Lo spacco nei materiali lapidei. Caratteristiche, Tecnologie, Applicazioni.

Sommario

Sommario Sommario

Sommario

Perché spaccare la pietra

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Introduzione

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1. Qualche passo indietro: cenni storici

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2. I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

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2.1 Rocce e struttura

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2.2 Il “Verso”

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2.3 Relazioni tra il “verso” e lo spacco

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2.4 Natura delle superfici spaccate

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3.

Lo spacco nell’attività di trasformazione

e i prodotti dello spacco

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3.1 I prodotti dello spacco

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4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

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5. L'applicazione dei prodotti lapidei a spacco

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5.1 Pavimentazioni esterne

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5.2 Pavimentazioni interne

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5.3 Rivestimenti Interni

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5.4 Rivestimenti esterni

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5.5 Componenti architettoniche e arredo urbano

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5.6 Complementi di arredo e design

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5.7 Altre destinazioni d’uso

120

6.

Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

125

7.

Criteri di scelta

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7.1 Perché una macchina per lo spacco

158

7.2 I modelli di macchine per lo spacco

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Appendice I. MEC: chi siamo

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Appendice II. Criteri per una campionatura

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Appendice III. Lessico

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Bibliografia

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Perché spaccare la pietra

Perché spaccare la pietra Perché spaccare la pietra

Perché spaccare la pietra esistono sul pianeta pietre che “ nonnon possono essere spaccate ” L’Autore

L’uomo ha sempre avuto la necessità di ridurre la pietra in dimensioni e volumi che gli fossero consoni, sia per soddisfare le proprie esigenze di difesa, di isolamento e di protezione, sia per realizzare le opere che la storia, l’arte, l’architettura e la scultura ci hanno tramandato fino ad oggi.

Nei millenni, la natura lo ha spesso aiutato: in alcuni casi mettendogli a disposizione grandi quantità di roccia in pezzi di dimensioni ridotte, facilmente lavorabili e trasportabili, in altri casi fornendogli direttamente i tanti derivati naturali delle rocce, come ghiaie, sabbie ed argille; egli ha dovuto adoperarsi per legare insieme questi elementi, ma lo ha sempre fatto egregiamente.

In tutti gli altri casi, l’uomo - la pietra - l’ha dovuta spaccare. Senza disporre di molte altre alternative e dovendosi fabbricare gli strumenti adatti allo scopo.

Oggi, come ieri, al cospetto di tecnologie, mezzi e impianti di movimentazione che facilitano molte operazioni, vi è ancora la necessità di suddividere e ridurre di volume la pietra, confezionandola in manufatti di dimensioni adatte alle nostre esigenze.

La necessità, cioè, di continuare a spaccarla.

Volendo, il senso del titolo di questa prima pagina potrebbe esaurirsi qui. Ma sarebbe ingeneroso, nei confronti sia della pietra che dell’uomo.

I manufatti in pietra realizzati a spacco fanno parte della nostra vita quotidiana, e sono pressoché ovunque: sulle strade, sui marciapiedi, sui ∎5

Perché spaccare la pietra

tetti, sulle scale, in cucina, nelle piazze, nei bagni, alle finestre, e via dicendo. Tuttavia, passano spesso inosservati; forse proprio perché, connotando l’ambiente in cui viviamo, non richiamano particolarmente l’attenzione del cittadino. È più facile osservare un portone, una lampada o un quadro, piuttosto che la pietra del pavimento che stiamo calpestando, della scala che stiamo salendo, o della parete al nostro fianco. Portone, lampada e quadro vengono percepiti come qualcosa di acquistato, di “introdotto”, e, quindi, scelto a scopo di arredo e di valorizzazione dell’intorno; pavimento, scala e parete vengono invece percepiti come “qualcosa che c’era già”, come un “intorno” da arredare - nel nostro caso - con il portone, la lampada e il quadro.

Senza magari riflettere sul fatto che anch’essi, dopo essere stati ideati e progettati, hanno richiesto che la pietra di cui sono costituiti fosse estratta, tagliata, sagomata, spaccata e, infine, posata, per soddisfare molti più requisiti di quanti possa immaginarne il cittadino poco interessato: ad esempio, requisiti di protezione, durata, sicurezza, antiscivolo, estetica, rilievo, sostegno, resistenza ecc.

Tra tutte le tecnologie con cui la pietra viene trattata, lo spacco - tuttavia - riceve meno attenzioni di altre. È probabile che, per fonetica, significato e percezione comune, il termine spaccare evochi qualcosa di complessivamente sgradevole; esso, infatti, “suona” più aggressivo di lucidare, meno raffinato di sagomare, meno interessante di anticare. Ma, certamente, ha una utilità e una diffusione pari a ognuno di essi, se non superiore.

La pietra spaccata, quindi. Ma perché spaccare la pietra ?

Qui di seguito sono stati elencati alcuni tra i molti perché; tutti oggettivamente validi, comprovabili e veritieri. Al lettore la libertà di aggiungerne altri, ognuno con la propria importanza. ρρ non esistono pietre che non si possono spaccare. Nel settore lapideo, alcune pietre non si possono lucidare, altre non si possono resinare,

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Perché spaccare la pietra

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altre ancora non si lasciano fiammare, e via dicendo. Senonché tutte - ma veramente tutte - si lasciano spaccare. Sempre. lo spacco permette di recuperare ingenti quantità di materiale lapideo altrimenti destinato alle discariche, con consistenti vantaggi da un punto di vista ambientale. Esso può essere applicato sia alle produzioni di cava, sia ai residui delle seconde lavorazioni, consentendo la produzione di manufatti vendibili a partire da quello che sarebbe uno scarto. con lo spacco si possono usare le seconde e le terze scelte, facendo vantaggiose economie di scala, senza per questo penalizzare il valore estetico ed economico della pietra. L’intrinseca rusticità e naturalità delle superfici a spacco relegano in secondo piano i possibili “difetti” estetici di un materiale. una macchina per lo spacco può essere installata pressoché ovunque; a piè di cava o in prossimità di essa, sotto una semplice tettoia o all’aperto, nel piccolo laboratorio come nel grande impianto. Oppure, all’uopo, può essere trasportata dove più occorre. anche quando le sue dimensioni diventano importanti, un impianto per lo spacco non richiede costose fondazioni, complesse canalizzazioni, impianti di smaltimento fanghi e/o di trattamento delle acque reflue. pur funzionando a secco, le macchine da spacco non sono afflitte dalle problematiche delle polveri e delle patologie ad esse legate nella misura in cui lo sono altri impianti per la trasformazione della pietra. le particolarità costruttive delle macchine da spacco consentono spesso di passare da una roccia all’altra senza dover cambiare l’equipaggiamento. Non si può dire la stessa cosa per molte altre macchine impiegate nella lavorazione della pietra. c’è - infine - un oggettivo ritorno alla cultura del prodotto “naturale”, rustico, grezzo, autentico. Spaccare, ancora oggi, significa perpetuare un’attività che alla pietra naturale ha dato gli albori e che, dopo millenni e millenni, è rimasta sostanzialmente immutata.

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Introduzione

Introduzione Introduzione

Introduzione

Questo volume descrive quella particolare attività che, nel gergo tecnico della pietra naturale, è conosciuta sotto il nome di “spacco”.

Per spacco si intende l’insieme delle operazioni aventi lo scopo di ridurre dimensionalmente un elemento lapideo - sia esso regolare o meno - attraverso un’azione meccanica che forza il medesimo a rompersi secondo una direzione pre-determinata.

Lo scopo dello spacco è produrre manufatti aventi forma e dimensioni commerciali, e idonei a svariati impieghi nel settore edile, nel design, nel paesaggio urbano e nei complementi di arredo.

Mediante lo spacco, un volume iniziale di pietra viene suddiviso in due, o più, elementi di volume inferiore, caratterizzati da almeno una superficie - quella generata dallo spacco - a finitura rustica e scabra; una volta che la pietra è posta in opera, detta superficie, corrisponde, nella stragrande maggioranza dei casi, a quella che sarà la superficie finale alla vista. Il rilievo, la rugosità e lo scostamento dalla perfetta planarità di questa superficie dipendono fortemente dalle caratteristiche intime di ogni singola pietra (struttura, tessitura, minerali, orientazioni preferenziali ecc.), e in misura minore dalle macchine impiegate per spaccarla.

Questa trattazione sullo spacco, per scelta tecnica ed editoriale, prende in esame lo spacco meccanizzato - realizzato cioè mediante macchine e impianti - relegando in subordine lo spacco manuale, al quale sono dedicati solamente alcuni richiami specifici.

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Introduzione

Essa, inoltre, prende in esame esclusivamente il comparto dei materiali lapidei ornamentali, più comunemente noti come marmi, graniti e pietre, tralasciando gli altri materiali, siano essi naturali, artificiali o derivati dalla pietra; sono pertanto esclusi i segmenti del cemento, del calcestruzzo, dei minerali industriali ecc. i cui cicli produttivi e destinazioni d’uso sono profondamente diverse, ma con i quali le macchine e gli impianti descritti in questo volume sono correntemente utilizzati.

Della flessibilità e versatilità delle macchine da spacco si giovano tutte le fasi della filiera lapidea, con una preponderanza tuttavia di quelle della trasformazione e dell’impiego dei manufatti finali. In cava lo spacco permette di riutilizzare proficuamente importanti volumi di residui, altrimenti destinati a costituire uno scarto e ad accrescere il volume delle discariche; negli impianti di lavorazione permette non solo il trattamento di innumerevoli semi-lavorati (blocchi informi, lastre, masselli, spessori ecc.) in prodotti finali, ma anche il recupero dei residui del segato. L’impiego, infine, trae enormi vantaggi sia dalla gamma di manufatti proponibili, sia da una rinnovata sensibilità per l’uso della pietra cosiddetta “rustica” in vari contesti, come l’arredo urbano, il design, le recenti textures lapidee, i complementi di arredo ecc.

L’interesse per la tecnologia dello spacco è in evidente crescita; purtuttavia c’è ancora chi ritiene che lo spacco sia un’operazione “banale”, improntata ad una certa grossolanità e sommarietà, complici l’aspetto finale dei manufatti prodotti, talora non discosto da quello grezzo, e la natura delle superfici ottenute, rustiche e scabre.

Non è propriamente così.

Anche lo spacco deve fare i conti con le “bizze” della pietra naturale, con la sua anisotropia, ma, soprattutto, con i requisiti dei mercati, i quali, pur nell’ambito della rusticità e scabrezza di cui sopra, esigono precisione, costanza, tolleranze ed altre performances tecniche di tutto rispetto.

Ecco perché la tecnologia dello spacco ha raggiunto prestazioni elevate e la gamma dei manufatti ottenibili è in permanente evoluzione, schiudendo continuamente nuovi orizzonti di applicazione, con aspetti di indiscutibile valenza sul piano estetico, funzionale e ambientale.

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Introduzione

A questo riguardo, l’autore si augura che le immagini e gli esempi riportati in quest’opera, tutti rigorosamente reali ed esistenti, possano servire da ispirazione e da spunto a quanti - addetti ai lavori e non - intendono valorizzare sempre più questa proprietà naturale della pietra; una proprietà tanto antica quanto moderna, che trova un limite solamente nella fantasia e nell’immaginazione di coloro che suggeriscono, scelgono, impiegano e installano la pietra naturale a qualsivoglia titolo.

