Manuale di valutazione d'azienda - Capitolo 1 - Il paradigma valutativo

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Il paradigma valutativo

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el presente capitolo vengono comparate le varie finalità per cui si richiede una valutazione di azienda, sottolineando come il processo valutativo debba esser impostato coerentemente a questi obiettivi. In questo senso si caratterizza la figura dell’esperto di valutazione o valutatore rispetto a quelle di altre figure professionali che possono essere interessate a determinare il valore di un’azienda, come il CFO e l’analista finanziario. Vengono sottolineati anche i rischi di errore e i condizionamenti che il valutatore può subire e come, in ogni caso, non si debba confondere il valore con il prezzo finale di una transazione. Il paradigma valutativo si fonda su diverse configurazioni di valore (economico, di mercato, d’investimento, …), che esprimono valori aventi un differente significato informativo, funzionale a diversi scopi conoscitivi nei disparati ambiti della valutazione. Inoltre, sono parte del paradigma valutativo le scelte inerenti i procedimenti tecnici per la valutazione d’azienda, che riguardano: ◼  l’approccio, che può essere asset side o equity side, in ragione del fatto che si pervenga direttamente alla stima dell’equity value, oppure si valutino separatamente investimenti e posizione finanziaria netta; ◼  i metodi, che si articolano in tre categorie, a seconda che si basino sui risultati attesi, sui dati di mercato o sui costi di sostituzione. Si vedrà come le stime di capitale economico non possano esaurirsi nella semplicistica applicazione di una “formula” bensì siano la risultante di un articolato “processo di valutazione” nell’ambito del quale sono fasi imprescindibili la predisposizione della base informativa e l’analisi fondamentale. Anche per questo nella parte conclusiva del capitolo si mostreranno i principali errori in cui può incorrere il valutatore nello sviluppo del processo valutativo.

Obiettivi di apprendimento

In questo capitolo discuteremo: ✓✓ di come la valutazione di azienda ci porti in un terreno diverso rispetto a quello delle analisi di bilancio, perché lo scopo è determinare il valore effettivo dell’azienda o di sue componenti patrimoniali; ✓✓ del ruolo del valutatore, distinto da quello del CFO e dell’analista finanziario; ✓✓ delle differenze tra valore e prezzo che solo apparentemente sembrano termini coincidenti;

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✓✓ di come il concetto di valore sia declinabile secondo diverse configurazioni, ✓✓ di una prima classificazione dei procedimenti tecnici per la valutazione di funzionali a scopi informativi distinti;

✓✓ del “processo di valutazione”, di cui sono fasi essenziali la predisposizione della azienda;

✓✓ dei rischi di errori e imprecisioni commessi dal valutatore. base informativa e l’analisi fondamentale;

1.1 LA VALUTAZIONE D’AZIENDA E IL RUOLO DELL’ESPERTO La valutazione d’azienda risponde a una domanda basilare quanto spontanea: “Quanto vale questa azienda?”. Rispondendo si riesce a capire se l’azienda nel tempo ha creato valore, se offre buone opportunità di investimento, o ancora se una divisione tra soci o familiari viene svolta in modo equo. Questa domanda può essere posta da persone diverse – l’imprenditore, l’investitore, il management – e in momenti diversi – nascita, sviluppo, maturità, declino – ma, qualsiasi sia l’esito del processo valutativo, si tratta di una informazione estremamente preziosa e proprio per questo, nella maggioranza dei casi, tenuta estremamente riservata. Indipendentemente dal fatto che la relazione di stima venga diffusa o meno a parti diverse dal committente, essa deve mantenere la sua portata informativa, il che equivale a dire che deve avere una validità generale. Ciò vale sia per la valutazione d’azienda sia per la valutazione di singoli beni. A titolo di esempio: se si vuole approfittare di una normativa tributaria agevolativa che implica l’applicazione di una aliquota fiscale ridotta per le plusvalenze, si deve chiedere a un esperto di effettuare una perizia giurata dei beni oggetto di rivalutazione. Una volta concluso il processo estimativo la relazione potrà essere letta dai soci, ovvero dai proprietari dei beni, ma anche dall’amministrazione finanziaria dello Stato, nonché da tutti coloro ai quali, pur non essendo interessati direttamente all’operazione, si ritiene utile trasmetterla, come un istituto di credito a cui si è richiesto un finanziamento e al quale si vorrà far conoscere il maggior valore dei beni a garanzia rispetto a quanto rappresentato contabilmente. Ponendosi nell’ottica dell’esperto (o valutatore), il primo aspetto da chiarire è dunque per quale finalità la valutazione è richiesta e, subito dopo, di quali informazioni potrà disporre, che tempi gli vengono assegnati, quali approcci si adattano meglio al caso di specie e come possono essere estrinsecati al meglio. Esiste un vero e proprio processo valutativo da impostare che, sin dai primi passi, distingue la qualità del risultato finale. Qualsiasi siano le caratteristiche del target e le modalità di conduzione della stima è molto importante che il processo, nella sua interezza, venga descritto con la massima trasparenza, in modo che qualsiasi destinatario possa comprendere le fondamenta dell’impianto valutativo e come esso sia stato costruito piano per piano. La prospettiva valutativa può guardare l’azienda nel suo complesso oppure sue specifiche componenti: un ramo, una unità organizzativa, singoli beni. Nel caso di beni la cui stima richiede competenze diverse da quelle economico-aziendali, il valutatore si avvarrà di tecnici esperti, quali, per esempio, i periti immobiliari per le

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stime di immobili e terreni, o i periti tecnici per quelle di impianti e attrezzature. Chi assume l’incarico integrerà nella sua perizia quella del coadiutore o dei coadiutori, assumendosi comunque piena responsabilità per le loro risultanze. La stima del valore dell’azienda non viene effettuata su base ricorrente. Sicuramente non la troviamo nella predisposizione del bilancio d’esercizio, la cui finalità è quella di informare sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale per un determinato periodo amministrativo. La principale differenza consiste nel fatto che il valore d’azienda dipende, qualunque sia l’approccio utilizzato, più dalle prospettive che dallo status quo. Si pensi a una start-up che con ogni probabilità chiuderà il primo periodo in perdita. Ciò non significa che il suo valore sia pari a zero, tant’è che nessun business angel o venture capitalist si azzarderebbe a proporre un prezzo di ingresso che non incorpori l’originalità dell’idea imprenditoriale e la forza del modello di business, indipendentemente da quanti siano stati i ricavi del primo anno. Oggetto di determinazione non è quindi il capitale di bilancio quanto il valore effettivo del capitale che, sin dal secolo scorso, in economia aziendale viene chiamato “capitale economico” o “valore economico del capitale”. Questo concetto sicuramente è indispensabile in tutte le operazioni in cui si oppongono interessi contrapposti, nelle quali, se si prendesse a riferimento il patrimonio netto contabile, si finirebbe con il sottostimare l’azienda, assunto che i valori di bilancio sono determinati in applicazione di convenzioni contabili, tra cui il principio di prudenza. Al Paragrafo 1.3 il significato di capitale economico sarà approfondito anche attraverso il confronto con le altre configurazioni di valore, ma è immediato comprendere quanto la sua determinazione richieda non solo il possesso di conoscenze tecniche, quanto e soprattutto la predisposizione a comprendere a fondo la realtà dell’azienda oggetto di studio. In questo senso la valutazione d’azienda si mostra da subito come una disciplina particolarmente delicata e complessa che, disponendo di una serie di nozioni di ragioneria, finanza, strategia, programmazione e controllo, si propone di esprimere un valore di sintesi del valore economico di un’azienda e una interpretazione di detto valore in funzione di varie ipotesi e assunti di fondo. La prospettiva del presente lavoro si rivolge all’esperto che riceve l’incarico di valutare l’azienda in particolari occasioni o momenti della sua vita, piuttosto che a chi riveste compiti ricorrenti come amministratore, manager o membro di organi di controllo o di vigilanza. Ciò non significa che il processo valutativo non possa servire alla direzione e alla gestione, tanto che viene raccomandato di farne strumento di uso quotidiano, “Perché i manager che si concentrano sulla creazione di valore migliorano la salute delle aziende, le rendono più forti e creano nuove opportunità per i loro dipendenti” (Copeland et al. 2005, p. 4). Tuttavia va sottolineato come il capitale economico sia essenzialmente un valore unitario, mentre amministratori e manager sono interessati talvolta a scomporre tale valore nelle singole componenti (“capitale di gestione”) al fine di comprendere l’orientamento del modello di business che può massimizzare il loro ritorno sul lungo termine (Olivotto, 1983, p. 3). Il valutatore si trova in una posizione diversa anche rispetto all’analista finanziario. Quest’ultimo effettua una stima per suggerire all’investitore, spesso suo cliente, un determinato comportamento nell’investimento (vendere, mantenere, acquistare), mentre il valutatore si pone solitamente in una posizione neutrale rispetto alle varie parti; l’analista si basa prevalentemente sull’informativa pubblicata ufficialmente, laddove il valutatore ha accesso a tutta l’informativa direzionale (contabilità, analitica,

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda Tabella 1.1  Il ruolo del valutatore d’azienda Ruolo

Finalità Prevalente

Informativa

Prospettiva

CFO

Capitale di bilancio Capitale di gestione

Interna

Storica e prospettica

Valutatore d’azienda

Capitale economico Capitale di liquidazione

Interna

Prospettica

Analista finanziario

Capitale economico Valore dell’investimento

Esterna

Prospettica

budget, business plan); entrambi possono contattare il management e dialogarci, ma sicuramente l’accesso del valutatore è facilitato, svolgendo questi, la sua attività nell’interesse del management stesso o comunque sotto l’egida della proprietà (Tabella 1.1). In sintesi il valutatore è una figura a sé stante da non confondersi né all’interno con il management e in particolare con il responsabile finanza, amministrazione e controllo (CFO), né all’esterno con l’analista finanziario. Il capitale economico è diverso anche dal capitale di liquidazione il quale deriva dalla somma dei valori assegnati distintamente alle attività e passività patrimoniali al momento in cui cessa l’attività aziendale. Allo stesso valutatore può essere chiesto di stimare entrambi: qualora si verifichi una situazione in cui il capitale economico risulti inferiore al capitale di liquidazione, se ne deve dedurre che conviene vendere le singole componenti piuttosto che continuare a impiegarle in forma unitaria e sistemica nell’attività aziendale.

1.2 LE FINALITÀ PER CUI SI STIMA IL VALORE ECONOMICO DEL CAPITALE Le finalità per cui viene richiesta la stima del capitale economico sono riconducibili alle seguenti operazioni: ▪▪ modifiche dell’assetto proprietario; ▪▪ analisi del valore; ▪▪ stesura del bilancio.

La prima finalità si riferisce a tutti quei casi in cui muta la compagine aziendale e il valutatore assume un ruolo di garanzia tra i contrapposti interessi delle parti. Si pensi a un aumento di capitale interamente riservato a nuovi soci in cui, in funzione del valore stimato, viene determinato il sovraprezzo sul nominale; alla causa di separazione legale tra coniugi in cui il valore della partecipazione in azienda deve essere conguagliato in denaro a chi viene liquidato; alla fusione per incorporazione in cui l’incorporante deve assicurare un equo concambio ai soci dell’incorporata; al valore da attribuire al socio che recede per giusta causa. Si tratta di operazioni in cui l’assetto proprietario viene a mutare e per questo sono chiamate “straordinarie” (o “di finanza straordinaria”). Esse hanno un perimetro ampio che si articola intorno a un nucleo originario costituito dalla cessione di azienda o di partecipazioni, operazione che funge da archetipo per ogni ragionamento valutativo. In tutti questi casi le scelte effettuate dall’esperto saranno scrutinate con estrema attenzione dagli interessati e per questo, oltre alla costante salvaguardia dell’indipendenza nei comportamenti, è raccomandabile una relazione finale estremamente chiara e descrittiva.

