Meta_ Cosa fanzine #1/2023

Carissimi amici/amiche, colleghi/colleghe,
Spero di trovarvi pronti per approdare alla seconda uscita della Fanzine della Meta_Cosa
I tempi ormai sono maturi. Abbiamo metabolizzato il concept progettuale. Lo abbiamo esplicitato e divulgato nel numero zero. Abbiamo cercato nuovi adepti.
Questa seconda tappa ci vedrà protagonisti con una raccolta di contributi. Noi, intrepidi componenti del nucleo originario del progetto, ci cimenteremo nella scrittura/disegno/produzione di una serie di creazioni di nostro piacimento, capaci di interpretare i concetti essenziali insiti nella Meta_Cosa
Testi concettuali, disciplinari, teorici, sovversivi. racconti, storie, vicende, parole, esperienze, situazioni, disegni, schizzi, grafici, piccoli modelli e quanto altro ancora ritenete necessario, costituiranno la silloge eterogenea quanto esplosiva di questo numero. Il numero dei numeri! Programmato per la stampa entro il prossimo sodalizio estivo (20/21 giugno), costituirà una preziosa raccolta di materiale per approntare una mostra e ad una pubblicazione che speriamo possano verificarsi entro la fine del ’23 oppure nel primo semestre del ’24.
Il contributo generosamente offerto da ciascuno di voi, rigorosamente autografo, sarà riprodotto nella Fanzine e diffuso tramite questa, là dove possibile, in forma di tiratura limitata. Esattamente come accaduto per il primo numero con il modello della Meta_Cosa.
La ricezione della vostra produzione (per mail o spedizione tradizionale tramite posta) dovrà pervere entro e non oltre il 10 di maggio.
Speranzoso nella vostra positiva reazione a questo mio invito, vi abbraccio e vi ringrazio per la partecipazione.
VIVA LE UTOPIE!
Community
Massimo Gasperini, Roberto Capocchi, Elena Ferraresi (Archèlab), Alessandro Melis, (Endowed Chair New York Institute of Technology), Giulia Cataldi, Chia-Hua Lee (Royal College of Art), Diego Repetto (AICA Italia), Paolo Bertetti (DISPOC - Università degli Studi di Siena), Benedetta Medas, Enrico Nieri, Piercarlo Odella, Marilena Vita (Board Member AICA International Paris).
Stampa/Print
PressUP (06/2023)
Web
https://www.meta-cosa.com/
https://www.instagram.com/meta_cosa/
L’ORIGINE DELLA META_COSA MASSIMO GASPERINI
mèta- [dal gr. μετά «con, dopo», in composizione μετα- (con i sign. di cui al n. 1 a)].
1. Prefisso di molte parole composte derivate dal greco o formate modernamente (anche nella terminologia lat. scient.), che indica in genere:
a. Mutamento, trasformazione (per es., metamorfosi, metamorfismo, metafonesi, metaplasia, metacromasia, ecc.); trasposizione (metatesi, metastasi); trasferimento (metafora, metempsicosi), e simili.
Editing/Graphic design
http://www.archelab.it/
traduzioni/traslator
https://translate.google.it/?hl=it&tab=TT
b. Partecipazione, affinità, con più precise accezioni nelle diverse discipline; per es. in mineralogia, dove i nomi con meta- (metaclorite, metacinnabarite, ecc.) designano per lo più minerali imparentati con quelli designati dal nome cui il prefisso è aggiunto.
Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o distribuita in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, o memorizzata in un database o sistema di recupero, senza la preventiva autorizzazione scritta degli autori (info@archelab.it). Gli autori saranno a completa disposizione di quanti dovessero essere collegati alle fonti non identificate stampate su questa rivista/fanzine.
No part of this pubblication may be reproduced or distribuct in any form of by ani means, or storedin a databases or retrieval system, without the prior written permisses of the authors (info@archelab.it). The authors will be a complete disposal to whom might be related to the unidentified sources printed in this magazine/fanzine.
c. Successione, posteriorità, sia in senso locale («che vien dietro o dopo, situato posteriormente»), come in alcuni termini di anatomia e zoologia (metacarpo, metatarso, metatalamo, metasoma, metatorace), sia in senso temporale, per indicare un fenomeno che si manifesta in fasi successive (per
còsa s. f. [lat. causa «causa», che ha sostituito il lat. class. res].
1. È il nome più indeterminato e più comprensivo della lingua italiana, col quale si indica, in modo generico, tutto quanto esiste, nella realtà o nell’immaginazione, di concreto o di astratto, di materiale o d’ideale: tutte le c. che esistono nel mondo; la luce rapida Piove di cosa in cosa (Manzoni); le c. corporee, incorporee, visibili, invisibili, temporali, eterne, ecc. Raram. si adopera per esseri animati, tranne che in espressioni come esser cosa, esser tutto cosa di qualcuno, essergli assai legato, e in qualche altro caso: la donna mia ... par che sia una c. venuta Di cielo in terra a miracol mostrare (Dante); entratovi al servizio del padre, il quale era stato tutt’un’altra c. (Manzoni). Talora indica un oggetto determinato, di cui non si sa, non si può o non si vuol dire il nome: che è quella c. lì nell’angolo?; se stai buono ti regalerò una bella cosa (frequente, nell’uso fam., anche con riferimento a persona di sesso femminile [cfr. coso]: ho incontrato stamane la ... cosa ... lì, come si chiama?). Contrapposto a
es., metameria), o un fatto che sia seguente o conseguente a un altro (per es., in medicina, metapneumonico, metasifilide).
In varî rami delle scienze biologiche, al concetto della successione nel tempo si unisce quello di un’evoluzione maturativa, di uno sviluppo più avanzato o più complesso, di una organizzazione superiore, oppure serve a indicare (in correlazione con proto- e meso-) l’ultimo di tre stadî progressivi; così in metanefro, metamielocito, metazoi, metaclamidee, ecc.
d. Infine, per influenza del termine metafisica, erroneamente interpretato come «scienza di ciò che trascende le cose naturali» (mentre il sign. originario è «trattazioni posteriori a quelle circa la natura», gr. τὰ μετὰ τὰ ϕυσικά), il prefisso ha acquisito il valore di trans- ed è stato adottato in età moderna per designare scienze o forme di considerazione teorica, concernenti zone di realtà analoghe a quelle che sono oggetto della scienza al cui nome meta- è premesso, ma giacenti comunque al di là dei loro confini (v. metalinguaggio, metamatematica, metapsichica, metastoria, ecc.).
2. In chimica è usato con sign. diversi, e cioè per indicare:
a. Un composto che sia una forma polimerica o, comunque, più complessa di quella al cui nome si aggiunge: per es., metaldeide, metaproteina.
nome, parola, apparenza e sim., indica l’oggetto nella sua essenza, nella sua sostanza: prima furon le c. e poi i nomi (Galilei); nel tuo discorso ci son troppe parole e poche c.; badare più all’apparenza che alle c. in sé. Come termine della filosofia, cosa, pur nella sua indeterminatezza, indica l’essere singolo concreto, l’oggetto naturale o corporeo percepito attraverso l’esperienza sensibile, per cui il mondo delle cose è spesso contrapposto all’uomo come personalità spirituale o coscienza; in senso più generale, qualsiasi oggetto del pensiero o del giudizio, sia esso reale o fittizio, fisico o mentale, concreto o astratto, sensibile o soprasensibile: significati questi che assumono accezioni più particolari presso singoli filosofi o dottrine filosofiche. La cosa in sé, espressione che nella dottrina kantiana designa la realtà in assoluto, al di là di qualsiasi esperienza possibile, in opposizione alla realtà fenomenica còlta nelle forme dell’intuizione spaziale e temporale e delle categorie.
2. Con sign. più determinato, può indicare:
b. Di due acidi ottenuti dallo stesso ossiacido con quantità differenti di acqua, quello che è meno idrato, come, per es., l’acido metafosforico (HPO3) rispetto all’acido ortofosforico (H3PO4); lo stesso prefisso si conserva nella nomenclatura dei sali derivati da tali acidi.
c. Nei composti organici del benzene, il derivato con due gruppi sostituenti in posizione 1 e 3. Con questo valore, il prefisso (che è spesso usato anche in funzione attributiva, nelle espressioni posizione meta, la posizione 1 e 3, e forma meta, l’isomero sostituito in tale posizione) si abbrevia di solito col simbolo m: così, metaxilene, abbrev. m-xilene, ecc. (nel presente Vocabolario la trattazione dei singoli metaderivati è fatta in genere sotto il nome del composto non sostituito: xilene, ecc.).
d. In alcune voci, è forma abbreviata di metil-; così metallile vale metilallile, metacrilico è sinon. di metilacrilico
sue c. ed è andato ad abitare da solo; quanto serve per i bisogni della vita: troppe c. ci mancano!; beni, averi, proprietà: siamo riusciti a mettere da parte qualche c.; cibi: deve mangiare c. molto sostanziose; sono stufo di mangiare tutti i giorni le stesse c.; vorrei qualche c. da mettere sotto i denti; ecc. In quanto venga in considerazione come possibile oggetto di diritto, equivale a bene in senso giuridico, ma con senso più oggettivo (per cosa s’intende cioè, in genere, una entità giuridicamente rilevante, considerata in sé, staccata e indipendente da un soggetto; bene si riferisce invece a un soggetto, in quanto richiama l’idea d’interesse, di vantaggio, di utilità).
a. Oggetti: riordinare, mettere a posto le proprie c., avere cura delle proprie
c.; c. sacre, gli oggetti che servono direttamente all’esercizio del culto (altari, immagini e suppellettili sacre, ecc.); masserizie: ha preso tutte le
b. Quanto accade: succedono c. che fanno rizzare i capelli; la c. è andata così; è una c. da nulla; sono c. che passano; stando così le cose ...; allora la c. cambia aspetto; pare che sia una c. seria; il bello della c. è questo ...; cose dell’altro mondo, cose da pazzi, strane, incredibili; cose che càpitano ai vivi, le disgrazie, le contrarietà, le disavventure; in due mesi, può nascer di gran cose (Manzoni); da cosa nasce cosa, prov. con cui si esprime il naturale succedersi degli avvenimenti, la consequenzialità di uno dall’altro.
c. Ciò che si fa, azione: fare una c. per volta; sono queste c. da farsi?; arrivare a c. fatte, quando tutto è finito; possono pensare Che noi si faccia c. poco belle (Gozzano); c. fatta capo
novità; sarebbe certo una bella c., un piacere, una soddisfazione; una c. giusta, né poco né troppo; gran brutta c. nascer poveri!; c. grosse, fatti importanti, di grande interesse, e anche guai serî, dissapori: ho da raccontarti c. grosse; pare che ci siano c. grosse, nell’amministrazione; ci sono state c. grosse fra loro; in diritto, c. giudicata (v. giudicato). Più spesso, spec. unito ad agg. indefiniti, acquista valore di neutro: questa c., questo; è poca c., è poco; non è gran c., non è molto; è la stessa c., è lo stesso, non c’è differenza; ogni c., tutto, e così qualche c. (v. anche qualcosa), qualsiasi c., qualunque c., ecc. Con valore neutro è usato spesso anche in funzione prolettica: dimmi una c.: dove sei stato finora?; fate una c.: andate voi direttamente da lui.
5. Preceduto da la quale, funge da neutro del pron. relativo, riferito di solito a quanto è stato detto precedentemente: hai voluto fare di testa tua, la qual c. m’è dispiaciuta (con questo medesimo uso anche: cosa che mi è dispiaciuta; ma più comunem. si dice: e ciò mi è dispiaciuto); così per la qual cosa, perciò.
6. Pronome interrogativo, solo al sing. Unito a che, in frasi interrogative dirette e indirette e in frasi esclamative, col senso del semplice che: che c. desideri?; non capisco che c. pretendi;


