratteristiche chimico-fisiche: il tasso in glucani residui, la viscosità del chitosano in soluzione all’1% e la densità battuta. Secondo le indicazioni OIV, solo il chitosano d’origine fungina possiede, allo stesso tempo, un tasso in glucani residui > 2%, una densità battuta ≥ 0,7 g/cm3 e una viscosità in soluzione 1% nell’acido acetico 1% < 15 cPs.” Il laboratorio della Fondazione Mach ha esperienza nel controllo di questi coadiuvanti? Avete rilevato delle criticità o una effettiva variabilità tra prodotti commerciali differenti?

R.L. “Non è infrequente che la valutazione dei tre parametri indicati dall’OIV comporti difficoltà nell’attribuzione dell’origine, probabilmente in ragione delle innumerevoli fonti, animali e fungine, riscontrabili oggi sul mercato.

Noi abbiamo recentemente pubbli-

cato un approccio innovativo, basato sulla tecnica degli isotopi stabili, capace di operare un’adeguata differenziazione delle diverse origini e che è attualmente in valutazione presso OIV per una possibile adozione come nuovo metodo di riconoscimento.”

LA RICERCA SUL CHITOSANO Sul fronte della ricerca scientifica sono varie le pubblicazioni sui chitosani, tre suggerimenti per approfondire il tema.

Il primo articolo che segnaliamo sperimenta i chitosani come stabilizzanti del colore su sei vini bianchi italiani, in comparazione con due chiarificanti convenzionali, il caseinato di potassio e il polivinilpirrolidone.

I chitosani hanno mostrato un’elevata affinità ai composti fenolici (polifenoli, acidi cinnamici, flavani, proantocianidine) responsabili dell’imbrunimento con un comportamento comparabile ai chiarificanti convenzionali. (Spagna G. et al.

1996. Food Research International, 29: 241-248).

Entrando nel merito del controllo microbiologico, già nel 2004, è

2,E+08 1,E+08

1,E+08 1,E+08

8,E+07

Mosto in agitazione continua Mosto statico

6,E+07

4,E+07 2,E+07

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ENOLOGIA

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Efficacia di chitosani commerciali verso differenti microrganismi di interesse enologico in termini di riduzione della popolazione microbica. Dati originali degli autori. Il test è stato svolto in mosto sintetico a pH 3.5. La concentrazione cellulare iniziale era 1×107 ufc/ mL. Le analisi sono state svolte dopo 3 giorni di incubazione in presenza di chitosani, a 25°C

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L’ESPERIENZA DI UN ENOLOGO TOSCANO

Federico, nella tua esperienza di enologo quali sono i momenti più critici per il controllo microbiologico?

F.R. “Il mosto è un mezzo “vivo”, ritengo che il controllo microbiologico debba iniziare sin dalle prime fasi della vinificazione. Il corretto svolgimento della fermentazione alcolica è il risultato di una regolare cinetica di crescita dei Saccharomyces. Monitorare con costanza la biodiversità e l’evoluzione microbica del mosto ci permette di intervenire con puntualità qualora si manifestassero fenomeni di stress (biotici ed abiotici) che rallentano o impediscono la crescita dei lieviti utili. Le fasi immediatamente successive alla fermentazione alcolica sono altrettanto delicate da un punto di vista microbiologico ed è perciò necessario non abbassare la guardia. Il vino in questa fase è un ambiente idoneo allo sviluppo non solo di batteri lattici ed acetici, ma anche di Brettanomyces bruxellensis che, se non ben gestiti, possono proliferare rapidamente producendo aromi sgradevoli e fenoli volatili.

Una volta terminata la fermentazio-

stato studiato l’effetto del chitosano su S. cerevisiae e su 2 specie di Brett: B. bruxellensis e B. intermedius. L’effetto del chitosano è stato testato sia in singolo che in colture miste. I risultati dimostrano che il chitosano rallenta lo sviluppo dei Brett, prolungando la fase di latenza, mentre nel caso di Saccharomyces si assiste solo a un leggero rallentamento nel tasso di sviluppo. Nelle colture miste è stato osservato che i Brett non erano in grado di svilupparsi in presenza di chitosano, mentre la crescita di S. cerevisiae non era influenzata dal coadiuvante, con migliori performance nel consumo di glucosio rispetto al testimone.

(Gomez-Rivas L. et al. 2004 Selective antimicrobial action of chitosan against spoilage yeasts in mixed culture fermentations. Journal of Indu-

ne malolattica il vino è microbiologicamente più stabile, pulito e protetto, ma non siamo ancora completamente al sicuro dalle contaminazioni di Brettanomyces. È quindi indispensabile avere consapevolezza di ciò che accade nel mosto e nel vino in ogni fase, indipendentemente dai prodotti utilizzati, dalla tecnica di vinificazione e di affinamento. La presenza di un microscopio in cantina e un addestramento al riconoscimento dei microrganismi sono, dal mio personale punto di vista, un must have per la produzione di vini di qualità.”

Chitosani, uno strumento molto attuale. Li utilizzi? Hai notato cambiamenti nei vini?

F.R. ”Il chitosano è un prodotto di grande efficacia nel controllo delle contaminazioni da Brettanomyces che può essere impiegato su vini che hanno terminato la fermentazione malolattica. Questo polisaccaride agisce sulla parete cellulare del microrganismo alterandone la permeabilità e trascinandolo verso il fondo. È un prodotto ad impatto nullo sulle caratteristiche del vino e, cosa molto importante, non allergenico.”

strial Microbiology & Biotechnology, 31: 16-22).

Infine, il chitosano si è dimostrato efficace anche contro due ceppi di Acetobacter. L’efficacia del chitosano è stata comparata con quella dell’SO2 in vini contaminati artificialmente con i batteri. Entrambe le molecole hanno ridotto l’attività metabolica dei batteri acetici, ma il chitosano si è dimostrato più efficace sia in termini di riduzione della concentrazione cellulare che della vitalità. (Valera J. et al. 2017. Effect of chitosan and SO2 on viability of Acetobacter strains in wine. International Journal of Food Microbiology, 246: 1-4).

Anche presso la Fondazione Edmund Mach si stanno conducendo sperimentazioni sul chitosano. Oltre alla ricerca citata da Roberto Larcher

ENOLOGIA

Federico Radi ha una notevole esperienza in fatto di vini rossi da lungo affinamento, dopo aver lavorato nel Chianti e in Maremma, ora è direttore della Tenuta Greppo Biondi Santi a Montalcino. A lui abbiamo chiesto un parere sull’uso dei chitosani in cantina.

Hai qualche suggerimento da dare per un uso efficace dei chitosani? Quando invece non li utilizzeresti affidandoti ad altri strumenti, come la filtrazione?

F.R. ”Come ogni prodotto anche il chitosano deve essere utilizzato con buon senso e solo nel caso di contaminazioni che minacciano la qualità del vino. È fondamentale agire in prevenzione, controllando periodicamente il corredo microbiologico del vino, specialmente nel post fermentazione malolattica e in fase di affinamento, in modo da arrivare in bottiglia il più “puliti” possibile, evitando al vino rosso lo stress di filtrazioni sterili.”

(Perini M. et al. 2020 Stable isotope ratio analysis as a fast and simple method for identifying the origin of chitosan. Food Hydrocolloids, 101: 105516) è in fase di revisione un lavoro che ha testato l’efficacia di diversi chitosani commerciali verso numerosi microrganismi enologici, in differenti condizioni di applicazione.

I chitosani sono dunque uno strumento efficace e versatile. Altre soluzioni per il controllo del Brett sono disponibili nelle prime fasi della vinificazione, come l’uso di lieviti non-Saccharomyces antagonisti del Brett perché in grado di competere per le fonti nutritive, o tecniche di filtrazione sempre più raffinate. Una scelta consapevole può garantire il controllo microbiologico e la qualità dei vini.