Il presente volume è stato concepito come agile strumento di consultazione e come guida sintetica sulle caratteristiche, applicazioni, prestazioni e vantaggi dello spacco.

I suoi naturali destinatari sono: ρρ gli operatori del comparto escavazione sensu lato, con particolare riferimento a tutti quei cantieri che installano e/o utilizzano impianti per lo spacco a piè di cava, per una diversificazione di prodotto e un riutilizzo dei residui dello stesso; ρρ gli operatori delle strutture deputate alla trasformazione della pietra, come gli impianti di lavorazione, industriali e artigianali, i laboratori ecc.; ρρ gli operatori che, tra le loro attività, annoverano anche quella dello spacco (operatori commerciali, distributori, atelier specializzati, mosaicisti ecc.).

A costoro deve poi essere aggiunta quella vasta utenza che, a vario titolo, afferisce al settore lapideo (tecnici, consulenti, funzionari di Enti e Istituzioni, progettisti, designers, ricercatori ecc.), nonché tutti coloro che, per diletto o cultura personale, nutrono interesse per l’argomento e per le tecnologie.

Il volume inizia con un breve cenno storico (Cap. 1) cui segue una sezione dedicata alle relazioni esistenti tra lo spacco e le proprietà geologico-tecniche delle pietre (Cap. 2). Successivamente (Cap. 3), lo spacco viene illustrato nella fase della filiera - la trasformazione - nella quale esso trova la sua massima espressione, sia concettuale, che produttiva. Lo stesso capitolo riporta anche una breve rassegna dei più comuni prodotti dello spacco.

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Introduzione

Al Cap. 4 spetta il compito di approfondire gli aspetti salienti di questa tecnologia, illustrando i tipi, la struttura, le caratteristiche e la componentistica delle macchine.

Il Cap. 5 porta l’attenzione del lettore su “dove vanno a finire” i prodotti dello spacco; una breve rassegna, soprattutto fotografica, illustra la vastità delle applicazioni dei manufatti a spacco, un tema che, come espresso poc’anzi, gode di un’attenzione crescente da parte di coloro che dell’uso della pietra naturale sono i consiglieri, gli influenzatori, i decisori.

Il Cap. 6 dedica un doveroso cenno sia agli aspetti ambientali, sia a quelli di igiene e sicurezza sul lavoro, oggi di somma importanza per ogni contesto e tecnologia produttivi.

L’ultimo capitolo (Cap. 7) illustra i principali criteri di orientamento e di scelta, proponendo una succinta rassegna di modelli di macchine.

Seguono, infine, tre Appendici, dedicate - rispettivamente - alla identità aziendale, ai suggerimenti per realizzare una campionatura, e ad un nutrito lessico, ancorché sintetico, contenente i più comuni termini legati al mondo dello spacco.

In chiusura di introduzione, è infine doveroso richiamare i lettori che vorranno verificare “sul campo” i suggerimenti e le indicazioni contenute in questo volume ad una certa flessibilità operativa; non sempre, infatti, è possibile applicare tout-court gli schemi, le geometrie e le procedure illustrate in queste pagine alla propria pietra, o a materiali diversi da quelli menzionati. Occorre adattare di volta in volta le operazioni alle singole esigenze, facendo delle prove in proprio, ed aspettandosi anche risultati un po’ diversi in fatto di superfici, tempi, modalità di spacco, rese.

Non esistono infatti in natura due rocce eguali; e, quand’anche appaiano tali, o siano classificate con uno stesso nome (es.: due basalti, due arenarie, due travertini ecc.), è la loro natura intima a renderle differenti, talora profondamente differenti.

In altre parole, non si dimentichi mai il buon vecchio detto: “la macchina aiuta, ma la pietra comanda”.

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1. Qualche passo indietro: cenni storici

1. Qualche passo indietro: cenni storici 1.

Qualche passo indietro: cenni storici

1. Qualche passo indietro: cenn

↑ Foto 1.

L’imponente struttura di pietra chiamata Sacsayhuamán (Cusco, Peru), realizzata in conci di roccia vulcanica, dimensionati e posati in opera con una precisione sbalorditiva → Foto 2.

L’acquedotto romano di Segovia (Spagna): 17 km di conci di granito, organizzati su tre ordini ed assemblati a secco

Lo spacco della pietra affonda le sue radici in un passato molto lontano: tutto - o quasi - ciò che la storia, l’architettura e la scultura ci hanno trasmesso (foto 1, 2) testimonia inequivocabilmente come lo spacco sia sempre stato una necessità, sia funzionale, sia estetica.

La necessità funzionale scaturiva dall’esigenza di disporre di volumi e dimensioni compatibili con la manipolazione, il trasporto e la posa in opera, attività che, per tempi lunghissimi, sono state esclusivamente manuali. La necessità estetica ha sempre accompagnato l’uomo in tutte le sue manifestazioni, e quelle nelle quali è stato fatto uso della pietra hanno lasciato in eredità una casistica di manufatti ed espressioni pressoché infinita: conci e bozze dalle geometrie impeccabili, prospetti gradinati, cantonetti scapezzati, bugnati e bugnatini (foto 3) , superfici spuntate, bocciardate, martellinate, rifiniture “alla punta”. Per ognuno di questi casi si sono resi necessari lo spacco, la fenditura, la percussione.

Storicamente, ca­vatori, scalpellini, sboz­zatori, spac­ca­pietre, scultori e tecnici di ogni sorta hanno sempre dovuto tenere in grande considerazione la proprietà della spaccabilità: uno spacco agevole, con richieste energetiche limitate, e la possibilità di convertire grossi volumi di

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1. Qualche passo indietro: cenni storici

pietra in elementi più facilmente gestibili, costituivano infatti aspetti assai importanti ai fini della scelta di un materiale e dei risultati con esso conseguibili. Alle caratteristiche immodificabili della materia prima, l’uomo ha poi aggiunto le sue magistrali capacità, spaccando e lavorando anche materiali compattissimi, tetragoni, e con resistenze meccaniche altissime.

Ancor oggi, che lo spacco continua a rispondere ad esigenze estetiche e funzionali, dalla maggiore o minore attitudine della pietra a lasciarsi spaccare più o meno bene, dipende pressoché tutto: la tipologia delle attrezzature da usare, la potenza e i consumi energetici, l’usura degli utensili, la produttività, l’effettiva possibilità di confezionare elementi edilizi con determinate caratteristiche, la loro destinazione d’uso.

Forse non è inutile osservare che lo spacco determina non solo la possibilità di dimensionare i volumi degli elementi, ma anche quella di conferir loro molti tipi di superficie, come quelle summenzionate: spuntato, martellinato, bocciardato, gradinato, scapezzato, oltre allo spacco sensu stricto (foto 4).

In altri termini, lo spacco fa “in un sol colpo” ciò che normalmente alla pietra viene fatto in almeno due fasi: i trattamenti sul volume, riducendo i blocchi ad elementi di dimensioni minori, e la lavorazione sulla superficie.

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← Foto 3.

Scorcio del Palazzo Medici-Riccardi a Firenze, con un caratteristico bugnato basale, ad elementi fortemente sporgenti

↓ Foto 4.

Ristorante all’aperto con curiose nicchie realizzate in calcare locale, lavorato a spacco; Hotel Le Cheval Blanc, Mali

1. Qualche passo indietro: cenni storici

↑ Fig. 1, 2.

Rappresentazione schematica di alcune martelline: classiche (sin.), a penna (dx)

↑ Fig. 3.

Rappresentazione schematica di una punta

→ Foto 5, 6.

Assortimento di utensili per lavorazioni ad urto

Per comprendere meglio ciò, occorre ragionare in termini di scala: a grande scala, lo spacco suddivide e separa ampie superfici, consentendo la produzione di blocchi, blocchetti, bugne ed elementi edilizi rustici di ogni tipo.

Gli odierni punciotti da cava, con i quali possono essere spaccate bancate dell’ordine delle centinaia e migliaia di metri cubi, hanno avuto come loro antesignani i cunei in legno, i quali, introdotti nei fori e successivamente bagnati, forzavano la roccia a spaccarsi lungo il piano di giacitura dei fori stessi. Un’azione che, con le debite differenze di geometria, di scala e di meccanismi di rottura, rievoca però in qualche modo quella delle moderne macchine per spacco.

A piccola scala - la scala dei centimetri, se non dei millimetri - i confini dello spacco si confondono con quelli della finitura superficiale, con la quale non è azzardato affermare che non esiste praticamente soluzione di continuità. Su ognuna delle superfici menzionate in precedenza, infatti, la pietra acquisisce la finitura finale proprio in virtù di tanti piccoli spacchi, realizzati sia con azione diretta, mediante punzoni, piccozze, martelline (fig. 1, 2), bocciarde ecc., sia con azione indiretta, percuotendo scalpelli, punte (fig. 3), subbie, gradine (foto 5, 6) ecc. per mezzo di mazzuoli e mazzette (foto 7, 8).

L’azione di spacco - un microspacco, in realtà - è quindi alla

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← Foto 7.

Spacco manuale di un lastrone di Porfido Trentino ← Foto 8.

Spacco manuale di un elemento di Serpentinoscisto della Val Malenco

base anche del conseguimento di alcune finiture; nella fattispecie, le finiture “rustiche”, caratterizzate da superfici scabre, rugose, talvolta anche molto grezze.

Storicamente, i punteruoli e le subbie venivano impiegati per sbozzature grezze; percossi in senso normale alla superficie lasciavano una picchiettatura grossolana, spesso rielaborata con la martellina. Lo scalpello (fig. 4), in varietà a lama dritta (scalprum) e a lama curva (sgorbia) veniva utilizzato per lavori di maggior rifinitura.

Il raschino, che rappresenta una sorta di scalpello a lama larga, svolgeva spesso la funzione di “scapezzatore”, uno strumento prezioso laddove era necessario asportare parti di media grandezza con una certa precisione di spacco.

La gradina, nelle sue numerose versioni, era (ed è), uno scalpello dentato; insieme alla sgorbia ed al calcagnolo (utensile a due denti) (fig.

5) costituiva lo strumento preferito per i lavori più delicati di incisione e rigatura.

Mazzuolo e mazzetta, infine, hanno sempre costituito gli agenti di percussione vera e propria; in ferro dolce il primo, in acciaio temperato la seconda, entrambi di peso variabile tra i 300 e i 1500 grammi, sono stati utilizzati quasi indifferentemente, essendo l’unico criterio di preferenza la costituzione fisica dell’operatore e le tradizioni d’uso locali (foto 9, 10).

Gli ultimi cinquant’anni hanno visto una progressiva evoluzione delle

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↑ Fig. 4.

Rappresentazione schematica di uno scalpello

← Fig. 5.

Rappresentazione schematica di un calcagnolo

2. I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

2. I materiali lapidei e le proprietà dello spac 2.

I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

2. I materiali lapidei e le proprie

Nel settore lapideo le espressioni “spacco” / “a spacco”, e la correlata azione dello spaccare, appaiono in forma diretta in molti termini, sia in relazione alle superfici (materiale “a spacco”, superfici “a spacco”, spacco di cava), sia alle macchine ed attrezzature (spaccatrici, macchine “da/per spacco”), sia ai prodotti/manufatti (“spaccatello”, blocchetti “a spacco”, lastrame “a spacco”). Sono i termini stessi, cioè, a chiarire l’esistenza di un legame con un’azione di spacco.

