Sociologia generale 2/ed

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Parte III

Identità, differenze e disuguaglianze Capitolo 7

Migrazioni ed etnie

Capitolo 8

Genere e sessualità

Capitolo 9

Stratificazione e disuguaglianze nell’era della globalizzazione


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Capitolo 7

Migrazioni ed etnie © Jim West/Alamy Stock Photo

Obiettivi di apprendimento ▮ In che modo la cultura contribuisce a definire la vostra identità nazionale ed etnica? ▮ Come fanno gli individui e le strutture istituzionali a perpetuare la disuguaglianza razziale ed etnica? ▮ In che modo i gruppi maggioritari e minoritari riproducono le disuguaglianze di potere?

“Sostenere che una persona non sappia fare il suo lavoro a causa della razza è un po’ la definizione da manuale di commento razzista”. Così ha risposto il presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, il repubblicano Paul Ryan, alle dichiarazioni Donald Trump, allora non ancora presidente degli Stati Uniti. Nel giugno 2016 Gonzalo Curiel, giudice americano di nascita che stava supervisionando un processo per presunta frode contro la “Trump University”, era stato criticato da Trump per la sua “faziosità innata” a causa delle sue origini messicane. Più volte Trump aveva avanzato la proposta di costruire un muro tra gli Stati Uniti e il Messico, oltre a quella di espatriare 11 milioni di immigrati clandestini — di cui molti messicani. Per questo, aveva insinuato, il giudice non poteva essere imparziale. Molti del suo stesso partito hanno rinnegato questi commenti, compreso il leader della maggioranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell, che ha affermato di “non poter essere più in disaccordo” (McCammon, 2016). Nel 2008 l’elezione di Barack Obama, il primo presidente afro-americano del Paese, era sembrata un segnale speranzoso dell’emergere di un’America “post-razziale”. Negli anni tra le elezioni del 2008 e quelle del 2016, tuttavia, il Paese è stato scosso dalle proteste che hanno richiamato l’attenzione sull’uccisione di diverse persone di colore disarmate in Florida; a Ferguson, Missouri; a Baltimora, Maryland e in molti altri luoghi. A Charleston, North Carolina, un giovane suprematista bianco aveva ucciso nove persone afro-americane impegnate nella lettura della Bibbia. Gli studenti universitari di tutto il paese avevano protestato per sensibilizzare i cittadini sul


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razzismo interno ai campus, reclamare maggiori diritti per le minoranze e fare altre richieste per le pari opportunità di tutte le razze (thedemands.org). Sulla scia degli attentati terroristici alcune persone di nazionalità arabo-americana, specialmente di fede musulmana, erano state vittime di abusi fisici e verbali (Jenkins e Calacal, 2016). In questo contesto, nel 2016 il magnate dell’immobiliare e conduttore di reality show Donald Trump ha vinto inaspettatamente le elezioni presidenziali, in parte grazie a dichiarazioni che molti del suo stesso partito avevano giudicato bigotte e razziste. Ha asserito ingiustamente che l’11 settembre gli arabi americani del New Jersey avevano festeggiato quando avevano visto crollare le torri gemelle del World Trade Center; ha poi richiesto la chiusura temporanea totale all’immigrazione dei musulmani e ha condiviso su Twitter statistiche inventate che sostenevano a torto che la maggioranza delle uccisioni di bianchi avviene per mano di persone di colore (Milbank, 2015). La sua campagna, inoltre, è stata supportata da – e ha stimolato a sua volta – esponenti della supremazia bianca (Kirkland, 2016). Questa propaganda allarmante, tuttavia, ha aiutato a mobilitare e dare la carica agli oppositori: la sua controparte nel Partito Democratico, Hillary Clinton, ha trovato appoggio nei diversi segmenti di un elettorato sempre più multietnico e multirazziale che comprendeva iberici, afro-americani e altri oggetto di bersaglio degli attacchi mossi da Trump. Qualunque altro ruolo possano avere avuto, quindi, le insolite elezioni del 2016 sono un promemoria severo di come la razza e l’etnia siano ancora questioni scottanti e prioritarie per la società americana. ▮

I dibattiti sull’immigrazione e sulla cittadinanza hanno radici lontane. Per esempio, ancor prima che nascessero gli Stati Uniti, l’arrivo degli europei in una terra già popolata da molte società indigene scatenò un conflitto tra persone di razze ed etnie diverse. Come vedremo, né il concetto di razza né quello di etnia hanno un fondamento biologico; sono entrambi invenzioni culturali. Tuttavia, questi costrutti culturali hanno conseguenze pratiche di fondamentale importanza: incidono sugli schemi d’azione – sulla struttura sociale – e contribuiscono al perdurare delle disuguaglianze di potere e di risorse tra gruppi etnici e razziali. Oggigiorno, che se ne abbia consapevolezza o meno, la razza e l’etnia sono parte della nostra identità, influenzano la nostra vita e il modo in cui gli altri interagiscono con noi. Per capire meglio noi stessi e la nostra società sempre più eterogenea, dobbiamo capire qual è l’impatto che la razza e l’etnia hanno avuto sulla nostra storia, nonché il loro ruolo nella società attuale.

7.1

Movimenti migratori

“Le migrazioni sono antiche quanto l’umanità” (Ambrosini, 2010: 19) e tuttavia negli ultimi decenni, a seguito dei processi di globalizzazione, i mo-


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vimenti migratori hanno subito un forte sviluppo, al punto che alcuni studiosi hanno definito l’epoca contemporanea come “l’era delle migrazioni” (Lowenthal, 1977).

7.1.1

Fattori di attrazione ed espulsione

Da un punto di vista analitico, possiamo distinguere due tipi diversi di fattori che generano i processi migratori. Il primo è costituito dai cosiddetti fattori di espulsione (push), vale a dire l’insieme delle problematiche interne al paese d’orgine (per esempio guerre, carestie, mancanza di libertà politica e così via) che spingono le persone – specie quelle più gioFattori di attrazione vani – a migrare nella speranza di trovare migliori (pull). Elementi tipici dei Paesi di condizioni di vita. Il secondo insieme è rappresentato destinazione, che contribuiscono ad attirare i migranti nei Paesi dai fattori di attrazione (pull) – tipici dei Paesi di più ricchi. destinazione – che riguardano in particolare maggiori possibilità di lavoro, maggiore libertà e benessere ecoMigrante. Persona che nomico, elementi questi che contribuiscono ad attilascia il proprio paese o regione rare i migranti nei Paesi più ricchi. Anche specifiche per stabilirsi in un altro per ragioni politiche volte a incoraggiare l’immigrazione fanno economiche, personali o familiari. parte dei fattori di attrazione. La combinazione di tali fattori “push and pull” ha prodotto, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i seguenti modelli di regolamentazione dell’immigrazione.

Fattori di espulsione (push). Insieme delle problematiche interne al Paese d’origine che spingono le persone a emigrare nella speranza di trovare migliori condizioni di vita.

▮ Modello storico. Adottato in passato da Paesi come Stati Uniti, Canada e Australia – dove la presenza di immigrati era fortemente incoraggiata a causa della scarsità di manodopera locale – consiste in un modello che garantisce il diritto di cittadinanza a tutti i nuovi arrivati. Tali Paesi hanno dato vita, nel corso del tempo, a vere e proprie nazioni di immigrati. ▮ Modello selettivo. Adottato dagli ex imperi coloniali, come Francia e Gran Bretagna, tale modello favoriva l’immigrazione di individui provenienti dalle proprie ex colonie piuttosto che da altri Paesi, al fine di mantenere un controllo indiretto su di essi. ▮ Modello dei lavoratori ospiti. Si tratta della politica seguita in passato da Paesi come Svizzera, Belgio e Germania, i quali incoraggiavano l’accesso temporaneo di manodopera straniera al solo fine di soddisfare le esigenze contingenti del mercato del lavoro, senza che ciò comportasse il riconoscimento dei diritti di cittadinanza. ▮ Modello della chiusura crescente. Si tratta della politica seguita oggi da gran parte dei Paesi occidentali i quali, di fronte ai massicci esodi di popolazioni provenienti dai Paesi più poveri, applicano misure sempre più restrittive nei confronti dei flussi migratori in entrata, generando fenomeni di diffusa clandestinità.


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7.1.2

Le diaspore

Diaspora. Fenomeno per cui una popolazione abbandona il proprio Paese d’origine disperdendosi in diversi Paesi stranieri, ma i diversi gruppi mantengono la propria identità culturale e, spesso, i legami con gli altri gruppi della diaspora (o, allorquando continui a esistere, con la madrepatria).

