IT'S DIFFERENT 44

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It’s Different magazine edizioni Mille srl anno 7 n.43/2016. free press Autorizzazione Tribunale di Ravenna n.1329 del 05/05/2009 - itsdifferent.it

VITA CONTEMPORANEA

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photo MONICA CORDIVIOLA _model portrait NINA SEVER


CINE TEATRO ARTE VIAGGI EVENTI

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MAGAZINE



info@itsdifferent.it n.44/ 2016 DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Gentili (paologentili@itsdifferent.it) ART DIRECTOR Tobia Donà (tobiadona@itsdifferent.it COMITATO DI REDAZIONE Laura Sciancalepore (laurasciancalepore@itsdifferent.it) Tobia Donà (tobiadonà@itsdifferent.it) Carlo Lanzioni - Claudio Notturni - Mara Pasti Lehila Laconi FOTO EDITOR Lucia Pianvoglio Crediti fotografici: l’editore è a disposizione degli aventi diritto

Ravenna via Cavina, 19 tel.0544.684226 - 348.7603456 - 0544.1990044 info@millemedia8.it REALIZZAZIONE GRAFICA Luca Vanzi (lucavanzi@itsdifferent.it) WEB DESIGNER Millemedia8 Ravenna www.millemedia8.it STAMPA Tip. GE:GRAF srl Edizione Emilia Romagna

73°MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA La Biennale di Venezia 2016



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dell'anno più emozionante per decidere di recarsi in questa parte del Mediterraneo, ma trattandosi di Tel Aviv, non fatevi condizionare troppo da questo fattore: anche in altri momenti potrete viverne tutte le suggestioni, comprese quelle più profane, per così dire. Il suo status di capitale gay, ad esempio, è forse il meno conosciuto al grande pubblico, eppure è in grado da solo di attirare ogni anno tantissimi turisti: a dirla tutta, ogni tipo di diversità qui viene ben accolta e gestita, in modo da non scontentare nessuno. Le spiagge sono tra le attrattive più forti di questo viaggio, sia perché sono frequentate tutto l'anno, sia per la loro bellezza e per l'atmosfera accogliente, e ce ne sono per tutti i gusti. Sono tutte pubbliche, attrezzate con bagni, docce e spogliatoi, e i frangiflutti proteggono da eventuali pericoli legati alle correnti. Avete un cane al seguito e non volete rinunciare ad una vacanza in sua compagnia? No problem, la spiaggia di Hof Haclavim è decisamente dog friendly e potrete portare insieme con voi in tutta tranquillità qualsiasi altro animale domestico: l'educazione degli esemplari canini d'ogni taglia del luogo è ammirevole, ed è la base per la pacifica convivenza con gli avventori umani. Se a causa della vostra diversità di religione,

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espressione della sessualità o altro vi ritrovate a sentire l'esigenza di poter vivere in un luogo tollerante e adeguato in merito, qui avete solo l'imbarazzo della scelta. Atzmout Beach è la spiaggia preferita dei gay(in città la loro comunità è numerosissima, anche grazie all'attitudine bohemien ed estremamente tollerante di questo centro turistico) e dalle donne, che si sentono al sicuro e sollevate da elementi di disturbo. La cosiddetta spiaggia religiosa è davvero poco distante: Hof Hadatiyim si trova tra l'Hilton e lo Sheraton, e uomini e donne la frequentano separatamente in base ad una precisa turnazione su giorni alterni. I richiami alla religione finiscono qui, nessun rito officiato sulla spiaggia o altro, solo norme precise di comportamento che hanno più che altro a che fare con il decoro. Il Gordon Beach è particolarmente frequentato dagli amanti della pallavolo e degli sport in genere, tra cui il racchettone, considerato ufficiosamente sport nazionale. I nudisti si recheranno a Ga'ash, ad esempio: è un po' decentrata rispetto alla città, ma tutti potranno trovare interessante anche il vicino centro termale di Khamei Ga'ash, all'interno del quale si può pure alloggiare.

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Il turismo del benessere è sicuramente uno dei più fiorenti nella zona costiera d'Israele, dove troverete anche le terme di Hamei Yohav, con ben 11 piscine d'acqua termale calda e idromassaggio. La città vive di notte e di giorno, e tra le mete più belle vi segnaliamo lo Yarkon Park, nel cuore della città: si tratta di un enorme polmone verde cui si aggiunge un fiume delizioso e tutta una serie d'attrazioni che vanno dal semplice tappeto d'erba su cui stendere una tovaglia per un pic nic o praticare yoga alla pista ciclabile che la percorre in tutta la sua lunghezza, al piccolo zoo e alle tante iniziative culturali e musicali che la caratterizzano. Non è consentito nuotare nel fiume ma barche a pedali e canoe sono noleggiabili(anche se il week end e il tardo pomeriggio in genere possono rendere difficoltoso il reperimento di un mezzo libero). Il relax è qualcosa che respirerete ovunque andrete, anche perché si è affermata negli ultimi anni come una capitale internazionale della movida e tutti e tutto congiurano per creare e mantenere un ambiente propizio per incrementare questo tipo di turismo. Al Benedict, per dirne una, la colazione è servita ad ogni ora del giorno e della notte per i tiratardi d'ogni specie, mentre al Cafè Bialik, che non chiude mai, i concerti live sono il punto di forza ed è peraltro situato in una strada molto importante per la cultura cittadina: qui, infatti, sorge la casa dell'omonimo poeta e del pittore Rubin, di cui esiste una

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mostra permanente, proprio in Bialik Street. A proposito di storia e cultura, Jaffa, famosa per i suoi pompelmi e arance, è un'antica città, citata anche nella Bibbia per la sua importanza come porto fino a tutto il periodo medievale, ed attualmente è inglobata nell'area di Tel Aviv. Da qui, partono circa 14 chilometri di spiagge che si snodano fino ad arrivare al vecchio porto, ed è proprio in questo tratto di litorale che si concentra il cuore della mondanità, a partire dall'ora dell'aperitivo. L'Amelia Cafè Bistrò è famoso per la musica jazz suonata dal vivo a partire dalle cinque di ogni venerdì pomeriggio, in cui si cimentano di solito giovani band locali. Il Rothschild 12, che ospita anche dj set live, si trova nella cosiddetta Città Bianca: quest'ultima è patrimonio dell'Unesco dal 2003, per la sua storia e il suo aspetto, sicuramente da tutelare. Vi si trovano, infatti, circa 4.000 edifici, tutti di color bianco e dintorni, ispirati all'architettura razionalista Bauhaus degli anni '30, costruiti da architetti tedeschi ebrei sfuggiti alle

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persecuzioni naziste della prima ora. Presso il Bauhaus Center, potrete procurarvi cartine e guide per apprezzare appieno questa esperienza inusitata, e anche se molti edifici richiederebbero un urgente restauro, una passeggiata tra queste vie è sicuramente un must. Nell'area del vecchio porto, invece, c'è un quartiere in costante ascesa a partire da una ventina d'anni fa: il Namal è caratterizzato da una passeggiata di un chilometro e mezzo di legno ondulato su cui sorgono tanti ristoranti e bar, come il Boya famoso per la sua cucina di mare, e jazz club come lo Shablul, per prepararsi ad una serata tutta da inventare per le vie del centro. Gli amanti della discoteca si dirigeranno all'HaOman17, in cui suonano i dj più quotati del pianeta e in cui l'atmosfera è notevolmente elegante. I Vip locali frequentano il Cat&Dog, mentre il Breakfast club che si trova nel Rothschild Boulevard ed è la meta dei giovani che amano i party notte fonda. Naturalmente, troverete in città anche tanti musei, come quello delle ceramiche o quello dedicato alla diaspora, oppure potrete visitare alcune tra le centinaia di sinagoghe sparse per la città oppure i numerosi reperti architettonici risalenti all'epoca araba. Il mercato Carmel vi riporterà indietro nel tempo: è un vero bazar mediorientale in cui troverete di tutto, dalla frutta alle pentole, e se sceglierete il venerdì pomeriggio per operare i vostri acquisti, sappiate che la frenesia pre- shabbat vi farà sentire in un vortice di suoni e profumi; come in ogni suk che si rispetti, contrattare sul prezzo è cosa gradita… Da non perdere anche il mercatino delle pulci di Jaffa, che vi offrirà in ogni caso gli scorci più caratteristici, e il mercato artistico di Banyamin Nahalat. Tra le pieghe di questa storia passata troverete però un presente fatto di numerose vie da dedicare allo shopping contemporaneo, ristoranti con specialità di pesce, yogurterie in cui bere succhi e gustare yogurt squisiti, tanti locali in cui incontrare gente che arriva da tutto il mondo, dai contesti e dalle esperienze più disparate... Questo accade perché siamo su una delle sponde del Mediterraneo più ricche di storia e cultura, perché i tramonti mozzafiato aprono le porte ad una notte di musica e divertimento infiniti, perché dove gli opposti s'incontrano e convivono in buona armonia è sempre un bellissimo posto in cui vivere, anche solo per lo spazio di una vacanza…

