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MercoledÌ 8 NOVEMBRE 2017
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Viaggio nel mondo della donazione di ovuli - Un percorso scandito da dubbi etici e legali, e limiti oltre cui non tutti sentono di poter andare
Se per diventare genitori si oltrepassa il confine pagine a cura di
Martina Salvini La chiamano donazione, ma avviene dietro compenso. È illegale in Svizzera, ma si può fare ad appena 30 chilometri da Lugano, a Como. Solleva dei problemi di ordine etico, ma permette a una coppia di coronare il desiderio di diventare genitori. L’ovodonazione è l’insieme di questi tasselli, un mosaico complesso in cui le ragioni personali si sommano – e si confrontano – ai dettami legali, ma anche alle riflessioni etiche e religiose. La donazione degli ovuli non è permessa dalla Legge elvetica, che consente invece il ricorso a un donatore di sperma. Basta però varcare il confine italiano per accedere alla tecnica eterologa, ammessa dal 2014. Così fanno i pazienti della Clinica di fertilità ProCrea, a Lugano, grazie a una collaborazione avviata da qualche tempo con una struttura medica di Appiano Gentile, dove avviene concretamente il trasferimento nell’utero della futura mamma dell’embrione fecondato. Unica a garantire questa possibilità in Svizzera grazie alla vicinanza con il confine italiano, la ProCrea ha visto lievitare il numero di coppie che si rivolgono a loro per tentare la via dell’eterologa. Dal giugno 2015 a dicembre del 2016 sono state 275 le coppie seguite dalla clinica luganese per l’ovodonazione (l’80% provenienti dall’Italia e il 20% - in crescita - dalla Svizzera). Attraverso questa tecnica nel 2016 sono nati 56 bambini, mentre sono un centinaio le gravidanze attualmente in corso.
intervista al dottor Michael Jemec
direttore di ProCrea
André-Marie Jerumanis
«Non aggiriamo la legge, diamo una possibilità in più» Quando una coppia decide di rivolgersi a un Centro per l’ovodonazione? L’età avanzata della donna è uno dei fattori principali che indica il ricorso a questa terapia, infatti con il passare degli anni diminuisce la capacità fertile femminile e vi sono maggiori problemi di infertilità. Altri casi in cui è indicata sono la presenza di particolari patologie, per esempio, l’endometriosi (malattia cronica dovuta alla presenza di un tessuto che riveste la parete interna dell’utero, ndr), ma anche in casi in cui la donna ha subito particolari interventi quali l’asportazione delle ovaie o è stata diagnosticata menopausa precoce. La maggior parte delle donne che incontriamo per l’ovodonazione ha comunque già tentato diverse terapie di fecondazione assistita, senza esito positivo. Perché si prende l’ovulo di una donatrice? Occorre sempre guardare all’età della donna. Infatti con l’avanzare dell’età aumentano anche le probabilità che si creino “errori” nella combinazione genetica durante la fecondazione. Parliamo di “errori” che non possono dare origine ad una vita. Una donna giovane, tra i 20 ed i 30 anni, ha minor probabilità di correre questi rischi: i suoi ovuli hanno caratteristiche tali da poter essere fecondati con più facilità e hanno maggiori possibilità di annidarsi nell’utero. Ecco perché, prendendo l’ovulo di una giovane donatrice, anche una donna già avanti con l’età può restare incinta. Non è difficile psicologicamente per la coppia accettare l’ovulo di un’altra donna?