Un altro modello migratorio globale è rappresentato dalla diaspora, il fenomeno per cui una popolazione abbandona il proprio Paese d’origine disperdendosi in diversi Paesi stranieri, pur mantenendo la propria identità culturale e, spesso, i legami con gli altri gruppi di emigrati (o, allorquando continui a esistere, con la madrepatria). Robin Cohen (2008), nel suo noto lavoro Global Diasporas, individua quattro diverse categorie di diaspora, a seconda delle cause che la determinano.

▮ Diaspora di vittime. Diaspora generata da eventi particolarmente negativi e drammatici, com’è avvenuto, per esempio, per gli ebrei nel corso della storia. ▮ Diaspora imperiale. La dispersione è legata allo sviluppo di un impero e al conseguente trasferimento di parte della sua popolazione nelle nuove colonie. ▮ Diaspora di lavoratori. Il trasferimento avviene a causa della ricerca di nuove possibilità di lavoro, in più Paesi. ▮ Diaspora di commercianti. La dispersione della popolazione è correlata alla creazione di reti commerciali internazionali.

7.1.3

Il fenomeno migratorio in Italia

L’Italia ha conosciuto due grandi esperienze migratorie. La prima, avvenuta negli anni a cavallo fra ’800 e ’900, è conosciuta come la Grande Emigrazione: migliaia di persone emigrarono verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina lasciandosi alle spalle un Paese caratterizzato da una diffusa e crescente povertà. Sebbene si trattò di un fenomeno che coinvolse gran parte delle regioni italiane, la maggior parte degli emigranti proveniva per lo più dal Mezzogiorno, le cui campagne, attraversate da crisi ripetute e profonde, erano divenute sempre più povere. In poco tempo tali regioni si trasformarono in veri e propri “serbatoi di emigranti”: uomini e donne, per lo più contadini e braccianti analfabeti, che scelsero di attraversare l’oceano alla ricerca di un futuro migliore. La seconda esperienza migratoria è quella che si è sviluppata a partire dagli anni ’50 per concludersi negli anni ’60 e ’70; in queste decadi il flusso migratorio si concentrò verso alcuni Paesi europei, come la Svizzera, la Germania e il Belgio, sempre più bisognosi di manodopera che incoraggiavano i Paesi del Mediterraneo (e in particolare la Turchia, l’Africa del Nord, la Grecia, la Spagna e l’Italia) a fornire lavoratori a buon mercato. Le condizioni dei migranti nei Paesi di accoglienza erano assai difficili, sia per le condizioni di lavoro estremamente dure, sia per la situazione di emarginazione a cui erano continuamente sottopopsti. Per esempio, l’esperienza della migrazione italiana in Belgio viene spesso associata alla tragedia di Marcinelle, una miniera di carbone dove nel 1956 un’esplosione di gas grisou causò la morte di centinaia di emigranti italiani (Pugliese, 2006); secondo


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alcuni studiosi, quella tragedia segnò definitivamente la fine dell’emigrazione italiana in Belgio. Ovviamente, sia l’esperienza della Grande Emigrazione, sia quella della migrazione intraeuropea degli anni ’60 e ’70 hanno inciso profondamente sul tessuto sociale del nostro Paese, che proprio in relazione al fenomeno migratorio assume una posizione molto particolare. Infatti, accanto alle due grandi esperienze migratorie sopra descritte l’Italia è stata interessata anche da un significativo movimento interno “anch’esso orientato prevalentemente – ma non esclusivamente – dal Sud al Nord, dalle zone povere a quelle ricche, dall’agricoltura all’industria” (Pugliese, 2006: 12). Tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’70 del secolo scorso, in pieno boom economico, un numero sempre più consistente di persone si trasferì nelle grandi città del Nord Italia, in particolare Milano, Torino e Genova – il cosiddetto “triangolo industriale”. “Sono queste le zone, e in particolare le aree metropolitane di Milano e di Torino, che hanno assorbito la più grande quantità di immigrati per il lavoro industriale” (Pugliese, 2006: 49). Con l’esaurimento del boom economico, il crollo del muro di Berlino nel 1989 e le trasformazioni avvenute nell’Europa dell’Est, il continente europeo assistette a un’ondata di “nuove migrazioni” (Giddens, 2006: 157-158) che ha modificato notevolmente la direzione dei flussi migratori: i Paesi dell’area mediterranea, tra cui l’Italia, che precedentemente erano stati Paesi di emigrazione, assunsero i caratteri di veri e propri Paesi d’immigrazione. Tale trasformazione ha contribuito a modificare profondamente il tessuto della società italiana e la sua composizione demografica. Secondo il portale internet dell’ISTAT “Immigrati.Stat” gli stranieri residenti in Italia al primo gennaio 2017 erano 5 047 028 (2 404 129 uomini e 2 642 899 donne), ovvero 20 904 in più rispetto all’anno precedente: è da notare che a partire dal 2014 la quota di stranieri residenti in Italia è rimasta stabile e si è attestata intorno all’8,3% della popolazione totale. La loro distribuzione sul territorio italiano si conferma non uniforme. Infatti, in base al “Bilancio demografico 2016” dell’ISTAT nel nord-ovest risiede il 34,1% degli stranieri, nel nord-est il 24,5%, nel centro il 25,4% e nel mezzogiorno e isole il 15,9%. Per quanto Domanda di verifica riguarda i paesi di provenienza, i cittadini romeni coAlcune persone pretendono stituiscono la principale comunità di immigrati con un che si limiti l’immigrazione, che si irrigidiscano le leggi che numero di residenti che supera il milione, pari al 23% la governano e che si del totale. Tra gli stranieri di origine non comunitaria restringano i confini; altre si troviamo al primo posto la comunità albanese, seguita schierano a favore del da quelle marocchina, cinese, ucraina, filippina e indiamantenimento di un alto livello na .Le prime cinque nazionalità rappresentano oltre il d’immigrazione legale e 50% del totale degli stranieri presenti in Italia (Fig. 7.1). sostengono l’approvazione di Negli ultimi decenni l’aggravarsi degli squilibri una legge che faciliti tra il nord e il sud del mondo e il carattere sempre l’ottenimento della più globale dei movimenti migratori ha visto l’Europa cittadinanza per gli stranieri e in particolare l’Italia diventare una destinazione priirregolari. Che ruolo hanno vilegiata per le migrazioni internazionali. Ciò ha spincultura e potere in questi to anche il nostro Paese ad adottare politiche d’inconflitti?


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Romania 23,2% Altri

Albania 8,9%

Marocco 8,3%

Egitto 2,2% Bangladesh 2,4% Repubblica Moldava 2,7% India 3,0% Filippine 3,3%

Repubblica Popolare Cinese 5,6% Ucraina 4,6%

Figura 7.1 Cittadini stranieri in Italia nel 2017. Fonte: per gentile concessione di https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadinistranieri-2017/

gresso molto più rigide. L’innalzamento delle barriere in entrata e la criminalizzazione dell’immigrato irregolare hanno fatto sì che i migranti si trasformassero agli occhi dell’opinione pubblica “negli ancora più temuti irregolari, o peggio, clandestini, condannati a vivere per anni nella penombra dell’incertezza e della precarietà, malgrado si assumano, nella maggioranza dei casi, mansioni che contribuiscono al benessere delle società riceventi” (Ambrosini, 2010: 20). Si pensi all’elevato numero di immigrati, soprattutto donne, impiegati nei servizi alle persone (attività di collaboraRifugiato. Il rifugiato è zione domestica, assistenza agli anziani, cure domiciuna persona che si trova al di fuori liari ecc.): essi costituiscono una forza lavoro sempre del proprio Paese di origine a più significativa, in grado di supplire alle carenze del causa di persecuzioni, conflitti, nostro sistema di welfare, ma che tuttavia continua violenze che ne minacciano l'esistenza e che pertanto ha a ricevere un’accoglienza ancora troppo ostile. bisogno di protezione. Un discorso a parte merita la questione dei riGeneralmente, lo status giuridico di fugiati e richiedenti asilo che tanto allarme sociale rifugiato si acquisisce mediante una ha creato negli ultimi anni: secondo l’Alto Commisrichiesta di asilo la cui negazione, sariato dell’ONU (UNhCR), i rifugiati nel mondo a metà in molti casi, ha conseguenze potenzialmente mortali. del 2016 erano 16 515 190. Circa 2 100 000 si trova-


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no in Europa (e 2 800 000 nella sola Turchia), i restanti due terzi suddivisi tra altri tre grandi continenti: America e soprattutto Asia e Africa. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese ha accolto negli anni circa 131 000 rifugiati (UNhCR 2017), pari a circa lo 0,22% della popolazione totale. Nonostante le numerose trasformazioni degli ultimi anni, l’Italia continua a essere, per certi versi, un Paese di emigrazione soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni che, a causa della crisi economica e della crescente disoccupazione, scelgono di trasferirsi all’estero. Secondo il “Rapporto Italiani nel Mondo 2017” di Migrantes, nel 2016 sono espatriati 124 076 italiani, segnando un aumento del 15,4% rispetto al 2015. Ad aumentare sono soprattutto i giovani. Infatti oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha tra i 18 e i 34 anni (+ 23,3%), mentre il 9,7% ha tra i 50 e i 64 anni e sono i “disoccupati senza speranza” rimasti senza lavoro. Dal 2006, la mobilità italiana è aumentata del 60,1%. Sono quasi 5 milioni, al primo gennaio 2017, gli italiani che vivono all’estero secondo i dati delle iscrizioni all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). Per la precisione, sono 4 973 942, che costituiscono l’8,2% degli oltre 60,5 milioni di residenti in Italia alla stessa data. Un numero che è costantemente aumentato negli anni (nel 2006 erano poco più di 3 milioni, quindi un aumento del 60,1%). Oltre la metà risiede in un Paese europeo, ma le comunità italiane più numerose sono in Argentina (804 000), Germania (724 000) e Svizzera (606 000). È il Regno Unito, comunque, il Paese che ha visto maggiormente aumentare le iscrizioni all’AIRE (+ 27 602 nell’ultimo anno). Più della metà degli italiani residenti all’estero proviene da regioni del Sud. Aumentano i single e diminuisciono i coniugati. In crescita anche gli italiani nati all’estero: da circa 1,7 milioni del 2014 a quasi 2 milioni del 2017.