ma guarda che c. mi doveva capitare!; non sai che c. sia la miseria. Altrettanto diffuso anche il solo cosa: cosa vuoi da me?; non so cosa pensare; che allegria c’è? cos’hanno di bello, tutti costoro? (Manzoni). Ripetuto, esprime stupore per quanto ci vien detto: cosa cosa? la colpa sarebbe mia?
7. Locuz. particolari: per prima c., innanzi tutto; sopra ogni c., più di tutto; fra l’altre c., oltre al resto; diventare qualche c., salire in fama; contare qualche c., avere importanza; credersi qualche c., attribuirsi importanza; avere qualche c. per la testa, avere preoccupazioni, o, con altro senso, avere un’idea, un progetto in formazione; la c. pubblica, lo stato, il governo (calco del lat. res publica); letter., la somma delle c., la suprema autorità, il potere politico (calco del lat. summa rerum). Ricorre inoltre in formule d’augurio, in complimenti: buone c.!; tante belle cose! Come nome proprio è largamente nota la denominazione di Cosa nostra, assunta da una associazione di famiglie mafiose, sviluppatasi prevalentemente nella Sicilia occidentale, collegate strettamente tra loro e regolate da un proprio organo di coordinamento, la cosiddetta Cupola.

Dim. cosina, cosétta, cosettina, coserèlla o cosarèlla, coserellina; spreg. cosùccia, cosettùccia; pegg. cosàccia.
(Tratto da Enciclopedia Treccani)
Meta_Cosa Composizione terminologica che segna il confine tra illusione e realtà, tra incoscienza e co-scienza, tra le umane debolezze e la consapevolezza dei fenomeni che ci circondano - soprattutto di quelli di cui siamo diretti responsabili - limite da superare per comprendere pienamente i nostri confini e le conseguenze del mutamento della nostra esistenza.

Siamo ad una svolta epocale. Dovremmo essere i primi a dover pensare di essere gli ultimi.
Impera un atteggiamento ‘etnoegoico’. Ci solleviamo dalla responsabilità di affrontare i problemi ambientali pensando che tutto passerà, che si tratti di una crisi temporanea dove l’essere umano avrà la meglio.
Viviamo in un eterno fatalismo.
Meta_Cosa configura una radura, uno spa-
zio ricavato decisamente nel fulcro della crisi civile e ambientale.
PROCESSO CASUALE ORGANICO MARILENA VITA
Una forma astratta è l’inizio di un viaggio, di un sentire soggettivo che veicola emozioni. In questa sua particolare evoluzione la Meta_Cosa ha uno speciale rapporto con il Sacro. Un animale, un uccello, una forma umana, non importa. È certamente una rottura nei confronti della continuità che si nutre di apparenze e di ambiguità. La Meta_Cosa ha una sua forma in divenire, un potere simbolico unificante tra il sé e l’Altro. La sua forma aperta cerca l’interazione comunicatrice e promuove atti di libertà, aspira a divenire piattaforma di principi sani. Si pone come centro attivo di una rete di relazioni inesauribili, tra le quali essa si adatta ad ogni necessità, dando spazio alla condivisione di idee, azioni, esperienze creative e rivoluzionarie.

Ciao Massimo, scegli pure le immagini che vuoi.
Credits: Spandrel & Genoma Blend. Padiglione Italia 2021. La Biennale di Venezia. Fammi sapere se e' quello che ti serve, Ale
ARCHITETTURA, EXAPTATION ED EVOLUZIONE NELL’IMMAGINE ALESSANDRO MELIS
Titolo: "Architettura, Exaptation ed 'Evoluzione nell'Immagine"
Nella danza perpetua di adattamento e creatività, si intrecciano le forze, dando vita a una sinfonia senza fine. Nell'opera fotografica, si manifesta il labirinto dei disegni originali, creature e manga in movimento. Gli xenomorfi di "Alien", le immagini post-cyberpunk di Riccardo Burchielli e le opere di Niehi Tsutuomu come "Blame" emergono come incantesimi attraverso i modelli 3D poi effettivamente costruiti a Venezia. Le linee e i contorni sfocati della elaborazione dell'IA delle fotografie delle due installazioni si fondono in una visione complessa e non intenzionalmente sublime.

La creatività combinatoria si riflette nell'exaptation, in un adattamento multiscalare e multidimensionale guidato dall'intelligenza artificiale. L'architettura dell'exaptation, rappresentata dalle installazioni Spandrel e Genoma del padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2021, si sviluppa nell'universo architettonico espositivo grazie a PNAT, Heliopolis 21, Liam Stumbles e Jumhur Gokchepinar sotto la guida di Telmo Pievani.
L'evoluzione e le connessioni neurali sono intricatamente intrecciate in questa danza intellettuale. L'intelligenza artificiale, come una macchina multidimensionale, si unisce alla natura stessa, aprendo nuove possibilità. L'accettazione dell'intelligenza artificiale come una sinfonia in espansione abbraccia l'essenza della creatività, superando le limitazioni dell'immaginazione.
In questa prospettiva ecologica, ogni agente nella costruzione del mondo si muove in modo interdipendente, di fronte alle crisi ambientali e sociali. L'arte generativa apre le porte a un futuro sostenibile e inclusivo, in cui l'immaginazione è la chiave per affrontare le sfide. La Meta_Cosa è una ulteriore conferma di questo assunto.

