Michela Michelotti, Parma,1949 1963 : il cantiere INA-casa. La comunità al centro del progetto

Page 1

ORDINI DEGLI ARCHITETTI DI PARMA, REGGIO EMILIA, MODENA

ORDINI DEGLI ARCHITETTI DI PARMA, REGGIO EMILIA, MODENA

Parma, 1949-1963: il cantiere INA-Casa. La comunità al centro del progetto

I quartieri INA-Casa costituiscono il documento di una modalità progettuale legata al neorealismo italiano, e definiscono un patrimonio architettonico di valore storico-ambientale. Pensati inizialmente per una specifica comunità, quella dei lavoratori, hanno visto alternarsi nel tempo, a causa di molti fattori, l’equilibrio fra i diversi elementi legati al progetto originario. Siamo convinti che una rilettura critica di queste presenze urbane possa far emergere alcune potenzialità al loro interno, partendo dal riconoscimento del principio comunitario da cui sono state alimentate, per una giusta tutela e conservazione fino dall’inserimento di nuovi contenuti. Il problema dell’abitazione , nella fase della ricostruzione nel secondo dopoguerra, rappresentò un tema assai dibattuto,con numerose implicazioni politiche e sociali. La proposta di maggior interesse fu sicuramente la legge Fanfani o Piano INA-Casa1 avviato nel 1949 per incrementare l’occupazione operaia mediante la costruzione di case per lavoratori; questo progetto venne attuato in due piani settennali - 49’/56’ e 56’/63’- che videro realizzati, in tutta l’Italia, 355000 alloggi. A differenza delle politiche sociali precedenti, gestite da IACP e da altri enti filantropici, che avevano privilegiato servizi assistenziali rivolti alle persone e alle famiglie, la Gestione INA-Casa, insieme all’Ufficio Architettura diretto fino al 1952 da Adalberto Libera2, promosse un servizio di comunità, suggerendo un nuovo modello di vita sociale atto a promuovere una serena convivenza tra individui: quella del quartiere autonomo basato sull’unità di vicinato e sulle esperienze dell’urbanistica organica. Per attuare il Piano vennero banditi numerosi concorsi nazionali e locali che coinvolsero i migliori architetti italiani a operare con finalità di tipo etico-morale: progettare abitazioni per lavoratori a basso costo e di qualità, contro la speculazione edilizia, applicando i risultati raggiunti dalle precedenti ricerche del movimento moderno sui temi dell’alloggio, del quartiere e degli standards3.

Il clima operativo risentiva del dibattito sul diritto alla casa, sulla pianificazione di quartieri autosufficienti4 e sulla necessità di una normalizzazione e industrializzazione dei materiali da costruzione; l’intenzione era quella di codificare con modelli il processo costruttivo ed il Manuale dell’Architetto di Mario Ridolfi, edito dal C.N.R. nel 1946, ne costituiva un esempio. Tuttavia il Piano INA-Casa optò per un cantiere di tipo tradizionale per favorire l’occupazione operaia; ne conseguì un linguaggio architettonico semplice e tipico delle tradizioni costruttive locali, un apparato misto in muratura e cemento armato sperimentato prima della guerra con un sobrio realismo architettonico, in alcuni casi quasi vernacolare: negli edifici bassi, fino a quattro piani, le strutture verticali portanti erano in muratura; negli edifici alti lo scheletro era indipendente. Lo stesso Ridolfi, benché sostenitore del processo di normalizzazione, nel primo quartiere INA-Casa, il Tiburtino a Roma, non rinunciò a dimostrare l’importanza dell’uso sapiente dei materiali locali e di soluzioni costruttive non convenzionali, nonché del necessario confronto con le maestranze in cantiere5. Una strategia unitaria progettuale era inoltre garantita da una serie di norme contenute nei manuali pubblicati dalla Gestione INA-Casa6. Nel fascicolo dal titolo Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e presentazione dei progetti, si indicavano la scala del complesso urbanistico, la tipologia dei fabbricati, degli alloggi e dei singoli locali abitativi, con precisione analitica propria della manualistica di quegli anni. Gli schemi dettati dalla legge, anche per ragioni di igiene e salubrità, suggerivano il superamento dei blocchi compositi chiusi di epoca precedente in favore di tipologie aperte,a doppio affaccio, scelte in funzione della categoria dei lavoratori: queste aggregazioni, immerse nel verde e con percorsi pedonali protetti, si ispiravano nel contempo ai villaggi rurali fascisti, che avevano come modello le città giardino anglosassoni. A una procedura razionalista dettata dalla Gestione si affiancò contemporaneamente una

PROGETTO, ECONOMIA, PARTECIPAZIONE DELLA CITTÀ COMUNITARIA

84

controtendenza organica, a livello urbanistico. In merito al quartiere, che assumeva un ruolo fondamentale nella progettazione a scala urbana, Ludovico Quaroni tentava di definirne i contenuti con questa citazione: Il quartiere è una parte della città: ecco la sola definizione…un organismo primario nella città, per le funzioni residenziali complete, tale cioè da comprendere tutte le funzioni produttive, direzionali e formative a scala locale, accanto ad eventuali funzioni direzionali produttive…a scala urbana.7 Il quartiere era dunque inserito nella scala degli ambienti sociali, secondo un’idea di unitarietà propria dell’architettura organica dove il benessere materiale e spirituale dell’uomo doveva esprimersi a partire dalla scala domestica, fino ad espandersi a quella urbana e ambientale in maniera omogenea. Nei due settenni INA-Casa8 si costruirono a Parma cinque quartieri9 nonché numerosi fabbricati ad uso residenziale,distribuiti in maniera frammentaria nel tessuto urbano e costruiti per conto di soggetti a capitale privato quali banche e industrie. I primi interventi vennero localizzati in aree urbane di completamento e di frangia periferica, già provviste dei normali servizi pubblici e preferibilmente a nord della città, dove si trovavano i principali insediamenti industriali e artigianali. Successivamente, con la tendenza al decentramento, contenuta nelle ultime direttive della Gestione INA-Casa, si optò per la scelta di luoghi non ancora urbanizzati, collegando le nuove unità sociali alla città con un idoneo sistema viario. Il tema della comunità venne sicuramente affrontato in maniera idealistica o quantomeno inedita, partendo da modelli prestabiliti. Tuttavia non si possono negare alcune attenzioni concrete contenute nel Piano, a partire dalla ricerca di alcuni requisiti come: - il comfort domestico derivante da un sapiente taglio dei singoli alloggi e dalla loro distribuzione interna, nonché dalla dotazione di un’adeguata struttura impiantistica di base; - il benessere di tipo percettivo-visivo offerto dall’ambiente naturale in cui si svolgeva la vita dei residenti e si dispiegavano la varietà tipologiche degli edifici quasi sempre dotati di logge;

PRG 1957, Demanio INA-Casa, ASCPr con evidenziati i quartieri: 1 1950 INA-Casa di via Dacci (Ing. G.Roncoroni); 2 1951 INA-Casa di via Ruggero (Arch. Monaco); 3 1952 INA-Casa di via Trento (Arch. G.Michelucci); 4 1953 INA-Casa di via Trieste (Arch. V.Gandolfi); 5/6 1958 INA-Casa “Borgo Montanara” (Arch. V.Gandolfi).

85

PROGETTO, ECONOMIA, PARTECIPAZIONE DELLA CITTÀ COMUNITARIA


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.