7.2

Il ruolo della cultura: inventare l’etnia e la razza

Molte società classificano le persone in termini di “razza” e di “etnia”. L’etnia designa una comunità caratterizzata da una tradizione culturale condivisa, che deriva spesso da un’origine e da una patria comuni. Tale tradizione culturale può includere, tra l’altro, una lingua, costumi, simboli, nonché cibi e musiche particolari. Le etnie sono costrutti culturali che esistono solo nella misura in cui vengono accolti spontaneamente dalle persone o loro imposti da qualcun altro. Le persone reinventano e ridefiniscono costantemente le identità etniche, il che può renderle un concetto fluido e nebuloso. All’interno di una società possono svilupparsi processi di “etichettamento etnico” che non trovano consenso nel gruppo al quale sono rivolti. Nel nostro Paese, l’etichetta razziale di “vu’ cumprà?” è spesso riferita a immigrati africani, che per sopravvivere inventano fragili e improvvisate attività economiche di natura ambulante. Questo termine, con il tempo, ha finito per

Etnia. Comunità caratterizzata da una tradizione culturale condivisa, che deriva spesso da un’origine e una patria comuni.


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assumere i caratteri di un vero e proprio stereotipo – del quale parleremo meglio in seguito. Allo stesso modo, negli Stati Uniti, l’etichetta razziale di “ispanico” è adottata in riferimento a coloro che provengono da Paesi di lingua spagnola o ai loro discendenti. Molti ispanici, tuttavia, rifiutano questa etichetta perché raggruppa sotto un’unica denominazione molte culture diverse; alcuni preferiscono il termine “latino” o “latina”, che sottolinea l’origine sudamericana, e molti preferiscono identificarsi con il proprio Paese d’origine, come per esempio i messicani (o chicanos), i portoricani, i cubani o i colombiani. Analogamente, alcuni americani di origine europea si identificano con le proprie radici, come i polacchi d’America o gli italiani d’America. Altri si ritengono semplicemente “americani”, creando così un’ennesima etnia. Diversamente dall’etnia, la razza denota una caRazza. Categoria di tegoria di persone che hanno in comune delle caratpersone che hanno in comune delle caratteristiche fisiche teristiche fisiche socialmente significative, come il socialmente significative, come il colore della pelle. L’etnia può essere confusa con la colore della pelle. razza perché i due concetti sono potenzialmente sovrapponibili. Per esempio, negli Stati Uniti, molti considerano erroneamente gli ispanici una “razza”, come i “bianchi”, i “neri” o gli “asiatici”. In realtà, i Paesi da cui provengono sono abitati da americani nativi, africani, europei e asiatici, cosicché un “ispanico” potrebbero appartenere a una razza qualunque, anche se la maggior parte si identifica con “i bianchi”.

7.2.1 Pseudoscienza e razza La parola “razza” ha assunto le sue popolari connotazioni contemporanee nel xvIII secolo, allorché alcuni scienziati europei iniziarono a denominare e a classificare le piante e gli animali. Quando rivolsero la propria attenzione all’umanità, tuttavia, i loro assunti etnocentrici sulla superiorità degli europei fecero sì che i loro sforzi si traducessero nella creazione di una pseudoscienza (Smedley, 2007). Le teorie scientifiche della razza presero piede tra la fine del xvIII e l’inizio del xIx secolo (Fig. 7.2), parallelamente al rafforzamento del colonialismo e dell’imperialismo europeo. Per esempio, il naturalista svedese Carolus Linnaeus (1707-1778), che gettò le basi del sistema di classificazione biologica in uso ancora oggi, inventò quattro sottospecie di homo sapiens, ciascuna designata non solo per tratti fisici distintivi ma anche per specifiche particolarità caratteriali, secondo criteri valutativi: l’Europeanus dalla pelle bianca, creativo e rispettoso delle leggi, era in cima alla classifica; di seguito vi era l’Americanus dalla pelle ambrata, ostinato, facile all’ira e legato alle tradizioni; quindi l’Asiaticus dalla pelle giallognola, avido e schiavo delle opinioni; infine l’Africanus dalla pelle scura, pigro, negligente e governato unicamente dall’impulso (Smedley, 2007). Questa classificazione fondò i presupposti per giuRazzismo. Convinzione che stificare “scientificamente” il razzismo, ossia la conuna razza sarebbe intrinsecamente superiore a un’altra. vinzione che una razza sia intrinsecamente superiore


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Figura 7.2 I primi schemi pseudoscientifici di classificazione perpetuavano credenze razziste. Questa immagine è tratta da un libro del 1857 intitolato Indigenous Races of the Earth, del medico Josiah Notte e dell’egittologo George Gliddon. Suggerisce una superiorità biologica dei bianchi, mentre i neri erano posti a metà strada tra questi ultimi e gli scimpanzè. (© The British Library/The Image Works.)

a un’altra. Nel xIx secolo, il conte Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882), considerato il padre del razzismo moderno, contemplò l’esistenza di tre tipologie di razze umane distinte tra loro: quella bianca, quella nera e quella gialla. Secondo de Gobineau, la razza bianca possiede qualità superiori rispetto a tutte le altre, il che ne giustificherebbe il predominio esercitato nel corso della storia. Autori successivi svilupparono alcune varianti di questo sistema classificatorio razzista, creando degli schemi che si contraddicevano spesso tra di loro e in cui veniva proprosto un numero indefinito di “razze”, ognuna caratterizzata da tratti fisici diversi, a cui corrispondevano determinate caratteristiche socioculturali. I “bianchi”, per esempio, venivano suddivisi spesso in sottogruppi che avrebbero dovuto riflettere la superiorità dei nordeuropei – definiti di volta in volta “teutonici” o “nordici” – rispetto agli altri, ovvero i “celti”, i “semiti” e i “mediterranei” (Smedley, 2007). Nella prospettiva moderna, la base razionale usata per giustificare questi sistemi di classificazione razziale appare arbitraria e persino stravagante. Per esempio, nel xIx secolo, l’anatomista e antropologo tedesco Johann Blumenbach (1752-1840), a quanto pare dopo aver ammirato la simmetria di un teschio particolarmente ben conservato reperito sulle montagne del Caucaso (tra la Russia e la Turchia), stabilì che a essere stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza dovevano essere stati i caucasici. Nella sua fantasiosa ricostruzione, le altre razze si erano differenziate fisicamente e moralmente dalla visione divina perché si erano trasferite altrove, adattandosi ai nuovi ambienti.