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ECONOMIA

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Dalla sostenibilità al marketing

di GABRIELA TIRINO

Dalle definizioni di sviluppo sostenibile alle declinazioni di sostenibilità ambientale, sociale ed economica nel settore vitivinicolo. Il marketing nell’era della share economy acquisisce un peso strategico nella diffusione dell’approccio sostenibile. Protagonisti i Millennials DAL LIMITE ALLA SOSTENIBILITÀ Il concetto di sostenibilità è intimamente legato a quello di limite. Oggi questo tema è così impellente perché nella corsa incessante al progresso volto a superare i limiti dell’uomo, si è perso di vista che certi limiti, se superati, producono limiti più grandi.

“Non è possibile una crescita infinita in un pianeta finito e con risorse naturali non rinnovabili” si legge nel rapporto I Limiti della Crescita commissionato dal Club di Roma al MIT, nel 1972.

Successivamente, in relazione alla sostenibilità, si sono esplicitate meglio le preoccupazioni per il futuro dell’ambiente e dell’umanità. Infatti nel 1987, nel Rapporto Brundtland, la Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo dell’ONU definisce che lo sviluppo sostenibile deve assicurare “la soddisfazione dei bisogni della generazione attuale, senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni future”.

Così l’ambiente è diventato qualcosa da tutelare per il presente e per il futuro e dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992, l’attenzione su questo tema è cresciuta, in un susseguirsi di summit e conferenze dedicate, che hanno via via ampliato il concetto di sostenibilità alle dimensioni dello sviluppo sociale, oltre che economico.

Finché, nel 2015, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ha declinato queste istanze in 17 obiettivi legati allo sviluppo di un’economia sostenibile.

L’APPROCCIO TRIPLE BOTTOM LINE Nel tempo, dunque, il concetto di limite ha accompagnato a delineare i

tre ambiti di attenzione della sostenibilità: ambientale, sociale, economica.

Non a caso si parla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), che “fa riferimento agli obblighi degli uomini di affari di perseguire quelle politiche, prendere quelle decisioni o seguire quelle linee di azione auspicabili in termini di obiettivi e valori della nostra società”, in base alla definizione del suo teorizzatore Howard Bowen.

Ma è stato il sociologo ed economista John Elkington a specificarla meglio, proponendo il triplice approccio menzionato sopra.

La bottom line è la riga che si tira in fondo al bilancio d’esercizio per isolare il risultato economico finale, la “triple bottom line” indica in sostanza la misurazione non solo dei valori economici ma anche quelli sociali ed ambientali di un’impresa.

Un’azienda è socialmente responsabile quando riesce a integrare nella propria strategia questi tre parametri e a misurarli. Il profitto, dunque, resterebbe solo uno degli aspetti dell’impresa.

Tuttavia nel tempo questo orientamento ha attivato maggiore attenzione per la tematica sociale, relegando quella ambientale ad una sorta di sua appendice. Tanto è vero che una vera e propria coscienza collettiva di massa sulla questione ambientale ha cominciato a diffondersi solo recentemente, anche grazie all’incidenza mediatica della giovane Greta Thunberg.

IL RUOLO PRIVILEGIATO DEL SETTORE ENOLOGICO Le aziende vitivinicole sono chiamate in causa direttamente su questo tema, per diversi motivi. Innanzitutto sono imprese che, anche quando non sono esclusivamente aziende agricole, hanno un’anima agricola che le lega in-

timamente alla terra e al territorio di produzione. Questa connessione con l’ambiente le pone in una posizione di responsabilità rispetto ad esso. Infatti, impattano sull’esterno a livelli diversi, a cominciare dalla relazione armonica di vigne e cantine con il paesaggio, fino al rapporto con le tradizioni e l’innovazione produttiva e di consumo.

In termini di mercato la proposta di valore di chi produce vino si sostanzia ben oltre il prodotto, per esprimersi in modo sempre più articolato attraverso tutta una serie di aspetti immateriali legati alle modalità di fare impresa e di relazionarsi con i clienti. La Responsabilità Sociale d’Impresa, quindi, sta diventando un punto d’attenzione significativo in termini di investimento strategico a lungo termine, capace di sviluppare fiducia ed engagement con i consumatori. In questi termini, la sostenibilità prende parte attiva al valore proposto in bottiglia, proprio in relazione al fatto che il consumatore non si aspetta più solo vino, ma anche garanzie e narrazioni che testimonino una presa di posizione salda rispetto al bene comune. Questo, in realtà, comincia a valere per molti prodotti, ma per il vino va a innestarsi su dinamiche simboliche peculiari, rendendolo uno dei prodotti maggiormente significativi nella trasmissione di una cultura della sostenibilità.

Il vino, infatti, ha una dimensione decisamente edonica ed esperienziale: è un prodotto superfluo che concorre a rendere più gradevole qualsiasi pasto e favorisce la scoperta dei territori e dei luoghi dove si produce.

Allo stesso tempo il “bere consapevole” oltrepassa il significato attinente alla salute individuale, per abbracciarne uno ben più ampio e sfaccettato.

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DA STRUMENTO DI MARKETING A DRIVER DI INNOVAZIONE Il triplice approccio non ha ancora superato le critiche di chi lo etichetta fin troppo facilmente come uno strumento di marketing volto in realtà a un solo obiettivo: il fatturato.

Certamente anche nel panorama enologico ci sono imprese che ancora oggi vivono la sostenibilità in questi termini e la abbracciano più per opportunismo e per moda, che per sincera convinzione. Così come ci sono, e sempre ci saranno probabilmente, consumatori poco preparati che seguono mode, senza approfondire più di tanto cosa c’è dietro una parola, un’etichetta, una certificazione o una

dichiarazione di un produttore. Nel frattempo il mercato è in rapido cambiamento e tale velocità inedita può favorire nuove dinamiche cognitive e comportamentali tra domanda e offerta del prodotto-servizio vino.

Paradossalmente è proprio il marketing che nell’era della share economy, orientata al valore e digitalizzata, acquisisce un peso strategico rilevante nella diffusione di un approccio sostenibile.

Vale a dire che nella nuova dimensione economica basata sul contatto diretto tra domanda e offerta e sulla condivisione delle esperienze tra consumatori, il ruolo del marketing è diventato innanzitutto quello di captare le opinioni e le preferenze dei consumatori e di elaborare per loro esperienze significative. La digitalizzazione quindi, se da una parte permette al marketing di diventare un “ladro autorizzato” di dati, dall’altra permette al consumatore di esprimere opinioni su quello che compra e di condividerle in rete, generando nuovi comportamenti delle imprese e di fatto partecipando in modo attivo al mercato. Si innesca in questo modo un processo circolare che va a incidere sul cambiamento delle tradizionali direttrici promozionali del vino. Questo spiegherebbe in parte la crisi delle guide nel settore e l’avanzare di una forma di influencer marketing basata sempre più sul passaparola social di comuni clienti. È proprio in questo passaparola che trovano spazio le preferenze dei consumatori e la trasmissione dei valori della sostenibilità. Quindi, modaiola o autentica che sia, essa entra nel meccanismo della share economy e, come una goccia sulla pietra, modella l’immaginario collettivo e di settore, fino a migliora-

re in purezza. Questo, naturalmente, non vuole essere un’autorizzazione implicita al greenwashing, ossia una sostenibilità di facciata o superficiale che, se forse può premiare nel breve periodo, nel lungo periodo invece è destinata a far crollare i castelli finti. In questo senso i consumatori più consapevoli e attivi sui social oggi hanno una inedita potenzialità di guidare gli altri e orientare le imprese nel segno della sostenibilità. Per le aziende vitivinicole può rivelarsi molto pericoloso procedere ignorando queste dinamiche.

