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La tragedia di Caldes

li sulle montagne trentine. Insomma, uno spettacolo al quale non si è sottratto nessuno o quasi. E potremmo continuare a raccontare del rumore delle parole spese, spesso sprecate, nell’ultimo mese.

Confessiamo di essere in grande imbarazzo a scrivere sul tema, proprio perché qualsiasi cosa venga scritta si presta a considerazioni di versi opposti, anche di toni duri. Si può dire, ad esempio, che Andrea (il ragazzo aggredito dall’orso) è stato sfortunato a capitare in bocca all’orso mentre correva su una strada forestale? Certamente sì, azzardiamo. Però forse no, perché i tifosi dell’anti orso contesteranno che se il Parco Adamello Brenta non avesse introdotto gli animali sloveni, se non si fosse fatto sfuggire di mano la situazione lasciando che gli orsi aumentassero a dismisura, quel tragico incidente non sarebbe accaduto.

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Pochi giorni dopo l’incidente abbiamo sentito una teoria (stravagante?) da bar: “Se invece di capitare in bocca ad un orso quel ragazzo fosse stato morso da una vipera e fosse morto, sarebbe successo tutto ‘sto casino?”. Abbiamo consigliato quel signore di evitare di diffondere la sua teoria, perché ci sono momenti in cui è possibile parlare e momenti in cui è meglio stare zitti. L’accusa di cinismo, quando un’intera comunità piange la morte tragica di un ragazzo, è pronta a scattare.

L’orso e il Parco Siamo negli anni Novanta del Novecento, e il Parco naturale Adamello Brenta è stato battezzato da poche stagioni, dopo che la legge Micheli del 1988 ha san- cito la nascita in Trentino di due Enti Parco: l’Adamello Brenta a ovest ed il Paneveggio-Pale di San Martino a est, i quali vanno ad aggiungersi al Parco nazionale dello Stelvio, il cui territorio si estende su due province (Trento e Bolzano) e sulla regione Lombardia.

Non è un inizio facile quello dei Parchi: infatti sono molti fra gli amministratori e gli operatori economici, fra i cacciatori e la gente comune, che temono l’imbavagliamento del territorio, che lanciano l’allarme contro il Parco come museo, che pontificano in favore di un Parco non conservativo ma dinamico (che poi cosa significhi... Slogan!).

Il primo presidente, il carismatico Carlo Eligio Valentini, ha un bello sforzarsi di spiegare che si punta al Parco come volano economico per i paesi e le popolazioni. E per sopire i malumori ci si esercita nell’arte della mediazione, anzi, del compromesso, spesso a ribasso.

Pian piano il Parco diventa un’istituzione accettata.

I suoi dirigenti decidono fra l’altro di inserire nello stemma l’orso, questo pacioccone simpatico, scomparso o quasi.

Sono i primi anni Novanta, e si evidenzia l’esigenza di costruire il primo Piano di Parco, nel quale verrà inserita l’introduzione dell’orso.

La benedizione viene dal professore bavarese Schroder, il quale studia la situazione e consiglia di immetterne un piccolo nucleo.

Per non saper né leggere, né scrivere, l’Ente Parco commissiona un sondaggio per conoscere il livello di gradimento, con un risultato clamoroso: il 70% dei contattati si dichiara favorevo- le all’immissione dell’orso. Poche, pochissime le voci contrarie. C’è, per esempio, chi si pone una domanda: se l’orso è scomparso dalle nostre montagne ci sarà un motivo? La risposta: la montagna oggi è antropizzata in maniera diversa e certamente più impattante del tempo in cui (Ottocento e Novecento) l’orso girava allegramente. Però, lo abbiamo detto, voci rare: voce nel deserto, verrebbe da dire.

Il progetto parte. Tutto inizia con Masun e Kirka, ed è un successone. Poi arrivano Jurka, Daniza e molti altri. Tanti che non si riesce più a dare loro nomi romantici, ma sigle: JJ, M, e via così. Successone, si diceva. Tutti in cerca di Yoghi e Bubu. Chi non ricorda le troupe televisive mandate per i boschi dell’Adamello alla affannosa ricerca dell’orso?

Gli esemplari arrivati dalla Slovenia vengono radiocollarati e monitorati costantemente da pattuglie di forestali. Poi cos’è successo? La storia diventa cronaca.