In altri casi la parola spacco non figura in forma diretta, ma gli addetti ai lavori sanno che essa è comunque sottintesa; sono infatti molti i termini che ne implicano la presenza e/o gli effetti, come scapezzatrice, cubetto, piastrella, bugnato, troncatrice, tranciato ecc.

Quando spostiamo l’attenzione, invece, sulla risorsa primaria, cioè sulla pietra naturale, nessun nome scientifico e/o commerciale contiene apertamente la parola spacco, né la sottintende; diventa quindi meno immediato capire se ci sono relazioni tra la pietra naturale e lo spacco, di che tipo sono, e quali sono gli elementi che, più di altri, hanno influenza e governano lo spacco stesso.

Al fine di una migliore comprensione delle relazioni che esistono tra le pietre naturali e le proprietà dello spacco, appare quindi utile un breve approfondimento sulla struttura delle rocce, e su come esse rispondono quando sono forzate a fendersi per un’azione di spacco. La lettura di questi paragrafi iniziali (§ 2.1, § 2.2, § 2.3) è consigliata anche a chi nutre

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2. I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

meno interesse per la materia prima, cioè per la pietra, e molto di più per la tecnologia, cioè per le macchine; essi, infatti, pur evitando di condurre il lettore in un campo a terminologia eccessivamente specializzata, forniscono le nozioni basilari per apprezzare il ruolo della struttura delle rocce, del cosiddetto “verso”, e delle relazioni tra lo spacco e quest’ultimo. Il meccanismo dello spacco - infatti - è fortemente governato dalla natura e dalla struttura di ogni pietra.

2.1 Rocce e struttura Le innumerevoli rocce esistenti sul nostro pianeta si diversificano per genesi, composizione e struttura. Mentre la genesi chiarisce il modo e l’ambiente in cui è nata una roccia, e la composizione quali sono i suoi costituenti (chimici e mineralogici), la struttura spiega intimamente “come” ogni roccia è fatta, cioè come i suoi costituenti sono “messi insieme” tra loro.

Parlando di spacco è opportuno approfondire un poco alcuni aspetti della struttura delle rocce dal momento che essa gioca un ruolo di grandissima importanza ai fini di questa operazione.

Un errore particolarmente frequente in cui è facile cadere da non esperti (o poco esperti) di rocce è quello di pensare che a nomi o a composizioni uguali corrispondano caratteristiche uguali. Non è necessariamente così; assumono infatti un ruolo decisivo la struttura, la quale è caratteristica di ogni tipo di roccia e le proprietà tecniche, cioè le risposte che ogni roccia dà quando viene sottoposta a sollecitazioni diverse, come la compressione, la trazione, la flessione, gli aumenti di temperatura ecc. Queste ultime sono, a loro volta, in strettissima relazione proprio con la struttura. È pertanto errato ritenere, o aspettarsi, che due materiali - magari aventi lo stesso nome (es.: diorite) - si comportino nello stesso modo, e, conseguentemente, è errato anche affrontarli nello stesso modo.

Questa è una regola da ricordare: le rocce sono tutte diverse tra loro, anche quando hanno lo stesso nome. Questo vale per lo spacco, ma anche nel taglio, nella finitura, nella posa, nelle applicazioni.

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2. I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

Non bisogna pertanto estendere le conclusioni tratte per un materiale lapideo (magari dopo averlo lavorato personalmente) a un altro lapideo che sia identificato con lo stesso nome. Due sieniti non spaccano in modo uguale solamente perché hanno lo stesso nome; il nome è lo stesso perché la loro composizione le fa ricadere nel campo che le classificazioni scientifiche definiscono per le sieniti, ma questo non implica che, a fronte di un’azione come lo spacco, si comportino in maniera uguale.

Parimenti non bisogna aspettarsi un’analogia di comportamento sotto spacco da due rocce che contengono - ad esempio - la stessa quantità di quarzo. Se così fosse, un’arenaria (spesso molto quarzosa) e un granito dovrebbero avere un comportamento simile. La qual cosa non è vera.

Foto 11, 12.

Cava di Pietra di Prun (sin.); si può apprezzare, sullo → sfondo, la sottile stratificazione della roccia, lungo la quale essa si suddivide facilmente per spacco, fornendo una produzione in lastroni (dx) a facce subparallele e di spessore mediobasso

Chiariamo ulteriormente queste affermazioni iniziali con alcuni esempi.

Prendiamo due rocce aventi identico nome scientifico: un calcare fossilifero. Entrambe sono costituite quasi integralmente dallo stesso minerale (la calcite) e la loro composizione chimica è rappresentata esclusivamente da carbonato di calcio; hanno quindi composizione uguale.

La loro struttura, tuttavia, può risultare completamente diversa; è diverso cioè il modo in cui sono fatte, il modo in cui - per così dire - si è organizzato il carbonato di calcio.

Un caso molto semplice è dato dalla Pietra di Prun (Veneto) e dal Marmo di Orosei (ancor oggi noto come Daino, Sardegna). La prima è fortemente stratificata, con straterelli anche sottili; ha una struttura nodulare, grossi fossili (talora giganteschi), e presenta frequenti inclusioni terrose ed argil-

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2. I materiali lapidei e le proprietà dello spacco

lose. Fornisce blocchi di altezza limitata; più frequentemente, anzi, si suddivide con grande facilità in lastroni a facce sub-parallele, ottenuti spaccando il materiale secondo piani paralleli alla stratificazione (foto 11, 12).

L’energia richiesta per lo spacco (parallelo alla stratificazione), in questo caso, è molto limitata, e la superficie ottenuta, ancorché con buona planarità complessiva, è molto ondulata, in virtù dei noduli interni alla massa rocciosa, una caratteristica peculiare di questo materiale.

Il secondo, invece, presenta grandi bancate compatte, che materializzano una stratificazione molto più grossolana, ancorché ben evidente (foto 13).

I fossili sono piccoli e, localmente, vi sono inclusioni di onice. Fornisce blocchi di grande altezza, e l’operazione di spacco, anche quando viene condotta parallelamente alla stratificazione, richiede molta più energia che nel primo caso. Profondamente diversa anche la superficie ottenuta con lo spacco, meno ondulata rispetto alla Pietra di Prun, ma non necessariamente con buona planarità.

Sarebbe errato omologare le caratteristiche della prima (Prun) a quel-

← Foto 13.

Cava di marmo di Orosei; nell’immagine si può apprezzare la stratificazione della compagine, orientata da alto-sin. verso basso dx. (linee tratteggiate rosse)

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3. Lo spacco nell’attività di trasformazione

3. Lo spacco nell’attività di trasformazione e i prodotti dello spacco e i prodotti dello spacco

3. Lo spacco nell’attività di trasformazione e i prodotti dello spacco

3. Lo spacco nell’attività di tras

Nella filiera produttiva della pietra naturale, lo spacco e le sue tecnologie si collocano normalmente a valle del momento estrattivo, nella fase di trasformazione.

Ad onor del vero, occorrerebbe parlare di spacco anche in fase di escavazione sensu stricto, ma non è in questa fase che vengono utilizzate le tecnologie e i macchinari illustrati in questo volume.

Una seppur breve menzione allo spacco in cava è tuttavia d’obbligo.

Quando si parla di spacco in cava ci si riferisce a tutti quei materiali che, in virtù della loro struttura intima, sono più o meno lastrificati già allo stato naturale, o possono essere suddivisi in lastre a spessore variabile con un’azione di spacco anche manuale. La forte suddivisibilità esibita da questi materiali viene sfruttata quindi, oltre che nella successiva trasformazione, già in fase di escavazione, direttamente in cava.

Questa caratteristica peculiare determina modalità, procedure e tipologie produttive assai diverse da quelle che si adottano per la produzione dei tradizionali blocchi, ed assolutamente tipiche dei materiali cosiddetti - appunto - “a spacco”. Con essi le consuete tecniche di perforazione, filo diamantato e tagliatrice a catena lasciano spesso il posto a sistemi diversi, che spaziano dallo spacco manuale con utensili tradizionali (leve, scalpelli) (foto 37, 38), talora anche rudimentali, allo spacco meccanizzato (es.: pale meccaniche condizionate come fork-lift) (foto 39), all’impiego di esplosivi (abbattimento per subissamento; varate).

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3. Lo spacco nell’attività di trasformazione e i prodotti dello spacco

← Foto 37.

In questa cava di ardesia (Castilla-Leon, Spagna) la suddivisibilità è così netta che l’operatore può produrre il distacco di imponenti lastroni semplicemente facendo leva con una lunga barra metallica

← Foto 38.

Estrazione manuale di lastre di ardesia con semplici leve e scalpelli (Henan, Cina)

← Foto 39.

Cava di marmo Tardos Red (Ungheria). In questa roccia (un calcare) le superfici di più facile suddivisibilità (il verso) corrispondono alle superfici di stratificazione. La loro suddivisibilità è talmente netta e penetrativa che, per produrre i blocchi, esse possono essere disgiunte direttamente mediante una modesta azione di spinta di una pala, condizionata come forklift

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3. Lo spacco nell’attività di trasformazione e i prodotti dello spacco

↓ Foto 40, 41.

Sinistra: movimentazione di un blocco di ardesia (Val Fontanabuona, Liguria). Con questa particolare ardesia, estraibile in blocchi, questi ultimi, appena estratti, vengono cosparsi di una poltiglia composta da acqua ed ardesia residuata dal taglio, e successivamente isolati dal contatto con l’aria mediante un foglio di polietilene.

Questa procedura, nota come “mantenimento dell’acqua di cava”, consente al materiale di mantenere la perfetta suddivisibilità (destra) che, in caso di contatto con l’atmosfera, andrebbe irrimediabilmente perduta nel giro di poco tempo

Talvolta, nonostante la forte suddivisibilità, è comunque possibile anche una produzione in blocchi (foto 40, 41); ai tipici manufatti per spacco possono allora sommarsi quelli derivanti dalla segagione di questi ultimi.

Si tratta in ogni caso di produzioni particolari, talora locali, purtuttavia molto importanti da un punto di vista tipologico, ma anche storico-culturale, dal momento che hanno caratterizzato (e ancora caratterizzano) sia intere aree geografiche, sia i correlati mercati d’uso. Ad esse si deve anche la coniazione di nomi di prodotti che, spesso, sono stati mantenuti tali e quali anche in ambito internazionale, stante l’impossibilità pratica di tradurli adeguatamente in altre lingue.

In Italia esempi di queste produzioni, e dei nomi ad esse associati, sono particolarmente numerosi, oltreché molto didattici proprio dal punto di vista dello spacco: le “piode” lombarde (Val Malenco, serpentinoscisto), le “piode” piemontesi (Val d’Ossola; serizzi e beole) (foto 42), le “lose” valdaostane e piemontesi (zone varie; calcescisti, quarziti, gneiss), gli abbadini liguri (Val Fontanabuona, ardesia) (foto 43), gli smolleri e i binderi trentini (porfido trentino), i “lastami” veneti (Verona, Pietra di Prun e Pietra della Lessinia), i “sanpietrini” laziali (area dei Vulcani laziali, basalti sensu lato), e molti altri ancora.