UNA NUOVA CULTURA DEL VINO E I MILLENNIALS In questo senso sta emergendo una nuova cultura del vino che sottende a un nuovo mercato, in cui spicca già da tempo un particolare tipo di consumatori: i Millennials, nativi digitali.

Sono loro la prima generazione ad essere “iper-connessa”, che presenta caratteristiche di comportamento d’acquisto completamente diverse da quelle delle generazioni precedenti.

Prima di comprare s’informano su internet, preferiscono la qualità rispetto alla quantità, cibi semplici e salutari, sono sensibili alle storie che stanno dietro ad un vino e ai risvolti socio-ambientali e prediligono i produttori attivi in rete. Già il Global Total Retail 2017 aveva evidenziato il potere dei Millennials di influenzare il mercato alimentare. Oggi, ancor più alla luce della compagine di mercato pandemica, caratterizzata da maggiori acquisti online, è evidente che il settore enologico deve fare sempre più i conti con questo tipo di buyer personas. E senza dubbio non si può trascurare la forte relazione tra digitalizzazione e diffusione di una richiesta di sostenibilità.

Pixabay.com

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ECONOMIA

GLI STRUMENTI DELLA SOSTENIBILITÀ DEL VINO Dal punto di vista pratico gli strumenti della sostenibilità del vino sono molti, ma non si intende qui affrontare in modo tecnico ed esaustivo un tema così ampio. Nella sostenibilità ambientale rientrano gli strumenti della Carbon Footprint e del Life Cycle Assessment, più in generale la gestione del suolo, delle risorse idriche e la Water Footprint. Naturalmente caratterizza un approccio di tutela dell’ambiente l’uso sostenibile dei fitofarmaci e l’utilizzo di packaging di riciclo o non impattanti. La sostenibilità sociale si esprime, invece, nella gestione del capitale umano rispondente al principio che sono le persone che fanno le aziende e che pertanto rappresentano un valore fondante da implementare attraverso rapporti di lavoro rispettosi e formazione continua. Relazioni di qualità rendono un’impresa socialmente sostenibile a qualsiasi livello, anche in riferimento al territorio in cui opera e alla sua capacità di creare reti collaborative virtuose. Il “territorio” non è più qualcosa da sfruttare, ma una risorsa da valorizzare, di cui può beneficiare la comunità e non solo quella locale.

La sostenibilità economica naturalmente ha a che fare con la gestione vera e propria di un’azienda e la generazione di un valore intangibile trasmissibile dal brand. Investire sulla sostenibilità in questo senso implica la capacità imprenditoriale di monitorare e migliorare continuamente l’attività produttiva e commerciale, ridurre i costi e aumentare il valore aggiunto.

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di LORENZO BISCONTIN

ECONOMIA

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Cos’è successo sul mercato mondiale del vino nel 2020

Il calo delle vendite legato alla Brexit e ai dazi USA oltre che alla pandemia non è il solo dato sul quale riflettere. Cambiano gli equilibri sui mercati internazionali, cambia il rapporto tra sfuso e imbottigliato e cambiano i formati e le occasioni di consumo I MERCATI DEL VINO NEL 2020: UNO SGUARDO D’INSIEME PER PREPARARE LE STRATEGIE DEL FUTURO Inutile dire che il 2020 è stato un anno particolare per il commercio mondiale di vino. È però utile ricordare che oltre alla pandemia da COVID 19, quest’anno il mercato è stato influenzato anche da altri due eventi esterni: i dazi USA e la Brexit.

Il risultato di tutti questi avvenimenti è stata una forte contrazione del commercio mondiale del vino: da gennaio a settembre (ultimo dato disponibile) il calo a valore rispetto allo stesso periodo del 2019 è stato

16.0% 14.0% 12.0% 10.0% 8.0% 6.0% 4.0% 2.0% 0.0% -2.0% -4.0% -6.0% -8.0% -10.0% -12.0% -14.0% -16.0% -18.0% -20.0% -22.0% -24.0% -26.0%

di circa 1,8 miliardi di dollari, pari al - 10,2%, e quello a volume di oltre 2,8 milioni di hl (-5,8%).

La perdita proporzionalmente più alta in valore rispetto al volume indica che è calato anche il prezzo medio.

Da notare che il calo maggiore si è verificato a carico dei vini spumanti, interrompendo una tendenza positiva che durava da sette anni, mentre è stato più contenuto per le bottiglie di vini fermi e frizzanti. Il vino sfuso si è mantenuto sostanzialmente stabile e il Bag In Box è l’unica categoria che ha mostrato incrementi significativi sia a valore che a volume (grafico 1).

Vale quindi la pena di fare una prima riflessione sui flussi commerciali di vino in formato diverso dalla bottiglia, perché appare molto probabile che si tratti di una tendenza positiva destinata a proseguire anche in futuro.

In passato il vino commercializzato sfuso era quasi esclusivamente un vino anonimo, utilizzato in tagli di cantina o imbottigliato come generico “vino da tavola”. Oggi questa tipologia è affiancata sempre più spesso da vino che viene esportato sfuso per essere imbottigliato sui mercati di consumo, mantenendo l’indicazione della varietà, dell’origine e dell’annata. Si tratta evidentemen-

15.0% 10.3%

9.2% 4.3% -0.1% -4.2%

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Var mar-set 19-20

-18.0%

VALORE

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€/l

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Mosto

Grafico 1: Variazioni per tipo di prodotto nel periodo mar-set 2019-2020: tendenze diverse per le diverse tipologie. Fonte: Rafael del Rey - OeMV – Observatorio Español del Mercado del Vino 1

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45.0%

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ECONOMIA

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VOLUME

5.0%

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Var mar-set 19-20 -25.0%

Grafico 2: Effetto della crisi di mercato sui maggiori produttori nel periodo mar-set 2019-2020. Fonte: Rafael del Rey - OeMV – Observatorio Español del Mercado del Vino

te di vini che provengono dai paesi produttori del Nuovo Mondo e vengono esportati sfusi per ridurre i costi di trasporto e sfruttare l’efficienza dei grandi impianti di imbottigliamento presenti nei paesi di consumo, come ad esempio l’Inghilterra.

Oltre a godere di questi vantaggi di costi logistici, il vino sfuso può vantare anche un minor impatto ambientale nella movimentazione rispetto al vino imbottigliato.

A questa tendenza generale, quest’anno si è aggiunta la scelta (obbligata) dei produttori francesi per cercare di aggirare i dazi imposti dall’Amministrazione Trump sulle importazioni di vino in bottiglia. La crescita del BIB è invece legata a una scelta di praticità da parte delle persone (consumatori) sia nella fase di acquisto che in quella di consumo domestico. Si tratta di un comportamento già consolidato nei mercati scandinavi e che si sta diffondendo anche in altri paesi, ad esempio il Canada.

Nell’analizzare le tendenze dei formati diversi dalla classica bottiglia da 0,75l, appare opportuno citare anche le lattine. Non essendo

queste identificate da una specifica categoria doganale, mancano dati relativi al commercio mondiale, che presumibilmente è molto ridotto. I dati di vendita negli USA, principale mercato dove questo formato ha la maggior diffusione, mostrano nel 2020 una crescita vicina all’80% e il valore complessivo del segmento raggiungerà i 200 milioni di dollari.

Sottovalutare il futuro del vino in lattina potrebbe quindi essere pericoloso, anche perché le ricerche sui comportamenti di consumo rilevano che si tratta in buona parte di vendite aggiuntive rispetto al vino in bottiglia. Praticità e possibilità di controllare la quantità consumata sono i principali fattori che portano a bere il vino in lattina da parte di consumatori che altrimenti avrebbero bevuto altro o in momenti di consumo dove l’utilizzo della bottiglia è impraticabile.

