-NIETZSCHE (5)
La filosofia di Nietzsche si profila come filosofia dell’arte e filosofia della vita. Arte, filosofia e vita si intrecciano profondamente nell’ottica nietzscheana, e questa visione si estende anche alla scienza, che dev’essere “capace di gioire”, cioè deve indagare la natura alla luce dell’arte e quindi della vita. (Negri)
Nietzsche accosta spesso danza e gioco nella loro comune leggerezza di un agire senza scopo (così come fa anche il taoismo): il ballerino che danza e il fanciullo che gioca sono i prototipi del perfetto viaggiatore, che si lascia andare al corso naturale delle cose, che sa che il concetto stesso di scopo è un’invenzione umana e non esiste nella realtà. (Negri)
Cosa importa d’altronde se quell’integrità che lui proclamava non si è realizzata nell’uomo Nietzsche? E certo la curiosità pettegola dei nostri contemporanei, che si è gettata avidamente sulla disgregazione dell’uomo, non è riuscita a sminuire per nulla l’espressione di questo individuo, ciò che lui mise fuori di sé, sopra di sé. Poiché, in un mondo che stritola l’individuo, Nietzsche è stato capace di farci vedere l’individuo non piegato al mondo. Questo risultato lo raggiunse in un’epoca che si è compiaciuta – e il compiacimento oggi è anche più forte – di mostrare la vita spezzata, l’individuo fallito. Se la persona di Nietzsche è stata infranta, ciò non dimostra nulla contro di lui. In cambio egli ci ha lasciato un’immagine diversa dell’uomo, ed è con questa che dobbiamo misurarci noi. (Colli) Nietzsche inizia il suo percorso filosofico come seguace di Schopenhauer. I due autori partono entrambi dalla considerazione che la vita è essenzialmente caos, dolore e irrazionalità, ma danno infine soluzioni diametralmente opposte a questa problematica: la prospettiva della vita ascetica viene rifiutata da Nietzsche, in nome di un’accettazione completa ed entusiastica della vita “così com’è”. (Negri) Il primo Nietzsche, quello di Umano troppo umano e della Gaia scienza, cioè il Nietzsche della decostruzione storico-psicologica del sapere in pieno scetticismo hegeliano, dimostra quanto la dimensione scettica sia essenziale ad ogni filosofia perché altrimenti sarebbe ripetizione dogmatica di qualche sapere acquisito. La dimensione scettica domina questo periodo di Nietzsche ove ϑαῦμα, l’angosciante stupore - come meravigliosamente tradotto da Emanuele Severino - è l’inizio di ogni ricerca filosofica. Diagnosticare il divenire in ogni presente che passa è il compito che Nietzsche assegna al filosofo in quanto medico, "medico della civiltà" o inventore di nuovi modo d esistenza immanenti. [...] Quali sono oggi i divenire che ci attraversano, che ricadono nella storia senza derivarne o piuttosto che ne derivano solo per uscirne" (Deleuze). Nietzsche si può collocare all’interno della crisi del sapere che attraversa tutte le forme della conoscenza tra Ottocento e Novecento, una vera e propria crisi dei fondamenti e va letto anche all’interno di questa crisi che riguarda la scienza della natura. Dimentichiamo invece la prima versione interpretativa filtrata in Italia attraverso D’Annunzio che ne diede lettura pro domo sua.
L’ubermensch (l’uomo che accetta di vivere in un mondo senza senso e senza scopo) è forse in assonanza con lo Wabi Sabi dello zen (la bellezza dell’imperfezione)? Entrambi infatti prendono atto di vivere in un mondo caotico, complesso e tempestoso e, pututtavia, non si arrendono. Infatti, dopo aver capito a fondo le difficoltà dell’esistenza umana, cercano ugualmente di essere distaccati, sereni e felici di una nuova e diversa felicità.
Ma è il momento di rendere merito al grande Federico: la sua affermazione a proposito della caducità dell’uomo sa di malinconico pessimismo? Nulla di più falso! Al contrario è una celebrazione dell’intelligenza e del coraggio dell’uomo: non sono felice perchè non vedo il problema, non sono un triste frustrato che scarica la sua sconfitta sugli altri perchè consapevole del fatto ma incapace a risolverlo, sono l’urlo taurino dionisiaco di chi si rende conto della tragedia ma sa affrontarla con coraggio e dignità.
Nietzsche dice: “Diffidate di tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire! E' gente di qualità e origine scadente; dai loro volti occhieggia il carnefice”.
Nietzsche scrive: “Non esistono i fatti ma solo le interpretazioni”. Madornale affermazione commenta il filosofo della della scienza Ferraris che sostiene che è ora di far rivivere i fatti, la realtà e la verità, dunque il senso comune. Ma attenzione: il senso comune non è la conferma filosofica del senso comune, dice Severino. Io ti conoscerò, Ignoto! tu che penetri profondamente nella mia anima e come tempesta attraversi la mia vita, tu, Incomprensibile, a me affine. Io ti conoscerò, ti servirò.
Anche Dio ha il suo inferno, il suo amore per gli uomini. Dio è morto. Ed è morto a causa del suo amore per gli uomini. “Io ho detto: voi siete dèi”(Gv 10,34, Gesù). “Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina” (La gaia scienza). Nietzsche definì i suprematisti “noiosi dilettanti che pretendono di dire la loro sul valore degli uomini e delle razze”. Eppure è ricordato come un filosofo di destra. La causa di ciò fu la sorella di Nietzsche che era un’estremista di destra detestata però dal fratello. Oggi, grazie al lavoro di Deleuze, possiamo tranquillamente dire che non è così. Nietzsche non era di destra e il superuomo è, in realtà, l’oltre-uomo.
Il pensatore francese Clavel (prima maoista poi cristiano) tenta di arruolare Nietzsche proprio in quell’esercito dei credenti dei quali egli si fa spesso beffe.