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La seconda finalità è legata all’esigenza di scomporre il valore dell’azienda in funzione di unità interne (per esempio, aree strategiche di affari o società partecipate) o esterne (per esempio, concorrenti, fornitori, distributori), per poter incrementare le sinergie esistenti o svilupparne di nuove. Per questo non è sufficiente conoscere il valore nella sua entità complessiva, ma comprendere anche come esso si modifica in funzione delle molteplici opzioni strategiche, per realizzare le quali si dovrà poi procedere anche a modifiche dell’assetto proprietario, come quelle viste al punto precedente. In questo ambito il valutatore deve esser in grado di creare analisi di scenario, simulazioni e prove di sensibilità in modo da essere in grado di rispondere alle più variegate domande che gli verranno poste da chi sta vagliando le modifiche dell’assetto strategico e societario. All’analisi del valore possono essere ricondotte anche alcune valutazioni di turnaround ovvero di supporto alla ristrutturazione di imprese in crisi. Anzitutto per comprendere la convenienza della continuità aziendale rispetto alla liquidazione e, in caso positivo, alla stima del valore delle opzioni sottostanti al piano di risanamento. Con la terza finalità, le valutazioni di supporto alla stesura del bilancio, si è sempre stimato il capitale economico in modo da confrontarlo con il capitale di bilancio e, attraverso questo confronto, verificare che il secondo non superi il primo. Più recentemente, a seguito dei nuovi orientamenti dei principi contabili internazionali e nazionali, per alcune voci di bilancio è richiesta l’applicazione di criteri di stima che sono nati e sono stati sviluppati nel campo della valutazione d’azienda. Si pensi al c.d. Impairment test con il quale il valore attribuito all’avviamento è determinato stimando il capitale economico delle unità di business elementari e confrontandolo con il prezzo che è stato corrisposto in sede di acquisizione. In questo caso la relazione di stima diviene un documento probatorio citato a richiamo nella nota integrativa e quindi inserita tra gli allegati al bilancio. Nel caso di stime di singoli asset, oltre alle finalità viste in precedenza per la valutazione d’azienda nella sua interezza, se ne aggiunge una quarta: ▪▪ valutazioni di carattere esclusivamente legale. Nell’ambito della finalità di stesura del bilancio, per esempio, si hanno valutazioni specifiche quando si stimano al fair value gli strumenti finanziari, al valore recuperabile i beni immateriali a vita indefinita, al valore attuale netto alcune passività. Qui rientra anche la c.d. Purchase price allocation (PPA), ovvero la distribuzione del sovraprezzo pagato rispetto al valore corrente delle componenti patrimoniali, in modo analitico tra gli asset aziendali. Nella quarta finalità invece la perizia di stima risponde a un requisito normativo ulteriore rispetto alle garanzie di terzi esplicate nelle operazioni straordinarie o nella regolamentazione contabile. Si pensi alle valutazioni di beni immateriali ricompresi nella disciplina fiscale del Patent Box che intende incentivare gli investimenti in proprietà intellettuale (brevetti, know how, software) al fine di mantenerne la proprietà in Italia. In questa fattispecie non solo è richiesta la determinazione del reddito agevolabile riconducibile al bene immateriale, ma vengono anche suggeriti i criteri valutativi richiamando la gerarchia prevista dall’OCSE in materia di transfer pricing. Un ulteriore esempio è quello, sempre in ambito tributario, della rivalutazione dei beni in agevolazione o sospensione d’imposta, a cui si è già fatto cenno in precedenza, che prevede la redazione di una perizia di stima da parte di soggetti qualificati quale requisito per l’applicazione della norma.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda Nello svolgere il suo incarico il valutatore potrebbe subire condizionamenti tendenti a limitarne l’indipendenza: ▪▪ di carattere istituzionale ovvero legati al rapporto con il committente che nasce da una conoscenza professionale o personale pregressa e che comunque prevede un contatto iniziale in cui il committente esercita una influenza o un orientamento “carismatico”; ▪▪ connessi al sistema di incentivi, rappresentato in prima istanza dal compenso professionale e, secondariamente, dalla prospettiva di collaborazioni future; ▪▪ dovuti ai tempi previsti per lo svolgimento dell’incarico. La decisione di affidare un incarico estimativo in molti casi invece di costituire, come sarebbe logico, la fase di avvio del processo decisionale (“Conosciamo il valore e poi decidiamo se e come fare l’operazione”), arriva alla fine (“Abbiamo deciso di fare comunque l’operazione e determiniamo il valore in modo da renderla funzionale”) con tempi serrati dettati da scadenze prossime e impellenti; ▪▪ per carenze informative, quando l’azienda non è dotata di un adeguato sistema di contabilità direzionale in grado di fornire in modo analitico e tempestivo i dati necessari all’analisi; ▪▪ legati alla propria cultura professionale. Per esempio, se il valutatore nella sua prassi professionale si occupa di contabilità e bilancio potrebbe essere indotto ad adottare un approccio prudenziale, soprattutto in riferimento alla scelta dei valori probabilistici. In realtà, come vedremo nel Capitolo 3 sui principi di valutazione, ogni assunto valutativo deve essere il più possibile aderente alla realtà e incorrere in stime prudenziali induce a un errore di segno opposto, ma equivalente in termini di gravità, a quello che si avrebbe con sovrastime. Solo in alcune fattispecie si può ovviare a questa regola, come, per esempio, in una trasformazione progressiva, visto che i soci, a conclusione dell’operazione, delimiteranno il loro profilo di responsabilità alla quota di capitale proprio. Al contrario, invece, ipotesi sfidanti potrebbero essere impostate nell’ambito di analisi di valore tese all’assegnazione al management di obiettivi di performance. L’insieme di questi condizionamenti può pregiudicare l’indipendenza richiesta al valutatore e questo è un tema di carattere etico e deontologico che sicuramente incide sulla qualità del processo valutativo, aumentando la possibilità di errori e gravandolo, in alcuni casi, di una opacità generale sull’analisi delle determinanti del valore. A ciò si aggiunge, e vale soprattutto per le stime a supporto di analisi di valore, il tema delle opinioni precostituite. Un paragone calzante è stato fatto con la statistica Bayesiana, dove “Agli analisti è richiesto di esplicitare i pregiudizi prima di procedere alla presentazione dei risultati. Per esempio, un’analista ambientale ha il dovere di dichiarare la sua convinzione sull’esistenza di un buco nell’ozono prima di presentare i risultati dell’evidenza empirica su tale effetto. La persona che rivede lo studio può allora tenere conto di tale pregiudizio nel controllare le conclusioni. Anche nel caso di valutazioni di aziende, sarebbe quindi utile che gli analisti manifestassero apertamente e anticipatamente le loro opinioni” (Damodaran, 2010, p. 5). Ci si potrebbe chiedere allora se la valutazione d’azienda abbia utilità anche per le società quotate, visto che esiste già un valore di mercato, dato dal prezzo delle azioni moltiplicato per il numero di azioni sul mercato. In realtà, la capitalizzazione di borsa non corrisponde al capitale economico perché risente di variabili macroeconomiche e congiunturali non direttamente riferibili al valore (Paganelli, 1990, p. 7). Gli scambi azionari infatti, oltre a elementi valutativi, sono influenzati da valutazioni soggettive

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sull’andamento delle quotazioni, dalla possibilità di raccogliere tempestivamente informazioni, da decisioni delle autorità monetarie in tema di tassi di interesse. Più in generale, la differenza tra prezzo e valore emerge in ogni transazione che ha come oggetto azioni o quote di capitale per una serie di condizioni oggettive e soggettive che qui proviamo a sintetizzare. Condizioni oggettive: ▪▪ in fase di transazione si modifica l’oggetto rispetto a quello di perizia, escludendo alcune componenti patrimoniali, quali, per esempio, i crediti e debiti commerciali, i debiti finanziari, le immobilizzazioni non pertinenti; ▪▪ la transazione viene eseguita in via indiretta, cioè tramite scambio di partecipazioni, invece che in via totalitaria e ricorrono i motivi per applicare premi o sconti; ▪▪ viene definita una forma di pagamento dilazionata o comunque più conveniente per il compratore che quindi è disposto a corrispondere un prezzo più alto. Si pensi al caso del pagamento effettuato tramite azioni del compratore (cfr. Box Caso aziendale 1.1); ▪▪ lo status dell’impresa, visto che ci possono essere condizioni di favore che non sono rientrate nel processo valutativo (per esempio, l’azienda è quotata); ▪▪ il ciclo di mercato, che può trovarsi in una fase favorevole al compratore (prevalenza dell’offerta) o al venditore (prevalenza della domanda).

Caso aziendale 1.1 LVMH conquista la griffe Bulgari (Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2011) La super-maison mondiale del lusso LVMH conquista Bulgari. La storica casa orafa romana, uno dei marchi più prestigiosi del Made in Italy, finisce nel portafoglio della multinazionale parigina. Bernard Arnault, il signore delle griffe (ne controlla 50 da Louis Vuitton a Marc Jacobs, fino allo champagne Moët & Chandon) imbastisce un’operazione da 4,3 miliardi di euro e lancerà un’Opa sull’azienda nata nel 1884 dall’idea di un artigiano greco, Sotirio Bulgari, e oggi uno dei sinonimi di raffinatezza e alta gioielleria. Gli eredi del fondatore, Paolo e Nicola, che ancora controllano l’azienda da quasi 140 anni, vendono ai francesi (consegneranno il loro 50% circa) ma non escono del tutto di scena: riceveranno il 3,5% del colosso Lvmh, una quota che ne farà il secondo azionista familiare. Meglio piccoli in un grande gruppo che indipendenti in un’industria, quella del lusso, sempre più competitiva e globale […]. La famiglia Bulgari e il ramo di Trapani (imparentato con i due fratelli e titolare di un 4,3%) conferiranno tutti i loro titoli (152 milioni) e riceveranno in cambio nuove azioni LVMH. A tutti gli altri azionisti di minoranza, andranno soldi: il gruppo francese offre un prezzo tutt’altro che avaro, 12,25 euro. Tanto che ieri Bulgari si è impennata a razzo (con uno stratosferico +60%) per allinearsi al prezzo d’Opa (come solitamente accade).

Condizioni soggettive: ▪▪ il potere di negoziazione, cioè la situazione personale in cui si trova ciascuna parte; ▪▪ le sinergie potenziali, sia operative sia finanziarie, del compratore, che ovviamente possono spingere il prezzo verso l’alto, soprattutto se sono note o intuibili anche dal venditore.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda In conclusione, quando esiste un mercato di riferimento il prezzo è determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta ed è a tutti gli effetti un dato. Il valore è sempre frutto di una stima, cioè di un processo che implica scelte soggettive di metodo e strumenti di misurazione ed è, quindi, un’opinione (Guatri e Bini, 2005, p. 8).