LE TENDENZE DEI PAESI PRODUTTORI NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2020 Il produttore che più di tutti ha ridotto i suoi flussi di esportazione nel

2020 è stato la Francia, penalizzata sia dai dazi introdotti a fine 2019 dall’Amministrazione Trump che dal crollo delle importazioni cinesi, che rappresentano una parte considerevole di mercato per i produttori francesi (grafico 2).

Nei primi nove mesi dello scorso anno la Francia ha ridotto le proprie esportazioni di oltre 1,2 miliardi di euro (-17%) e 790.000 hl (-7,5%), con perdite ripartite equamente tra i vini fermi e i vini spumanti.

Crescono solamente le esportazioni del vino sfuso verso gli USA, soluzione individuata per aggirare i dazi che si applicano solo al vino in bottiglia, e del Bag In Box verso la Svezia, il Belgio e i Paesi Bassi.

L’Italia è riuscita a contenere le perdite grazie alla sostanziale tenuta negli USA, dove i nostri vini al momento sono esclusi dall’imposizione dei dazi all’importazione. Da notare che mentre l’andamento per i vini fermi è stato costante durante tutto il corso dei primi nove mesi del 2020, che chiudono con un +1% complessivo, per gli spumanti pesa un terzo trimestre a -25%, che porta il totale

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40 60.0% 50.0%

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Var mar-se (st) 19-20

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€/l

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ECONOMIA

40.0%

Grafico 3: Effetto sui mercati: per alcuni paesi importatori si intravedono delle opportunità. Fonte: Rafael del Rey - OeMV – Observatorio Español del Mercado del Vino

progressivo a -1,6%. Sarà importante verificare se le esportazioni dell’ultimo trimestre riusciranno a riportare la tendenza sui valori positivi.

Inoltre l’Italia ha beneficiato dei buoni risultati in alcuni mercati che, malgrado la crisi legata alla pandemia, hanno aumentato le proprie importazioni di vino durante il 2020, come Scandinavia e Svizzera.

Per quanto riguarda gli altri Paesi produttori con dati in crescita: - l’Australia limita le perdite in Cina, dove è leader di mercato, e cresce nel Regno Unito; - gli USA crescono in Canada con lo sfuso e il Bag In Box; - la Nuova Zelanda prosegue il trend positivo negli USA con un prezzo medio che, anche se in calo, rimane uno dei più alti in assoluto; - il Portogallo cresce negli USA, dove non subisce i dazi applicati ai vini francesi, spagnoli e tedeschi, nel Regno Unito, in Brasile e in Svezia; - l’Argentina cresce molto in volume grazie alle esportazioni di vino sfuso verso Spagna e Cina, volumi che però non riescono a compen-

sare il forte calo del prezzo medio e quindi perde nelle esportazioni a valore.

LE TENDENZE DEI PAESI IMPORTATORI NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2020 In generale il calo delle importazioni di vino nei diversi mercati è legato agli effetti del COVID 19. Non a caso i Paesi che riescono a mantenere tendenze positive sono soprattutto quelli dove il peso delle vendite nel canale horeca è proporzionalmente minore.

Considerato il protrarsi della pandemia conviene quindi analizzare cosa succeda proprio in questi mercati (grafico 3).

- Regno Unito: la crescita appare legata in buona parte alla creazione di scorte in vista dell’incertezza relativa alla Brexit.

- Canada: in aumento del 30% le importazioni di Bag In Box, unico formato che cresce anche a valore.

- Paesi Bassi: la Francia si conferma leader, l’Italia cresce ma viene superata dalla Germania e diventa il terzo fornitore sia a volume che a valore.

- Svizzera: dopo il calo dei primi cinque mesi, forte recupero delle importazioni da giugno in poi con un ottimo risultato dell’Italia che supera la Francia e diventa leader sia a volume che a valore.

- Danimarca: l’Italia conferma la leadership a volume e il secondo posto a valore, dietro la Francia, ma perde quota di mercato.

L’unico fornitore che cresce sia in volume che in valore è l’Australia, mentre USA e Argentina crescono solamente a volume grazie all’esportazione di vino sfuso, unica categoria in crescita.

- Svezia: si tratta del primo mercato al mondo per consumo di Bag In Box. Ottimo risultato dell’Italia che diventa il primo fornitore a volume, superando la Francia, e guadagna quota di mercato anche a valore grazie a una crescita vicina al 10%.

- Norvegia: l’Italia mantiene la propria leadership in un mercato dove si nota un incremento vertiginoso del Bag In Box che cresce del 53%, diventando così il primo formato venduto davanti al vino in bottiglia.

- Irlanda: è stato il mercato che

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FOCUS SULLA CINA La vertiginosa crescita delle importazioni negli ultimi dieci anni ha portato la Cina ad essere nel 2019 il terzo importatore assoluto a livello mondiale in valore e il quarto a volume. Da notare che quell’anno solo tre Paesi superavano la quota di 2 miliardi di dollari nelle importazioni di vino: gli USA con 4,5 miliardi, il Regno Unito a 2,6 miliardi e la Cina con 2,2 miliardi.

Allo stesso modo negli ultimi dieci anni l’Italia si è consolidata come primo esportatore mondiale di vino a volume e secondo a valore.

Due tendenze che si sono però in-

contrate solamente in misura limitata, dato che sempre nel 2019 la Cina rappresentava il nono mercato di destinazione delle esportazioni di vino italiane, dietro a mercati in assoluto molto più piccoli come Danimarca, Giappone, Svizzera, Paesi Bassi e Canada.

Questo ridotto peso della Cina nelle esportazioni italiane si è rivelato in un certo senso una fortuna da quando le importazioni cinesi hanno cominciato a ridursi a metà del 2018 e sono poi crollate nel 2020 in seguito alla crisi del COVID 19.

Oltre a ridursi, le importazioni cinesi di vino nell’ultimo anno e mezzo sono cambiate profondamente per: - l’aumento della quota di acquisti da parte dei consumatori per il proprio consumo rispetto al regalo e la conseguente riduzione del numero degli importatori, adesso più specializzati e professionali; - la forte crescita dei vini australiani, che hanno superato i vini francesi diventando nettamente leader del mercato; - il significativo aumento del prezzo medio, che a settembre 2020 superava i 3,70 euro/litro.

A novembre 2020 quindi lo scenario competitivo delle importazioni di vino in Cina vedeva questa classifica: 1. Australia con 687 milioni di euro (-9%)

QUALI TENDENZE PER IL 2021?

La società di ricerche di mercato Wine Intelligence ha individuato per l’anno in corso cinque fattori o tendenze che influiranno sui mercati del vino: 1. Un possibile aumento delle tasse sull’alcol per recuperare risorse con cui finanziare gli interventi pubblici a sostegno delle economie dei diversi Paesi (conviene ricordare che questa politica è già stata applicata costantemente negli ultimi anni nel Regno Unito N.d.A.), porterà come conseguenza alla diminuzione dei consumi per l’aumento del prezzo medio della bottiglia pagato dal consumatore.

2. Proseguirà la tendenza positiva per i formati diversi dalla bottiglia di vetro da 0,75 l.

3. Sempre più cantine dedicheranno risorse a costruire rapporti diretti con i propri consumatori/clienti attuali e potenziali.

4. L’aumento delle vendite on-line porterà all’intensificarsi della concorrenza tra i diversi siti di e-commerce e la logistica (modalità e tempi di consegna) diventerà un fattore competitivo sempre più rilevante.

5. Si assisterà a una forte crescita delle vendite di wine seltzer, bevande gassate aromatizzate a base vino.

2. Francia con 433 milioni di euro (-31%) 3.

Cile con 204 milioni di euro (-33%) 4.

Italia con 102 milioni di euro (-25%) 5.