“A quadrat is a frame, traditionally square, used in ecology, geography and biology to isolate a standard unit of area for study of the distribution of an item over a large area. Modern quadrats can for example be rectangular, circular, or irregular. The quadrat is suitable for sampling plants, slow-moving animals, and some aquatic organisms. A photo-quadrat is a photographic record of the area framed by a quadrat. It may use a physical frame to indicate the area, or may rely on fixed camera distance and lens field of view to automatically cover the specified area of substrate. Parallel laser pointers mounted on the camera can also be used as scale indicators. The photo is taken perpendicular to the surface, or as close as possible to perpendicular for uneven surfaces.”
(From Wikipedia, the free encyclopedia)
The idea for this little visual experiment came from a very lose interpretation of the quadrat tool applied to the Meta_Cosa concept, but in its negative image. I decided to test the idea of the Meta_Cosa flipping its premises: from monumental to minuscule, from form to counterform. ‘A leaf a gourd a shell a net a bag a sling a sack a bottle a pot a box a container. A holder. A recipient.’
(Ursula K. Le Guin, The Carrier Bag Theory of Fiction)The “meta_thing” becomes a humble meta_container, allowing for space between its boundaries. “Boundary” as Martin Heidegger in Building Dwelling Thinking intends it, with his example of the bridge:
‘To be sure, the bridge is a thing of its own kind; for it gathers the fourfold in such a way that it allows a site for it. But only something that is itself a location can make space for a site. The location is not already there before the bridge is. Before the bridge stands, there are of course many spots along the stream that can be occupied by something. One of them proves to be a location, and does so because of the bridge.
Thus the bridge does not first come to a location to stand in it; rather, a location comes into existence only by virtue of the bridge. The bridge is a thing; it gathers the fourfold, but in such a way that it allows a site

for the fourfold. By this site are determined the localities and ways by which a space is provided for. Only things that are locations in this manner allow for spaces. What the word for space, Raum, Rum, designates is said by its ancient meaning. Raum means a place cleared or freed for settlement and lodging. A space is something that has been made room for, something that-namely within a boundary, Greek peras. A boundary is not that at which something stops but, as the Greeks recognized, the boundary is that from which something begins its presencing.’
After testing the 3d model of the meta_cosa as a photographic frame to contain micro environments, I have settled on a short sequence of photo samples - shot with a macro lens at a fixed focus distance of 4 cm that covers an area of around 3x3 cm² - from the area of Maida Vale, London, where I live. I have selected mini interstitial spaces from the natural environment - cracks, holes, tunnels, fractures, crevices, gaps, splits, breaches - that allow for life to happen within. As life can only happen when space was made for it. No seed can grow without space, and no space can exist without something to contain it. To say it in the words of artist Ian Cheng, ‘A World is something like a gated garden. A World has borders. A World is a container for all the possible stories of itself’. And our story, the story of humans, isn’t any more important than the story of an ant.



PROSSIME CITTÀ. FANTASCIENZA E IMMAGINAZIONE
URBANA: UNA TIPOLOGIA NON ESAUSTIVA
PAOLO BERTETTI
1. Città post-apocalittiche.
L’ identificazione tra città e sviluppo tecnologico sottende gran parte dell’immaginario fantascientifico: utopica o distopica che sia, la Città diventa la rappresentazione tout-court della civiltà moderna. Non stupisce quindi che nelle narrazioni post-apocalittiche la fine del mondo contemporaneo venga rappresentata mettendo in scena il più delle volte la fine delle grandi città. Nella tradizione del romanzo fantascientifico inglese è Londra, come si può immaginare, lo scenario di distruzione privilegiato, dall’invasione dei tripodi marziani descritta da H.G. Wells in The War of the Worlds (1898), fino romanzi catastrofici degli anni ’50 come The Day of the Triffids di John Windham (1951; all’origine anche del film omonimo di Steve Sekely). Ma sono tante le città distrutte o abbandonate dai pochi abitanti superstiti dopo l’ecatombe, sia essa una mortale pandemia (come nella serie televisiva Survivors di Terry Nation, 1975), la scomparsa di tutte le graminacee (The Death of Grass di John Christopher, 1956) o la distruzione atomica di turno (un esempio tra i tanti, Mad Max: Thunderdome di George Miller, 1985, con la sua Sidney spettrale spazzata da tempeste di sabbia).
Le città si fanno deserte e silenti, tra i palazzi ormai vuoti si aggirano smarriti gli ultimi uomini sulla terra: una visione che ricorre spesso, dal classico The Last Man di Mary Shelley (1826), fino all’Ultimo uomo sulla Terra che si aggira tra i palazzi di un EUR desolato nell’omonimo film di Ubaldo Ragona (1964). Altre volte è la natura violata che si prende la sua rivincita: i resti delle antiche città scompaiono sotto una verde coltre boscosa (After London di Richard Jeffreys, 1885), emergono semi-sommersi dalle acque di una palude tropicale (The Drowned World di Ballard, 1962), vengono ricoperte da uno strato perenne di ghiacci sopra il quale si stagliano le cime delle torri più alte (The Day After Tomorrow di Roland Emmerich, 2004).
Gli scenari post-apocalittici sono oggi dettati dal cambiamento climatico e dalle sue conseguenze: scioglimento dei ghiacci, innalzamento delle ac-

que marine, desertificazione. In New York 2140 di Kim S. Robinson (2017) la Grande Mela è diventata una sorta di città lagunare come Venezia, con le vie trasformate in canali e i grattacieli che emergono come isole dalle acque, mentre in Blackfish City di Sam J. Miller (2018) nuove città vengono costruite su piattaforme oceaniche per ospitare i profughi di terre continentali ormai inabitabili. È la cosiddetta climate fiction, che ammonisce sulle conseguenze alle quali potremmo andare incontro in un futuro sempre più vicino.
2. Città chiuse
Nella civiltà occidentale, fin dalla polis greca, la città rappresenta il luogo per eccellenza della cultura umana e la sua fondazione è vissuta come una separazione dall’ambiente naturale circostante: nel costruire la città l’uomo, attraverso la tecnica, si emancipa dalla sua dipendenza dalla natura. È questo atto di hybris che fonda la civiltà, che è fin dall’inizio civiltà per eccellenza urbana.
La “città chiusa”, isolata dal mondo esterno e da un ambiente naturale o sociale ostile, è una configurazione ricorrente nella fantascienza. Essa può però assumere forme abbastanza diverse. Una delle rappresentazioni più classiche è quella della città posta sotto una cupola geodetica che la isola dall’esterno e la protegge dall’ambiente ostile, ad esempio quello di un pianeta extraterrestre, come la colonia marziana di Total Recall, film di Paul Verhoeven del 1990. Altre volte l’ambiente esterno da cui difendersi è quello della terra stessa, diventata ormai inabitabile: in un lontanissimo futuro Diaspar, l’ultima città della Terra descritta in The City and the Stars di Arthur Clarke (1956), è un’enclave limitato e circoscritto, completamente distaccato e autosufficiente dal mondo circostante, del quale è addirittura ignara. Ambientato invece in un futuro a noi prossimo, Code 46 di Michael Winterbottom (2003) ci mostra invece una Shanghai che il riscaldamento globale ha reso città chiusa circondata da una sconfinata landa sabbiosa.
La necessità di proteggersi dall’ambiente esterno può però spingere anche a costruire città sotterranee: è quanto succede nell’alienato mondo post-atomico di The Penultimate Truth di Philip Dick (1964). Altre volte la costruzione delle città sotterranee è invece funzionale a un uso razionale delle risorse; ne sono esempi l’agorafobica metropoli di Caves of Steel di Isaac Asimov (1953) o la città razionalista raffigurata in Things To Come, film diretto nel 1938 da Cameron Menzies ispirandosi a H.G. Wells.