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verona celebra

picasso Di Tobia Donà A distanza di ventisei anni dall'ultima retrospettiva veronese intitolata a Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) e a quattro dalla mostra-evento ospite di Palazzo Reale a Milano, il nord Italia torna a omaggiare uno dei massimi artisti del secolo scorso, con una rassegna dai grandi numeri. Fino al prossimo 12 marzo a Verona, nelle sale di AMO (Arena Museo Opera di Verona), la mostra dal titolo Picasso. Figure (1906-1971), porta nella città veneta ben novantadue opere dell'artista andaluso che tracciano, quasi una per anno, l'evoluzione cronologica e stilistica del suo approccio alla figura umana. Opere di pittura, scultura e arti grafiche creano un percorso capace di raccontare la metamorfosi a cui l'artista sottopone la rappresentazione del corpo umano, mentre la sua arte attraversa le fasi del pre- cubismo, del Cubismo, l'età Classica e il Surrealismo, fino a giungere agli anni del dopoguerra, superando le barriere e le categorie di “ritratto” e “scena di genere” per giungere sempre a un nuovo concetto di “figura”: quella che


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rese Picasso costruttore e distruttore al tempo stesso di un'arte solo sua, dal fascino inesauribile. Gertrude Stein, ritratta nel celebre dipinto il Ritratto di Gertrude Stein, che Picasso le fece nel 1906, e riconosciuto dagli storici dell'arte come il primo passo embrionale verso lo stile cubista (oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York) così descrisse il pittore per eccellenza: “La cosa su cui vorrei insistere è che il dono di Picasso è, fino in fondo, dono di pittore e disegnatore; Picasso è un uomo che ha sempre avuto il bisogno di vuotarsi, di vuotarsi completamente, Picasso ha bisogno di un forte stimolo per attivarsi al punto di vuotarsi completamente. In questo modo ha sempre vissuto la sua vita”. Svolta cubista che avvenne appunto attorno al 1906 e 1907. In quegli anni vi fu una grande retrospettiva sulla pittura di Cezanne, da poco scomparso, che molta influenza ebbe su Picasso. E, nello stesso periodo, come molti altri artisti del tempo, anch'egli s'interessò alla scultura africana, sulla scorta di quella riscoperta quell'esotico primitivo che aveva suggestionato molta cultura artistica europea da Gauguin in poi. È in questi anni che avvenne la definitiva consacrazione dell'artista, che raggiunse livelli di notorietà mai raggiunti da nessun altro pittore del '900. Con il patrocinio del Comune di Verona, la mostra -organizzata in collaborazione con il Musée national Picasso di Parigi e curata da Emilie Bouvard-


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porta in Italia per la prima volta 90 opere, tra le quali Nudo seduto (da Les Demoiselles d'Avignon del 1907), Il Bacio (la piccola e struggente tela del 1931) e La Femme qui pleure e il Portrait de Marie-Thérèse, entrambe del 1937, anno nel quale il Maestro partecipò all'Esposizione Mondiale di Parigi, esponendo nel Padiglione della Spagna il quadro «Guernica» che rimane probabilmente la sua opera più celebre ed una delle più simboliche di tutto il secolo scorso. La mostra veronese rappresenta un viaggio nel processo creativo picassiano attraverso sei sezioni, indagando il perché delle produzioni in serie e del riprendere sempre lo stesso soggetto da parte del Maestro, per riprodurlo nel corso degli anni (e cavalcando le diverse epoche e stili) al fine di raccontare quanto fosse ossessivo per Picasso il ripetersi, nelle proprie creazioni, della figura umana e dei ritratti. Tra foto e filmati d'epoca che accompagnano il visitatore alla scoperta del vissuto dell'artista, la mostra abbraccia l'arco temporale della sua produzione che va dal 1906 fino agli anni inizi degli anni '70 e racconta, oltre all'entourage intellettuale e letterario e agli studi sul movimento, anche la ricerca durante il primo dopoguerra di un nuovo primitivismo attraverso il disegno infantile, le fonti preistoriche e quel desiderio di liberarsi dalle forme che durerà fino agli anni '40.

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Piazza Saffi, 13 Punta Marina Terme (Ra) Tel.0544.437228 www.ristorantecristallo.com chiuso mercoledĂŹ


Parlando di questa città/emirato, avremo spesso a che fare con l'espressione “più ….. del mondo”: niente di casuale, ovviamente, perché qui fanno le cose sul serio… Partiamo dal grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, che sin dalla sua inaugurazione nel 2010 ha mantenuto questo record, con i suoi 828 metri d'altezza e un'infinità di modi per fruirne: nell'ipotesi, assolutamente realistica, che non abbiate nessun motivo per entrarci, visti i prezzi, potrete anche solo salire i suoi piani con un ascensore velocissimo (64 chilometri orari) che prenderete dal vicino Dubai Mall, e godervi il panorama. Da lassù potrete ammirare anche la Fontana di Dubai, che può contare su una vasta estensione, su giochi di luci e spruzzi estremamente spettacolari: forse solo a Las Vegas si può vedere qualcosa di paragonabile a quest'ideazione, giacché lo studio di design che l'ha realizzato è lo stesso che ha ideato la fontana del famoso Hotel Bellagio... Non solo appartamenti ed uffici, tutti di altissimo livello, ma anche l'esclusivo Hotel Armani, interamente griffato dall'omonimo stilista: collocato nei primi otto piani dell'edificio, riflette il rigore delle linee e la raffinatezza degli