1.3 LOGICHE VALUTATIVE E CONFIGURAZIONI DI VALORE La valutazione d’azienda si declina variamente a seconda dell’ambito e delle finalità per cui è effettuata, poiché diversi ne sono i presupposti informativi. Vi sono pertanto diverse configurazioni di valore, destinate a soddisfare diversi bisogni informativi e che tengono conto di diverse variabili. Per esempio, se l’ambito della valutazione è un processo di vendita di una partecipazione che deve concludersi in sei mesi, l’informazione ricercata è il prezzo al quale la partecipazione potrebbe essere in tal modo venduta. Diversamente, se l’ambito è la stima in bilancio quale immobilizzazione, divengono rilevanti i benefici attesi dalla partecipazione nel tempo, indipendentemente dall’apprezzamento che ne faccia il mercato.

1.3.1 Le configurazioni di valore La letteratura ha, nel tempo, identificato in modo vario le configurazioni di valore delle aziende. In generale, esse dipendono soprattutto: ▪▪ dalla prospettiva soggettiva nella quale è redatta la stima (per esempio, la generalità dei partecipanti al mercato oppure uno specifico soggetto); ▪▪ dallo scenario di estrazione del valore assunto a base della stima (per esempio, la vendita sul mercato o l’estrazione dei benefici nel tempo). Rinviando al prosieguo per qualche riferimento alla letteratura, si ritiene opportuno in questa sede presentare le indicazioni dei PIV (Principi Italiani di Valutazione d’azienda), con la precisazione che essi, ancorché interpretino correttamente le posizioni della dottrina e della prassi più autorevoli, non esauriscono il tema. Secondo i PIV, esistono cinque configurazioni di valore valide per tutte le attività, cui se ne aggiunge una specifica per le aziende: a. valore di mercato; b. valore d’investimento; c. valore negoziale equitativo; d. valore convenzionale; e. valore di smobilizzo; f. valore intrinseco (ossia il valore economico del capitale). Di seguito si presentano e si commentano le definizioni dei PIV.

Principi di valutazione 1.1

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.3 – Il valore di mercato di un’attività reale o finanziaria (o di un’entità aziendale) o di una passività è il prezzo al quale verosimilmente la medesima potrebbe essere negoziata, alla data di riferimento dopo un appropriato periodo di commercializzazione,

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fra soggetti indipendenti e motivati che operano in modo informato, prudente, senza essere esposti a particolari pressioni (obblighi a comprare o a vendere). Commento  Il valore di mercato dei PIV coincide con il market value degli IVS. […] Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

Il valore di mercato è quindi il più probabile prezzo di una libera transazione sul mercato, nella prospettiva generale dei partecipanti allo stesso. Il valore di mercato riflette il c.d. Highest and best use del bene, poiché il mercato tenderebbe ad allocarlo verso tale massimo e migliore uso. Lo scenario è quello di una ordinaria transazione sul libero mercato, tra parti indipendenti e correttamente informate, motivate alla transazione, ma non costrette a effettuarla. Il valore di mercato pertanto non tiene conto di circostanze ascrivibili a specifici soggetti (per esempio: carenze manageriali per insuccesso del passaggio generazionale in un’azienda familiare, finanziamenti infruttiferi revocabili di uno specifico soggetto controllante, informazioni private sui piani d’impresa), ma tiene conto delle specifiche condizioni del mercato alla data della valutazione (per esempio: carenza di domanda per congiuntura economica negativa, assenza di fiducia degli operatori, situazioni di illiquidità del mercato, oppure, al contrario, eccesso di domanda per bolle speculative). Quando il mercato è inefficiente e soggetto a spinte irrazionali, il valore di mercato può discostarsi significativamente dal valore economico dell’azienda (che è, come si vedrà, quello che dipende dai benefici futuri attesi). Per questo gli operatori stimano anche i valori di mercato attesi per il futuro (c.d. Target price), che assumono l’apprezzamento da parte del mercato di tutte le informazioni rilevanti per il valore economico.

Principi di valutazione 1.2

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.4 – Il valore d’investimento esprime i benefici offerti da un’attività reale o finanziaria (o da un’entità aziendale) al soggetto che la detiene, o che potrà detenerla in futuro, con finalità operative o a puro scopo d’investimento. Commento  Il valore di investimento dei PIV coincide con l’investment value degli IVS. […] Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

Il valore d’investimento è il prezzo che sarebbe disposto a pagare uno specifico acquirente, sulla base dei benefici che ritrarrebbe dall’azienda. Il valore d’investimento è quindi un valore soggettivo che dipende dalle caratteristiche del soggetto che si assume detenere l’azienda. Il valore d’investimento pertanto tiene conto delle circostanze ascrivibili a uno specifico soggetto (per esempio: sinergie realizzabili nel gruppo del potenziale acquirente, limitazioni nell’accesso al credito per uno specifico soggetto economico), ma non tiene conto delle condizioni del mercato alla data della valutazione, se non nella misura in cui influiscano sui benefici attesi dall’azienda (per esempio: la congiuntura

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda rialzista o ribassista dei mercati azionari sarà irrilevante, se non genera effetti sui risultati dell’impresa). Il valore d’investimento dipende pertanto dalle specifiche strategie di un’impresa e di un soggetto economico (per questo, è anche chiamato “valore strategico”; Zanda et al. 2013, p. 30) ed è il valore massimo che nelle operazioni di M&A l’acquirente è disposto a riconoscere al venditore (per questo, è anche chiamato “valore di acquisizione”; Guatri e Bini, 2009, p. 500).

Principi di valutazione 1.3

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.5 – Il valore negoziale equitativo di un’attività finanziaria o reale (o di un’entità aziendale) esprime il prezzo al quale verosimilmente la medesima potrebbe essere negoziata alla data di riferimento fra due o più specifici soggetti identificati, correttamente informati e concretamente interessati, bilanciando in modo equo i rispettivi interessi. Commento  Il valore negoziale equitativo dei PIV coincide con l’equitable value degli IVS. […] Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

Il valore negoziale equitativo è il più probabile prezzo di una transazione tra gli specifici soggetti che si assumono parteciparvi. Il valore negoziale equitativo è pertanto un valore soggettivo che tiene conto delle circostanze ascrivibili a specifici soggetti (per esempio: sinergie, benefici e limitazioni connesse a uno specifico gruppo imprenditoriale, vantaggi e svantaggi dell’operazione per le specifiche parti) e tiene altresì conto delle condizioni del mercato alla data della valutazione (per esempio: la congiuntura del mercato con eccesso di domanda o di offerta, che può influenzare il prezzo ipotetico della transazione, spostandolo rispettivamente a favore del venditore o dell’acquirente). La configurazione del valore negoziale equitativo è rilevante nella sistemazione dei rapporti contrattuali tra specifiche parti, per esempio in taluni contenziosi sorti a seguito della cessione di aziende.

Principi di valutazione 1.4

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.6 – Un valore convenzionale discende dall’applicazione dei criteri specifici (particolari) che sono stati fissati per la sua determinazione dalla legge, e/o da regolamenti, e/o da principi contabili, o da contratti. La correttezza di tale valore discende esclusivamente dalla puntuale applicazione dei criteri medesimi. Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

Un valore convenzionale non necessariamente risponde a criteri metodologicamente corretti, essendo meramente funzionale alle specifiche finalità delle convenzioni nelle quali è dettato.

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Sono esempi di valori convenzionali quelli disciplinati dai principi contabili (per esempio, fair value e valore d’uso negli Ifrs), dalle norme sulle operazioni straordinarie (per esempio, valore di recesso), dalle norme tributarie (per esempio, valore normale nell’imposta di registro), dagli enti regolatori (per esempio, valore della RAB, Regulatory Asset Base, per la fissazione dei prezzi di taluni servizi pubblici), da pattuizioni contrattuali (per esempio, formule di valutazione in funzione dell’Ebitda). Nulla esclude ovviamente che i valori convenzionali siano talvolta sostanzialmente corrispondenti a talune configurazioni di valore. Per esempio, il fair value dei principi contabili internazionali (IFRS 13) è analogo al valore di mercato; il valore d’uso (value in use, IAS 36) approssima il valore d’investimento nella prospettiva del detentore attuale dell’azienda.

Principi di valutazione 1.5

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.7 – Il valore di smobilizzo è un prezzo fattibile in condizioni non ordinarie di chiusura del ciclo d’investimento. Il valore cauzionale è un particolare valore di smobilizzo definito ex ante. Il valore di liquidazione (ordinaria o forzata) è un particolare valore di smobilizzo. Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

Il valore di smobilizzo assume la cessazione non ordinaria dell’investimento. Nella valutazione delle aziende, tipico valore di smobilizzo è il valore di liquidazione del patrimonio netto, che assume la cessazione dell’attività d’impresa e la cessione atomistica dei suoi elementi patrimoniali. Il valore di liquidazione è quindi pari alla differenza tra valori di realizzo delle attività e valori di estinzione delle passività, al netto dei costi di liquidazione. Quando la liquidazione è forzata, come nel caso delle esecuzioni giudiziali o delle procedure concorsuali, la cessione è prevista tramite asta, in tempi ristretti da parte di un venditore obbligato a vendere. I valori di liquidazione forzata presentano “sconti” rilevanti rispetto ai prezzi che si realizzerebbero sul libero mercato. Oggetto della liquidazione forzata può talvolta essere un’azienda in funzionamento (o sue partecipazioni); è raro tuttavia che, in tali casi, si realizzino significativi valori di avviamento.

Principi di valutazione 1.6

Le configurazioni di valore e i loro possibili attributi I.6.8 – Nel caso di valutazione di aziende, di partecipazioni azionarie, di singole azioni, di strumenti finanziari e di beni immateriali si può fare riferimento a una ulteriore configurazione di valore rappresentata dal valore intrinseco (o fondamentale). Il valore intrinseco esprime l’apprezzamento che un qualsiasi soggetto razionale operante sul mercato senza vincoli e in condizioni di trasparenza informativa dovrebbe esprimere alla data di riferimento, in funzione dei benefici economici offerti dall’attività medesima e dei relativi rischi. Fonte: Organismo Indipendente di Valutazione, Ministero dell’Interno.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda Il valore intrinseco corrisponde al valore economico del capitale (o “capitale economico”), frutto di ampia sistemazione teorica da parte della dottrina aziendalistica. Il valore economico del capitale è il prezzo che un generico operatore razionale sarebbe disposto a pagare, sulla base dei benefici ritraibili dall’azienda. Esso è, pertanto, un valore “generale” che riflette il valore dell’azienda in sé (e non il valore per uno specifico soggetto). Il valore economico del capitale pertanto non tiene conto delle circostanze ascrivibili a specifici soggetti (per esempio: sinergie, benefici e limitazioni ascrivibili a specifici imprenditori, ma non alla generalità degli operatori), né delle condizioni del mercato alla data della valutazione, se non nella misura in cui influiscano sui benefici attesi (per esempio: la congiuntura particolarmente rialzista o ribassista dei mercati azionari sarà irrilevante, nella misura in cui non riflette i fondamentali dell’azienda). Il valore economico del capitale esprime il valore estraibile dalla gestione dell’azienda (è un valore d’uso e non un valore di scambio), sulla base dell’analisi dei suoi fondamentali economici: flussi di risultato attesi sulla base della capacità di reddito corrente, consistenza patrimoniale e rischio associato alla gestione. Esso esprime un valore as is, prescindendo da sinergie specifiche e da miglioramenti potenziali ancora da attuare. Come detto, il valore di mercato può discostarsi significativamente dal valore intrinseco dell’azienda in ragione delle asimmetrie informative (il mercato non conosce le informazioni private sui piani dell’impresa) o delle inefficienze nel “prezzare” le informazioni disponibili (il mercato si comporta in modo non razionale).