Ma la tipologia delle città chiuse non si ferma qui. Possiamo avere città volanti che, come la Laputa swiftiana splendidamente resa da da Hayao Miyazaki nel lungometraggio di animazione The Castle in the Sky (1986), si staccano dalla terra per conquistare i cieli; oppure città del lontano futuro arroccate come castelli medioevali (The Last Castle di Jack Vance, 1967) o città semoventi come la città-treno del franchise transmediale post-apocalittico Snowpiercer (1982-2022). O ancora, le città condominio e le piramidi abitative svettanti sulla campagna che appaiono rispettivamente in High-Rise di James Ballard (1975) e The World Inside di Robert Silverberg (1971), che riprendono criticamente l’utopia architettonica di Le Corbusier. E infine, la città prigione: nella serie televisiva Under the Dome (2013-15), ad esempio, Chester’s Mill è completamente isolata dal mondo a causa di un impenetrabile, misterioso e invisibile campo di forza che circonda tutta la città, comparso improvvisamente dal nulla.
classica le città extraterrestri erano spesso costruite all’interno di gigantesche cupole di materiale traslucido per ripararle dall’ambiente esterno ostile: tali erano le città marziane di The Sand of Mars di Arthur Clarke (1951) o quelle del più recente Red Mars di Kim Stanley Robinson. E infine le città aliene: già negli anni ’50 i film di fantascienza ci mostravano immagini, seppur fugaci, di insediamenti urbani costruiti, come la città di Metaluna in This Island Earth di Joseph Newman (1955) o la città sotterranea dei Krell in The Forbidden Planet di Fred M. Wilcox (1956).
4. Città distopiche
3. Città spaziali
L’identificazione tra città e sviluppo tecnologico sottende gran parte dell’immaginario fantascientifico del ‘900. Non sorprende quindi che anche il grande mito tecnologico della “conquista dello spazio” metta spesso in evidenza l’immagine della città. In un classico della letteratura di fantascienza degli anni ’50, Cities in Flight di James Blish, sono le grandi città della Terra che si staccano dal pianeta e, racchiuse in immani campi di forza, partono alla volta delle stelle. Ma, a ben vedere, le stesse astronavi sono spesso ipertecnologiche città dello spazio: si pensi alle navi-città della serie televisiva Stargate Atlantis (2004), alle città astronave – e addirittura città pianeta –dell’universo della Cultura descritto da Iain M. Banks in un apprezzato ciclo di romanzi (1987-2012), o ancora alla gigantesca “astronave generazionale” di Orphans of the Sky di Robert Heinlein (1963), nelle quali aspiranti coloni spaziali si imbarcano per viaggio lungo centinaia di anni alla fine del quale a vedere il pianeta promesso saranno i loro figli o nipoti. Vere e proprie città sono le grandi stazioni spaziali orbitali, come la Deep Space Nine dell’omonima serie di Star Trek (1993 – 1999) o la Stazione Pell del romanzo Premio Hugo Downbelow Station di C.J. Cherryh (1981).
Ci sono poi gli insediamenti urbani sugli altri pianeti: già negli anni ‘30 una celebre serie di tavole di Frank R. Paul rappresentavano le diverse città sorte sui pianeti, le lune e gli altri corpi del Sistema solare. Secondo un’iconografia
Se l’utopia è l’organizzazione di una società alternativa basata su valori ritenuti positivi, la distopia è l’organizzazione alternativa di una società fondata invece su valori ritenuti negativi. E se il giudizio sui valori può essere relativo, anche la distanza tra utopia e distopia è spesso molto breve: nel mondo di Brave New World di Aldous Huxley (1932) tutti sono felici, ma è una felicità che si basa sulla negazione di una serie di valori fondamentali per l’essere umano.
Come l’utopia, anche l’immaginario distopico ha un carattere essenzialmente urbano: è così in Brave New World, e ancor di più nel romanzo distopico per antonomasia, 1984 di George Orwell (1949), con la sua città dominata dagli slogan del Partito e dall’icona del Grande Fratello.
Se la città utopica ha spesso tratti modernisti e razionalisti, la città distopica è invece un incubo tecnologico. Il paradiso terrestre e Dite: questi due poli sono già rappresentati nel 1879, ne Les cinq cents millions de la Bégum di Jules Verne: da un lato Franceville nata per realizzare il sogno di una pacifica utopia borghese autodisciplinata, dall’altra Sthalstadt, la città dell’acciaio, dalla struttura militarescamente gerarchizzata, consacrata alla produzione di armi belliche ad alta tecnologia.
La città come incubo tecnologico caratterizza tutto l’immaginario distopico del ‘900. Se agli inizi del secolo The Machine Stops di E.M. Forster (1901) descrive una metropoli sotterranea creata per provvedere a ogni bisogno dell’uomo, ma che nel fare questo lo rende totalmente dipendente da sé per qualsiasi esigenza e per la sua stessa sopravvivenza, negli anni ’70 della controcultura Soft City, visionario graphic novel di Hariton Pushwagner (19752008), mette in scena una città distopica dove l’alienazione ipertecnologica è finalizzata alla produttività continua.
Il richiamo a Dite e all’incubo tecnologico evidente in Blade Runner di Ridley Scott (1982) fin dalla scena iniziale: un panorama notturno di impianti tecnologici e torri che sprigionano vampe di fuoco, sullo sfondo la molochiana architettura delle piramidi della Tyrell Corporation. Dichiaratamente ispirate a Blade Runner sono le città degli scrittori Cyberpunk degli anni ’80. In Neuromancer William Gibson l’immensa conurbazione dello sprawl (l’asse metropolitano Boston-Atlanta) è una metropoli del prossimo futuro, nella quale convivono meraviglie hi-tec e frantumazione sociale, palazzi ipertecnologici e quartieri degradati illuminati dai bagliori dei neon delle sale giochi, globalizzazione culturale e stili e musiche di strada, visti attraverso gli occhi di personaggi posti ai margini della società.
5. Città continue
Nell’utopia tecnologica propria della fantascienza classica, la città sembra destinata ad espandersi di continuo, fino a giungere alla scomparsa della natura stessa. Versione più estrema di tale tendenza è sicuramente Trantor, la capitale dell’Impero Galattico che appare in Foundation di Isaac Asimov (1942-1951) e nella recente omonima serie televisiva da esso tratta (2021): una città sterminata estesasi fino a occupare un intero pianeta, nel quale sopravvive un’unica “isola” di intatta naturalità, il grande parco del Palazzo Imperiale.
È un titanismo utopico che può facilmente convertirsi in distopia. In Concentration City di James Ballard (1957) il protagonista si mette in viaggio per scoprire il confine della città e, alla fine, torna al punto di partenza scoprendo che non c’è un confine, ma un’unica, continua metropoli: l’inquietudine nasce qui dalla negazione dell’esistenza di uno spazio altro che possa dare un senso all’esperienza urbana, che diventa assoluta e totalizzante. Di contro a questo titanismo, la fantascienza più recente ci ha invece offerto visioni di città continue molto più realistiche, vicine a un modello di città metropolitana ormai sempre più diffuso, fatto di estese conurbazioni di minore densità abitativa, dove l’importanza dei nuclei centrali viene meno a vantaggio del decentramento sul territorio delle attrezzature, dei servizi e dei luoghi di socializzazione (non-luoghi come i centri commerciali, ad esempio).
Ne abbiamo un esempio in Mega-City One, la megalopoli estesa su tutta la costa est degli Stati Uniti e su parte del Canada che appare nella serie a
fumetti Judge Dredd (dal 1977). Ma è soprattutto il cyberpunk, negli anni ‘80 a mettere in scena questi nuovi paesaggi urbani: lo Sprawl descritto da William Gibson in Neuromancer (1984) è un’area urbana diffusa e segmentata che occupa l’intera costa atlantica degli USA, un asse metropolitano continuo da Boston ad Atlanta. Sulla dissoluzione dell’esperienza urbana, ma anche sulla sua ricreazione virtuale, insiste Snow Crash di Neil Stephenson (1992). Nella Los Angeles del futuro l’urbanizzazione generalizzata e la dissoluzione della città classica hanno raggiunto l’apice: dopo il collasso di ogni organizzazione amministrativa centralizzata ogni quartiere ha un’amministrazione indipendente, collegati da una grande rete di autostrade punteggiate da non-luoghi di socializzazione come fast-food e concessionarie d’auto, anch’essi di fatto autogovernati. A questo panorama fa da contraltare un allucinatorio mondo elettronico, il Metaverso, dove si ripropone in versione virtuale e digitalizzata, il titanismo della fantascienza classica; una città grande decine di volte le più grandi città del mondo reale, dalle torri gigantesche e dagli edifici favolosi che vanno al di là di ogni legge fisica.
DIEGO REPETTO E PIERCARLO ODELLA
Gli artisti Odella e Repetto con l’opera Enso in the sky rendono omaggio al movimento Color field painting in una nuova chiave
simbolica: un campo di colore blu intenso (in ricordo degli studi sul blu di Yves Klein) e profondo (come le opere monocrome di Mark Rothko) accoglie al centro il disegno di un cerchio interrotto di colore bianco realizzato in un unico gesto.
L’ensō con un’apertura nel cerchio simboleggia la non dualità tra noi e l’universo. Il cerchio non è separato dal resto delle cose ma fa parte di qualcosa di più grande, come in una corrispondenza biunivoca.

Ensō ( ) è una parola giapponese che significa cerchio e simboleggia l’illuminazione, la forza, l’universo.
L’opera pittorica di grande formato (150x290 cm) verrà collocata ad Eboli in occasione della collettiva artistica “Lenzuola d’Arte 2023”, una grande installazione a cielo aperto, dove la pluralità di contenuti e stili valorizza l’ambiente urbano attraverso inattese cromie, generando un dialogo poetico con le dinamiche atmosferiche (le luci dell’alba e del tramonto, i riflessi delle finestre, imovimenti e i suoni creati dal vento).

Meta_Cosa in blue analizza la non dualità tra pieno e vuoto, tra utopia e distopia, tra contenuto e contenitore. Un ennesimo omaggio a Klein Le Monochrome promotore dell’architecture pneumatique (l’architettura dell’aria).
Diego Repetto, meta_cosa in blue , 2023

Meta_Cosa giunge nell’altra metà del cielo per diventare il cielo stesso.