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Dunque, il termine “caucasico”, usato ancora oggi come sinonimo di “bianco”, è il risultato di una combinazione di credenze religiose e tradizioni popolari ammantata da un linguaggio pseudoscientifico (Mukhopadhyay, henze e Moses, 2007). Questi sistemi di classificazione arbitrari e conEssenzialismo razziale. fliggenti tra loro andavano a braccetto con l’essenConvinzione che presunte zialismo razziale ovvero l’idea che presunte diffedifferenze naturali e immutabili renze naturali e immutabili separino le razze. I bianchi separino le razze. che crearono questi sistemi di classificazione avevano il potere di imporre queste idee nella società. Concetti culturali ispirati all’essenzialismo razziale furono usati per giustificare la supremazia dei bianchi, la schiavitù e il dominio coloniale europeo sugli altri popoli. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, le teorie razziste sono state completamente screditate in quanto prive di qualunque fondamento scientifico. L’idea che la criminalità sia connessa a particolari caratteristiche fisiche di una persona è molto antica: la si trova già, per esempio, nell’Iliade di Omero, nel cui libro II la devianza di Tersite è direttamente legata alla sua bruttezza fisica; le stesse leggi del Medioevo sancivano che se due persone fossero state sospettate di un reato, delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme. Memore di questa tradizione, Cesare Lombroso “L’uomo delinquente” (1876) è convinto che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità: e, nella sua analisi, egli attribuisce particolare importanza al cranio. Studiando quello del brigante vilella, rileva che nell’occipite, anziché una piccola cresta, c’è una fossa, alla quale dà il nome di “occipitale mediana”. La cresta occipitale interna del cranio, prima di raggiungere il grande foro occipitale, si divide talvolta in due rami laterali che circoscrivono una “fossetta cerebellare media o vormiense”, che dà ricetto al verme del cervelletto. Questa caratteristica anatomica del cranio è oggi chiamata fossetta di Lombroso: egli riteneva si trattasse di un carattere degenerativo più frequente negli alienati e nei delinquenti, che classificava in quattro categorie: i criminali nati (caratterizzati da peculiarità anatomiche, fisiologiche e psicologiche), i criminali alienati, i criminali occasionali e quelli professionali.

7.2.2

Razza ed etnia nel tempo e nelle culture

Poiché le razze e le etnie sono costrutti culturali e non dati biologici, la definizione e la significatività dei gruppi razziali ed etnici variano da una cultura all’altra e si modificano nel tempo. Nella Cina del xIx secolo, si era soliti classificare il prossimo in base alla pelosità, anziché al colore della pelle: per i cinesi, la barba connotava i missionari europei come barbari incivili (Mukhopadhyay, henze e Moses, 2007). In molte parti del mondo, l’etnia è più importante della razza: le persone si preoccupano più della tribù, del clan o dell’affiliazione etnica che del colore della pelle o di altre caratteristiche fisiche (Cornell e hartmann, 2007).


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Nei Paesi in cui la razza è importante, le definizioni che se ne danno – e gli standard utilizzati per assegnare le persone a una razza o all’altra – variano enormemente. Negli Stati Uniti, i rapporti sessuali tra padroni bianchi e schiave nere erano frequenti, e nell’’800 i meticci erano chiamati “mulatti” o “mezzosangue”. All’inizio del xx secolo, tuttavia, i bianchi iniziarono a modificare le leggi statali in modo da rendere le categorie razziali reciprocamente esclusive; quando le origini erano miste prevaleva la condizione giuridica di nero. Per esempio, nel 1924, il parlamento della virginia approvò il Racial Integrity Act, in base al quale tutti i nuovi nati dovevano essere classificati come “bianchi” o “di colore” – categoria nella quale rientravano sia i neri sia gli indiani d’America. Nella prima metà del xx secolo, diverse versioni di questa one-drop rule (“regola dell’unica goccia”) – così chiamata perché una sola goccia di sangue nero rendeva “nero” un individuo – furono adottate dai parlamenti statali di gran parte del sud e del Midwest (Murray, 1997). Negli ultimi anni, tuttavia, gli Stati Uniti sono tornati a riconoscere lo status di “meticcio”. A parDomanda di verifica tire dal 2000, lo U.S. Census Bureau (2011a, 2011b) Per molti anni, i bianchi hanno consente ai cittadini di definirsi “di razza mista”, e rappresentato la norma per le nel 2010 più di 9 milioni di persone – circa il 3% aziende che, per esempio, della popolazione – dichiararono di appartenere a creavano prodotti “color carne” due o più razze (Fig. 7.3). Alcuni meticci, tuttavia, come i cerotti. Riuscite a pensare a un prodotto moderno scelsero di identificarsi con una sola razza: compiche testimoni l’avvenuto lando il proprio modulo per il censimento 2010, il cambiamento culturale per cui presidente Obama si autodefinì unicamente nero, i produttori sono più inclini a anche se la madre era bianca (Roberts e Baker, riconoscere una varietà di 2010). colori della pelle? Nei Paesi dell’America latina e dei Caraibi vi sono sempre state svariate categorie di sangue misto – che includevano diversi gradi di mescolanza tra europei, africani e indiani – e in queste regioni l’aspetto fisico è molto meno carico di valenze sociali rispetto agli Stati Uniti. Per esempio, in Brasile il retaggio della schiavitù portò a una classificazione delle persone per categoria razziale, ma queste non vennero mai ratificate a livello legale. Inoltre, i matrimoni misti e i rapporti sessuali tra indigeni, africani ed europei furono sempre maggiormente accettati che negli Stati Uniti. Oggi i brasiliani hanno decine di categorie razziali basate sulle differenze di caratteristiche fisiche, tra cui i capelli, le labbra, gli occhi e il naso, oltre al colore della pelle. Di conseguenza, fratelli e sorelle della stessa famiglia possono appartenere a diverse categorie razziali. Sempre in Brasile, un antenato bianco contribuisce a determinare la classificazione di una persona, e più di metà dei brasiliani ricade nella macrocategoria dei “bianchi” (che viene suddivisa in molte sottocategorie più piccole); tuttavia, molti brasiliani bianchi verrebbero percepiti come neri se si trasferissero negli Stati Uniti (Kephart, 2003). Per un’idea dei diversi sistemi di classificazione razziale ed etnica, si veda la Figura 7.4.


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8.

La Persona 1 è di origine ispanica, latina o spagnola? No, né di origine ispanica, né latina, né spagnola Sì, messicana, messicana americana, chicana Sì, portoricana Sì, cubana Sì, di origine ispanica, latina o spagnola diversa – Indicare l’origine (in stampatello), per esempio: argentino, colombiano, dominicano, nicaraguense, salvadoregno, spagnolo, e così via

9.

Qual è la razza della Persona 1? Apporre una X su una o più caselle. Bianca Di colore, afroamericana, nera Indiana americana oppure originaria dell’Alaska – indicare (in stampatello) il nome della tribù di appartenenza o della tribù principale

Asiatica indiana Giapponese Cinese Coreana Filippina Vietnamita Altre origini asiatiche –

Originario delle Hawaii Guamese o chamorra Samoana Altre isole del Pacifico –

Indicare la razza (in stampatello), per esempio: hmong, laotiana, thai, pachistana, cambogiana e così via.

Indicare la razza (in stampatello), per esempio: nativo delle isole Fiji, Tonga e così via.

Altre razze – Indicare la razza (in stampatello)

Figura 7.3 Razza ed etnia nel censimento USA. Il censimento USA include alcune domande sulla razza e sulla possibile origine ispanica. Le categorie proposte in queste domande riflettono la particolarissima storia sociale degli Stati Uniti. Nella figura il modulo originale statunitense. Fonte: U.S. Census Bureau.

7.3 Struttura e potere sociale nei gruppi razziali ed etnici Riconoscendo determinati tratti culturali o fisici come culturalmente significativi, le persone creano una realtà sociale che influenza il loro modo di rapportarsi. In altre parole, “vedere” gli altri in termini di razza, etnia e altre categorie sociali (come la religione, l’età o l’orientamento sessuale) può incidere sul modo in cui agiamo nei loro confronti e contribuire a legittimare le disuguaglianze sociali che si basano su quelle categorie. Esaminiamo alcune di queste dinamiche.


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Censimento Inghilterra 2010

Censimento Australia 2011 La persona è di origine aborigena o delle Torres Strait Islands? Per coloro che si riconoscono in entrambe le origini, segnare entrambe le caselle “Sì” No Sì, aborigena Sì, delle Torres Strait Islands

Censimento Brasile 2010 Colore o razza: Branca [caucasica o bianca] Peta [etiope o nera] Amaréta [mongola o gialla] Parda [mista] Indigena

Censimento Bulgaria 2010 Qual è il vostro gruppo etnico? Bulgaro Turco Rumeno Altro

C) Asiatico/asiatico Qual è il vostro gruppo britannico etnico? Indiano A) Bianco Pakistano Inglese/gallese/scozzese/ Bangladesh irlandese del nord/ Cinese britannico Qualsiasi altra origine Irlandese asiatica Zingaro o pavee D) Nero/Africano/Caraibico/ Qualsiasi altra origine nero britannico caucasica Africano Caraibico B) Misto/più gruppi etnici Qualsiasi altra origine Bianco e nero caraibico etnica nera/africana/ Bianco e nero africano caraibica Bianco e asiatico E) Altro gruppo etnico Qualsiasi altra origine Arabo etnica mista o molteplice Qualsiasi altro gruppo etnico

Censimento Canada 2016 Questa persona è aborigena? Vale a dire, fa parte delle Prime Nazioni (indiano nord americano), è métis o inuk (degli Inuit)? Se “Sì”, segnare la casella (o le caselle) che al momento descrive (o descrivono) meglio questa persona. No, non è aborigena Sì, è delle Prime Nazioni (indiano nord americano) Sì, è métis Sì, è inuk (degli Inuit)

Questa persona è: (segnare più di una casella o specificare, ove applicabile). Bianca Dell’Asia meridionale (per es. India dell’est, Pakistan, Sri Lanka) Cinese Nera Filippina Latino-americana Araba Del Sudest Asiatico (per es. Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia ecc.) Dell’Asia occidentale (per es. Iran, Afghanistan ecc.) Coreana Giapponese Altro – specificare

Censimento Messico 2015

Censimento Sud Africa 2011

Sulla base della vostra cultura, storia e tradizioni, vi considerate nero, vale a dire afro-messicano o di discendenza africana? Sì Sì, in parte No Sulla base della vostra cultura, siete indigeno? Sì Sì, in parte No

Come si descriverebbe (nome) in termini di gruppo di popolazione? Nero africano Di colore Indiano o asiatico Bianco Altro

Figura 7.4 Razza ed etnia nelle diverse culture. Essendo dei costrutti sociali, la razza e l’etnia variano da una cultura all’altra. Paesi diversi usano sistemi di classificazione differenti nei propri censimenti. Se vi trasferiste in un altro Paese, la vostra razza o la vostra etnia potrebbe modificarsi. Fonte: Raccolta di moduli di censimento online da parte dell’autore.