Il numero è aumentato a dismisura, tanto da cominciare a creare problemi di convivenza con il genere umano e le sue attività. Papillon e gli altri Giugno 2019, malga d’Arnò, territorio di Sella Giudicarie. E’ sera e Raheem Yunus, nigeriano, ventotto anni, pastore dell’allevatore Antonello Ferrari di Breguzzo, si vede piombare addosso l’orso che esce dalla finestra dello stallone e lo sbatte a terra. Forse non voleva aggredirlo, ma se lo è trovato davanti e non ha fatto tanti complimenti. E’ il momento in cui M49 la spara più grossa. Mentre scriviamo queste note Fugatti chiede al ministro Pichetto l’autorizzazione a sopprimere JJ4, mentre gli ambientalisti offrono possibili luoghi che accoglierebbero gli orsi problematici, in Italia e all’estero. Perfino un ex deputato della Lega (Maturi, fra l’altro di origine rendenera) fa sapere di aver avvertito Fugatti già tre anni fa della disponibilità della Romania ad accogliere M49, ma il presidente della Provincia non avrebbe nemmeno preso in considerazione la proposta. Sta venendo avanti l’idea di “deportare” una settantina di orsi. Ma dove portarli? E in definitiva, si risolverebbe la questione sicurezza?

(che il ministro dell’ambiente battezzerà Papillon dopo che riesce a scappare dalla prigione di Castellèr) firma la sua condanna all’ergastolo a causa delle retate fra Chiese e Rendena. In realtà a firmare è un appartenente al genere umano: il presidente della Giunta provinciale Maurizio Fugatti, che, mettendosi contro il Ministero, dà il via libera alla cattura di M49, passato da “animale problematico dannoso” (perché assale il bestiame) ad “animale problematico pericoloso”, perché può assalire pure l’uomo. Annus horribilis il 2019. pascoli, malghe, stalle, cascine di montagna. L’orso irrompe dappertutto, e uccide manze, vitelli, capre, pecore, maiali, asini. Diventa il nemico nume+o uno degli allevatori, che minacciano di ritirarsi in fondovalle abbandonando le malghe. Dopo le fughe, M49 non esce più dal Castellèr, dove arrivano altri a fargli compagnia, si fa per dire. Nel frattempo qualche aggressione fa suonare la grancassa delle polemiche. Il primo a farsi beccare da mamma orsa era stato giudicariese, anzi pinzolero. Sono seguiti altri.

Il Parco (Giunta di Walter Ferrazza, anno 2022) cerca di difendere la sua scelta alleandosi addirittura (in maniera spericolata, affermano i detrattori, coraggiosa per gli spiriti laici) con la Lav, Lega antivivisezione, con l’obiettivo di fare informazione in funzione della convivenza con i grandi carnivori. Però la marea sale, e (come accade spesso in politica) si gioca a chi

Frammenti di storia Anna Finocchi e Danilo Mussi hanno pubblicato “Sulla pelle dell’orso”, un volume che ha il merito di dare molte informazioni sulla presenza dell’orso in Trentino e nelle Giudicarie. Ma anzitutto ci spiega che “il decremento numerico dell’orso nell’Europa occidentale ebbe inizio circa 5.000 anni fa. Si estinse nelle isole britanniche circa mille anni or sono, in Germania orientale nel 1570, nella Baviera nel 1886, sulle Alpi svizzere nel 1904, nelle Alpi austriache nel 1916. Fra il 1937 ed il 1950 ci sono le ultime segnalazioni sul settore francese”. E in Trentino? Nel corso dell’Ottocento l’orso restrinse la sua presenza da tutta la regione al solo Trentino occidentale, delimitando sempre più la sua area ai gruppi dell’Adamello-Presanella e del Brenta, con rari sconfinamenti nelle valli di Ledro, Non e Sole. Peraltro va detto che già nel Seicento nella val di Sole e non solo le autorità della Regola stabilirono taglie per chi ammazzava l’orso e il lupo.

Dire quanti orsi vi fossero è impossibile. E’ difficile stabilire quanti ne siano stati uccisi. Si pensa in due secoli a più di 500 orsi uccisi. L’inventario presente nell’archivio di Guido Boni di Tione parla di 17 orsi uccisi fra il 1912 ed il 1967 nelle Giudicarie. Ci sono da raccontare storie epiche, come quella di Luigi Fantoma, il re della val di Genova, oppure quella del più vicino a noi, il Nene, re della val Daone, l’ultimo ad uccidere un orso, pur avendo un solo braccio.

Javrè - Tn - Via Nazionale 26.