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IL LEADER OLTRE LA MODALITÀ «SOPRAVVIVENZA»
IL LEADER OLTRE LAMODALITÀ «SOPRAVVIVENZA»
LA MODALITÀ “SOPRAVVIVENZA” È UNA REAZIONE CHE SI REGGE SULLA PAURA DEL FUTURO - ALIMENTATA DALLE NOTIZIE NEGATIVE - E CHE ANNULLA LA PROPENSIONE AL RISCHIO. CHI GUIDA LE AZIENDE DEVE SUPERARLA. NON BASTA LA RESILIENZA, OCCORRE AVERE LA CAPACITÀ DI RIFLETTERE, ESSERE CONSAPEVOLI E NON SMETTERE DI PENSARE IN GRANDE
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Stiamo attraversando momenti particolarmente difficili e incerti. Oltre ai venti di guerra che creano non poche preoccupazioni, dopo lo stress della pandemia, all’orizzonte si intravede una situazione economica complessa, con i mercati finanziari in fibrillazione per la crescita dell’inflazione, per gli aumenti dei costi delle materie prime, ecc. Chi ha la responsabilità di guidare un’impresa potrebbe essere colto da un certo smarrimento. Ma, paradossalmente, è proprio in queste circostanze non facili che si vede la reale fibra del leader, il quale deve saper reagire alle congiunture avverse e soprattutto non deve smettere di fare progetti e pensare in grande, riuscendo anche a coinvolgere chi lavora con lui. Uno dei compiti più importanti di chi guida un’azienda è proprio quello di stare vicino ai propri collaboratori, incoraggiarli e aiutarli a superare tali momenti di difficoltà causati da fattori che non dipendono da loro ma da circostanze esterne sulle quali non è possibile intervenire direttamente ma che, non per questo, occorre subire passivamente. DI RESILIENZA NON SE NE PUÒ PIÙ! LA MODALITÀ «SOPRAVVIVENZA» CI DISTRUGGE In questi casi, la parola d’ordine che si tira fuori dal cilindro è «resilienza». Onestamente, non ne possiamo più di sentirla. A tutti i livelli, a partire dalle istituzioni governative. Ricordate il PNRR? Anche perché il resiliente è chi cerca di mantenere la posizione finché non passerà “a nuttata” per poi poter continuare a fare quello che faceva prima, come se nulla fosse stato. Invece, le cose cambiano. Tornare indietro non si può. Il che non è un male. Anzi. Soltanto che bisogna avere il coraggio di abbandonare la modalità “sopravvivenza” e avere la forza di lasciarsi dietro le spalle il passato. Cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. La modalità «sopravvivenza» è un meccanismo di pensiero basato sulla paura, che si mette in funzione quando viene attivata una risposta di lotta o di fuga di fronte a un pericolo.
- a cura di Ugo Perugini -
COME FUNZIONA LA MODALITÀ «SOPRAVVIVENZA» In queste situazioni, di costante allerta, ci si concentra soprattutto su quanto di Herbert A. Simon
brutto sta accadendo, si perdono le opportunità che nel frattempo possono essersi create e non si riescono a cogliere gli insegnamenti che queste esperienze potrebbero regalarci. La modalità «sopravvivenza» agisce in modo subdolo. E’ una reazione istintiva che spegne la propensione al rischio, utilizza l’immaginazione e la creatività, e tutta l’energia positiva che si crea in questi casi, solo per sfuggire alle conseguenze che temiamo possano verificarsi, mettendo in atto sistemi di controllo, spesso esasperato, che bloccano qualsiasi
iniziativa, solo per evitare guai peggiori, pronti ad essere travolti dal rimpianto e dal risentimento. Che, alla fine, non portano nulla di buono. È evidente che la modalità «sopravvivenza» è comprensibile quando ci si trova davanti a un leone affamato nella foresta, ma vivere quotidianamente con questa modalità significa perdere una opportunità dietro l’altra e sacrificare la propria vita senza alcun tornaconto. E per chi guida un’impresa si tratta di vero e proprio autolesionismo.