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accostamenti cromatici giocati su variazioni, per lo più scure, di un'unica tonalità tipicamente Armani. Per il resto, di eccessivo c'è solo il prezzo, sui 13.000 dollari a notte, da pagare non in reception (incredibilmente non c'è per preciso volere di Re Giorgio, poiché da piccolo, a quanto pare ne aveva sacro timore…). All'arrivo, invece di passare dal bancone, si verrà affidati ad un lifestyle manager personale, che si occuperà dei lati pratici della nostra permanenza in albergo. Ad onor del vero, se la vostra passione è il lusso esagerato, altre strutture saranno in grado di soddisfarvi, peccato che per la maggioranza dei comuni mortali ciò sia destinato a restare solo un sogno. Tanto per entrare nell'ordine d'idee, sappiate che a Dubai troverete facilmente degli hotel sette stelle: il Burj Al Arab è uno di questi, più noto per essere una costruzione a forma di barca a vela che si protende nel mare, e forse il primo ad avviare la corsa all'abbellimento ed ammodernamento della città, nel 1999. La camera più piccola è grande circa 170 metri quadrati, la suite reale arriva a 780 e tutto sommato è economica: solo 9.000 dollari a notte… Campi da tennis, da golf ed ogni sorta di boutique completano l'offerta, ma ognuno dei grandi alberghi in questioni è in grado di stupire con effetti speciali. Il più avveniristico è senza dubbio l'Apeiron Island Hotel: come nel caso dell'albergo a forma di barca a vela, la costruzione poggia su un'isola artificiale appositamente realizzata, e in questo caso l'effetto isola è reale, visto che l'unico modo per raggiungerla è dal cielo o dal mare. Impossibile descriverne la forma: lo studio d'architettura che l'ha realizzata ha pensato a creare una specie di torre curvilinea spettacolare in cui racchiudere non solo suite di lusso assoluto, ma anche una galleria d'arte, una spa, un ristorante underwater e a circa 180 metri d'altezza, nei due piani più elevati della costruzione, una vera e propria giungla, con tanto di climatizzazione appropriata e rare specie di farfalle e piante. Un albergo sette stelle non si nega neppure a cani e gatti: l'Urban Tails Pet Resort è dedicato agli animali domestici che potranno godere di tv in camera, letto divano e ogni cosa possa ricreare un ambiente domestico. E per chi usa la suite, maggiordomo e limousine a disposizione, of course…. Scendendo ai cinque stelle, vi segnaliamo sulla famosa penisola a forma di palma, Jumeira Palm Island, un hotel davvero suggestivo: si tratta dell'Atlantis The Palm, che richiama le fattezze di un antico palazzo orientale, e che offre in ogni direzione una vista invidiabile sul mare e sulla città. Non lasciatevi ingannare dal numero di stelle: in una suite, disposta su tre piani, camera da letto e bagno sono sott'acqua, per un effetto acquario

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strabiliante, in un'altra si hanno a disposizione i camerieri ventiquattr'ore al giorno, quando è l'ora dei pasti si hanno a disposizione alcuni tra i migliori chef del mondo per deliziarvi con ogni possibile prelibatezza, e come se non bastasse, oltre alle solite boutiques e centri benessere, avrete a vostra disposizione l'Aquaventure, il più grande parco acquatico in questa zona del mondo, e nuotare con i delfini non sarà più solo un sogno… Tornando ai sette stelle e alle grandi firme italiane, da segnalare Palazzo Versace con mosaici e acquari in tutte le suite e gli appartamenti e uno stile inconfondibile che ben si sposa con il gusto locale. Piccolo particolare: nella spiaggia privata del resort, non avrete modo di scottarvi i piedi, visto che la sabbia è raffreddata grazie a tubature apposite che passano nel sottosuolo. Il dettaglio non è solo luxury, in realtà il clima in queste zone è un po' problematico per un turista, anche se ricco. Gli unici mesi in cui si gode di temperature accettabili per restare all'aria aperta vanno da metà dicembre a metà febbraio, quando si hanno anche tutte le precipitazioni previste durante l'anno. Questo crea dei disagi in città e degli excursus di temperature non proprio salutari: se proprio volete evitare le piogge, scegliete i mesi più vicini a questo range, perché luglio e agosto sono davvero off limits. Infatti, l'umidità dell'aria diventa talmente insopportabile, a causa della vicinanza del mare (nel quale si raggiungono le temperature più alte del pianeta), che persino i ricchissimi emiri hanno residenze estive verso l'interno. Muoversi in città non è un problema: il taxi è sicuramente il mezzo più usato, ma un ottimo mezzo di trasporto è costituito dalla metropolitana. Si può già usufruire della linea rossa che collega Jebel Ali all'aeroporto, passando per il centro. E poi, per quanto riguarda le destinazioni, si può scegliere se tuffarsi nella magnificenza dei centri commerciali, in particolare il Dubai Mall non vi deluderà: è il più grande del mondo per estensione e per il numero di negozi in esso racchiusi, circa 1200. Può deliziare tutti i maniaci dello shopping: non mancano, infatti, un multisala cinematografico, un parco divertimenti, il negozio di dolciumi più esteso del pianeta ma soprattutto l'acquario sospeso più grande del mondo, con un immenso pannello acrilico in grado di resistere ad una pressione enorme, che permette la visione delle circa trentatremila specie di animali marini contenute. Un altro centro commerciale, il Mall of the Emirates, vi proporrà al suo interno addirittura delle piste da sci, da slittino ed uno snowpark dedicato ai più piccoli. La città è attraversata da un fiume, il Creek, sul quale è possibile navigare con le imbarcazioni di legno caratteristiche del luogo,

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le abra, per passare da una sponda all'altra della Dubai tradizionale, Bur Dubai e Deira. Qui entrerete in un'altra dimensione, fatta di souk in cui si respira l'atmosfera araba più autentica, tra ori (per la loro produzione orafa tipica esiste un souk dedicato), tessuti e artigianato vario, tra il canto dei muezzin e le tradizioni legate alla cultura della pesca, che caratterizzano la più autentica identità storica di questo paese attualmente in continua evoluzione. Un cantiere a cielo aperto, una sintesi perfetta delle esigenze del capitalismo che però anche qui subiscono battute d'arresto e crisi su cui vale la pena almeno fermarsi a riflettere. In generale, sappiate che, tranne nel distretto del lusso, Jumeirah per intenderci, la vita non è così cara come si potrebbe immaginare, ma alla ricchezza corrisponde spesso un'umanità parallela, come i giri di prostituzione, soprattutto russa, a Deira in particolare, dove è preferibile non soggiornare. Bur Dubai non è propriamente una old town, visto che è di recente costruzione: piuttosto le sue architetture si ispirano al passato ed è possibile farsi una bella passeggiata lungo il viale di palme e prendersi un drink nella hall dell'hotel The Palace. In questa città di eccessi, troverete insomma anche una dimensione più umana, potrete persino buttarvi sulle spiagge di sabbia bianca e mare limpido o sulla visita del locale museo, allestito in un fortino del '700, una delle costruzioni più antiche che troverete qui. Per il resto, fate scorta di dolcetti tipici, di sensazioni ed immagini: non le dimenticherete facilmente…


NEW COLLECTION 2017


Merry Christmas grazie per la fiducia che anche quest’anno ci avete dimostrato, ci fate sentire orgogliosi del nostro lavoro

Lo staff del Radicchio Rosso vi augura Buone Feste Ravenna via Stradone, 74 info e prenotazioni 0544.432288 fax. 0544.433610 info@radicchiorosso.it chiusura settimanale mercoledĂŹ si accettano prenotazioni per il pranzo di Natale e il Cenone di San Silvestro menĂš libero


Di Tobia Donà Danila Tkachenko è nato a Mosca nel 1989. Dopo un lungo viaggio in India, si appassiona alla fotografia e si iscrive alla Scuola di fotografia e arti multimediali Rodchenko, a Mosca. Il suo primo lavoro, Escape, dedicato agli eremiti nella natura selvatica russa, riceve il plauso delle giurie internazionali e viene pubblicato nel 2014 in un volume edito da Peperoni Books. Nel 2015 esce il volume Restricted Areas, edito in Italia da Peliti Associati, promotore del premio European Publishers Book Award. In occasione della venticinquesima edizione del SIFEST, lo storico festival di fotografia che si svolge a Savignano sul Rubicone, è stata allestita la mostra Restricted Areas, una serie di grandi fotografie a colori di Danila Tkachenko. Per tre anni il giovanissimo e straordinario talento della fotografia russa, in linea con le istanze piÚ internazionali e contemporanee, ha viaggiato il suo paese, dal Kazakistan alla Bulgaria, al Circolo Polare Artico, alla ricerca di quelle restricted areas, che dalla seconda guerra mondiale alla caduta dell'Urss, sono rimaste segrete, mute persino sulle carte geografiche. Sono stati i simboli dell'utopia e oggi sono le rovine di una potenza che voleva conquistare il mondo, dal sottosuolo allo spazio. Un dato biografico avvia questo imponente lavoro di GRFXPHQWD]LRQH /D QRQQD GL 'DQLOD YLYH D ýHOMDELQVN D SRFKL FKLORPHWUL GD