LOGBOOK

BENEDETTA MEDAS
Il nostro mondo vive costantemente sul filo di un fragile equilibrio. L’essere umano è il suo anello più debole. Abbiamo vissuto fin dalla nuova alba dei tempi con questa consapevolezza.
Antiche storie e leggende però raccontano di una realtà ben diversa, di un mondo lontano e perduto. I nostri avi hanno scritto di nostre stirpi ancestrali. Tribù di umani che hanno distrutto la Terra rendendola sterile come un deserto.
Da bambini abbiamo creduto che si trattasse di storie inventate per metterci in guardia, per insegnarci un modo per non essere l’anello debole del mondo. Per dominare correttamente il nostro ego potenzialmente ipertrofico. Ma qualcosa, nella memoria antica delle piante ci ha fatto sospettare che non si trattasse di saggezza popolare.
Infatti, dai dati che gli alberi ci hanno donato, abbiamo rilevato delle memorie che sembrerebbero provare l’esistenza di un passato ancestrale dal quale siamo separati da una catastrofe senza precedenti.
Verità o leggenda
I vecchi raccontano di una figura mitica che passava il suo tempo a tessere il filo sottile della vita degli uomini e delle donne e che avesse potere non solo sulla loro esistenza, ma anche sulla loro morte. Un giorno dimenticato nel tempo, il filo che intesseva si è rotto, portando alla fine dei nostri avi. A nulla sono servite le parole magiche delle fate e delle streghe, né i loro misteriosi rituali terapeutici. Nessuno dei poteri miracolosi delle donne della nostra gente è riuscito a salvare l’essere umano, né nessun’altra forma di vita. Non c’erano più figli, né risorse con cui nutrirli. Sembra che la loro comunità si sia frantumata in mille pezzi colpita da una fragilità senza pari e senza rimedio. Che le loro reti siano andate in stallo, i loro sconfinati insediamenti siano stati sommersi dall’acqua o dalla terra arida, che le piante e gli animali siano svaniti nel nulla inghiottiti dalle tempeste e dai roghi incontrollabili che flagellavano le terre.
Non sappiamo perché, sappiamo solo che dopo la grande disfatta dell’essere umano e la fine della sua dittatura niente è rimasto vivo sulla Terra.
Il primo dei nostri padri nacque da una macchina che aveva imparato a rigenerarsi dalla natura. Una macchina incubatrice superstite, alla quale, l’ultimo essere umano appartenente alle tribù ancestrali aveva affidato l’ultimo seme rimasto. Aveva stretto la prima grande alleanza tra l’uomo e le macchine alle quali aveva affidato il suo lascito e quello di tutti gli altri viventi. Aveva compiuto una fusione con la tecnologia e con il regno vegetale, creando il primo ibrido tra reti neurali artificiali e biologiche. Poi, si era legato stretto alle radici degli alberi e si era inabissato nelle profondità della Terra.
Quando il Primo nacque aveva in sé la conoscenza e la consapevolezza. Questa memoria è andata perduta, tuttavia ne è rimasta traccia nelle nostre mutazioni genetiche.
Per prima cosa usò la sua creatività per stabilire un contatto con i viventi. Con tutti gli esseri che avevano ripopolato la terra e con tutti i suoi superstiti. Aveva messo a punto un sistema tecnologico al servizio delle comunità in grado di acquisire impulsi elettrici e chimici, traducendoli in un nuovo linguaggio comune, comprensibile a tutti in egual misura. Rendere accessibili le informazioni di ogni comunità avrebbe permesso un incremento esponenziale delle conoscenze e la possibilità concreta di un dialogo perpetuo.
Con il termine viventi intendiamo non solo piante, animali ed esseri umani, ma tutte le entità che subiscono il trascorrere del tempo. Sono un esempio tutte le creazioni frutto dell’immaginazione degli uomini e delle donne che hanno calcato questa Terra nei millenni. A quel tempo, il mondo era disseminato di strutture che l’essere umano ha chiamato architetture. Queste entità generatrici di dati e interazioni sono sopravvissute alla catastrofe e oggi intessono quotidianamente relazioni con gli altri regni dei viventi.
L’architetto e l’architetta erano i creatori di architetture che, plasmando la materia, davano forma alle idee, assorbendo tutte le energie della Terra e impedendole di rigenerarsi.
Questa figura aveva un bagliore leggendario attorno a sé. E ha finito per esserne accecato, innescando una serie di sfortunati eventi. Se così si può dire.
Da molti secoli ormai le nostre piccole comunità umane indicono una riunione annuale con tutti gli altri regni di viventi. Lo scambio continuo di informazioni e il desiderio incessante di imparare ci consente di implementare la nostra tecnologia e le nostre reti neurali biologiche e artificiali. Salvaguardiamo le nostre piccole vite e la ricchezza delle nostre terre.
Vogliamo che i nostri figli e i figli dei nostri figli possano godere dei nostri stessi privilegi incrementando sempre di più la nostra intelligenza collettiva.
La memoria delle piante
Ma, tornando alla nostra ricerca, abbiamo portato ad analizzare alcune fonti estratte dalla memoria degli alberi. Sospettiamo che la loro mappatura genetica possa essere la fonte più ricca da cui possiamo attingere informazioni. Da un’analisi digitale della loro genesi biologica risalente a circa 2000 anni fa abbiamo riscontrato concentrazioni elevatissime di biossido di carbonio, metano e protossido di azoto. Continuiamo a chiederci come sia possibile. Simili condizioni non consentono lo sviluppo della vita su nessun pianeta.
Abbiamo condotto le stesse analisi su campioni prelevati dai ghiacciai più antichi conosciuti e dalle acque più profonde dei mari del sud. Abbiamo ricostruito l’intero spettro delle temperature rilevate tra 2000 e 1500 anni fa. La funzione ad un certo punto assume un andamento parabolico con un fattore di moltiplicazione esponenzialmente alto. Una diretta conseguenza della concentrazione di quei gas. L’aumento delle temperature globali è andato ben oltre i 4° C decretando la scomparsa delle acque dolci (ad eccezione degli ioni di idrogeno che potrebbero essere contenuti nelle rocce) e degli insediamenti costieri, delle isole e degli arcipelaghi, sommersi dai mari e dagli oceani di tutto il mondo.
Atterriti dai risultati, abbiamo deciso di inserire questi dati nei nostri sistemi di proiezione meteoclimatici per ottenere una possibile ricostruzione della Terra di 2000 anni fa.
I nostri modelli matematici sono basati sulla costruzione della conoscenza per mezzo di intelligenza artificiale alimentata da quella collettiva e restituiscono scenari attendibili al 99,99%. Non c’è motivo per dubitarne.
La ricostruzione olografica che si è presentata ai nostri occhi è stata spaventosa. Abbiamo visto i ghiacciai fondere e unirsi alle acque salate, il polo nord scomparire, l’acqua dei mari ribollire e poi evaporare fino all’ultima goccia. Abbiamo visto la terra rigogliosa morire bruciata e patire la sete insieme a tutti i suoi abitanti. Gli insediamenti umani venire sommersi e poi inaridirsi. L’atmosfera diventare densa di nubi così fitte da impedire la vista del cielo, mentre un enorme ciclone si abbatteva sulla superficie con un andamento simile alla Grande Macchia Rossa che ancora vortica nella banda equatoriale meridionale di Giove, riducendosi e ingrandendosi periodicamente. L’aria era
così irrespirabile da impedire l’esistenza di qualsiasi vivente ad eccezione delle architetture, che non necessitavano di ossigeno.
La grande disfatta dell’essere umano c’è stata per davvero e ha distrutto ogni cosa sul suo cammino.
Espanderemo la nostra ricerca agli edifici per interrogare la loro memoria ancestrale. Speriamo di riuscire ad aiutarli a ritrovare i loro ricordi più antichi. A superare il blocco traumatico di ciò che hanno vissuto e che probabilmente relega queste reminiscenze ad una partizione nascosta.
Iniziamo comunque a fare delle ipotesi sulle cause di questo aumento vertiginoso delle temperature: l’apertura di falde gassose, l’eruzione catastrofica di una serie di vulcani in successione, l’avvicinamento e l’impatto di un corpo celeste che potesse aver modificato l’andamento delle maree e i cicli di crescita dei viventi o ancora, alterato la posizione dell’asse terrestre o liberato sostanze a base di azoto e idrocarburi.
La foresta Ci dirigiamo verso una foresta di architetture antiche. La catastrofe è di certo precedente al momento in cui architetture e regno vegetale strinsero la loro indissolubile alleanza. Ma siamo certi che l’integrazione edificio-natura sia essenziale per potenziare la memoria delle costruzioni e riportare alla luce i loro ricordi più profondi attraverso la lettura di impulsi elettromagnetici.
Partiamo da alcuni racconti delle prime tribù. Quelli più comuni narrano di una Terra arida e senza risorse in cui non esistono più animali, se non per le rare eccezioni costituite dalle collezioni private di ricchi facoltosi e le specie elettriche. L’umanità, tranne che per poche migliaia di persone, ha intrapreso viaggi spaziali verso altri pianeti. Chi resta perde la sua battaglia contro le macchine e gli umanoidi, crudeli e vendicativi. Proliferano sulla Terra e la radono al suolo, la rendono sterile e obbligano l’umano a rifugiarsi altrove. Molto oltre il confine immaginabile. Ad esempio, sotto le dune del deserto. Qualcuno parla di radiazioni e microparticelle nocive che hanno portato all’estinzione delle specie. Questi non ci sembrano affatto fenomeni causati da macchine. Manca un anello di congiunzione, un fattore che stabilisca il rapporto tra queste e l’infertilità del suolo. Per il momento questi racconti non sembrano plausibili.
Alla ricerca di risposte, abbiamo iniziato la nostra interlocuzione con alcuni
individui appartenenti alla foresta di architetture più antica che conosciamo. Hanno superfici percorse da rampicanti che le avvolgono e si snodano dall’interno verso l’esterno attraverso le finestre, intorno ai pilastri e alle colonne, sostengono gli elementi decorativi risalenti a migliaia di anni fa che da soli andrebbero in pezzi, divorati dalla solfatazione dei carbonati.
Ci parlano della patina che li ricopre: uno strato a elevatissima concentrazione di idrocarburi combusti. Abbiamo chiesto a quando risalisse e ci è stato risposto circa 2000 anni fa. Tutto ci riporta allo stesso punto. La concentrazione di gas, l’aumento esponenziale delle temperature, la presenza di idrocarburi.
Abbiamo trovato l’edificio più antico. Era il più nero e decadente. Al suo interno qualche traccia di arredamento divorato da un incendio. Nella sala principale, sulla sommità di una colonna al centro della stanza un marchingegno di qualche interesse archeologico industriale. Proiettava delle immagini in sequenza attraverso la lente centrale. Sembrano immagini d’epoca. Scene di vita quotidiana dei settori produttivi e delle famiglie di 2000 anni fa. Le catene di montaggio, la macellazione, il confezionamento, il sangue. Strutture imponenti in ferro e cemento, altissime ciminiere che buttavano fuori centinaia di migliaia di metri cubi di fumo. Il prodotto della combustione degli idrocarburi. Nauseati, abbiamo capito che non si trattava di intrattenimento.
Grafici complessi mostravano l’evidenza di come tutto fosse riconducibile all’essere umano, avido e stupido. Le architetture, prima di diventare foreste ibride, hanno giocato un ruolo fondamentale nella rovina del sistema ecologico terrestre. Hanno causato la produzione di massa di gas inquinanti che hanno impedito alla radiazione solare di disperdersi oltre l’atmosfera terrestre sconvolgendo le dinamiche climatiche. Hanno impedito l’assorbimento delle acque da parte del terreno, si sono sostituite alle foreste impedendo alle radici degli alberi di mantenere solida la terra.
In più l’essere umano ha impedito totalmente l’alleanza tra viventi, tra architetture e piante e tra sé e il regno animale, vegetale e delle costruzioni. Avrebbe dovuto trovare riparo nell’architettura ma ha finito per trovarsi intrappolato in essa.
Questo logbook attinge dai prodotti dell’immaginazione dell’essere umano. È parte di un racconto di fantasia ispirato a fatti che realmente accadranno.
L’habitat base è un anello concentrico composto da essenze arboree autoctone prescelte per ogni habitat specifico.