L’uomo è un cavo teso tra la bestia e l’oltre-uomo, una cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia dell’oltre - uomo. Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva l’oltre - uomo. Io amo colui che non serba per sé una goccia di spirito, bensì vuol essere in tutto e per tutto lo spirito della sua virtù: in questo modo egli passa, come spirito, al di là del ponte. Io amo colui l’anima del quale si dissipa e non vuol essere ringraziato, né da qualcosa in cambio: giacché egli dona sempre e non vuol conservare se stesso. Io amo colui l’anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le cose divengono così il suo tramonto. Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non è altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. (Nietzsche – sciamano) Tra i pensatori del nostro tempo, forse più di ogni altro, è stato Nietzsche a riportare “a terra” l’universo dei pensieri e delle idee e a ricollegarlo alla corporeità. Per il padre di Zarathustra non c’è separazione tra la biografia di un individuo, la sua esperienza concreta, biologica, i suoi sensi, e ciò che accade nella sua mente. Il corpo e l’inconscio sono il luogo in cui i pensieri si generano, anzi, attraverso quello che egli definisce un compromesso del corpo con se stesso. Il corpo, dunque, “pensa” e ciascuno pensa in modo differente, secondo la propria natura, secondo il modo in cui il proprio inconscio elabora l’esperienza. I pensieri, le emozioni, le idee dunque non cadono dal cielo, ma salgono dal corpo e sono generati da una coscienza che conferisce loro caratteristiche proprie. (Bettera) Vi sono attimi in cui le nuvole si squarciano, e allora noi, insieme a tutta la natura, aspiriamo all’uomo.
Nietzsche afferma che la felicità potrebbe anche derivare dal piacere dell’insicurezza tipica del divenire. Si dovrebbe dunque, per essere felici, vivere quotidianamente senza consolanti dogmi precostituiti.
L’eterno ritorno è un attimo immenso, infinito in cui si avverte che tutte le cose, tutti i fenomeni, tutti gli avvenimenti sono così saldamente annodati gli uni agli altri, che questo attimo lega indissolubilmente tutte le faccende passate e future: interconnessione cosmica! Vedere, cogliere, vivere l’interconnessione degli elementi compresenti, ma anche l’interconnessione tra questi e quelli già stati e a venire!
Nell’attimo si percepisce che tutto muta, tutto diviene, tutto tramonta. Ma non è il momento in cui qualcuno riesce finalmente a scoprire il carattere diveniente di ogni cosa, ma il momento in cui questo carattere spontaneamente si mostra, il momento in cui l’immagine proveniente dal flusso eterno si fa presente. Colui al quale si fa presente non è un soggetto dotato di identità fissa, non è un attimo chiuso, un in-dividuum, ma è qualcosa di continuamente mutevole nel tempo e nello spazio. Ogni momento della realtà, sia oggettiva che soggettiva, ha un’esistenza e una consistenza doppiamente relativa, sempre contingente rispetto al tempo, sempre relazionata rispetto allo spazio. Non solo ciascun elemento è un fascio di relazioni, ma è un fascio di relazioni in continuo mutamento! "C’è chi è nato postumo". Lui, come molti dei più grandi che hanno saputo anticipare i tempi, per usare le sue stesse parole “veniva troppo presto”. Non è tanto importante ciò che è vero o falso ma ciò che è utile o inutile. Così le varie prospettive sulla realtà sono più o meno utili e non più o meno vere. Utili alla vita.
Il nichilismo passivo (condannato da Nietzsche) consiste nel rimpiangere i valori assoluti dei mondi trascendenti platonico cristiani. Il nichilismo attivo consiste invece nel riversare i nuovi valori (non più assoluti e non più dati da un dio esterno ma creati dall’uomo stesso) nell’immanentismo terreno: restate fedeli alla terra e prendete congedo da Dio perché è morto. Numerosi sono gli scritti in cui Nietzsche manifesta la sua diversità, la sua inattualità rispetto all’epoca in cui si trova a vivere. Si autodefinisce UOMO POSTUMO. «Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite».
Partiamo ora da quella che è, probabilmente, la più importante e celebre frase, quella che in un certo senso può riassumere tutto il pensiero di Nietzsche: «Dio è morto, e noi lo abbiamo ucciso». Pronunciata, nella pagina più famosa de La gaia scienza (ma anche in Così parlò Zaratustra), da un folle che si reca al mercato per cercare di aprire gli occhi alla gente, la frase ha un significato profondo che va ben oltre quello letterale. Dio, per Nietzsche, non è infatti solo il Divino Creatore, ma è un simbolo che racchiude tutte le “credenze metafisiche”, cioè tutte le fedi in senso ampio; la fede religiosa, certo, che per Nietzsche è e rimane il male peggiore, con la sua menzogna riguardo l’aldilà, ma anche la fede politica, la fede in una morale che trascenda gli esseri umani, la fede nello Stato, in un sistema filosofico, diremmo oggi anche in una squadra di calcio. Ogni fede è morta, perché siamo stati noi ad ucciderle tutte: ci siamo resi insomma conto di quanto tutto questo sia pia illusione, di quanto la nostra vita sia destinata a non trovare alcuna spiegazione al di fuori di essa, di quanto sia priva di senso, o almeno di un senso dato dall’esterno, da una autorità che sta sopra di noi.
L’uomo è scimmia, diamolo per assodato; ma non è solo la sua evoluzione biologica, sembra dirci Nietzsche, ad averne fatto una scimmia; è, piuttosto, il suo atteggiamento, il suo vivere ancora succube degli imbrogli delle fedi, il suo non voler crescere e non voler affrontare la vita per quello che è, al di là delle illusioni, al di là delle bugie, al di là del bene e del male. L’uomo è insomma scimmia, non solo perché da essa deriva, ma perché ha scelto di essere scimmia, e lo è ancora di più degli animali, che da ciò che sono hanno sempre ottenuto il massimo, mentre l’uomo continua imperterrito a limitarsi e sottomettersi.
Dai sui scritti è possibile dedurre che egli pensasse che una delle domande fondamentali della filosofia (forse la principale) non fosse "Cosa è la verità?" ma "Cosa facciamo con le nostre verità?", "Quali sono gli effetti delle nostre verità su di noi?". Per questo motivo, Nietzsche mina le basi della vecchia concezione del mondo, che si fondava sul primo di questi interrogativi, sulla fede nell'esistenza di una Verità assoluta e alla quale fosse possibile, prima o poi accedere. (Gori)
Nietzsche nega gli Assoluti ma, allo stesso tempo, nega anche il nichilismo
Nietzsche combatte a fondo sia la volontà del nulla (cioè il nichilismo) che la volontà di verità.