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XQ DOWUD FLWWj LGHQWLFD QHO QRPH PD FKLXVD HG LQYLVLELOH ILQR DO Ă˝HOMDELQVN 40. Ăˆ qui che viene creata la prima bomba nucleare sovietica, ed è in quest'area che nel 1964 avviene una delle piĂš spaventose catastrofi nucleari della storia, pari a Chernobyl. Tutto sotto silenzio. Quello stesso silenzio, quella stessa coltre di PLVWHUR H WHUURUH FKH QHOOH IRWRJUDILH GL 7NDFKHQNR VL WUDVIRUPD QHO ELDQFR immacolato della neve. Cosa rimane di un impero che ha sacrificato ogni ricchezza e milioni di vite in nome della tecnocrazia? La risposta di un ragazzo nato nell'anno della caduta del Muro e a pochi mesi dalla fine dell'Unione Sovietica sono queste splendide immagini, che nel 2015 hanno entusiasmato le giurie dei premi European Publishers Award for Photography, 30 under 30 Magnum Photos, Emerging Photographer Fund Grant, Foam Talent, CENTER Choise Awards, e lacritique.org Award. Nella cornice di un lunghissimo inverno

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ideologico, appaiono i laboratori in rovina di una cittadella scientifica al Polo Nord, specializzata nelle ricerche biologiche, quindi la carcassa di un aeroplano, il famoso VVA14 a decollo verticale, prodotto in due soli esemplari, e ancora un'antenna parabolica per le comunicazioni interplanetarie; e di nuovo gli edifici ormai vuoti di una città dove venivano prodotti i missili, chiusa definitivamente nel 1992, e accanto, in scala minima, una semplice asta di ferro nella tundra ghiacciata a indicare il luogo dove, a chilometri in profondità , sono esplose bombe potentissime. In ultimo, come se il gelo della guerra fredda e della minaccia atomica avesse imprigionato ogni vita, emerge dalla neve il monumento ai lavoratori di una stazione nucleare. Ogni cosa è abbandonata. Del progresso e della fede cieca nelle sue conquiste non restano che rovine su fondo bianco. E questo, spiega il fotografo, vale per qualsiasi ideologia e a qualsiasi latitudine.

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atmosfera e sapori Cucina del territorio rivisitata Specialità di carne e pesce Pane fatto in casa Preparazione a base di foie gras e tartufi in stagione Formaggi d’alpeggio con mostarde e confetture Ampia selezione di vini nazionali

Aperto a pranzo anche per colazioni di lavoro. Ideale la sera, per cene intime, in una romantica atmosfera

AL BOSCHETTO OSTERIA

Una tessera gastronomica nella mosaicale creatività di Ravenna

Via Faentina, 275, San Michele Ravenna (chiuso Giovedì) Tel.0544. 414312


140 SCATTI HENRY CARTIER-BRESSON Prostitute. Calle Cuauhtemoctzin, Città del Messico,Messico 1934

140 scatti di Henri Cartier-Bresson, in mostra alla Villa Reale di Monza fino al 26 febbraio 2017, dedicati al grande maestro, per immergerci nel suo mondo, per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica. Quando scatta l'immagine guida, che è stata scelta per questa sua nuova rassegna monografica, Henri Cartier-Bresson ha appena 24 anni. Ha comprato la sua prima Leica da appena due anni, ma è ancora alla ricerca del suo futuro professionale. È incerto e tentato da molte strade: dalla pittura, dal cinema. “Sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura. […] Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” affermava. Non capire nulla di fotografia significa, tra l'altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel qui e ora, nella risposta immediata del soggetto. Per Cartier-Bresson, la tecnica rappresenta solo un mezzo che non deve prevaricare e sconvolgere l'esperienza iniziale, reale momento in cui si decide il significato e la qualità di un'opera. “Per me, la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell'intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo. Per 'dare un senso' al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione”. Henri Cartier-Bresson non torna mai ad inquadrare le sue fotografie, non opera alcuna scelta, le accetta o le scarta. Nient'altro. Ha quindi pienamente ragione nell'affermare di non capire nulla di fotografia, in un mondo, invece, che ha elevato quest'arte a strumento dell'illusione per eccellenza. Lo scatto è per lui il passaggio dall'immaginario al reale. Un passaggio “nervoso”, nel senso di lucido, rapido, caratterizzato dalla padronanza con la quale si lavora senza farsi travolgere e stravolgere. “Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge. In quell'istante, la cattura dell'immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale”. I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l'ordine delle forme. Egli


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Viale del Prado, Marsiglia, Francia 1932

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compone geometricamente solo però nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi. La composizione di Henri CartierBresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo. “Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”. Per parlare di Henri Cartier-Bresson – afferma Denis Curti, curator per la Villa Reale - è bene tenere in vista la sua biografia. La sua esperienza in campo fotografico si fonde totalmente con la sua vita privata. Due episodi la dicono lunga sul personaggio: nel 1946, viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra "postuma", credendolo morto in guerra e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, con immensa ironia dedica oltre un anno alla preparazione dell'esposizione, inaugurata nel 1947. Sempre nello stesso anno fonda, insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour, e William Vandivert la famosa agenzia Magnum Photos. Insomma, Cartier – Bresson è un fotografo destinato a restare immortale, capace di riscrivere il vocabolario della fotografia moderna e di influenzare intere generazioni di fotografi a venire. A proposito della creazione Magnum Photos, ancora oggi fondamentale punto di riferimento per il fotogiornalismo, Ferdinando Scianna, per molti anni unico membro italiano ha scritto: “Magnum continua a sopravvivere secondo l'utopia egualitaria dei suoi fondatori. In modo misterioso è riuscita finora a fare convivere le più violente contraddizioni. Questa è la cosa che più mi appassiona. Per quanto mi riguarda, sicilianissimo individualista, ho difficoltà a sentirmi parte di qualunque tipo di gruppo, ma so che se devo riferirmi a una appartenenza culturale è in quella tradizione che mi riconosco”. La mostra Henri Cartier-Bresson Fotografo è una selezione curata in origine dall'amico ed editore Robert Delpire e realizzata in collaborazione con la Fondazione Henri CartierBresson, istituzione creata nel 2003 assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie e che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti. Obiettivo della rassegna è far conoscere e capire il modus operandi di Henri Cartier-Bresson, la sua ricerca del contatto con gli altri, nei luoghi e nelle situazioni più diverse, alla ricerca della sorpresa che rompe le nostre abitudini, la meraviglia che libererà le nostre menti, grazie alla fotocamera che ci aiuta ad essere pronti a coglierne e ad immortalarne il contenuto. La mostra, curata da Denis Curti per la Villa Reale, è promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e da Nuova Villa Reale di Monza in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi e organizzata da Civita Mostre con il supporto di Cultura Domani.


BIOMORFISMI

Di Lolo Ciscko Biomorfismi è il titolo della mostra allestita alla Galleria Comunale d'Arte del Palazzo del Ridotto di Cesena, dedicata agli artisti Piero Gilardi, Mattia Moreni e Francesco Bocchini, a cura di Marisa Zattini. La mostra "Biomorfismi" pone l'accento sul rapporto Uomo/Natura e sulla sua eticità, nel concetto più ampio che comprende la "commons art". Un'indagine nel contemporaneo italiano attraverso le opere di questi interessanti "navigatori solitari". Il binomio Uomo-Natura connota fortemente la loro opera…vediamo come. Piero Gilardi (Torino 1942), sottolinea: «nella dimensione fenomenologico-esistenziale, le sue preoccupazioni per la tecnologizzazione del mondo e la lettura critica della civiltà dei consumi sono tematiche ricorrenti in tutta la sua creatività, a cominciare dai famosi tappeti-natura, opere che mantengono il concetto di lavoro artistico come atto relazionale in cerca di nuove possibilità estetiche e linguistiche offerte dalla società del consumo».