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3. Lo spacco nell’attività di trasformazione e i prodotti dello spacco

← Foto 42.

Una tipica copertura di tetto con lastre a spacco.

Casa Pala, monumento nazionale (Valle Anzasca, Piemonte)

Ve ne sono di altrettanto numerosi in molti altri paesi del mondo, anche se è doveroso riconoscere che la terminologia, le tecniche adottate e gli impieghi dei prodotti sono mutuati pressoché integralmente dalla storia e dalla tradizione italiana.

Ognuno dei prodotti confezionati in queste aree connota fortemente interi contesti costruttivi, sia in ambito rurale che urbano, dove i manufatti escavati per spacco sono spesso posati in opera tali e quali, senza necessità di finiture aggiuntive.

Ciò detto sullo spacco nell’escavazione, esaminiamo ora lo spacco nella fase della trasformazione. ∎ 46

← Foto 43.

Spacco manuale per la confezione dei tipici abbadini liguri (coperture di tetto) in ardesia della Val Fontanabuona

4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristich 4.

Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

4. Macchine per lo spacco: tipi,

Nessun’altra categoria di macchine impiegate nella trasformazione lapidea è caratterizzata dalla flessibilità che contraddistingue la famiglia delle macchine per spacco; con questa tecnologia, infatti, si possono avere forze di spacco da qualche tonnellata a molte centinaia di tonnellate (ma non esiste un limite superiore), si possono trattare spessori inferiori al centimetro così come superiori al metro, si possono rompere cubetti di qualche centimetro ma anche interi blocchi di cava. Infine, si possono lavorare pezzi di peso inferiore al chilogrammo, ma anche blocchi di svariate tonnellate.

Il tutto con potenze installate (e quindi consumi) molto contenute, di gran lunga inferiori a quelle richieste da telai, frese, tagliablocchi, lucidatrici ecc.

Questa grande flessibilità non si esplica solamente a livello di gamma di macchine e nelle loro performances, ma anche al livello della singola macchina, la quale può essere allestita e personalizzata in funzione delle esigenze dell’operatore.

Chi scrive ritiene che i motivi che possono spiegare questa flessibilità siano, come minimo, tre; tre motivi solo in apparenza indipendenti ma, in realtà, piuttosto legati tra loro: la storia, il mercato, gli aspetti ambientali. la storia: un primo motivo è radicato nella storia stessa dello spacco.

Ancora solo pochi anni fa, spacco significava cubetti (foto 77), il prodotto che, più di ogni altro, ha diffuso su scala mondiale sia questa tecnologia, sia le macchine che la rappresentano.

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4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

Per molto tempo, le dinamiche della comunicazione sono rimaste abbastanza legate all’idea e all’immagine del cubetto e, ancor oggi, l’equazione spacco = cubetto relega un po’ in subordine i vari altri prodotti che possono essere realizzati per spacco (foto 78).

Tuttavia, mentre identificare il cubetto con lo spacco è cosa spontanea e logica, il contrario, cioè identificare lo spacco con il cubetto, è assai limitativo, oltreché controproducente. Proporre, ed introdurre, sul mercato qualcosa che si affiancasse al consueto cubetto e che offrisse al consumatore una gamma più ampia di prodotti ha probabilmente spinto a svincolarsi dalla rigidezza iniziale legata a un tipo dominante di prodotto, e ad avere maggior flessibilità, sia produttiva che comunicativa. il mercato: un secondo motivo scaturisce dalle esigenze del mercato. La diversificazione del prodotto-pietra, la mutata accezione del termine finitura superficiale, con la nascita delle cosiddette textures, e la voglia di proposte inno-

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← Foto 77.

Per molti - addetti ai lavori e non - il cubetto rappresenta ancora il prodotto principale a cui viene associata l’attività di spacco della pietra naturale

← Foto 78.

Esposizione “open” di elementi in Serizzo piemontese, collocati su un prospetto verticale di una finta abitazione.

Sette tra essi sono realizzati a spacco.

← Foto 79.

Prospetto esterno di una moderna abitazione siriana, dove pietra e marmi hanno largo impiego.

La stragrande maggioranza degli elementi di rivestimento è realizzata a spacco. Aleppo (Siria)

4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

vative, proprio in termini di aspetto, rilievo e decorazione (foto 79), hanno promosso la pietra a spacco come non era mai avvenuto prima d’ora.

La finitura probabilmente più antica in assoluto ha trovato una connotazione totalmente nuova, e viene sempre più spesso proposta e adottata non solo nei manufatti di corrente uso, ma anche nel design moderno.

Lo spacco, finalmente, non è più solo pavimentazioni a cubetti, pareti rustiche e/o manufatti “grezzi”, ma anche piani-cucina, elementi di illuminazione, termopietra, arte funeraria, arredo-bagno, librerie, porte, fioriere ecc. Logico quindi che la tecnologia dovesse offrire una maggior flessibilità proprio per andare incontro alle necessità dei comparti applicativi emergenti.

Foto 80.

L’industria → lapidea produce una notevole quantità di residui e scarti aventi forma, volumi e dimensioni estremamente diversificati

gli aspetti ambientali: il terzo motivo - il più recente ma, probabilmente quello destinato ad essere il più forte - almeno a breve-medio termine, nasce dalla mutata sensibilità collettiva nei confronti degli aspetti ambientali sensu lato. Come è noto, il settore lapideo ornamentale, nella sua globalità, è un settore a scarsa efficienza, sia energetica, sia produttiva, sia gestionale; la sua filiera può produrre residui anche superiori al 90%, i quali, in assenza di proficue riconversioni, acuiscono il problema degli scarti e delle correlate discariche, sia in cava, sia negli impianti. Nell’ottica di una riduzione degli sprechi, di un’aumentata sostenibilità ambientale, e del recupero e/o riciclo dei residui, la tecnologia dello spacco si propone come un mezzo altamente efficace per ottenere prodotti vendibili, assolutamente naturali (cioè senza aggiunta di leganti, resine, additivi ecc.), grazie al recupero degli scarti di produzione. La flessibilità di cui stiamo discutendo, in questo caso si è concretizzata sia in una maggiore attenzione al problema, sia nell’aver adeguato e realizzato macchine in grado di affrontare una gamma crescente di scarti dell’industria lapidea (foto 80, 81), ben diversi tra loro per tipo, forma e dimensione.

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4. Macchine per lo spacco: tipi, caratteristiche, uso

A questo processo, paradossalmente, potrebbe aver contribuito anche la recente crisi economica mondiale; in linea, infatti, con una logica che vuole la mente umana prodigarsi (e “partorire”) di più proprio nelle situazioni di maggior difficoltà, in tempo di forte crisi ci si è certamente adoperati di più per risolvere anche il problema degli scarti e, al tempo stesso, per cercare di “trovare una via d’uscita” dalla crisi stessa.

Proporre prodotti a spacco come efficace recupero degli scarti è stato un approccio che ha richiesto ai fabbricanti non solamente una flessibilità produttiva, ma anche un processo di natura certamente “più mentale”.

Forse oggi, col senno di poi, non è da escludere del tutto che la crisi economica abbia favorito proprio questo processo mentale, ed abbia certamente contribuito ad una flessibilità che prima era abbastanza sconosciuta al mondo dello spacco. Anche perché, l’esperienza in questo comparto sembra dimostrare inequivocabilmente che l’eccezione costituisce spesso la regola e, quindi, la capacità di adeguare la tecnologia alle esigenze di chi la tecnologia la utilizza quotidianamente è fondamentale.

Tutto ciò premesso, il presente capitolo si prefigge di illustrare sinteticamente le macchine da spacco, descrivendone i componenti e le caratteristiche principali, e sottolineando in che misura ognuno di essi concorre a definire i diversi tipi e modelli disponibili sul mercato.

IL MECCANISMO DI SPACCO: Nella sua modalità più tradizionale, lo spacco di un pezzo si realizza per l’azione concomitante di due serie di utensili cuneiformi - le lame - una superiore ed una inferiore, le quali, agendo lungo una stessa direzione ma secondo versi opposti, applicano al pezzo un elevato carico lineare lungo la traccia della frattura desiderata (fig. 12), finché non interviene la rottura.

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Fig. 12.

Rappresentazione schematica dell’azione di spacco. Le frecce superiore ed inferiore in colore azzurro materializzano le ← due serie di lame (viste in sezione) agenti secondo una stessa direzione, ma con versi opposti.

La linea tratteggiata rossa materializza la traccia della frattura desiderata, le frecce gialle le direzioni di allontanamento dei due pezzi che si formeranno con lo spacco

5. L'applicazione dei prodotti lapidei a spacco

5. L'applicazione dei prodotti lapide spacco

5. L'applicazione dei prodotti lapidei a spacco

5. L'applicazione dei prodotti la

Uno degli aspetti che desta maggior curiosità nel comparto dello spacco è che sembra esserci una conoscenza piuttosto limitata di quali sono i campi di applicazione dei prodotti e dei manufatti spaccati.

Detto in altri termini, per qualche motivo che non è immediato capire, sono abbastanza comuni domande del tipo: “Che uso può essere fatto dei prodotti realizzati con le macchine a spacco ?” ….. …… “…….. Tecnologia interessante …. …. però, poi, dove li applichiamo questi prodotti ?”

Siffatte domande non possono non indurre alcune riflessioni.

Chi acquista una contornatrice, una fiammatrice, o una lucidacoste, normalmente sa cosa può essere realizzato con queste macchine ma, soprattutto, ha una sufficiente conoscenza di dove e come potranno essere impiegati i manufatti realizzati con esse, come, ad esempio, pianicucina, tavoli, banconi da bar, davanzali, scale, elementi per rivestimento, copertine, e così via. L’acquisto di tali tecnologie è - cioè - consapevole, aiutato in questo da una conoscenza sia delle potenzialità della macchina, sia delle possibili destinazioni d’uso dei prodotti ottenibili.

Questa constatazione non è altrettanto scontata per le macchine a spacco; non essendoci analoga conoscenza dello spacco e delle possibili applicazioni dei manufatti spaccati, appaiono anche meno immediate le ragioni per cui orientarsi su questa tecnologia. In altre parole, non esiste per le macchine a spacco una immediatezza ed una percezione analoghe a quelle che si hanno delle altre tecnologie e, di conseguenza, non sono altrettanto evidenti le ragioni per cui dotarsene.

Tuttavia, quella che sembra essere un’apparente debolezza è, in realtà, un punto di forza; e non per opinione di chi scrive o di chi queste tecnologie le produce da sempre, ma per ciò che è dato vedere nel

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5. L’applicazione dei prodotti lapidei a spacco

mercato internazionale della pietra naturale e nelle tendenze che lo delineano.

La finitura più antica del mondo - lo spacco - è in fase di riscoperta assoluta, tanto sul fronte estetico quanto su quello funzionale. Piacciono la sua scabrezza, la sua naturalità, la rugosità, il rilievo, la superficie antisdrucciolo, la mutevolezza, la risposta alle diverse condizioni di luce.