Nietzsche è stato l'unico ad aver descritto la realtà come una polifonia interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete
Nietzsche accetta il dolore come componente essenziale della vita mentre Buddha vuole eliminare il dolore dalla vita. Montanari, nel libro Il tao di Nietzsche, scrive che quello di Nietzsche è «un linguaggio aforistico spesso paradossale, decostruttivistico, e in cui il non detto gioca un ruolo non minore di quanto espressamente dichiarato». E si sottolinea che questo è uno degli aspetti che avvicinano il filosofo al buddhismo zen. Mi chiedo: parliamo di tao o di zen?
Nietzsche critica la fiducia nella possibilità di correggere il mondo attraverso il sapere Critica quindi il capostipite di tale modello culturale che è stato Socrate il quale inaugura il metodo apollineo della comprensione della realtà mediante concetti. Si dovrebbe invece affievolire la spinta a una eccessiva brama di sapere e riannodare il rapporto tra vita e mito tipica dell'ebro mondo dionisiaco.
La necessità del caso.
L'essere del divenire. La molteplicità dell'uno
Caos dionisiaco e cosmos apollineo. Impulso creativo, ebbrezza vitale. Razionalità concettuale, forma armoniosa.
Nietzsche fu insieme un filosofo e un poeta. E anche molto altro. Un po’ come Leopardi.
In realtà, dice Nietzsche, fra la religione e la vera scienza non ci sono parentele, né amicizia e neanche inimicizia: vivono semplicemente su pianeti diversi.
Nietzsche non è relativista nel senso negativo del termine visto che il pesante attacco che muove alla metafisica occidentale è stato animato appunto dal preciso scopo di trovare un'alternativa alla deriva nichilistica dell'Europa di fine Ottocento. Il prospettivismo che fonda molta della riflessione matura di Nietzsche si lega quindi a un atteggiamento di tipo pragmatico ove le antiche verità, pur essendo poco affidabili in quanto mere opinioni, vanno comunque considerate per la loro utilità pratica.
Nietzsche osserva che alcune concezioni proprie del senso comune relative all'esistenza di entità sostanziali, del libero volere e del bene valido universalmente non sono che erronei articoli di fede tramandati nel corso della storia evolutiva dell'uomo in ragione della loro utilità per la vita
L'interesse di Nietzsche riguarda gli effetti che una data concezione del mondo ha sul tipo umano. Per lui, in particolare, efficace è quella RELAZIONE con il mondo che permette all'uomo di evitare di cadere nel baratro labirintico del nichilismo e che, di conseguenza, lo sradica da quella antropologia degenerativa che, secondo Nietzsche, ha caratterizzato la storia culturale occidentale a partire da Platone. Il piano di riferimento, nel momento in cui si vada a definire il valore di verità di una data concezione del mondo, è quindi quello esistenziale: la posizione più vera e che è meglio, per noi, assumere come fondamento della nostra attività pratica, è quella che ci permette di diventare ciò che siamo e che rende possibile la generazione di un tipo umano superiore. Nietzsche attribuisce infatti un valore trasformativo al proprio pensiero prospettico. (Gori)
Nietzsche arriva a considerare la conoscenza come un atto creativo e contesta la posizione della filosofia tradizionale che suole porsi davanti alla vita e all'esperienza (cioè davanti a ciò che chiamiamo il mondo fenomenico) come davanti a un quadro che è stato dipinto una volta per tutte negando che sia ancora in corso d'opera
"Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze!" Si parla quindi di una filosofia della vita e non di quella della morte e del conseguente dopo vita, altra vita.
Reale, per Nietzsche, è proprio e solo la dimensione dell'apparenza visto che il mondo vero è una costruzione puramente logica che non possiede in alcun modo i tratti della realtà.
Nietzsche fu fortemente critico rispetto al valore che il pensiero tradizionale attribuisce alla dimensione razionale. Pronuncia anche parole infuocate contro il sapere scientifico, rifiutando di vedere in esso una via di accesso alla comprensione della realtà. Nietzsche però risulta molto critico soprattutto con l'approccio del dogmatismo scientifico meccanicistico e semplicistico: ricordiamo che poco tempo dopo arriverà la rivoluzione relativistica di Einstein.
Nietzsche ribadisce in tutti i campi delo scibile umano e, quindi anche nella scienza, la libertà da tutti i dogmi per poter costruire i nuovi valori.
L'idea che esista un libero arbitrio è “il più malfamato trucco dei teologi […] mirante a rendere lʼumanità 'responsabile'”, e la responsabilità comporta la possibilità di imporre una pena che deriva dalla distinzione tra giusto e sbagliato.
Secondo Nietzsche il fenomenalismo significa che non sappiamo niente della cosa in sé visto che la nostra epistemologia è circoscritta alla dimensione dei fenomeni
Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.
"Non ho che sensazione e rappresentazione. (…) Non possiamo immaginare nulla che non sia sensazione e rappresentazione», per poi concludere che «la materia stessa è data solo come sensazione».
In Nietzsche, al di là delle ostentate dichiarazioni di misoginia esiste, in realtà, un fitto dialogo con il “femminile”, o meglio, con i molti modi di essere donna. Gli esempi di “donna” con cui egli aveva confidenza sono sicuramente la propria madre e la propria sorella, ma anche intellettuali come Lou Salomé e Malwida von Meysenbug, due rappresentanti ante litteram del femminismo. Ciò che egli odia delle donne viene completamente dimenticato nell’incontro con Lou Salomé, che – a giudizio dello stesso Nietzsche – è determinante per la nascita dello Zarathustra Probabilmente è proprio l’esperienza sfortunata con Salomé, la sua “mente sorella”, a permettere una nuova valutazione del femminile. "[…] di tutte le conoscenze che ho fatto, una delle più preziose e feconde è quella con Lou. Soltanto dopo averla frequentata sono stato maturo per il mio Zarathustra […] Lou è l’essere più dotato, più portato alla riflessione che si possa immaginare – naturalmente ha anche qualità che danno da pensare. Anch’io ne ho. Tuttavia, il bello di tali qualità è per l’appunto che fanno pensare. Naturalmente solo i pensatori". Nietzsche come filosofo essenzialmente “femminile”, perché dotato di quella caratteristica qualità di genio in grado di “ingravidarsi” di ogni stimolo. Il minimo turbamento avvertito dal suo spirito basta a proporre in lui una pienezza di vita interiore e di esperienza di pensieri. Una volta ebbe a dire: “Esistono due specie di genio; quello che soprattutto procrea e vuole procreare e quello che si lascia volentieri fecondare e partorisce”.