Approfondimento 1.1 La nozione di “valore economico del capitale” trova la sua origine nell’innovativa definizione di “capitale economico” formulata da Zappa, considerato il fondatore dell’economia aziendale, che vede il capitale aziendale non come insieme di elementi diversi, ma come valore unico che deriva dai redditi futuri. “Vogliamo dire della nozione per il quale il capitale d’impresa appare nella sua interezza come un complesso, costituito da fattori complementari. In questa accezione, caratteristicamente economica, il capitale non è un fondo di valori diversi sebbene coordinati, ma è un valore unico, risultante dalla capitalizzazione dei redditi futuri. … Economicamente il capitale varia in conseguenza del presunto variare dei redditi attesi e anche varia per il variare del saggio di capitalizzazione” (tratto da Zappa, 1950, p. 81).

La Tabella 1.2 sintetizza le caratteristiche delle configurazioni di valore. Tabella 1.2  Configurazioni di valore, prospettive della stima e scenari di estrazione del valore

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Configurazioni di valore

Prospettiva

Scenario

Valore di mercato

Generale

Realizzo

Valore d’investimento

Soggettiva

Uso

Valore negoziale equitativo

Soggettiva

Realizzo

Valore convenzionale

Convenzione

Convenzione

Valore di smobilizzo (di liquidazione)

Generale

Realizzo

Valore intrinseco (capitale economico)

Generale

Uso

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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1.3.2 Gli approcci valutativi: equity side e asset side Nel bilancio, il capitale aziendale è rappresentato nel duplice aspetto degli impieghi e delle fonti, che possono essere riclassificati nelle seguenti aree dello stato patrimoniale secondo il criterio della pertinenza gestionale: 1. area operativa, relativa all’attività produttiva; 2. area extra-operativa, relativa agli investimenti accessori (c.d. Surplus assets); 3. area finanziaria, relativa ai finanziamenti ottenuti quale capitale di credito e agli eventuali impieghi della liquidità in eccesso; 4. patrimonio netto, relativo ai finanziamenti ottenuti quale capitale di rischio dai soci. Nelle valutazioni di azienda, di rami d’azienda e di partecipazioni societarie, oggetto della valutazione è il patrimonio netto (equity), cioè i diritti dei portatori di capitale di rischio. Alla valutazione del patrimonio netto, quale che sia la configurazione di valore ricercata, può pervenirsi attraverso due approcci: ▪▪ l’approccio “equity side”, che consiste nel valutare direttamente il patrimonio netto (Equity Value, cioè valore azionario), sulla base di dati di input riferibili agli azionisti (nella loro qualità di residual claimants); ▪▪ l’approccio “asset side”, che consiste nel valutare dapprima il capitale operativo investivo netto (COIN), cioè l’investimento effettuato nei business aziendali (ottenendo il c.d. Enterprise value), e poi separatamente il valore degli investimenti accessori (Surplus Assets) e il valore della posizione finanziaria netta (PFN) per ottenere, sommandoli algebricamente all’Enterprise Value, il valore del patrimonio netto (Equity Value). I due approcci differiscono per il percorso che conduce al valore azionario, ma non dovrebbero, se correttamente applicati, condurre a valori diversi (Figura 1.1). Il presupposto teorico dal quale affrontare il problema è il teorema di Modigliani-Miller (Modigliani e Miller, 1958, p. 261), secondo la cui formulazione più semplice, sotto le ipotesi di assenza di tasse, costi del dissesto, asimmetrie informative e in un mercato efficiente, il valore degli investimenti operativi di un’impresa (Enterprise Value) non dipende dal modo con il quale essi sono finanziati, ma soltanto dai flussi di risultato operativi e dal rischio operativo del business. Il teorema presenta in concreto limiti connessi all’assenza di realismo delle ipotesi sottostanti, ma è un fondamento concettuale molto importante per comprendere gli IMPIEGHI Immobilizzazioni operative CAPITALE + Rimanenze OPERATIVO + Crediti commerciali INVESTITO NETTO (COIN) – Debiti Commerciali – Ricavi anticipati SURPLUS ASSETS (SA)

Immobilizzazioni extra operative

FONTI PATRIMONIO NETTO (PN)

Capitale e riserve

POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)

Debiti finanziari – Liquidità (& Attività finanziarie non imm.)

Enterprise Value + Surplus Asset – Posizione Finanziaria Netta = Equity Value Figura 1.1  Approccio asset side ed equity side.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda effetti della struttura finanziaria sul valore delle aziende e induce a impostare il procedimento valutativo in due fasi: 1. la stima dell’Enterprise Value, ossia dell’investimento operativo, che non dipende dal modo in cui l’impresa è finanziata alla data di riferimento, ma solo dai risultati attesi e dai rischi del business; 2. la stima della Posizione Finanziaria Netta, che determina come, alla data di riferimento, l’Enterprise Value viene allocato tra i creditori finanziari e gli azionisti. L’approccio asset side trova del resto pieno riscontro nei comportamenti degli operatori, che tendono ad affrontare separatamente (seppur non indipendentemente) le scelte operative e quelle finanziarie, perché l’implementazione delle strategie industriali richiede tempi medio-lunghi e scelte non reversibili, mentre la struttura finanziaria delle imprese può essere istantaneamente mutata attraverso opportune scelte d’investimento sui mercati finanziari. Per esempio, in un processo di acquisizione è normale valutare l’investimento operativo dell’impresa target e, separatamente, ragionare sulla riconfigurazione della struttura finanziaria, così pervenendo da un lato al prezzo da proporre agli azionisti venditori e dall’altro alle somme da investire per la ristrutturazione delle passività finanziarie. Negli anni recenti si è quindi largamente diffuso l’approccio asset side, il cui pregio è scomporre il procedimento valutativo, evidenziando le singole componenti e il percorso di formazione dell’Equity Value. In tal modo, si può meglio comprendere l’effetto delle singole determinanti del valore (value drivers) e documentarne la stima (per esempio, la stima del rischio azionario apprezzando separatamente il rischio operativo e l’effetto dei rischi finanziari). Inoltre, disaggregare la valutazione dell’Enterprise Value da quella dell’Equity Value consente di comparare meglio aziende con diverse strutture finanziarie nell’analisi fondamentale e nell’analisi dei dati di mercato, a beneficio sia della base informativa della valutazione sia della documentazione dei risultati. Asset side ed Equity side non sono metodi diversi, ma diversi approcci al procedimento valutativo che dovrebbero, in teoria, condurre al medesimo risultato. In concreto, alcuni aspetti tecnici dei metodi e limitazioni informative dei dati di input possono giustificare piccole differenze nei risultati, fermo restando che risultati molto diversi segnalerebbero errori tecnici nella valutazione.

1.3.3 Una tassonomia dei metodi di valutazione La stima del valore di un’azienda richiede, come tutte le stime, la selezione dei più opportuni metodi di valutazione. Dal punto di vista teorico, il valore di un’azienda dipende dai benefici economici futuri che essa è in grado di generare per i titolari del capitale di rischio. Poiché tali benefici sono rappresentati dai dividendi distribuibili lungo l’orizzonte temporale di detenzione dell’azienda, fino al momento in cui essa venga ceduta o liquidata, nonché dall’introito ottenibile da tale cessione o liquidazione, la formula teorica di valutazione dovrebbe esprimere il valore attuale, al costo opportunità del capitale di rischio, dei dividendi attesi e dell’introito finale: n

W =∑ t =1

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dt

t

(1 + ke )

+

Vfn

n

(1 + ke )

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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Dove: W = Valore economico dell’azienda; dt = dividendo atteso per l’anno t; ke = costo opportunità del capitale di rischio; n = orizzonte temporale atteso di detenzione dell’azienda; Vfn = Valore finale (di cessione o di liquidazione) all’anno n.

Una tale formula teorica è di difficile applicazione pratica, poiché richiede assunzioni su circostanze estremamente incerte, quali i dividendi che saranno distribuiti nel tempo e l’orizzonte di detenzione dell’azienda. A ben vedere, tuttavia, un’azienda può generare risultati positivi senza distribuire dividendi, creando valore tramite il reinvestimento degli utili, che aumentano i dividendi attesi per i periodi successivi. Inoltre, l’orizzonte temporale di detenzione e il valore finale non sono in realtà vere determinanti del valore, poiché per qualunque momento di uscita dall’investimento, vi sarà sempre un valore finale a sua volta frutto dei risultati attesi per gli anni successivi. Le leve fondamentali del valore sono quindi i risultati attesi e il rischio aziendale (che determina il costo del capitale e quindi il tasso di attualizzazione). Perciò, i metodi più razionali sono quelli basati sull’attualizzazione dei risultati attesi, che sono infatti quelli di più esteso e generalizzato utilizzo. Nella pratica, tuttavia, sono impiegati anche metodi che si basano su altre variabili, essenzialmente rappresentate da informazioni di mercato (i prezzi fatti sul mercato per l’azienda o per aziende comparabili) e da informazioni di costo (i costi da sostenere per ottenere un’azienda con elementi patrimoniali equivalenti a quella da valutare). I singoli metodi di valutazione delle aziende possono essere classificati nelle seguenti tre macro-categorie (che i PIV chiamano “metodiche”1): ▪▪ metodi basati sui flussi di risultato attesi (income approach); ▪▪ metodi basati sulle osservazioni di mercato (market approach); ▪▪ metodi basati sui costi di sostituzione (cost approach). I metodi basati sui risultati attesi stimano l’azienda sulla base della capacità di generare flussi di risultato nel futuro. In ossequio al presupposto teorico per cui ogni investimento ha un valore che dipende dai benefici economici attesi, dalla loro distribuzione temporale e dal loro grado di incertezza, tali metodi stimano il valore dell’azienda come valore attuale, al costo opportunità del capitale, dei risultati attesi per un orizzonte temporale tendenzialmente indefinito, coerentemente con la caratteristica di durabilità delle aziende. Quale espediente pratico, è in genere utilizzato quello di separare la previsione dei risultati attesi in una parte analitica e in una stabilizzata perpetua (si rinvia, sul tema, ai Capitoli 6 e 7). Tali metodi si distinguono, in funzione della configurazione dei flussi di risultato da attualizzare, in: ▪▪ metodi finanziari, che prevedono l’attualizzazione dei flussi di cassa; ▪▪ metodi reddituali, che prevedono l’attualizzazione dei flussi di reddito.