Un utente non avrà mai per una superficie levigata, o lucida, la stessa tolleranza ai “difetti” che ha per una superficie spaccata; allo spacco si concedono screziature, graffi, buchi, cavità, differenze dimensionali e cromatiche. Senza che questi elementi siano dei “difetti”; anzi, spesso diventano fattori distintivi e caratterizzanti.

Lo spacco, inoltre, può generare importanti valori economici a partire anche da materiali che non siano di prima scelta; molto spesso, anzi, recuperando gli scarti. Ciò consente di smaltire importanti volumi di roccia altrimenti destinati alle discariche e di ottenere interessanti economie di scala su voci di gestione della filiera che spesso, invece, costituiscono solo un costo. È anche sulla base di queste osservazioni che si è ritenuto opportuno inserire in questo volume, oltre a capitoli più strettamente tecnici, un capitolo che illustrasse al lettore quanto ampie e variegate sono le possibilità di proporre, installare e valorizzare i manufatti in pietra spaccata.

Ma, soprattutto, si è voluto sottolineare come la pietra spaccata possa spaziare dal “povero” zoccolino di un giardino pubblico ai gradini di una scala, dalle coperture di tetto ai piani-cucina di impronta rustica, dall’arredo-bagno al tradizionale davanzale, fino ad opere di riconosciuta rilevanza mondiale, insignite di premi e/o segnalate presso le più importanti manifestazioni internazionali di architettura e/o design.

Quella che segue, quindi, vuole essere una brevissima galleria di esempi, che, compatibilmente col carattere sintetico di questo volume, dimostrino cosa può essere fatto con i manufatti a spacco, dall’uso più comune ed ordinario a quello più elegante e raffinato. Per comodità di esposizione, si è ritenuto utile suddividere questa rassegna in sette brevi paragrafi, dedicati rispettivamente alle pavimentazioni esterne, pavimentazioni interne, rivestimenti interni, rivestimenti esterni, componenti architettoniche e arredo urbano, complementi di arredo e design, altre destinazioni d’uso. ∎ 94

5. L’applicazione dei prodotti lapidei a spacco

→ Foto 133.

Pavimentazione pedonale in piastrelle tranciate di quarziti varie.

Birmingham (Regno Unito)

5.1 Pavimentazioni esterne Un ambito dove l’impiego dei manufatti spaccati affonda le sue radici in un passato lontano è certamente quello del pavimento esterno, dove la rugosità e la superficie antiscivolo garantite dallo spacco sono requisiti di importanza primaria.

Diverse sono le tipologie compositive possibili in dipendenza soprattutto del tipo di traffico, pedonale o carrabile, leggero o pesante, e della scelta tra elementi lastriformi (regolari o irregolari), come gli opus incertum, la palladiana, le piastrelle tranciate e/o fresate (foto 133), o elementi non lastriformi, come i cubetti, i cubetti ribassati, i binderi, i cordoni ecc.

Il lastrame irregolare consente di assemblare lastricati economicamente convenienti, molto funzionali ed esteticamente piacevoli, e ben si presta sia ad opere pubbliche, che private; è pertanto molto comune in piazze, marciapiedi, centri storici e parchi, così come nelle aree cortilizie,

→ Foto 134, 135.

Pavimentazione in materiali vari, tra i quali il Grigio del Curgnan, in piastrelle lavorate a spacco e coste fresate; Piazza Cecchini (Pordenone).

Opera insignita del 1° Premio per la sezione Arredo Urbano al Marble Architecture Awards 1994

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5. L’applicazione dei prodotti lapidei a spacco

nelle terrazze, nelle zone di parcheggio e nei giardini privati. Quando è l’aspetto più francamente rustico a prevalere, l’opzione dominante è quella dell’opus incertum, realizzato con pezzature di varia dimensione e in grado di soddisfare sia esigenze pedonali, sia di transito veicolare a vario grado di carico. Quando è richiesta una maggiore regolarità, le preferite sono le piastrelle, di formato quadrato o rettangolare, meno frequentemente poligonale complesso; possono essere spaccate superiormente (superfici al calpestio e al transito) (foto 134, 135), o lateralmente sulla costa, oppure solo in prossimità di essa (scapezzate) (foto 136).

Le dimensioni minime, nel formato quadrato, sono normalmente cm 20x20 mentre, nel rettangolare, alcune forniture “a correre” possono prevedere anche dimensioni inferiori ai 20 cm. Nei disegni a casellario e/o schemi di posa particolari possono essere allestite tutte le possibili geometrie, rettilinee e non, con qualunque dimensione. La gamma dei formati è comunque varia; oltre a quelli standard , infatti, si possono avere su richiesta anche misure molto grandi, grazie alla disponibilità di materiali i cui blocchi garantiscono dimensioni generose.

La destinazione d’uso esterna, complice anche una certa subordinazione delle caratteristiche estetico-cromatiche, consente di impiegare anche blocchi e informi di cava esteticamente meno pregiati, smaltendo così proficuamente volumi difficilmente commercializzabili in altro modo.

Nell’impiego di elementi non lastriformi, il cubetto rappresenta uno dei complementi al lastrame con la maggior valenza estetica, potendosi optare per numerose geometrie di posa, le più tipiche tra le quali sono quelle “ad archi contrastanti” e “a coda di pavone” (foto 137), affian-

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← Foto 136.

Sede stradale carrabile in elementi rettangolari (“crostoni”) di granito Rosa Beta, con contorni perimetrali scapezzati (Macomer, Sardegna)

6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

6. Lo spacco, l’ambiente e la sicu

Alla luce dei crescenti vincoli normativi e legislativi che interessano il settore lapideo, appare opportuno esaminare anche gli aspetti ambientali, di igiene e di sicurezza sul lavoro in relazione all’uso delle macchine e degli impianti da spacco.

Oggi, infatti, la scelta delle tecnologie, l’impatto di queste ultime sulla comunità, e la gestione e pianificazione di qualunque attività non possono prescindere dagli aspetti di tutela dell’igiene e della salute, dall’impatto sul territorio (superficie e sottosuolo), dagli inquinamenti visuale, acustico e chimico, dalla sicurezza negli ambienti di lavoro.

Per gli scopi del presente volume, la moltitudine dei parametri di maggior significatività in materia ambientale, di igiene e di sicurezza può essere convenientemente ricondotta alle seguenti voci (non in ordine di importanza): a) b) c) d) e) f) g) h)

polveri gas, vapori, esalazioni, emissioni rumori, impatto acustico vibrazioni acque (superficiali e sotterranee) oli, lubrificanti, carburanti incolumità e sicurezza morfologia e discariche

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6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

Il punto h) assume rilevanza nella sola attività estrattiva, attività nella quale lo spacco, come illustrato brevemente nel § 3., è marginale, ancorché presente.

a) polveri: le principali sorgenti di polveri nell’industria lapidea sono: ρρ in cava: • le tecnologie di taglio a secco (perforazione; filo diamantato; tagliatrice a catena, flame-jet ecc.); • il transito di mezzi pesanti (e non) entro i cantieri e sulle strade di accesso ai medesimi; • tutte le operazioni per il conferimento a discarica del materiale di scarto; • il vento, con sollevamento di tutte le polveri presenti. ρρ negli impianti di trasformazione: • le tecnologie a secco per la segagione e il taglio (perforazione, filo diamantato, tagliatrice a catena ecc.); • le tecnologie di finitura a secco e non (smerigliatrici; flex; sabbiatrici, bocciardatrici, fiammatrici; levigatrici angolari ecc.)

• il transito di mezzi pesanti (e non) sui piazzali; • il vento, con sollevamento di tutte le polveri presenti.

Le macchine per spacco operano a secco. Le lavorazioni a secco, per loro natura, sono quelle maggiormente responsabili della produzione di polveri, ma ciò vale in misura più limitata per lo spacco in virtù del principio di funzionamento che lo contraddistingue. Per definizione, infatti, mediante lo spacco, si esercita sulla pietra un’azione meccanica concentrata in un tempo molto breve, avente un carattere quasi impulsivo; tale azione, inoltre, si concentra su una superficie particolarmente ristretta, la zona di contatto tra lame e pietra. Questi due aspetti limitano la produzione, e la conseguente diffusione e dispersione di polveri. È possibile constatare che, durante un’operazione di spacco, la polvere in gioco rimane circoscritta a qualche “nuvoletta” che si produce nell’intorno del pezzo durante la fase di compressione dello stesso e al successivo momento della rottura (foto 220, 221).

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6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

→ Foto 220.

La modesta “nuvoletta” di polvere che si produce durante un’azione di spacco

→ Foto 221.

La prima macchina in basso a destra è in fase di spacco e si può apprezzare la “nuvoletta” di polvere (più densa ed espansa rispetto a quella della foto precedente)

Non essendoci azioni di rotazione/ strisciamento continuo (es.: filo diamantato, tagliatrice a catena, smerigliatrici, levigatrici ecc.), proiezioni di sostanze abrasive sul materiale (es.: sabbiatura, pallinatura) e/o fenomeni di scagliatura superficiale (es.: fiammatura), la produzione di polveri non è continua, ma intermittente. Le “nuvolette” di cui sopra possono variare di dimensione, di intensità e di durata, ma restano normalmente confinate entro un volume di uno-due metri cubi nell’intorno del punto di spacco, e durano solo qualche secondo di tempo(*). Il fenomeno può acuirsi spaccando pezzi medio-grandi, soprattutto se con superfici molto irregolari (lame con adattamento), anche se, in questo senso, non sembra esserci una regola univoca. Mentre esso perde normalmente di significato con i pezzi piccoli e/o con superfici regolari e segate (lame fisse), le quali rilasciano quantità di polvere veramente limitate, in molti casi nulle. Nei cicli di produzione automatica, poi, l’operatore è posizionato a distanza dai pezzi in lavorazione, e quindi, dalla zona di maggior concentrazione delle polveri (foto 222 e foto 123 nel capitolo 4)(**)

(*) la produzione e diffusione di polveri è un fenomeno così circoscritto e limitato che una sua documentazione ottimale può aversi solamente osservando un video, oppure scattando più foto in sequenza motorizzata, in maniera da garantirsi almeno uno scatto nel quale il fenomeno è realmente apprezzabile. (**) nella foto 123 del capitolo 4 l’operatore non solo è a distanza, ma è anche ubicato in posizione protetta e riparata, all’interno di una cabina

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6. Lo spacco, l’ambiente e la sicurezza

← Foto 222.

Operatori posizionati ad una certa distanza dalla zona di spacco (parte centrale dell’immagine, verso lo sfondo), ben lontani dall’area di possibile influenza delle polveri prodotte

Occorre aggiungere, inoltre, che lo spettro granulometrico delle polveri ha importanti percentuali delle frazioni più grossolane (scaglie, frammenti) rispetto alle fini e alle finissime, alle quali è imputabile la frazione respirabile (0,5÷5 micron). Ciò implica che la sospensione, la diffusione e la dispersione sono assai meno intense rispetto ad altri sistemi di lavorazione; e, infatti, una buona quota di polveri tende a ricadere velocemente, accumulandosi sul piano di lavoro, il quale deve essere pulito spesso.