Vita e saggezza sono un tutt’uno per lo Zarathustra di Nietzsche, costituiscono un riferimento che attrae e respinge, che ci lega attraverso la repulsione, un amore che è tale solo a distanza La saggezza (la vita) è donna in tutto e per tutto. La donna appare, nelle descrizioni di Nietzsche, come imprendibile, multiforme, talmente profonda da ingannare con la sua superficie. La donna è mutevole e dispersiva, ed è proprio quest’ultima caratteristica a costituire il nucleo di mistero irrinunciabile, la vita che produce la vita. Zarathustra, in definitiva, ha solo la capacità di annunciare l’oltreuomo ma, per generarlo, deve rivolgersi alla donna e alla sua misteriosa capacità generativa.
Il fondamento ontologico del mondo è la volontà di potenza (mentre rinnega la volontà del nulla e quella di verità) intesa come forza volta allo sviluppo della vita in ogni sua forma e non legata alle necessità dell'uomo. La dimensione della volontà di potenza è la dimensione della verità extramorale. La volontà di potenza si estrinseca nellʼuomo e nel mondo, ovvero in ogni forma di vita.
Dilthey critica la volontà di potenza scrivendo: "Un processo spaventoso! Nulla di più ridicolo che un filosofo potesse ciò come scopo proprio della natura con noi uomini come il suo punto più alto." Ma forse Dilthey non aveva ben capito cosa intendesse Nietzsche per volontà di potenza.
Proprio ora, il mio mondo divenne perfetto, mezzanotte è anche mezzogiorno, - dolore è anche un piacere, maledizione è anche una benedizione, notte è anche un sole, - andate via o vi toccherà imparare: un saggio è anche un folle. Avete mai detto sì a un solo piacere? Amici miei, allora dite sì anche a tutta la sofferenza. Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate.
Gli ideali esistiti sino a oggi [...] sono tutti quanti ideali ostili alla vita, ideali calunniatori del mondo.
Se le foglie appassiscono - che c'è da lamentarsi! Lasciale andare e cadere. (puro zen! N.d.R.)
La verità extramorale è caratterizzata dalla consapevolezza della non libertà del soggetto che però, allʼinterno di questa consapevolezza, raggiunta attraverso la conoscenza di sé trova la leggerezza dellʼagire e quindi una forma di libertà intesa come assenza di delimitazioni morali derivata dalla necessità insita nella volontà di potenza.
All’umanità educata a denigrare vita e mondo, a rifiutare i principi della terra per guardare a vuoti simulacri di conoscenza, Nietzsche contrappone quindi una figura in grado di affrontare compiutamente la realtà che ha di fronte, senza timore di perdersi al suo interno o di rimanere disgustato dagli orrori che in essa potrà incontrare. Lo spirito forte e in salute che «ci redimerà tanto dall’ideale perdurato sinora, quanto da ciò che dovette germogliare da esso, [...] questo anticristo e antinichilista, questo vincitore di Dio e del nulla».
"Per caso" - questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte le cose, io le ho redente dall'asservimento allo scopo. Lasciate che il caso venga a me: egli è innocente, come un fanciullino.
Nel Crepuscolo Nietzsche svolge una vera e propria diagnosi delle condizioni fisiologico - antropologiche dell’europeo cristiano, figlio della tradizione di pensiero che vede nella razionalità socratica il suo momento iniziale. Socrate, assieme a Platone, è per Nietzsche il primo décadent; in lui, cioè, si manifestano i sintomi di una malattia degenerativa destinata ad affliggere il mondo occidentale. La principale conseguenza di questa malattia è di fatto quell’atteggiamento ostile alla vita che in altri luoghi Nietzsche descrive nei termini di una volontà del nulla. Infatti, secondo Nietzsche «la morale, come è stata concepita finora [...] è l’istinto della décadence stesso», ma soprattutto è «il sintomo di una certa specie di vita; [...] della vita declinante, indebolita, esausta, condannata». L’atteggiamento di condanna della vita che appartiene a questa morale, il suo rivolgersi «contro gli istinti della vita» e l’«attaccare le passioni alla radice», è quindi il prodotto di una determinata fisiologia, che Nietzsche ritiene essersi realizzata per la prima volta all’epoca dei Greci. È proprio in quel mondo, recuperando una sua riflessione giovanile che Nietzsche individua il motivo antitetico al tipo umano declinante e negatore della vita, quel principio del dionisiaco che nella Nascita della tragedia era stato messo a tema parallelamente all’elemento apollineo e che nel Crepuscolo torna a giocare un ruolo di particolare rilievo in quanto promotore di un realismo filosofico che deve essere recuperato. Secondo quanto Nietzsche scrive nel capitolo conclusivo del Crepuscolo degli idoli, il dionisiaco incarna per lui il vero e proprio motivo antitetico alla volontà del nulla. In esso si esprime «il fatto fondamentale dell’istinto ellenico – la sua “volontà di vita”» che già Platone, anticipando in questo il Cristianesimo, aveva rinnegato. Contrariamente a questa tendenza nichilista, la psicologia dello stato dionisiaco consiste in una completa affermazione della vita, in un «dire di sì» alla vita nei suoi aspetti più terribili, e quindi in un «coraggio di fronte alla realtà» che Nietzsche attribuisce ad esempio a Tucidide. Lo storico greco è in effetti qui direttamente contrapposto a Platone proprio in ragione del suo realismo. Egli, a detta di Nietzsche, era in grado di «vedere la ragione nella realtà»; in lui trova espressione «la cultura dei realisti: quell’inestimabile movimento in mezzo all’impostura morale e ideale delle scuole socratiche dilaganti ovunque». In contrasto con la tendenza declinante degli istinti greci, Tucidide risulta essere l’«ultima rivelazione di quella forte, severa, dura fattualità, che stava nell’istinto degli antichi Elleni». Egli si distingue in