Spagna con 87 milioni di euro (-33%) 6. Argentina con 24,5 milioni di euro (+2,4%) Le ragioni per non sottovalutare il mercato cinese non derivano tanto dalla dimensione che ha oramai raggiunto, quanto piuttosto dalle opportunità che potrebbe offrire nei prossimi mesi.

La Cina infatti sarà l’unica economia sviluppata che chiuderà in positivo il 2020 ed è riuscita fino ad oggi ad evitare il ripetersi di contagi da coronavirus SARS-COV 2. È quindi un mercato dove i consumatori hanno mantenuto sia il potere d’acquisto sia la possibilità di consumare con modalità simili alla situazione pre- pandemia: due fattori che la collocano nella posizione migliore per recuperare già nel 2021 quanto si era perso nel 2020.

L’altra opportunità potrebbe derivare dalla crisi dei rapporti politico-diplomatici tra Cina e Australia. Si tratta di una nuova situazione non ancora rispecchiata nei numeri del commercio, sebbene alcuni problemi negli scambi siano già stati segnalati dalle cantine australiane.

Il calo dei vini francesi durante gli ultimi due anni dimostra un cambiamento nelle preferenze dei consumatori cinesi ed eventuali nuovi ostacoli alle importazioni australiane potrebbero aprire spazi nel mercato che il vino italiano dovrebbe prepararsi a cogliere.

Nota: I dati e le considerazioni presentate in questo articolo sono frutto dell’osservazione continua di quanto avviene sui mercatI mondiali del vino attraverso un gran numero di fonti ed il contatto diretto con gli operatori. Le fonti principali utilizzate nella stesura di questo articolo sono: l’Observatorio Espanol del Mercado del Vino, l’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini e Wine Intelligence.

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ECONOMIA

più è cresciuto in percentuale nei primi nove mesi del 2020 rispetto all’anno precedente. Anche le esportazioni italiane in Irlanda sono cresciute seguendo questo trend, meno tuttavia di quelle dei paesi concorrenti e sono state superate dalla Spagna divenuta quarto fornitore in valore.

- Polonia: la Germania riduce le sue esportazioni mentre l’Italia mantiene i livelli del 2019, diventando così il leader di mercato sia a volume che in valore.

- Finlandia: ottima performance del vino italiano che nel primo semestre cresce del 9% a volume e del 5% in valore, superando così sia Francia che Germania e diventando il leader di mercato.

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di NICOLÒ REGAZZONI

CULTURA E SOCIETÀ

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Spumanti e PIWI, la piccola realtà dei vini della Danimarca Una piccola nicchia di mercato che con ogni probabilità resterà tale, ma che punta sulla qualità, le varietà PIWI, le bollicine e le collaborazioni internazionali, anche italiane La produzione di vino in Danimarca è un fenomeno relativamente recente, ancora in piena evoluzione e con molte incognite. Resta da vedere se e come questo Paese scandinavo riuscirà nei prossimi anni a trasformare in attività commerciale e redditizia ciò che fino a una ventina d’anni fa era esclusivamente considerato un hobby. “In prospettiva - afferma la giornalista Laura Uldahl Aggernaes, che ha recentemente dedicato alla vitivinicoltura del suo Paese un podcast di successo - credo che i vini danesi siano destinati a restare una piccola nicchia di mercato”.

Le cantine danesi hanno ufficialmente ricevuto il permesso di cominciare a vendere vino solo nel 2000, quando l’Unione Europea ha concesso l’impianto di 100 ettari di vigneto, a patto che i produttori locali non potessero usufruire dei sussidi comunitari. L’attività vitivinicola è estremamente onerosa, sia a causa dell’elevato costo della manodopera, sia per la bassa resa dei vigneti, che si aggira attorno ai 50 quintali per ettaro. Di conseguenza chi vuole intraprendere questo tipo di attività deve disporre di ingenti risorse finanziarie ed essere pronto a commercializzare prodotti con un posizionamento di prezzo elevato, che si aggira in media attorno ai 35 euro a bottiglia e che rende difficile l’esportazione. Il risultato è che oggi alcune cantine sono già in vendita, anche a causa dei recenti problemi derivanti dal Coronavirus.

Detto questo, ad oggi sono circa 90 le cantine danesi che imbottigliano vini propri, concentrate soprattutto nei dintorni di Copenhagen,

nello Jutland e nelle isole. A differenza degli altri Paesi scandinavi in Danimarca non esiste il Monopolio Statale e dunque molte cantine hanno aperto enoteche in loco (in alcuni casi anche ristoranti e alberghi), che consentono la vendita diretta, con la quale sviluppano gran parte del loro fatturato.

Di solito quando si parla di vitivinicoltura scandinava, e in particolare danese, si cita il cambiamento climatico, che tuttavia non influenza in

modo univoco l’attività dei produttori di vino di questo Paese. Da qui al 2050 si prevede in effetti un innalzamento delle temperature medie, ma allo stesso tempo si registrano fenomeni meteorologici sempre più estremi e imprevedibili, come per esempio grandinate e alluvioni.

L’aiuto più importante che le cantine danesi hanno ricevuto in questi ultimi anni è stata la possibilità di acquistare e piantare varietà d’uva ibride, provenienti soprattutto dalla Germania e dalla Svizzera. Si tratta di

Vigneto di Solaris della cantina Vexebo Vin. La varietà Solaris è quella che più si adatta alle condizioni climatiche danesi. Si presta ad essere affinata in legno e presenta caratteristici profumi di sambuco e uva spina

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Funen, Zealand, Bornholm), consentendo in tal modo ai produttori di riportare per la prima volta in etichetta la regione di provenienza, l’annata e la varietà di uva utilizzata.

In questi ultimi anni, per ovviare alla carenza di know how, il vino danese ha cominciato a cercare sinergie con altri Paesi, Italia compresa. Alessandro De Stefani, dell’omonima cantina veneta, è stato coinvolto in qualità di winemaker in un progetto chiamato “La Pampa”, che deve ancora vedere la luce, e che prevede la realizzazione di una cantina con 15 ettari di vigneto, centro conferenze, albergo e ristorante. “In Danimarca vendo i miei vini da circa vent’anni - spiega De Stefani - e l’interesse per il Paese mi ha spinto ad aderire a questo nuovo progetto, che prevede la produzione di soli vini spumanti con rifermentazio-

ne in bottiglia a base di varietà Solaris.

Utilizzeremo attrezzatura tutta italiana e proveremo ad utilizzare anche lieviti autoctoni, selezionati e moltiplicati in Italia. Prevediamo una rifermentazione di minimo un anno sui lieviti, fino ad arrivare anche a quattro o più anni”. Il progetto sta cercando 80 investitori, ognuno dei quali ogni anno verrà remunerato con 365 bottiglie di spumante, che potranno poi essere in parte rivendute alla cantina.

Insomma, il vino danese si trova davanti a una strada ancora lunga, e non è certamente il caso di avere eccessive aspettative al riguardo, almeno nel medio periodo. Ma la velocità con la quale si sono mosse le cose in questi ultimi vent’anni, unitamente alle previsioni derivanti dal cambiamento climatico, lasciano spazio anche all’ottimismo.

I vigneti della cantina Skærsøgaard, a circa due ore e mezza da Copenhagen, possono fregiarsi dell’unica Doc danese “Dons”, la più settentrionale di tutta Europa

Con i suoi 10 ettari vitati Dyrehoj Vingaard è la più grande azienda vitivinicola del Paese. Si trova sulla penisola di Røsnæs, una delle aree più soleggiate della Danimarca. Nella foto Betina Newberry, proprietaria della cantina insieme al fratello Tom Christensen

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varietà resistenti a basse temperature e a malattie, con un breve periodo di maturazione, che richiedono pochi trattamenti e che vengono anche coltivate con agricoltura biologica. A dieci chilometri dal centro di Copenhagen, per esempio, si trova l’azienda vinicola biologica Nordlund, tre ettari di vigneto, che è stata acquistata nel 2015 da Miriam Sandra Arcerito, di origini siciliane.