BIOMORFISMI

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Nelle opere biomorfiche, l'artista persegue l'obiettivo della interattività, multidimensionalità e polisensorialità. Le minacce agli equilibri naturali, fortemente sentiti e denunciati come pure i disequilibri sociali, prendono corpo in opere ibridate, installazioni interattive declinate fra "naturale/artificiale" dove la dimensione ecologista si fonde con una energia "in fibrillazione". Lo stesso artista - nel recentissimo libro La mia biopolitica (Prearo editore, Torino 2016), che raccoglie scritti che vanno dal 1963 al 2014 s'interroga sul ruolo culturale e sociale «della sua frattale soggettività di uomo e di artista». Mattia Moreni (Pavia 1920Brisighella 1999), può essere definito artista dall'urlo barbarico. Nel suo monologo n.°2, L'assurdo razionale perché necessario, si legge che «la fantasia è una nevrosi chimica di cui non conosciamo ancora la combinazione». E ancora: «Il perché è la molla del fare; il modo e il come è il linguaggio». Perché «il linguaggio non è parlare, non è neanche l'estetica; il linguaggio è la

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BIOMORFISMI

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nascita di cose, di fenomeni e di significati diversi, direi quasi incomprensibili anche se decifrabili; e le interpretazioni sono punti di vista geografici». Per questa mostra sono stati selezionati alcuni cartelli, angurie, alberi ed una suggestiva scultura, provenienti da collezioni romagnole. Tutti "smisurati feticci" che appartengono ad un ordine sensoriale-intellettuale. La scelta dello scultore Francesco Bocchini (Cesena 1969), mira alla valorizzazione di un nostro artista del territorio - anche se ben conosciuto a livello europeo - che ben si allinea all'operato dei due grandi mastri italiani per aver «vissuto in maniera totale e sincera, sotto il segno di un codice poetico e artistico preciso, originale, assoluto il processo della creazione» (M. Cavallarin). Il suo è un mondo fatto di metafore ferrose e di assemblaggi complessi che raccontano geografie "ornamentali" di ordinaria quotidianità e memoria. Per questo evento sono state selezionate alcune composizioni floreali ed alcune sue tipiche "vetrinette".

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La fotografia d'autore sta vivendo una stagione molto intensa, sia per quanto riguarda l'interesse popolare sia per la quantità – e qualità- di mostre che caratterizzano la proposta di musei e gallerie. Dopo lo sfolgorante successo di Steve Mc Curry, quest'anno Forlì riprova ad attirare attenzione, energie e pubblico con una mostra fotografica firmata da Sebastião Salgado e, a giudicare dai primi numeri, l'operazione sta raccogliendo enormi consensi. Dopo aver toccato varie città in giro per il mondo, da Roma a Londra, da Toronto a Rio de Janeiro, e varie location italiane, le 245 fotografie della collezione Genesi, cui il grande fotografo documentarista brasiliano ha dedicato otto anni di prezioso lavoro, a partire dal 2003, si offre ai nostri occhi in tutte le sue suggestioni. Un rigoroso quanto evocativo bianco e nero caratterizza tutti gli scatti, raccolti nei luoghi più remoti del pianeta, dove ancora è possibile sorprendere attimi di vita e attività umana in armonia con la natura. Ed è proprio la Terra, la protagonista di questo splendido tributo: un ecosistema da preservare e proteggere contro ogni azione che tenda a modificarlo irrimediabilmente e a mettere in pericolo chi lo abita. Uno sguardo lirico, intenso, la cui perfezione aggiunge respiro e senso a ogni


© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

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inquadratura: una prospettiva che ci riporta alle nostre origini, a quella disarmante nudità -di corpi e d'intenzioni- che rende lo iato tra il mondo che noi abitiamo e il loro, abissalmente distanti, inconciliabili, irrimediabilmente divergenti. Eppure, nell'attimo in cui osserviamo l'immagine fermata da Salgado, tra i vapori dell'Amazzonia o i brividi dell'Artico, le rispettive essenze si incontrano, e in quelle linee, in quegli occhi, in quei corpi, in quella natura riusciamo a scorgere una eco lontana della nostra genesi, appunto. Salgado inizia la sua carriera negli anni '70, e i suoi progetti lo hanno portato nel corso del tempo prima in America Latina, tra gli indios e i contadini, poi in Africa per documentarne le carestie. Inoltre, ha fissato su pellicola la fine della manodopera industriale su larga scala e l'umanità in movimento. Tutto il lavoro di Salgado presente a Forlì presso la Chiesa di San Giacomo, fino al 29 gennaio 2017, è legato all'esigenza di renderci

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© Genny Cangini / Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

La mostra è promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Eorlì, Civitas srl, Comune di Forlì e Musei San Domenico, Forlì. Info .www.mostrasalgadoforli.it

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consapevoli della posta in gioco, in relazione alla scellerata gestione ambientale del nostro pianeta. Non ha fotografato i pinguini che si tuffano dai ghiacci nell'oceano o la coda della balena che lenta e maestosa si solleva dalle acque dell'oceano, al largo dell'Argentina, con lo spirito del ricercatore scientifico, ma del semplice curioso, e la carica di meraviglia presente in ogni frame restituisce intatta questa attitudine fotografica e giornalistica e la proietta sullo spettatore, a sua volta curioso osservatore di mondi lontani. È una carrellata d'immagini che non dimenticherete, per efficacia, tagli di luce, espressioni, luminosità e tenebre, passato e futuro interiore, un'affascinante amalgama di creature, umane e non, che insieme costruiscono la bellezza più essenziale, che parla alla nostra parte più ancestrale e profonda, e che forse è tra quelle che desideriamo e rimpiangiamo di più.

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Amanti del surf, sognatori del sole della California mentre qui il cielo grigio è su e le foglie gialle giù…sappiate che San Diego vi aspetta in ogni momento dell'anno per accogliervi a braccia aperte e per stupirvi con le sue attrazioni. San Diego è la città più a sud della California e si trova a poco più di venti chilometri da Tijuana, che è la prima città del Messico che s'incontra oltre il confine: molti la sceglierebbero non solo per una vacanza ma addirittura per una scelta di vita definitiva, in un luogo tranquillo, vicinissimo al mare e al tempo stesso alle montagne, ricco di pregi d'ogni tipo. Il clima è senza dubbio tra questi: può contare su una temperatura gradevole per tutto l'anno perché d'inverno non è mai troppo fredda e d'estate mai eccessivamente torrida. I surfisti, o meglio, i professionisti del surf, sono parte del colore locale e le spiagge di Ocean Beach e Pacific Beach sono le più amate e frequentate, anche dai turisti, per l'alta


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densità di onde alte, le strutture alberghiere e di ristorazione e l'indubbia bellezza del mare. Anzi, si potrebbe scegliere proprio la costa californiana come possibile filo conduttore per un viaggio di un paio di settimane: basta percorrere la Pacific Highway e ci si ritrova in posti davvero affascinanti. In particolare, a nord di San Diego, troverete La Jolla, una piccola città dedicata al lusso, con una grande spiaggia alla Baywatch e ristoranti e alberghi esclusivi. Un delizioso museo dell'arte contemporanea e una serie d'istituti collegati all'università di San Diego la rendono molto popolare tra gli studenti, per i quali è sicuramente un importante polo d'aggregazione. Sempre a proposito di mare, proprio di fronte a San Diego sorge l'isola di Coronado, cui si può giungere, sia prendendo un traghetto, sia percorrendo il ponte che parte dalla Downtown e giunge direttamente sull'isola: quest'ultima soluzione è sicuramente più spettacolare, poiché il panorama che si può apprezzare durante il percorso è davvero unico. Anche Coronado è un piccolo gioiellino dedicato al lusso, come dimostrano le villette che la punteggiano e l'Hotel de Coronado, che è un'attrazione in sé. Ricordate la commedia di Bill Wilder “A qualcuno piace caldo” e la sua meravigliosa protagonista Marilyn Monroe? Parte del film è stato girato proprio in questo albergo di legno costruito in stile vittoriano: già molto frequentato dai vip dell'epoca, accrebbe la sua