particolare da Platone, il quale è per Nietzsche «un codardo di fronte alla realtà» che «fugge nell’ideale; Tucidide ha se stesso in proprio potere, di conseguenza tiene anche le cose in proprio potere». La spiritualità forte che Nietzsche individua in Tucidide è l’elemento fisiologico che ha permesso a quest’ultimo di contrastare la malattia della décadence e di mantenersi in uno stato di salute. Tale condizione era propria dei greci nell’epoca della massima espressione del «sentimento tragico», una sensibilità oramai persa proprio per la difficoltà di reggere il peso di terrore e compassione e di essere «noi stessi l’eterno piacere del divenire». L’invito di Nietzsche a recuperare un atteggiamento dionisiaco di fronte all’esistenza consiste pertanto in questa avversione per i motivi pessimisti che si possono ritrovare già in Aristotele, il quale parla di una catarsi delle passioni, del cui peso l’uomo dovrebbe volersi alleggerire. Tutto questo è, ancora una volta, solo espressione di un’incapacità prima di tutto fisiologica di gestire tale carico, la cui espressione più sublimata viene a essere, in epoca moderna, la schopenhaueriana volontà del nulla. Al contrario, secondo Nietzsche «l’artista tragico non è un pessimista, – egli dice precisamente sì perfino a tutto ciò che è problematico e terribile, egli è dionisiaco »
Nello stato dionisiaco l'individuo si libera del principio di individuazione, si rende conto che la sua individualità è illusoria, e “ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno con esso”. Possiamo quindi dedurre che il dionisiaco è il mondo della verità extramorale, della verità non più legata al principio di individuazione.
La morte di Dio rappresenta quindi la fine dellʼuniversalità della morale, della credenza in unʼunica verità e lʼinizio dellʼaccettazione dellʼignoto.
L'uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza. Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta! Nietzsche misogino?! No! Nietzsche esalta il femmineo ma poi, come capita a tutti, si contraddice.
In Nietzsche si alternano la volontà di potenza e la volontà di amore (forse sono però la stessa cosa per lui ...)
Bisogna ancora avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.
Dapprima furono creatori i popoli, e solo in seguito gli individui; in verità l'individuo stesso è la creazione più recente. Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di essere io. (Chiedo: esiste questo piacere di essere io? Oppure è solo un'abitudine?)
Guardali i credenti di tutte le fedi! Chi odiano essi massimamente? Colui che spezza le loro tavole dei valori, il distruttore, il delinquente: - questi però è il creatore.
I metafisici sono coloro che abitano un mondo dietro il mondo (Hinterwelter). (Ma pure i religiosi sono nella stessa situazione!)
Che importa la mia felicità!
Che importa la mia ragione!
Che importa la mia virtù!
Che importa la mia giustizia!
Che importa la mia compassione!
Il mondo, per noi, è ridiventato infinito, nel senso che non possiamo rifiutargli la possibilità di presentarsi a un'infinità di interpretazioni.
E' stato filosofo solo per pochi anni. E' stato un tipo molto solitario ed emarginato. Pur tuttavia ha cambiato radicalmente la filosofia.
La vita non ha scopo. E' solo uno scontro tra forze, tra pulsioni che vogliono espandersi.
DIVENTA CIO' CHE SEI. Questa è la condizione della salute e della felicità.
"Non ho potuto fare a meno di essere Dio e di creare il mondo anche se avrei preferito fare il professore universitario" Frase di un pazzo? Il Van Gogh della filosofia … entrambi morti pazzi senza aver venduto una loro opera. Poi il successo infinito dopo la morte. Comunque "tu devi amare il tuo destino anche se questo destino è amaro".
Portofino
Qui me ne stavo e attendevo, – nulla attendevo al di là del bene e del male, ore della luce godendo, or dell’ombra, tutto semplice gioco, E mare e meriggio, tutto tempo senza meta, e d’improvviso, amica! ecco che l’Uno divenne Due e Zarathustra mi passò vicino.
Il soggetto che, contrapposto al mondo come oggetto, si pone, nei confronti di questo universo di finzione, socraticamente da un punto di vista “giudicante e valutante”. L’uomo e il mondo: questo è l’errore, il pensare che esista una distinzione, una contrapposizione tra una coscienza raziocinante e un qualcosa che non lo è. È importante valutare che quest’opposizione, ma anche la sfera stessa della soggettività, non è originaria, “naturale”, pur nascendo nei primissimi istanti di vita dell’organismo e nei suoi rapporti d’interazione con il mondo. È invece culturale, ha origini sociali. Pertanto affinché un nichilismo positivo sia possibile è necessario una opera di smascheramento che coinvolga anche la nozione di soggetto stesso, affinché l’uomo possa vincere questa sostanziale senso di alterità nei confronti del mondo inteso come altro a sé Ci vien da ridere quando troviamo "uomo e mondo" posti l'uno accanto all'altro separati dalla sublime arroganza della paroletta "e".
Pensare è interpretare.
Dissonanza, Divergenza, Disarmonia sono parole dionisiache. Assonanza, Convergenza, Armonia sono parole apollinee. Con la filosofia di Nietzsche dopo 1900 anni di cristianesimo, torna la filosofia di Dioniso. La filosofia della vita che trabocca nella sua pienezza! Se questo è nichilismo.... Si ripaga male un maestro, se si resta solo il suo allievo.
Non esistono fatti (positivismo), ma solo interpretazioni.
Il mondo della ratio socratica, su cui si regge tutta la civiltà occidentale, è quello che ha negato l’apparenza delle cose, volendo istituire dei sovramondi e dei sovrasensi, rifiutando la “fedeltà alla terra”. Esso è concepito da Nietzsche come un mondo di violenza in cui giocano un ruolo fondamentale l’ego e il condizionamento storico sociale.
