Giovanni Stimolo

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Il primo pensiero che ho avuto guardando le foto di Giovanni Stimolo è stato il richiamo, dalle antiche memorie liceali, della figura del flâneur, termine intraducibile in italiano portato alla luce da Baudelaire ed Edgard Allan Poe e in seguito ripreso da Walter Benjamin, Rilke e molti altri. Il flâneur, secondo la definizione del grande poeta decadente francese è un botanico del marciapiede, un conoscitore analitico della realtà urbana, colui che si immerge nella metropoli, osservandone il tessuto e sottolineando il rapporto che si sviluppa tra architettura e chi la vive. In questo senso Stimolo è un flâneur con la macchina fotografica al collo, pronto ad immortalare ciò che colpisce la sua sensibilità, capace di osservare come le architetture portino anche ad un gioco di sguardi tra chi le abita e noi che osserviamo le foto, creando quasi un effetto di nascondino coi personaggi che il suo obiettivo inquadra, che inconsapevolmente utilizzano la città per celarsi ai nostri occhi. Del resto il passeggiare nella città non può essere fine a sé stesso, altrimenti si avvicinerebbe troppo al vagabondaggio, ma deve avere come fine ultimo la creazione artistica, che è in ultima analisi il modo che il flâneur ha per permetterci di confrontarci con le sue scoperte. A tal fine credo che sia interessante osservare le foto di Stimolo ricordando questo passo in cui Giampaolo Nuvolati ci ricorda che: «Il flâneur è un intellettuale che opera prevalentemente entrando in contatto, anche fisico, con luoghi di cui si propone una ricontestualizzazione e una risignificazione. Questo traguardo viene raggiunto prevalentemente attraverso un dislocamento, ovvero un percorso di smarrimento, perlustrazione e ritrovamento. Il perdersi in un ambiente sconosciuto o nella moltitudine come purificazione, come scioglimento dai vincoli abituali, come esperienza catartica non può durare all’infinito, ma deve trovare compimento nella creazione artistica, in un gesto finale che segna la salvezza del flâneur e corrisponde al suo desiderio di dominare la realtà piuttosto che rimanerne succube. Per questo la città e il flâneur vanno di pari passo. Labirinto senza uscita, l’urbano sembra implorare al flâneur di essere interpretato” Aldo Torrebruno


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