Principalmente Mirage è stato ideato per territori estremi come le aree desertiche dove sono richiesti impianti di coltivazione intensivi; nel caso di un habitat estremo come il deserto questo sistema si contrappone ai sistema intensivi unificati e omologati ed è composto così non da un sistema uniforme di impianto ma da strutture autosufficienti autonome in grado di auto sostenersi composto da cerchi ad anello in sequenza adattabili alla morfologia del territorio. Ogni anello base di impianto sarà dotato di un pozzo realizzato con tecniche tradizionali locali esclusivamente per mezzo di scavo manuale e con attrezzi rudimentali ed un pozzo eseguito con tecnologie avanzate con perforazione. Il procedimento di impianto delle essenze naturali previsto sarà misto manuale con materiali naturali e con l’utilizzo di sistemi a moduli biodegradabili Cocoon. Il sistema manuale previsto potrebbe “consiste nello scavare buche durante la stagione secca per trattenere l’acqua e ricoprirle di foglie e letame per attirare le termiti che scavando cunicoli trattengono l’umidità, digerendo il letame rimineralizzando il suolo. Le essenze vegetali possono essere miglio, sorgo, sesamo ed altre specie commestibili ma anche alberi che fanno ombra e concimano il suolo con le loro foglie” (1). Le essenze arboree prescelte sono quelle in grado di resistere alla siccità e che possono propagare le radici in profondità come ad esempio l’acacia del deserto; così le essenze albore principalmente composte da piante in grado di radicarsi sino alla profondità di 50 metri permetteranno di realizzare ampi spazi protetti e all’ombra tutto questo per facilitare la crescita ed il mantenimento dell’habitat di impianto anche a piante commestibili posizionate nella fascia a terra. Un sistema complesso che ricrea delle piccole oasi verdi composto da un primo anello base che può accrescere e modificarsi fino a raggiungere forme ovoidali e riempirsi totalmente di verde. Gli anelli in sequenza contribuiscono alla formazione di corridoi verdi ed alla propagazione e difesa della biodiversità ed a sviluppare habitat umani.




Riferimenti:
www.ambienteambiente.com www.futuroprossimo.it
https://landlifecompany.com/
Alcune della immagini sono state prodotte con la tecnologia Intelligenza Artificiale (AI)
(
1) Yacouba Sawadogo, L’uomo che ha fermato il deserto piantando alberi.
https://www.redattoresociale.it
https://moked.it/blog/2019/03/05/lacacia-del-deserto/
Interfaccia con: Land Life Company e Great Green Wall




MIRAGE
INFINITO
Anello interno tondo, esterno rotondo. Fine non c’è, ne inizio, nel tuo foro non si trova il fondo.
METACOSA
In metà sta
Tra realtà e ….
Dimensione dei sogni
Delle idee
Con il pensiero ti tocco
Con il dito non ti raggiungo.
IDEA
Scintilla d’oro, ciò che ancor non c’è. Esclusiva dell’intelletto d’omo.

ROBERTO CAPOCCHI
CONOSCENZA
Fondamenta di sabbia
nel teatro della vita
Si cementa.
I. mio anello
Nell’acqua con un sasso lo formo patto con la natura
Al dito lo metto
Patto di vita.
Amore
Legame che piace
Legame adorato
Legame di vita
Legame senza vincoli
Legame che non lega
L’occhi brilla
Il cuore batte
Lo stomaco bruglia
La mano suda
La mente lo pensa
Il naso l’odora
La lingua lo gusta
La pelle si...
Tutto me è adrenalina
MASSIMO GASPERINI
Architetto e dottore di ricerca in Scienze della Rappresentazione, già docente incaricato nelle Facoltà di Architettura di Firenze e di Genova, fonda nel 2003 lo studio Archèlab occupandosi di progettazione architettonica e urbana alle diverse scale di intervento.
Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali ricevendo premi e menzioni. I suoi progetti sono stati esposti alla 7. e alla 17. Biennale di Architettura di Venezia, alla Triennale di Milano, all’ADI Design Index e in altre importanti esposizioni.
Tra le principali pubblicazioni monografiche: Urbanalogy/Pinocchioarchtetto (con I. Taddei, Pisa, 2021), Shining Dark Territories.
100 thoughts of architecture (con A. Melis, Pisa 2015), Saverio Muratori. Architetture interrotte/Unbuilt Masterworks, (Pisa, 2012), Disegni d’architettura e di paesaggi. Appunti del Corso di Rappresentazione della città, del territorio e del paesaggio, (Pisa, 2010), Esperienze di Progettazione Architettonica Assistita, (Firenze 2006), ATLAS . Atlante dei processi di formazione del territorio italiano (con G. Cataldi et altri, Pisa 2023).
Architect and PhD in Representation Sciences, former coordinator of the ‘MARSC Laboratory - Relief Section’ at the Faculty of Architecture of Genoa and lecturer at the Faculty of Architecture of Florence, founded the Archèlab studio in Pisa in 2003 dealing with architectural urban at different scales of intervention.

His projects have been exhibited at the Venice Architecture Biennale and in some national exhibitions.