Il millenario dualismo ontologico che da Platone giungeva a Kant e Schopenhauer viene definitivamente superato. Non vi è più contrapposizione tra realtà e fenomeno, verità e apparenza. Per Nietzsche la volontà stessa consiste nell’apparenza dell’apparenza: non c’è esistenza distinta dall’apparire L’unica verità è fenomenica.
Nietzsche fu il punto di svolta: un salto formidabile nel linguaggio e quindi anche nel pensiero che lo crea e ne è a sua volta condizionato. Da allora il pensiero non può che manifestarsi con narrazioni, aforismi, contraddizioni registrate e volutamente non risolte; la preminenza della ragion pratica sulla ragion pura; lo "Zibaldone", ma anche "Zarathustra", la "Genealogia della morale" ed "Ecce Homo" come testi fondamentali. La gabbia dei sistemi era saltata e così pure quella dei generi. E saltò anche la gerarchia dei valori. Per lunghissimo tempo la cuspide della filosofia era stata la metafisica. Poi diventò la critica, poi le si affiancò l'estetica. Infine, dalla fine del Novecento a questa prima decade del nuovo secolo, la nuova cuspide è diventata l'etica. Ma queste gerarchie non tengono più e la ragione sta nella scomparsa dell'assoluto e nella contemporanea scomparsa dell'antropomorfismo che per millenni aveva dominato la cultura. Nietzsche aveva decapitato la metafisica e sgominato i valori opponendo a ciascuno di essi un controvalore. Da Platone fino ad Hegel tutta la storia del pensiero era stata contestata; erano stati risparmiati soltanto Eraclito, Montaigne, Spinoza. Si discute ancora se dopo Nietzsche sia possibile filosofare. Certamente è possibile poiché la storia del pensiero è inarrestabile, ma è cominciato dopo di lui un linguaggio del tutto diverso e il filosofo si è trasformato in un artista che inventa come ogni artista le parole e le forme con le quali esprimersi. (Scalfari)
Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica.
Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distribuzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia primordiale.
Nichilismo: manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano: sono solo valutazioni umane e transitorie!
"Se Dio esistesse, come potrei tollerare di non essere Dio io stesso?". Questa frase di Nietzsche è una bestemmia oppure è una preghiera?
L'Oltreuomo (traduzione di Ubermensch da parte di Vattimo diversa dal classico Super Uomo), è un uomo in grado di sopportare l'idea che l'Universo non ha un senso.
È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori, delle virtù. della volontà di potenza che è volontà di vita (nichilismo attivo).
L'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre"
L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare i propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il Positivismo, con la sua idea di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Il buddismo vuole eliminare ogni dualismo. Nietzsche legge e commenta testi buddisti (non zen): a volte, ma non sempre, in modo positivo. Gli piace soprattutto l'a-moralismo buddista che collega al suo essere al di là del bene e del male. Nessun senso di colpa: siamo nati innocenti! Nessuna colpa né in sé e neppure negli altri. Nessun peccato cristiano. Nessun barbaro dualismo. Ammira Gesù (forse vede in lui se stesso trasfigurato) ma non il cristianesimo di Paolo. Nietzsche ama Pirrone come uomo mite e paziente, un Budda in carne e ossa. Un santo sapiente senza fede alcuna. In un appunto della primavera 1884, Nietzsche sottolinea come l'istituzione della verità serva a scongiurare il timore dell'inesistenza di tutto l'accadere È dunque nella posizione di senso, o meglio nella posizione di un unico senso esclusivo e vincolante, che trova fondamento il potere non solo della verità, ma anche delle visioni del mondo che ritengono di possederla: la metafisica, la morale, la religione, la scienza. Pur con differenti modalità e strumenti, tutte perseguono infatti l’obiettivo di rendere la realtà sensata per l’uomo In quanto la parola «conoscenza» abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, e non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi: Prospettivismo
Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti. La relazione dell’uomo con il mondo è mediata dal proprio organismo, il quale elabora il dato sensibile e lo modifica, semplificandone la complessità e riducendolo ad uno schema gestibile. Un’operazione simile a quella
descritta da Kant, con la sola – fondamentale – differenza che Nietzsche non pensa ad un apparato categoriale a priori, ma attribuisce una modalità interpretativa specifica ad ogni singolo soggetto conoscente. Conoscere è quindi schematizzare, semplificare, comunque modificare un flusso di dati rispetto a come esso entra in relazione con il nostro apparato percettivo; pertanto, non è in alcun caso possibile parlare di una determinazione di ciò che le cose sono in sé (sempre che si possa ancora parlare di “cose”), ma solo di quello che esse sono per noi. In altre parole, Nietzsche rifiuta completamente la possibilità di un accesso al livello noumenico, limitando l’ambito descrittivo alla sola dimensione dei fenomeni, che, per questo motivo, perde il carattere di “apparenza” per diventare l’unico luogo di riferimento per l’uomo.
La verità non significa il contrario dell’errore, bensì la posizione di taluni errori rispetto a taluni altri, per esempio che sono più vecchi, più profondamente radicati.
Che la verità abbia maggior valore dell’apparenza, non è nulla più che un pregiudizio morale […]. Non ci sarebbe assolutamente vita, se non sulla base di valutazioni e di illusioni prospettiche; e se si volesse con il virtuoso entusiasmo e la balordaggine di alcuni filosofi togliere completamente di mezzo il «mondo apparente», ebbene, posto che voi possiate far questo, anche della vostra «verità», almeno in questo caso, non resterebbe più nulla!
Che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere una sostanziale antitesi tra «vero» e «falso»? Non basta forse riconoscere diversi gradi di illusorietà, nonché, per così dire, ombre e tonalità complessive, più chiare e più oscure, dell’apparenza?
Quale sia il soggetto della singola prospettiva: la domanda relativa a chi o cosasia ad avere prospettive. Esiste anche una prospettiva non umana? E quella umana una prospettiva singola o del gregge? Ma la prospettiva singola che senso ha se l'io è privo di substrato ontologico? Il soggetto, infatti, non esiste in sé, precedentemente al compimento di un atto, ma è una pura costruzione mentale, che semplicemente deriva dalla nostra interpretazione successiva dell’azione.