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notorietà proprio grazie a questa indimenticabile pellicola. Oggi è possibile soggiornarvi e visitare i suoi giardini estremamente curati e la piscina, oltre ai negozi che si trovano nella hall. Le spiagge di Coronado sono il sogno di chiunque adori lunghe passeggiate tra la sabbia e l'oceano, e in particolare la Coronado Central Beach è dedicata a chi ama godersi quest'attività insieme al proprio cane, con un tratto dedicato espressamente a loro. Inutile dire che durante il week end quest'isola diventa la meta preferita dagli abitanti di San Diego, quindi se si vuole passare la notte qui nel fine settimana è necessario prenotare con anticipo. Coronado può contare su una pista ciclabile che la percorre tutta: noleggiare una bici è quindi il modo migliore per godersela. Tornando a San Diego, nella zona del porto, il museo galleggiante della Marina Militare statunitense, l'USS Midway Museum, vi catapulterà in un'atmosfera senza eguali. Salire su quello che è un vero e proprio monumento galleggiante della potenza militare statunitense, è di quelle esperienze da raccontare: 67 anni di storia da percorrere in tutti i suoi angoli, dalle cabine alla sala comandi, oltre alla possibilità di ammirare tutti i tipi d'aerei che ha fatto decollare nel corso degli anni, dal 1945 fino al 2004, disposti sul ponte d'atterraggio. La visita dura due ore e mezza ma è impossibile annoiarsi, anche se non si è particolarmente interessati

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all'argomento. Un'attrazione di tutt'altro genere, ma anche questa molto famosa, è il Balboa Park. E' il parco cittadino che renderebbe gradevole per chiunque, soprattutto a famiglie con bambini, vivere in questa città: gli spazi sono sterminati, com'è normale negli States, e il verde declinato in tutte le sue forme lo rendono il parco naturale urbano più famoso del paese. Impossibile elencare tutte le attrazioni presenti, dai giardini dedicati alle più svariate specie floreali a biblioteche, musei, teatri, strutture sportive, negozi, ristoranti e ogni altro polo d'aggregazione si riesca ad immaginare. Basta dare un'occhiata al sito ufficiale per farsene un'idea più precisa. In città è presente anche lo zoo urbano più grande del mondo, che vi stupirà con oltre 4.000 specie d'animali, tra cui panda, koala e orsi bianchi, e non manca una vasca per ippopotami. Assolutamente da non perdere la nursery in cui sono accuditi dal personale dello zoo i tenerissimi cuccioli delle specie ospitate, e il tutto dietro un vetro, attraverso cui è possibile vedere ogni cosa. Il Wild Park non è da meno: a bordo di un trenino, in poco meno di un'ora, visiterete una superficie imponente che ospita circa 260 specie animali, tra cui elefanti, leoni, condor e gorilla e potrete vederli in un ambiente davvero mozzafiato. Accamparsi qui di notte è piuttosto caro, ma l'esperienza è impagabile. Il Seaworld offre emozioni altrettanto forti, in contesto marino: è ideale da visitare in estate,


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quando si può provare il brivido di lanciarsi sulle montagne russe che attraversano l'acqua, ma i suoi spettacoli, naturali e non, sono splendidi tutto l'anno. Leoni marini, orche, foche e delfini ammaestrati costituiscono un'attrazione sempre divertente per grandi e piccini, mentre sono davvero suggestive le ricostruzioni della banchisa polare con tanto di pinguini e la galleria trasparente che passa sotto la vasca degli squali. Parliamo infine del centro storico di San Diego, che merita un discorso a sé: il quartiere Gaslamp è il più caratteristico ed è risalente al 1870, con edifici d'epoca perfettamente restaurati e lampioni di ferro battuto che creano un'atmosfera emozionante in una zona in ogni caso ricchissima di locali, negozi, ristoranti. La rinascita di questo quartiere è iniziata negli anni '70 ed oggi è un luogo di gran bellezza e fruibilità: prima di ciò, era senz'altro tra i più malfamati della città. L'Old town invece è il più antico in assoluto, quello su cui furono edificati i primi insediamenti, non solo della città ma dell'intera California. E' caratterizzato da costruzione in stile coloniale spagnolo e dal 1968 è stato istituito l'Old Town State Historic Park, per preservarne alcuni luoghi storici, come la Casa de Bandini, costruita nella prima metà dell'Ottocento, che attualmente ospita un ristorante. Potrete girare il quartiere ma anche tutta la città in modo moto pittoresco, montando su un old trolley, un antico tram su ruote, che per la modica

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cifra di 34 dollari vi porterà dappertutto, e per un'intera giornata. E sempre in centro città troverete Little Italy, un insediamento nato grazie agli emigranti siciliani e genovesi, che avevano intravisto buone possibilità di dedicarsi alla pesca del tonno nella baia di San Diego. Non troverete qui i discendenti di quei coraggiosi italiani, ma un cartello che vi avvisa dell'ingresso nel quartiere e una serie di negozi, alberghi e ristoranti che rendono la zona particolarmente adatta ad ospitare turisti, vista anche l'estrema vicinanza all'aeroporto e alla sua posizione centralissima. Sono solo piccole tracce per un percorso che può prendervi pochi giorni o tutta la vita, dipende da quanto vi lascerete catturare da quest'angolo di mondo in cui potrete avere modo di fare tantissime cose e visitare miriadi di posti, oppure assolutamente nulla, come leggere un libro nel parco, in ogni caso senza mai annoiarvi.

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Di Lehila Laconi Resterà aperta sino al 5 marzo 2017, presso il Palazzo della Gran Guardia di Verona, la mostra I Maya. Il linguaggio della bellezza, una delle più grandi ed esaustive esposizioni su questa antica civiltà che siano mai state prodotte a livello internazionale, con oltre 300 opere provenienti dai principali musei del Messico. Resa possibile grazie al generoso e fondamentale intervento dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH), la mostra è promossa dal Comune di Verona con il supporto di Arena Museo Opera (AMO), ed è prodotta e organizzata da Arthemisia Group e Kornice, e presentata alla stampa dal Sindaco Flavio Tosi, dalla presidente di Arthemisia Group Lole Siena, dall'amministratore delegato di Kornice Andrea Brunello e dal professor Antonio Aimi, curatore dell'esposizione. “Siamo orgogliosi di poter presentare a Verona questo tributo ad una delle civiltà più misteriose e affascinanti della storia del genere umano” ha detto il Sindaco Tosi. “Grazie a uno straordinario concorso di forze, che ha visto unirsi il nostro Paese con i più prestigiosi istituti culturali del Messico, Verona avrà la possibilità di godere di questa opportunità irripetibile, che certamente saprà attrarre nella nostra città migliaia di visitatori. Prosegue quindi con successo la collaborazione con Arthemisia, per proporre grandi eventi espositivi che sappiano attrarre, anche al di fuori della stagione estiva, un