■ Marina Carobbio
È chiaro che l’ovodonazione comporta, alcune volte, anche un passaggio di tipo psicologico. In generale quando una coppia viene posta davanti alla possibilità di iniziare una terapia eterologa (in cui cioè è previsto il ricorso a ovuli o a seme maschile da parte di donatori) deve affrontare un ostacolo psicologico: è nella natura umana l’istinto di voler trasmettere i propri geni ai figli. Ma questo è un ostacolo superabile: il desiderio di dare vita ad una famiglia e di poter avere un figlio è capace di far superare tutto. Già alla sesta settimana di gravidanza, quando la donna avverte il battito del cuoricino del bimbo, percepisce una completa identificazione con quanto accade nel suo ventre, e sente suo quel bambino. In Svizzera è consentita la donazione di sperma, ma non di ovuli. Perché? La mancanza di conoscenza di questo specifico ambito della medicina crea talvolta paura; paura che si riflette a livello politico come in ambito religioso e che spesso porta a cercare risposte nei principi morali. La tematica dell’ovodonazione è stata però già discussa dal Parlamento svizzero e approvata da entrambe le Camere. Crediamo che nell’arco di qualche anno (forse un paio) anche in Svizzera sarà consentita la terapia eterologa tramite ovodonazione. La legge è in preparazione. Fino a quel momento, ProCrea comunque vuole continuare ad offrire un ventaglio completo delle terapie di procreazione medicalmente assistita. Da qui la decisione di collaborare con la Clinica Le Betulle di Appiano Gentile. Non è un tentativo di aggirare la legge? Dopo anni di divieti, oggi l’Italia ha una normativa più aperta della Svizzera in materia di PMA.
consigliera nazionale PS
«Necessario aprire un dibattito» Marina Carobbio, perché secondo lei la Legge svizzera continua a fare distinzione tra donazione di sperma e di ovuli? Si ritiene che la donazione di ovuli, a differenza di quella dello sperma, si basi su un intervento più invasivo. D’altra parte è pur vero che il divieto della donazione di ovuli è discriminatorio rispetto alla donazione di sperma. Perché in Svizzera, nonostante il tema sia stato dibattuto a più riprese negli anni, la donazione di ovociti incontra una così forte resistenza? Che tipo di ragioni etiche stanno alla base di questa decisione? Nel nostro Paese anche questi temi sottostanno al voto popolare. Recentemente si è votato sia a livello di Costituzione che a livello Legislativo per poter effettuare la diagnosi preimpianto e il dibattito pubblico è stato intenso. Ulteriori cambiamenti credo necessitino di tempi lunghi perché si confrontano vari aspetti, da quelli scientifici a quelli etici. Il dibattito pubblico ruota attorno alla necessità di proteggere l’essere umano dagli abu-
si dello sviluppo tecnologico e su quanto oltre può spingersi lo sviluppo scientifico. Nel caso specifico dell’ovodonazione si somma anche il tema del ruolo della donna e della maternità nella nostra società. Ecco perché io auspico che questo dibattito ci sia. La possibilità di poter accedere a questa tecnica ad appena 30 chilometri, o in altri Paesi dell’Est Europa, non rischia di fare più male che bene? Il rischio di un “turismo della procreazione” è effettivamente una delle conseguenze negative della situazione svizzera, che comporta a sua volta dei rischi e delle questioni etiche. Tra i rischi c’è il fatto che chi vi ricorre non solo spesso spende molti soldi, ma anche che non sempre questi trattamenti seguono dei processi trasparenti e sicuri. Così ad esempio benché in Italia la donazione di ovociti sia permessa, la mancanza di ovuli spinge le cliniche italiane a rivolgersi alle banche di ovociti estere. Dal punto di vista etico e politico la domanda da porsi è anche questa: fino a che punto è giusto proibire nel nostro Paese se poi queste pratiche favoriscono il “turismo della procreazione”?
«Un figlio non è un oggetto, rappresenta un dono»
Da dove arrivano gli ovuli che utilizzate? Collaboriamo con una clinica spagnola. Per ciascuna coppia che deve affrontare un percorso di ovodonazione facciamo arrivare un lotto da sei/otto ovociti. Questo ci permette anche di mantenere una piccola riserva, proveniente dalla medesima donatrice, qualora la stessa coppia dovesse volere un altro figlio. Mediamente vengono trasferiti nell’utero della donna due embrioni; se la donna però ha più di 43 anni si trasferisce un solo embrione per prevenire i rischi di gravidanza gemellare. Per motivi medici, infine, accettiamo per il trattamento donne non oltre i 46 anni.