L'io stesso è per Nietzsche un'illusione prospettica, una pura nozione concettuale Il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione. Per ciò che riguarda il soggetto, Nietzsche conduce da un lato una critica volta a mostrare come l’indicazione di un soggetto agente non sia che frutto di un’interpretazione semplificante e falsante, dall’altro lato un’analisi di ciò che si chiama soggetto, atta a disvelarne la natura plurima, molteplice, complessa.
Sul piano pratico, però, è indiscutibilmente difficile privarsi del riferimento a un soggetto individuale, ed è lecito, a questo livello, parlare di un punto di vista prospettico diverso per ogni uomo. In realtà però il soggetto non produce prospettive e interpretazioni; sono loro, le prospettive, a costituire quello che il soggetto è. Secondo Nietzsche, il soggetto non è oltre e al di sopra delle varie prospettive e interpretazioni affettive fisico/spirituali che lo compongono, e delle relazioni tra queste prospettive e interpretazioni. Il soggetto è solo un insieme di prospettive e di interpretazioni. Senza l'elemento prospettico non esisterebbe al mondo reale. Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi. Se esiste un egoismo nietzschiano è un egoismo prospettico perché il prospettivismo è condizione di esistenza.
In più occasioni, inoltre, Nietzsche sottolinea la necessità di prendere distanza dalle proprie più radicate convinzioni ed abitudini, di osservarle da lontano e di rovesciarle, di sperimentare il loro opposto, per imparare a conoscerle ed a padroneggiare quella lotta tra istinti che le porta alla luce.
Parimenti indispensabile è la necessità di ampliare per quanto possibile le proprie prospettive, di modo da poter relativizzare anche ciò che si presenta sotto di esse.
È questa secondo Nietzsche la giustizia, definita come “funzione di una potenza di vasto orizzonte, che va al di là delle piccole prospettive di bene e male, ha dunque un orizzonte più ampio del vantaggio – essa intende conservare qualcosa che è di più di questa o quella persona.
Senza voler fare di Nietzsche un teorico del dialogo e dell’intersoggettività, non possiamo non prestare attenzione al monito di abbandonare il proprio angolo prospettico e la presunzione di detenere la verità assoluta, per prendere coscienza della complessa molteplicità del reale, della pluralità di prospettive ed interpretazioni che giocando e lottando tra loro lo compongono in un equilibrio mai definito e in costante divenire Nietzsche contesta proprio l’idea di una conoscenza in grado di estendersi sino al livello noumenico del reale, all’ambito in cui si darebbero «cose, fatti “in sé”». L’idea per cui «in quanto la parola “conoscenza” abbia un senso, il mondo è conoscibile» fa infatti pensare che Nietzsche rifletta sulla necessità di definire un’epistemologia circoscritta alla sola dimensione dei fenomeni e che riconosca tale ambito come proprio limite invalicabile
Ma soprattutto, una simile epistemologia dovrebbe riconoscere che la conoscenza umana non ha a che fare con “verità” assolute, con “fatti” universali, ammettendo quindi il carattere illusorio e ipotetico della dimensione fenomenica
Una simile considerazione coinvolge – distruggendolo – tutto ciò che rientra nella descrizione del mondo della metafisica tradizionale, a partire dalla “certezza immediata” del soggetto. Nietzsche osserva che «il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione (ricordiamoci sempre dell'onda sul mare: fin che c'è mare scorre poi sparisce, fin che c'è vento, corre poi svanisce).
Da un punto di vista generale, il fenomenalismo si presenta come uno sviluppo del kantismo in un senso antimetafisico. Il punto di partenza è infatti la filosofia critica di Kant, che sancisce l’impossibilità di conseguire un rapporto diretto con la “cosa in sé”, una tesi che apre la strada a un problema fondamentale dell’epistemologia contemporanea, discusso da molti degli autori letti da Nietzsche. Su questo tema il fenomenalismo si pone in maniera agnostica, rinunciando ad affrontare la questione della “cosa in sé” perché oltrepassa i limiti (fisiologici) della conoscenza umana.
Il senso comune assume l'identità come un dato evidente o come un fatto certo, indubitabile. Risponde Nietzsche "Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro che l'io sia ciò che pensa; al contrario considero l'io stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di materia, cosa, sostanza, individuo, scopo, numero; quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo del divenire, una specie di stabilità e quindi di conoscibilità".
La vera virtù (opposta a quella tradizionale, convenzionale che è per tutti) è invece la caratteristica di una minoranza aristocratica e nuoce alle masse. La compassione è una debolezza da combattere. Disprezza le masse, le donne (???) e il Cristianesimo. Ama le guerre. Gli sembra impossibile il santo che ama spontaneamente e non per paura dell'inferno. Ama solo gli esseri superiori: ma chi stabilisce chi sono questi esseri superiori e chi no? Odia l'amore? Deve aver avuto un notevole perturbante. E poi, sarà proprio questo il vero Nietzsche?
Nell'uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare...
Kleinpeter si rende conto che Nietzsche, in assonanza con il pensiero del fisico Mach, aveva prestato grande attenzione alle tematiche inerenti alla teoria della conoscenza, riflettendo sulla possibilità che la materia fosse teoreticamente riducibile ad un aggregato di sensazioni e intervenendo nella discussione della nozione di sostanza intesa come un puro e semplice simbolo mentale, per poi spingersi fino ad una più generale relativizzazione della nozione di verità che lo porta a rapportarsi direttamente con il moderno pragmatismo.