Può invece contare su un solo ettaro la cantina Vexebo Vin, che si presenta come produttrice di “vini naturali”, a basso tenore di solforosa, non filtrati e ottenuti da lieviti autoctoni. “All’inizio l’attenzione dei produttori danesi si è concentrata sulle varietà a bacca rossa, soprattutto il Rondo - spiega Daniel Milan, proprietario ed enologo - ma negli ultimi anni la produzione si sta spostando sempre più su quelle a bacca bianca, come il Solaris, che si prestano anche alla produzione di spumanti”.

A concentrare la produzione su bianchi e spumanti è la più grande azienda vitivinicola del Paese, Dyrehoj Vingaard, fondata nel 2008, con 10 ettari di vigneto di proprietà e una produzione annua di circa 40.000 bottiglie. “In poco più di vent’anni - racconta Betina Newberry, proprietaria assieme al fratello Tom Christensen - i vini danesi riescono già a esprimere un loro specifico stile, con un’acidità e una freschezza pronunciata e originali sentori di frutta fresca”. La gradazione alcolica è normalmente piuttosto contenuta, e si aggira in media attorno ai 12 gradi.

A produrre soprattutto bianchi e spumanti è anche l’azienda Skærsøgaard, che si trova nello Jutland meridionale, e che appartiene al dinamico imprenditore Sven Moesgaard, proprietario della casa farmaceutica Pharma Nord.

Nel 2007 lo spumante Metodo Tradizionale Dons Cuvée annata 2006 aveva vinto la medaglia d’argento al concorso Effervescent du Monde, attirando per la prima volta l’attenzione dell’enologia mondiale su questo Paese. Dal 2018 Skærsøgaard, 8 ettari vitati, produce spumante con l’appellativo Doc “Dons”, l’unica riconosciuta per il momento in tutta la Danimarca.

Nel 2005, invece, l’Unione Europea aveva approvato quattro Igt (Jutland,

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di KATRIN WALTER *

CULTURA E SOCIETÀ

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La viticoltura tedesca si sposterà a Nord?

La viticoltura nel Nord della Germania rappresenta una piccolissima realtà rispetto ai circa 100.000 ettari di vigneto che crescono nelle 13 denominazioni vinicole tedesche tradizionali e i vini delle regioni settentrionali sono ancora una rarità. Questi vini sono pressoché sconosciuti non solo a livello internazionale ma anche in Germania, dove pochissimi sanno che la vite cresce anche nello Schleswig-Holstein. Con i cambiamenti climatici e il conseguente riscaldamento le condizioni per la viticoltura in queste regioni sono migliorate negli ultimi anni LA SITUAZIONE VITICOLA ATTUALE NEI LÄNDER DEL NORD I vigneti nel Nord della Germania non sono nuove “zone viticole”. I vini prodotti al di fuori delle 13 denominazioni tedesche devono essere nominati “vino tedesco” e non possono essere commercializzati come “vino di qualità”. In Schleswig-Holstein, Meclemburgo, Brandeburgo e altri sono state ora designate le cosiddette “zone vinicole di campagna” (Landwein-Gebiete) e tali vini possono quindi essere chiamati, per esempio, Mecklenburger Landwein.

Ma se guardiamo da vicino, vediamo che ad esempio nonostante in Meclemburgo, nella regione vinicola

di Stargarder Land, la tradizione vitivinicola risalga addirittura al Medioevo, oggi solo 4,75 e 0,25 ettari sono coltivati rispettivamente da due associazioni di viticoltori. In totale sono in produzione circa 15.000 viti, che appartengono a molti soci e possono quindi essere viste più come un hobby. Il vino prodotto viene bevuto principalmente dagli stessi membri del club o finisce sulla tavola di amici.

Con il cambiamento climatico è cresciuto il numero di viticoltori hobbisti che possono possedere un massimo di 99 viti (la viticoltura professionale inizia con 100).

Nel 2016 dieci nuovi viticoltori della Bassa Sassonia hanno acquisito il

diritto di coltivare la vite su un totale di circa 7,6 ettari e dei circa 2,6 milioni di ettari di terreno agricolo nella regione, complessivamente solo 30 ettari sono attualmente registrati per la viticoltura, una percentuale estremamente bassa. Al confronto in Renania-Palatinato ci sono 64.000 ettari di vigneto che producono sei milioni di ettolitri di mosto all’anno.

SCHLESWIG-HOLSTEIN: SU UN’ISOLA LA ZONA VINICOLA PIÙ SETTENTRIONALE DELLA GERMANIA “Al Nord tutto iniziò nel 2008, quando la Renania-Palatinato conferì dieci ettari di diritti di impianto allo stato fe-

La zona vinicola più settentrionale della Germania a Keitum, sull’isola di Sylt. Foto: Balthasar Ress

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I filari ben curati del vigneto di Steffen J. Montigny a Grebin con un cartello informativo per i visitatori

derale di Schleswig-Holstein. Stefan Ress, mio padre, vide questa come un’interessante sfida viticola e prese parte alla gara per coltivare la vite a Keitum sull’isola di Sylt”, afferma Christian Ress, l’attuale proprietario e gestore della cantina Balthasar Ress a Hattenheim nella denominazione di Rheingau. “Alla fine ci furono assegnati 3.000 m² e poche settimane dopo piantammo lì il vitigno Solaris. Con ciò Keitum, situata a quasi 55 gradi di latitudine sulla più grande isola tedesca del Mare del Nord, è diventata l’area vinicola più settentrionale della Germania. La prima vendemmia è stata nel 2013 e il primo vino è arrivato sul mercato nella primavera del 2014. Dall’annata 2019 poi, le uve di Sylt sono utilizzate per la produzione di un vino spumante, di cui facciamo tra le 700 e le 1300 bottiglie, a seconda dell’annata.”

Il progetto si finanzia grazie ad investitori che pagano per adottare una o più viti, ricevendo in cambio un numero di bottiglie proporzionato al loro investimento. La cantina riceve comunque i soldi per la conduzione del vigneto, anche qualora l’annata produttiva si presenti difficile. E con

questa azione se ne va circa la metà della produzione. Il resto rimane in azienda per eventi speciali o prove/ studi particolari, ma si vende anche sul sito della cantina e ad un prezzo molto alto (65 euro) in quanto la produzione è limitata.

Il titolo di “vigneto più settentrionale della Germania” è conteso sempre a Keitum con quello di Sylter Weinbau GbR che ha piantato sull’isola 0,7 ettari di Solaris, dai quali si producono tra 750 e 1000 litri di mosto a seconda delle annate e nel 2018 sono stati aggiunti altri 1,3 ettari, non ancora in produzione.

Esistono altri impianti a vigneto autorizzati nella vicina isola di Föhr, a Fehmarn, e nella „Holsteinische Schweiz“ e pure a Westensee e Bargteheide nell’entroterra di questo stato federale. Negli ultimi dieci anni, l’area di coltivazione nello Schleswig-Holstein è cresciuta fino a quasi 30 ettari ma, a seconda della località, i vini prodotti possono essere commercializzati solo come “Landwein” o “Deutscher Wein” e non come vino di qualità.

Nel 2009 anche Steffen J. Montigny si è aggiudicato 2 ettari a Grebin, vicino a Kiel. Nel corso dell’anno

un suo collaboratore si prende cura dei vigneti delle varietà bianche Solaris e Felicia e del rosso Regent, ma le uve vengono trasportate alla sede della cantina – a Bretzemheim, a 650 km di distanza, nella regione vinicola Nahe della Renania-Palatinato – per la lavorazione.