Da ultimo, ma non certo per importanza, merita anche ricordare che le polveri - qualità e quantità - sono in strettissima relazione alla composizione chimica e mineralogica delle rocce, nonché alla loro struttura; a parità di composizione chimica (carbonato di calcio), un calcare “farinoso” e poco tenace genera più polvere di un marmo cristallino a grana fine. Le pietre cosiddette “verdi” (serpentiniti, pietra ollare ecc.) possono contenere amianto (→ asbestosi), mentre le rocce a composizione sili-

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7. Criteri di scelta

7. Criteri di scelta

7. Criteri di scelta

7. Criteri di scelta

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, esistono diversi manufatti a spacco e, conseguentemente, esistono numerose macchine in grado di coprire le differenti esigenze di produzione.

Scopo di questo capitolo è orientare il lettore ad una scelta appropriata di una macchina o di un impianto, in funzione dei diversi parametri del proprio lavoro, della propria azienda e del mercato di destinazione dei manufatti.

In linea del tutto generale, non esiste una classifica di importanza di un certo parametro rispetto a un altro; quello che è un parametro fondamentale per un operatore del paese A, che lavora con le pietre B e C sul mercato D, potrebbe essere un parametro del tutto trascurabile, o di nessuna significatività, per l’operatore E, che lavora con la pietra F sul mercato G. Su questa stessa base, non è propriamente corretto formulare la (classica) domanda: “È meglio questa macchina o quest’altra ?” Dal momento che la risposta può evidentemente essere diversa da caso a caso.

La scelta di una macchina deve essere fatta quindi con precisi criteri, i quali scaturiscono sostanzialmente dai seguenti punti (non in ordine di importanza, per quanto appena detto), qui di seguito brevemente passati in rassegna: a) natura della pietra; b) forma del materiale di partenza;

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7. Criteri di scelta

c) d) e) f) g) h)

dimensioni del materiale di partenza; tipologia del prodotto da ottenere; quantità di materiale da lavorare/produttività richiesta; livello di automazione; mercato di destinazione/collocazione finale; livello di investimento;

Per alcuni di essi sono state inserite più considerazioni rispetto ad altri; questo non tanto per una maggiore importanza di un punto rispetto a un altro, quanto per una minore ampiezza delle possibili argomentazioni.

Vedasi, ad esempio, i punti e) ed h), e, in misura un po’ minore, i punti d) e g), tutti abbastanza dipendenti dalla volontà e dagli intendimenti dell’operatore.

A titolo di consiglio, si invita in ogni caso il lettore alla rilettura del Cap. 4, all’interno del quale sono presenti, in forma disseminata, altri orientamenti e suggerimenti tecnici utili a identificare la macchina o l’impianto che fanno al caso proprio.

a) natura della pietra: per quanto possa apparire ovvio e scontato - e, purtuttavia poco creduto da molti operatori - la natura della pietra da trattare è semplicemente fondamentale. Con il termine natura si intende qui la sua natura geologica (granito, basalto, travertino ecc.), non quella geometrica (grezzo, informe, semi-lavorato ecc.). È bene subito osservare che non esistono regole assolute ed univocamente valide; esistono, chiaramente dei dettami generali, come quelli che sono stati illustrati nel Cap. 2, ma l’approccio pratico riveste ancora una grandissima importanza. Ecco perché viene normalmente richiesta una campionatura rappresentativa del materiale allo scopo di testarlo e trarne utili indicazioni pratiche (vedi Appendice II). È in ogni caso molto utile dare un’occhiata alle schede descrittive di rocce diverse per rendersi conto delle differenze che sussistono nei valori delle proprietà tecniche, soprattutto quelle fisico-meccaniche. Poiché la potenza e la forza di spacco di cui una macchina dispone devono estrinsecarsi su una roccia,

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7. Criteri di scelta

→ Foto 230.

Spacco di un materiale granitico, in forma particolarmente irregolare, mediante macchina equipaggiata con lama con adattamento → Foto 231.

Materiale granitico ad elevata suddivisibilità, e in forma sub-regolare, spaccato con lama di tipo fisso

è evidente che ciò che questa roccia “ha dentro di sé” è di fondamentale importanza, e non è difficile comprendere che a valori elevati di tali proprietà corrispondono solitamente maggiori richieste di potenza e di forza di spacco, e viceversa. Si ricordi sempre di verificare a quali orientazioni del materiale (se esistenti) corrispondono i valori di tali proprietà; rocce con un “verso” particolarmente penetrativo possono esibire differenze anche di un fattore 10 nel valore di una stessa proprietà misurata parallelamente al “verso” o perpendicolarmente ad esso. Ad esempio, un materiale può mostrare una resistenza alla flessione di 40 MPa in direzione ortogonale al suo verso (molte ardesie; serpentinoscisti ecc.) e di 4÷5 MPa in direzione parallela. Lo stesso dicasi per la resistenza alla compressione, o per l’energia d’urto. Potrebbero, cioè, essere sufficienti anche valori di potenza e di forza di spacco relativamente modesti per spaccare materiali molto tenaci e compatti; dipende dall’orientazione dello spacco rispetto al “verso” della roccia. In altre parole - e reiterando quanto più volte espresso nel Cap. 2 - la struttura della roccia può dimostrarsi molto più importante della roccia stessa.

Come regole di applicazione generale, e a parità di potenza e di forza di spacco, si suggerisce comunque di equipaggiare una macchina con lame ad adattamento per trattare i materiali più tenaci, e con lame fisse per trattare quelli meno tenaci (foto 230,231).

Nella scelta degli utensili, invece, quelli ad angolo stretto (Cap. 4, fig. 17) sono normalmente da preferire con i materiali teneri e in forme regolari, quelli ad angolo più largo con i materiali più duri, più tenaci e in forme irregolari.

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7. Criteri di scelta

b) forma del materiale di partenza: con riferimento alla forma, la principale distinzione da operare fin da subito è sostanzialmente tra: ρρ materiale di forma irregolare e non geometrica, chiamato anche genericamente informe; ρρ materiale con un certo grado di regolarità, che può manifestarsi però in modi diversi: ad esempio, con una o più facce segate, ma anche con superfici a piano-cava (quindi naturali), che mostrino una certa regolarità.

L’argomento merita maggiore approfondimento, dal momento che la sua influenza ai fini della scelta è rilevante.

Normalmente, quando si parla di irregolarità, ci si riferisce a materiale proveniente dalla cava e non sottoposto ad alcuna lavorazione successiva (foto 232); tuttavia, si è visto nel Cap. 4 come il concetto di “superfici regolari” abbia un’accezione molto ampia.

Nella sua irregolarità, infatti, il materiale può essere fortemente, mediamente, o solo moderatamente, irregolare. Il primo caso identifica quelle che gli operatori definiscono scherzosamente “patate”, quando la forma del materiale di partenza è più simile, appunto, a quella di una patata che a quella di un solido geometrico. Forme di questo tipo, dalle dimensioni variabilissime (foto 233), sono assai comuni in cave di materiali intensamente fratturati, molto compromessi, ma anche nei materiali meno fratturati, soprattutto nelle discariche.

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← Foto 232. elementi di pezzatura varia ma con la tipica irregolarità del materiale grezzo di cava

← Foto 233.

Alimentazione di una linea di spacco con materiale abbastanza irregolare e variabile

Appendice I. MEC: chi siamo

Appendice I. MEC: chi siamo

Appendice I. MEC: chi siamo

Appendice I. MEC: chi siamo

↓ Foto 263 Veduta parziale della sede aziendale; area industriale di Scurelle (TN)

MEC srl è un’azienda specializzata nella progettazione, costruzione ed installazione di macchine e impianti per lo spacco della pietra naturale e materiali artificiali, e nella produzione di frantoi ed impianti di frantumazione.

La sua nascita risale al 1996, per iniziativa del suo attuale presidente e fondatore - il Sig. Giuseppe Nicoletti - sulla base di un’esperienza pluridecennale acquisita nei campi della meccanica e dell’idraulica applicate alle macchine industriali.

Oggi, per capacità produttiva, know-how, fatturato, presenza commerciale ed avanguardia tecnologica, MEC srl costituisce un’azienda di riferimento internazionale assoluto nel comparto delle macchine ed impianti per lo spacco.

La sede Inizialmente stabilita presso Roncegno (TN), l’azienda ha trasferito il proprio Quartier Generale nella zona industriale di Scurelle (TN) (foto 263),a breve distanza dal comprensorio di produzione del Porfido Trentino, il materiale che, più di altri, ha contribuito a diffondere la conoscenza delle macchine per lo spacco della pietra.

Nell’attuale sede si trovano tutte le Divi-

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Appendice I

sioni produttive (macchine per lo spacco della pietra naturale; macchine per lo spacco di materiali artificiali; frantoi e impianti di frantumazione), le unità di montaggio ed assemblaggio, nonché il magazzino e gli uffici tecnici e commerciali.

La produzione L’azienda disegna, progetta, costruisce, commercializza ed installa: ρρ macchine, impianti e linee complete - manuali ed automatiche - per lo spacco della pietra naturale; ρρ macchine, impianti e linee complete- manuali ed automatiche - per lo spacco di materiali artificiali e compositi (cemento; calcestruzzo; agglomerati ecc.) (*); ρρ frantoi e impianticompleti di frantumazione per la produzione di frantumati di materiali vari (marmo, granito, agglomerati, ceramica, vetro, fusioni alluminio ecc.) (*). ρρ sistemi, accessori e componenti per carico-scarico, movimentazione, trasporto e manipolazione dei materiali trattati.

Tutta la produzione aziendale risponde alla filosofia della modularità e della personalizzazione: ogni unità può essere realizzata sulla base di esigenze specifiche, e può essere calibrata, combinata, integrata ed ampliata con altre unità, sia di produzione che di movimentazione e trasporto, a formare impianti e linee complete di qualsivoglia grandezza e capacità produttiva.

L’azienda realizza internamente tutte le fasi di produzione utilizzando macchinari ed attrezzature di alto profilo tecnologico, ed avvalendosi delle più recenti tecniche di progettazione CAD 2D e 3D.

Il network commerciale Le macchine e gli impianti MEC sono presenti in 54 paesi, distribuiti in tutti e cinque i continenti (fig. 30).

(*) di cui questo volume non si occupa ∎ 176

Appendice I

Questi i paesi in cui l’azienda è presente:

↑ Fig. 30 MEC srl nel mondo

AMERICHE: ARGENTINA, BRASILE, CANADA, CILE, ECUADOR, MESSICO, PERU’, URUGUAY, USA; AFRICA: CAPO VERDE, EGITTO, ETIOPIA, MAROCCO, NIGERIA, SEYCHELLES, SUD AFRICA, TUNISIA; EUROPA: ARMENIA, AUSTRIA, BELGIO, BIELORUSSIA, BULGARIA, CIPRO, CROAZIA, FINLANDIA, FRANCIA, GEORGIA, GERMANIA, GRAN BRETAGNA, GRECIA, IRLANDA, ITALIA, LETTONIA, MACEDONIA, MALTA, NORVEGIA, PAESI BASSI, POLONIA, REPUBBLICA CECA, ROMANIA, RUSSIA, SERBIA, SLOVENIA, SPAGNA, SVEZIA, SVIZZERA, UCRAINA; ASIA: IRAN, KAZAKHISTAN, PALESTINA, TAGIKISTAN, TURCHIA; OCEANIA: AUSTRALIA, NUOVA ZELANDA. Oltre alla forza-lavoro di sede - complessivamente una ventina di persone - l’azienda si avvale di diverse strutture consulenti, cui affidare incarichi particolari, nonché di un ampio network commerciale, costituito da 45 agenti e rappresentanti.