Inoltre, riteniamo classificabili in tale categoria i metodi misti, che valutano l’azienda quale somma tra il valore dei singoli elementi patrimoniali e il valore attuale delle 1  Si

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vedano i Paragrafi I.14., I.15., I.16. e I.17. dei Principi Italiani di Valutazione (PIV), 2015.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda differenze fra redditi attesi e redditi equi per n anni, così implicitamente assumendo una proiezione dei redditi futuri pari a quelli analiticamente previsti per n anni e pari a quelli equi per gli anni successivi (si rinvia, sul tema, al Capitolo 10). Nell’ambito dei metodi basati sui flussi di risultato attesi, la scelta deve essere guidata dall’esigenza di catturare con completezza le dinamiche economiche e finanziarie attese dell’azienda (si rinvia, sul tema, al Capitolo 7). I metodi basati sulle osservazioni di mercato stimano l’azienda sulla base dei prezzi recenti fatti sul mercato per la medesima azienda o per aziende comparabili. Quando non vi sono osservazioni di prezzo per l’azienda oggetto di stima, tali metodi ricercano regolarità statistiche nei rapporti tra prezzi e grandezze fondamentali di aziende comparabili, al fine di ottenere multipli medi da applicare alle grandezze dell’azienda oggetto di stima. Vi sono, in funzione delle osservazioni su cui si fondano, i seguenti metodi: ▪▪ metodo dei multipli delle aziende comparabili, basato sui prezzi di mercato di società comparabili quotate; ▪▪ metodo dei multipli delle transazioni comparabili, basato sui prezzi fatti in transazioni aventi a oggetto il controllo o partecipazioni rilevanti di aziende comparabili. Inoltre, possono rientrare in tale categoria le c.d. Regole del pollice, che non sono veri e propri metodi di stima, bensì regole empiriche basate su osservazioni non sistematiche e non analiticamente dimostrabili, ma frutto di consolidate consuetudini di mercato da parte degli operatori. I metodi basati sui costi forniscono indicazioni sull’investimento “di sostituzione” che dovrebbe essere sostenuto per ottenere un’azienda con elementi patrimoniali equivalenti a quella da valutare. Il metodo del costo di riproduzione o di sostituzione si addice alla stima di singoli beni, ma non alla valutazione delle aziende. Tuttavia, può ricondursi in tale categoria il metodo patrimoniale, che stima il valore dell’azienda quale somma algebrica del valore corrente di realizzo o di estinzione dei singoli elementi patrimoniali attivi e passivi che la compongono. Tale valore, infatti, rappresenta l’investimento di sostituzione per ottenere un’azienda comparabile equivalente. La letteratura ha distinto due varianti del metodo patrimoniale: ▪▪ il metodo patrimoniale semplice, che esprime a valori correnti le attività e passività dell’azienda, senza stimare il valore corrente dei beni immateriali non contabilizzati; ▪▪ il metodo patrimoniale complesso, che esprime a valori correnti tutte le attività e le passività identificabili dell’azienda, inclusi i beni immateriali non contabilizzati. Siamo dell’avviso che il metodo patrimoniale c.d. semplice non rappresenti un metodo razionale di valutazione delle aziende, se non quando non vi siano beni immateriali non contabilizzati da valutare, incluso l’avviamento (si tratta, in sostanza, delle sole situazioni in cui la capacità di reddito è specificamente ascrivibile a singole attività aziendali, e non alla loro combinazione sistemica, come avviene nel caso delle società holding o delle società immobiliari). Negli altri casi, il metodo patrimoniale c.d. semplice è solo un elemento informativo (o una “fase”; Caramiello, 1993, p. 31) del procedimento valutativo. Il metodo patrimoniale per la valutazione d’azienda è quindi quello c.d. complesso, che esprime il valore aziendale solo quando cattura nella valutazione dei beni

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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Metodi di valutazione Metodi basati sull’attualizzazione dei risultati Metodi finanziari

Metodi reddituali

Metodi misti reddituali patrimoniali

Metodi basati sui multipli di mercato Metodo dei multipli di società comparabili

Metodi basati sul costo

Metodo dei Metodo multipli delle patrimoniale transazioni (c.d. complesso) comparabili

Figura 1.2  Classificazione dei metodi di valutazione.

immateriali (per esempio, marchi, brevetti, liste clienti, know how, licenze, concessioni ecc.) l’orientamento al reddito del patrimonio. La classificazione dei metodi di valutazione delle aziende è sintetizzata nella Figura 1.2.

1.4 IL PROCESSO DI VALUTAZIONE. IL RUOLO DELL’ANALISI FONDAMENTALE Il contenuto del presente paragrafo può trovare sintesi in un semplice concetto: la stima del valore economico di un’azienda non può (e non deve) ridursi all’applicazione di una formula valutativa in grado di condurre al risultato finale ricercato. Siffatto approccio porterebbe a esiti fuorvianti giacché indurrebbe a riporre l’enfasi dell’analisi sul calcolo e sullo sviluppo dell’algoritmo matematico, distogliendo l’attenzione dalla necessaria conoscenza della realtà oggetto di valutazione e dalla qualità degli input richiesti dal modello valutativo (variabili e parametri). Per contro, la stima del valore economico deve essere la risultante di un articolato processo di valutazione che riconduce a un sistema unitario, logico e coerente la sequenza “input – modelli/metodi − risultati”, là dove ciascuna componente del processo assume pari dignità ed è meritevole di massima attenzione. In tale quadro, la trattazione che segue è dedicata ad approfondire brevemente la fase del processo a monte dello sviluppo delle formule valutative che danno contenuto ai metodi applicati, fase spesso trascurata e, invece, di vitale importanza nella determinazione della qualità dell’output Base informativa  L’insieme delle finale. Tale fase postula le seguenti attività: informazioni quali-quantitative ▪▪ la predisposizione di un’adeguata base informativa; a supporto della stima. Le infor▪▪ la c.d. Analisi fondamentale. mazioni possono essere distinte Le attività indicate, brevemente commentate nel seguito, sono cruciali perché consentono un processo di progressiva “maturazione della conoscenza” necessaria per effettuare la valutazione. Infatti, solo una

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in: a) interne-esterne; b) pubbliche-private; c) convenzionali-non convenzionali; d) contabili- extracontabili; e) scientifiche-di prassi; f) storiche-prospettiche.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda piena consapevolezza delle caratteristiche della realtà sottoposta a stima e, soprattutto, una chiara identificazione delle “leve del valore” che la connotano, consentono di: 1. selezionare i metodi più idonei a “catturare” quelle leve; 2. dare “piena espressione”, nella formula valutativa, alle grandezze economico-finanziarie (ricavi, margini, flussi di cassa ecc.) che rappresentano i “driver del valore” ovvero le “variabili determinanti” in grado di riflettere le sottostanti leve del valore e, quindi, di spiegare la genesi e la misura del valore. Un esempio − forse semplicistico ma sicuramente chiaro − può aiutare a comprendere il concetto esposto: se un’azienda industriale può beneficiare, quale fattore competitivo di successo, di elevata efficienza produttiva (minori costi di stabilimento, maggiore produttività del personale, scarti inferiori ecc.) appare evidente che la “capacità di generare margini” in misura superiore rispetto ai competitor rappresenta una leva fondamentale nella prospettiva della misurazione del valore; il che imporrebbe di selezionare i metodi più idonei a “catturare” quella leva incorporando nel modello valutativo una o più grandezze economico-finanziarie che diano piena espressione all’accennata “capacità di marginazione”. Orbene, qualora l’esperto, nell’ambito del processo di stima, facesse ricorso all’applicazione di un metodo patrimoniale o all’utilizzo esclusivo di un multiplo “EV/ Sales” (si veda infra Capitolo 11) l’effetto sarebbe quello di trascurare la “leva del valore” sopra richiamata, compromettendo la qualità del risultato ottenuto. Ciò in quanto: 1. il metodo patrimoniale non “cattura” i flussi di risultato che l’azienda è in grado di generare; 2. il multiplo “EV/Sales”, fermandosi alla prima grandezza lorda del conto economico (le vendite), non dà conto dell’effettivo “plus” dell’azienda, pienamente rappresentato solo da grandezze che esprimono “margini” (ebitda, ebit) e che sono calcolate al netto dei costi industriali che l’azienda in questione sa meglio governare e contenere rispetto agli altri attori del mercato di riferimento. Nel caso di specie, le scelte valutative effettuate dimostrerebbero la scarsa attenzione dedicata dal perito alla conoscenza della realtà oggetto di stima da maturarsi per effetto del preliminare allestimento di una adeguata base informativa nonché dello sviluppo di una efficace e approfondita analisi fondamentale. Non a caso, peraltro, si è sopra fatto riferimento a un concetto di “progressione” nella formazione della necessaria conoscenza: essa non scaturisce in toto a esito della predisposizione della base informativa e dello sviluppo dell’analisi fondamentale bensì “matura nel continuo”, anche in forza di una sorta di processo iterativo che porta a generare “nuova conoscenza” a valle dell’assimilazione di ogni informazione e di ogni step dell’analisi fondamentale, così da portare ad “aggiustare” le convinzioni maturate e a generare nuova conoscenza, fino a una piena consapevolezza in merito alle caratteristiche chiave dell’azienda oggetto di stima e alla quantificazione delle variabili e dei parametri che devono poi alimentare la formula valutativa. Infine, non è superfluo sottolineare che la conoscenza che il perito deve maturare con riguardo alla realtà oggetto di valutazione deve giocoforza estendersi a tutte le dimensioni aziendali rilevanti: la dimensione strategico-competitiva (prodotti/servizi offerti, fattori critici di successo, competitor ecc.); la dimensione di governance e organizzativa interna (compagine societaria, assetto di governo, struttura organizzativa aziendale, mappatura dei processi ecc.); la dimensione relativa ai rapporti con gli stakeholders (lavoratori, enti territoriali, istituzioni finanziarie ecc.); la dimensione economico-finanziaria (performance conseguite, risultati attesi, politica di investimento e dividendo ecc.).

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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Tornando alle attività indicate in apertura, la prima riguarda la predisposizione di un’adeguata base informativa, che deve poi essere sottoposta a un accurato esame. Essa può essere sostanzialmente ricondotta a cinque differenti “fonti di raccolta”: ▪▪ acquisizione di documenti predisposti da terzi estranei al processo valutativo (analisi di settore, visure camerali, pubblicazioni di istituzioni finanziarie, dati attinti da data-provider ecc.); ▪▪ acquisizione di documenti predisposti da terzi su incarico dell’azienda (perizie immobiliari, pareri legali ecc.); ▪▪ acquisizioni di documenti interni ufficiali (bilanci, delibere, piani approvati dal Consiglio di Amministrazione ecc.); ▪▪ acquisizioni di documenti interni non ufficiali (report, analisi statistiche, calcoli predisposti ad hoc ecc.); ▪▪ acquisizione di informazioni tramite colloqui con il management e visite in azienda (meglio se comunque “supportate” da evidenza documentale). Non vi è dubbio che l’affidabilità e la dimostrabilità dei dati e delle informazioni acquisiti varia al variare della fonte da cui sono ottenuti: sui documenti esterni (soprattutto se riconducibili a istituzioni di standing elevato) o su quelli interni ufficiali è possibile riporre maggiore fiducia in quanto dotati di maggiore “potere di convincimento e/o probatorio” rispetto, per esempio, ai documenti interni non ufficiali. In ogni caso, i dati e le informazioni raccolti devono assicurare una adeguata “copertura” delle seguenti aree (Guatri e Bini, 2009, p. 51 ss.): ▪▪ l’analisi strategica, comprensiva di quadro macroeconomico, quadro di settore e quadro strategico-aziendale (aree di affari presidiate, vantaggi competitivi detenuti, risorse e competenze a disposizione ecc.); ▪▪ l’analisi storica dei risultati contabili assoluti (ricavi, Ebit ecc.) e relativi (margini sul fatturato, ROI, ROE ecc.); ▪▪ l’informazione patrimoniale (analisi quali-quantitativa delle attività e delle passività, presenza di intangibili ecc.); ▪▪ l’informazione riguardante i tassi (reperimento di coefficienti Beta, rendimenti di mercato, tassi risk free ecc.); ▪▪ il budget e le previsioni economico-finanziarie pluriennali. Le informazioni indicate devono poi essere ulteriormente integrate nei casi di: 1. acquisizioni, rendendosi necessarie, per esempio, le informazioni relative alle sinergie conseguibili post acquisizione, agli effetti dell’acquisizione sul rischio ecc.); 2. calcolo dei multipli, rendendosi necessarie, per esempio, le informazioni su società comparabili e su transazioni comparabili.