“Le nostre aspettative sulla qualità sono state addirittura superate” spiega Steffen J. Montigny “perché l’ottima esposizione alla luce nel Nord garantisce molte ore di sole, il che permette alle uve di maturare bene nonostante le temperature più fresche, in quanto l’assimilazione tramite la superficie fogliare funziona alla grande. Un fenomeno questo confermato anche dai frutticoltori vicini che realizzano qui raccolti molto abbondanti. A causa del vento fresco e della breve permanenza di rugiada mattutina, non abbiamo bisogno di trattamenti”. Ogni anno da qui arrivano sul mercato circa 14-15.000 bottiglie di vino bianco e rosato.

Nonostante l’esperienza positiva, né Christian né Steffen vogliono aumentare la superficie vitata al Nord per ora. “Ci piace la sfida” afferma Christian Ress “ma lo sforzo per una pos-

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sibile mini-espansione nell’area di Sylt sarebbe semplicemente troppo alto e prendere delle aree in altre parti del Nord sarebbe troppo impegnativo nella gestione”. E Steffen J. Montigny dice: “Quella che facciamo al Nord è un’esperienza preziosa, ma è difficile trarre un profitto, cioè guadagnare e anche se abbiamo già ricevuto riconoscimenti per il nostro vino bianco del 2014, per il momento abbiamo deciso di non investire oltre i 2 ettari “.

CROCE E DELIZIA “In questo momento il vino tedesco è più buono che mai”: da alcuni anni si sente questa affermazione da molti enologi ed esperti di vino. È perché ora le uve maturano regolarmente.

Ad esempio, i vigneti in cui una volta le uve di Riesling raramente rag-

giungevano la piena maturazione si stanno trasformando in zone da cui nascono grandi vini secchi, con qualità che non sarebbero state possibili senza il supporto del clima. La migliore maturazione delle uve aumenta il contenuto alcolico e migliora la maturazione degli acini, motivo per cui in Germania esistono da qualche tempo buoni vini rossi e il loro numero continuerà a crescere, grazie all’aumento delle temperature.

Ma non tutti i produttori di vino tedesco traggono vantaggio dal cambiamento climatico e le aree meridionali della Germania sono in difficoltà. Sta diventando sempre più difficile rimanere al di sotto del 15 o 15,5% di alcol con le varietà ad alta gradazione.

Alcuni produttori di vino possono ancora gestirli bene grazie al loro know-

how, ma i vini spesso risultano troppo “caldi”. La regola per cui la viticoltura avviene tra il 40° e il 50° parallelo sta perdendo sempre più validità. Se l’ulteriore tendenza all’aumento delle temperature continua, il limite di coltivazione si sposterà di 200-400 km verso il Nord e di 100-150 m verso l’alto.

Con le nuove condizioni climatiche diventerà sempre più difficile mantenere la freschezza, la longevità e il profilo gustativo dei Riesling “croccanti“. La qualità del vino si è già spostata verso i vini più maturi, ricchi di estratto e di alcol. Le varietà a bacca rossa che amano il calore hanno avuto i maggiori benefici, mentre i vitigni a maturazione precoce avranno sempre più problemi in futuro perché la vendemmia avviene in un periodo

NUOVE REGOLE PER IL VINO DI QUALITÀ IN GERMANIA Il sistema giuridico tedesco della piramide della qualità sta cambiando e rispetto al passato si sta sviluppando verso un modello basato su una più forte definizione dell’origine, che dovrà essere chiaramente riconoscibile sull’etichetta. Pertanto, in futuro, il fattore più importante per la qualità sarà “dove” viene coltivato il vigneto e non solo il grado di maturazione delle uve o la concentrazione zuccherina dei mosti.

Lage = vigna/cru p. es.

Trittenheimer Apotheke Ort = luogo p. es Trittenheim

g.U. Vino DOP Es. Mosel (Qualitätswein, Prädikatswein)

Region = regione/area p. es.

Michelsberg

g.g.A. Vino IGP, p. es.

Landwein der Mosel (Landwein)

Anbaugebiet = Zona di produzione p.es Mosel

Vino senza denominazione, Deutscher Weing (Vino tedesco)

Fonte: BMEL (Ministero Federale dell’Alimentazione e dell’Agricoltura)

Ma la legge sul vino ha altri due aspetti importanti: da un lato, i fondi per la promozione delle vendite e il rafforzamento del marketing a livello federale saranno aumentati da 1,5 a 2 milioni di euro. Perché una cosa è chiara: il nuovo sistema può funzionare solo se ben comunicato. D’altra parte, per una maggiore sicurezza nella pianificazione, l’area ammissibile per l’approvazione per il nuovo impianto di viti sarà limitata allo 0,3% annuo, al fine di evitare un eccesso di offerta. Al momento, in Germania sono coltivati 100.000 ettari di vigneto, quindi sarà possibile piantare un massimo di 300 ettari di vigneto all’anno fino al 2023 incluso.

Ciò apre anche nuove opportunità per i Länder federali più piccoli, compresi quelli che non praticano la viticoltura o che lo fanno solo da pochi anni e che potranno ricevere l’assegnazione di questi diritti di impianto. Infatti prima che le superfici siano assegnate secondo certi criteri di priorità, ad ogni Land vengono concessi 5 ettari.

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Le uve della varietà „PIWI“ Solaris, coltivate preferibilmente nel Nord della Germania.

Foto: Balthasar Ress

estremamente caldo. Oltre alla concentrazione e il contenuto in zuccheri dei mosti, un parametro fondamentale è l’acidità, particolarmente importante per il gusto e la freschezza dei vini. La maturazione prematura e più rapida può comportare un’acidità troppo bassa, nonché una ridotta espressione aromatica e proprio nei vigneti migliori la degradazione dell’acido malico è maggiore. Inoltre, la produzione di Eiswein diverrà più difficile o impossibile per le temperature non abbastanza rigide per raccogliere le bacche congelate. Tutti aspetti che aumentano la possibilità di produrre vino di qualità superiore in alcune regioni, ma la riducono in altre e per altre tipologie.

Nelle denominazioni tradizionali nel Sud e nel Centro della Germania, lo stile dei vini bianchi e la gamma delle varietà cambieranno nel prossimo futuro. Nei prossimi anni si produrranno più vini rossi come Merlot o Pinot nero, mentre la produzione di Riesling si sposterà a latitudini più settentrionali o a quote più elevate.

Nel Nord vengono spesso coltivate varietà resistenti PIWI, che richiedono meno trattamenti fitosanitari e quindi anche meno impegno per la gestione.

Quando si sceglie una varietà, tuttavia, occorre sempre ricordare che la commerciabilità del vino che si ottiene è di fondamentale importanza.

L’aumento della temperatura e il

periodo prolungato di vegetazione consentono alle viti di prosperare ora meglio nelle regioni tedesche.

Allo stesso tempo, tuttavia, aumen-

* Katrin Walter vive a Berlino ed è esperta di marketing e comunicazione. Come sommelier diplomato conosce particolarmente le materie della vitivinicoltura, enologia, vino e dintorni. Inoltre è esperta traduttrice, copywriter e responsabile per l‘Italia della piattaforma di vino tedesca wein.plus. Più informazioni su www.simplywalter.com e www.wein-plus.it

UNA NUOVA GEOGRAFIA VITICOLA EUROPEA di Alessandra Biondi Bartolini La temperatura media delle regioni viticole del mondo è aumentata di 1,3°C tra il 1950 e il 1990 e questo incremento ha raggiunto gli 1,7°C se l’intervallo di tempo viene esteso fino al 2004.