I servizi: ρρ assistenza tecnica e supporto pre-attività produttiva: studi di prefattibilità e fattibilità; studi di caratterizzazione e qualificazione del/i materiale/i; identificazione e scelta di tecnologie ed attrezzature; avvio della produzione ecc. ρρ assistenza tecnica e commerciale post-vendita: garantita sia dalla sede principale che da una fitta rete di dirigenti e rappresentanti in tutto il mondo. ρρ magazzino: un sistema di magazzino computerizzato che permette assistenza ed immediata consegna di ricambi, accessori e consumabili. ∎ 177

Appendice I

Qualità Ambiente/Sicurezza MEC srl opera nel rispetto degli standard ISO 9001, la normativa internazionale di riferimento per la qualità assoluta; la relativa certificazione è stata conseguita dall’azienda nell’anno 2003 (certificato attuale CERT12284-2003-AQ-VEN-SINCERT). Tutta la produzione è ottenuta nel pieno rispetto delle normative vigenti, sia di processo che di prodotto.

Un unicum all’interno del comparto è rappresentato dalla certificazione dell’Istituto Italiano della Saldatura, secondo la Norma EN 15614:2004, concernente i processi di saldatura; tutte le saldature presenti nelle macchine e negli impianti sono infatti realizzate seguendo procedure certificate dall’Istituto,ed eseguite da saldatori e operatori qualificati con patentino rilasciato dall’Istituto Italiano della Saldatura, secondo la Norma EN 287:2004.

La sicurezza integrale di filiera è comprovatasull’intera gamma di prodotti dalla obbligatorietà della marcatura CE, apposta su ogni macchina e/o impianto,sia per lo spacco che per la frantumazione.

L’azienda - inoltre - è in procinto di ricevere la certificazione ISO 18000, la cui serie di standard internazionali identifica il pieno rispetto dei protocolli relativi alla gestione della sicurezza.

Affiliazioni MEC srl aderisce, in qualità di socio ordinario, a CONFINDUSTRIA MARMOMACCHINE – ASSOMARMOMACCHINE, l’Associazione confindustriale di principale riferimento per la categoria dei materiali lapidei (materiali e tecnologie).

L’azienda è tra le prime ad aver conseguito in Italia il MARMOMACCHINE MARK, un riconoscimento, rilasciato da Confindustria Marmomacchine, che certifica gli impianti di eccellenza assoluta e di realizzazione rigorosamente “Made in Italy”(**).

(**) alla data di stesura del presente volume se ne contano 13.

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Appendice II. Criteri per una campionatura

Appendice II. Criteri per una campionatura

Appendice II. Criteri per una campionatura

Appendice II. Criteri per una ca

Nei primi capitoli di questo volume sono stati sottolineati il ruolo e l’influenza che ha la struttura delle rocce ai fini dello spacco. Sono state esaminate le relazioni tra il “verso” e lo spacco, ed è anche stata anticipata, nei § 2.2 e 2.3, l’importanza di riconoscere il verso quando deve essere fornita una campionatura per l’esecuzione di tests preliminari e prove di spacco. È molto importante che un potenziale acquirente di macchine/impianti metta il fabbricante nelle condizioni più idonee per realizzare questi tests perché, molto spesso, per mancanza o carenza di informazioni di base sul materiale, si rischiano grossi fraintendimenti, conclusioni errate e fuorvianti, e relativo disappunto da entrambe le parti.

Le prove servono a stabilire quali sono le direzioni di spacco migliori e/o soddisfacenti, la potenza e la forza di spacco necessarie per un determinato materiale (in senso geologico e geometrico), la tipologia di lame e di utensili più appropriati, i layout di impianto più opportuni. Oltre a tutta un’altra serie di dettagli su cui non ci soffermeremo.

Per l’esecuzione dei tests, si pongono le seguenti questioni: 1) collocare stabilmente il campione sul banco di lavoro di una macchina per spaccarlo; 2) identificare una direzione di spacco il cui risultato sia soddisfacente in termini sia di superficie (regolarità, rilievo ecc.), sia di facilità di operazione, sia di ripetibilità dei risultati. Per quanto detto nel Cap. 2, è evidente che l’identificazione del verso e/o altre superfici particolari nella roccia è molto importante; 3) annotare, ad ogni tentativo, come è orientata la direzione di spacco (ritenuto soddisfacente) rispetto all’eventuale verso della roccia, in maniera da poter replicare questa orientazione in tutti i campioni (e, eventualmente, nella successiva attività di spacco con un medesimo materiale).

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Appendice II

Benché, in fatto di campionature, la casistica possa essere infinita (è praticamente impossibile sapere quello che si riceverà), esaminiamo tre casi ed osserviamo le relazioni tra essi e le tre questioni poste poc’anzi: a) campioni di materiale con forma regolare, segata (Fig. 31a); b) campioni completamente informi, irregolari (Fig. 31b); c) campioni molto irregolari, ma con almeno una superficie più regolare, sub-planare (Fig. 31).

Le considerazioni che seguono sono relative soprattutto a campioni sufficientemente grandi da non poter essere spostati a piacimento dall’operatore e che, come tali, devono essere posizionati sulla macchina con ausili meccanici (gru, fork-lift ecc.), dati il loro peso e dimensioni; quindi, con scarse (se non nulle) possibilità di disporre il campione come si vuole. Qualora i pezzi disponibili siano medio-piccoli, aumenta chiaramente la possibilità dell’operatore di disporli come egli desidera, operazione questa certamente utile nei casi b) e c).

Nel caso a) il campione dispone normalmente di più superfici planari, o sub-planari, provenendo da taglio e/o segagione. Si tratta quasi sempre di parallelepipedi, con almeno quattro facce regolari, nei casi migliori con tutte e sei. In questa situazione il campione può essere ben collocato sul banco di lavoro della macchina; la regolarità della forma agevola molto il posizionamento, ma le direzioni di spacco coincideranno necessariamente con quelle parallele alle facce del parallelepipe-

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← Fig. 31.

Schematizzazione della possibile forma dei pezzi di una campionatura.

Sono state scelte, a titolo di esempio, tre forme: a) campione con forma regolare, segata; b) campione molto irregolare, informe; c) campione piuttosto irregolare, ma con una superficie grossolanamente regolare, subplanare (quella inferiore, nel disegno).

Appendice II

do. Questo è evidente: mettendo il pezzo sul banco su una qualunque delle sue facce regolari (supponendo che siano tutte abbastanza grandi da poter essere utilizzate come appoggio), e supponendo di eseguire il test con una macchina classica, a direzione di spacco verticale, tale spacco sarà sempre parallelo ad una delle facce del pezzo.

Nel caso b) può essere difficile trovare una posizione nella quale il campione sia stabile; soprattutto, in caso di prove multiple, è probabile (vedi anche considerazioni poco oltre) che la direzione di spacco sia sempre differente (quella dentro la roccia, perché quella data dalla macchina, chiaramente, è sempre la stessa).

Nel caso c) la superficie che più facilita l’appoggio è l’unica subplanare disponibile nel campione (quella inferiore in fig. 31c); ogni altro orientamento sarebbe probabilmente meno stabile, ed è quindi ovvio che chi esegue il test collochi il campione sulla macchina nella posizione che appare la più logica e la più comoda. Analogamente al caso a), la direzione di spacco sarà obbligata dal posizionamento a cui il campione in pratica costringe e, in caso di prove multiple, sarà pressoché impossibile ripeterla, a meno che in campioni diversi, l’unica superficie sub-planare sia sempre la stessa (come orientamento nella roccia).

Aggiungiamo alcune considerazioni in relazione ai succitati punti 2) e 3).

Premesso che, come più volte sottolineato, ogni roccia può essere spaccata secondo qualunque orientazione, esistono normalmente tre direzioni (verso, secondo e contro, o i nomi equivalenti con cui queste superfici sono chiamate nelle diverse aree) che vengono prese come riferimento prioritario, essendo il verso la principale tra tutte.

Nel caso a), ipotizzando un classico campione in forma di parallelepipedo, e quindi con facce mutuamente ortogonali, è auspicabile che almeno una coppia di facce sia parallela al verso; o - il che è lo stesso - che il campione sia segato con il verso parallelo ad una coppia di facce; il posizionamento obbligato, in appoggio sulle sue facce regolari, consentirà di spaccare il pezzo o parallelamente al verso [caso a) in fig.

32] o in una delle altre due direzioni ad esso ortogonali (secondo, o contro) [casi b) e c) in fig. 32].

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Appendice II

a)

c)

b)

d)

← Fig. 32.

Nel caso di campioni aventi forma regolare (vedi anche fig.

31a), meglio se con facce mutuamente perpendicolari, è auspicabile che almeno una coppia di facce sia parallela al verso. Così facendo, disponendo il campione sotto le lame (simulate con le freccette rosse contenute nei piani a contorno azzurro) il posizionamento più logico che proprio la forma regolare del campione consente, permetterà di spaccare il pezzo o parallelamente al verso [caso a)], o in una delle altre due

direzioni ad esso ortogonali (secondo, o contro) [rispettivamente casi b) e c)].

Se l’angolo tra le facce ed il verso è differente da 0° o 90° [caso d)], risulterà difficile spaccare parallelo al verso, od ortogonale; per soddisfare questa condizione, infatti, il pezzo dovrebbe essere collocato sulla macchina di spigolo (vedi fig. 33), in posizione instabile ed irrazionale.

E’ facilmente intuibile che, se ogni pezzo - per regolare che sia - è tagliato diversamente dagli altri, gli angoli sono sempre diversi e l’orientazione del piano di spacco rispetto al verso della roccia cambia continuamente, rendendo complicato sistematizzare le operazioni e trarre conclusioni utili

L’esperienza insegna che uno spacco soddisfacente coincide spesso con due di queste tre superfici. Tuttavia, se tra le sue facce ed il verso c’è un angolo diverso da 0° o 90° [caso d) in fig. 32], diventa difficile spaccare parallelo al verso, od ortogonale poiché, per soddisfare questa condizione, il pezzo dovrebbe poggiare su uno spigolo (fig. 33), in posizione instabile ed irrazionale. Cosa che, evidentemente, l’operatore non fa, avendo a disposizione delle facce regolari e comode per collocare il campione sul banco di lavoro.