7.3.1

Gruppi minoritari e maggioritari

In qualunque società, i membri che appartengono a razze ed etnie differenti vengono considerati spesso in termini di magGruppo minoritario. gioranze e di minoranze. Un gruppo minoritario Insieme di persone che subiscono è un insieme di persone che subiscono degli svandegli svantaggi e hanno meno taggi e hanno meno potere per via di caratteristipotere per via di caratteristiche che fisiche o culturali identificabili. Per contro, un fische o culturali identificabili.


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gruppo maggioritario è un insieme di persone che godono di privilegi e hanno un maggiore accesso al potere per via di altre caratteristiche fisiche e culturali. I sociologi non usano questi vocaboli in senso letterale. Un gruppo minoritario non corrisponde necessariamente a una minoranza numerica della popolazione, così come un gruppo maggioritario non rappresenta necessariamente una maggioranza numerica. Nel Sudafrica dell’apartheid, per esempio, la popolazione di colore manteneva lo status di minoranza pur essendo numericamente molto superiore alla popolazione bianca. Anche se lo status dei suoi singoli membri può variare ampiamente: considerata come gruppo, una minoranza tende ad avere redditi più bassi, un’istruzione inferiore e un’influenza politica minore rispetto al gruppo maggioritario. Specularmente, i singoli membri di un gruppo maggioritario potrebbero non avere un grande potere o l’accesso a risorse cospicue, ma come gruppo, le maggioranze dominano la società. Oltre ad avere più risorse, il gruppo maggioritario ha anche il potere di creare e rafforzare le etichette volte a designare le minoranze – come abbiamo visto nel caso sopra citato dei “vu’ cumprà?” in Italia. I membri delle minoranze tendono a essere consapevoli del proprio status, nonché degli ostacoli e delle barriere che devono affrontare nella società. Per operare con successo in una società dominata dalla maggioranza, devono capire come funziona il gruppo maggioritario. Per contro, i membri del gruppo maggioritario danno spesso per scontato il proprio status e sono inconsapevoli del proprio privilegio relativo. In genere, non devono capire le culture minoritarie per avere successo all’interno della società dominata dal proprio gruppo.

Gruppo maggioritario. Insieme di persone che godono di privilegi e hanno un maggiore accesso al potere per via di caratteristiche fisiche o culturali identificabili.

7.3.2

Modelli d’interazione tra maggioranza e minoranza

La relazione tra gruppi maggioritari e minoritari all’interno di una società può essere caratterizzata da un’ampia gamma di atteggiamenti e comportamenti, da “benevoli” a “distruttivi”. In alcuni casi, i membri di una minoranza potrebbero trovare piena accettazione e parità di status con il gruppo maggioritario, mentre in altri casi la minoranza potrebbe essere soggetta a un diffuso pregiudizio e a una forte discriPregiudizio. Atto di “preminazione. Nutrire un pregiudizio significa “pregiudicare” negativamente una giudicare” negativamente un individuo o un gruppo persona o un gruppo sulla base di informazioni inadeguate. sulla base di informazioni inadeguate. Questi giudizi preconcetti si basano spesso su stereotipi, ovvero Stereotipo. generalizzazioni esagerate, distorte o infondate che, Generalizzazione esagerata, non ammettendo la specificità individuale, si condistorta o infondata su una centrano su determinate categorie di persone. Gli categoria di persone, che non stereotipi possono essere negativi o positivi: esempi ammette la specificità individuale.


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di stereotipi positivi sono il “genietto” asiatico della matematica e il “campione sportivo” afro-americano. Il pregiudizio si limita a credenze e atteggiamenti che le persone coltivano ma a cui non danno seguito sempre e necessariamente. Quando il pregiudizio è accompaDiscriminazione. gnato dall’azione, si ha una discriminazione, un Trattamento ineguale che trattamento ineguale che conferisce a un gruppo di conferisce dei vantaggi a un gruppo di persone senza una persone dei vantaggi su un altro gruppo senza una causa giustificabile. causa giustificabile. I modelli d’interazione tra gruppi maggioritari e gruppi minoritari possono assumere una varietà di forme che a volte coinvolgono più di una categoria. In una società che adotta il pluralismo, Pluralismo. Situazione per gruppi etnici e razziali distinti coesistono in piena cui gruppi etnici e razziali separati parità di condizioni e hanno la medesima dignità socoesistono in piena parità e con la ciale. I membri di questi gruppi riconoscono e manmedesima dignità sociale. tengono le proprie differenze, ma queste ultime non hanno alcun impatto significativo sulla condizione politica, economica o sociale di nessuno. La Svizzera è una società pluralistica di successo: la Confederazione svizzera – nome ufficiale del Paese – unisce quattro culture, ognuna avente le proprie peculiarità e la propria lingua ufficiale, ovvero tedesco, francese, italiano e romancio (una lingua neolatina). L’ibridazione è il processo con cui un gruppo Ibridazione. Processo maggioritario e un gruppo minoritario si fondono o tramite il quale un gruppo si combinano per formare un nuovo gruppo. Avviemaggioritario e un gruppo ne tipicamente attraverso i matrimoni misti, nel corminoritario si fondono o si mescolano per formare un nuovo so di varie generazioni. Per esempio, oggi la società gruppo. messicana è sostanzialmente un amalgama di culture indigene e spagnole, che si sono mescolate dando origine a una nuova identità distintiva. L’assimilazione è il processo tramite il quale Assimilazione. Processo i membri di un gruppo minoritario arrivano ad adotper cui i membri di un gruppo minoritario finiscono per adottare tare la cultura del gruppo maggioritario. Negli Stati la cultura del gruppo Uniti, molti gruppi etnici bianchi europei hanno vismaggioritario. suto un’esperienza di assimilazione: hanno praticamente abbandonato la propria specifica cultura e sono stati assorbiti nella cultura dominante della nazione. L’esperienza di assimilazione è spesso parzialmente volontaria – perché i membri del gruppo minoritario emulano la cultura dominante – e parzialmente coercitiva – perché i membri del gruppo maggioritario impongono agli altri di conformarsi alle proprie aspettative culturali. La segregazione consiste nel mantenere fisicaSegregazione. Politica mente e socialmente separati i diversi gruppi sociali, e/o pratica per cui i diversi gruppi sociali sono mantenuti fisicamente attribuendo loro gradi differenti di potere e prestie socialmente separati e in regime gio. Zygmunt Bauman (2002) ha parlato a questo di disuguaglianza. proposito di una vera e propria strategia “antropoemica”, fondata sulla necessità di “rigettare gli stranieri, scacciandoli oltre le frontiere del mondo ordinato oppure escludendoli da ogni contatto con


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i suoi legittimi abitanti” (p. 22). Per esempio, negli Stati Uniti, la segregazione è prevalentemente associata all’oppressione degli afro-americani, specie negli Stati del sud dopo la guerra civile e prima del movimento per i diritti civili. Il genocidio è l’eliminazione sistematica di un Genocidio. Eliminazione gruppo di persone, in base alla loro razza, etnia, nasistematica di un gruppo di persone in base alla loro razza, zionalità o religione. Il genocidio comporta quasi etnia, nazionalità o religione. sempre il tentativo, da parte di un gruppo maggioritario, di sterminare un gruppo minoritario. Lo sterminio deliberato degli ebrei e di alcuni gruppi etnici da parte del regime nazista in Germania e in altri Paesi europei durante la Seconda Guerra Mondiale è l’esempio più tristemente noto di genocidio, ma non è il primo, e sfortunatamente non sarà nemmeno l’ultimo (Kiernan, 2007).