Caso aziendale 1.2 Le informazioni richieste ai fini di una stima di conferimento Tizio è il perito nominato dal Tribunale competente per effettuare la stima di conferimento di un ramo d’azienda in una società di nuova costituzione (Newco). Tizio, una volta accettato l’incarico, trasmette alla società conferente Alfa un documento contenente l’elenco della documentazione richiesta. L’elenco, desunto dalla concreta realtà, è di seguito riportato. 1. Copia istanza al Tribunale e copia nomina del Perito.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda

2. Statuto di Alfa e di Newco. 3. Compagine sociale e organo amministrativo di Alfa e di Newco. 4. Brochure e documentazione di presentazione di Alfa (prodotti, mercati, competitors ecc.). 5. Bilanci di esercizio e consolidati di Alfa e di tutte le società partecipate oggetto di conferimento, corredati dalle relazioni delle società di revisione e/o dell’organo di controllo. 6. Situazione patrimoniale del ramo oggetto di conferimento alla data di riferimento; tale situazione dovrà essere sottoposta a controllo contabile al fine di accertarne la riconciliazione con la situazione patrimoniale risultante da un bilancio di verifica che sintetizza i saldi dei conti alla stessa data. 7. Elenco analitico, valore relativo e minimale descrizione delle singole categorie di elementi patrimoniali (hardware, software di proprietà, software in licenza, automezzi, telefoni, mobili e arredi, passività varie, ratei e risconti ecc.) rappresentati nella situazione patrimoniale di conferimento. Il livello di dettaglio deve essere per “posizione nominativa” (senza i movimenti intervenuti) fino al singolo bene o diritto di credito od obbligazione che compone il saldo indicato nella situazione patrimoniale di conferimento; tali elenchi dovranno essere allegati alla relazione. 8. Valore corrente del magazzino (se a FIFO e, se il FIFO approssima il valore corrente, può essere sufficiente il valore contabile). 9. Valore lordo contabile, fondo ammortamento, valore corrente, vita utile residua, degli elementi patrimoniali significativi trasferiti (per esempio, la sede). 10. Documentazione attestante il valore corrente degli elementi patrimoniali di cui al punto precedente (perizie immobiliari, perizie tecniche ecc.). 11. Indicazione di eventuali contratti di leasing finanziario trasferiti. 12. Indicazione di eventuali contratti di strumenti derivati trasferiti. 13. Elenco nominativo dei rapporti di lavoro dipendente che muovono verso la Newco; loro classificazione per categorie: addetti amministrativi, addetti commerciali, addetti servizi generali ecc. 14. Elenco delle autorizzazioni amministrative, dei contratti e degli altri beni trasferiti non risultanti dalla situazione patrimoniale di conferimento. 15. Prospetto con l’indicazione, per ciascuna partecipazione conferita, delle seguenti informazioni: data acquisto, percentuale di possesso, attività svolta, valore di carico, valore del patrimonio netto, spiegazione della differenza tra valore di carico e patrimonio netto, ultimo risultato di esercizio, pre-consuntivo 2005, eventuali prospettive gestionali rilevanti, eventuali recenti perizie di valutazione effettuate per le partecipate. 16. Chiarimenti in merito al trattamento contabile (a valori contabili o correnti) e al profilo fiscale dell’operazione. 17. Piano triennale della società conferente e del ramo oggetto di conferimento; piano triennale delle principali partecipate; budget delle altre partecipate. 18. Estratto del verbale delle riunioni del CdA in cui sono stati approvati i piani e i budget.

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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19. Indicazioni di possibili società comparabili quotate, anche sui mercati internazionali, ai fini dell’applicazione del metodo dei multipli e ai fini della determinazione del coefficiente Beta; se esistenti e note, indicazione di recenti transazioni intervenute sul mercato dalle quali desumere i multipli applicati. 20. In ogni caso, lo scrivente perito si riserva di: i) integrare la documentazione indicata nell’elenco; ii) richiedere colloqui con il management; iii) effettuare un accesso presso la società conferente.

Senza bisogno di approfondire ulteriormente, un punto fermo deve essere evidenziato: i business plan aziendali – comprensivi della visione aziendale, delle scelte strategiche pianificate, delle azioni programmate e delle previsioni reddituali, patrimoniali e finanziarie – sono un elemento centrale della base informativa, talché è sempre opportuno vagliare con attenzione la ragionevolezza e la sostenibilità dei piani aziendali (amplius, Corbella et al., 2014). Tra l’altro, la centralità dei business plan trova conferma nel fatto che le informazioni in essi contenute vanno anche a influenzare la configurazione di valore oggetto di stima. In particolare: ▪▪ se i piani accolgono esclusivamente previsioni che rappresentano lo sviluppo di iniziative radicate in azioni passate o, comunque, se non accolgono gli effetti di nuovi progetti – esprimendo profili correnti di performance, consistenza patrimoniale e rischio, a prescindere da miglioramenti potenziali ancora da attuare –, il valore che ne discende è di norma qualificato come valore as is; diversamente, tale qualifica non può essere attribuita in assenza delle condizioni indicate; ▪▪ se i piani accolgono esclusivamente previsioni riconducibili all’entità oggetto di stima, a prescindere dalle sinergie che una acquisizione pianificata potrebbe generare, il valore che Valutazione Stand Alone Prone discende è di norma qualificato come valore spettiva che stima l’oggetto della valutazione (azienda o un suo sotstand alone; diversamente, se i piani accolgono tosistema) in ipotesi di autonomia (con differente gradazione) gli effetti delle sinergie, di gestione e, quindi, a prescinil valore che ne discende va ricondotto a una diffe- dere dai possibili effetti dell’interente configurazione di valore. grazione con altre aziende. In ogni caso, è indiscutibile il fatto che “La previsione è il cuore dell’analisi fondamentale e l’analisi pro-forma [cfr. infra] è il cuore delle previsioni” (Penman, 2001). Per concludere, giova ribadire che una base informativa accurata, ampia e approfondita è presupposto ineludibile per poter sviluppare un processo valutativo di alta qualità e per poter pervenire a risultati affidabili e dimostrabili; ciò in quanto è la base raccolta che consente la “conversione” di dati/informazioni in input del processo valutativo, il tutto previo sviluppo dell’analisi fondamentale di seguito commentata. Scrivono L. Guatri e M. Bini (Guatri e Bini, 2005, pp. 82 e 84) in merito all’analisi fondamentale: L’analisi fondamentale è il processo che organizza tutte le informazioni (previamente raccolte nelle basi informative e nel piano), le seleziona, le controlla, le elabora, le interpreta, ne compone le (eventuali) contraddizioni, ne giudica

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda l’affidabilità; le traduce in strumenti anche formali idonei ai fini della proiezione dei flussi (reddituali e finanziari) attesi. Per quanto efficacemente esposto, quindi, l’analisi fondamentale: 1. prende le mosse dalla base informativa; 2. comporta le opportune elaborazioni dei dati/informazioni, iii) postula la formulazione di giudizi in merito alle informazioni reperite e all’esito delle elaborazioni effettuate. Le attività che danno tipicamente contenuto all’analisi fondamentale sono le seguenti (amplius, Guatri e Bini, 2005, p. 84 ss.): ▪▪ l’analisi correttiva dei flussi contabili, che comporta: la normalizzazione dei risultati consuntivi (eliminazione/redistribuzione di componenti straordinarie, neutralizzazione delle politiche di bilancio ecc.), l’allineamento dei principi contabili e la neutralizzazione degli effetti distorsivi dell’inflazione; ▪▪ l’analisi patrimoniale, che comporta: la revisione e correzione dei valori contabili degli elementi patrimoniali, la stima a valori correnti delle attività e delle passività, la stima degli intangibili specifici (dotati o privi di evidenza contabile); ▪▪ l’integrazione economica dei risultati contabili, che comporta: l’apprezzamento del valore generato dalla creazione o distruzione di intangibili specifici e il calcolo delle misure di performance Analisi di sensitività  Me­­ todologia utilizzata per economica; ▪▪ l’analisi della ragionevolezza e sostenibilità nonché della quantificare gli effetti sui risultati forniti dall’applisensitività dei piani, che comporta: l’analisi dei limiti e cazione di un metodo di delle condizioni sottesi alla fattibilità dei piani, l’indivi- valutazione, indotti da una duazione e la verifica delle assunzioni, la verifica della modifica di uno o più paracapacità di implementazione, l’analisi di sensitività metri critici impiegati. nonché l’analisi delle eventuali alternative; ▪▪ l’analisi pro-forma, che comporta: l’analisi dei prospetti contabili storici; la proiezione dei prospetti contabili, l’analisi comparativa (nel tempo e nello spazio); ▪▪ l’analisi dei tassi, che comporta: l’analisi e l’aggiustamento dei coefficienti Beta; l’analisi e l’aggiustamento del premio per il rischio di mercato; l’analisi del country risk premium; la verifica della coerenza tra flussi e tassi. A evidenza, lo sviluppo rigoroso e approfondito delle analisi indicate − condotte muovendo dalla base informativa a disposizione − crea un fondamento robusto nonché “radicato nei fatti e nei numeri” a cui ancorare la stima ricercata; siffatte analisi agevolano quindi quel processo di ricerca e di “cattura” delle leve del valore e delle grandezze determinanti in quanto esso può beneficiare di tutta la conoscenza generata “nel durante” della raccolta della base informativa e della conduzione dell’analisi fondamentale.

1.5 INCERTEZZA ED ERRORI NELLE VALUTAZIONI Fermo restando il “paradigma valutativo” tracciato nei precedenti paragrafi, è ora opportuno formulare alcune riflessioni in merito alla incertezza che è intrinseca in ogni stima di capitale economico e che, come si vedrà tra breve, può assumere “sfaccettature” diverse, tutte in grado di influenzare il risultato del processo valutativo.