Prof. Jerumanis, perché per il Magistero della Chiesa la pratica dell’ovodonazione non è considerata accettabile? Ogni essere umano anche nato dalla procreazione assistita merita rispetto e amore. Detto questo senza porre un giudizio sulle persone, sono da considerare diversi aspetti della questione per capire la posizione del Magistero. Non può essere legittimata in alcun modo una pratica in cui l’embrione, la futura vita, può essere sacrificato e selezionato, diventando merce. Di solito per ogni embrione che arriva alla nascita molti altri vengono eliminati. Un altro punto fondamentale da considerare riguarda l’atto di donare un ovulo. In questo modo la donna dona una parte di sé perché vada a formare la metà del materiale genetico del nascituro, ossia della sua identità personale. Ma nonostante il desiderio di avere figli sia assolutamente legittimo, la Chiesa non crede che il fine giustifichi sempre i mezzi. In questo caso il mezzo è una tecnica estrinseca a un rapporto coniugale “naturale” e ha delle conseguenze anche per il diritto del nascituro, a cui per esempio sarà impedito di conoscere il proprio genitore biologico, e anche quando è possibile non è privo di problemi. Con questa pratica, infatti, si pone il problema fondamentale della frammentazione della famiglia: c’è un genitore sociale e un genitore genetico. In una società in cui ogni desiderio deve essere accontentato si rischia di mercificare tutto. Il punto è che l’essere umano non può e non deve rientrare in questa logica: è una persona, non l’oggetto del desiderio di qualcun altro.
Chi sono le donatrici? Sono donne giovani, tra i 20 e i 30 anni che vengono sottoposte a screening e analisi mediche per accertare il loro stato di salute. Nella scelta contano le caratteristiche fisiche perché garantiamo che vi sino caratteristiche il più possibile vicine a quelle delle pazienti. È assolutamente garantito l’anonimato: donatrice e paziente non si potranno mai conoscere.
Questa posizione a quali testi si richiama? Sono principalmente due i documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede che illustrano il pensiero della Chiesa su questo tema: l’Istruzione “Donum Vitae” del 1987 e l’Istruzione“Dignitas Personae” del 1998. La Chiesa in questi testi mette bene in evidenza il principio fondamentale secondo cui a ogni essere umano, dal concepimento fino alla morte, deve
È un dato di fatto. È anche un dato di fatto che non esiste una norma che vieta alle coppie di andare all’estero per le terapie. Davanti a circa mille coppie svizzere che ogni anni vanno all’estero per poter avere accesso all’ovodonazione, la scelta di collaborare con una clinica italiana che si trova a 30 km di distanza è stata la volontà di rispondere alle richieste delle “nostre” coppie. Non aggiriamo la legge, ma cerchiamo di attenuare al minimo i disagi che queste coppie devono affrontare. Grazie alla collaborazione che abbiamo avviato, questi pazienti riducono gli spostamenti e possono sempre fare affidamento sui medici e sui biologi di ProCrea.