Le mutate condizioni climatiche stanno influenzando il comportamento della vite, le rese dei vigneti e la qualità dei frutti. Nelle regioni del Sud dell’Europa e nel Mediterraneo questo si riflette in modo sostanzialmente negativo sulle condizioni di coltivazione e sulle caratteristiche dei vini, ma in alcune aree del Nord l’impatto potrebbe essere invece positivo e i modelli colturali e climatici costruiti sulla base dei possibili scenari di cambiamento globale, hanno permesso di ipotizzare un’estensione del limite di coltivazione della vite fino al 55° di latitudine Nord. Oltre alle aree descritte nei due articoli precedenti ad esempio alcune indagini hanno permesso di prevedere che le aree dell’Austria idonee alla viticoltura potranno raddoppiare entro il 2050 e che anche le superfici vitate del sud dell’Ungheria andranno incontro a una forte espansione. In Inghilterra, dove già si stanno facendo molti investimenti per la produzione di vini di qualità, uno studio destinato a migliorare le strategie di programmazione delle aree rurali ha identificato nel Kent, il Sussex, l’Essex e il Suffolk, più di 33.000 ha adatti a dare uve di qualità con rese sufficienti.

Per il futuro della viticoltura in queste nuove regioni tuttavia non sarà solo l’incremento delle temperature il fattore da prendere in considerazione: la possibilità di fare prodotti di qualità in modo remunerativo dipenderà anche da altri parametri importanti, quali la distribuzione dei fenomeni piovosi, l’incidenza delle gelate, la diffusione e la pressione delle malattie e degli insetti dannosi e la risposta alle diverse condizioni di radiazione e di concentrazione di anidride carbonica.

Per approfondire sui possibili scenari della geografia viticola dei prossimi decenni consulta la bibliografia a questo link: https://www.millevigne.it/abb-nuova-geografia-viticola-bibliografia/

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ta il rischio di gelate tardive, piogge e carenza idrica oltre che di nuovi insetti nocivi.

Parlando del mercato esistono altri aspetti che non vanno dimenticati: la sostenibilità e l‘impronta di carbonio.

Questi argomenti sono sempre più importanti oggi per il consumatore consapevole, oltre alla piacevolezza ed al gusto per il prodotto. Il viticoltore che cura questi aspetti non solo aiuta a rallentare il riscaldamento globale, ma può anche utilizzarli nella comunicazione come vantaggio competitivo.

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MEDCLIV: lavorare insieme per affrontare al meglio il cambiamento Il progetto MEDCLIV (2019 –2022) mira alla costruzione e al rafforzamento degli ecosistemi nazionali della vite e del vino nella risposta alle sfide poste dal cambiamento climatico. Il progetto, co-finanziato da EIT Climate-KIC, si svolge in ambito mediterraneo in 6 paesi. Partner italiani sono la Fondazione Edmund Mach di S. Michele all’Adige (TN), coordinatrice del progetto, e il CNR-IBE di Bologna. L’approccio è interdisciplinare e partecipativo, basato sui “Living Lab”, “laboratori” collaborativi nazionali dove i diversi settori professionali si confrontano, favorendo il trasferimento di conoscenza.

Ma le attività si concentrano anche intorno a VINEAS, piattaforma collaborativa online costruita per raccogliere e diffondere soluzioni di adattamento al cambiamento climatico per il vigneto e la cantina, e per meglio identificare e sperimentare approcci di riduzione dell’impatto climalterante delle attività di filiera.

VINEAS si esprime in sette lingue (quelle dei partner più l’inglese) ed ha contenuti condivisi, anche specifici per paese, presenta una panoramica degli attori interessati nei diversi paesi, favorisce la condivisione di esperienze su larga scala, di documenti tecnico-scientifici, di progetti e di soluzioni tecnologiche proposte dalle ditte. VINEAS sarà presentata in Italia con un evento online (aggiornamenti su www.vineas.net).

Per restare in contatto: Gruppo italiano facebook: www.tinyurl.com/ybpvzdwu Posta e.: medcliv@fmach.it

VIRECLI: viticoltura di precisione per l’Oltrepò e la Franciacorta Il gruppo operativo per l’innovazione VIRECLI (cofinanziato dal PSR di Regione Lombardia) esplora le potenzialità dell’agricoltura di precisione come strumento per rispondere ad alcune problematiche emergenti del settore vitivinicolo. Il lavoro si concentra su tre focus: Acqua. Valutazione di un impianto di irrigazione a goccia a rateo variabile progettato tenendo conto della variabilità dei suoli all’interno del singolo vigneto e gestito secondo criteri razionali.

Suolo. Valutazione di diverse tecniche di gestione del suolo per aumentare la resilienza dei vigneti nei confronti di eventi piovosi e siccitosi estremi, riducendo l’incidenza di frane e fenomeni erosivi.

Gestione della chioma.

Sperimentazione di una potatura invernale tardiva con l’obbiettivo di posticipare il germogliamento, evitare danni da gelate primaverili, valutare l’effetto della variabilità spaziale del vigneto sulla fertilità dei nodi basali della Croatina ed aumentare la freschezza delle uve alla vendemmia Titolo Viticoltura di precisione per la regolazione degli equilibri vegetoproduttivi, la protezione del suolo e l’adattamento al cambiamento climatico.

Area di studio: Franciacorta e Oltrepò pavese.

Partner scientifici: Università di Milano, Università di Pavia, Università Cattolica del Sacro Cuore Aziende partner: Castello di Gussago – La Santissima, Ferghettina, Vezzoli Giuseppe, Conte Vistarino, Tenute Tonalini.

Durata: 36 mesi (inizio: settembre 2019) Riferimenti: www.virecli.eu e www. facebook.com/progettovirecli

ReViVal – in Toscana una nuova filiera legno-vino Il progetto ReViVaL - Il vino nel legno: Realizzazione dei Vasi Vinari con Legno locale – si prefigge lo scopo di ricreare e razionalizzare oggi l’intera filiera di valorizzazione del legno di castagno destinato alla produzione di contenitori per la maturazione dei vini toscani. Dalla gestione forestale, alla produzione delle tavole con le caratteristiche adatte alla produzione delle doghe, alla fabbricazione delle botti fino al loro uso in cantina, tutti gli anelli della filiera e della catena produttiva dei carati in castagno sono coinvolti nel progetto ReViVaL. L’obiettivo del progetto è di trasferire alla filiera e alla rete di attori coinvolti, un modello completo comprensivo di strumenti, metodi e competenze per la valorizzazione enologica del legno locale.

Il progetto ReViVal è stato finanziato nell’ambito della sottomisura 16.2 del Bando GAL-Start e cofinanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

Partner del progetto sono la Fondazione per il Clima e la Sostenibilità quale soggetto di coordinamento scientifico, due aziende viticole, il capofila Castello di Verrazzano e la Società Agricola Lavacchio, e i partner scientifici, l’Università di Firenze con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali, il Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del farmaco e Salute del Bambino e il CNR IBE. Maggiori informazioni: www.climaesostenibilita.it/revival2019-2021/ Contatti: Dott. Marco Mancini m.mancini@climaesostenibilita.it

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Osservatorio progetti

2021 ® vicenza 19 - 20 maggio

130 RELATORI

15

NAZIONI COINVOLTE

40 AZIENDE LEADER NEL SETTORE

50

GRUPPI DI RICERCA

1200 CONGRESSISTI

IN DUE GIORNI, TUTTO IL NUOVO A DISPOSIZIONE

SAVE THE DATE 19 - 20 MAGGIO

Scriba Studio / ph Paolo Marchisio

la progettiamo, la costruiamo, la imbottigliamo

MACCHINE IMBOTTIGLIATRICI 1.000-20.000 B/H

fraz. Cappelli 33/b, 12040 Ceresole d’Alba (Cn) tel. +39 0172 574 416 - fax +39 0172 574 088 email: gai@gai-it.com - web: www.gai-it.com