7.3.3

Reazioni dei gruppi minoritari alla discriminazione

I gruppi minoritari possono reagire al predominio del gruppo maggioritario in diversi modi. ▮ Il ritiro consiste nell’allontanamento fisico volontario come risposta alle forme peggiori di oppressione e segregazione. Negli Stati Uniti, la grande migrazione degli afro-americani dal sud verso il nord e il Midwest tra l’inizio e la metà del xx secolo è un esempio di questa strategia. Altri esempi includono la formazione di enclavi etniche e razziali nelle zone metropolitane, come Germantown, Little Italy e Chinatown. ▮ L’integrazione implica la fusione con il gruppo dominante e, di conseguenza, prevede l’abbandono da parte dei migranti dei propri usi e costumi per adeguarsi completamente a quelli che sono i valori, gli stili di vita e le norme della maggioranza. Da questo punto di vista, l’integrazione è speculare all’assimilazione. Negli Stati Uniti, i gruppi etnici bianchi hanno spesso modificato il proprio nome per meglio integrarsi nella cultura dominante anglosassone; per esempio, i tedeschi di cognome “Schmidt” lo cambiavano in “Smith”. Oggi molti immigrati di ultima generazione dal vietnam, dalla Cina, dall’India e da altri Paesi tendono ad adottare nomi più familiari agli americani e più facili da pronunciare per loro. L’integrazione può avvenire anche quando i membri di un gruppo minoritario fanno leva sulle proprie affinità fisiche con i membri del gruppo maggioritario, come i neri dalla pelle meno scura che nascondono le proprie origini razziali o si stirano i capelli per sembrare “più bianchi”. ▮ L’adozione di un altro codice – un’espressione coniata dal sociologo Elijah Anderson (1999) – fa riferimento alla strategia di adeguarsi alle aspettative sociali della maggioranza creando un’autopresentazione “di facciata”, pur mantenendo un’identità “segreta” più confortevole e autentica. L’adozione di un altro codice potrebbe comportare, per esempio, la scelta di vestirsi “da bianchi” o di usare l’italiano a scuola, continuando a praticare la


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lingua madre, lo slang etnico e un abbigliamento tradizionale tra le pareti domestiche. ▮ La resistenza consiste in una presa di posizione attiva – a livello individuale o collettivo – contro la discriminazione operata dalla maggioranza.

7.4 Cultura, struttura sociale e potere: spiegare la disuguaglianza etnica e razziale Perché la storia è stata sempre segnata dalla disuguaglianza etnica e razziale? E perché queste disuguaglianze persistono ancora, come vedremo, in società che hanno dichiarato fuorilegge la discriminazione? Per rispondere a queste domande dobbiamo esaminare, attraverso la lente delle teorie sociologiche su cultura, struttura sociale e potere, sia il retaggio della discriminazione razziale del passato sia le nuove forme di discriminazione emerse in anni recenti. Queste teorie si incentrano sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli individui, nonché sui processi che si determinano all’interno delle istituzioni e della società nel suo complesso.

7.4.1 Atteggiamenti e comportamenti individuali: pregiudizio, discriminazione, etnocentrismo, xenofobia e relativismo culturale Le teorie socio-psicologiche che si focalizzano sugli atteggiamenti e sui comportamenti individuali possono aiutarci a capire come fanno le persone a sviluppare le proprie opinioni sulla disuguaglianza. Come abbiamo osservato nel Capitolo 6, le persone spesso si identificano come membri di un in-group e provano sentimenti negativi verso i membri di un out-group. Il razzismo crea una distinzione in/out-group, quasi sempre basata su uno stereotipo negativo. In base al teorema di Thomas (anch’esso illustrato nel Capitolo 6), le caratteristiche sociali che vengono definite come reali avranno effetti reali. Di conseguenza, uno stereotipo largamente accettato può diventare la base di atteggiamenti preconcetti verso i membri di un outgroup (Elias, 2004). Gli stereotipi e il pregiudizio si limitano alle credenze e agli atteggiamenti, ma la discriminazione, implica azioni e comportamenti (Pettigrew e Taylor, 2000). La discriminazione razziale, per esempio, implica azioni che aiutano a mantenere il predominio di una razza sulle altre (Wilson, 1973). Di conseguenza, l’azione discriminatoria è generalmente limitata a coloro che hanno il potere di agire in modo da ostacolare gli altri. Chi ha relativamente poco potere potrebbe sì avere dei pregiudizi, ma non avrà quasi mai le risorse o le capacità necessarie per trasformarli in azioni discriminatorie efficaci. In questo senso, la discriminazione è “pregiudizio più potere”.


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Strettamente legato a stereotipi e pregiudizi è il concetto di etnocentrismo, ovvero la pratica di giudicare una cultura diversa utilizzando gli standard della propria e con una presunzione di superiorità. Una visione etnocentrica del mondo può geXenofobia. Irragionevole nerare xenofobia, l’irragionevole timore od odio timore od odio per gli stranieri o per gli stranieri o per persone di una cultura diversa per persone di una cultura diversa. che, portato all’estremo, può degenerare nel genocidio. Gran parte della storia del colonialismo è la storia dell’etnocentrismo in azione. Gli europei che conquistarono una vasta parte del mondo tra il xvI e il xx secolo erano convinti che il proprio modo di vita fosse superiore a quello dei popoli colonizzati; spesso cercavano di “civilizzare” i nativi, insegnando loro la propria lingua e convertendoli al cristianesimo. Quando questi resistettero al processo di civilizzazione scaturirono conflitti durati secoli. Relativismo culturale. Diversamente dall’etnocentrismo, il relativismo Pratica di comprendere una culturale è la pratica di comprendere una cultura cultura diversa attraverso i suoi diversa attraverso i suoi stessi standard. Il relativismo stessi standard. culturale non richiede di adottare o accettare idee e pratiche di un’altra cultura, ma di fare lo sforzo di comprenderla utilizzando i criteri suoi propri e con la disponibilità a riconoscerla come valida alternativa alla propria. In altre parole, per praticare il relativismo culturale dobbiamo comprendere una cultura, non giudicarla, come avviene, per esempio, quando cerchiamo di capire i rituali religiosi e le tradizioni familiari di una cultura diversa. Etnocentrismo. Pratica di giudicare una cultura diversa utilizzando gli standard della propria e con una presunzione di superiorità.

7.4.2 Discriminazione istituzionale: barriere strutturali all’uguaglianza Gli individui possono mettere in atto pratiche discriminatorie – per esempio, un piccolo imprenditore potrebbe rifiutarsi di assumere membri di un altro gruppo etnico o razziale – ma l’inuguaglianza etnica e razziale si produce e si rinforza con la discriminazione istituzionale, non Discriminazione con l’azione individuale. La discriminazione istiistituzionale. Trattamento tuzionale deriva dall’organizzazione strutturale, dalineguale che deriva le politiche e dalle procedure di istituzioni come il dall’organizzazione strutturale, governo, le imprese e le scuole, ed è estremamente dalle politiche e dalle procedure efficace poiché coinvolge ampie fasce della popoladi istituzioni sociali come il governo, le imprese e le scuole. zione. È molto difficile da eliminare, perché non è Riflettendo sulla struttura La struttura di un’organizzazione può contribuire alla discriminazione istituzionale. Come può invece contribuire a prevenirla?


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associata a un individuo in particolare, ma è una caratteristica generalizzata della burocrazia istituzionale. In alcuni casi, la discriminazione istituzionale è intenzionale, ma non di rado politiche e pratiche di per sé non discriminatorie possono avere un impatto discriminatorio.

7.4.3 Teorie del pregiudizio e della discriminazione: cultura e interessi del gruppo Le interpretazioni sociologiche del pregiudizio e della discriminazione oscillano tra due tradizioni teoriche: quelle che enfatizzano l’impatto della cultura e quelle che enfatizzano il peso degli interessi materiali del gruppo. Gli studi sociologici sull’argomento tendono spesso a combinare elementi di entrambi gli approcci. Capire il pregiudizio attraverso la cultura Come ben sappiamo, la familiarità genera un senso di sicurezza, mentre la scarsa conoscenza produce quasi sempre ansia o timore. La socializzazione, ovvero il processo tramite il quale diveniamo membri e partecipi della vita di un gruppo, come abbiamo visto nel Capitolo 6, ci ha abituato a interagire senza sforzo con le persone che sono simili a noi nell’aspetto e nei comportamenti, perché ci risultano familiari e prevedibili. Per contro, interagire con persone diverse da noi o dal comportamento insolito, e quindi imprevedibile, può metterci a disagio. La socializzazione induce spesso i ragazzi a stringere legami con i membri del proprio gruppo, persone simili a loro, e a sviluppare stereotipi negativi sui membri dell’out-group, dissimili da loro. Alcune ricerche indicano che i bambini assimilano stereotipi e sviluppano pregiudizi già a tre anni, spesso prima di comprenderne appieno il significato o la rilevanza (Aboud, 1988). I mass media possono perpetuare gli stereotipi negativi con spettacoli che presentano figure rigidamente standardizzate come il campione asiatico di arti marziali, il delinquente di colore, il terrorista arabo o la sex symbol esotica (Wilson, Gutierrez e Chao, 2003). Stando all’ipotesi del contatto elaborata da Gordon Allport (1954), il contatto tra membri di gruppi diversi può ridurre il pregiudizio se è protratto nel tempo, se coinvolge gruppi di uguale status aventi obiettivi comuni e se viene approvato dalle autorità. Sono condizioni difficili da soddisfare, ma gli atenei universitari le rispecchiano sovente. Discriminare per trarne un vantaggio Le spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione che fanno riferimento agli interessi del gruppo si focalizzano sulle modalità di competizione tra gruppi per risorse scarse, come i posti di lavoro o le case popolari. Questa competizione può portare al conflitto e alla discriminazione di un gruppo da parte di un altro come mezzo per ottenere un vantaggio su di esso. In generale, la discriminazione spesso sembra aumentare nei periodi di crisi, quando la competizione per risorse scarse cresce.