Among the main monographic publications: Urbanalogy/Pinocchioarchtetto (with I. Taddei, Pisa, 2021), Shining Dark Territories. 100 thoughts of architecture (with A. Melis, Pisa 2015), Saverio Muratori. Interrupted Architecture / Unbuilt Masterworks, (Pisa, 2012), Architectural and landscape drawings. Notes of the Course of Representation of the city, the territory and the landscape, (Pisa, 2010), ArchCube. Experiences in Assisted Architectural Design, (Florence 2006), ATLAS . of the formation processes of the Italian terrotory (with G. Cataldi et other, Pisa 2023).
DIEGO REPETTO
Costruttore di idee, architetto e critico del paesaggio. Ideatore dei concetti di Land Lighting e Quinto Paesaggio, è membro della Sezione Italia dell’Associazione Internazionale dei Critici d’Arte (AICA).
È impegnato nella ricerca e creazione di nuovi paesaggi e nell’analisi delle percezioni dei potenziali stakeholder attraverso l’arte esperienziale.
Nel 2021 è stato advisory board del Padiglione Italia alla 17. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia realizzando diversi eventi tra cui la trasformazione del Laboratorio Peccioli in una camera immersiva sonora e visiva, attraverso l’opera Flow Time, insieme al musicista, compositore e produttore discografico Flavio Ferri e il media artist Marco Brianza.
Diego Repetto is a builder of ideas, architect and landscape critic. Creator of the Land Lighting and Fifth Landscape concepts, he is a member of the Italian Section of the International Association of Art Critics (AICA). He is committed to researching and creating new landscapes and analysing the perceptions of potential stakeholders through experiential art.
In 2021 he was advisory board of the Italian Pavilion at the 17th International Architecture Exhibition of the Venice Biennale, realising several events including the transformation of the Laboratorio Peccioli into a sound and visual immersive chamber, through the work Flow Time, together with musician and record producer Flavio Ferri and media artist Marco Brianza.
GIULIA CATALDI
Artista visiva sperimentale, si laurea in architettura a Firenze nel 2015. Per due anni frequenta le lezioni serali di illustrazione presso la Nemo Academy di Firenze per ampliare le sue conoscenze dei metodi di rappresentazione. Trasferitasi a Londra, si laurea col massimo dei voti in Art & Design al Royal College of Art. Frequenta il Master in Comunicazione Visiva (classe ‘23), approfondendo il suo interesse per tecniche narrative sperimentali e interdisciplinari, all’incrocio tra video-making, illustrazione e animazione. È coautrice dell’articolo Forma Quadrata Britanniae: the Case of Londinium, pubblicato nel 2022 nella rivista Urban Morphology.
Dal 2022 collabora col gruppo della Meta_Cosa
Giulia is an experimental visual artist who graduated in Architecture at the University of Florence in 2015. For two years she took evening classes in illustration at the Nemo Academy in Florence to further expand her knowledge of methods of representation.. Moving to London, she gained a first class degree in Art & Design at the Royal College of Art, where she is currently taking a masters in Visual Communication (class of 23), to explore her interest in experimental and interdisciplinary narrative techniques, at the meeting point of video-making, illustration and animation. She is co-author of the article Forma Quadrata Britanniae: the Case of Londinium, published in the journal Urban Morphology in 2022.
Since 2022 she collaborates with the Meta_ Cosa group.
CHIA-HUA LEE
Lee Chia-Hua, artista visiva con sede a Taipei, i suoi lavori includono illustrazioni, animazioni, graphic design e mostre. Nel convincimento di fornire una prospettiva personale attraverso il mondo virtuale inteso come uno specchio metaforico per riflettere i problemi del mondo reale, crede che le immagini visive abbiano significati plurimi tramutabili in idee in modo completo e duraturo.

Con lo sfondo dell’architettura, la logica del disegno e il senso dello spazio formano lo stile della sua creazione.
Sta seguendo il Master in Comunicazione Visiva al Royal College of Art, aspirando a maggiori possibilità nella pratica dell’arte visiva.
Lee Chia-Hua, a Taipei based visual artist, her works include illustrations, animations, graphic design, and exhibitions. Building the habit to deliver personal perspective through the virtual world as a metaphor mirror to reflect the real world issues, she believes the visual images have mixer meanings which can demonstrate ideas in a comprehensive and lasting way. With the architecture background, the drawing logic and sense of space form the style of her creation. She is now studying MA in Visual Communication, Royal College of Art, fulfilling more possibilities in visual art practice.
ALESSANDRO MELIS
È inaugural IDC Foundation Endowed Chair e professore presso la School of Architecture and Design. Nel 2021 è stato curatore del Padiglione Italia alla 17. Biennale di Architettura di Venezia. È stato nominato Ambasciatore del Design Italiano (ADI - Ministero degli Affari Esteri Italiano) nel 2021 (Parigi) e nel 2022 (New York e Washington).
In precedenza, è stato direttore dell’International Cluster for Sustainable Cities presso l’Università di Portsmouth, direttore del Postgraduate Engagement presso l’Università di Auckland, co-direttore del programma
TPAI presso l’Università di Arti Applicate di Vienna, visiting professor presso l’Anhalt University Dessau, Politecnico di Torino, Università di Perugia, e Honorary Fellow presso l’Università di Edimburgo. La rilevanza del suo contributo alla ricerca è testimoniata da oltre 200 pubblicazioni, da altrettante citazioni in pubblicazioni e da conferenze presso istituzioni come l’Università di Cambridge, il MoMA, la China Academy of Art e TEDx. Tra le recenti monografie sul suo lavoro ricordiamo Alessandro Melis. Utopic Real World, Invention Drawings, edito da D Editore, e Heliopolis 21, edito da Skira Editore.
Is the inaugural IDC Foundation Endowed Chair and a professor in the School of Architecture and Design. In 2021, he was the curator of the Italian Pavilion at La Biennale di Venezia. Alessandro has been nominated Ambassador of Italian Design (ADI - Italian Ministry of External Affairs) in 2021 (Paris) and 2022 (New York and Washington). Previously, he was director of the International Cluster for Sustainable Cities at the University of Portsmouth, director of Postgraduate Engagement at the University of Auckland, co-director at the TPAI program at the University of Applied Arts Vienna, visting professor at the Anhalt University Dessau, Politecnico di Torino, University of Perugia, and honorary fellow at Edinburgh University.
The relevance of his contribution to research is evidenced by 200+ publications, by as many citations in popular publications, and by conferences at institutions such as the University of Cambridge, MoMA, China Academy of Art, and TEDx. Recent monographs on his work include Alessandro Melis. Utopic Real World, Invention Drawings published by D Editore, and Heliopolis 21 published by Skira Editore.
BENEDETTA MEDAS
Benedetta Medas è Conservatrice dei Beni Architettonici e Ambientali ed esperta in Diagnostica del Restauro. E dottoressa in Architettura. È coordinatrice di eventi scientifico-culturali, seminari per la formazione. È autrice e curatrice di testi divulgativi e scientifici.
È stata Deputy Curator del Padiglione Italia alla 17. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (2021) e co-curatrice del catalogo della mostra. Attualmente collabora alla Biennale di Venezia 2023 per l’Evento Collaterale “Students As Researchers” promosso dal New York Institute of Technology.
Benedetta Medas is Conservator of Architectural and Environmental Heritage and specialist in Diagnostics for Restoration. She also graduated in Architecture recently. She’s a coordinator of scientific and cultural events and educational seminars. She’s author and curator of scientific and dissemination books.

She’s been Deputy Curator of the Italian Pavilion at the 17. International Exhibition of Architecture at La Biennale di Venezia (2021) and co-curator of the exhibition catalogues.
Currently is collaborating at the Architecture Biennale 2023 for the organization of the Collateral Event “Students As Researchers” promoted by New York Institute of Technology.

ROBERTO CAPOCCHI
Specializzato in sicurezza dei cantieri e in Project Management, lavora per importanti aziende nel campo farmaceutico e turistico, e per enti pubblici.
Entra a far parte come libero collaboratore nello studio Archelab di Massimo Gasperini, ove ritrova il piacere del puro progettare. Partecipa con Massimo ai suoi ultimi concorsi e allo sviluppo dei nuovi concetti di analisi dell’architettura.
Specialized in construction site safety and Project Management. He works for important companies in the pharmaceutical and tourism fields, and for public bodies. He joins Massimo Gasperini’s Archelab studio as a freelancer, where he rediscovers the pleasure of pure design. He participates with Massimo in his latest competitions and in the development of new concepts of architectural analysis.
PAOLO BERTETTI
Svolge attività di ricerca e di insegnamento presso l’Università di Siena e l’Università Guglielmo Marconi. Già vicepresidente dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici (AISS), si occupa di mass media, Semiotica dell’audiovisivo e teoria semiotica. Le sue ricerche più recenti riguardano la transmedialità, anche in relazione alla comunicazione di brand e alle nuove forme di narrazione interattiva. Si interessa inoltre dei generi e dell’immaginario della popular culture contemporanea.