“Solo giullare! Solo poeta!” (Nur Narr! Nur Dichter!). Questo ribadisce di essere Nietzsche nei versi dei Ditirambi di Dioniso, poco prima di venir funestato da una pazzia devastante che non gli permetterà più di scrivere altre opere: né a carattere poetico, né filosofico. Ironia (o profezia) della sorte: Narr in tedesco significa, oltre che buffone, pure folle; mentre Dichter non è termine equivoco, in quanto si riferisce appunto a chi compone dei
versi. Ma Nietzsche avrebbe davvero voluto essere ricordato come un poeta? È quanto si/ci domanda Susanna Mati, valente traduttrice e curatrice di un volume ‒ edito da Feltrinelli e intitolato Poesie ‒ che raccoglie tutti i testi poetici scritti da Nietzsche durante la sua non lunga ma prolificissima vita. Sin troppo facile rispondere con un no, alludendo al fatto che in Così parlò Zarathustra il filosofo di Röcken se la prende assai col poeta (con sé stesso poeta), ritenendolo/irridendolo quale “bestia furba, rapace, strisciante”. Eppure come non cogliere in ogni scritto filosofico di Nietzsche una evidente, lussureggiante (e spesso enfaticamente debordante) espressività poetico-letteraria? Tant’è che è invalso l’uso di chiamare il Nostro poeta-filosofo; per non scordare l’opinione di Benedetto Croce, secondo il quale il grande scrittore tedesco fu persino più poeta che filosofo Mati, invece, sulla scia di Heidegger ritiene quantomeno che considerare Nietzsche poeta “puro”, pienamente/autenticamente tale, come un Hölderlin, un Novalis o un Rilke, sia fuorviante. Ciò non vuol dire che egli, pur considerando ‒ un po’ alla stregua di Platone ‒ le parole poetiche menzognere, non le abbia quanto spesso utilizzate (pure all’interno dei suoi scritti filosofici) ritenendo utile avvalersi della finzione/formulazione poetica onde far sì che il proprio pensiero non rimanesse limitato al/dal logos, né dovesse soggiacere meramente al mythos. Optando così per una parola che tendesse all’apertura verso quell’eccedenza che avvertiamo inerente ad ogni cosa verso cui si rivolga il nostro sguardo non indagatore ma contemplativo e creativo. Per uno sradicamento e rinnovamento del dire filosofico che non andasse più in cerca di certezza/fondatezza ovvero che lasciasse il Grund per l’Abgrund: il terreno stabile (in apparenza) per un’abissalità la quale non dovrebbe però sgomentarci, semmai colmarci di stupita meraviglia e gratitudine
Persino La Gaia scienza, uno dei testi più filosofici di Nietzsche, comprende vari testi poetici ‒ i Canti del principe Vogelfrei ‒ utilizzati dal Nostro per concludere tale sua opera mediante una formula che si avvalesse d’una parola altra rispetto a quella utilizzata tradizionalmente nel discorso logico-razionale. Lo stesso Zarathustra non a caso si presenta come una prosa intessuta di poesia. E prima del definitivo crollo mentale (accennavo sopra), Nietzsche darà veste definitiva a serie di liriche intitolate Ditirambi di Dioniso, che rappresentano dunque l’ultima sua opera giusto nel segno della poesia.
Significativo poi che il primo testo in versi dei Ditirambi sia quasi del tutto simile alla lirica inserita nella Quarta e ultima parte di Così parlò Zarathustra, nel discorso intitolato Il canto della melanconia In entrambi gli scritti viene rimarcata ‒ esplicitamente e implicitamente ‒ una duplice corrispondenza: quella tra il poeta mentitore e il buffone di corte, che si burla della serietà/seriosità di ogni discorso; ma al contempo quella fra il poeta sincero/veritiero e colui che è abitato dalla follia (divino-dionisiaca) e dunque sragiona in quanto utilizza un linguaggio che appunto non è quello del logos.
Nell’assumere la modalità espressiva poetica Nietzsche sconfessa la hybris di poter formulare verità assolute, enunciazioni autorevoli, definitive, esaustive. Il suo poiein, la sua creatività si declina quale gioco, nel significato più elevato del termine. Un gaio disporre parole non pretenziose, anche quando il tema del dire è tragico Ma il rischio resta sempre quello della magniloquenza, di un’espressività saccente (o peggio ancora estetizzante) allorché il nostro poeta ‒ nello Zarathustra e altrove ‒ fa filosofia coi versi e finisce suo malgrado per teorizzare/indottrinare. E allora mente, ingannando il lettore e se stesso.
Netta è però la consapevolezza che Nietzsche ha del pericolo/cimento insito nel poetare quando, nel già citato primo testo dei Ditirambi di Dioniso, dice del poeta che questi “deve mentireˮ ed è insieme sempre in cerca di “predaˮ. Quella costituita dal lettore, in primo luogo; quantunque il versificatore medesimo divenga pure lui preda (del meccanismo costituito dal fare poesia). Il paradosso irresolubile è che non v’è modo per il Nostro ‒ né da parte del poeta né da quella del filosofo ‒ di uscire dalla menzogna, in quanto non ci è dato sia teoreticamente che poeticamente di approdare ad un vero che non sia relativo, soggettivo, sempre parziale e provvisorio. Questo lo sconsolato/ardito approdo, davvero umano, troppo umano di chi ebbe il coraggio di chiamare se stesso Narr: giullare ma al contempo folle.
Interessante è però l’etimologia di tale parola italiana: derivata dal latino follis, che significa sacco o pallone vuoto. Folle è perciò un soggetto caratterizzato da levità/motilità estrema, dalla irragionevolezza di un pensare alternativo che non teme incoerenze e contraddizioni ma anzi le accoglie quali elementi significativi d’un discorso alla fin fine inafferrabile, nel duplice senso di un pensiero che non può essere catturato entro le maglie della ratio e a cui non è possibile ancorarsi stabilmente.
Più volte Nietzsche aveva poi dichiarato che l'unico modo di essere filosofi fino alla fine è quello, ad un certo punto, di rimanere in silenzio, quello stesso silenzio cui lo condannerà, fino alla morte, la sua condizione certificata di "matto".
Abbiamo visto come la filosofia nietzscheana, nel suo essere a volte ambigua, profetica, dissacrante, sia aperta a una varietà di interpretazioni e possa essere accostata a correnti del pensiero asiatico anche diverse fra loro. I temi di base rimangono comunque molto vicini: il superamento di tutti gli schematismi antropomorfici, siano essi appartenenti alla morale, alla logica o alla scienza, per avvicinarsi a un tipo di comprensione più esperienziale, emotivo, sensoriale, è un atteggiamento comune a tutto il mondo orientale, che verrà poi ripreso – in una tonalità meno mistica e più obiettiva possibile – dalla fenomenologia in ambito filosofico e psicoanalitico. (Negri)