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La split labor market theory afferma che i conflitti etnici e razziali emergono spesso quando due gruppi di etnia o razza differente competono per gli stessi posti di lavoro. Stando a questa teoria, datori di lavoro, lavoratori ben pagati e lavoratori sottopagati formano tre gruppi aventi interessi distinti e contrapposti (Bonacich, 1972; 1976; Gordon, Edwards e Reich, 1982): i datori di lavoro assumono operai sottopagati per massimizzare i profitti, creando così un conflitto tra i lavoratori ben pagati, che vengono estromessi, e quelli sottopagati, che li rimpiazzano. Spesso gli imprenditori incoraggiano l’immigrazione in quanto fonte di manodopera a basso costo, fomentando a volte le divisioni etniche e razziali tra i dipendenti per impedire loro di organizzarsi sindacalmente e di chiedere salari più elevati. Nell’immediato, la discriminazione risponde anche agli interessi degli operai ben Focus sulla teoria sociale pagati, perché impedisce alle minoranze di compeLa split labor market theory tere con loro per i posti di lavoro più appetibili; nel rientra nella tradizione della lungo termine, tuttavia, queste divisioni riducono il teoria del conflitto. Avete conosciuto un ambiente di lavoro potere negoziale di tutti i lavoratori. in cui operai ben pagati e operai Più in generale, i membri di un gruppo possono sottopagati erano divisi da una vedere in quelli di un altro una minaccia, specie nei discriminazione etnica o razziale? momenti di difficoltà. Il capro espiatorio è un individuo o un gruppo falsamente accusato di aver Capro espiatorio. Individuo o gruppo falsamente creato una situazione negativa (Girard, 1999). A volaccusato di aver causato una te le persone, quando sono frustrate dalla propria insituazione negativa. capacità di superare le difficoltà, cercano spiegazioni semplicistiche dei propri problemi, identificando un capro espiatorio. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, per esempio, la Germania si trovò a fronteggiare difficoltà economiche e politiche di enorme complessità e i nazisti utilizzarono gli ebrei e le altre minoranze come capro espiatorio, addossando loro le cause di tutti i problemi del Paese. Split labor market theory. Teoria secondo la quale i conflitti etnici e razziali spesso emergono quando due gruppi etnici o razziali competono per gli stessi posti di lavoro.

7.5

Il multiculturalismo

Multiculturismo. Riconoscimento, valutazione e protezione delle distinte culture che formano una società.

Uno dei modelli emergenti che risponde alla sempre maggiore eterogeneità culturale e alla crescita delle identità multietniche e multirazziali è il multiculturalismo, ovvero il riconoscimento, la valorizzaRiflettendo sul potere

Chi detiene il potere utilizza spesso la figura del capro espiatorio per mantenere la propria supremazia sugli altri. Questa strategia è ben individuabile all’interno delle società contemporanee, rese sempre più eterogenee e complesse dai crescenti movimenti migratori, che hanno radicalmente trasformato la composizione etnica e sociale di molti Paesi. Ci sono gruppi politici, in Italia, che usano la teoria del capro espiatorio per mantenere il potere?


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zione e la protezione delle distinte culture etnico-nazionali che formano una società. Anziché presumere che tutti adotteranno le idee e le pratiche della cultura dominante – attraverso il processo di assimilazione – le società multiculturali accettano, accolgono e possono perfino celebrare le differenze di lingua, religione, costumi, abiti, tradizioni e credenze. Anche le istituzioni che riconoscono e ospitano culture diverse, come alcune aziende e università, possono essere considerate multiculturali. vivendo in una società multiculturale, siamo regolarmente esposti a un buon numero di culture diverse. Considerate, per esempio, la varietà di offerta di cibo etnico tra cui potete scegliere. Oggi è probabile che in tutte le grandi città ci siano ristoranti che offrono tipi di cucina diversi: messicana, greca, thai, cinese, etiope e indiana fra le altre. Fiere e festival celebrano cibo, abbigliamento, musica e danza di varie culture. Più significativamente, è probabile che nelle comunità che ospitano diversi gruppi culturali si trovino anche le istituzioni associate a questi gruppi, come templi, moschee, chiese e altri luoghi di culto. Si possono trovare negozi che vendono sari o macellerie halal, ovvero prodotti non reperibili nei negozi tradizionali. Certo, la presenza di diversi gruppi culturali significa spesso anche una varietà di linguaggi. Oggi, nelle grandi città, vivono spesso persone che parlano decine di lingue diverse, e il sistema scolastico deve confrontarsi con questa diversità. La natura stessa della società multiculturale porta un significativo numero di persone a crescere e vivere in più di una cultura. Se uno studente parla italiano a scuola ma una lingua diversa a casa, il suo bilinguismo indica che egli vive in due diverse culture nello stesso tempo. Alcune famiglie di immigrati si trovano a cavallo fra la società e la cultura nelle quali sono nati e quelle in cui vivono (Smith e Gurnizo, 1998): alcuni vanno e vengono dal Paese d’origine, altri spediscono denaro e aiuto ai parenti rimasti in patria, altri ancora continuano a interessarsi degli affari politici del Paese nativo (Levitt, 2004). Televisione e internet aiutano le persone a restare in contatto con i Paesi d’origine anche se vivono all’estero. Le persone che vivono in una società multiculturale hanno la straordinaria opportunità di conoscere e apprezzare la splendida varietà delle culture umane. La diversità, tuttavia, porta con sé anche sfide e problemi, allorché persone con stili di vita differenti cercano di convivere. Purtroppo, le differenze culturali portano spesso a disuguaglianze e conflitti quando i gruppi con maggiore potere opprimono, sfruttano o discriminano in vari modi chi è diverso e ha meno potere. La lunga e sanguinosa storia dei conflitti religiosi, degli scontri etnici, della violenza razziale e della guerra fra nazioni è uno dei risultati di questa tendenza.

7.5.1 Le critiche al multiculturalismo Meno di due settimane dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 al World Trade Center e al Pentagono, il presidente George W. Bush inquadrò gli attentati in termini culturali affermando, davanti al Congresso e al popolo degli