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flusso costante di turisti e visitatori.” Come ha affermato il Ministro Franceschini da Città del Messico, annunciando la mostra a Verona, si tratta di un'esposizione straordinaria e unica in Italia nel suo genere, destinata a portare grandi numeri, con centinaia di migliaia di presenze previste. La mostra di Verona curata da Antonio Aimi e Karina Romero Blanco affronta per la prima volta il tema della cultura di questo antico popolo attraverso le parole e i testi degli stessi Maya, utilizzando - come mai è avvenuto in passato - la più grande rivoluzione antropologica dell'ultimo secolo: la decifrazione della loro scrittura. Parallelamente, l'esposizione offre uno sguardo nuovo, innovativo e sorprendentemente attuale sull'arte maya a partire dall'individuazione dei maestri, delle scuole e degli stili: finalmente si ha la possibilità di rapportarsi alle opere attraverso una lettura storico-artistica e non solo archeologica. Strutturata in quattro sezioni, inizia con l'indagare l'antica tradizione di decorare il corpo umano nella sezione “Il corpo come tela”, analizzando gli interventi sul corpo umano, al fine di modificare l'aspetto fisico per ragioni estetiche, rappresentano un elemento comune a tutte le società, attuali e del passato. Nel mondo mesoamericano in generale e, nello specifico, in quello maya, nel quale la bellezza aveva un ruolo importante, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività. Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, hanno cambiato per tutta la vita l'aspetto delle persone che li avevano, ed erano infatti considerati espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale Tra le modifiche permanenti, hanno acquisito particolare importanza la scarificazione del viso, la decorazione dei denti e la modifica artificiale della forma della testa, lo strabismo intenzionale e la foratura per poter portare ornamenti applicati su orecchie, naso e labbra. “Il corpo rivestito”, seconda sezione della mostra, si sofferma in seconda analisi sull'abbigliamento, che rappresenta un vero e proprio linguaggio, con un suo vocabolario ed una sua grammatica, e, benché sembri manifestarsi nell'effimero e nel superficiale, va invece a toccare elementi essenziali e basilari. Attraverso l'abbigliamento, infatti, esprimiamo molti aspetti della nostra personalità, come la nostra cultura, la condizione sociale, la professione, la provenienza e addirittura lo stato d'animo. Così, dunque, per i Maya l'abito è indicativo dello status sociale dell'individuo. La maggior parte della popolazione impegnata in lavori agricoli presenta un abbigliamento semplice: le donne con la tradizionale


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blusa chiamata huipil e la gonna o la tunica, mentre gli uomini con un perizoma legato intorno alla vita, e talvolta un lungo mantello sulle spalle. La classe nobile indossava costumi elaborati, con accessori come cinture, collane, copricapo e pettorali tempestati di pietre preziose e piumaggi. I tessuti, ricchi di colori, erano tinti con indaco, cocciniglia o porpora, ed erano lavorate con tecniche molto complesse, come il broccato, ad esempio, e spesso presentavano integrazioni di piume. Penultima sezione del percorso espositivo, da titolo “La controparte animale”, pone l'accento sul ruolo degli animali che hanno sempre avuto un posto privilegiato nel simbolismo religioso di diverse culture, perché dotati di una forza vitale e fisica superiori a quelle degli esseri umani: hanno artigli e una vista acuta, possono volare e sopravvivere sotto acqua. Sono simboli e incarnazioni di energie divine che entrano in contatto con gli uomini. Molti esseri provenienti dal mondo degli animali erano considerati sacri dai Maya. Gli animali erano simboli di forze naturali e livelli cosmici, epifanie di energie divine, demiurghi tra gli dei e l'uomo, protettori di stirpi e alter ego degli esseri umani. Nella visione del mondo Maya tutti gli esseri viventi, gli animali e le piante, hanno una controparte soprannaturale, e quindi sacra. In particolare, si credeva che i governanti potessero rafforzare il loro potere ricorrendo a certe forze soprannaturali che permettessero alle loro wayo'ob -ovvero le loro animedi lasciare il corpo durante la notte, e di spostarsi in modo indipendente, trasformandosi in creature fantastiche dall'aspetto animale. A concludere il nutrito percorso didattico, “I corpi delle divinità”: i Maya adoravano molte divinità ed entità sacre di diversa natura, che potevano incarnare i poteri più grandi o essere custodi di piccole piante, di piccoli corsi d'acqua o delle montagne. Le loro rappresentazioni includono caratteristiche umane ed animali, piante e altri elementi immaginari. A questi dei ed esseri sacri è stata attribuita l'origine di quei terrificanti fenomeni naturali di cui avevano paura, e dell'espressione materiale e spirituale di tutto ciò che esiste. Il pantheon Maya è enormemente complicato, perché ne fanno parte divinità con caratteristiche contrapposte: allo stesso tempo maschili e femminili, giovani e vecchie, animali e umane, creative e distruttive, come la natura stessa a cui si ispirano. Possono anche essere divinità composite, frutto della sovrapposizione di diverse divinità, che ora siamo in grado di riconoscere grazie alle belle rappresentazioni plastiche che ci sono giunte dagli antichi Maya. Da segnare in agenda.

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THE JAPANESE HOUSE ARCHITETTURA A VITA DAL 1945 A OGGI Nel Giappone azzerato dalla Seconda Guerra Mondiale ed economicamente incapace di progettare grandi insediamenti pubblici, le città si trasformano lentamente in corpi vitali, apparentemente disordinati, in espansione continua, in cui piccole case unifamiliari vengono costruite, demolite e ricostruite senza sosta. Dal 9 novembre 2016 al 26 febbraio 2017, con la mostra The Japanese House co-prodotta con Japan Foundation, Barbican Centre e Museum of Modern Art Tokyo, il MAXXI, intende raccontare la centralità del tema della casa nell'architettura e nella società giapponese, attraverso il lavoro di archistar come Kenzo Tange, Toyo Ito, Kazuyo Sejima e Shigeru Ban, quello di alcuni dei loro maestri finora meno conosciuti in occidente, come Seike Shirai, Kazuo


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Shinohara, Kazunari Sakamoto, e di un manipolo di giovani progettisti straordinariamente promettenti. La mostra nata da una idea di Kenjiro Hosaka e Yoshiharu Tsukamoto è curata da Pippo Ciorra Senior, Curator del MAXXI Architettura diretto da Margherita Guccione, in collaborazione con Kenjiro Hosaka (National Museum of Modern Art, Tokyo), Florence Ostende (Barbican Centre, London) e la consulenza di Yoshiharu Tsukamoto (Atelier Bow-Wow / Tokyo Institute of Technology). È la prima mostra italiana dedicata a un tema che ha prodotto alcuni dei più influenti e straordinari esempi di architettura moderna e contemporanea. Oggetto ricorrente dell'immaginario artistico, cinematografico e

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visivo, la casa è anche il luogo concettuale nel quale società e cultura giapponese fanno incontrare due attori fondamentali della modernizzazione del paese: la tradizione, col suo sistema di regole e consuetudini, e la propensione all'innovazione e alla ricerca espressiva più radicale. The Japanese House affronta alcuni temi principali, presentando aspetti essenziali dello spazio domestico e architettonico giapponese, rivelando la ricchezza espressiva di questi progetti e la capacità di creare sempre un'inattesa armonia tra l'uomo, l'edificio e il contesto che lo ospita, urbano o naturale che sia. Il primo tema che ci viene proposto, quello della convivenza tra aspetti tradizionali e innovazione architettonica estrema, che

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vediamo nelle prime case in legno di Kenzo Ta n g e m a a n c h e i n p r o g e t t i p i ù esplicitamente “d'avanguardia”, come la Sky House di Kikutake o nelle opere più recenti di SANAA e Toyo Ito. Il secondo è quello della continuità della cultura giapponese, valido in architettura come in tutti gli altri campi, quella continuità che troviamo tra l'esterno e l'interno della casa, tra natura e artificio, tra materiali antichi e tecnologicamente evoluti. La mostra evidenzia i legami costruiti attraverso le università, gli atelier, le associazioni, tra le varie generazioni di maestri e allievi, poi diventati maestri. Lo troviamo nelle opere di Shirai, di Sakamoto, dello stesso Kengo Kuma e di molti altri progettisti. Il terzo aspetto riguarda infine il ruolo dello spazio domestico, chiave d'accesso all'intera cultura metropolitana e al metabolismo urbano del Giappone di oggi, caratterizzato dalla congestione silenziosa degli spazi urbani, dal legame tra gli immaginari di architetti, artisti, cineasti, disegnatori di manga, fino all'impenetrabile ricetta che permette a ogni progettista giapponese di mescolare con innata sapienza sobrietà scintoista e minimalismo occidentale, materiali primordiali e hi-tech, privacy e trasparenza. Non si può in questo senso non