È membro del Consiglio direttivo del Master di primo livello in Comunicazione d’Impresa dell’Università di Siena e coordinatore scientifico del Mufant – Museo della fantascienza e del fantastico di Torino. Tra i suoi volumi: Il mito Conan (2011), Il discorso audiovisivo (2012), Lo schermo dell’apparire (2013), Transmedia Archaeology (con C. Scolari e M. Freeman, 2014; ed. it. 2020), Transmedia Branding (con Giuseppe Segreto, 2020), Che cos’è la transmedialità (2020).
He carries out research and teaching activities at the University of Siena and at the Guglielmo Marconi University. Former vice president of the Italian Association of Semiotic Studies (AISS), he deals with mass media, audiovisual semiotics and semiotic theory. His most recent research concerns transmedia, also in relation to brand communication and new forms of interactive storytelling. He is also interested in the genres and imagery of contemporary popular culture.
He is a member of the board of directors of the first-level master’s degree in business communication at the University of Siena and scientific coordinator of the Mufant - science fiction and fantastic museum in Turin. Among his volumes: The Conan myth (2011), The audiovisual speech (2012), The screen of appearances (2013), Transmedia Archeology (with C. Scolari and M. Freeman, 2014; ed. it. 2020), Transmedia Branding (with Giuseppe Segreto, 2020), What is transmediality (2020).
ENRICO NIERI RESEACH
(2002) basato principalmente su una piattaforma di collaborazioni interdisciplinari ed internazionali occupandosi di ricerca in architettura, natura e nuove tecnologie. Si distingue in vari concorsi nazionali ed internazionali.
I suoi lavori degni di rilievo sono stati pubblicati ed esposti in Italia ed all’estero. Partecipa all’esposizione internazionale dei Giovani Architetti Italiani ed a vari eventi di architettura contemporanea nazionale ed internazionale (Barcellona, Lisbona, Como, Roma, Napoli) tra gli eventi Nuova Architettura (organizzazione: Comune di Cortina D’ampezzo, Arup, Ghery technologies, Foav).
Premio Leone di Pietra alla Biennale di architettura di Venezia, Città di Pietra, capogruppo: Adolfo Natalini. Selezionato Architecture Work 2017
(2002) based mainly on a platform of interdisciplinary and international collaborations dealing with research in architecture, nature and new technologies. His noteworthy works have been published and exhibited in Italy and abroad. Participates in the international exhibition of Young Italian Architects and in various national and international contemporary architecture events (Barcelona, Lisbon, Como, Rome, Naples) among the Nuova Architettura events (organization: Municipality of Cortina D’ampezzo, Arup, Ghery technologies, Foav). Leone di Pietra Award at the Venice Architecture Biennale, Città di Pietra group leader: Adolfo Natalini. Selected Architecture Work 2017.
MARILENA VITA
Artista multidisciplinare, performer, pittore, fotografa e video artista. Ha esposto in numerose mostre personali ed eventi internazionali in molti paesi. Critica d’arte e curatrice, è stata eletta nel 2021 Segretario Generale di Nuova AICA Italia (Associazione Internazionale dei Critici d’Arte), e dal 2022 è Membro del Consiglio di AICA International a Parigi.

Dal 2010 al 2019 ha insegnato Storia dell’Arte Contemporanea presso la Facoltà di Architettura, e la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Catania.
Ha insegnato in Master Universitari internazionali, ha scritto saggi, e due pubblicazioni scientifiche sull’Arte contemporanea e molti testi sul proprio lavoro. Ha pubblicato recentemente due libri interessanti: Dia-Logo, un libro-oggetto con Gerard-Georges Lemaire, e La storia di Narcisa su come è nata la pittura.
Multidisciplinary artist, performer, painter, photographer and video artist. She has exhibited in numerous personal exhibitions and international events in many countries.

Art critic and curator, she was elected at 2021 General Secretary of Nuova AICA Italia. In 2022 she was elected International Board member of AICA in Paris.
From the year 2010 to 2019 she taught History of Contemporary Art at the Faculty of Architecture and the Faculty of Foreign Languages and Literature of the University of Catania.
She has taught in International University masters, and wrote essays, two scientific publications on Contemporary Art and wrote many texts about her own work. She has recently published two interesting books: Dia-Logo, a book-object with Gerard-Georges Lemaire, and La storia di Narcisa about how painting was born
PIERCARLO ODELLA
Nasce ad Alba (CN) nel 1963, frequenta il liceo artistico Pinot Gallizio, per poi diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.
pcg63, questo lo pseudonimo con cui firma le sue tavole, rivela come l’arte lo abbia accompagnato fin dalla tenera età, definendola un rifugio, un riparo dal dolore.
“L’arte è la capacità di vedere oltre l’invisibile e creare una visione in mezzo il silenzio è un’emozione. L’arte è amore e amo quello che faccio”
Ha esposto tra le altre: Bonino Gallery di New York; Palazzo dei Diamanti a Ferrara; Grand Palais di Parigi; Artexperience a Salerno; Museo di arte moderna di Tokyo; trasporto; Genova; Torino; Alba.
Was born in Alba (CN) in 1963, he attended the Pinot Gallizio art school, and then graduated from the Brera Academy of Fine Arts in Milan.
pcg63, this is the pseudonym with which he signs his tables, reveals how art has accompanied him from an early age, defining it as a refuge, a shelter from pain.
“Art is the ability to see beyond the invisible and create a vision between silence is an emotion. Art is love and I love what I do”
He has exhibited among others: Bonino Gallery in New York; Palazzo dei Diamanti in Ferrara; Grand Palais in Paris; Artexperience in Salerno; Tokyo Museum of Modern Art; freight; Genoa; Turin; Sunrise.
Contatti/Contacts:
FB: Odella Piercarlo (Duke) e-mail: pcgstudioarts97@gmail.com

Meta_ concept
Avviso alla lettura: l’ordine dei seguenti enunciati è del tutto casuale.
La Meta_Cosa è una architettura per la mente.
La Meta_Cosa è un traguardo (meta) che guarda oltre.
La Meta_Cosa è utopia negativa, distopia (antiutopia, Superstudio, 1971). Diverrà presto realità (Topia, Mannheim, 1957) per raccontare il futuro possibile per il genere umano.
La Meta_Cosa è un ricovero temporaneo dell’esperienza dell’esistenza dell’uomo sulla Terra. È effimero come la nostra permanenza su questo Pianeta.
La Meta_Cosa è un ‘fuori tema’, un sogno incosciente che ci conduce al pensiero divergente e spontaneo.

La Meta_Cosa è un organismo e in quanto tale è mutevole nel tempo e nello spazio. È adattabile a qualsiasi latitudine e longitudine.
La Meta_Cosa è un coagulatore esperienziale capace di trasmettere in modo travolgente la genesi della Terra, il rapporto uomo-Terra, le origini della nostra esistenza, spiegando della sostanza di cui siamo fatti (four elements).
La Meta_Cosa non ambisce a diventare uno stilema. Non ha nulla a che vedere con le tendenze linguistiche nell’ambito dell’architettura e del design contemporaneo. Sarà anticipatrice, evocatrice, ineludibile, sorprendente, metafisica, sintetica, sincretica, densa, intelligente, universale.
La Meta_Cosa è simbolica: traduce l’indifferenziato in una eguaglianza di principi, è simbolo della indefinitezza tra spazio interno e spazio esterno, tra conoscenza e mistero. La Meta_Cosa evoca il valore simbolico del cerchio: la figura geometrica che un bambino di tre-quattro anni di età impiega per rappresentare una persona; la figura geometrica che Giotto inviò a Bonifacio VIII per convincerlo ad assumerlo come ritrattista; la figura geometrica che rappresenta democrazia, inclusione, uguaglianza. Il cerchio cinge la città, è l’elemento invalicabile, limite tra finito e infinito. La città si fonda nella storia a partire dal tracciamento della sua circonferenza inclusiva. Il cerchio come elemento di rimando alla maternità (Madre Terra) e al ciclo della vita (Heidegger).
La Meta_Cosa è un organismo ipertecnologico che rifiuta l’uso di materie inquinanti, non ecologiche e non dissolvibili nell’ambiente poiché essa, alla fine del suo breve ciclo di vita, all’ambiente dovrà tornare.
La Meta_Cosa lascia il segno, anche dopo la sua estinzione. È un riattivatore della nostra coscienza e consapevolezza. Riconduce alla verità l’emergenza climatica e le repentine mutazioni della biodiversità invocando l’urgenza di agire per procrastinare l’estinzione del genere umano.
La Meta_Cosa è un hotspot di alta qualità tecnologica.
La Meta_Cosa è un landmark condensatore di pratiche sociali, una polarità ambientale.
La Meta_Cosa propone (promuove) la coesione delle discipline per esaltare la competenza scientifica, ideativa, relazionale, comunicatrice, ecc; l’equivalenza tra sostenibilità ambientale e sociale. Aspira a divenire un attrattore per l’ecosistema ospitante, una piattaforma capace di riferire dello stato ambientale del nostro pianeta. Un dispositivo capace di definire, nel giusto rapporto scalare, il tempo e il ruolo dell’essere umano sulla Terra.