■ Marco Romano
consigliere nazionale PPD
«Premessa per pericolose derive» Marco Romano, secondo lei non è discriminante permettere la donazione di sperma ma non di ovuli? La differenza è sia biologica che etica, i risvolti sono giuridici e sociali. Gli ovuli si producono stimolando le ovaie con ormoni e prelevandoli con una siringa dalla pancia, cosa non fisiologica e non comparabile per nulla alla raccolta del liquido. È un gesto medico non privo di complicazioni, molto invasivo per il corpo della donna. Si sfrutta il corpo umano per generare vita senza legami biologici e in situazioni molto discutibili da un punto di vista etico e giuridico. Sono note situazioni in cui giovani donne si finanziano gli studi vendendo i propri ovociti per 3.000 dollari mensili. La donazione di ovuli è poi la premessa fondamentale per la generalizzazione della pratica dell’utero in affitto e della madre surrogata. La donna presta l’utero volontariamente? Qual è il prezzo, finanziario, ma soprattutto psicologico? Perché impedire la pratica dell’ovodonazione? La vita umana è privilegio e non un diritto. Dal punto di vista geneti-
co l’ovodonazione è equiparabile a un’adozione. Come gestiamo il fatto che l’origine materna non sarebbe più certa? Altro problema è la consanguineità fra i discendenti, ignari dell’origine genetica. I legami tra madre e bambino si formano già durante la gravidanza e con la donazione di ovociti si generano situazioni di rottura. Anche la regolamentazione del diritto di conoscere i propri genitori è ricca di aspetti problematici. Generare e crescere figli diventa un’attività economica disgiunta da ogni legame biologico e affettivo. Che società vogliamo? Le coppie svizzere possono ricorrere all’ovodonazione all’estero, non si rischia quindi di alimentare una sorta di “turismo della procreazione”? Il “turismo della procreazione” è una realtà che non nego, ma questo non è un argomento per accettare ogni tipo di pratica. Soprattutto se la tendenza è quella della mercificazione del corpo umano e della trasformazione del generare vita umana in un mercato in cui i principi naturali sono banalizzati in nome dell’evoluzione della medicina. Non avere figli non è una malattia da curare, ma un elemento da gestire.
professore di teologia
L’ovodonazione Si tratta di una tecnica di fecondazione assistita che prevede la donazione di ovociti a un’altra donna. Può essere utile in caso di ripetuti insuccessi di fecondazione artificiale o se la paziente non riesce a produrre ovuli. La pratica coinvolge tre persone: la madre biologica o donatrice, la madre sociale o ricevente e il marito o compagno della ricevente. La donatrice viene sottoposta a una stimolazione ovarica, gli ovociti prelevati vengono fecondati in vitro con lo sperma del marito. Gli embrioni ottenuti vengono quindi trasferiti nell’utero della ricevente, la futura mamma. La percentuale di successo è attorno al 54%.
La legge La Legge svizzera sulla procreazione con assistenza medica vieta (al capitolo 2 art. 4) la donazione di ovociti ed embrioni nonché la maternità sostitutiva, mentre consente la donazione di sperma. La donazione di ovociti è invece ammessa in Italia e in altri Paesi europei come la Spagna, la Grecia, la Repubblica Ceca, la Russia, Cipro e l’Ucraina.
essere riconosciuta la dignità di persona. Di conseguenza anche l’embrione ha fin dall’inizio la dignità propria della persona, che con le pratiche come l’ovodonazione passa assolutamente in secondo piano. Ci sono pratiche di fecondazione assistita che invece la Chiesa ammette? Sì, il Magistero della Chiesa permette la procreazione assistita in cui l’atto medicale non si sostituisce all’atto coniugale. Viene quindi riconosciuta la possibilità di stimolare l’ovulazione con farmaci, o anche di aiutare gli spermatozoi nel cammino che devono compiere fino all’ovulo attraverso l’“inseminazione artificiale omologa impropriamente detta”. Questo non significa che la Chiesa sia insensibile al desiderio della coppia di avere figli, semplicemente invita a riflettere sulla questione. In primis la riuscita di questi interventi esterni si situa su percentuali contenute, inoltre le coppie possono seguire altre vie per avere un figlio, come ad esempio l’adozione. La Chiesa sostiene che la medicina non dovrebbe sostituirsi all’atto naturale della procreazione, ma solo curare le patologie. Una coppia non fertile non avrebbe però il diritto di avere figli in ogni modo possibile? Occorre sempre scindere la cura della sterilità, che compete alla medicina, e un agire che si sostituisce all’atto generativo. Produrre embrioni in laboratorio non rientra nelle finalità terapeutiche, va oltre. Il medico non può arrogarsi alcun diritto di vita o di morte. La Chiesa comprende che il desiderio di avere un figlio sia inscritto nel cuore umano, ma ciò non può essere ritenuto un diritto. È pericoloso considerare il desiderio della coppia come l’unico fattore in gioco, parlare di diritti in modo automatico significa fondamentalmente non considerare quelli del nascituro. Un bambino è un dono, non una cosa da possedere. Se il figlio inizia a essere considerato un oggetto, la coppia potrebbe finire per pretendere dall’ovodonazione e da ogni tecnica di procreazione assistita un bambino perfetto. E una volta spalancata la porta alle derive eugenitiche è difficile riuscire a tornare indietro.