rimanere affascinati dalle opere di Shinoara, da quelle di Ryue Nishizawa e Sou Fujimoto, così come da quelle dei loro epigoni più giovani. L'allestimento disegnato da Atelier Bow-Wow, in collaborazione con il MAXXI, tende a riprodurre la sensazione spaziale degli edifici presentati, nei quali la funzionalità è spesso intesa più come un dispositivo psicologico che pratico. Disegni, modelli, fotografie d'epoca e contemporanee insieme a video, interviste, spezzoni di film e manga, opere di artisti compongono il percorso di mostra insieme alle riproduzioni in scala reale di frammenti e sezioni di edifici particolarmente significativi come la House U di Toyo Ito, il rifugio di emergenza di Shigeru Ban e altri elementi essenziali dello spazio domestico giapponese. I materiali “non architettonici”, come le opere di artisti, filmakers, disegnatori di anime o fotografi, vogliono rendere più immediata la comprensione del rapporto tra l'abitante giapponese e la propria casa e allo stesso tempo allargare lo sguardo del visitatore a una visione più ampia di una cultura infinitamente ricca e attraente, ma che spesso è stata descritta in modo sommario, esotico o eccessivamente romantico.



URBAN GREEN di Lehila Laconi Dopo l'ennesimo tragico terremoto che ha investito il nostro paese è tornato alla ribalta dei media il tema della casa in legno. Ancora restii ad investire in qualche cosa che per definizione sembra essere degradabile, e quindi poco duraturo, gli italiani sembrano essere fermamente convinti che il mattone sia l'unica via per costruire edifici solidi e garantire il giusto investimento. Cerchiamo quindi di fare luce sul tema delle costruzioni in legno, analizzandone i vari aspetti e cercando di sfatare alcune “credenze” che rappresentano le motivazioni più diffuse in chi è restio nell'accogliere un'innovazione tecnologica, che in altri paesi è invece accettata oramai da molto tempo. Fino a qualche anno fa, l'opinione comune era che le case in legno fossero tipiche delle zone di montagna e difficilmente le si pensava inserite in contesti urbani dove le costruzioni ancor oggi sono per la maggior parte in muratura. Per merito di una maggiore consapevolezza e forse anche di una migliore veicolazione delle informazioni, anche qui in Italia si sta lentamente facendo breccia l'idea che le case in legno, quelle moderne basate sul concetto di bioedilizia ed ecosistema, si distinguono per funzionalità, tecnologia ed estetica tanto da essere di gran lunga più confortevoli e convenienti delle case costruite tradizionalmente. La realizzazione di costruzioni in legno, oltretutto, si estende dalle case monofamiliari indipendenti alle case su due o più piani, villette a schiera e villette bifamiliari; insomma, le tipologie di costruzione sono varie e tutte puntano al risparmio e al rispetto dell'ambiente. Un'abitazione in legno offre una grande quantità di vantaggi per il benessere nostro e dell'ambiente. Costruire in legno rappresenta una soluzione molto rispettosa dell'ambiente, purché il legno impiegato provenga da foreste gestite correttamente attraverso una ricrescita programmata. La produzione del legno avviene in natura e gli alberi per crescere necessitano solo di acqua e sole, la lavorazione è semplice e richiede poca energia, limitando al massimo l'inquinamento che la fase di costruzione della casa comporta. Pensate solo al traffico di mezzi e al consumo di carburante per il trasporto di mattoni, sabbia, cemento, ecc. Con le moderne tecniche di costruzione in legno, tutte le pareti arrivano in cantiere già pre-assemblate e pronte per il montaggio, quindi i tempi per la posa in opera si riducono notevolmente con un impatto minore rispetto alla casa in muratura. Con il legno è inoltre possibile costruire qualsiasi tipo di edificio, lasciando la massima libertà di


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progettazione, come ad esempio la copertura di luci maggiori senza l'ausilio di pilasti, e può essere utilizzato per sopraelevare edifici già esistenti, senza influire sulla loro stabilità poiché più leggero del cemento e dei mattoni. La sua vita, poi, potrebbe avere anche una durata superiore, se sarà sottoposta alla normale manutenzione delle parti esposte alle intemperie. Per molto tempo, nella nostra cultura si è pensato alla casa in muratura come solida e durevole mentre la casa prefabbricata in legno era vista come una struttura meno durevole, con una vita breve e facilmente attaccabile da muffe e insetti. In realtà il legno è trattato per evitare l'attacco di insetti e parassiti, sottoposto a stagionatura ed essiccazione che eliminano ogni traccia di uova o larve ed infine viene impregnato con sostanze naturali che fermeranno un eventuale attacco da parte di altri insetti. Le muffe invece si formano quando vi è un ristagno di umidità, ma il problema non si presenta affatto nelle nuove abitazioni, in quanto attraverso la ventilazione delle tipologie di tetti e delle stesse pareti, l'aria circola sempre correttamente lasciando gli ambienti asciutti e salubri. Possiamo quindi affermare con certezza che la durata delle case in legno non si differenzia da quella delle case in mattone, ed in entrambi i casi dipende dalla cura con cui sono state costruite e dall'attenzione prestata alla manutenzione nel corso degli anni. Infine, ricordiamo che nel mondo abbiamo esempi di edifici in legno costruiti da secoli ed ancora oggi in ottime condizioni, come ad esempio il tempio buddista di Nanchan, in Cina, costruito nel 782 d.c., casa Betlemme di Svitto, in Svizzera, costruita nel 1287, e le case con struttura a graticcio (con intelaiatura in legno), realizzate nel corso di secoli soprattutto nell'Europa centrale. Arriviamo a parlare di consumi, premettendo che il legno è un ottimo isolante naturale. Una casa in legno garantisce perciò un clima piacevole con una naturale regolazione termo-igrometrica dell'ambiente e minori costi energetici. Tutto ciò permette di avere aria sana e poca dispersione di calore, con risparmi economici notevoli. Riguardo al fuoco, infine, le costruzioni in legno resistono agli incendi come, o probabilmente meglio, di quelli in muratura ed in cemento armato. Le cause per cui si sviluppano gli incendi solitamente non dipendono dalla struttura dell'edificio, ma da componenti interni allo stesso, come stoffe o elettrodomestici, quindi le probabilità che si verifichi questo evento sono le stesse indipendentemente dal tipo di tecnologia costruttiva utilizzata. Tuttavia sappiamo tutti che il legno è un materiale combustibile ma è anche una materia viva che dimostra le proprie capacità anche nelle condizioni peggiori, come potrebbe essere un incendio. Infatti, contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, il legno ha una bassissima conducibilità termica ed in caso di contatto con il fuoco brucia molto lentamente e solamente nella parte superficiale, ovvero carbonizza e crea una barriera protettiva che rallenta moltissimo il propagarsi delle fiamme nella parte interna. Il legno non ancora attaccato dal fuoco mantiene le sue caratteristiche strutturali e l'eventuale rottura meccanica avviene solamente quando la parte non carbonizzata diventa troppo sottile per assolvere al suo compito. Il collasso di un edificio in legno è quindi fortemente improbabile ma comunque avverrebbe in tempi decisamente più lunghi rispetto alle strutture costruite in calcestruzzo o acciaio. Quindi una casa in legno resiste a lungo all'attacco del fuoco e permette una evacuazione sicura dell'edificio. Ricordiamo in conclusione che un'abitazione in legno resiste ai terremoti. Grazie alla resistenza meccanica tipica del legno, le costruzioni realizzate con questo materiale sono in grado di assorbire senza danni forze e sollecitazioni di notevole entità. Una maggiore sicurezza nel controllo dei costi di costruzione, solitamente fissati in anticipo senza variazioni in fase di costruzione diviene, in ultima analisi, una caratteristica da tener presente nel momento della scelta di questa specifica metodologia costruttiva.


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