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Come noto, l’incertezza è carattere connaturato al calcolo economico di azienda e discende dalla necessità di effettuare previsioni in relazione alla probabilità di verificazione di un evento futuro: “Incertezza significa che possono succedere più cose di quante in realtà ne succederanno” [Brealey, Myers, 1993, p. 210]. L’incertezza – congiuntamente ad altri caratteri – comporta la conseguenza che il calcolo economico necessariamente sconti la presenza di valori soggettivi ovvero valori che portano a instaurare una relazione di dipendenza tra la misura ricercata e il soggetto preposto al processo di misurazione (Corbella et al., 2014). Ciò premesso, le stime di capitale economico si caratterizzano per la rilevante incertezza sottesa alla necessità di stimare flussi e rischi “attesi” lungo un (pure incerto) orizzonte temporale e, quindi, di dover anticipare le dinamiche future d’impresa e di ambiente. Un condivisibile approccio riconduce l’incertezza, che è parte integrante delle stime di capitale economico, a tre categorie (Damodaran, 2010, p. 5): ▪▪ l’incertezza della stima, riconducibile alla fase di scelta dei metodi di stima (tra le numerose alternative disponibili), alle possibilità alternative di utilizzo delle limitate informazioni “grezze” che devono essere convertite in input del modello valutativo, alla selezione dei risultati più significativi; il tutto comporta la conseguenza che imprecisioni ed errori − commessi in ragione della sottostante incertezza – possono inficiare i risultati della stima; ▪▪ l’incertezza firm-specific, riconducibile agli scostamenti che si possono manifestare tra le previsioni formulate in merito alla dinamica aziendale (lato sensu: previsioni di posizionamento competitivo, di risultati economico finanziari, di rischi, di tassi di crescita ecc.) e quanto di fatto si viene concretamente a verificare; ▪▪ l’incertezza macroeconomica, riconducibile agli scostamenti che si possono manifestare tra le aspettative di evoluzione del contesto economico (a livello di tassi di sviluppo, tassi di inflazione, tassi di interesse, tassi di cambio, andamento generale dell’economia ecc.) e quanto di fatto, in modo imprevedibile, si viene concretamente a verificare. Nel quadro delineato, il presente paragrafo è volto ad approfondire la prima categoria di incertezza, rinviando l’analisi delle altre ai capitoli specificamente dedicati alla trattazione di flussi e tassi che danno contenuto agli algoritmi valutativi e che si pongono alla radice del valore aziendale. Per contro, l’incertezza delle stime, qui in esame, è destinata a tradursi in possibili “errori” a cui risulta sempre esposto il processo valutativo, e ciò a prescindere dalla configurazione di valore assunta a riferimento, dall’approccio adottato (asset side o equity side) e dal metodo di stima applicato. Tali errori, laddove si dovessero verificare, giocoforza sono poi destinati a riflettersi in una alterazione del risultato della stima ricercata. Stante il perimetro dell’analisi ora definito, a evidenza non è possibile predisporre un elenco esaustivo delle possibili carenze che possono condizionare il risultato di una stima a causa della scelta di metodi inadeguati rispetto alla realtà oggetto di valutazione oppure a causa di un utilizzo distorto delle informazioni disponibili, sì da inficiare gli input immessi nel modello valutativo. Infatti, anche a voler prescindere dagli errori “materiali” che non sono riconducibili all’incertezza (per esempio, l’errata applicazione di una formula), l’elenco risulterebbe comunque esteso e non delimitabile. In questo quadro, soccorre l’analisi condotta da alcuni autorevoli studiosi in materia di valutazioni d’azienda (Guatri, 2006; Ruback, 2004). Tali autori, ancorando la trattazione alle analisi empiriche e all’esperienza personale, hanno prospettato un’ampia casistica di situazioni rappresentative dei più plausibili errori

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda che si possono commettere in sede di processo valutativo. Tale casistica è di seguito riportata per sintesi. ▪▪ Gli errori di approssimazione − Gli errori di approssimazione discendono dal presupposto che i risultati delle stime di valore economico sono, per loro intrinseca natura, approssimati. Ed è per tale motivo che i risultati delle stime sono spesso ricondotti alla definizione di un range di valori e non a un valore puntuale. In presenza di un range, l’approssimazione deve essere apprezzata e (più o meno) tollerata in funzione delle finalità della stima e dell’accuratezza richiesta in funzione della finalità: si può infatti configurare un errore di approssimazione là dove il range non è definito in modo sufficientemente scrupoloso in presenza di stime che invece impongono la massima accuratezza. Per verso opposto, in presenza di stime puntuali, è errato “rivestire” di una supposta esattezza il risultato ottenuto, lasciando presumere la univocità di un valore che, invece, è comunque giocoforza approssimato. ▪▪ Gli errori di metodo (profilo teorico) − Gli errori di metodo, considerati nel loro profilo teorico, sono riconducibili alle false convinzioni che nel tempo hanno caratterizzato gli studi e la prassi delle valutazioni d’azienda. Alcuni esempi: a) la rilevanza attribuita al metodo patrimoniale di stima, in assenza di un apprezzamento dei risultati attesi; b) la supposta superiorità assoluta del metodo finanziario rispetto al metodo reddituale, e viceversa, a prescindere da un apprezzamento che, invece, deve essere sviluppato caso per caso; c) la mancata consapevolezza dei fattori di debolezza intrinseci nel metodo dei multipli, che ha spesso condotto a un loro utilizzo “semplicistico”. ▪▪ Gli errori nelle scelte finali del processo valutativo − Gli errori in esame, a rigore, sono riconducibili agli errori di metodo; tuttavia, la loro rilevanza è tale da meritare autonoma e separata attenzione. Essi possono trovare manifestazione nei casi di stime effettuate mediante applicazione di più metodi, laddove, al termine del processo valutativo, si rende necessario fare sintesi dei risultati ottenuti tramite definizione di un valore o di un intervallo di valori finale. Le alternative sono numerose e possono essere ricondotte ai seguenti quesiti (Guatri, 2006, p. 478): “Come si può procedere? Con una media semplice o ponderata? E tutti i valori calcolati devono essere immessi nella media? Anche quelli che sembrano smentirsi vicendevolmente? Ha senso una media di valori lontani l’uno dall’altro? Esistono altre modalità valide (e dimostrabili) per comporre la sintesi? Su queste domande, che possono essere all’origine di gravi errori di metodo, si gioca in buona parte la correttezza della scelta finale”. In ogni caso, è errato attribuire al calcolo di un “valore medio” una sorta di potere taumaturgico sempre in grado di ricondurre a un unicum risultati talvolta in contrasto tra loro o, comunque, fortemente divergenti. ▪▪ Gli errori di metodo (profilo applicativo) e gli errori negli input − Gli errori di metodo, considerati nel loro profilo applicativo, originano dalle scelte concrete effettuate nello sviluppo del metodo selezionato e, spesso, sono la risultante delle carenze e dell’impreparazione dei soggetti che effettuano la valutazione. Gli errori negli input, invece, sono legati ai dati e alle informazioni immessi nelle formule valutative e riguardano qualsiasi variabile e parametro che alimenta un definito algoritmo di stima e che viene quantificato in modo errato rispetto alla base informativa a disposizione; l’errore di input è quindi riconducibile al processo di conversione del dato/informazione nell’input valutativo. Spesso è sottile la distinzione

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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tra gli errori applicativi di metodo e gli errori di input, dal che la decisione di trattarli congiuntamente. Resta peraltro valida una indiscutibile regola generale: la limitata preparazione del perito e la povertà degli input di una valutazione non possono essere occultate e mascherate dalla complessità e sofisticazione del metodo di valutazione impiegato. Di seguito si riportano alcuni esempi di errori classificabili nell’ultima categoria analizzata. ▪▪ La stima del valore finale nei metodi basati su flussi analitici di risultato [cfr. infra Capitolo 7] − Scrive Ruback: “Il valore finale è la fonte dei peggiori errori di valutazione”. Tipici errori sono riconducibili alla scelta di: a) assumere a riferimento in modo del tutto acritico, quale flusso da proiettare all’infinito, il flusso di risultato dell’ultimo anno di previsione analitica; b) incorporare nel flusso posto alla base del valore finale stime di investimenti o disinvestimenti in capitale fisso e/o circolante prive di fondamento in una prospettiva “a regime” e “in perpetuo”; c) prevedere tassi di crescita incompatibili con la crescita del sistema economico, con la strategia aziendale, con gli investimenti stimati ecc.; d) proiettare all’infinito benefici fiscali, per esempio originati da perdite pregresse, destinati ad esaurirsi nel tempo. ▪▪ La determinazione dei premi di controllo − Tipici errori sono riconducibili alla scelta di: a) all’atto di una acquisizione, incorporare nei flussi di risultato gli effetti dei migliora- Premio di controllo Maggiorazione, menti di performance e delle sinergie post espressa in termini assoluti o peracquisizione per poi applicare premi di controllo centuali, che riflette il più elevato valore pro-quota di un pacchetto che, pure, incorporano i medesimi effetti, così azionario di controllo di un’azienda, generando una duplicazione nel risultato della rispetto a quello di un pacchetto di stima; b) utilizzare acriticamente multipli di minoranza. transazioni comparabili trascurando il fatto che spesso incorporano premi di controllo tali da renderli sovrastimati e sensibilmente più elevati dei corrispondenti multipli desunti da società comparabili quotate. ▪▪ Il calcolo dei multipli di mercato − Tipici errori sono riconducibili alla scelta di: a) considerare omogenee e quindi comparabili società che, pur attive nel medesimo business, di fatto sono sensibilmente differenti in relazione a uno o più profili (la dimensione, la strategia adottata, la politica di investimento ecc.); b) applicare multipli incoerenti e poco significativi in relazione alla realtà oggetto di valutazione. ▪▪ La stima dei tassi − Tipici errori sono riconducibili alla scelta di: a) trascurare la fondamentale esigenza di coerenza tra tassi e flussi, e ciò con riguardo al profilo fiscale (lordi versus netti), all’inflazione (nominali versus reali), all’approccio impiegato (asset side versus equity side); b) utilizzare i valori contabili, in luogo dei valori correnti, nella stima dell’equity e della posizione finanziaria netta strumentale alla ponderazione del costo del capitale proprio e del capitale di debito; c) come nel caso dei multipli poc’anzi richiamato, desumere il coefficiente Beta da società che, pur attive nel medesimo business, di fatto non sono comparabili. Alla luce di quanto esposto, sia consentito concludere con una condivisibile riflessione di Ruback (Ruback, 2004): “Infine, formulo un invito … rivolto ai giovani neolaureati e agli studenti… Riguarda l’attaccarsi al foglio di excel e smanettare i numeri.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda Sono modalità di lavoro ormai automatiche. Io sono un grande sostenitore del calcolo, ma il calcolo in sé non può mai rimpiazzare l’intelligenza”.

Riepilogo Il processo valutativo deve partire dalla chiara esplicitazione della finalità della stima e del ruolo svolto dall’esperto. Le finalità possono essere varie ma in ogni caso il valutatore deve superare le informazioni di bilancio e muoversi in un nuovo territorio alla ricerca del valore economico del capitale. La stima del capitale economico di un’azienda può esser fatta essenzialmente per rispondere alla domanda di chi ha la proprietà dell’azienda ogni qual volta ne muta l’assetto oppure per analisi di valore o per la verifica di congruità dei valori di bilancio o, infine, per rispondere ad adempimenti normativi, spesso di carattere fiscale. La stima del valore economico di un’azienda non può esaurirsi nell’applicazione di una “formula valutativa”, ponendo l’enfasi dell’analisi sul calcolo e sullo sviluppo dell’algoritmo matematico e distogliendo l’attenzione dalla necessaria conoscenza della realtà oggetto di valutazione e dalla qualità degli input richiesti dal modello valutativo. La stima del valore economico deve invece essere la risultante di un articolato “processo di valutazione” che riconduce a un sistema unitario, logico e coerente la sequenza “input – modelli/metodi – risultati”. Il “processo di valutazione” prende le mosse con la definizione della “configurazione di valore” ricercata, che dipende dalle finalità della stima e influenza le scelte tecniche della stessa. Si distinguono le seguenti configurazioni di valore per le aziende: a. valore di mercato, che è il prezzo cui l’azienda potrebbe essere negoziata sul mercato, tra generici partecipanti a esso; b. valore d’investimento, che è il massimo prezzo che uno specifico soggetto sarebbe disposto a pagare in funzione dei benefici da esso ritraibili; c. valore negoziale equitativo, che è il prezzo più probabile in una specifica negoziazione; d. valore convenzionale, che comprende le configurazioni definite ad hoc da norme, contratti ecc.; e. valore di smobilizzo, che è il prezzo realizzabile in caso di liquidazione dell’azienda; f. valore intrinseco (ossia il valore economico del capitale), che è un valore generale dipendente dai benefici futuri attesi dell’azienda. Il processo richiede poi, dal punto metodologico, la scelta dell’approccio e del metodo di valutazione. L’approccio può essere equity side, se si valuta direttamente il patrimonio netto sulla base di grandezze nette riferite agli azionisti, oppure asset side, se si valuta dapprima il capitale investito netto dell’impresa e si perviene poi al valore del patrimonio netto sottraendo la posizione finanziaria netta. I metodi di valutazione possono essere classificati in tre categorie: a. metodi basati sull’attualizzazione dei risultati attesi, che sono i più razionali (metodi finanziari, reddituali, misti); b. metodi basati sui multipli di mercato, che sfruttano le informazioni sui prezzi fatti (metodi delle società e delle transazioni comparabili); c. metodi basati sul costo, che comprendono essenzialmente i metodi patrimoniali (i quali pervengono al valore di un’azienda solo ove considerino anche gli intangible).