■ La storia di Elena e Luca in attesa del primo figlio
■ Maria e Sergio raccontano la scelta di adottare
«Non ci siamo arresi ai limiti di età»
«La vita alla fine ci ha portato a Giorgia»
Si accarezza delicatamente la pancia Elena, aspetta il suo primo figlio. È appena entrata nel terzo mese di gravidanza, e la sua figura esile custodisce ancora quel dolce segreto. «Ho sognato così a lungo di poter avere un bambino che ho quasi paura a dirlo. Paura che questa felicità possa frantumarsi in un attimo», mi dice quando la incontro. Elena ha appena compiuto 45 anni. Ha incontrato solo qualche anno fa l’uomo che oggi è suo marito Luca. «Ho passato gli ultimi 15 anni della mia vita a correre dietro al lavoro, a viaggiare. Ero single, semplicemente non pensavo alla possibilità di avere un figlio». Poi un giorno è arrivato un nuovo collega, «ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a frequentarci. Ci siamo innamorati e abbiamo iniziato a discutere del futuro, della possibilità di avere figli, di costruire una nostra famiglia», racconta. «Abbiamo provato ad avere un bambino, quasi subito sono rimasta incinta. Al terzo mese la nostra felicità si è infranta di fronte a un aborto spontaneo. Abbiamo tentato di nuovo, a
È la piccola Giorgia, tre anni, ad aprirmi la porta di casa quando incontro lei e i suoi genitori. «Preparati – mi avverte Maria, sua mamma – quando arriva qualche ospite lei inizia a girargli intorno osservandolo incuriosita. Non ti lascerà in pace neppure un secondo». In effetti, durante la nostra chiacchierata Giorgia rimarrà sempre al mio fianco, attratta da un particolare dei miei pantaloni. È una bimba bionda e ricciolina, piuttosto alta per la sua età, come mi fa notare Maria. «È stata voluta immensamente, anche se il percorso per averla è stato durissimo», mi spiega con sincerità disarmante Sergio. Giorgia è stata adottata da questa coppia di 37enni quasi due anni fa. Non ricorda nulla del periodo passato in istituto, né di quando l’hanno allontanata dalla sua famiglia. «Ma non appena farà delle domande le racconteremo la sua storia, mostrandole foto e disegni», mi spiega Maria. Giorgia è arrivata nelle loro vite dopo anni di sofferenze. Maria qualche anno dopo il matrimonio ha scoperto di avere un tumore al seno. «Il cancro ci ha segnato la vita, ma ci ha anche insegnato a guardare all’essenzia-
ogni ritardo del mestruo mi illudevo, e poi ero costretta a ricredermi», dice Elena. Dopo qualche tempo hanno deciso di rivolgersi a un medico esperto di fertilità, che ha comunicato alla coppia che l’età di Elena, ormai oltre i 40 anni, rendeva difficile una gravidanza naturale. «Non ci siamo persi d’animo, abbiamo tentato cinque volte l’inseminazione artificiale e poi anche la fecondazione assistita», racconta. Un susseguirsi di esami e una stimolazione ormonale che non hanno portano ad alcun risultato. Quando ogni tentativo è fallito, il medico ha proposto loro l’ovodonazione. «Eravamo combattuti, non è stata una scelta facile. All’inizio ho rifiutato. Non me la sentivo, mi sembrava di andare troppo oltre i limiti che mi ero imposta quando abbiamo iniziato il nostro percorso. Ero convinta che non avrei sentito questo bambino come fosse mio», prosegue. Chiedo se non abbiano pensato ad altre vie, come l’adozione. «Ci abbiamo pensato - spiegano - ma non era un passo che Luca sentiva di poter compiere, anche