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Stati Uniti, che i membri di Al Qaeda, il gruppo fondamentalista islamico che li aveva rivendicati, avevano attaccato perché “odiano le nostre libertà: la libertà di religione, la libertà di parola, la libertà di voto e di riunirsi e di non essere d’accordo con gli altri” (Bush, 2011). Questa citazione – divenuta il simbolo di un modo di considerare il conflitto in corso fra le società secolari occidentali e le società islamiche – suggeriva che il conflitto si basasse su culture fondamentalmente non raffrontabili. Una delle più celebri discussioni su questo concetto di “scontro di civiltà” è del politologo Samuel huntington (1993; 1998), il quale affermò che, dopo la fine della Guerra Fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica, gran parte dei nuovi conflitti globali avrebbero avuto luogo fra culture e non fra Stati. Lo studio descrisse quelle che considerava le otto culture basilari (che definì “civiltà”) del mondo: occidentale (Stati Uniti, Australia ed Europa occidentale), ortodossa orientale (Russia), latino-americana, islamica, giapponese, cinese, indù (India) e africana. Queste civiltà, asseriva huntington, si basano sulla religione e altre credenze culturali fondamentalmente diverse. Nel mondo islamico, per esempio, esistono poche istituzioni democratiche perché esso non ha alle spalle una storia culturale di separazione fra autorità religiose e secolari, di valorizzazione del pluralismo sociale e di protezione dei diritti individuali e, soprattutto, delle libertà civili dal potere dello Stato. huntington sosteneva che, finché la globalizzazione avrebbe continuato a portare a contatti sempre più frequenti fra i popoli di queste civiltà, saremmo stati condannati a vivere conflitti culturali sempre più assidui. Senza dubbio, l’accresciuto contatto fra culture enormemente diverse può produrre conflitti. Tuttavia, se analizziamo la tesi di huntington dal punto di vista sociologico, possiamo rapidamente metterne a nudo alcuni difetti. Anzitutto essa semplifica eccessivamente la complessa mescolanza di culture di tutto il mondo, sorvolando sulle enormi variazioni all’interno di ciascuna di esse (Arnason, 2001). Nessuna delle cosiddette “civiltà” identificate da huntington presenta un’unica cultura unificata. Con l’avanzare della globalizzazione, sempre più persone, prodotti e idee superano i confini nazionali, e le culture continuano a rimescolarsi. Inoltre, incentrandosi esclusivamente sulla cultura, la teoria di huntington trascura i modi in cui disuguaglianze di lunga data nella distribuzione di privilegi e potere hanno contribuito ad alimentare il conflitto globale (Evans, 1997). I risultati di sondaggi dell’opinione pubblica in tutto il globo mostrano che la democrazia gode di enorme popolarità tanto nelle culture occidentali quanto in quelle islamiche, benché nei Paesi musulmani essa debba ancora fiorire, malgrado le sollevazioni della cosiddetta Primavera araba del 2011. Quegli stessi sondaggi, tuttavia, mostrano differenze significative nel grado di sostegno all’uguaglianza di genere, alla tolleranza sociale, alla libertà di parola (Inglehart e Norris, 2003; Welzel e Inglehart, 2010); ciò significa che la realtà è complessa e non è riconducibile a un semplice scontro tra civiltà né a una credenza idealizzata nel fatto che tutte le società possano condividere un gruppo unificato di valori culturali.


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Anche le diverse culture all’interno di una stessa società possono scontrarsi a causa di valori o credenze incompatibili. La politologa femminista Susan Okin (1999: 117) afferma che “molte culture opprimono alcuni dei propri membri, in particolare le donne, e […] sono spesso in grado di socializzare questi membri oppressi in modo che accettino senza discussioni lo status culturale designato per loro”. Per esempio, la poligamia, la clitoridectomia (asportazione della clitoride) e altre forme di mutilazione dei genitali e i matrimoni combinati di bambini sono tutte pratiche accettate all’interno di alcune culture. Che cosa si dovrebbe fare quando persone appartenenti a tali culture si trasferiscono in Occidente, dove quelle pratiche sono considerate una violazione dei diritti individuali? I Paesi adottivi dovrebbero accettarle per rispetto verso tradizioni culturali diverse? Oppure le nozioni occidentali di libertà individuale, diritti umani e uguaglianza di genere dovrebbero avere la meglio su queste usanze tradizioDomanda di verifica nali? Si tratta di domande che hanno ispirato le priRitenete appropriato il bando me pagine di tutti i giornali europei. Nel 2010, per del velo da parte del governo esempio, il parlamento francese ha approvato una francese? Nella vostra legge che proibisce alle donne musulmane di indoscomunità sareste favorevoli a sare in luoghi pubblici il velo a copertura del volto questo bando? Se foste una perché questo tipo di abbigliamento è in conflitto donna educata in una cultura con i valori della società secolare francese (Crumley, nella quale indossare il velo è la norma, come reagireste al 2009; Erlanger, 2010). Questo problema solleva tentativo di obbligarvi a non complesse questioni su valori culturali e pratiche inusarlo? Quali ragioni compatibili e ci sfida a valutare se sia legittimo o potrebbero avere i membri di meno condannare tradizioni culturali che riteniamo una cultura dominante per offensive e se siamo in grado di elaborare uno stangiustificare l’imposizione di un dard universale dei diritti umani. bando su questo capo di Alcuni critici del multiculturalismo non si preocabbigliamento? cupano affatto di questi problemi, rifiutandone completamente il valore. Anziché incoraggiare le persone di diverse tradizioni culturali a coesistere pacificamente, sostengono che i nuovi immigranti debbano integrarsi alla cultura dominante del Paese adottivo; Focus sulla teoria sociale in caso contrario – affermano – si perderebbe quell’inÉmile Durkheim, le cui opere sieme di valori comuni che è essenziale per l’unità di hanno ispirato i fautori del una nazione (huntington, 2005; Schmidt, 1997). funzionalismo, si concentrò sulla solidarietà sociale, ovvero su come Le società hanno bisogno di un terreno comune i valori culturali servano da – fornito dalle loro culture – per funzionare con succollante nella società. Come cesso, e da Émile Durkheim in poi i sociologi hanno pensate che funzioni questo riconosciuto questa necessità. Eppure, anche le culprocesso nella moderna società ture sono in costante evoluzione. Pensate solo a quanmulticulturale? Riflettendo sulla cultura La cultura ci aiuta a capire come i diversi gruppi etnici e razziali abbiano interagito nel corso della storia. La vostra università adotta delle politiche volte a promuovere il multiculturalismo? Se sì, quali?


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to sia cambiata la società contemporanea con i viaggi, le comunicazioni elettroniche, l’economia globale e la diffusa immigrazione. La cultura, infatti, può fungere da base di collegamenti e scambi che possono aiutare a prevenire i conflitti, e persino a sedarli. Le esperienze transculturali – che variano dalla lettura dei romanzi allo studio dell’arte, dalla conoscenza delle diverse tradizioni gastronomiche ai viaggi in altri Paesi, dallo studio di nuove lingue all’accoglienza di ospiti stranieri a casa o a scuola – possono essere un ponte che promuove una maggiore comprensione e favorisce le relazioni al di là dei confini nazionali. A dire il vero, in tutto il corso della storia si riscontra la tendenza a una maggiore tolleranza, all’accettazione e all’apprezzamento fra culture diverse.

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Etnie e migrazioni

Cultura

▮ Razza ed etnia sono costrutti culturali, le cui definizioni si modificano nel tempo e variano da una cultura all’altra. ▮ Le norme sociali sulla razza e sull’etnia – sia razziste sia antirazziste – sono apprese attraverso il processo di socializzazione.

Struttura

▮ Le interpretazioni dei concetti di razza e di etnia influenzano i modelli d’interazione sociale. ▮ Le politiche e le pratiche delle istituzioni sociali possono sia riflettere credenze razziste sia perpetuare l’ineguaglianza etnica e razziale.

Potere

▮ L’ineguaglianza etnica e razziale riflette differenze di potere all’interno della società. ▮ I gruppi di potere hanno sempre giustificato i propri privilegi con la presunta superiorità etnica o razziale.

Riepilogo 1. La razza non è un fattore biologico ma un costrutto sociale, la cui origine risale alla pseudoscienza dei secoli XVIII e XIX. Anche l’etnia è un costrutto sociale che, come la razza, è stato interpretato diversamente in culture diverse e in diversi periodi storici. 2. Il raggruppamento delle persone in razze e in etnie diverse crea dinamiche di contrapposizione tra gruppi maggioritari e gruppi minoritari che entrano a far parte della struttura sociale e riflettono le ineguaglianze di potere.


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3. La storia sociale dell’Europa e degli Stati Uniti ha prodotto idee e pratiche specifiche in merito alla razza e all’etnia. I bianchi usavano idee sulla razza e sulla superiorità razziale per giustificare lo schiavismo e adottare leggi che codificassero l’ineguaglianza razziale. 4. Nonostante i progressi ottenuti dai movimenti per i diritti civili, le disuguaglianze etniche e razziali perdurano, riflettendo il retaggio storico del razzismo oltre alle pratiche contemporanee. Il pregiudizio e la discriminazione razziale operano a diversi livelli della vita sociale, coinvolgendo atteggiamenti e comportamenti individuali, nonché barriere strutturali create dalle istituzioni. Il pregiudizio e la discriminazione possono essere alimentati da differenze culturali o dal perseguimento degli interessi di determinati gruppi. 5. Una conseguenza della nostra sempre maggiore eterogeneità è la crescita di identità multietniche e multirazziali, dovuta anche all’aumento dei matrimoni misti. 6. L’Italia, da Paese di emigrazione è ormai divenuto un Paese meta d’immigrazione.

Domande di riepilogo 1. Un amico vi dice: “Sei cieco? Certo che esistono le razze”. Spiegategli perché la razza è in realtà un costrutto sociale, non un fattore biologico. 2. Come siete venuti a conoscenza delle razze e delle etnie? La vostra socializzazione ha incluso la perpetuazione di stereotipi? Spiegate. Quali forze socializzatrici hanno successivamente influenzato la vostra percezione di queste idee? 3. Pensate che gli atteggiamenti razziali oggi invalsi tra gli under-30 siano significativamente diversi da quelli degli over-30? Perché sì o perché no? A vostro avviso, quali fattori hanno contribuito a questo divario?


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