DI TROPPE INFORMAZIONI SI PUÒ MORIRE L’economista Herbert Simon, ormai oltre cinquant’anni fa, notava con sagacia: «Una eccessiva ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione». Voleva dire che quando ci arrivano troppe notizie, specie se non sono positive, la nostra attenzione diminuisce e non riusciamo più a concentrarci su ciò che per noi è importante. Oggi, con il bombardamento quotidiano di informazioni che ci arriva da ogni parte, la volatilità del mercato, i rapidi cambiamenti e la crescente incertezza, è ancora più difficile gestire la nostra attenzione in modo che diventi una competenza critica e che sia parte di quel processo che chiamiamo «consapevolezza». Al contrario, viviamo queste continue informazioni che ci piovono addosso come ostacoli, interferenze, che si frappongono al nostro percorso e che se non ci fossero allora sì che ci sentiremmo meglio! In altri termini, trasformiamo queste informazioni in emozioni e cadiamo in un circolo vizioso pericoloso. Intuitivamente, pensiamo di confrontarci e reagire a dei fatti, gravi e tragici quanto si vuole, che ci arrivano dall’esterno ma non siamo consapevoli che, in realtà, le risposte emotive sono determinate dalla nostra personale percezione di quegli eventi.
LA VIA D’USCITA E’ ESSERE CONSAPEVOLI Perché è importante la consapevolezza? Perché significa riconoscere intenzionalmente ciò che sta accadendo, sia all’interno che all’esterno di noi stessi. La massa di dati che ci investe ogni giorno può diventare caotica. I leader devono imparare a valutare, assegnare valore a ciò che richiede più attenzione ed è necessario, vitale, alla propria attività. Non si tratta di una visione egoistica. Se si crede nel proprio lavoro e nella azienda che si sta guidando questo è il comportamento giusto. Che verrà apprezzato dai propri collaboratori se si saprà coinvolgerli adeguatamente. Riflettere su ciò che è importante, dare priorità a certi valori, portare avanti i propri progetti, le proprie scelte di consapevolezza, compatibilmente con la realtà che cambia a vista d’occhio, rafforza l’integrità e la vitalità dei leader. Evitare di agire, di prendere decisioni, limitarsi a rimandare a domani, col timore del fallimento, significa essere preda della modalità «sopravvivenza», che abbiamo visto quanto sia deleteria. L’atto stesso della consapevolezza, invece, attiva la possibilità di azione. La consapevolezza nel leader può portare a una sua maggiore creatività e soddisfazione in proporzione diretta alla capacità di gestire la volatilità, l’incertezza, la complessità e l’ambiguità.
VIVERE IL PRESENTE MA PENSARE IN PROSPETTIVA Non dimentichiamo che la stessa sensazione di minaccia che prova il leader, dovuta a questo tsunami di notizie negative, la provano, in forme diverse, anche gli stessi collaboratori, che sentono che qualcosa di drammatico potrebbe interferire sul loro benessere, sul loro lavoro, sul loro futuro. La prima reazione naturale che possono avere è quella di continuare a fare quello che stanno facendo, magari con maggior impegno, perché la loro competenza ha portato a risultati soddisfacenti, ma evitando qualsiasi cambiamento che potrebbe apparire destabilizzante. Una visione focalizzata su comportamenti che hanno avuto successo in passato è comprensibile ma, in certe circostanze, può non essere sufficiente. Occorre porsi delle domande, anche provocatorie: esistono modi migliori per raggiungere i risultati che desideriamo? Questo è il momento giusto per porsi certe domande coraggiose.
IL MOMENTO DELLA RIFLESSIONE È quasi impossibile riflettere quando ci si trova in modalità sopravvivenza. Riflettere richiede tempo per confrontare le idee, per incoraggiare le persone a rivedere i propri processi di lavoro in modo critico, per cogliere le possibilità di un eventuale potenziamento strategico, per concentrare sui punti deboli la propria creatività. Ma non è tempo perso. È tempo guadagnato e fruttuoso perché l’indagine riflessiva, oltre a creare momenti di interazione dinamica tra chi opera in azienda, rafforza sia l’attenzione che la consapevolezza e aiuta a trasformare la consapevolezza in un apprendimento concreto, reale per tutti. L’essenza del processo di consapevolezza, lo ripetiamo, non è altro che essere in grado di cogliere sia quello che sta succedendo dentro di noi sia quello che avviene all’esterno. La consapevolezza, alla fine, può diventare una sorta di GPS che serve a orientare e navigare tra le complessità e le incertezze del nostro tempo.