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Appendice III. Lessico

Appendice III. Lessico

Appendice III. Lessico

Appendice III. Lessico

a cerchi concentrici: vedi posa a cerchi concentrici a collo di cigno: vedi macchina a struttura aperta a coda di pavone: vedi posa a coda di pavone a correre: espressione tecnico-commerciale riferita ad elementi per pavimentazione/rivestimento aventi larghezza fissata e lunghezza non specificata, ma normalmente compresa tra un limite massimo e un limite minimo (e almeno 1,5 volte la larghezza) a faccia-vista: vedi faccia vista a piano naturale: vedi superficie a piano naturale a profilo piano: vedi utensile piano a profilo bombato: vedi utensile bombato a profilo raggiato: vedi utensile bombato a spacco: vedi superficie a spacco a struttura aperta: vedi macchina a struttura aperta a struttura chiusa: vedi macchina a struttura chiusa

abbadino: nome locale (Liguria) che identifica un elemento di copertura per tetti, realizzato a spacco in ardesia, con dimensioni cm 57 x 57, spessore 8 mm ad archi contrastanti: vedi posa ad archi contrastanti adattamento: vedi lama con adattamento al contro: termine che specifica se una certa operazione (ad es. la segagione, la lucidatura ecc.) è stata eseguita parallelamente alla direzione del contro, o con angolo molto piccolo rispetto ad essa. Es: segagione del blocco al contro: tagliato cioè parallelamente alla direzione del contro. Anche: controverso; controvena; controfalda al secondo: termine che specifica se una certa operazione (ad es. il taglio, la lucidatura ecc.) è stata eseguita parallelamente alla direzione del secondo, o con angolo molto piccolo rispetto ad essa. Es: taglio del blocco al

Nota: Le parole che, nelle descrizioni, sono in corsivo+grassetto, figurano come voci autonome nel lessico (indipendentemente dal singolare o plurale).

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Appendice III

secondo: tagliato cioè parallelamente alla direzione del secondo. al verso: termine che specifica se una certa operazione (ad es. la segagione, la lucidatura ecc.) è stata eseguita parallelamente alla direzione del verso, o con angolo molto piccolo rispetto ad essa. Es: taglio del blocco al verso: tagliato cioè parallelamente alla direzione del verso. Anche: a falda; all’aria; alla vena; in falda alla rinfusa: termine normalmente riferito a merce spedita non imballata, oppure senza ordine e distinzione di tipo, di colore, di dimensione, di forma ecc. Merce caricata sfusa sui mezzi di trasporto. altezza di spacco: la massima altezza dei pezzi trattabili da una macchina per spacco. Si esprime in millimetri. archi contrastanti: vedi posa ad archi contrastanti ardesia: roccia metamorfica di grado molto basso (argilloscisto), scistosa, a grana fine-ultrafine, capace spesso di coniugare grande compattezza e suddivisibilità in lastre sottilissime e molto regolari. arenaria: roccia sedimentaria clastica i cui costituenti, prevalentemente frammenti detritici e granuli minerali, hanno dimensioni comprese tra 1/16 mm e 2 mm. Si distinguono numerosissimi tipi in funzione dalla genesi, della struttura, della composizione: a.eoliche, a.torbiditiche, a.calcaree, a.quarzofeldspatiche ecc. banco di lavoro: vedi piano di lavoro basalto: roccia magmatica effusiva, a chimismo basico, colore scuro e tessitura da olocristallina fino a completamente vetrosa, composta prevalentemente da feldspati, pirosseni e minerali accessori. Si distinguono vari tipi: b. alcalini, b. calcoalcalini, b. tholeiitici, b. transizionali ecc.

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basculamento: capacità della lama di una macchina per spacco di ruotare attorno a un asse orizzontale (ortogonale alla lama stessa) per meglio adattare la propria posizione alle irregolarità del pezzo da spaccare. basola: massello o concio di pietra, perlopiù lavica, frequentemente lavorato a spacco, ed impiegato per lastricati stradali ed aree carrabili. basolato: lastricato realizzato con basole e/o elementi simili, frequentemente ricavati da pietre laviche. beola: nome locale (Piemonte, ma anche Val d’Aosta e Lombardia) e commerciale che identifica una roccia a composizione granitoide (uno gneiss) facilmente suddivisibile in lastre anche sottili e spesso lavorato a spacco. bindero: elemento lapideo, molto spesso in porfido, di forma parallelepipeda, spessore e dimensioni variabili, avente la faccia superiore (alla vista) a piano naturale e le coste lavorate a spacco.

Impiegato per pavimentazioni, per delimitare marciapiedi, giardini, vialetti, o per evidenziare la demarcazione tra due tipi di pavimenti diversi. blocco: unità fisica di produzione di una cava ovvero obiettivo primario delle operazioni in essa condotte. E’ classificabile in base ai suoi requisiti volumetrici, dimensionali, di forma, ed estetico-cromatici. blocco da scogliera: blocco normalmente scartato dalla produzione di cava ma idoneo ad essere impiegato per altri scopi (opere di contenimento, opere idrauliche, opere di ripristino ambientale ecc.). blocco informe: blocco la cui conformazione non è stata ridotta ad una conformazione geometrica regolare bombato: vedi utensile bombato bozza: vedi bugna

Appendice III

briglia: manufatto, quasi sempre in pietra, parallelepipedo e di grosse dimensioni, impiegato per rivestimenti di opere idrauliche (argini, alvei di torrenti). bugna: parte esterna di un concio, lavorata “a sporgere”, e volta ad accentuare il rilievo, la forma e gli effetti chiaroscurali. Dicesi piana se mostra i bordi smussati o arrotondati, a diamante se ha la superficie a cuspide.

Anche: bozza. bugnatino: motivo bugnato realizzato con bugne aventi un rilievo modesto. bugnato: motivo o rivestimento ornamentale costituito da bugne. Può essere liscio (bugne in leggero rilievo), rustico (bugne in forte rilievo), a cuscinetto (bugne a forma bombata), a punta di diamante (bugne tagliate a piramide o a tronco di piramide), vermicolato (superfici solcate da linee tortuose). bugnatrice: macchina impiegata per realizzare superfici a bugnato. Altro nome per macchina da spacco. bugnatura: finitura superficiale a spacco con la quale si realizzano bugne e superfici bugnate. Si esegue manualmente, con scalpelli a lama larga, o meccanicamente, a mezzo macchine spaccatrici-bugnatrici. calcare: roccia sedimentaria costituita quasi interamente da carbonato di calcio. Se ne distinguono numerosissimi tipi in funzione dalla genesi, della struttura, della composizione: c. detritici, c.organogeni, c.biochimici, c.stratificati, c.massicci, c.litografici, c.cavernosi, c.arenacei, c.fossiliferi, c.lacustri ecc. calcagnolo: scalpello piuttosto corto, con tagliente a una o due tacche, impiegato in scultura e per la lavorazione ad urto delle superfici. Anche: dente di cane.

cantonetto: manufatto di forma parallelepipeda, basso ed allungato, usati fin dai tempi storici per la confezione di muri portanti, confini di proprietà, muri di recinzione, pareti a faccia-vista. Termine perlopiù sardo, ma utilizzato anche altrove. cocciame: residuo di lavorazione solido, a pezzatura variabile e irregolare, prodotto con il taglio secondario e con altre operazioni di trasformazione. coda di pavone: vedi posa a coda di pavone coltello: vedi lama concio: 1) blocco/blocchetto in pietra sagomato e squadrato, a forma di parallelepipedo, impiegato come elemento da costruzione o per murature.

2) elemento lapideo, a forma trapezoidale, costituente della ghiera di un arco. contro: superficie lungo la quale una roccia esibisce una suddivisibilità inferiore sia a quella del verso, sia a quella del secondo, rispetto alle quali è normalmente ortogonale-subortogonale. Anche: controverso; controvena; mozzatura; strozzo; controfalda. controfalda: termine che identifica un’operazione (ad es. il taglio in cava, la segagione, la lucidatura ecc.) eseguita trasversalmente (spesso a 90°) rispetto alla falda o altra orientazione principale di un materiale. Es: lastre di travertino “controfalda”: tagliate cioè (ed eventualmente trattate) trasversalmente alla falda visibile in cava. Anche: contro; controverso. controfalda: vedi al contro controvena: vedi al contro controverso: vedi al contro; controfalda cordolo: elemento lapideo in massello, a correre, utilizzato per realizzare cordonate e bordature di marciapiedi,

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Appendice III

aiuole, strade, ecc. Spesso lavorato a spacco. cordonata: bordo a cordone normalmente disposto a delimitazione di spazi come aiuole, fioriere, gradini di scalinate o rampe. cordone: nell’uso corrente, manufatto di forma parallelepipeda, perlopiù a finitura grezza e rustica, e spesso lavorato a spacco, impiegato per la realizzazione di marciapiedi, gradinate, fioriere ecc. costa: superficie laterale di un elemento lastriforme definita dallo spessore e dalla lunghezza dell’elemento stesso.

Può essere a spacco, segata, sagomata. costa alla trancia: vedi costa a spacco. costa a spacco: finitura superficiale della costa di un semilavorato ottenuta per spacco. Anche: costa alla trancia. cubettatrice: macchina deputata alla confezione di cubetti. cubetto: elemento da pavimentazione di forma grossolanamente cubica, ottenuto per spacco (ma anche spacco + taglio a fresa), con lunghezza dello spigolo normalmente compresa tra i 4 e i 18 cm. Anche: sanpietrino. dente di cane: vedi calcagnolo divisibilità: vedi suddivisibilità dolomia: roccia sedimentaria carbonatica, ma anche metamorfica, costituita in prevalenza da dolomite. durezza: 1) in mineralogia, resistenza opposta da un minerale alla scalfittura.

2): nell’uso corrente, ma improprio, difficoltà che un materiale lapideo oppone ad azioni di tipo diverso, sia durante l’escavazione (perforabilità, segabilità), sia durante la trasformazione (segagione, taglio, lucidabilità ecc.). faccia a vista: vedi faccia vista faccia vista: la superficie di un elemento destinata a rimanere a vista dopo la

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posa in opera dell’elemento stesso.

Anche: faccia a vista; a faccia-vista. falda: 1) all’interno di una cava (o giacimento), termine locale impiegato per definire un determinato strato roccioso, con maggior riferimento alle sue caratteristiche di colore, disegno, venature ecc. Anche: corso; banco; orizzonte. 2) sinonimo di verso, o superficie di più facile suddivisibilità di una roccia. E’ normalmente planare, con grado di penetratività da elevato (es: scisti), a intermedio (es: gneiss, travertino), a limitato (cipollino, marmo). E’ ortogonale-subortogonale al contro e al secondo. Anche: verso. fissa: vedi lama fissa fissilità: proprietà di una roccia di sfaldarsi e di suddividersi regolarmente secondo piani molto ravvicinati e paralleli tra loro (fino a scala millimetrica).

Anche: suddivisibilità. foliazione: distribuzione preferenziale planare degli elementi costituenti una roccia (minerali; fossili ecc.) dovuta a cause diverse (metamorfismo; flusso di magma ecc.). Determina spesso un’evidente suddivisibilità secondo determinate direzioni. forza di spacco: termine usato per esprimere la effettiva capacità di spacco di una macchina. Si esprime in tonnellate. Distinta dalla potenza di spacco. frangiroccia: termine particolare per indicare una macchina spaccatrice sensu lato. gneiss: roccia metamorfica, di grado da basso ad elevato, costituita da quarzo, feldspati, miche ed accessori.

Roccia spesso caratterizzata da un’evidente struttura orientata, definita da nomi diversi (g. lineato; g. occhiadino; g. tabulare ecc.). gradina: utensile impiegato in scultura e per la lavorazione ad urto delle super-