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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La fase del processo posta a monte dello sviluppo delle formule valutative è di vitale importanza nella determinazione della qualità dell’output finale; essa postula le seguenti attività: a. la predisposizione di un’adeguata base informativa; b. la c.d. Analisi fondamentale. Tali attività sono cruciali perché consentono una progressiva “maturazione della conoscenza” necessaria per effettuare la valutazione in merito alle caratteristiche della realtà sottoposta a stima e alle “leve del valore” che la connotano, così consentendo di: a. selezionare i metodi più idonei a “catturare” quelle leve; b. dare “piena espressione”, nella formula valutativa, alle grandezze economico-finanziarie che rappresentano i “driver del valore”. Le stime di capitale economico si caratterizzano per la rilevante incertezza sottesa alla necessità di stimare flussi e rischi “attesi” lungo un incerto orizzonte temporale e, quindi, di dover anticipare le dinamiche future d’impresa e di ambiente. L’incertezza è quindi parte integrante delle stime in esame e, in tale prospettiva, assume rilevanza (anche) l’incertezza riconducibile alla fase di scelta dei metodi di stima, alle possibilità alternative di utilizzo delle limitate informazioni “grezze” che devono essere convertite in input del modello valutativo, alla selezione dei risultati più significativi; il tutto comporta la conseguenza che errori commessi in ragione della sottostante incertezza possono inficiare i risultati della stima.

Accertamento dell’apprendimento Domande

aperte

1. Quali sono le principali finalità di una valutazione di azienda? E quali quelle di singoli beni? 2. Come si differenzia l’approccio del valutatore rispetto a quelli del cfo e dell’analista finanziario? 3. Qual è la differenza tra valore economico del capitale, valore di mercato e valore d’investimento? 4. Qual è la configurazione di valore da ricercare qualora si voglia comprendere il massimo prezzo che si è disposti a pagare per acquisire un’azienda? 5. Cosa distingue gli approcci asset side ed equity side alla valutazione d’azienda? Qual è l’effetto dei due approcci sul valore finale del capitale di rischio dell’impresa? 6. Quali sono le tipologie di metodi con cui le aziende possono essere valutate? 7. Cosa accomuna e cosa distingue i metodi finanziari da quelli reddituali? 8. Perché le stime di capitale economico rendono necessario un articolato processo di valutazione? 9. Quali sono le tipiche attività che danno contenuto all’analisi fondamentale? 10. Quali sono le categorie di errori che possono inficiare i risultati di una stima?

Domande

chiuse

A. In quale delle seguenti finalità rientra la stima del capitale economico ai fini della definizione del valore di recesso di un socio: 1. modifiche dell’assetto proprietario □ 2. analisi del valore □

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda 3. stima dei valori di bilancio □ 4. valutazioni di carattere esclusivamente legale □ B. Quale tra le seguenti non è una condizione oggettiva atta a spiegare la differenza tra valore e prezzo: 1. modifica del perimetro valutativo □ 2. mercato del venditore □ 3. forma di pagamento dilazionata □ 4. sinergie del compratore □ C. Quale tra le seguenti combinazioni riflette l’approccio del valutatore? 1. finalità: capitale di bilancio; informativa: esterna; prospettiva: storica □ 2. finalità: capitale economico; informativa: interna; prospettiva: prospettica □ 3. finalità: capitale di liquidazione; informativa: esterna; prospettiva: prospettica □ 4. finalità: capitale di gestione; informativa: interna; prospettiva: storica □ D. Il valore al quale l’azienda in continuità può essere venduta sul mercato in un dato periodo, previa un’adeguata esposizione al mercato è espresso dal: 1. valore economico del capitale □ 2. valore d’investimento □ 3. valore di mercato □ E. L’approccio asset side alla valutazione d’azienda comporta che la valutazione sia condotta: 1. assumendo che l’azienda non abbia debiti finanziari □ 2. assumendo che l’azienda abbia solo investimenti operativi □ 3. valutando in fasi distinte gli investimenti e la posizione finanziaria netta □ F. Il metodo patrimoniale per la valutazione del capitale aziendale: 1. può condurre, in specifiche situazioni, al valore economico dell’azienda □ 2. non può condurre, in alcun caso, al valore economico dell’azienda □ 3. conduce sempre alla stima del valore economico dell’azienda □ G. Quale tra le seguenti circostanze non configura un errore di metodo? 1. ritenere i metodi finanziari superiori ai metodi reddituali □ 2. ritenere i metodi patrimoniali idonei a stimare il valore di un’azienda, a prescindere dai flussi di risultato generati □ 3. selezionare di volta in volta i metodi valutativi idonei a catturare le leve del valore □ H. Quali tipi di documenti possono costituire la base informativa? 1. solo documenti ufficiali predisposti da terzi □ 2. solo documenti ufficiali predisposti internamente □ 3. qualsiasi tipo di fonte informativa ufficiale utile ai fini del processo valutativo, purché affidabile □ I. Quale tra le seguenti scelte configura un tipico errore di stima del valore finale? 1. utilizzare una configurazione di tasso coerente con i flussi di risultato da attualizzare □ 2. proiettare acriticamente il flusso di risultato dell’ultimo anno di piano □ 3. attualizzare un flusso di risultato atteso a regime stabilizzato e sostenibile nel tempo □ J. Ferma restando la rilevanza di una base informativa completa, il valore economico del capitale dipende principalmente? 1. dai risultati storici degli ultimi cinque anni □

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Capitolo 1 ▬ Il paradigma valutativo

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□ □

2. dai risultati attesi 3. dalla fase congiunturale del mercato

Esercizi

Si determinino le seguenti configurazioni di valore della società quotata Alfa, operante nel settore della componentistica per motori diesel: ▪▪ valore di liquidazione; ▪▪ valore intrinseco; ▪▪ valore di mercato; ▪▪ valore di investimento; ▪▪ valore negoziale equitativo. Lo stato patrimoniale dell’azienda Alfa viene di seguito riportato, confrontando i valori contabili con i valori correnti di realizzo e di estinzione dei singoli elementi patrimoniali stimati da un esperto all’uopo incaricato: Attivo

Passivo Valore contabile

Valore di realizzo

Valore contabile

Valore di estinzione

Marchio

100

220

Patrimonio netto

200

250

Macchinari

200

180

Debiti commerciali

300

300

Crediti

400

350

Debiti finanziari

200

200

Disponibilità liquide 100

100

Ratei passivi

100

100

800

850

TOTALE

800

850

Il management dell’azienda Alfa ha conferito un incarico a un esperto valutatore indipendente al fine di stimare il valore al quale l’intero capitale della società potrebbe essere ceduto, nelle attuali condizioni gestionali, a un generico operatore del mercato. L’esperto stima tale valore in 300. È notizia di pochi giorni fa che alcuni governi europei, per ragioni ambientali, hanno manifestato l’impegno a ridurre la circolazione dei motori diesel, per favorire l’utilizzo dei motori elettrici. In seguito a tale notizia, pur non essendo stata introdotta alcuna normativa volta a ridurre la circolazione dei motori diesel e pur non essendo tale prospettiva di concreto impatto sui business aziendali, il mercato esprime prezzi per le società quotate del settore di circa il 10% inferiori rispetto al valore fondamentale. Una società del settore, Beta, attiva nel settore della componentistica per motori benzina, vorrebbe utilizzare la liquidità disponibile per acquisire aziende con core-business simile o complementare, al fine di perseguire strategie di tipo operativo incentrate sull’aumento delle quote di mercato nazionali ed estere, per incrementare le vendite e generare sinergie di ricavo. Il management della Beta ritiene che l’acquisto della società Alfa porterebbe a un aumento delle vendite e della marginalità per l’intero gruppo post-acquisizione. Sulla base di un’analisi costi-benefici, a tali sinergie, specifiche dell’aggregazione tra Alfa e Beta, il management attribuisce un valore di 100.

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Parte I ▬ Introduzione alla valutazione d’azienda La società Beta, fortemente interessata all’acquisizione, intavola una trattativa con i principali azionisti di Alfa (detentori del 50% delle azioni) al fine di acquistare un pacchetto di azioni tale per cui successivamente vi sia l’obbligo di proporre un’Offerta Pubblica di Acquisto. Il management di Beta, facendo leva nel corso della trattativa anche sui rumors di mercato sull’evoluzione regolatoria, riesce a ottenere un accordo per il trasferimento del 50% di Alfa con un premio sulle quotazioni di mercato del 20%, che tiene conto del premio di controllo e di parte delle sinergie estraibili, negozialmente riconosciuto ai venditori. La società Beta deve quindi promuovere un’Offerta Pubblica di Acquisto sul restante 50%; si promuove l’Offerta a un prezzo superiore dell’1% rispetto al prezzo di acquisizione della quota di maggioranza. All’ Offerta Pubblica di Acquisto aderisce il 100% degli azionisti di minoranza.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Avallone F., Quagli A. (2014) Come affrontare l’incertezza nella determinazione dei flussi da attualizzare. In Marasca S. (a cura di), I principali fattori di incertezza nella valutazione d’azienda, Giuffrè, Milano. Brealey R.A., Myers S.C. (1993) Principi di finanza aziendale, 2a ed., McGrawHill, Milano. Caramiello C. (1993) La valutazione dell’azienda. Prime riflessioni introduttive, Giuffrè, Milano. Copeland T., Koller T., Murrin J. (2005) Valuation. Measuring and managing value of companies, John Wiley & Son, New York. Corbella S., Florio C., Incollingo A., Micucci A. (2014) Come affrontare l’incertezza nel business planning. In Marasca S. (a cura di) I principali fattori di incertezza nella valutazione d’azienda, Giuffrè, Milano. Damodaran A. (2010) Valutazione delle aziende, Apogeo, Milano. Guatri L. (2006) 50 anni di valutazioni aziendali, Università Bocconi Editore, Milano. Guatri L., Bini M. (2009) Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano. IVSC (2017) International Valuation Standards, IVSC, London. Modigliani F., Miller M.H. (1958) The cost of capital, corporation finance and the theory of investment, American Economic Review. OIV (2015) Principi italiani di valutazione, Egea, Milano. Olivotto L. (1983) La valutazione economica dell’impresa, Cedam, Padova. Paganelli O. (1990) Valutazione delle aziende, Giappichelli, Torino. Penman S.H. (2001) Financial Statement Analysis, McGraw-Hill, New York. Ruback R.S. (2004) Know your worth: critical valuation errors to avoid, Lecture Text, Harvard Business School. Zanda G., Lacchini M., Onesti T. (2013) La valutazione delle aziende, Giappichelli, Torino. Zappa G. (1950) Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano.

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