perché ci avrebbero affidato un bambino già grandicello, con un passato magari difficile da affrontare». Alla fine Elena si è decisa a tentare con l’eterologa, sperando che quest’ultimo tentativo non fallisse. Gli ovuli sono arrivati da una giovane donatrice spagnola, di lei sanno solo l’età e che ha i tratti somatici di Elena. «All’inizio - ammette quella donna era un chiodo fisso, pensavo spesso a lei. Adesso sto voltando pagina, anche se la ringrazio del regalo che mi ha fatto». Diranno mai al figlio la verità? «Ne abbiamo parlato, non esistono obblighi legali. Vorrei poter proteggere questo bambino da ogni sofferenza, vorrei non dovesse soffrire sapendo che viene dall’ovulo di un’altra donna. Alla fine penso non gli diremo nulla. È vero, l’ovulo è di un’altra donna ma sono io ad averlo portato nel mio grembo». E a lui potrebbe seguire anche un fratellino. La coppia ha infatti congelato un altro ovulo fecondato con il seme di Luca. «Penso che tenteremo di avere un altro bambino prima che io arrivi a 50 anni. E anche lui sarà nostro figlio».
le», mi racconta. Vista la giovane età, avrebbero potuto prelevarle alcuni ovuli per poterle garantire una gravidanza, quando l’incubo fatto di chemio e medicinali fosse finito. «Non c’è stato però il tempo: essendo giovane le cellule cancerogene si stavano riproducendo ed era rischioso attendere un altro mese per prelevare gli ovuli. Così mi sono sottoposta subito ad alcuni cicli di chemioterapia. Ci avevano detto che una volta guarita avrei avuto il 30% di possibilità di tornare a essere fertile», prosegue. Quando il ciclo mestruale è tornato, Sergio e Maria hanno provato ad avere figli. Senza successo. «Abbiamo iniziato a fare qualche analisi su di me», racconta Sergio. «Questo significa essere risucchiato in un vortice fatto di esami di varia natura, con situazioni decisamente imbarazzanti», mi dice sorridendo. Poi è arrivato il giorno dell’incontro con un medico specializzato in fertilità, in una clinica milanese. «Ricordo che aveva la parete dell’ufficio tappezzata delle immagini di tutti i piccoli che aveva fatto nascere. Gli raccontammo la nostra situazione, mostrando i referti degli esami. Il primario ci
mise di fronte alla realtà dei fatti: non avremmo potuto avere figli a causa mia. A quel punto il medico iniziò a proporci ogni genere di terapia: dalla fecondazione in vitro, fino alla doppia eterologa», spiega Sergio. «Mi sentivo in imbarazzo, avevo di fronte una persona che sembrava non comprendere il mio desiderio di essere aiutato ad avere figli naturalmente. Come in una concessionaria di auto, il medico mi proponeva ogni genere di intervento». «Abbiamo deciso subito di rifiutare ogni proposta. Ci siamo chiesti: la medicina oggi è in grado di superare molti dei limiti che la natura impone, ma a che prezzo? Ecco, noi crediamo ci sia un punto oltre il quale sarebbe meglio non spingersi. Un figlio deve essere il frutto di un atto d’amore, non un prodotto di laboratorio. Accettando la pratica eterologa ci sembrava di disumanizzare il nostro desiderio di genitorialità, di farci soggiogare dall’egoismo di avere un bambino a tutti i costi». «Decidendo di tentare con l’adozione – interviene Maria -, abbiamo intrapreso una strada certamente più complessa. Ma tutto questo ci ha portato Giorgia, che ha reso la nostra vita incredibilmente bella».